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la moglie dei due mariti - Buccheri e la sua storia
1 VINCENZO OTTAVIANO GUARRELLA 2 Biografia dell'autore. Vincenzo Ottaviano(*) Guarrella nasce a Ragusa il 17 febbraio del 1850 da Francesco Guarrella e da Teresa Ottaviano(*). Il 30 agosto 1879, quindi all'età di 29 anni sposa Grazia Maria Catalano Figlia di Tommaso e di Ribera Carmela di 7 anni più giovane di lui, essendo nata il 25 giugno del 1857. La loro unione viene allietata dalla venuta al mondo di tre figli: ...- Francesco Maria – che nasce a Buccheri il 6 gennaio 1891. Sposerà il 1° settembre del 1906 Grazia DiCorrado. Sconosciuta la data della sua morte. ...-Tommaso – che nasce a Buccheri il 22 febbraio 1882 che sposerà Elena Costa e andranno ad abitare in via Bilingeli. Morirà a Catania il 30 ottobre del 1966, all'età di 84 anni. ...-Maria Teresa – che nasce a Buccheri il 9 ottobre del 1887 che sposerà a Buccheri il 21 dicembre del 1911 certo Pistorio Giovanni. Morirà a Firenze il 6 gennaio del 1981. Di Vincenzo Ottaviano non conosciamo, (al momento) la data della sua morte, che sembra avvenuta a Ragusa, dove pare sia sepolto nel cimitero di Ibla. (*) Ottaviano non è dunque un secondo nome, come avevamo erroneamente pensato, bensì il cognome della madre. 3 Probabilmente proveniente da famiglia nobile, poiché era un fatto normale che i figli della nobiltà assumessero entrambi i cognomi, sia della madre che del padre. In tempi più recenti ci risulta che persino i mariti, figli di gente benestante che avevano la ventura di sposare una fanciulla di nobili origini, ne assumevano il di lei cognome, esattamente come le mogli plebee (nei matrimoni normali) assumevano il cognome del marito. Altre notizie biografiche verranno inserite (nelle edizioni successive) via via che ne verremo a conoscenza. 4 5 VINCENZO GUARRELLA OTTAVIANO LA MOGLIE DI DUE MARITI Tratto dalla prima edizione RAGUSA INF. Tip. Ed. Cappello e F.lli Puglisi ---1889 Libera trascrizione e riedizione dalla copia in possesso dell'autore con l'aggiunta delle sue note manoscritte anno MMX 1^ Edizione – Ottobre 2010 2^ Edizione - Luglio 2014 6 PROPRIETÀ LETTERARIA Diritti di riproduzione e di traduzione riserbati all'autore. Le copie non munite della firma dell'A. si riterranno come contraffatte. (Firma V. Guarrella) 7 AD EDMONDO DE AMICIS CHE NELLE IMMEMORABILI SUE OPERE CON MIRABILE MAGISTERO SEPPE TRASFONDERE LE PIÙ SPLENDIDE E PURE GRAZIE DELL'ITALICA FAVELLA PENNELLEGGIANDO CON AFFASCINANTE STILE GLI AFFETTI PIÙ SQUISITI E GENTILI QUESTO POVERO E DISADORNO LAVORO SEBBENE IMMERITEVOLE DI FREGIARSI D'UN NOME COTANTO ILLUSTRE COME SEMPLICE TESTIMONIANZA DI VENERAZIONE E D'AMORE DEDICO CONSACRO 8 Note alla presente edizione. Tutti noi nativi di Buccheri fin da bambini abbiamo sentito parlare della storia de' du' mariti, tanto è vero che a chiunque vien chiesto qual è la strada che porta quel nome, nessuno avrà alcun tentennamento ad indicarvi l'attuale Via Principe Umberto, ovvero la strada che dipartendosi da piazza Loreto (A'urito, che dà nome a tutto il quartiere) conduce agli inizi di Via Umberto. Sia da alcuni brani che da frammenti letti qua e là avevamo saputo che esisteva a Buccheri una Via Due Mariti, ora ne abbiamo avuto certezza sia consultando una antica toponomastica sia dalle pagine di questa storia del Guarrella che ci tramanda in modo un po' romanzato e un po' falsato come si sono svolti i fatti. Fatti che gli erano noti perché accaduti durante la sua esistenza e lui stesso ci conferma di aver conosciuto e addirittura parlato con i suoi protagonisti. La vicenda, che vede anche il ferlese Mangiamele condannato innocente e morto in carcere, suscitò tanta pena e fece tanto scalpore che gli amministratori dell'epoca pensarono bene di dedicarvi una strada, la stessa strada dove aveva abitato Maddalena che chiamarono per l'appunto Via Due Mariti. Diversi decenni dopo, in pieno servaggio sabaudo, quando tutti facevano a gara a chi più servilmente sapeva pronarsi in adorazione quasi divina verso i tiranni, è stato cambiato il nome di quella via per dedicarlo all'ultimo nato di una famiglia che in seguito avrebbe confermato la sua vera natura tiranna da padrona. L'uomo ha bisogno di un padrone esattamente come un pesce può aver bisogno di una bicicletta, o un agnello del suo macellaio, o meglio per dirla alla Temistocle, l'uomo che per paura di perdere la sua vita e la sua sicurezza rinuncia alla sua dignità e alla sua libertà avrà perduto sia la dignità che la vita. Per farla breve questo mio sfogo vuol essere una provocazione a ché noi tutti riflettiamo se non sia più opportuno aver dedicate le strade sia a uomini illustri come i due sindaci Mazzone per esempio, martiri 9 nei secoli scorsi della tirannia baronale, che a fatti memorabili (Via Due Mariti, per esempio) anziché a personaggi per niente illustri che semmai denotano il vil servaggio di certi nostri amministratori del passato. Ritornando alla nostra storia, tutti noi ne abbiamo sentito parlare, ma ciascuno di noi in modo diverso, a tal punto che se provate oggi a farvela ripetere ne sentirete come minimo tre o quattro versioni diverse, con varianti più o meno fantasiose alcune delle quali truculente. Già in altre occasioni avevo espresso questo mio scetticismo sulla versione che ricordavo io e che mi era stata raccontata da piccolo (ovvero appena una ottantina d'anni dopo i fatti) e già nessuno, per esempio, ricordava i nomi dei protagonisti. Quando molti anni fa lessi per la prima volta il Fu Mattia Pascal di Pirandello, e mi permisi di dire in un "circolo di letterati" che quella storia probabilmente (o quasi sicuramente) era tratta dalla nostra buccherese "storia dei due mariti" mi fu riso in faccia e mi fu fatto rilevare che probabilmente ogni paese della Sicilia (o persino del meridione) racconta la stessa storia come avvenuta realmente nelle sue contrade. Insomma alla fine dovetti ammettere, da quell'animale iper-razionale quale sono, che il tutto poteva benissimo essere frutto di leggenda magari mutuata da qualche cantastorie di passaggio, come si usava un tempo, almeno fino a mezzo secolo fa. Oggi che possiamo fare un raffronto storico si può affermare e senza dubbio che una copia della "Moglie dei due mariti" pubblicata nel 1889 possa essere finita in mano al Pirandello o che comunque abbia avuto contezza degli avvenimenti descritti in questo libro e da questa ha tratto BEN 15 ANNI DOPO, il suo romanzo: Il Fu Mattia Pascal. Pur ambientandolo in altri luoghi e facendo muovere altri personaggi, l'impianto crono-storico è quasi identico alla nostra storia. Nel trascrivere il testo del Guarrella, ho cercato in tutti i modi di riportare L'ESATTA impaginazione e l'esatta sintassi, affinché non avesse a perdere nulla del "parlar forbito" seppur datato, del suo autore che si rivela una persona colta. Forse era già nelle intenzioni dell'autore modificarne qualche piccolo dettaglio tipografico per migliorarne l'effetto grafico-estetico visto che 10 nella copia nostra vi abbiamo trovato segnate a mano due "aggiunte" ed effettivamente qualche miglioramento dell'impaginazione (per esempio dei dialoghi) sarebbe da rivedere. In questa "riedizione" da noi approntata ci siamo presi la libertà di inserire fra le prime pagine la foto scattata al suo ritratto che ancora è presente nella sua casa di Via Natale Cappello. Vi abbiamo quindi inserito due note riguardanti le sue "citazioni" all'interno dell'opera che non sono molto conosciute ai non letterati (ai non "accutturati" come mi ha definito scherzosamente tempo addietro un amico), la prima riguardante il primo canto dell'Inferno di Dante, la seconda tratta da un'opera di Giovanni Prati. Una considerazione particolare va fatta sulla nota n. [(3)] che troverete in fondo al libro e che per dovere di correttezza cronologica riportiamo prima della storia che ci accingiamo a trascrivere. Il Guarrella non cita la data del primo matrimonio avvenuto fra Maria Maddalena Marchese e Salvatore Magazzino, mentre riporta, addirittura, uno stralcio notevole del secondo matrimonio oltre alla sua data corretta... sbagliando invece il nome del secondo marito: perché? L'ipotesi che lui non abbia avuto diretto accesso ai documenti del Comune potrebbe essere valida; probabilmente si è servito di qualche “informatore” che gli ha fornito solo la parte documentale del secondo matrimonio e non del primo. L'unica cosa che del primo evento correttamente lui cita è la primavera avanzata (o inizio estate) dell'anno 1853 come “momento” dell'incontro e/o della conoscenza tra il Magazzino e la Marchese, sfociato poi nel matrimonio tra i due (data che lui non cita) e che noi abbiamo trovato effettivamente celebrato alcuni mesi dopo, il 28 Agosto dello stesso anno 1853 (ved. copia fotografica tratta dai registri del Comune di Buccheri). Ulteriore nota negativa riguarda la parte fantasiosa dell'esistenza (e delle azioni) della madre di Maria Maddalena Marchese e della madre di Salvatore Magazzino, che invece nell'atto di matrimonio originale da noi ritrovato e consultato risultano inesistenti in quanto entrambi figli di “ignoti parenti”, di conseguenza, pur ammettendo valida la “gelosia” 11 come causa prima dell'abbandono del primo marito, sicuramente (non essendo esistenti) nessuna delle due madri avrebbe potuto mai “influenzare” i figli; né la fantasiosa madre della Maddalena, dai facili costumi, né la cattiva madre di Salvatore dalla eccessiva gelosia. A meno che non si fosse trattato di genitori adottivi. In tal caso il Guarrella avrebbe dovuto darne almeno un cenno, cosa che non fa, e quindi da un punto di vista rigorosamente storico-aneddotico è meglio prenderlo con le dovute cautele. Come conseguenza si può seriamente pensare che nella nostra “storia” ci siano troppe parti decisamente “inventate” frutto delle “tendenze letterarie” del nostro autore. Se così stessero realmente le cose, si potrebbe benissimo capire il Pirandello che, nel trattare lo stesso tema, non cita alcun riferimento né riguardo al Guarrella né al fatto realmente accaduto a Buccheri. Tema che lui tratta decisamente in modo puramente letterario, cambiando e stravolgendo completamente i fatti reali e prendendo dalla nostra storia solo “lo spunto” per il suo capolavoro (quello sì) letterario. Al nostro Guarrella va comunque riconosciuto il merito di averci tramandato un pezzo della nostra storia, sia pure ammantata di aneddoti fantastici, che altrimenti si sarebbe irrimediabilmente perduta. Altro appunto invece merita il secondo matrimonio. Per una svista o per un errore di trascrizione o per una errata comunicazione al Guarrella da parte dell'ufficiale d'anagrafe, egli indica in Salvatore Barrile il nome del secondo marito di Maddalena, mentre invece nell'atto da noi ritrovato e consultato questi viene indicato col nome di Salvatore Lombardo. Nell'appendice è visibile chiaramente questo nome che riportiamo fotografato dal registro dello Stato Civile di Buccheri. Le trascrizioni riportate dal Guarrella sulla presunta morte del Magazzino risultano invece parola per parola nell'atto che abbiamo fotocopiato. Una ulteriore ipotetica causa di questo errore di trascrizione del cognome si può ipotizzare come probabile 'nciuria del Lombardo 12 in "varrile" quindi "barrile", e dati i tempi in cui ci troviamo, ovvero quando ci si conosceva più con le 'nciurie che con i cognomi, sarebbe stato anche plausibile un tale errore. Peccato solo che fra le oltre 1200 'nciurie da noi finora registrate non troviamo traccia di alcun "varrile"; 'nciuria inesistente? Oppure è magari una 'nciuria esistita in passato e di cui si è semplicemente persa la memoria? Ma riflettendoci ancora però bisogna ammettere che queste giustificazioni non reggono ad una analisi più attenta e quindi mi sono chiesto e richiesto come mai il Guarrella avesse commesso un errore così apparentemente pacchiano? Non sarebbe stato da lui. Cronista scrupoloso, almeno per quanto riguarda la parte “storica” che ci ha tramandato, parla del secondo marito come di uno che viveva ancora al momento della pubblicazione del libro e che fa di mestiere lo spazzacamino (altro errore del Guarella che invece alla fine del libro lo descrive come un contadino che stava arando un campo in quel di Passo Marino). Una ulteriore e definitiva ipotesi (sostenuta anche da Liliana Nigro, che abbiamo scoperto essersi occupata di questa vicenda oltre 10 anni fa e di averne addirittura tratta un'opera teatrale) potrebbe essere la seguente: dopo questo "fattaccio" il secondo marito potrebbe non aver avuto vita facile e immaginiamo gli sberleffi della gente e dei ragazzacci... quindi ulteriore motivazione: e se il Guarrella avesse DELIBERATAMENTE cambiato il cognome del Lombardo in Barrile proprio per non sottoporlo ad ulteriore gogna? Leggendo fra le righe il trasparire dell'animo gentile del Guarrella non è da escludere una tale ipotesi, anzi... Comunque sia, ogni ipotesi è plausibile!!! 13 Ritornando alla nostra trascrizione abbiamo cercato di renderla “gradevole”, usando dei caratteri moderni pur lasciando inalterati lo stile, le parole, la punteggiatura e la stessa impaginazione dell'opera così come da noi trovata nelle fotocopie. Per finire... lo abbiamo ricompilato in formato PDF perché sia reso disponibile per tutti a costo ZERO. Speriamo di aver fatto cosa gradita a coloro che come noi amano Buccheri e le sue memorie e se qualcuno ritiene che noi ci sia "appropriati" di qualcosa, beh sì di qualcosa ci siamo appropriati: dell'emozione e del piacere di preservare per i nostri figli e per i nostri posteri ciò che a nostro avviso val la pena essere ricordato e salvato dall'oblio. Perdonateci l'eventuale presenza di qualche errore di trascrizione e se ne trovate segnalateceli. Provvederemo immediatamente a rimuoverli e a redistribuire la copia corretta, sia nella versione digitale che in quella cartacea. La versione elettronica in formato PDF che a noi non costa nulla è a vostra disposizione gratuitamente. Ma venendo incontro alle molteplici richieste che tanti ci hanno rivolto, ovvero di poterne avere a disposizione una copia stampata su carta, abbiamo provveduto a farla stampare da un editore in USA (lulu.com) a un costo irrisorio, e con una piccolissima percentuale che abbiamo ceduto e voluto fosse dirottata verso un Ente benefico che voi tutti conoscete: EMERGENCY via Gerolamo Vida 11 20127 Milano tel +39 02 881881 fax + 39 02 86316336 www.emergency.it 14 Un prezzo irrisorio che serva soltanto a ripagare i costi di produzione e delle materie prime, perché: La conoscenza è come la vita! Non ha prezzo! E sarebbe IMPAGABILE se ne avesse uno. Vito Gambilonghi 15 MADDALENA IMPENITENTE ossia LA MOGLIE DEI DUE MARITI §§§§§§§§§ Riesce difficile, a chi non ha mai osservata una festicciuola in un borgo montanino, formarsi un chiaro concetto del misto d'ascetico e di pro fano, di baldoria e di penitenza che in quel giorno si manifesta nel seno del popolo. Il curioso movimento s'inizia poche settima ne prima, ed ovunque è un continuo affaccen darsi, un lavorio incessante per fare un po' di mostra il dì festivo. Qui è una moglie che tiene il broncio al marito perché non ha pensato an cora a comprarle una veste elegante; là una fi glia che piange per avere le scarpe rotte, ed il calzolaio le ha detto che non ha più tempo di 16 fargliene un paio nuove. Un giovine muove lagno contro i proprii genitori perché tiene i cal zoni sbiaditi o logori: Santo Dio, lo si ode escla mare,è un anno che lavoro, e sì che ho guadagnato di bei quattrini, ed ora che viene la festa del patrono non posso avere un vestito per bene; i miei compagni faranno miglior figura di me. Un carrettiere dice avere comprato un abito di roba finissima che è proprio un piacere a guardarsi, ed una berretta di seta nera con un fiocco pesante quasi un chilogramma; un padre si lamenta che la festa viene a consumargli tutti i risparmi del l'anno per le spesucce ch'è costretto a fare; e la pinzocchera, col capo chino e guardando sem pre di sbieco la gente che passa, lavora a rica mare una tovaglia che dovrà figurare sull'altare maggiore. Se una giovane canta assai allegramente innanzi l'uscio od affacciata al balcone, è segno che le cose le vanno a modo; cuce difatti e se duta in modo che possano tutti vederlo, tanto per darne una mostra anticipata, un abito di mus solino a grandi e vivaci colori attaccandoci quan to più fronzoli può. I negozi e le botteghe, spe cie dei sarti e dei calzolai, sono in movimento continuo e si lavora al chiaro d'una lucerna fi no a notte alta. 17 Ci è poi da sbellicarsi delle risa al dì di festa. Le case dei contadini hanno avuto la rara fortu na di venir pulite: sul letto si colloca la coltre che la moglie portò in dote; e da tutti i tetti si sprigiona un po' di fumo in segno che qualcosa di cotto si prepara nella pentola ed è vergogna se non se ne scorge. Si vedono abiti di tutte le forme e di tutti i colori, cappellacci che ricordano gli anni di Ma tusalem, a picco, a larghe tese, schiacciati, pic colini e via di seguito; un bellimbusto con ber retto rosso, abito di tela giallognola ed un paio di stivaletti, che mandano nel camminare una spe cie di cigolio che si sente da lontano; un dovizio so agricoltore con abito di velluto nero, una bella fascia azzurra attaccata alla cintola e un'andatura da spavaldo; un contadino con camicia bianchissi ma a larghe maniche, la giacchetta abbandonata sulle spalle ed un fazzoletto attaccato alla testa a guisa del turbante degli orientali. Le belle fan ciulle con vesti tese che sembrano inamidate; le mamme amabili che vanno dietro le figlie e sen tono allargarsi il cuore alla gioia se vedono un bel tocco di celibe ammiccarle coll'occhio; qual che pruriginosa zitellona dannata a starsene in casa a spulciare il gatto, col viso coperto di pol 18 vere di riso, tanto per nascondere le grinze del la sua faccia; un vecchia matrona che tutta im pettita indossa l'abito di seta, che cinquant'an ni prima le portò il marito pel dì delle nozze; delle giovanette appartenenti a nobile casato con cappellini pieni di piume e di grandi nastri, e coll'abito che un tempo indossava la nonna, ri fatto a nuovo per adattarlo al loro corpicino ed alle esigenze della moda; ed a volte un giovine che all'andatura, al modo di vestire, rivela ave re servito nella milizia o essere stato per qualche tempo in una città. Avveniva una di tali festicciole in Bucche ri. Il popolo s'era riunito nella madre chiesa, dove un certo coso mingherlino s'era da un pez zo preparato a sciorinare un sermone indigesto apostrofando, secondo il solito, la perfidia del secolo. Era un giorno del morente aprile dell'anno 1853, quello in cui cadeva la festa da noi cennata. La natura col profumo dei suoi fiori, col lim pido suo cielo, col sorriso dei suoi campi schiudeva i cuori giovanili alle voluttuose ebbrez ze di amore e trasportava le loro menti attra verso i sereni campi dell'ideale. Salvatore Magazzino, giovine agricoltore dalle 19 vaghe fattezze, dal corpo erculeo, appoggiato ad una colonna, gettava i suoi sguardi, lampeggian ti d'immenso affetto, su d'una vaga maliarda che poco lungi sedeva sopra una panchetta, ed ella o ra gli faceva l'occhiolino ed ora volgea ansiosi gli occhi qua e là per la chiesa, come se fosse an data in cerca di un altro amante. Salvatore allora, preso da forte corruccio e da gelosia, fingeva di non curarla, mentre la fissava con la coda dell'occhio. Queste scene si rinnovavano a breve distanza di tempo e movean le risa di coloro che se ne accorgevano. § In tutte le sere dei dì festivi, Salvatore, di u nita ad un crocchio di amici, andava dietro l'u scio dell'amante per cantarle in coro, come si usa in Buccheri, la canzonetta di amore. Una volta, dopo il solito canto, un giovine av volto in una giubba di panno grossolano e che da un pezzo stava appoggiato allo spigolo di una vicina casa, chiamò ad alta voce: Salvatore? Chi è là? 20 Diavolo!... non mi riconosci più?... son Antonio Bilinceli. E che fai lì a quest'ora? Aspettavo a te. A