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i medici rispondono di omicidio colposo se dimettono
CASSAZIONE PENALE I MEDICI RISPONDONO DI OMICIDIO COLPOSO SE DIMETTONO PAZIENTI A RISCHIO La Cassazione opera un giro di vite nei confronti dei medici stabilendo che possono essere chiamati a rispondere per omicidio colposo se dimettono sbrigativamente dall'ospedale pazienti a rischio che poi muoiono. In particolare, la quarta sezione penale con la sentenza 8254 sottolinea che a un medico, per liberarsi da ogni responsabilita', non basta dire di essersi "attenuto scrupolosamente alle linee guida" previste per i professionisti. In questo modo la Suprema Corte ha accolto il ricorso della Procura di Milano che si era opposta all'assoluzione "perche' il fatto non costituisce reato" di un medico dell'ospedale di Busto Arsizio, il dottor R. G. , chiamato a rispondere di omicidio colposo perche', in qualita' di medico dell'ospedale civile di Busto Arsizio addetto alle cure e alle terapie post operatorie di R. B., agendo con negligenza, imprudenza e imperizia, aveva dimesso dall'ospedale il paziente, con esiti di recente infarto esteso del miocardio, a nove giorni di distanza dall'intervento di angioplastica all'arteria anteriore. Il paziente, a seguito di attacco cardiaco era deceduto poche ore dopo essere stato dimesso. In primo grado il gup del Tribunale di Milano aveva condannato il medico a otto mesi di reclusione per omicidio colposo, pena sospesa con la condizionale, imponendogli pure una provvisionale di 50 mila euro in favore dei famigliari del paziente deceduto. Decisione ribaltata dalla Corte d'Appello di Milano che, il 16 novembre 2009, assolveva con formula piena il medico. Una assoluzione contestata dalla Procura milanese in Cassazione che ha fatto notare che "se il paziente fosse stato ricoverato in ambiente ospedaliero nel momento dell'urgenza cardiologica si sarebbero potuti attuare con sollecitudine interventi o meglio terapie che forse avrebbero potuto salvare la vita" al paziente. La Cassazione ha accolto i rilievi della Procura e, disponendo un nuovo esame davanti alla Corte d'Appello di Milano, ha ammonito i medici sul fatto che "la valutazione di dimissibilita' deve essere di ordine medico, non statistico". Il professionista, infatti, "nel praticare la professione medica deve con scienza e coscienza perseguire un unico fine: la cura del malato utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici di cui dispone la scienza medica, senza farsi condizionare da esigenze di diversa natura, da disposizioni, considerazioni, valutazioni, direttive che non siano pertinenti rispetto ai compiti affidatigli dalla legge e alle conseguenti relative responsabilita'". Inoltre, annota ancora la Suprema Corte, "se le Linee Guida dovessero rispondere solo a logiche mercantili, il rispetto delle stesse a scapito dell'ammalato non potrebbe costituire per il medico una sorta di salvacondotto, capace di metterlo al riparo da qualsiasi responsabilita', penale e civile, o anche solo morale, poiche' sul rispetto di quelle logiche non puo' non innestarsi un comportamento virtuoso del medico che, secondo scienza e coscienza, assuma le decisioni piu' opportune a tutela della salute del paziente". COMMENTO Questa sentenza finalmente recupera, insieme alla responsabilità, anche l’autonomia e la dignità della professione medica nei confronti dell’arroganza delle Aziende Sanitarie che si vogliono appropriare anche del Governo Clinico. Prescindendo dal contesto specifico, quello che conta è il fatto che sia stata sancita la responsabilità diretta del medico nel tutelare la salute del paziente, a prescindere dagli indirizzi dell’Azienda. Sia chiaro, una volta per tutte, che il singolo medico è responsabile penalmente se accetta di mettere a rischio la salute del paziente, pur nel rispetto delle disposizioni aziendali. Alcuni esempi: • un anestesista per due sedute operatorie contemporanee, • l’anestesista di guardia che si impegna in interventi non urgenti, • la parto analgesia effettuata in ospedali senza guardia pediatrica, • o dall’anestesista di guardia che non può seguire la partoriente, affidandone la gestione ad altre figure, • la mancanza di guardia attiva anestesiologica che costringe il rianimatore ad abbandonare i propri pazienti per affrontare le urgenze-emergenze fuori dal reparto, • lo specializzando usato in sostituzione e non in affiancamento ad uno strutturato. Con gli esempi mi fermo qui. Spero e confido che alla luce di quanto sopra i medici trovino la forza, nel proprio interesse, di unirsi agli altri per combattere e contestare modelli organizzativi a rischio. A pagare e ad andare in galera è sempre chi sta in prima linea, svegliamoci!!! Un’ultima considerazione: finalmente una bella botta a quella marea di linee guida, indirizzi, protocolli, procedure, raccomandazioni e quant’altro, partoriti ad ogni piè sospinto da chiunque che lasciano il tempo che trovano perché come recita la sentenza «nulla peraltro si conosce di tali "linee guida", né dell'autorità dalle quali provengono, né del loro livello di scientificità, né delle finalità che con esse si intende perseguire, né è dato di conoscere se le stesse rappresentino un'ulteriore garanzia per il paziente, ovvero, come sembra di capire dalla lettura delle sentenze in atti, altro non siano che uno strumento per garantire l'economicità della gestione delle strutture ospedaliere». Chi decide deve essere il medico, finalmente!!! Attilio Terrevoli