me? Che vuoi? Mi sono avvisto da un pezzo che tu baz zichi presso l'uscio della Maddalena. È vero. Saprai certamente che da un anno io fac cio con lei all'amore. Lo so! Quand'è così, ti prego andare altrove in cer ca di avventure galanti. Non capisco un finocchio ciò che vuoi dirmi. Giacché ci godi a farmi l'indiano, ti par lerò chiaro. T'ordino con quei brutti arnesi di mai più avvicinarti a quella casa. Ah! ah! ah!... tu mi fai ridere. Smetti quel riso da gonzo, se non vuoi avere rotte le costole. Quanti bicchieri hai tracannati sta sera? Vedo che il vino ha dato di volta al tuo cervel lo. E proferì queste parole con accento d'amaro sarcasmo. Ad Antonio allora montò la senapa al naso 21 ed in men che non si dica gli scaraventò un pugno sulle spalle e lo stramazzò a terra; ma accorsi i compagni di Salvatore, conciarono in modo il suo avversario che dovette andarsene a casa bran colando. § Chi era la donna per cui avvenne quella contesa, noi già lo sappiamo ma sconosciamo fin qui la sua indole, le sue tendenze, le sue abitudini. L'educazione è il fattore più potente della mo ralità umana. Chi crede ancora col Ginevrino fi losofo che l'uomo nasce colle migliori inclinazio ni di questo mondo le quali sono poi guaste dall'educazione, mostra essere digiuno di buoni studi e di sconoscere eziandio il naturale svolgi mento delle nostre facoltà. È però cosa ormai in dubitabile che l'educazione subisce il carattere di chi la dà e che giammai può riuscire a modo se una delle condizioni seguenti viene a man care: 1. Ove non si san leggere nel cuore del fan ciullo i vizi e le virtù che in lui esistono in po tenza e che in varia guisa cominciano a sbuc ciare in quell'età, tanto da potersi trovare un si curo metodo per correggere i primi e svolgere le seconde; 2. Se chi la dà, guidato da cattive ten 22 denze, mena una vita scapata e non può avva lorare il precetto colla virtù dell'esempio. Saggia dunque è l'osservazione di un filosofo illustre, che a conoscere il valore morale dei figli è d'uopo volgere lo sguardo ai loro genitori. Sogliono i co stumi dei padri in generale tramandarsi nei loro nati in guisa da farne stupire. Esaminiamo dunque cos'era la madre di Mad dalena per fare di costei un'esatta conoscenza. I suoi genitori appartenevano a quella classe di contadini che vivono meschinamente col la voro della giornata. Fanciulla ancora gironzola va continuamente per le campagne in cerca di erbe mangereccie che poi vendeva in paese e ne ricavava qualche soldo. Una vesticciuola su dicia e tutta a brandelli serviva a coprire le sue tenere membra e pochi fili di paglia sparsi per terra formavano il suo letticciuolo. I piedi avea scalzi, i capelli arruffati e la faccia sem pre lorda. Venuta su negli anni si pose ai servizi di un negoziante, padre di numerosa prole, e dopo qual che tempo il vitto migliore ed abbondante e le vestimenta pulite, fecero parerla quale veramente si era, cioè una bellissima donna. Allora il padrone, uomo rotto ad ogni libidi 23 ne, che gli si leggeva in due occhi volpini e sprofondati immezzo a un'orbita nera, vi fece su disegno e a furia di lusinghe e di bugiarde promesse riuscì a sedurla. Però, dominato com'era dalla volubilità del capriccio, a capo di un anno la gettò sul lastrico e Gervasa a vece di solle varsi dal lezzo in cui era caduta seguì a mena re la putrida vita della Venere Pandemia. Dopo lunghi risparmi, virtù veramente rara a trovarsi in gente siffatta, mise su un buon gruz zoletto e riuscì a trovare un pitocco bietolone che l'impalmasse. L'essere però andata a mari to non valse ad allontanarla dalle sue male abi tudini, ché il vizio, una volta messe radici, rie sce difficile estirparlo. Quel matrimonio fruttò due figlie, però la pri ma morì pochi giorni dopo nata, la seconda è la protagonista del nostro racconto. Piccolina fu costei spettatrice indifferente di tut te le laidezze materne, ma quando cogli anni ac quistò una sufficiente malizia, il pantano di soz zure che l'avvolgeva guastò non poco le sue na turali inclinazioni ed i suoi sentimenti pigliaro no l'abbrivo del male. Da ciò vegga il lettore che educazione fu la 24 sua, e se ora la troviamo a fare all'amore con più giovani, non è da farne meraviglie. § Quella contesa mise in corpo di Salvatore una forte voglia di vincerla sull'avversario, non tan to per amore potente che sentiva verso Mad dalena, quanto per dispetto e per vanagloria di superare l'impresa contro Antonio. Riferì tutto l'accaduto a sua madre, che il pa dre da un pezzo gli era morto, e le dichiarò che nel più breve tempo possibile volea sposare la Maddalena. Ella osteggiò in sulle prime con tutta l'autorità che le venia del suo grado quel matrimonio; ma egli se ne stette duro e dovet te consentire a suo malincuore. S'intavolarono le trattative per le nozze e po co dipoi vennero celebrate. Una delle orgogliose vanità della donna è ri posta nell'essere corteggiata e quindi nel tro vare chi la faccia presto sua. Andare a nozze prima delle compagne sue coetanee significa ve nire su tutte preferita, il che soddisfa la sua leggerezza. Rimanere nubile quando le proprie amiche si sono accasate, è suprema vergogna. Maddalena 25 era fra quest'ultime ed ella sposò alla sua volta Salvatore non per affetto che verso di lui sentiva, ma per tema di restare ad invecchiare in casa zitellona. Agli obblighi che andava a contrarre, alle conseguenze a cui andava incontro, poco o nulla ci pensò. Poter dire anche lei che aveva trovato un marito, ecco il solo fine da cui venne mossa. § Le prime notti della luna di miele passarono non poco allegre ma ben tosto venn'egli preso dal demone della gelosia allorché vide l'insi stenza con cui Antonio codiava la moglie. Comin ciò prima a farle il muso lungo, le dichiarò poi che non voleva più restare in casa delle suoce ra e si trasferì tosto presso la madre. Costei, che vedeva di mal occhio la nuora, col se la palla al balzo e si diede a soffiare sotto la gelosia nudrita dal figlio con quell'astuzia e quel la malignità di cui la donna è sovrana maestra. Non te l'ho detto io, prese a dirle un giorno la madre, non te l'avevo detto io che quel la là è una trista megera, e che sarebbe riusci ta una pessima moglie. Ma quando una persona ricorda un po' di bene a voi, scapatelli dalla te 26 sta calda, la credete nemica della vostra felicità, e presto vi vien su il moscerino al naso. Tu non volesti sentirmi a tempo debito ed ora la paghi. Se sogni poter godere un po' di felicità con quella baldracca, la sbagli di grosso. Per quanto savi potranno essere i consigli che le darai, an drà sempre per la stessa china il lupo cangia il pelo non il vizio. Il figlio, seduto su d'una scranna, colle gambe a cavalcioni, col gomito del braccio destro pog giato sul ginocchio e la testa sulla palma della mano, ascoltò in silenzio quel discorso. Appena la madre tacque, mandò egli un lungo sospiro poi balzò in piedi come se fosse stato assalito da una forte risoluzione. In quel mentre la sposa se ne stava in cucina e preparava da pranzo. Quel mezzodì per un nonnulla stava Salvatore per lanciare una forte ceffata alla moglie quan do la madre si frappose esclamando: State quieti, che sono queste porcherie? Invece di amarvi con sincerità di cuore vi graffiate sempre come cani e gatti. Quell'ipocrita suocera con arte sottile rim proverava il figlio se lo vedeva a malmenare la . 27 sposa in sua presenza ma in segreto sputava ca tarro ed imprecazioni cotro lei. § Un dì ne pensò una delle belle. Si portò in casa d'uno di quei schicchera fogli, la cui coscien za assume forme diverse secondo le varie circostanze, e lo pregò di farle una letterina. Dovete scrivere a qualche amante? Prese a dirle quell'ometto dalla faccia verdognola con un affettato riso scherzevole ma da cui traspari va la sua indole satanica. Parlare di amanti a me, caro Don Andrea, è tempo sciupato. La neve è caduta sui miei ca pelli e nessuno più mi degna d'uno sguardo. Io dicevo per celia, sapete del resto l'opi nione in cui vi tengo. Perché vi necessita quella lettera? Per disfarmi di quella strega che mio figlio sposò con suo grave danno. In nome del cielo! non mi mischiate nei vostri imbrogli! Ci va di mezzo la mia reputa zione e poi non voglio macchiare la mia coscien za di... A questo punto la vecchia suocera tirò fuori una gallina che aveva portata seco e che avea 28 tenuta in serbo sotto il mantello, aggiungendo: Questa qua la mangerà domani; è ben povera co sa ma ella, spero, la gradirà per il pensiero di affetto con cui gliel'offro. Egli allora compose a riso le sue labbra, si fre gò le mani e rispose: Troppo disagio, troppo disagio vi siete dato per un piccolo servigio . . . . che ho l'onore di rendervi. La prego intanto, tolga in mano la penna, e finga che Antonio Bilinceli... Lo conosce? Diamine! chi non lo conosce... quel giovine spavaldo lungo e stecchito che va sempre scor razzando per le vie come una pecora matta. Appunto. Finga dunque ch'egli scrive alla Maddalena, in risposta ad una lettera ricevuta da lei e mediante cui gli manifestava di amarlo pro fondamente, e che giammai potrà dimenticarlo... A lei che sa di latino, non mancheranno cose da dire. Per carità!... non dite nulla di quello che si sta facendo; è solo per l'amicizia che vi pro fesso che mi tirate a questo punto. E diè un'oc chiata alla gallina. Inforcò l'occhialino sul naso camuso, e si po se a scrivere. 29 Finita la calunniatrice lettera, si mise a leg gerla a voce alta tanto per farla sentire alla vec chia megera. Noi qui la riproduciamo per darne una chiara conoscenza al lettore. "Cara Maddalena, " Ricevetti la lettera che m'inviasti con la " consueta nostra mediatrice. " Quelle tue dolci parole di affetto mi scese " ro tanto soavi al cuore, che m'intenerirono fi " no alle lagrime. " Tu dici di amarmi eternamente ed io t'amo " del pari. Se un destino, pur troppo tristo, ci " costrinse a separarci personalmente, le nostre " anime però vivranno sempre unite da uno scam " bievole sentimento di affetto che potenza di " eventi giammai riuscirà a cancellare. " Scrivimi sempre; io non trovo conforto che " nelle tue parole. Sempre tuo " Antonio Bilinceli " Che ve ne pare? Degna di chi l'ha scritta. L'acchiuse in una busta e gliela consegnò. 30 La vecchia l'intascò gli fece un profondo in chino poi diede un ultimo sguardo alla gallina, come se avesse voluto dire, quanto mi costa una lettera ed uscì. Appena giunta a casa la schiuse tanto per fa re conoscere ch'era stata letta, e sedette al fian co della nuora. Si volse a narrarle delle storielle, e le fu anche larga di carezze. Quando poi si accorse che era un po' distratta prese la lettera e gliela mise in tasca, senza che Maddalena se ne fosse accorta. Tosto andò in una stanza contigua aspet tando il ritorno del figlio. Era presso l'imbrunire ed egli non si fece at tendere a lungo. Appena lo vide lo chiamò in disparte e gli disse: Ho da fidarti un segreto e me ne spiace tanto... ma che abbiamo da farci!?... la for tuna vuole così... E cominciò a dondolare il capo. Che è?.. Forse Antonio e quella zozza don naccia... Oh!... Ma ho due buone braccia e saprò ben io valermene. La madre intese, a queste parole, una stretta 31 al cuore e cercò con ipocrita arte di sedare l'ira suscitata in seno del figlio. Per una donnaccia, figliuol mio, mettere in rischio la propria pelle è errore imperdonabile. Dimenticala invece per sempre e sii certo che una buona fanciulla a te non mancheà di posse derla. Credi tu che al mondo non ci sia di buo no che quella puppattola? Salvatore si volse a passeggiare per la stanza piena la mente di pensieri di vendetta e dime nando come un forsennato le braccia; ma scorsi appena pochi minuti rispose: Le vostre ragioni mi vanno e ci sto. Qual è intanto il segreto che volete fidarmi? Stamane vidi tua moglie la quale ha anche il difetto di sapere scarabocchiare sulla carta che leggeva una lettera e intanto si asciuttava col dorso della mano le lagrime che le inondavano la faccia. Poi piegò la lettera, la baciò e la conservò in tasca. Io vo' carpirgliela. Adagio, figliuol mio, sai il proverbio che di ce: la gatta frettolosa partorì i figli ciechi. Ascol ta chi ti vuol bene e non avrai a pentirtene per la seconda volta. Ella non t'ama, tu nemmeno l'a merai e così andrete alla pari. Va dunque, strap 32 pale la lettera, poi guardala in faccia ridendo, per mostrarle che poco o nulla la curi, volgile u no sputo, e lasciala lì fredda impalata. Ecco un procedere, come suol dirsi, da uomo di mondo. Il consiglio piacque a Salvatore il quale mal frenando la collera, e cogli occhi di brace, entrò nella stanza ove Maddalena lavorava d'ago e le disse: Consegnami quella lettera! Di quale lettera mi parli? gli rispose la me schina tra sorpresa e meravigliata. Trista donna! è vano il tuo mentire, c'è chi sa bene tenerti a occhio, e la tua amorosa tresca con quello spiantato di Antonio è scoverta. Le ficcò le mani in tasca e ne trasse il foglio. Mio Dio!... è questo un terribile mistero!... Io non sono uscita di casa, io non ho conversa to con persona al mondo... Un mistero!!!.. ci tieni anche a fare l'inno cente? Ma sfacciata che sei, se la tua colpa è qui, a parlar chiaro, come ardisci negarla? Salvatore, ti giuro che quella lettera io non l'ho mai ricevuta e che... Voleva proseguire an cora, ma uno scoppio di pianto le ricacciò le pa role in gola. 33 § Egli rientrò nella stanza ov'era la madre ad attenderlo e con voce alta si volse a leggere la lettera. Costei, fingendo ignorare il contenuto, prestava la più grande attenzione e, ad ogni pa rola che sentiva, allungava il muso, contorceva gli occhi, dondolava la testa in segno di sorpresa. Appena finì, chinò il capo borbottando: Che s'ha da fare? Come può ripararsi questa ver gogna che va a piombare su di te e sul nostro casa to che, non fo per dire, è stato sempre uno dei più amati onorati e rispettati di Buccheri? Ma saprò io trovare il bandolo della matassa. Mise la punta dell'indice destro sulla bocca, chinò la testa e dopo un pezzo rispose: Ordinale che si vesta con un abito che aveva celibe, accompagnala da sua madre e le dichiare rai: Vi consegno vostra figlia, ella è indegna di me ed io vo' per sempre dimenticare di averla sposata. § Salvatore ubbidì ciecamente e quasi stupidito dell'inatteso quanto tristo avvenimento. Da parte sua Maddalena fu lesta a vestirsi, ché 34 da un pezzo era stanca di vivere in quella casa e piangendo ritornò da sua madre. Tralasciamo dal riferire il dialogo seguito tra la suocera ed il genero e dove, fra le altre cose, ci fu uno scambio di parolacce che quì meglio è tacere. L'innocenza della figlia venne ammessa senza tante discussioni, dopo replicati suoi giu ramenti, e si fu anzi lieti di quella separazione. La madre di Salvatore, a fine di legittimare in seguito la condotta tenuta dal figlio, rivelò a cer te sue comari la faccenda come se fosse stato vangelo ed in breve la nuova si diffuse pel paese. Né Antonio fu ultimo a saperlo, ché anzi comin ciò a millantare ed esagerare quel fatto come u na gloriosa rivincita presa sul suo avversario. § Chi si fosse in quei giorni incontrato col Ma gazzino, avrebbe certamente insteso per lui un in dicibile senso di compassione. Gli occhi incavati girava continuamente con agitazione, stava sempre accigliato in modo che la sua fronte veniva a fare le grinze; il suo volto cereo manifestava i suoi lunghi patimenti, i capelli irti annunziavano che un pensiero terri bile lo travagliava; andava sempre come un mat 35 to pel paese parlando a voce bassa, gesticolando, barcollando la testa, guardando qua e là come uno spiritato. Dopo sei mesi circa dall'avvenimento che ab biamo poco avanti narrato, egli allocossi ai ser vigi di un ricco agricoltore. Era costui di Ferla, bello e ridente comune li mitrofo a Buccheri, e portava nome Michele Man giamele. Conoscendo egli la sventura toccata al povero Magazzino, e lo zelo, l'amore e la sua at titudine al lavoro, prese a volergli un gran bene ed a trattarlo con affettuosa dimestichezza, come se assieme fossero vissuti sin dall'infanzia. Era una bella serata di Maggio. Il sole, vol gendo al tramonto, indorava cogli ultimi raggi le cime delle più alte montagne. Pochi momenti ancora e s'involò allo sguardo di tutti, mentre la luna saliva in cielo mandando una continua pioggia di diafana luce. Il massaro Michele, il magazzino e non pochi giornalieri, smesso per l'ora tarda il faticoso la voro dei campi, si veniano restituendo alle case, dove seguendo l'abitudine propria dei contadini, ben presto si misero a cenare. Lavoravano in quei tempi in un vasto podere posto accanto a Piedigagi, piccolo villaggio del 36 territorio di Carlentini (1), composto di un centi naio di casette e lontano due ore circa da Ferla. Dopo il pasto uno dei giornalieri cominciò a suonare il suo flauto di canna, e gli altri si vol sero a fare un allegro ballonzolo al chiaro di luna. Quando l'allegra comitiva si sciolse, ciascuno ritornò alla propria dimora per godere un po' di sonno, tra cui alcuni colle proprie mogli. Il Magazzino provò allora una forte stretta al cuore. Anch'io, pensò fra sè e sè, potrei essere lieto colla mia compagna, eppure m'è d'uopo vivere lontano da lei. Si avvicinò al suo letticciolo e vi si sdraiò ve stito. § Scorsero due buone ore; mille strani pensieri gli si affollavano alla mente. Progetti diversi di riconciliazione e di vendetta gli si alternavano ad ogni istante nel pensiero. Un'ansia febbrile di rivedere sua moglie lo tormentava. Sentiva an cora per lei un forte attaccamento, una violenta passione che mal riusciva a sedare. Nella foga dell'affetto non vedeva nel passato di lei che il solo lato buono. Può darsi, andava esclamando, che ella sia innocente, e poi... avea tutta la ra 37 gione di ribellarsi ai soverchi ed insoffribili di sprezzi a cui era stata sottomessa. Decise ritornare a vederla. Aprì l'uscio pianino affinché il cigolar dei cardini non avesse fatto svegliare i dormenti ed uscì all'aperto. Mise il freno ad una mula che pascolava in un prato, la bardò, vi montò su e via di galop po a Buccheri. Si diresse verso l'abitazione della moglie. Quale strana sorpresa! La trovò che parlava, quantun que la notte era molto avanzata, con un giovine. Al suo apparire ella lo riconobbe e chiuse su bito l'uscio, per nascondersi in casa, mentre l'al tro la diede a gambe. Rimase per qualche istante come muto e pie trificato. Bussò fortemente alla porta, nessuno gli rispose. Provò tutte le furie dell'abisso. Caval cò nuovamente la mula e s'avviò verso Piedigagi. § Qui d'uopo è l'avvertire che la Maddalena, dopo la separazione col marito, si diede tutta ad una vita putrida e licenziosa, né la madre, che vedeva così riprodotte le sue basse e scollacciate dissolutezze, pensò di tirarla nella buona via. 38 Invaso il Magazzino d'ira e di gelosia potenti, nemmeno pensava a guidare la mula. Le abban donò le redini sul collo, ma seguendo essa sue istintive abitudini, tornò alla campagna da cui era partita. Smontò da cavallo, e sedette sullo scalino d'in gresso della sua casetta. Un'aura gentil di paradiso spirando lene lene trasportava su quei colli le pure fragranze invola te da lontani giardini; un usignolo scioglieva pel queto aere le sue note divine, poco lungi s'udi va il leggiero gorgheggio di un ruscelletto, la lu na vestia di luce limpidissima la terra, e la na tura, avvolta in profonda solitudine, presentava qualcosa di mistico e di venerando. Una miriade di fantastiche visioni gli popola vano la mente. Ad un tratto decise pigliare una energica risoluzione, persuaso di mai più potere a lungo restare in quei luoghi senza venirgliene vergogna. Balzò in piedi, entrò nella sua came retta, prese le poche robe che possedeva e si di resse alla volta di Catania giurando in cuor suo mai più ritornare nelle sue contrade. Camminava bel bello proferendo a voce alta parole che accompagnava con gesti come se al cuno gli fosse stato presente. A quando a quan 39 do si fermava e con una verga che teneva in mano descriveva sul suolo una croce, atto con cui intendeva dire, come da noi è costume: fa conto ch'io sono morto, mai più ci rivedremo poi ri pigliava l'andare. Camminò un giorno intero senza mai fermar si, ma arrivato presso un giardino, intese il bi sogno di rinfrescare le labbra riarse dalla sete. Un limpido canaletto d'acqua scorreva veloce. Va licò una siepe, gli si avvicinò, inginocchiossi, poi, piegata la testa ed allungato il muso fino alla su perficie del liquido elemento, bevette. Sentì un conforto alle sue viscere, e mandò un lunghissimo ah! di piacere. Volse lo sguardo attorno, nes suno si vedeva. Si sdraiò sull'erba, fissò le lan guide pupille alla limpida volta azzurrina che si stendeva sul capo suo, ed assalito da un senti mento indefinito di dolore, scoppiò in pianto di rotto. Scorsero due ore e di lì passò un contadino in corpetto e colla zappa sulla spalla. Al primo sguardo scambiatosi, si riconobbero, si abbrac ciarono, si baciarono. Si erano conosciuti duran te la mietitura del precedente anno e s'erano legati di vera amicizia. 40 Che vento t'ha menato in questi luoghi, dimmi, Salvatore. Che vuoi caro Vito? vivevo troppo male nelle mie montagne, dove spesso c'è penuria di lavoro e vado in cerca di miglior fortuna. Anch'io sono stanco di tirare i miei gior ni in questi luoghi, dove l'aria è ammorbata da pestilenziali miasmi palustri che mi met tono addosso in ogni autunno la febbre quar tana. Decisero trasferirsi verso Catania dove abbon dante era il lavoro e ben remunerato. Si misero la via fra le gambe e si fermaro no a Motta di Sant'Anastasia. Sorge questo comune poco lungi da Catania, verso oriente, su di un'alta e precipitosa rupe. Essa domina la vasta pianura che si stende alle falde del superbo Mongibello e la sua fortezza, che s'eleva a picco, ricorda allo studioso le fa mose lotte sostenute nell'evo medio. Il suo ter ritorio, popolato di ulivi e di vigneti, offre uno dei più graditi spettacoli all'occhio del viandan te. Valli ondulate, estese e fertilissime pianure, e poi monti sormontati da altri monti ancora riem piono l'anima di profonda ammirazione per le superbe ed eterne bellezze della natura. 41 Quivi ebbero presto occasione di fare fortuna; ma Vito morì a capo di tre anni, lasciando ere de il compagno di tutto quanto possedeva. § Il domani della scomparsa del Magazzino fu un continuo chiedere, un prolungato visitare di luo ghi diversi in cerca di lui, ma ricordando poi i suoi compagni di lavoro le ore di tristezza e di noia in cui soleva seppellirsi, pensarono che, in un momento di cattivo umore, sarebbe andato chi sa dove. Aggiungasi che il fatto avvenne nel 1854, tempo in cui il colera menava in Sicilia la più orrenda strage; e, siccome di lui non s'ebbero più nuove, si credette anche che fosse rimasto vit tima del morbo fatale. § Trascorso appena un mese, la notizia della morte del Magazzino si sparse a Buccheri. La moglie, non sappiamo se per dare alla gente un po' di polvere negli occhi o per dolore che ve ramente intese, corse a Piedigagi e propriamen te nella casa del Mangiamele, mandando lamen tevoli grida. 42 Era giorno di festa ed egli era andato in pae se per godere la compagnia della sua famigliola. Solo un garzone era rimasto a guardia della ca scina, ma nulla seppe egli rispondere alle do mande della Maddalena. Allora si avviò in Ferla, chiese ove abitava la persona di cui andava in cerca, e le fu subito additata. Stava egli avanti l'uscio, e cantarellava, tanto per fare divertire un suo bimbo che teneva sul le braccia. Alla prima parola udita capì di tro varsi avanti la moglie di Salvatore e le narrò per filo e per segno, che suo marito era scom parso e che senza dubbio veruno era morto di colera. A queste parole la Maddalena si diede a pian gere, a schiamazzare, a strapparsi i capelli, ma presto finì col rassegnarsi alla dura fatalità. Il Mangiamele e sua moglie la menarono in una stanza contigua, poi la fecero sedere avanti a un tavolo. Mangiate un boccone, egli le disse, siete stanca dal viaggio e abbattuta dal dolore e un po' di cibo servirà a rifarvi un pocolino delle forze perdute. Io mangiare in questo momento? Impos sibile!.. lo stomaco mi pare si sia chiuso, e che 43 nemmeno una stilla d'acqua può entrarvi. E poi mi si muterebbe in veleno il... Che potete farci, seguì a dire la moglie del massaro Michele, il mondo è così fatto, ora si piange e ora si ride; delle perdite ce ne abbiamo avute tutte, e abbiamo finito col dimenticarle, ché se ad esse noi volgessimo sempre il pen siero, il mondo sarebbe un vero piagnisteo, un lutto perenne. Acquietatevi e riflettete che an che noi siamo destinati a morire. Pigliate intan to un boccone, se no, ci perdete la salute. Voi dite bene, ma che volete? certe sven ture ci vuole un pezzo a dimenticarle. E si appressò al tavolo, tagliò una fetta di pane, un po' di cacio e si volse a sbocconcel lare non senza un certo gusto. Qui d'uopo è avvertire che in occasione d'una lunga malattia di sua madre, aveano sciupato gran parte di ciò che costituiva una certa agia tezza relativamente alla loro meschina condizione sociale e siccome a Ferla una nobile famiglia an dava in cerca di un'abile serva, arrivata questa notizia al suo orecchio, si offerse per tale servi gio, e venne subito accettata. Chi sconosce quali erano in quei tempi le con dizioni della Sicilia, farà certamente le meravi 44 glie, come non si sia riuscito a conoscere la re sidenza del Magazzino. A poche miglia lontano dal proprio paese natìo, si era tanto estranei come se si fosse andati in America o nel centro dell'Africa. Ecco tutto. Erano scorsi quattro anni dalla scomparsa di Salvatore, quando il Mangiamele venne in lite, per ragioni d'interesse, con certi suoi cugini. Con vinti costoro di stare dalla parte del torto, e che perciò ne avrebbero avuto la peggio presso i tri bunali civili, pensarono troncare la vertenza col disfarsi di lui. A tal uopo ordirono una di quel le nere infamie che tornano a disonore dell'u mana razza e che dimostrano come affetti, rico noscenza, vincoli di sangue e di pretesa amicizia si mettono in non cale, si calpestano anzi da cer ta gente dal cuor di macigno che ama di gavazzare nel putrido, che a nulla aspira all'infuori dei me schini godimenti d'una vita puramente brutale ed a nimalesca, che non si forma altro Dio all'infuori di un vile interesse e che pel proprio tornacon to dimentica i più puri ideali della vita e sprez za quanto v'ha di più morale e di più sacro come cittadino, come parente e come creatura ra gionevole anche. 45 § Abitava presso la nobile famiglia, ai cui servi zi s'era posta la Marchese, un vecchio calzolaio di condizione miserabile piuttosto che no, la cui vita era stata spesa tutta quanta nel mal fare, ed era riconosciuto abilissimo nell'arte di mentire e della calunnia, riusciva difatti tanto bene a colo rire la bugia di un'apparenza di vero, da far la ingoiare eziandio ai più scredenti ed alla gen te che non andava priva d'una certa furberia. Fu egli chiamato dai pessimi cugini, i quali gli manifestarono il loro nefando disegno. Ed egli ri dendo, come se si fosse apparecchiato per un ban chetto solenne, rispose che tutto avrebbe combi nato purché avessero messo a sua disposizione una buona somma. § Un giorno di domenica Maddalena andava sola in chiesa ad ascoltar messa, egli finse di abbat tersi in lei, la salutò cortesemente e dopo un mondo di cerimonie le disse: Non so perché ve ne stiate così indifferente per la morte di vostro marito. Non foss'altro per 46 fare zittire certo chiacchierio sul conto vostro... è giusto... E che devo io fare? Io non capisco a che intendete alludere. Vendicarlo dell'immeritato insulto ricevuto. Vendicarlo!... ma di quale insulto?... spiega tevi chiaro... Ebbene, sconoscete veramente tutto, o vo lete farmi lo gnorri? Io vi giuro che nemmeno capisco di che vo lete parlarmi. Come morì vostro marito? Di colera... Di colera?... Povera illusa!... ve l'hanno da ta a bere grossa... egli fu ucciso. Ucciso?! e da chi? Dal suo stesso padrone... dal massaro Michele. E chi lo sa? Ben dodici persone conoscono il reato. Dodici persone? Sicuro dodici, pronte tutte a deporre come testimoni appena ne saranno da voi richieste. Vi par difficile? Presentate la vostra querela, co me parmi che sia obbligo d'una moglie affettuo sa, ed io v'indicherò i loro nomi. 47 Maddalena non sel fece dire due volte, e inve ce d'andare in chiesa, si avviò alla casa dell'avvo cato signor Angelo Motta. Caso volle che costui fosse intimo del Magaz zino. Appena saputo il fatto e l'intenzione del la Marchese, conoscendo le triste conseguenze che poteano derivarne all'amico suo, la consigliò, colle parole e le maniere più dolci, a desiste re da quel proponimento, specie perché niun van taggio a lei ne veniva, mentre rovinava un'in tera famiglia. Le promise poi farle avere una buona somma se manteneva il silenzio, ed a que sta condizione la Marchese consentì. Decisero rivedersi il giorno seguente. L'avvocato Motta fece chiamare subito l'ami co, gli espose quanto si buccinava contro di lui, e il dono proposto per ottenere il silenzio. Il Mangiamele rimase sbigottito in sulle pri me, all'udire l'iniqua menzogna che s'era idea ta, ma rifattosi dipoi dall'improvviso turbamen to, siccome nessun delitto pesava sulla sua co scienza, rispose con energia non avere alcun torto da riparare. Né valsero le replicate istan ze del Motta, egli dichiarò in modo assoluto, che neanche uno scudo voleva donare, altrimenti si sarebbe dichiarato reo in opposizione al vero. 48 Il giorno dopo ritornò Maddalena presso l'av vocato Motta, ma fu accolta coi modi più aspri e severi, ed a vece di dono le venne detto che era una vile calunniatrice, e che il Mangiamele se ne stava lieto sotto l'usbergo del sentirsi puro. Così si vide fallita ogni speranza di accomoda mento non solo, ma, indispettita ella dalle poco garbate parole rivolte al suo indirizzo, corse dal l'intruso calzolaio, si fece notare i dodici testi moni consapevoli del reato, e si trasferì a Len tini, dal cui Mandamento dipendeva e dipende Carlentini, dove propose formale querela. Il massaro Michele venne subito arrestato, a costo dei suoi lamenti e di tutte le commoventi proteste d'innocenza. Noi tralasciamo dal riferire l'audizione dei te stimoni presso il giudice di Circondario e le va rie fasi subite dal processo, e ci trasportiamo di piè pari nella Gran Corte Criminale di Siracusa, ove fu discussa quella causa, riferendo quel tanto ch'è necessario alla conoscenza del dramma. Giova qui solo accennare che il suocero del Mangiamele, persona non poco agiata, giurò da parte sua di spendere tutti i suoi averi, pur di ve nire conosciuta l'incolpabilità del genero, ma quando seppe le preliminari deposizioni dei testi 49 moni, fu preso d'eccessivo sdegno contro di lui, e l'abbandonò, né più volle sentirne parlare. § È un giorno piovigginoso e fosco come il triste dramma che si svolge. La sala è gremita di gente accorsa ad assistere al dibattimento. Il Mangiamele siede sullo scanno dei rei: il volto ha cadaverico, gli occhi incaver nati e con un'orrenda espressione di spavento; le labbra bianche e tumide e da cui pare non esca alito di vita; le guance contratte e le ossa spor genti fan conoscere il suo lungo digiuno e le ore trascorse fra lotte profonde, dolori acerbi, ansie indefinite; le sopraciglia ha corrugate, la fronte rugosa ed i capelli irti. Ad un tratto il Presidente lo chiama. Un silenzio sepolcrale si fa nella sala, gli sguar di di tutti si volgono verso di lui, tutti pendono dal suo labbro. Egli sembra non curante di sé stes so e come accasciato sotto il peso della sua enor me sventura. Il Presidente della Gran Corte al Mangiamele. Voi siete accusato di omicidio volontario con premeditazione consumato a Piedigagi terri torio di Carlentini, in persona di Salvatore Ma 50 gazzino di Buccheri, allocato ai vostri servigi. Gli è vero? L'infelice alza gli occhi al cielo, manda un lungo e profondo sospiro, ed esclama : Giuro di essere innocente! Mentre due grosse lagrime gli scendono giù per le guance illividite e smunte. Presidente. Voi ardite negare il vostro de litto di fronte a dodici testimoni, che in modo evidente e senza lasciare dubbio di scorta lo di mostrano. Mangiamele. Se mi fosse dato penetrare nella loro coscienza, s'io potessi squarciare il velo che si frappone alla conoscenza del vero, solo allora voi vedreste rifulgere la mia innocenza. Io vel giuro per quanto v'ha di più sacro in terra e in cielo, sono un'infelice vittima di un'orrenda calunnia. L'uomo che si dice avere io ucciso, lo amavo più che figlio, e ne piansi a calde legrime l'amara perdita. Pres. Eppure non vi sembra di vedere il suo spirito aliante per questa sala, chiedere di voi ven detta? Mang. E quale vendetta può chiedere un uo mo che giammai offesi? Fors'egli invece piange di lassù sulla cieca e deplorevole fatalità, che pe sa sul capo di un povero padre. 51 Pres. Persistete dunque nel dichiararvi innocente? Mang. Signor Presidente, vel giuro sul capo innocente dei miei figli, sono innocente! Oh se potessi farvi penetrare in fondo al mio cuore, conoscereste voi subito s'io dico il vero. Dopo le solite formalità curiali, si passa all'esame dei testimoni. 1. Testimone. Pres. Che sapete voi dell'omicidio del Magaz zino? Test. Passavo un dì per le campagne di Pie digage, quando vidi il Mangiamele, distante da me quasi duecento passi, tagliare con una falce la testa ad un giovane contadino, il di cui cor po seppellì dipoi sotto un mucchio di pietre. Pres. Conoscevate il giovane che fu ucciso? Test. Signor no. Pres. Si accorse di voi il Mangiamele? Test. No certamente. Io andava a piedi verso Lentini per vendere del burro, e passavo proprio sotto una lunga fila di alberi fronzuti, i cui rami pendevano fino a terra, e che formavano una specie di boscaglia, talché difficile riusciva il veder mi. E appena osservai cadere la testa di quello infelice, e poi vidi seppellirlo, preso da forte ti 52 more d'incorrere nella stessa sventura, se fossi stato visto, la diedi a gambe. Dopo dieci giorni circa, ripassando lungi quasi mezzo miglio da quel luogo, vidi in un fosso gli avanzi di un cadavere di fresco stato mangiato da cani, e da alcuni brani di vestimenta, mi per suasi essere quello del giovane caduto sotto il fu rore del Mangiamele. Pres. Conoscevate voi il massaro Michele? Test. Sicuro che lo conoscevo, sto in Ferla po co lontano da lui. 2. Testimone: Io mi trovavo ai servigi del massaro Michele, quando avvenne quell'omicidio. Una notte che me ne stavo all'angolo di due alte mura per fare certe bisogne mie, lo vidi avanzarsi con una zap pa ed una bisaccia. Stetti a guardarlo per sem plice curiosità. Appena arrivato in un punto do v'era un mucchio di pietre, volse lo sguardo at torno, per assicurarsi che nessuno lo vedeva, si mise a disseppellire un cadavere, che avvolse nella bisaccia, e lo portò via. Pres. Conosceste di chi era il cadavere? Test. No, solo mi accorsi, che gli abiti somi gliavano a quelli del buccherese ucciso. Pres. Sapete se tra il Mangiamele ed il Magaz 53 zino, erano antecedentemente sorte quistioni? Test. Un giorno, ch'io andai a Ferla, tornato verso l'imbrunire, mi fu riferito da un mio compagno di lavoro che una grave rissa era sorta fra loro, e che il massaro Michele aveva giurato fred darlo. 3. Testimone. Passavo una volta a cavallo ad una mula pres so le campagne di Piedigagi, all'improvviso vedo il mio quadrupede impennare e fiutar fortemen te, volgo lo sguardo attorno per vedere se cosa ci fosse, e scorgo cinque grossi cani mastini che divoravano un cadavere. Non conosco altro. 4. Testimone. Io mi trovavo a Piedigagi, dove avevo un pez zo di terra a mezzadria, e vidi il Mangiamele ve nire in alterco col giovine buccherese stato ucciso; dalle parole passarono ai fatti, e ci volle non po co per separarli. Però costui giurò a voce alta far lo morto, appena gli si presentasse l'occasione. Dopo pochi dì il Magazzino scomparve, e in quel tempo istesso, stando io accoccollato sotto un al bero, scorsi il massaio Michele che lavava in un rigagnolo una falce intrisa di sangue. 54 Gli altri testimoni quasi tutti esposero le stes se idee degli altri. Il Mangiamele prestava la più grande atten zione, ed in ogni parola che sentiva pronunziare contro di lui, esclamava: Assassini, voi tradite un innocente! A volte mostravasi stupidamente di stratto. Tra la folla c'era chi osava compiangerlo, ma la maggioranza credeva alle sue parole, i suoi movimenti, la più nera, la più sfacciata delle ipo crisie, e gli volgea sputi e parole di sprezzo. Quando il Presidente gli chiese se avea ascol tato le deposizioni chiarissime dei testimoni, e se potea addurre argomenti a discolpa: No, egli ri spose, volgendogli un tremulo sguardo, la calun nia è ordita con tanta avvedutezza, ch'io non so il come rifarmi, ma giorno verrà in cui voi co noscerete la mia innocenza. Poi chinò la testa e pianse. Le lagrime, gli atteggiamenti dell'infelice Man giamele, produssero nel cuore del Presidente la migliore delle impressioni. Egli era uomo di va sta dottrina ed atto a saper valutare, per lunga esperienza e per naturale accortezza, l'indole de gli accusati, e tra sé e sé fece il seguente dilem ma: o egli è innocente come asserisce, o fu tratto al delitto in un istante di aberrazione ed è ora 55 abbastanza pentito. E quando fu l'ora di pronun ciare la sentenza, a costo delle conclusioni del Procuratore del Re e di un giudice che troppo simpatia professava al boia, lo condannò a soli 15 anni di carcere duro. Mangiamele trasalì all'annunzio di quella con danna. Si alzò pieno di spavento, fece un passo indietro, come se fosse stato urtato da un nero fantasma. S'arrestò poi tremante, scosse la testa e si abbandonò allo scanno dei rei, preso d'un forte languore mortale. Un dolore potente ed inatteso fa perdere bene spesso l'uso dei sensi, ed offusca la ragione. Per la folla quell'uomo era un mostro, ma se si fosse potuto penetrare nella sua coscienza, vi si sarebbe trovato il martire. Eppure si grida: Vox populi, vox Dei. Non v'è massima più falsa, ben dice il più grande storico contemporaneo. Più che un uomo parea una statua di cera. Un raggio di sole venne dalla finestra di fronte a battere sul suo pallido volto, e lo fece brillare di un'aureola maestosa. L'immobilità pensierosa della sua persona lo avvolgeva in qualche cosa di mistico e di divino. Dopo un pezzo volse adagio adagio la testa verso la folla, rientrò allora in sé stesso e vide 56 l'abisso che gli s'era schiuso innanzi. Alzò la testa come se dall'alto avesse cercato un aiuto o il coraggio di sopportare con rasse grazione la non comune sventura, e le lagrime che andarono lentamente raccogliendosi nelle sue riarse pupille, scendevano a bagnare le sue plum bee guance. Ma appena posò gli occhi sulla mo glie che stava di fronte a guardarlo, piangendo a calde lagrime, mentre fissava con ardore poten tissimo i tre cari suoi angioletti, a voce alta e come un forsennato prese ad esclamare: Addio, o Maria, e per sempre!... io non potrò sopravvivere alle mie angosce. Un giorno, che ti incontrai nel periglioso tramite della vita, i no stri cuori palpitarono di amore, ed io sognai po terti rendere felice, a te consacrando tutta la mia esistenza. Ahi! non mi fu conscesso!... oggi una enorme sventura schiude fra noi un abisso. Te ne prego, non maledire l'ora in cui ai piedi del l'altare a ne ti consacrasti in perpetuo e santo vincolo, a causa della vergogna che oggi si ri flette sul tuo capo e su quello dei figli miei. Se è vero che un destino sovrasta sul capo di ogni uomo, oh! perché talmente triste dovette essere quello a me riserbato! solo una cosa io spero, che si possa conoscere la mia innocenza, avven 57 ga poi questo fatto pria di trascorrere quei fa tali quindici anni, o quando non mi sarà più con cesso di rivedere il mio domestico focolare, o di godere il fascino delle tue pupille, o la santa compagnia dei figli miei, che importa? Il mio nome non sarà almeno maledetto come omicida, né alcuno sentirà obbrobrio di pronunziarlo co me quelli di un vile sanguinario. E voi, signor presidente, se avete viscere di pietà, se siete pa dre, permettetemi ch'io possa baciare per l'estre ma volta mia moglie, i miei figli. Un silenzio sepolcrale dominava nella sala, quel le parole erano state ascoltate con un religioso sentimento di compassione. Ma quando lo si vide scendere dallo scanno dei rei, e la moglie coi ca pelli scarmigliati, col pallore istesso della morte dipinto sul volto, con un'ansia terribile che si manifestava nel frequente ed angoscioso sospiro, avanzarsi come una pazza, e gettarsi nelle sue braccia, e stringerlo fortemente al suo cuore; quando si vide quell'infelice padre posare le sue mani sul capo dei propri figli per benedirli, e poi, pigliandoli nelle braccia e mostrandoli agli astanti gridare: o popolo, non chiamare queste povere creature i figli dell'omicida! nessuno sep pe frenare le lagrime, non esclusi gli stessi giu 58 dici, sebbene avvezzi ad assistere a simili scene dolorose. § Scorsi appena venti giorni da quello della cau sa, Maria ricevette la lettera seguente: Mia buona moglie Oggi non mi è concesso scriverti che poche parole. Domani partirò per Messina, ove mi dicono dovrò stare pochi dì, e poi chi sa dove mi condurranno. Io non trovo di rassegnarmi al mio tristo de stino. Una febbricciola consuma lentamente la mia salute. Cerca ogni via affinché si arrivi a conoscere ch'io non sono un reo. Se è vero che Iddio pro tegge gl'innocenti, tu non mancherai di riuscir ci. La mia riconoscenza verso di te sarà eter na, incancellabile. Se ti fanno difetto denari, vendi tutto il mio, o mutuati, se meglio credi, una buona somma. Preferisco le mille volte vivere nella miseria, pur ché mi sia concesso rivedere la luce della libertà. Ti abbraccio forte forte al mio cuore in un ai figli miei, ed ama e ricorda Il tuo infelice marito Michele 59 § Maria Sono finalmente arrivato, dopo un viaggio che mi è sembrato di secoli, a Messina. Passai per una via di questa bella e popolosa città. Avrei preferito non vederla. Oh! se sapessi quale raccapriccio, qual dolore pesa sull'animo d'un infelice, che per avere le mani legate e per essere scortato dai gendarmi è da tutti creduto un ladro o un omicida! Io vedevo sfilarmi innanzi mille e mille perso ne, e le guardavo, sperando poter leggere sulla faccia di alcuno un solo raggio di compassione per me, poi pensavo: chi sa se credono alla mia innocenza? generalmente però, è d'uopo confes sartelo, ci volgevano tutte uno sguardo bieco e pieno di sprezzo, o dirizzavano, nell'imbattersi in noi, ad altro punto gli occhi, come se la no stra vista fosse loro stata di orrore. Nella stanza, ove fui posto, siamo in cinque: uno giammai parla, e ad esso io mi sono affe zionato. Ieri gli chiesi spiegazione del suo cat tivo umore, e mi rispose che avrebbe lasciato la moglie con quattro figli, e temendo che i suoi beni gli venissero confiscati, restando così sul la 60 strico la sua famigliuola, la quale non si ha al mondo alcun altro sostegno di sorta, non può trovare mai requie. Uno mena vanto di avere uc ciso tre persone in una forte rissa. Gli altri so no fieri ladroni, parlano un gergo difficile a ca pirsi, a volte espongono le loro mostruose gesta con aria da spavaldo, ma quelle tristi millan terie, ti assicuro, mi danno ai nervi. Vedi con che brutti arnesi mi trovo. Fortuna però che qui staremo per poco tempo, e che fra giorni dobbiamo dividerci. Senti, o Maria, il pensiero, che sono condanna to a soffrire innocente, è un fantasma triste, che non mi lascia un'idea sola di conforto. E tu non trascurare le ricerche più minuziose sul Magazzino. Il cuore, che spesso tutto presa gisce, mi manifesta ch'egli non è ancora morto. Come stanno i miei angioletti? non chiedono più di me? non pronunziano il mio nome? O Maria, Maria, se sapessi qual desiderio ho di ri veder te, i miei angioletti... la vostra immagine mi sta sempre fitta innanzi alla mente; non pas sa un istante senza ch'io sogni i dì felici che trascorrevo con voi, e che mai più, forse, vedrò ritornare. M'odia ancora tuo padre? mi crede ancora reo 61 del delitto di cui venni accusato? Oh! Iddio al meno non permise il sopravvivere dei miei geni tori fino a conoscere le mie sventure. Dall'alto dei cieli, senza dubbio alcuno, essi pregano per me.. pel loro povero figlio! Ma perché la loro preghiera rimane inesaudita? Perché sovente il malvagio gongola e gode tutte le gioie della vita, ed il giusto soffre infinite amarezze? Qual legge misteriosa della natura o quale fatalità do mina questo fenomeno, che s'incontra ad ogni piè sospinto sulla terra? Maria! Maria! vorrei scriverti mille cose altre, ma le forze per andare innanzi mi mancano, e poi, lo vedi, il foglio è terminato, ed avermene un altro è impossibile; qui tutto è calcolato, com passato spesso con una logica curiosa quando non è addirittura ridicola... o infame. Ti abbraccio coi miei figli, amami come io ti amo e non dimenticare Il tuo aff.mo marito Michele § Mia diletta Moglie, La sera di ier l'altro, dopo una breve chiac cherata, ci sdraiammo nei nostri covili. 62 Passai la notte molto agitata, una smania for tissima mi aveva preso, e mi fu impossibile tro vare un istante solo di riposo. Alle 2 a. m. un secondino venne ad avvertirmi che io io ed il signor Cesare Meurthe dovevamo par tire all'istante istesso per Favignana, gli altri per la Spezia. Il signor Meurthe, quegli stesso ch'io ti scrissi essere sempre malinconico, è un francese nativo di Linguadoca, dipartimento dell'AltaLoira, e da 20 anni domiciliato a Messina. È stato imprigio nato per opinioni politiche. Lo vedi, si condan na un uomo per una semplice opinione, come se fosse un malfattore qualunque, e si pretende poi di vivere in piena civiltà. Ma finché sulla terra vi saranno perseguitati per un principio; finché si puntellerà uno stato colla forza a vece della persuasione; finché il potere sociale o direttivo non sarà la vera espressione della completa vo lontà dei popoli, illuminata però dalla luce del sapere, non guidata dalla cieca ignoranza; finché la libertà non si vedrà bene attuata fra gli uo mini, e ciascuno non porterà la massima tolle ranza e un infinito rispetto per le idee altrui, noi vedremo sempre congiure e sommosse, discordie 63 e vendette, condanne e dolori, instabilità di go verni e poteri abborriti. Non faccio altre osservazioni in proposito, ché a te poco o nulla importano. Ci levammo in fretta, e scortati da un drap pello di soldati scendemmo nel porto, ove ci at tendeva un burchielletto per trasportarci a bordo di un piroscafo. I due ladroni e l'omicida erano allegri come se si fossero preparati per andare ad una festa da ballo, il signor Cesare invece, cogli occhi fissi al fondo della barchetta, versava copiose lagrime. Io ero assorbito dall'esame che facevo di costui, che vittima di un'idea forse splendidissima, ma meritevole di pena, pel semplice fatto che non andava a garbo a chi avea in mano la mestola del potere, veniva strappato all'affetto de' suoi più cari, per essere dannato a soffrire nel fondo di un'orrida prigione,(*)[mentre ridevano e celiavano i due ladri] come se fosse stata quella (**)[la meta] a cui si sentivano destinati, e che quasi quasi costituiva il loro migliore ideale. L'impressione poi da noi tutti prodotta alle persone dell'equipaggio, appena fummo in coperta sul piroscafo, dovette essere punto benevola, poi ché ci guardavano di sbieco, e ci facevano certi visacci da fare spavento. 64 Scorse due ore appena, il piroscafo si mise in movimento, ma avvolti com'eravamo in una co lonna di nero fumo, che un leggiero venticello portava a noi poveri condannati, e che parea vo lere concorrere eziandio ad amareggiare sempre più il nostro infelice stato, era impossibile vedere la città. Ma passato appena il forte San Salvato re, esso venne spinto in aria, e le vaga Regina del Peloro si offerse al nostro sguardo col suo affascinante panorama. Il signor Meurthe congiunse allora le mani e levò gli occhi al cielo in atto di preghiera. Io volevo gettargli le braccia al collo... oh! le catene me l'impedirono. L'alba intanto veniva a fugare le ultime ombre mattutine, e l'oriente si vestìa del più bel zaf firo, mentre ancora un dolce sereno ornava l'oc cidente. le placide acque del mare erano lieve mente increspate dagli alizei venticelli, e il va pore, solcando rapido quella superficie azzurrina, lasciava dietro sé una lunga e biancheggiante striscia. Io, tel confesso, mi beavo nel contemplare tutto quel magnifico quadro della natura, e sarei anda to lieto di quel viaggio, se, rientrato in me, non mi fossi ricordato della mia infelice condizione, e che a vece di avvicinarmi a quel luogo dove 65 tu, i figli miei tirate avanti meschinamente la vi ta, me ne scostavo sempre più... e forse per sempre!... Il signor Meurthe mi parlò a lungo dello stretto di Messina, mi narrò che opinano alcuni essere stato in altri tempi un istmo, sommerso in seguito da un forte cataclisma, e che valentissimi sto rici e geologi pensano invece nessuna traccia di congiunzione esistere. Il sole in quel mentre, bello nella maestà del suo splendore, inalzavasi sull'orizzonte, e saettava i suoi primi raggi sulle cime dei monti, mentre la sua obliqua luce riflettevasi sull'ampia solitu dine del mare. Il francese allora, fissando la catena dei monti Pelori, cominciò a ripetere i ver si seguenti: » Guardai in alto e vidi le sue spalle » Vestite già de' raggi del pianeta, » Che mena dritto altrui per ogni calle. » Allor fu la paura un poco queta, » Che nel lago del cor m'era durata » La notte ch'io passai con tanta pieta.([1]) A Palermo scesero i tre destinati per l'isola d'I schia, noi seguimmo il viaggio per Trapani, da cui fummo condotti, per mezzo d'una barca pesche reccia, a Favignana. 66 Chiesi spiegazione di quest'isola al francese, ed egli, che di storia se ne intendeva abbastanza, mi rispose: È posta a dodici miglia di mare dalla Sicilia, dirimpetto Trapani e Marsala. Appartiene al grup po delle Egadi, e va famosa per la vittoria ri portata dal generale romano Caio Lutasio sopra Amilcare, capitano dei cartaginesi, la quale pose fine alla prima guerra punica. È posta in luogo basso, ed è attraversata da una catena di colline, in cima alle quali sorge il castello di Santa Ca terina. Ha una popolazione di 5418 abitanti, ed appartiene alla provincia e circondariato di Trapani. Io speravo restare in compagnia del signor Meur the, ciò che mi sarebbe stato certamente di su premo conforto, ma, poche ore dopo dell'arrivo, fummo separati, né più di lui m'è stato possibile avermi nuove di sorta. Se tu vedessi l'orrida spelonca in cui sono get tato! Non un raggio di sole vi penetra, ed è tal mente umida, che il muro pare tappezzato di muschio. Il Direttore del carcere mi annunziò stamane che non sarò allontanato da Favignana, puoi dun que scrivermi e darmi quelle nuove che da luogo tempo desidero. 67 Che hai fatto sulla ricerca del Magazzino? Ma ria, tu sola mi resti al mondo di aiuto e di con forto, te ne prego, non mi abbandonare. Riceviti un bacio coi nostri angioletti, e con servami sempre presente alla tua memoria. Il tuo affettuoso marito Michele Maria M'è impossibile poterti manifestare il dolore supremo che provai, all'infausta nuova della morte di mio suocero e tuo padre. Egli sce se nel sepolcro pria ancora di conoscere la mia innocenza, e fors'anco senza che mi avesse per donato. Aprimi il tuo cuore, e confessami schiet tamente s'egli mi maledisse nelle estreme ore della sua vita. È terribile la maledizione di un uomo, che parla a pochi passi dal sepolcro. Ora però sei libera di fare ogni minuta ricer ca sulla scomparsa del Magazzino; tuo padre è morto, e non può ostegiarti, per quel falso con vincimento che s'era fatto della mia sventura, su ciò che volessi fare pel mio bene. Maria, un fantasma parmi sorgere continua mente a me dinanzi, e tracciare delle linee mi steriose sulle muscose pareti di questa spelonca, e su cui parmi leggere: il Magazzino ancor vive. Se fosse vero!... oh!... ma ricorda che a volte 68 il cuore difficilmente s'inganna, e coi misteriosi suoi palpiti indica il vero. E nell'istante in cui ti scrivo esso è circonfuso d'un dolce profumo di speranza, e mi fa sognare, ch'io non sarò dan nato a finire i giorni miei col marchio dell'in famia. Tu sola, o Maria, puoi adoprarti a diradare le tenebre che si sono addensate attorno alla mia esistenza, e ridare la pace e la libertà ad un in felice, che pur troppo ne sente vivo il bisogno, e che tutto si consacrerà per tuo bene, appena gli sarà concesso. In nome dell'affetto che porti a quegli angio letti che nudristi col tuo latte, e di cui io sento orgoglio d'essere padre, in nome della venerazio ne che professi alla memoria dei tuoi defunti ge nitori, te ne prego, te ne supplico, non abban donarmi, adoprati affinché si faccia piena la luce. Tuo marito M. Mangiamele § Maria Il mio corpo si va lentamente consu mando e l'anima mia è potentemente inaridita. La vita non ha più conforto veruno per me e 69 m'è divenuta incresciosa, segnatamente dopo a avermi tu detto che inutili sono riusciti tutti gli sforzi possibili fatti, per arrivarsi alla piena co noscenza della vera fine o del dove si fosse tra sferito il Magazzino. Sono scorsi pochi mesi dalla nostra separazione, ma troppo per chi vive lontano d'una moglie e di tre figliuoletti che adora. Le ore, per certi infelici, non si contano col l'orologio alla mano... no... v'hanno ore per essi che sembrano secoli... che si avvicinano al l'eternità... Le ricordanze dei giorni in cui venni strappato all'affetto dei miei, mi si presentano spesso co me spettri danzanti una ridda misteriose. Io odio... odio tutto... odio la natura, la luce del sole, il chiaro di luna, il limpido del cielo, gli uomini... tutto, insomma, tutto... Oh! se mi fosse dato potere annichilire il crea to e ripiombarlo nel caos! Ma immezzo all'uni versale desolazione ed all'abborrimento che av volgono la mia esistenza, non mi resta di conforto che il pensiero di Dio, di te, dei figli miei. O Maria, te ne prego, te ne supplico, non per derti d'animo per le difficoltà incontrate a co noscersi la mia innocenza, lavora, lavora a tal 70 uopo con lena, e son certo che vi riuscirai. O vunque allora ti accompagnerà la mia ricono scenza, ed io ti amerò come marito, ti servirò come beneficato, e il mio labbro non cesserà di manifestarti i miei più caldi sentimenti di gra titudine. Conservami perenne il tuo affetto, o Maria, e bacia per me i figli miei. Tuo marito Michele § Mia diletta moglie Io sento una forza pre potente che mi trascina ad odiare quella società che mi ha orribilmente trattato, che m'ha scacciato innocente dal suo seno, e ch'è respon sabile dell'immeritato destino che m'ha creato. Perché m'ha essa coperto di obbrobrio? For se perché un gruppo di luridi e malvagi accusa tori, non intesero rimorso di calunniarmi di fronte alla cieca giustizia umana?... Oh... sì!... E questa cocietà che si lascia facilmente abbindolare da certe coscienze da trivio, la pretende a infallibile, a severa riparatrice del male. Oh! Non ti meravigli il mio odio. Sotto la pre 71 potente pressione d'una sventura immeritata, tra boccherebbe di sdegno anco il tuo delicato cuore di donna. Vedersi gettata un'anima innocente fra gli orrori dell'infamia e delle catene è ben du ra cosa. È un colpevole, grida l'umano consorzio; che importa poi se innocente? Esso non ha tanti scru poli, bada solo alle così dette luminose prove, sen za distillarsi il cervello ad esaminare se ab biano o no un sicuro fondamento di verità; poi al grado di condanna, e gli getta subito in faccia il suo sdegno, lo avvolge nel disonore e gli nega anche la carità morale, che spesso è più utile della materiale. Ebbene credi tu possibile ch'io possa amare una società simile? A te la risposta. Ti mando un bacio coi figli miei, e addio. Il tuo aff.mo Michele Maria Io non so se uomo al mondo può im maginare quanto sono infelice, ma oggi ho sof ferto più che mai. Non un lontano orizzonte di felicità più brilla al mio pensiero: l'avvenire mi è chiuso, profon 72 damente chiuso. A che si riduce la vita, se non è allietata dalla speranza? Una tomba, un tor mento, un abisso! Se alcuno potesse scrutare il fondo dell'anima mia, sarebbe certamente per me preso di un in dicibile senso di pietà; tanto io soffro. Ma v'han no istanti in cui tutte le potenze del dolore si ri destano con impeto maggiore, in cui una specie di fremito nervoso mi getta una furiosa tempesta nel seno e mi scuote fino al midollo delle ossa. Io non ho più l'energia dei giorni scorsi per poter lottare colla posizione dhe m'è stata crea ta dalla calunnia e per vincere la piena del do lore che d'ogni lato mi opprime. Ma tu vivi, vi vi per vegliare sui miei angioletti, gli oggetti più cari che, assieme a te, io mi possegga al mondo. Che Iddio ti conceda la forza necessaria a supe rare l'affanno che proverai all'annunzio della mia sicura morte; che ti benedica egli e ti sor regga nella vita, affinché abbiano i figli nostri, sotto la tua savia e materna direzione, quell'edu cazione che tante volte, nelle serene ore del no stro vivere felice, vagheggiammo assieme dar loro. Egli che di lassù conosce la mia innocenza, vo glia almeno ricompensare la mia famigliuola di tante grazie, quante sono le pene da me sofferte. 73 Feci ogni sforzo per conservare ai miei figli un nome caro ed onorato, ma la calunnia venne ben presto a gettare nella più cupa desolazione la mia povera esistenza. Un giorno però dirai loro che non provino rimorso nel proninziare il mio no me, ché io morii immacolato d'ogni colpa che mi si è addebitata, e che la mia innocenza presto o tardi sarà certamente conosciuta dagli uomini. Forse nell'istante in cui ti scrivo, mentr'io languo in quest'orrida muda, i miei nemici sono rosi dal veleno del rimorso, e si martellano va namente a placare i violenti palpiti del loro cuore. Chi sogna felicità col nuocere agli altri, sogna l'impossibile. » ...Chi ingiuria semina » Miete furor. Chi incesta » Colla viltate, in triboli » Posa l'infame testa. ([2]] E quand'anche la fortuna a costui arridesse, quand'anche fosse ossequiato, lodato, applaudito da una turba stupida ed ignorante, inetta a va lutare il lercio, il putrido dell'anima sua, o co noscendolo non si sentisse il coraggio di sputar gli in faccia e di coprirlo di quel fango in cui gavazza, non per questo potrebbe godere egli fe licità vera, ché nelle notti insonni, nelle ore so 74 litarie sentirebbe un misterioso peso gravargli sul cuore, una certa smania dominarlo sempre, un vuoto farsi nell'anima sua, e andrebbe incontro in ogni istante a qualcosa d'indefinito e d'in compreso, e pur affannandosi a mendicare conti nui passatempi per dare una certa calma al suo cuo re, la felicità vedrebbe sempre sfuggirsi dinanzi, nel momento istesso in cui gli parrebbe averla raggiunta. La sventura che noi seminiamo nel cammino altrui, si riflette sempre nel nostro, e se manca persona al mondo che lo sappia, c'è il testimo nio della propria coscienza, che ci rimprovera le azioni fatte; e se anche questa si fosse indurita, in modo da farsi sorda ad ogni rimorso, c'è una leg ge provvidenziale, che presto o tardi ci farà pen tire di quanto abbiamo malamente operato. Maria, io veggo declinare la curva dei giorni miei nella più desolata e fosca condizione, per opera di certi uomini che giammai offesi, e che, forse, vendettero la loro coscienza a qualch'uo mo nefando ed abbietto, il quale altro non so gna che vili e orride vendette. Quale nauseante spettacolo è quello dell'uomo che ti tuffa in un pantano di brutture, che prodiga nel lercio, nel sordido, nell'abominevole l'anima sua, e che an 75 negando nel vizio ogni scintilla di rossore, gioi sce di aver fatto un male al suo simile, o di ave re superato un tristo disegno, calpestando a tal uopo la moralità e la giustizia. Oh! meritevole è costui di venire segnato col marchio dell'infamia, d'essere colpito dell'obbrobrio universale, ma molto più vile e degno di sprezzo è quella turpe persona che loda o corteggia queste anime ler ciose, o che si presta di vile ausilio per compirsi una soperchieria, una vendetta, una malvagità, una calunnia, un'infamia. Se il battesimo della sventura è spesse volte riuscito a fare viemmegglio splendere l'aureola del la virtù di un uomo, invece non ha per me ef ficacia di sorta, sofferente come sono non per una causa grande e generosa, ma perché accusato di un delitto che mi copre di vergogna e d'infamia. Gli è vero, sono innocente!... innocente!!. Ma chi vi presta fede? Chi lo sa? Quando avverrà la mia riabilitazione morale? Maria, Maria, il peso enorme di un'immeritata sventura, che parmi si aggravi sempre più sul ca po mio, sento che mi trascina con celerità al se polcro. Oh! Non ti amareggino queste parole, né tac ciarmi d'ingrato, perché non ho la necessaria pa 76 zienza a sopportare la mia sventura fino al dì in cui mi sarà concesso rivederti. Ma io sento che le forze mi vengono meno ogni dì e che non posso più vivere a lungo. Riceviti un caldo bacio di amore coi figli miei e ricordati sempre di me. Tuo aff.mo marito Michele Maria Ti scrivo oggi in uno stato di profondo abbattimento fisico e morale. Mi addolora sovra tutto il pensiero ch'io sono per te cagione d'immense sventure. Oh perdona mi!... perdonami!... te ne supplico. Tu eri nata a vivere contenta, ma l'esserti a me congiunta fu per te sorgente d'infiniti guai. Chi sa quante vol te ti sei pentita del primo sguardo che mi vol gesti, della prima parola ci amore che m'indiriz zasti. Ne hai ragione, o mia buona moglie, veder si troncare la felicità e l'avvenire nel più bel fiore degli anni, quando tutto ancora sorride di rosei sogni e la vita è piena di dolci speranze, è una trista... una tristissima cosa. Ma io, tel giuro, non ne ho colpa. Gli uomini che mi calunniaro no, che seminarono le spine là dove crescer do veano le rose lungo il cammino della mia vita, 77 io raccomando alla misericordia di Dio. Oh fos sero almeno tanto generosi da confessare la mia innocenza, ti persuaderesti allora che non per mal vagità mia, ma per semplice sventura, o meglio che per semplice cagione d'una menzognera ac cusa io ti resi infelice. Anch'io in questo supremo momento, in cui vedo la mia vita precipitare verso la fine, in cui mi vedo circondato dalla desolazione e dal dolore, penso che meglio per me era il vivere celibe, così sarei almeno rimasto solo a soffrire. Ma chi pre sagir potea i lunghi guai che sovrastavano cul ca po mio? Io sognavo renderti lieta e vestire dei più smaglianti colori dell'iride i giorni tuoi, ma la pallida stella della sventura, nell'età in cui più vaghe di lusinghe si presentano alla nostra fan tasia le ore future, venne funestamente a getta re un'eterna disperazione, un profondo dolore nei nostri cuori. Scrivimi, o diletta compagna della mia vita, scri vimi che m'ami, che credi alla mia innocenza, che non t'è angosciosa la rimembranza dei giorni in cui a me ti legasti, e questi soli conforti baste ranno a rendere men dolorosa la prospettiva del le ultime ore del viver mio... Esaudisci questa calda preghiera, che ti volge un infelice!... 78 Se sapessi quante cose vorrei scriverti, ma il turbinìo di mille violente passioni, il peso enorme della sventura che d'ogni lato mi opprime, le for ti strette che sento al cuore, in cui tutte le mie forze vitali pare si siano riconcentrate, generano una grande confusione nel mio pensiero, ed io non so quel che vado sgorbiando sulla carta; se guo solo un impulso istintivo. Maria, ho una forte febbre alla testa, tutto il corpo mi brucia e le forze mi mancano. temo sarà questa l'ultima lettera che ti rivolgo. Sento che mi avvicino a grandi passi al sepolcro. Maria, la tua immagine e quella degli angiolet ti di cui sono padre, mi sta sempre innanzi alla mente, né so staccarmene un istante solo. Oh! potessi rivederti un'altra volta e abbrac ciarti e baciarti... Oh! mi fosse dato poter posare le mani sul capo dei miei teneri figli per bene dirli, come facevo nei giorni lieti del viver mio... Quando mi beavo del vostro incantevole sorriso, e la vita mi pareva tanto bella. Maria, Maria, ogni sera, quando levi la tua preghiera a Dio, raccomandami a lui... supplicalo af finché egli, che tutto può, faccia presto conoscere agli uomini la mia innocenza. Né smettere, an che dopo la mia morte, ogni lavoro affinché la 79 luce si faccia sulla misteriosa scomparsa del Ma gazzino: si saprà in tal modo che fui un povero calunniato, non un vile omicida, e nessuno insul terà alle mie incolpate ceneri. E quando un gior no, fatti adulti, ti chiederanno i figli miei il no me del padre loro, tu allora invece di arrossire, nel pronunziarlo come quello di un vile assassino, levando lo sguardo al cielo, potrai con fronte se rena rispondere: Egli fu un martire e vive lassù in seno a Dio. Maria, Maria, Maria... ho un respiro angoscio so, una febbre terribile mi rode financo le ossa, la testa mi vacilla, le pulsazioni del cuore si fan no violentissime, e mi par che si voglia spezzare nel seno... Sento pur troppo che mi avvicino alla tomba!... Una tomba dove non avranno le mie ossa nemmeno il conforto di vedervi su deposta una corona di fiori colti colle tue candide mani. Maria, benedici per me i figli miei dal profondo del cuore... amali sempre... te ne prego... te ne supplico... io dal... cielo... ove volerò... fra breve... per rifugiarmi sotto le grandi ali della misericor dia di Dio... veglierò sul loro... capo.. Maria, se l'esistenza tua è stata da me ter ribilmente amareggiata... perdonami...te ne sup plico... ma ricorda... che... la mia coscienza... è 80 purissima... immacolata senza rimorsi... e che tu.. perdoni... solo... un innocente!... uno sven turato!!.. O Maria... scrivimi che m'ami... dà almeno que st'estremo conforto ad un povero sofferente... e saudisci questa preghiera... che un infelice tribo lato... ti volge cogli... occhi pieni di lagrime... col cuore martellato d'immensi affanni... d'infini ta ambascia. Maria... Maria... Maria... t'abbraccio... ti strin go... forte... al cuo...re coi figli miei... addio... ad dio... e... per sempre... a rivederci in cielo!... Il tuo sventurato marito M. Mangiamele § Il Mangiamele visse poco tempo ancora, domi nato sempre da cupo dolore. Egli era trascinato da una cieca fatalità, da un'irresistibile potenza misteriosa a soffrire. Tutto contribuiva a tiran neggiare il suo cuore, e le grandi sofferenze che provava, indebolivano in modo incredibile la sua ragione, e le sue stesse lettere ne sono una prova luminosa. Gli ultimi giorni della sua vita furono uno strazio, un'agonia continuata. Non sapea re 81 sistere sotto la prepotente idea di vedere l'innocenza punita, e la calunnia gongolare fastosa. Nessuna potenza avrebbe potuto mai più salvarlo d'una morte sicura; egli si consumava incessantemente. A volte traboccavain un eccesso di collera, e si mostrava pallido, fiero, minaccioso; altre fiate l'anima sua veniva ad essere rischiarata d'un fu gace lampo di speranza, e la sua faccia brillava d'un non so che di celestiale. Era insomma il misterioso avvicendarsi delle lotte, che si combat tevano negli abissi di una coscienza ingiustamente colpita da un immeritato destino. Un vecchio custode del carcere, i cui sentimen ti faceano troppo alle prese col posto che occu pava e che avea spesa in quel luogo la più gran parte della sua vita esercitandosi in opere di be neficienza, ed un cappuccino, che seguiva in tutta la sua rigidezza la regola imposta dalla splendida figura del fraticello d'Assisi, lo assisterono con vivo sentimento di carità e d'amore nelle ore e streme della sua vita. Il frate era d'alta statura ma esile, pochi ca pelli bianchi disposti a guisa di corona aveva attor no alle tempie, la lunga e nivea barba gli scendea fino al petto, a faccia e le mani sue erano d'un bianco diafano, e gli occhi sprofondati nell'or 82 bita violacea rivelavano i lunghi digiuni e le not ti insonni trascorse in penitenza e beandosi nel l'estatica contemplazione di Dio. Colla sua paro la inspirata e santa non poco contribuì a lenire i dolori dell'infelice moribondo, il quale volle chiu dere per sempre gli occhi, dopo aver ricevuto i conforti di quella religione che santifica le tre cose più belle che possegga l'umanità: la culla, il talamo, la tomba. Pochi momenti prima di morire, il Mangiamele strinse forte la destra al vecchio carceriere, vol se poi il tremulo sguardo al frate, fermò su lui con forte ansia la cerula pupilla, e colla sua lan guida voce gli disse: Padre, quand'io non sarò più, inviate queste due ciocche dei miei capelli ai miei figlioletti Luigi, Cesira ed Amalia, unico ricordo che da questo luogo io possa loro legare: mandate a mia molgie quest'anello, santo dono ch'ella mi fece la prima volta che mi sussurrò la pri ma parola di amore, dite loro ch'io li bacio e li benedico, e che muoio... innocente!!.. Padre... pa dre... pregate Dio, ve ne supplico, nel modo mi gliore che voi sapete, per me... per mia moglie... pei figli... miei. Tosto compose sul petto le sue braccia a gui sa di croce, volse la faccia esanime a guardare 83 il lembo di cielo che si vedeva dalla finestra a lui di fronte, e col rapimento dell'anima innamo rata s'immerse nella contemplazione dell'Infinito. Il carceriere ed il frate lo guardavano estatici e con una certa religiosa venerazione. È bello, è sublime spettacolo vedere un giusto che si apparecchia al sonno eterno della morte. Si prova un dolore indefinito, e l'anima si sol leva fino a Dio. Ma appena essi gli videro chiudere gli occhi e mandare il respiro estremo, senza punto scompor si, presero la sua mano intirizzita e la baciarono. La faccia dell'estinto brillava d'una luce solen ne, divina. Eglino capirono allora che può spledere un lembo di paradiso anche al letto d'un prigioniero, e che non vi è scena più commovente, spettacolo più sublime d'un giusto che agonizza nella pri gione, mentre muove le labbra riarse della sete della libertà, e coll'anelante pupilla cerca la luce, lo spazio, l'infinito. + Venti giorni dopo veniva annunziato, al giudice di Ferla, che nelle carceri di Favignana era mor 84 to il massaio Michele Mangiamele, condannato per crimine a 15 anni di carcere duro. Incredibili furono lo strazio e gli affanni prova ti a tale annunzio dalla povera moglie, che si strug geva pensando alla miseranda fine toccata all'in felice suo marito, a cui non valse a salvarlo di una dolorosa catastrofe la coscienza del sentirsi puro. § Il giorno 13 dicembre del 1865 alla presenza del Sindaco titolare di Buccheri, e dopo tutte le formalità di legge, Salvatore Barrile([3]) e Maria Mad dalena Marchese, promisero volersi congiungere in legittimo matrimonio, il quale venne poi cele brato secondo le forme prescritte dal Concilio di Trento, alla presenza del Parroco il 17 dello stes so mese (2). Spuntava un bel giorno del 1870. I contadini si avviavano lieti alla campagna, e le povere donnicciuole sedevano innanzi l'uscio, a riscaldare le membra al sole. La Marchese fece un fagotto della roba sudicia che ci avea, e andò a PassoMarino, piccolo fiu me posto a poca distanza da Buccheri, e che se ([3]) Trattasi di una svista(?) del Guarrella... il nome dello sposo è Salvatore Lombardo. Vedere in Appendice la copia fotostatica degli atti di matrimonio. 85 gna in parte il confine fra il territorio di questo comune e quello di Vizzini, per lavarla. Scorse appena un paio d'ore, una donna venne in fretta a chiamarla. Venite, venite presto, comare Maddalena, è già tornato vostro marito. Mio marito? ella rispose; volete voi canzonar mi?... ma s'egli è la di fronte che ara la terra. Ma che arare ed arare, è del primo vostro marito, di quello che si diceva essere stato ucci so, che intendo parlarvi; e se lo vedeste!... vi par proprio un gran signore, con tanta eleganza è vestito. Lui?!... proprio lui?!... esclamò piena di meraviglia. E raccolse le robe e via di ritorno a casa. Si abbracciarono, si baciarono, si scambiarono delle dolci parole. La Maddalena ch'era una di quelle donne a cui non è ignota l'arte di sedurre e di abbindolare, e che nell'istante istesso in cui covano in seno una passione estranea o ci godono a vedersi cor teggiate e adocchiate da tutti, hanno poi la fur beria o l'ipocrisia che si voglia dire, di sapersi nascondere e di velare con mentiti e sovente pue rili pretesti la loro vana e sozza condotta, si sciol 86 se in lagrime, per mostrare il contento che pro vava pel ritorno del marito, e per far conoscere che sentiva pentimento e dolore di essere passa ta a seconde nozze. Quel giorno istesso il Magazzino si presentò in casa del Sindaco, per chiedergli permesso di condurre seco sua moglie. Costui chiamò a sé la Maddalena, e le domandò quale dei due mariti preferiva. Siccome il Magazzino aveva trovato modo, a Motta di Sant'Anastasia, di avvantaggiarsi un po colino, è facile capire che la scelta cadde su di lui. Riferì allora il Sindaco ogni cosa al Procura tore del Re presso il tribunale di Siracusa, e ne ebbe la risposta che la moglie spettava di di ritto al primo marito, ed in ispecie perché dopo consultata egli era stato prescelto. Il ritorno di quell'uomo, da lunghi anni cre duto morto, e l'innocente condanna del Man giamele si seppero ben presto nelle circostanti terre. Venuto intanto all'orecchio dell'infelice Maria, ella volò in Buccheri. Nel palazzo municipale, ap pena vide l'uomo, che, senza volerlo né saperlo, era stato cagione della sventurata condanna di suo marito, svenne. Quando riebbe la calma dei sensi, 87 si cacciò le mani ai capelli, appuntò alla volta gli occhi, e in preda a un disperato dolore, escla mò: Sorgi, o sventurato marito, o infelice padre, sorgi da quel desolante sepolcro che ti schiu sero uomini senza carità, senza fede, senza amore. La tua innocenza è oggi conosciuta da tutti, la riabilitazione morale del tuo nome è oggi un fat to compiuto; i tuoi voti, i tuoi desideri estremi sono stati esauditi; nessuno insulteà più alle tue ossa, nessuno ti volgerà l'esecranda parola « omi cida. » I tuoi figli possono andare orgogliosi del nome che ereditarono, reso più splendido e bello dalla gloriosa aureola del martirio. Sì tu fosti un martire, questo titolo ti volgeranno coloro che eb bero agio a conoscere le tue preclare virtù, e gli affanni che patisti innocente. Prega per me Iddio, acciocché mi dia forza suf ficiente a perdonare coloro che vilmente ti calun niarono, che abbeverarono di fiele la nostra santa unione, che per sempre distrussero la felicità e la pace in una povera famigliuola. Le tue sofferenze, o Michele, sono cessate, e l'anima tua riposa in seno all'Onnipotente, ma a tua moglie, ai figli tuoi chi sa quale destino è serbato, chi sa quanto ancora sono destinati a patire? Fate, o gran Dio, ch'io possa congiungermi 88 presto a mio marito; esaudite questa preghiera che tante volte ho ripetuto nel pianto! Ma finché vivo, non cesserò di ringraziarvi d'aver fatto conoscere, sebbene troppo tardi, l'innocenza del mio Michele Io, che tante volte ho avuto vergogna nel rispondere ai figli miei allorché mi chiedevano come il loro padre era morto, posso ora rispondere: cinto del la corona del martirio!... A questo punto parve mancarle il respiro, e che fosse venuta meno ai viventi in un eccesso di do lore. Stette in silenzio e col capo chino alquanti minuti, poi scoppiò in pianto dirotto. Gli astanti che fino a quel punto erano rimasti muti, non seppero anch'essi frenare le lagrime di dolore, né alcuno trovò parole sufficienti a con forto di quella povera donna. § L'uomo intanto, che aveva ordita quella nera ca lunnia, era morto, ed i testimoni, che s'erano pre stati all'infame giuoco, dichiararono aver ricevuto in prezzo della loro iniqua menzogna cinque scu di per uno (L. 25, 50). Furono essi arrestati, ma essendo scorsi dieci anni e prescritto quindi il diritto a procedere con 89 tro di loro, dopo un anno di carcere vennero ri messi in libertà. § Eccoci alla fine di una breve ma desolante isto ria, che farà spuntare una lagrima a quante sono anime gentili, e che a noi ha fatto sanguinare il cuore nel dettarla. Essa farà rinsavire coloro che fanno troppo a fidanza colle così dette luminose prove, e può servire come uno splendido esempio per combattere quei penalisti, i quali sostengono doversi la pena capitale applicare almeno nei casi in cui né al pubblico né al magistrato resti dub bio di sorta sulla reità dell'incolpato. Quale prova più bella e più chiara di quei do dici testimoni, che senza menomamente contra dirsi e in modo da non poter sorgere dubbio al cuno sulla efferata calunnia, espongono con gla ciale e mostruoso cinismo di essere stati quasi tutti testimoni oculari di quel crimine? E se il Magazzino, a vece di tornare dopo lun ghi anni, moriva, sarebbe avvenuta anche la sem plice riabilitazione morale dul nome di Mangia mele? Nel ricordarlo la gente in qualche circo 90 stanza non gli avrebbe dato sempre dell'omicida e dell'infame? La risposta cogli opportuni commenti la faccia da sé il lettore. È QUI D'UOPO FARE UN'AVVERTENZA Nel descrivere il modo di solennizzare una festa, noi ten tammo di delineare certi vecchi usi propri d'alcuni monta nini ma per nulla applicabili a Buccheri, specie al dì d'og gi In quanto alla Marchese dobbiamo dichiarare, per de bito di giustizia, che la sua condotta fu sempre illibata, e che suo marito andò via da Buccheri mosso dal bisogno, non per quello che a lei idealmente attribuiamo. Noi volemmo solo coglier l'occasione a ritrarre un fatto puramente e fedelmen te storico avvenuto ad un nostro carissimo amico, la di cui nobile ed orgogliosa madre nudrì sempre un odio implaca bile contro di lui per avere egli sposato una povera conta dina. E costei quando si vide ingiustamente abbandonata, tornò a fare all'amore con un bel giovane suo congiunto, e finché tutta si tuffò nell'orgia oscena del marcio. E se alcu no ci chiederà perché facemmo quella trasposizione, rispon deremo: solo per dare una certa forma romantica al lavoro. Chi può conoscere Ferla potrebbe formarsi un cattivo concetto di quel comune moralissimo e molto innanzi nella via del progresso. Oh! dei tristi ce n'è ovunque, e la catti va azione di pochi malvagi, non avrà certamente efficacia di menomare la meritata reputazione d'incivilito, che gode un comune, il quale ha stigmatizzato in mille modi quella pes sima azione. Del resto si badi che noi abbiamo parlato di tempi che furono. 91 NOTE § ~~~~~~~~~ (1) Piedigagi è nelle campagne di Ferla, da cui è distan te 3 o 4 C.m., ma per la curiosa circoscrizione della Sicilia appartiene al territorio di Carlentini, sebbene da esso lonta no 15 o 16 C.m., comune che alla sua volta fa parte del mandamento di Lentini. ~~~~~~~~~ (2) Il Magazzino e la Marchese vivono ancora a Motta di Sant'Anastasia, e furono da noi a proposito interrogati a lungo un dì che vennero in Buccheri. Salvatore Barrile ([3]) anch'egli vive ed esercita il mestiere di spazzacamino. Ei nell'anno 1883 chiese al tribunale civile di Siracusa di venire sciolto d'ogni vincolo coniugale, ma nul la potè conseguire per deficienza di mezzi. Il racconto è quindi puramente storico, avvertiamo però il lettore, a scanso di equivoci, che noi abbiamo lavorato di fantasia in tutto ciò che riguarda la forma, e che molte co se sono di nostra invenzione, tra cui le lettere e le parole pronunziate all'udienza. Del resto è facile capire che, se non tutti, molti di quei sentimenti dovettero agitarsi nel seno del povero Mangiamele. Il Municipio di Buccheri, in ricordanza di quel luttuoso dramma, volle battezzare Via due mariti, quella in cui abi tava un tempo la Marchese. Riportiamo in ultimo un brano dell'atto di matrimonio tra il Barrile e la Marchese che si legge nei registri dello Stato civile di Buccheri, il quale fa anche fede della sicura cre denza che si avea della morte del magazzino. « L'atto di notorietà per la morte di Salvatore Magazzi no, primo marito della sposa Maddalena Marchese, il quale disgraziatamente venne ucciso nelle campagne di Ferla, ed ivi sepolto e rinvenuto sfracellato, dopo un mese circa, nella stagione estiva del 1865secondodoché risulta dai do cumenti a noi esibiti. » 92 NOTE ALL'EDIZIONE DEL 20102014 (*) mentre ridevano e celiavano i due ladri (**) la meta (* e ** sono due annotazioni a penna dell'autore presenti nel libro) ([1]) Sono versi dell'Inferno di Dante presenti nel 1° Canto a partire dal 16° verso. ([2]) Versi di Giovanni Prati tratti da Canti Politici a Luigi Napoleone a iniziare dal 25° verso. ([3]) Per una svista o per un errore di trascrizione o per una errata comunicazione al Guarrella da parte dell'ufficiale d'anagrafe, egli indica in Salvatore Barrile il nome del secondo marito di Maddalena, mentre invece nell'atto da noi consultato questi si chiama Salvatore Lombardo. Nell'Appendice è visibile chiaramente questo nome che riportiamo fotografato dal registro dello stato civile di Buccheri. Vedere la nota completa in prefazione. 93 APPENDICE Di seguito riproduciamo alcuni stralci degli atti di matrimonio riguardanti Maria Maddalena Marchese e la copia fotografica delle pagine che li riportano, così come appaiono nei registri dello Stato Civile di Buccheri Il primo matrimonio contratto con Salvatore Magazzino fu celebrato il 28 Agosto del 1853. Il secondo matrimonio, creduto morto il primo marito, fu contratto con Salvatore Lombardo il 13 Dicembre 1865. (Salvatore Lombardo, non Barrile, ved. nota ([3])) 94 95 96 97 ATTO DELLA SOLENNE PROMESSA di celebrare matrimonio Num. d'ordine trentesimo quarto L'anno mille ottocento sessantacinque il dì tredici del mese di Dicembre ventidue alle ore avanti di noi Giobattista Mallo ed uffiziale dello Stato Civile del Comune di Buc= cheri distretto di Noto Provin= cia di Noto sono comparse nella comunale Salv= atore Lombardo maggiore di anni ventisei nato in Buccheri di professione contadino domiciliato qui figlio di Gaetano defunto di professione contadino domiciliato quie di Maria Maddalena Bonanno di professione ----- domiciliata qui- e Maria Maddalena Marchese maggiore di anni trenta di professione industrio= sa nata in Buccheri miciliata qui parenti di professione -------------------------------------------------domiciliato -----------------------------e di ----------------------------------------di professione ---------------domiciliata -------------------------------quali alla presenza de' testimoni, che saran qui appresso indicati, e da essi prodotti, ci han richiesto di ricevere la loro solenne promessa di celebrare avanti alla Chiesa secondo le forme prescritte dal sacro Concilio di Trento il matrimonio tra esso loro progettato. E sotto l'assistenza della genitrice dello sposo la quale interviene al presente atto affin di prestare il di lei apprezzo e formale consenso secondoche ha dichiarato. La notificazione di questa promessa è stata affissa sul= la porta della casa comunale di Buccheri -------- nel dì diecinove giorno di Domenica del mese di Novembre anno corrente Indicazione della seguita celebrazione canonica del matrimonio Num. d'ord. 34 L'anno milleottocentosessantacinque il dì diecisette del mese di Dicembre Il Parroco di questo Co= mune ci ha rimessa una della copie della controscritta promessa; in piè della quale ha certificato , che la celebrazione del matrimonio è seguita nel giorno dieci sette del mese di Dicembre anno Corrente 98 do- figlia di Ignoti alla presenza dei testimoni Maestro Concetto Cataldo e Maestro Antonio Giaquinta In vista di esso, noi abbiamo disteso il presente notamento, e dopo di averla cifrata, abbiamo disposto, che fosse la copia anzidetta conservata nel volume dei documenti al foglio 208. Abbiamo inoltre accusata al Parroco la ricezione della medesima, ed abbiamo sottoscritto il presente atto che è stato iscritto su i due registri. Giobattista Mallo Nella pagina successiva si legge sia quello che ha riportato il Guarrella che altre notiziole inerenti il matrimonio col Lombardo. 99 100 LEGGENDE SICULE Di Vincenzo Guarrella Ottaviano 101 Prefazione alle Leggende Sicule Le Leggende Sicule sono state pubblicate in appendice alla Moglie di due Mariti e portano le pagine numerate da 83 a 107. 102 LA FONTANA DEL PARADISO (LEGGENDA SICULA) (1) ~~~~~~~~~~ Quella sera soffiava un tramontanino gelato. Sul le tegole e sulle imposte s'udiva il picchiettìo della pioggia mista a minutissima gragnuola, e la gente attraversava in fretta le vie, per metter si nelle proprie case al riparo di quel tempaccio. Lo zio Giacomo, fuori del suo consueto, com parve sulla soglia molto prima dell'ave. I figliuoli, appena lo videro, corsero a baciargli la mano e la moglie prese una scranna e gliel'apprestò per sedersi. Tutto questo evvenne in men che si dica, poichè bisogna sapere che lo zio Giacomo pretendeva essere obbedito in famiglia anche prima di proferir sillaba, se no, andava sulle furie. 103 Quella sera non fu lui solo ad entrare in casa; lo seguivano due giornalieri che insieme a lui aveano quel di zappata la sua vigna. Sedettero attorno al padrone di casa, uno su d'una seggiola, l'altro su d'uno sgabello forma to d'una piccola ceppaia. Marianna, così chiamavasi la moglie, corse in cucina, mise un po' di brace accesa in una conca di creta cotta, e andò a posarla ai piedi del marito, in quello che gli diceva: scaldatevi chè con questo tempaccio che non la vuol finire mai siete tutto umido e affreddato. Poi aggiunse: la minestra è pronta e sta a voi il decidere quando volete mangiarla. Ora stesso, egli rispose. Marianna tornò in cucina, riempì tre scodelle di fave, e servì prima il marito poi i giornalieri. Essi cominciarono a mangiar con grande appetito quel legume, che in quell'anno di caro valea tant'oro, e per un pezzo altro non s'udì che lo strepito del labbreggiare e del succiar della broda. Dopo fu passato in giro un fiasco colmo di vino, ne be vette ciascuno un buon sorso, e in tal modo finì la cena. Zio Giacomo, perché tanto malinconico siete stato oggi? gli chiese il vecchio Bernardo, ch'era uno dei giornalieri. 104 Ho pensato, ch'è il terzo anniversario del la morte del mio povero Sandro. Quando ci penso il cuore mi si schianta, né so frenare le lagrime. Figli come quello là non ne verranno più al mondo, interloquì la Marianna, i cui occhi co minciarono a luccicare a quel discorso. Ma già me lo dicevano fin da quand'era bambino, che non poteva vivere a lungo perché troppo in telligente, che però dovea finire a quel modo, è la spina acutissima che mi punge l'anima. La colpa in parte fu sua, riprese Bernardo. Zio Giacomo alzò il capo che tenea fisso al suo lo, a quest'espressione, nei suoi occhi guizzò un lampo d'ira, e con voce vibrata esclamò: no, no... a coloro che asseriscono il contrario mentiscono per la gola. E giacchè m'avete tirato a questo punto, abbiate un po' di pazienza, ed aspettate che vi narri la storia della fine infelice del mio povero figliuolo, tanto per mostrarvi quanto false sono certe cose, che sul conto suo si vanno di cendo. Io me ne stavo ai servigi di don Michele Gan dolfo, in un al mio caro estinto, e quel tanto che si guadagnava, era sufficiente non solo a tirare avanti la vita, ma per mettere a risparmio qual cosa, mediante cui comprarsi la vigna che abbia 105 mo zappata oggi. Però gl'invidiosi ce l'abbiamo tutti, e quel preteso mio compare Anastasio, sparse la voce ch'io m'ero appropriato una buo na quantità di frumento. La notizia passando di bocca in bocca, giunse alle orecchie del signor Gandolfo, il quale, da quel credenzone che era, l'accolse come vangelo, e dopo avermi data una buona lavata di capo, mi cacciò via, né volle pun to sentire ragioni a mia discolpa. Figuratevi s'io ne intesi dolore, non solo pel danno materiale che a me ed alla mia famiglia ne veniva, ma ben an co e sovra tutto per la vergogna d'esser cre duto un ladro. Dopo sei mesi circa fui preso come castaldo da don Pietro Mena, uomo testereccio e rotto ad ogni lordura. In quanto a compenso però ci fu per me non poco di guadagnato. Splendeva una sera una luna limpidissima, e si stava insieme all'aperto in campagna chiacche rando alla buona; quando gli saltò in capo di mandare in Vizzini il mio Sandro onde seco reca re in campagna, il mattino del giorno successivo, la donna sua. Io rimasi di sasso appena udii quella sua ri soluzione, né seppi frenarmi di dirgli: Don Pie 106 tro, vuole davvero mandare mio figlio di notte a Vizzini? E che c'è di male? Ma non sa che deve attraversare certi luo ghi, ove di notte compariscono le ninfe? Povero sciocco che sei ! Credi anche tu a simili fandonie? Fandonie!... scioccaggini le mie!... Oh io non sono una cima d'uomo, ma un po' di cervello ce l'ho pure in capo, e di certe cose mi persua do facilmente. Parli da senno o scherzi? Dico davvero, e con queste orecchie qua ho mille volte udito dire, da gente molto dotta, che sin da tempi antichissimi sono vari luoghi, da qui poco distanti, sede delle ninfe, le quali altro non sono che spiriti infernali che di notte, appariscono sotto forma di vaghissime fanciulle, onde ingannare i gonzi. Egli si mise a sganasciar dalle risa a questo mio parlare, ma visto ch'io m'ostinavo a non fare partire Sandro, imbizzì, e mi disse con voce stentorea: obbedire o andare via al momento istesso. Il pensiero di vedermi a sì breve distanza di tempo gettato sul lastrico, mi vinse, e consentii. Oh! non l'avessi mai fatto ! Vidi quella perla 107 di figlio partire, il cuore mi si strinse forte for te, ed una tetra malinconia m'assalse. Dopo una mezz'ora circa mi pentii d'averlo lasciato andare, ma era troppo tardi. Venne il domani, trascorse la prima metà del dì, ma nessuno comparve. Mille timori mi prese ro a questo punto, mi misi la via fra le gambe, e m'avviai in cerca del mio Sandro. Andavo in fretta, volgendo intanto il mio sguardo ansioso per quei luoghi circostanti, quando lo vidi, con mio grande stupore, su d'una pietra con tanto d'occhi e pallido come un cencio lavato. Che hai, gli chiesi abbracciandolo; ma egli non potè rispondermi. Che far potevo solo? Lo tolsi di peso sulle spalle, ed a stento riuscii a portarlo in paese. Si mandò dal medico Loseschi ed appena udì il mio nome venne, ché mi voleva un gran bene. Ordinò cavargli presto un po' di sangue, e parve riaversi perfettamente. Io che mi morivo di voglia di sapere che mai gli fosse accaduto, gliel chiesi allora, ed egli mi narrò: Arrivato presso la fontana del paradiso, vidi una giovane seduta su d'una pietra, la quale mangiava del pane con frutta di un colore sorprendente. M'invitò prima a sedere con lei per mangiare insieme quel cibo. Grazie, io risposi, e tirai avanti. Mi chiese poi se le facevo cortesia di permetterle di 108 andare in groppa, e spiccato in quel mentre un salto, me l'ebbi dietro. A questo punto la mula cominciò a fumare, a saltare, a divenir grinzosa e stecchita ed a ballonzolare le costole. Stesi istintivamente una mano per toccare quella fanciulla, la cui par lantina si facea sempre più celere, ma nulla trovai. Assalito da grande spavento, mi parve perdere la vista ed abbuiarsi la mia ragione. Caddi da ca vallo ed a grande stento riuscii a tirarmi avan ti, per sedermi su d'una pietra. Zio Giacomo qui tacque per asciugarsi due gros se lagrime che gli venian giù per le guance, poi riprese: Proprio quando mi parea avere riacquistato il figlio, fu egli assalito d'una fortissima febbre, che lo menò in pochi giorni al sepolcro. Vedete dun que che non fu per colpa sua, o meglio per de siderio di fare all'amore, come dicono le lingue serpentine, ch'egli finì di vivere, ma... Perché costretto ad andare in Vizzini da quell'anima dannata, seguitò il vecchio Bernardo. Sicuro. E che vi disse, appena gli fu manifesta la vostra sventura? Che mi disse!... che mi disse!... a vece di 109 chiedermi scusa, si cooperò fra i primi a diffon dere la trista novella, che Sandro faceva da un pez zo all'amore con una ninfa, affinché nessuno a vesse dato a lui carico di quella fine infelice, e il suo disegno in gran parte non andò a vuoto. Qui il secondo dei giornalieri cominciò a nar rare d'aver visi anche lui degli spiriti andar vagolando sinistramente sui merli di un vecchio castello, mentre zio Giacomo riprendeva il fiasco, e vuotava un altro nuon sorso di vino. ~~ ~~ ~~ (1) In questa, come in altre leggende stampate qua e là in vari periodici, ho cercato sempre ritrarre usi, costumi, opinioni e credenze ancora vivi presso il popolino di alcune contrade sicule. Il fatto poi che qui si espone, è ancora ripetuto dal popolo superstizioso ed ignorante, e viene anche narrato nella curiosa storia di Vizzini pubblicata in Napoli nel 1730 dal P. Ignazio Noto, ove le verità storiche sono mescolate a mille incidenti fantastici e superstiziosi. 110 Il popolano, che da Vizzini ritorna a Buccheri, arrivato di fronte a quella fontana, non senza provare un panico timore, ricorda la storiella che sua madre gli narrò fanciullo. La donnicciuola, che passa da quel luogo, si fa il segno della croce, e poi recita un'ave alla Ma donna. Se il vento fischia o l'aquilone imperversa, è indizio, pei contadini dei dintorni, che i diavoli scappati dall'inferno sono in giro per quelle con trade, ed umilmente prostrati in ginocchio , reci tano compunti la litania, affinché Iddio li ricacci negli eterni abissi. Eppure vi fu un tempo in cui in quel luogo attirava a sé il cuore dei giovani più belli e fre 111 menti di forte passione, poiché ivi albergavano, in un'elegantissima palazzina, che dicevasi all'in terno essere tutta oro e smeraldi, parecchie fanciulle, belle quanto le farfalle del Casimiro, leg giadre quanto la Venere di Milo e dotate d'una voce più melodiosa di quella delle sirene, create dalla fervida fantasia de' padri nostri. Ma dal dì che avvenne la sventura, che noi qui narriamo, la campagna brulla – secondo la popolare tradizio ne ancora viva – non ha più sorrisi, la luna non vi piove la sua luce limpidissima, e il raggio i stesso del sole o non è lucente, o vi cosparge u n'afa soffocante. Un giorno era di là passato il marchesse Pie tro, unico erede di ricchissimo casato. Le donne più belle di Vizzini e dei limitrofi paesi gli erano state indicate onde scegliene una come sposa, ma nessuna gli era andata a genio. Da un'ampia scala di porfido vide scendere altera una fanciulla, drappeggiandosi come una matrona in un magnifico velo di seta. La testa avea bionda, gli occhi neri fosforicamente scintillanti, la faccia color di rosa su di un bianco niveo, e le forme scultorie del corpo erano vagamente delineate in una veste candidissima. Parea un occhio di sole. 112 Il Marchese ne raccolse lo sguardo, e intese elettrizzarsi alla vista di quella slendida bellezza. Tirò innanzi, ma il suo cuore era rimasto af fascinato, e s'inebbriava in un'onda di pulsazioni per lui nuovissime. L'immagine di quella fanciulla gli era rimasta fitta innanzi la mente, in cui assumeva nuove e più leggiadre sembianze, in guisa che si allonta nava da quella palazzina. Arrivò a Vizzini sul tardi. Varii servi corsero a lui incontro per dargli il benvenuto, e per menare in istalla la sua focosa giumenta. La madre lo baciò in fronte, ma scorse in lui qualcosa di nuovo. Il padre da un pezzo gli era morto. Che hai gli chiese? Nulla. Ti senti male? Anzi, benissimo. E perché sei così cupo e pensieroso ? Non è vero. Io non la sbaglio, io avvezza a leggere sulla tua fronte i segreti pensieri dell'anima tua, son certa che in qualche sinistro caso tu sei incappato. 94 113 Voi la sbagliate stavolta, è solo perché mi sento stanco dall'aver fatto andare al galoppo la mia giumenta. La Marchesa parve acquietarsi a quella di chiarazione. A cena, tanto per non dare nell'occhio, si sforzò Pietro un po' a sbocconcellare, sebbene il suo corpo per nulla sentiva bisogno di cibo. Sopravvenne una notte senza stelle. Pria di andare a letto guardò il cielo, ma era plumbeo e nebbioso; chiuse allora le imposte, mentre inviava un lungo amoroso sospiro alla vaga fanciulla che l'avea sedotto con lo sguardo fulminante. Gli fu impossibile pigliare sonno. Il suo pen siero aspirava le calde estasi di amore, i dolci profumi d'un limpido ideale. Attraverso lo splendido miraggio d'una repentina ma veemente passione, gli parve di vedere una felicità dolcissima, una gioia immensa, un Eden perenne. Era presso nona. Il marchese uscì di casa, e corse difilato in una catapecchia annerita, che minacciava far perire 114 schiacciati gl'infelici, che il tiranno bisogno co stringeva ad abitarvi. Lì stava un suo famiglio da cavallo, bruno, segaligno e dagli occhi appisolati. ... Vieni meco, gli disse, aggrottando le sopraciglia, e in aria d'aspro comando. Egli obbedì ciecamente, borbottando a voce sommessa: marina gonfiata oggi. Il signor Pietro ordinò bardargli la giumenta, e di seguirlo a cavallo ad una mula. Il sole avvolgeva la terra in un'onda di luce; le vie erano arse, polverose, deserte. Solo si sentiva il monotono stridìo degli insetti, e il crepitar delle erbe secche ed arsicce, sotto i piedi ferrati dei due quadrupedi. Dalla fronte di Pietro e del suo garzone il sudore venia giù a grossi goccioloni, e la polvere che si sollevava dall'arrancare affannoso delle povere bestie, si attaccava agli abiti ed alla faccia. Andarono innanzi, per lungo tratto, silenziosi. Finalmente il Marchese dichiarò al garzone il luogo a cui si dirigevano e per qual fine. Santi del paradiso! egli esclamò, sconosce 115 forse l'Eccellenza Vostra, come lì sono delle maghe e delle donne fatate?!... ... Ma che maghe! Che donne fatate! E tu presti fede a siffatte bessaggini? ... L'ha predicato don Michele Gandolfo, un santo e dotto sacerdote. ... Anche lui ha spacciato delle fole. ... Voglia Dio e Santo Vito martire che voi diciate il vero! E profferite queste parole trasse dal seno una immagine della Madonna e una boccettina d'acqua benedetta, aggiungendo: Con queste qua io son cer to di andare esente d'ogni pericolo del demonio. In guisa che si avvicinarono al luogo designato, il marchese sentia maggiormente agitarsi le corde sensibili del cuore. Appena fu di fronte alla palazzina, e vide de linearsi la stessa fanciulla nel vano d'una finestra, l'impeto istantaneo della passione di cui fu rpeso, produsse in lui una specie di angoscioso delirio. Egli sentiva una sete ardentissima ed insoffribile, e le chiese da bere. Ella scese subito con una sua compagna, e nella fontana, che lungi pochi passi scorreva placisissima, riempì un bicchiere di argento di freschissima acqua. 116 L'invitò di poi ad entrare, mentre la compagna, tutta vezzi e moine, s'avvicinava al garzone, ma alla vista dell'immagine che portava addosso cominciò a contorcersi ed a rinculare. Costui capì tutto, si fece il segno della croce, e lanciata contro essa e la palazzina la boccettina d'acqua benedetta, tutto scomparve in un nugulo di fiamme e di nerissimo fumo. A quello spavento il povero garzone cadde a terra svenuto, e lì rimase in quellos tato per lunghissime ore. Quando riebbe la calma dei sensi guardò at torno. Regnava una calma profonda, una solitudine immensa, né altro si vedeva all'infuori della mula colla testa bassa, e solo si udiva la monotona cadenza dell'acqua della fontana. Volse al cielo il tremulo sguardo, e tentò a voce alta sollevare a Dio una preghiera, ma era divenuto mutolo. Tornò a Vizzini colla desolazione nell'animo e con una febbre di spavento, che gli rodeva altresì le ossa. Corse in casa della Marchesa. Costei gli chiese dov'era il figlio, ma non potè proferir sillaba, e solo con molteplici gesti le fece capire la terribile sventura piombata sulla casa sua. Si mandò a chiamare il P. Luigi Lanuzza, che 117 era in reputazione di santo. Egli venne subito in camice e stola, portando in mano l'aspersorio colmo d'acqua benedetta. Esorcizzò il garzone, e in nome di Dio gli ordinò di parlare. E la parola ritornò allora alle sue labbra, ed espose tutto. La madre udì esterrefatta la dolorosa fine toc cata al proprio figlio. Congiunse le mani, levò lo sguardo al cielo colla disperazione in cuore, e chiese di poter morire in quell'istante. Poi si rinchiuse nella sua stanzetta, né mai più da essa volle uscire finché la morte la colse da lì ad un anno. Da quel giorno quella fontana venne chiamata dell'inferno, e il popolano, che da Vizzini ritorna a Buccheri, arrivato in quel punto, non senza provare un panico timore, ricorda la fantastica storiella che sua madre gli narrò fanciullo; e la donnicciuola che passa da quel luogo, col cuore colmo di chimerico timore, si fa il segno della croce e poi recita un'ave alla Madonna. 118 Due o tre chilometri lungi da Buccheri, tirando verso levante, si scorge un'angusta valle ora tetra, spaventevole e minacciosa a vedersi, ed ora bella, incantevole, sorprendente. Il gruppo dei monti che la fiancheggiano in certi punti si avvicinano talmente, che un'agile persona, spiccando un salto, potrebbe facilmente passare da una cima all'altra. È da questa speciale configurazione che piglia il nome di Stretta. In fondo vi scorre un piccolo influente, che nell'inverno si accresce molto colle acque piovane, e diviene rapido e impetuoso. Qua e là l'acqua col suo incessante lavorio ha incavate grandi caverne, piccoli seni e specie di stanze, dalle cui pareti si 119 vedono pendere gran numero di stalattiti. Corre così quella valle per pochi chilometri circa serpeggiando, poi si fa poco profonda e finalmente si perde in una spianata. Presso una contrada, detta Costabalze, forma la valle una specie di grande politeama circolare. Nel mezzo di esso esiste un gorgo molto profondo, intorno a cui la vivace fantasia degli abitanti creò la sua fantastica leggenda. Narrasi infatti esservi nel centro una campana intrisa di sangue omicida, la quale attende la mano benefica di un santo frate cappuccino, che la tolga da quel luogo per rimetterla nel posto ov'era un tempo. Su d'un poggio, che s'eleva lungo il pendio orien tale del monte che circonda quel luogo sorgeva sullo scorcio del secolo IV una chiesuola, che raccoglieva nei dì festivi quei fedeli delle terre circostanti, i quali, non potendo per qualche loro bisogna trasferirsi in paese, lì accorrevano a sentir la messa, che andava a celebrarvi un pietoso frate cappuccino. Erano fra costoro una vecchia grinzosa, il cui aspetto annunziava aver ella da lunga pezza valicati i sessant'anni, ed una sua nipote, orfana d'ambo i genitori, dai capelli di ebano, dagli occhi scintillanti, dalla carnagione rosea, dal corpicino esile. Alla bellezza univa una grazia affascinante. 120 Le sue vesti pulite e ben fatte delineavano con grazia indicibile i profili del suo seno ricolmo; la sua andatura era d'un'incantevole semplicità e sveltezza e lontana d'ogni ritrosia ed affettatezza. Parea una di quelle fantastiche visioni di odalische che i figli del Corano sognano giacenti con molle abbandono al rezzo d'un albero dei profanati giardini del loro paradiso. Solo la poca modestia veniva a guastare quella sue belle doti. Sua nonna era allocata come castalda presso un signore, e viveva in campagna assieme all'unica sua nipote, su cui avea riposte le sue più belle speranze, e che avendo già toccati i sedici anni, anelava vederla presto bene accasata per tema di lasciarla sola al mondo. Ella s'accorse che il sagrestano, giovine sui trent'anni ma di statura piccola e mingherlina, si era invaghito di sua nipote, e non cessava un solo istante di guardarla fisso, e in cuor suo ne gioì immensamente, ché sapeva egli essere di condi zione un po' agiata. Scorsi due mesi circa, mediante un vecchio co lono, suo lontano congiunto, s'ebbe dal sagre 121 stano richiesta in isposa la nipote. È facile capi re quale si fu la risposta. Ma avea ella fatti i conti senza l'oste. La nipote, al primo sentirlo, dichiarò che a vrebbe le mille volte preferito la morte o anda re limosinando, piuttosto che consentire a simile matrimonio. Avea ella giurato fedeltà al figlio di un pove ro giornaliero lacero e scalzo, ma bello nel volto e amante del lavoro. La nonna aveva alimentata quella passione con mille discorsi sibillini, ma o ra, che si offriva un matrimonio migliore, preten deva l'avesse dimenticato subito. E quando si vide spiattellato in faccia che il suo cuore avea promesso a Menico, e ch'era disposta a rinuncia re a qualsiasi agiatezza, pur di sposare l'uomo su cui avea riposto ogni suo affetto, la vecchia, tra sorpresa e adirata, esclamò: Parli tu da senno o scherzi? Come preferisci un pitocco a compare Biagio, il quale possiede non so quante prese di terra, l'impiego di sagrestano che gli rende quat trini a iosa, e per giunta guadagna qualcosa col suo lavoro? Senti, tu credi per ora che il mon do sia pieno di sorrisi, e che sposando Menico passerai la vita in una perenne gioia, ma così non va la faccenda, tutte le fisime di amore svani scono quando il tiranno bisogno si affaccia alla tua 122 mente, e allora, tardi uno si pente di non avere pensato a tempo alla dura realtà della vita. Gli spasimi e le simpatie di cui, segnatamente noi donne, siamo vaghe nella primavera degli anni, non sono che scempiaggini, i veri calcoli si riducono a trovar la maniera di campar bene la vita. Quando i quattrini fanno difetto, l'more scappa via di casa e gli sposi tra loro si accapigliano. Beppina ascoltò impassibile questa tiritera, guar dò poi in faccia la nonna, e con una serietà che facea troppo contrasto colla sua verde età, dichiarò che volea a qualunque costo restare ferma nella sua opinione. La nonna allora montò sulle furie, e borbottando tolse in mano la brocca, per attingere l'acqua alla fonte vicina; ma, arrivata appena avanti l'uscio, si voltò indietro esclamando: Ti giuro che l'ora in cui andrai a marito con quel lurido e pezzente che ci hai in testa, non arriverai a vederla! Arrivò la domenica, e la nonna sta volta andò poco prima del consueto ad ascoltar messa. Alla nipote spiacque tal fatto. L'astuta vecchia si unì a compare Biagio, e con 123 lui cominciò a combinare un vero piano di battaglia per riuscire a capo della faccenda, nell'istante istesso in cui Beppina sorrideva amorevolmente a Menico e gli narrava tutti i progetti fatti dalla nonna sul conto suo. Due giorni dopo era festa di Sant'Ambrogio. La nonna si finse ammalata, e per quel dì non volle uscire di casa. Domenica, oltre la messa, a soddisfare il precetto religioso di oggi, reciteremo in chiesa il rosario. Beppina chinò il capo malinconica. Verso il meriggio comparve sulla soglia il vec chio colono con un pezzo di carne in mano, ed un fazzoletto nuovo, a vivaci colori, e disse alla vecchia: Questa qua la mangerete oggi alla salute di compare Biagio, e il fazzoletto lo metterà in capo la Beppina. Costei si fece rossa in viso, e non profferì sillaba, ma appena il vecchio andò via, piegò il fazzoletto in due, a foggia di triangolo, lo mise in testa, e si guardò allo specchio non sensa una certa vanagloria. Poi corse in cucina e preparò la carne a stufato. Mangiarono allegramente, parlarono di tante cose , e questa volta Beppina non fece il visaccio, 124 quando a lungo udì la nonna parlare del sagrestano e delle trattative di matrimonio. Venne la domenica successiva, e sta volta la fanciulla vestiva con più eleganza del solito. Menico però era pallido e con gli occhi stravolti. Egli non ricevette il consueto sorriso da Beppina, la quale invece si volse a far l'occhiolino al sagrestano. Finita la messa la vecchia nonna colla nipote cominciarono a recitare il rosario. Il cappuccino svestì gli abiti sacri, montò a cavallo alla sua mula, e via per Buccheri, mentre i fedeli si disperdevano qua e là per ritornare alle proprie case. Solo Menico si nascose dietro una folta siepe che sorgeva accanto alla chiesa, aspettando che ne uscissero le donne. Ma dopo un pezzo, vide compare Biagio che dall'alto del campanile mostrava loro il bel panorama, che si godeva da quel punto. Intese allora la sua vista ottenebrarsi, il sangue salirgli alla testa, ed un brivido di rabbia nervosa corrergli per le membra. Siccome dovea quel dì andare per legna al vicino bosco 125 del Frassino, portava addosso una piccola scu re col manico infilato alla cintola. La brandì in alto colla destra, salì sul campanile, si avventò pieno di furore contro Biagio, emettendo un grido da forsennato, e con due colpi lo freddò, Invano le donne cercarono rattenerlo, ché il terzo colpo cadde sulla vecchia, ed allora la Beppina si trasse indietro spaventata. Menico corse a stringerla fra le braccia, la guardò coll'ansia vertiginosa di una prepotente passione, e le disse: Gl'infami che a me voleano rapirti, a furia d'inganni, io mandai all'inferno, ora sei mia!... mia!!... dimmi se mi ami?!... Beppina non rispose, era d'un pallore livido, e tre mava come una fogliolina mossa dal vento. Volse lo sguardo alla povera nonna, che si dibatteva fra gli ultimi aneliti della morte, e svenne. Menico la credette finita per sempre. La tolse di peso sulle spalle, scese in fretta le scale, ed a lei abbracciato andò a gettarsi in un profondo pozzo, scavato nel centro del piccolo cortile attaccato alla chiesa. In quell'istante il vento fischiava impetuoso, ed un crocchio di diavoli danzavano giulivi una ridda infernale; la chiesa non seppe resistere all'urto del 126 l'aria agitata da quelle potenze sataniche, e pre cipitò dalle fondamenta. I diavoli volevano portar via la campana intrisa del sangue spruzzato, ma un angelo dallo sguardo infocato li respinse, andò poi a deporla nel teatro del cennato gorgo della Stretta, e lì starà ancora, chi sa per quanto tempo, finché un santo andrà a pregare nel luogo del tremendo disastro. La chiesa allora risorgerà come per incanto, e la campana suonerà sola e incessantemente a mor torio, aspettando che un nuovo frate cappuccino torni a ribenedirla, ed a lavare con acqua benedetta tutte le macchie di sangue omicida che vi si trovano e che il tempo non è bastato ancora a cancellare. 127 128 VINCENZO OTTAVIANO GUARRELLA MONOGRAFIA DI BUCCHERI 1^ Edizione Ottobre 2010 Nuova ed. Lug. 2014 129 La copertina originale dell'opera. 130 PREFAZIONE Ricordo ancora come fosse ieri la presentazione dell'ultimo libro di Arminio, frutto delle sue faticose ricerche storiche e ricordo ancora quella sua “pacata agitazione” nella Biblioteca Comunale che traspariva appena, lui grande maestro dal volto impassibile al gioco del poker, quel giorno, forse per una delle rare volte in vita sua, lasciava trasparire la grande emozione che provava e il suo vago sorriso che ci rivolgeva sembrava dirci: ecco, vi consegno una parte grande della vostra storia, fatene buon uso e soprattutto ricordatela ai vostri figli e fate sì che i vostri figli la ricordino ai loro discendenti. Era emozionato. Io lo so. C'era una sorta di “feeling” fra noi, prima ancora che amico del figlio io ero stato ed ero amico del padre, pur con la grande differenza d'età, lui gigantesco mostro di cultura, io appena appena in erba ma con una grandissima sete di “sapere”. Mi lanciò appena uno sguardo, ma in quello sguardo mi disse tutte queste cose. Io capii. Lo salutai calorosamente e lo lasciai ad intrattenere gli altri ospiti che intanto arrivavano copiosi ad assistere a quella “presentazione” ma soprattutto ad arraffarsi le copie di quel libro che si sapeva sarebbe stato distribuito gratuitamente. Ricordo ancora la catasta di copie messa in bella mostra e ricordo anche, ahimè, la ressa dei tanti che ne volevano più copie, per sé, per lo zio, per il fratello, per il cugino, per la sorella... A distanza di oltre 20 anni d'allora mi chiedo seriamente: Quanti hanno letto quel libro? La risposta... ahimè è triste. Pochissime persone! E sapete qual è la cosa che aveva fatto scattare la molla e la 131 voglia di appropriarsi di quel libro? Una sorta di “voglia di possesso” materiale, di qualcosa di fi sico come se il “possesso” intellettuale che ne deriva dalla conoscenza (e dalla sola lettura) non valesse molto di più. Una volta una persona, che tra l'altro e per altri versi stimo, ha detto una frase che mi ha lasciato di stucco, a proposito di qualcosa che comunque anche se solo alla lunga distanza, aveva a che fare con la “conoscenza” e la cultura: “che male c'è a volerci guadagnare qualcosa?” Io non gli ho mai risposto a quella domanda, lasciandola cadere nel vuoto, ma ho sempre coltivato la segreta speranza che quella persona si ricreda da sé e che accetti un principio INDEROGABILE che fa parte della mia natura personale e che lo ritengo un principio FONDAMENTALE nei rapporti sociali e umani: LA CULTURA DEVE ESSERE SEMPRE, COMUNQUE E OVUNQUE DISPONIBILE A TUTTI A COSTO ZERO!!! E se non lo fa la politica questo, lasciate almeno che siano i privati, moderni Mecenati a farlo. Per concludere il discorso precedente e chiarire ulteriormente il mio pensiero a riguardo: REPUTO IMMORALE guadagnarci qualcosa, sia pure un semplice caffè, dalla diffusione della conoscenza e della cultura. Ecco perché queste piccole fatiche che ci siamo accollate le mettiamo GRATUITAMENTE a disposizione di tutti. 132 La versione elettronica in formato pdf che a noi non costa nulla è a vostra disposizione gratuitamente, e sempre lo sarà, nei secoli e nei millenni a venire, PER TUTTI. Ma venendo incontro alle molteplici richieste che tanti ci hanno rivolto, ovvero di poterne avere a disposizione una copia stampata su carta, abbiamo provveduto a farla pubblicare da un editore in USA a un costo irrisorio, e con una piccolissima percentuale che abbiamo ceduto e voluto fosse dirottata verso un Ente benefico che voi tutti conoscete: EMERGENCY via Gerolamo Vida 11 20127 Milano tel +39 02 881881 fax + 39 02 86316336 www.emergency.it Un prezzo irrisorio che serva soltanto a ripagare i costi di produzione e delle materie prime, perché: La conoscenza è come la vita! Non ha prezzo! E sarebbe IMPAGABILE se ne avesse uno. Un feeling, abbiamo detto, che non esiste soltanto fra persone reali e viventi, ma anche fra l'autore di un libro e chi sa leggere fra le sue righe. È come un filo sottile che lega colui che l'ha scritto con colui che lo legge, anche a distanza di decenni o di secoli. In questo senso, Vincenzo Guarrella Ottaviano non è morto. Egli vive ancora, come Arminio, fra le righe dei suoi scritti. 133 Fortunato quel lettore che riesce a leggerne fra le righe la vera anima, perché è quella che lo scrittore ha voluto realmente consegnarci. Ero alle prese con la trascrizione di questa Monografia, alle pagine 15 e 16 e non ce l'ho fatta ad andare avanti. Mi sono fermato perché voglio descrivere ORA la grandissima emozione che mi ha trasmesso il Guarrella parlando di quello che ha provato mentre stava seduto in contemplazione «...all'ombra di una grotta della Stretta, mentre in alto contempla lo spazio, ch'ebbro di sole sfavilla nei silenziosi meriggi d'oro; quanta sublime rassegnazione scende nell'animo, come una mistica carezza, avvicinandosi ad una spelonca tutta avvolta in un'ombra leggera e soave... ». È vero, le sue opere, dal contenuto e dal dichiarato intento di essere rigorosamente descrittive (ed aride) opere storicogeografiche in realtà contengono molto del suo Essere. E noi non possiamo che dirgli grazie! Grazie per averci trasmesso e tramandato queste cose. Ai lettori moderni una sola raccomandazione: Se abbiamo commesso qualche errore vi chiediamo di essere indulgenti e di segnalarceli per eliminarli. Vito Gambilonghi 134 V. GUARRELLA OTTAVIANO §§§§§ Monografia + + + Di + + + + BUCCHERI § Tratto dalla prima edizione RAGUSA TIPOGRAFIA DISTEFANO --1908 Libera trascrizione e riedizione anno MMX (30 Ottobre 2010) 135 ALTRI LAVORI LETTERARI PUBBLICATI DAL GUARRELLA § 1. Pensieri sull'istruzione ed educazione dei giovani. Un vol. Ragusa, Tip. Piccitto e Antoci. 2. Osservazioni storicopolitiche sul giuoco Palermo, nella rivista: Il Solunto. 3. Povera Nerina! Novella Venezia, Tip. Del Tempo. 4. Biografie d'Illustri contemporanei Catania, nella rivista Archimede e nel Corriere. 5. Sulla riforma dell'istruzione pubblica in Italia Ragusa, Piccitto e Antoci. 6. Il Progresso e il popolo Un vol. Ragusa. Piccitto e Antoci. 7. Le confessioni di Evaristo Romanzo, in appendice del Corriere di Catania. 8. Eugenio ed Adelina, nell'Illustrazione del Treves di Milano. 9. Racconti e leggende Un vol. Ragusa Inferiore. Castello e Puglisi, Editori. 10. Fior di ciola Romanzo, in appendice del Corriere di Catania. 11. Compendio di storia Ebraica e Greca – Torino, G. Tarizzo e figlio, Editori. 12. Storia romana e medioevale, per gli alunni delle scuole primarie Torino, G. Tarizzo e figlio, Editori. 13. Il Conte di Carmagnola e la tragedia del Manzoni Studio storico critico. Un volume estratto dalla grande rivista: La Rassegna Nazionale di Firenze. 14. Antologia per le prime classi ginnasiali, tecniche e complementari, 3.a edizione Palermo, Nunzio Pisciotta Editore. SOTTO I TORCHI Sorrisi e lagrime della Patria Milano, L. F. Pallestrini, Editore. DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE 1. Vent'anni fra le rupi ! Novelle e panzane. 2. Gli usi civici nel demani comunali di Buccheri in base a sentenze e documenti dei secoli XII, XVIII e dei primordi del XIX. 136 137 == == == PROPRIETÀ LETTERARIA == == == 138 All'Augusto Umberto I. EROICO GUERRIERO SUI CAMPI DI CUSTOZA EROE DELLA CARITÀ A POLISENE, AD ISCHIA, A BUSCA, A NAPOLI PRONTO SEMPRE A SFIDARE IMPAVIDO SACRIFICI E PERICOLI PEL BENE DELLA PATRIA E DEL POPOLO GENEROSO E SUBLIME NEL PERDONARE LE OFFESE DELLE COSTITUZIONALI GUERENTIGIE FEDELISSIMO CUSTODE TRATTO AL CIELO ANZI TEMPO CINTO DELL'AUREOLA DEL MARTIRIO QUEST'UMILE FIORELLINO DEVOTAMENTE CONSACRO COL VIVO AUGURIO CHE IN UMBERTO II SI CONTINUINO LE SPLENDIDE E MAI SMENTITE VIRTÙ DELLA MILLENARIA CASA SABAUDA 139 Buccheri Il viandante, che da Palazzolo Acreide si dirige a nord ovest, dopo aver percorsa la parte orientale dell'al tipiano di monte Lauro, arrivato nel punto ove la via rotabile forma un crocicchio colle altre due che vanno oppostamente per Giarratana e per Ferla, vede apparir l'alto campanile di Sant'Antonio, e dopo alquanti passi, in una valle circondata da colline e da poggi a dolce pendio, che la rendono immagine d'un grande anfiteatro, scorge ad un tratto Buccheri. Alla sua destra s'inalza maestoso l'antico monte Tereo, che prese poi nome di Castello, dal forte che fu eretto sul suo picco. Il comune era prima nei suoi pressi, e si prolungava per il dorsale, che dal lato est va fino al cocuzzolo della Maddalena, ma dopo il tremuoto del 1693, che quasi totalmente lo distrusse, fu riedificato più in basso. L'alveo del torrente, che lo taglia quasi in due parti uguali, alimentato dai molteplici borri e dai rigagni, che si formano nel verno in quasi tutte le vie, s'ingrossa sovente e diviene minaccioso, e fu provvida cosa, se quasi un secolo addietro, per comando dei cittadini, venne coperto tutto d'un bel ponte, su cui è l'elegante via, che in ricordo delle infelici vittime delle barbare orde africane fu battezzata Dogali. 140 Ampie e lastricate di lave basaltiche sono le principali vie, ma caotiche, scoscese, e sparse di sassi irti e dentati le secondarie, ed è gran ventura se chi s'arrischia a transitarle nelle grigie notti invernali, non incespichi ad ogni piè sospinto. Eppur chi sa quanti secoli sono state ricalcate da orme umane, senza che alcuno abbia mai posto intendimento a migliorarle. Ha quattro piazze, di cui la più vasta è quella dei Ca nali. Notevole è anche la Piazzetta, che più di due secoli or sono costituiva il centro dell'antico comune. Sul suo lembo occidentale sorge un elegante palazzotto, che all'esterno ha un color di pattona andata a male, e che fu un tempo dimora del Signore di Buccheri. Torno torno, tirando verso ponente, è un dedalo di viuzze, di ronchi stretti, luridi, sassosi e fiancheggiati di umide e nere ca tapecchie, addossate l'una sull'altra, mezzo dirupate e di desolata apparenza. Questo quartiere è uno schietto avanzo del feudale comune, in cui lo squallore, l'abbandono e la più deprimente miseria faceano strano contrasto collo smodato lusso, l'esagerato fasto e l'insipiente orgoglio del prepotente Don Rodrigo, che dall'alto del suo severo balcone degnava a quando a quando d'un bieco sguardo la lerciosa e pezzente plebaglia costretta da certi obbrobriosi privilegi di casta, e più ancora dal nero spettro della fame, a piegarsi umilmente ai suoi assoluti e liberticidi capricci o ammiccava l'angelica forosetta, per costringerla 141 sovente fra il dolore e lo sdegno, a spegnere l'aureola purissima del suo candore fra i suoi lubrichi artigli, mentre la sua dolce metà negli ampi saloni adorni di splendidi arazzi, di mitologici affreschi, di eleganti mobiglie, di sontuosi arredi vezzeggiava colla Vergine cuccia delle grazie adorna,[1] o s'esercitava a danzare il minuetto o a dondolarsi nel l'alcova col suo cicisbeo, o si sollazzava fra una pleiade di amanti, dei quali, con delicata cura, chi le carezzava i ricci dei capelli, e chi le profumava le nivee spalle o il ricolmo seno. E intanto in alto, per l'immenso aere, muto, superbo, cupo, pari a severo e raccapricciante spettro torreggiava il Castello, vindice custode degli aviti e intangibili privilegi di quell'aristocratica famiglia. Posizione astronomica. La sua posizione astronomica è fra il 37 di longitudine e 23 e 30 di latitudine. Popolazione. La sua popolazione era nel 1861 di 3999 abitanti; nel 1871 di 4223, nel 1881 di 4330; nel 1901 di 5221 con 1432 famiglie. Da precedenti sta tistiche risulta che nel 1500 contava 2338 abitanti, nel 1600 n. 2551; nel 1713 n. 2093; nel 1760 n. 2340; nel 1798 n. 2840; nel 1831 n. 3158; nel 1852 n. 3075.[2] Viabilità. Buccheri è il centro da cui si diramano diverse vie rotabili per Ferla, per PalazzoloSiracusa, per GiarratanaRagusa Ibla, per Lentini, per Vizzini. La più 142 vicina stazione ferroviaria è quella di Vizzini, da cui ogni dì una carrozza postale passando da Buccheri va per Ferla, mentre un'altra da Buccheri compie lo stesso cammino per Palazzolo AcreideSiracusa. Esso dista: da Siracusa Km 60, da Noto 49, da Ferla 13, da Ragusa 39, da Pa lazzolo Acreide 17, dalla stazione ferroviaria di Vizzini 20. Emigrazione. Proporzioni vastissime ha presa la emigrazione, che fino a pochi anni or sono era quasi sco nosciuta, e il fiore della gioventù porta altrove il bene ficio delle più vive e feconde energie. Mossa da quella eterna ammaliatrice ch'è la speranza, sfida impavida le ire dell'Atlantico per dirigersi in America, da tutti con siderata come la panacea d'ogni male. Sotto alcuni aspet ti fu apportatrice di vantaggi molti, e pei cospicui ri sparmi quasi giornalmente pervenuti, e perché venne a stabilire un certo equilibrio tra l'offerta e la ricompensa della mano d'opera. Qui, come in tutta Italia, troppo densa per chilometro quadrato era la popolazione, la terra cominciava a mo strarsi insufficiente a produrre il necessario per l'igienica e completa alimentazione dei figli suoi e il nero spettro della teoria di Malthus[3] s'affacciava minaccioso allo sguardo degli studiosi. L'allontanamento di miriadi di giovani, nel periodo del maggiore sviluppo virile, giovò cotanto a sminuire i matrimoni e le nascite eccessive. L'emigrato, trovandosi poi in contatto di civiltà diverse, ha l'agio di apprendere nuovi usi e costumi, più 143 razionali sistemi di produzione, migliori macchine industriali ed agricole, e fa conoscere ed apprezzare altrove i nostri prodotti naturali ed artistici, schiudendo ad essi novelli mercati. Quale la causa vera dell'emigrazione? Abbastanza complesse e svariate ne sono le ragioni. Secondo il Prof. A. Mosso chi emigra è generalmente un povero intollerante del suo stato, è un proletario più nobile degli altri proletari, perché più intraprendente e vuol vivere meglio. La volontà sua è più forte, come di chi deve effettuare le sue risoluzioni, dominare gli eventi, lanciandosi nel vortice dell'ignoto. V'è chi sostiene, che lasciano la patria, per abbandonarsi ai volubili capricci della sorte, gli spostati e i pessimi elementi, ed altri che siano gli avventurieri e gli ambiziosi d'arricchire. Chi guarda con occhio imparziale, trova ch'è principalmente il tiranno bisogno e il sentimento del meglio, omai penetrato in tutti i cuori, che spinge i poveri diseredati della fortuna, a cercare lungi del paese natìo più adatti mezzi a soddisfare gl'imperiosi bisogni della vita. Senza le tristi notizie della recente crisi americana, non un solo a cui non sarebbe mancato il mezzo di raggranellare la spesa del viaggio, sarebbe qui rimasto. Questo doloroso esodo comincia ora ad impensierire molto gl'industriali e specialmente gli agricoltori, che, per assoluta deficienza di braccia, son costretti a limitarsi alla coltura delle sole terre profonde e lasciar le altre in abbandono. 144 Se sin dall'inizio i grossi possidenti, a vece di tuffarsi in un insipiente indifferentismo, si fossero data amorevole cura a rendere meno aspra la vita dei lavoratori, si sarebbe certo se non impedita attenuata molto l'emigrazione. Ma è doloroso il confessarlo, alcuni per nauseante egoismo o pel timore da cui furon presi alla vista delle agitazioni a cui si diede il proletariato per uscir dalle sue strettezze economiche, a vece di trovare un facile e sicuro mezzo a curare il male dalla radice, salutarono con gioia, anzi usarono ogni melato artifizio per favorire l'allontanamento dei più forti e intelligenti operai, ritenuti gli antesignani di quei mo vimenti. Non pensarono, che i loro papaverici sogni sva niranno presto, perché i più torneranno un giorno più evoluti, con più libere e indipendenti aspirazioni, e che per altri s'avrà forse la sventura di vederli guasti dall'orgia e dalla depravazione morale e intellettiva in cui si gavazza in certi siti dei popolosi centri, così divezzandoli dalla paziente fatica e dal culto di Cerere. Geografia fisica e biologica Territorio. Esso è tutto alpestre, e in parte allo stato preistorico: solo qua e là esistono brevi pianure, vallate a troguolo o piatte, piccoli rialti e altipiani, di cui il più importante è quello di monte Lauro. Tutto il territorio è di 5356 ettare di terra, e si estende nel più curioso modo; a nord arriva poco lungi di Francofonte, e ad ovest a poche centinaia di metri dall'abitato si ha quello di Vizzini, il quale 145 comincia coll'ex feudo Terra di Bovo, che apparteneva un tempo a quel di Buccheri. ( Veggasi la decisione del vicere di Sicilia 19 luglio 1608 sul ricorso Vincenzo Platamone di qui). Idrografia. Buccheri ha tre ricche fontane pei suoi bisogni interni: quella del Piano dei Canali, con quattro copiosi getti d'acqua; quella di Bilinceli con due getti d'acqua limpidissima e pura e quasi ghiaccia in està; e quella del Bellimento. Da monte Lauro sorgono i principali fiumi della pro vincia di Siracusa. 1. L'Irminio, Hirminius di Plinio, che passa per Giarratana e l'antica Ibla Herea, oggi Ragusa Inferiore, e si scarica presso Donnalucata; 2. L'Anapo, che trae sua origine dalla valle di Gu fari, e, dopo bagnati i territori di Buscemi, Ferla e Sor tino si versa nel golfo di Siracusa; 3. Il Tereo, cotanto celebrato da Tucidide e da Plinio, detto anche Passomarino ( 1 ), il quale scorre nella valle ad ovest del Castello, e il S. Leonardo che ha il suo principio a Goso, sito a nordest di questo stesso monte: entrambi, dopo un certo corso, si uniscono, e vanno a morire presso Lentini; (1) Si crede avesse preso tal nome per essere stato in altri tempi navigabile. Allorché i Fenici vollero avanzarsi in queste contrade colla loro flotta, passarono pei campi lentinesi, navigando nel Teria; ma temendo i Sicani la loro invasione, ne nacque una forte battaglia, confermata da Diodoro e dalle monete trova te, che ne esaltano i protagonisti (Alessi, Storia critica di Sicilia, vol. 1, part. 2.) Secondo il Bocharto la parola Terias è d'origine cartaginese, e significa: fiume di traffico e del commercio. 146 4. L'Ieria che nasce a Roccalta, all'est dell'altipiano di monte Lauro, e si avanza nei campi di Lentini; 5. Un ramo del Simeto (Symaethus); 6. Dal lato di Vizzini nasce anche un ramo del Diril lo, che si credette l'antico Agate, errore che fu cor retto d'alcuni studiosi, specie dal Holm. Geologia. Monte Lauro è un vulcano estinto, come lo mostrano ad evidenza le sue lave (1). Nella notte dei secoli, mentre ancora attorno all'Etna regnava l'abban dono e il silenzio, e nulla facea presagire l'emersione di questo gigante dell'isola, da noi invece, come scriveva Seneca, l'aere era sovente ingombro a grandi distanze (involutus est dies pulvere populosque subita nox ter ruit), e Vulcano, questo irrequieto dio del fuoco e della metallurgia, squarciando le rocce calcari dell'epoca ter ziaria, facea sentire potenti i suoi boati, e pria ancora della comparsa dell'uomo sulla scorza terrestre, lanciava in aria quelle masse basaltiche e cristalline, che ora bril lano al fulgido raggio del sole. La continuità, l'ineguaglianza e la costituzione di queste montagne, manifestano le convulsioni a cui andarono soggetti, e la loro ininterrotta comunicazione coi centri ignivomi, mentre i loro strati, i numerosi dischi e le non rare e abbondanti colate basaltiche, sono indelebili pagine lasciate dai secoli per la ricostituzione della teologia naturale. (1) Gemmellaro. I vulcani estinti in Val di Noto. 1833 147 Questi luoghi hanno una speciale importanza pel geo logo, presentando eccezionali e grandi anomalie. Scordia, Palagonia, Militello, Francofonte sorgono su breccia conchigliare pliocenica e su basalti, ma « a Buccheri, scrive il dotto Baldacci nella Descrizione geologica dell'iso la di Sicilia (Vol 1, pag. 289) la formazione basaltica acquista una grandissima estensione, e in quest'area il terreno è interamente basaltico. Da questa vasta superficie basaltica, si distacca a sud un contrafforte, che forma la cima dell'elevato monte Lauro (985 m), e si spinge, ma molto più stretto, fino al monte Canalotto ( 762 m.) a nord di Giarratana. Oltre il monte Lauro, ch'è il punto più culminante di questa regione basaltica, vi sono numerose colline abbastanza elevate. Dal monte Lauro si stacca uno sperone basaltico, che si dirige prima verso est, poi verso nord – est, passa presso il paese di Buc cheri, e forma ad est di questo paese una serie di alti poggi, fra i quali il monte Contessa (920 m). Questo contrafforte basaltico continua a nord verso il monte S. Venera (869 m.) e si riunisce poi alla massa principale. Alle falde orientali di monte Lauro, ma più ancora alle sue falde occidentali, sono largamente sviluppati i tufi basaltici. Tra la massa principale e il contrafforte ora citate, sta racchiusa una vasta isola dal calcare caratte ristico a fine grana del Siracusano, riferibile all'elvezia no[4] ». Ed altrove aggiunge: « I terreni dei quali fa parte il monte Lauro risalgono all'epoca secondaria ed al 148 terreno cretaceo superiore, con ossatura basaltica; constano di calcare e vi si rinvengono sferoliti e spengiarie. A differenza degli Iblei, che sorsero più quietamente, i monti più pressi al Lauro, appoggiandosi al centro vulcanico di Buccheri, subirono maggiori flagelli e sconvolgimenti, e dalle loro viscere si trovarono gli strati primitivi squar ciati e in frantumi, gettati come massi avventizi fra i prodotti terziari. Si vede quindi dai fianchi lacerati lo schisto micaceo alternarsi all'argilla: un filone di silice riposare su un serpeggiamento gassoso: un geoda nuotare in un banco cretaceo: sotto le sabbie recenti presentarsi le argille plioceniche, che spesso s'interrompono per dar posto ad una colata di basalto ». Secondo A. F. Ferrara (Vulcanologia geologica, Cata nia 1845) «[5]monte Lauro al basso è cretoso, sino a metà o anche più in su ha grandi banchi di calcare, il resto, fino alla cima è coperto di ammassi vulcanici solidi, di scorie e di arene ». Nell'ex feudo Alberi, a nordest di Buccheri, esistono basalti cristallini per lo più sferoidali, d'una compattezza e durezza immensa, il che può derivare dall'epoca antichissima o dalla speciale natura della materia eruttata dall'estinto vulcano. Giacimenti minerali. Il dotto Gemmellaro, nell'opera citata, notò « esistere in alcuni punti poco discosti di Buccheri, calcare a grana grosse, carico di conchiglie e di ossa di pesci, mentre in altri siti vicini n'è privo ». 149 A sud, ad est ed a nordest sono importanti miniere di tufo basaltico ed arenario, mentre ad ovest e nordovest se ne hanno di abbondante tufo calcare. In contrada Mastriedo ve n'è una di pomice, ottima per costruire le volte delle stanze; nel vallone a ponente si ha un calcare compatto, ch'è una specie di marmo giallognolo, ed a Costapero un altro a grana finissime, ottimo per lastre delle stanze, ma superiore a tutti è quello della Stretta, per la sua candidezza alabastrina e la sua compattezza, con cui possono farsi lavori d'intaglio esterni, da sfidare per secoli i forti rigori del gelo. È la Stretta una valle che principia a Goso, e che per la sua speciale forma piglia tal nome. Per più di due chi lometri, e propriamente fino al punto denominato Bausitto, presenta in alto la forma d'una gora irrigabile, e in certi punti è così angusta che in più luoghi, specie nell'inverno, i rovi coprono gli opposti ciglioni e la nascondono all'occhio umano, mentre in fondo i flutti col loro sciabordìo, spumeggiano e producono qui un leggiero e dolce murmure, là un forte ululìo. Dal Bausitto in giù i due defluvi si allargano, ma dopo 200 m. circa tornan di nuovo per poco a restringersi, come per darsi un ultimo abbraccio. Son essi formati da enormi ammassi di calcare siliceo, e scendono a grandi bassure quasi sempre verticalmente. Sembrano tagliati da un poderoso colpo di scure del Net tuno scandinavo Thorr. L'acqua, col suo lento e continuo lavorio, ha scavate gran numero di meravigliose ed ele 150 ganti grotte, vaghe cavità, tetre spelonche, dalle cui immani e robuste volte pendono miriadi di stalattiti, e nel fondo ha aperti profondi laghetti, che a volte ne impediscono il passaggio. Il cuore s'agita e freme, e prova un turbinio di mol teplici e svariate sensazioni, alla vista di quei luoghi or incantevoli e soavi, or foschi ed orridi, ma sublimi sempre. Quanta alata poesia s'affolla alla mente, di chi siede all'ombra d'una di quelle grotte, mentre in alto contempla lo spazio, ch'ebbro di sole sfavlla nei silenziosi meriggi d'oro; quanta sublime rassegnazione scende all'animo, come una mistica carezza, avvicinandosi ad una spelonca tutta avvolta in un'ombra leggera e soave; quante lugubri visioni cozzano invece nel pensiero, di chi s'inoltra nella parte più buia di quella specie di mondo sotterraneo, che ad arcane lettere manifesta, come tutto lentamente e inesorabilmente travolge il tempo nell'inesorabile voragine dell'oblio. Sottosuolo. Il sottosuolo di Buccheri, secondo l'illustre prof. Riccò, non presenta grandi cavità, lo stesso fenomeno notò per monte Lauro. Tal fatto può attribuirsi all'abbassamento dei soprastanti basalti, a causa di successivi movimenti nelle viscere sue, o dell'inumidirsi della materia cretacea, che ne forma la base. Flora. Molto diffusa è la coltura del sughero, del castagno, del nocciolo, del pero, del noce, del fico, del fico d'India. L'ex feudo Rizzolo e alcuni punti del 151 Frassino son popolati di aranci e di limoni. Abbondano anche il rovere, la farnia, il pino da pinocchi, il melo, il nespolo, il mandorlo, l'albicocco, il ceraso, l'ilice, la canna; né mancano le piante aromatiche e medicinali, come: l'alloro, il rosmarino, il timo, la mammola, lo zafferano e molte altre. Estesissima è la seminagione del frumento, dell'orzo, delle fave, dei ceci, della lenticchia, del pisello, del cicerchio di cui si fa scarso commercio. Ma il principale prodotto vegetale è l'olio, ch'è il migliore di Sicilia, e il solo che possa gareggiare con quello di Lucca. Quasi ogni anno ne fanno larghi acquisti i francesi e i genovesi. Fauna. Allevansi in copia: vacche, pecore, capre, asini, muli e gallinacei. Clima. Il clima nel'algida bruma è rigidissimo, sovente Grandine grossa e acqua tinta e neve per l'aer tenebroso si riversa,[6] e il paese presenta qualcosa di tetro. Allora si scorge appena a una spanna l'accidiosa luce dei fanali a petrolio, con cui son illuminate le pubbliche vie, mentre sul fondo si vedono com'ombre nere le melanconiche case. Nell'està è però una mite ed eterna primavera, l'aria purissima e saluberrima è imbalsamata di freschissimi zefiri, e di rado c'è afa calorifera. 152 Storia La storia di Buccheri è avvolta nell'oscurità dei tempi, giacché nessuno pensò mai nel passato con intelletto di amore a spargervi un po' di luce. Scrive il Fazello essere un castello chiamato così dai Saraceni da Buker loro re, successo a Fatlo nel dominio di Sicilia, ma non dice, se il comune sia stato o no da loro fabbricato, e nemmeno da quali documenti derivò la sua convinzione. Gli altri storici che se ne sono occupati, han ripetuta, quasi tutti, la stessa leggenda (1), mentre un accurato esame mostra invece antichissima essere la sua origine. Che i monti Erei (2) descritti da Diodoro siano quelli di cui monte Lauro è il nocciolo principale, e da cui si diramano diverse catene per tutta la provincia di Siracusa, la migliore critica storica lo ha chiaramente e concordemente dimostrato (3). (1) Volersi inferire l'origine d'un comune dalla semplice somiglianza del suo nome a quello d'un capitano, senza tener conto d'altre ciscostanze è un non senso. Trovansi spesso luoghi aventi la stessa denominazione, pur essendo diversa la loro origine. E nel caso in ispecie troviamo: un'antica città egizia, chiamata Bocalir o Bicheri; Buccari, un comune di Croazia; Buccheria, paese del mar Caspio; Bructeri, antichi popoli presso il Reno germanico; Boccori, sapiente legislatore egiziano vissuto 912 anni pria di Cristo; bucchero chiamavasi anche un vaso di balo odoroso, tanto comune nell'India e nel Portogallo. (2) Erei hanno opinato alcuni significare sacri ad Era, divinità greca; in basco, secondo Cantù, vuol dire città; altri scrittori dicono meglio indicare: luogo difeso, città fortificata. (3) All'uopo si consulti anche la memoria presentata all'Accademia dei Lincei di Roma dal Prof. P. Orsi, Nuove esplorazioni nella necropoli d'Ibla Heraea 153 I suoi fianchi e i circostanti luoghi mutansi con rapida alternativa in dolci declivi, chine scoscese, onduleggianti piani, scabrose creste, ombrose gole, leggere sinuosità; a volte van giù a picco, e destano la vertigine degli abissi. Nel verno vi imperversano di continuo il nevischio e l'aquilone, ma in està pel suo ciel di zaffiro, per la dolcezza del suo clima, specie chi vi sale nelle ore del morente dì, crede trovarsi in uno di quei paradisiaci luoghi, sognati spesso dalle belle figlie del corano, mentre sotto le moschee volgono il pensiero ad Allah. I suoi d'intorni son tutti cosparsi d'amenissimi siti, di fresca acqua abbondanti, e dove prosperano in modo meraviglioso virenti frassini, alberi di squisite frutta doviziosi, e floride viti. (1) Al suo lato nord è poi l'amenissima valle di Passomarino, che fiancheggia Buccheri, tutta popolata d'ombrosi boschetti di noccioli, di ciliegi, di noci, di meli, di castagni, di quercie, ed inaffiata di purissimi ruscelli, immezzo a cui par di sentire ancora i Fauni e le danzanti Naiadi. Quasi tutti i comuni portano il nome istesso, che si dava al luogo o alla città su cui sorsero, con quelle modificazioni foniche conseguenza dei popoli che vennero a sovrapporsi gli uni agli altri. E noi troviamo, la sommità di questo gruppo montuoso essersi chiama to sempre Lauro, ed essere stato o essersi creduto (1) A giudizio d'alcuni enologi, tra cui il compianto Dr. C. Perrotta, le sue terre sono fra le più adatte per vigneti. 154 l'ordinaria dimora di Dafni(2a), l'autore del verso buccolico e perciò detto anche Buccolo; Ierabou (1), ora Terra di Bovo il leggero suo pendìo a nordovest; Tereo (2) il monte su cui anche adesso s'adagia parte del comune; Iereo, il fiume di Roccalta. Allorché la parte orientale della Trinacria passò al dominio dei Fenici, amanti com'erano essi del traffico e del commercio, tennero per se le città marittime, e i Fenici, ch'eran dediti alla pastorizia, fissarono lor di mora nell'Ibla Herea, Ceretano, Bini, Eubea, Militello, – – – (2a) Dafne in greco significa Lauro. Teocrito parla di più Dafni esistiti in luoghi diversi, e che poi idealizzandolo avesse fatto ogni popolo del suo un essere mitologico, fu proprio dell'indole degli antichi. « Molti Ercoli furono di che le mitologie fecero un Ercole, molti Giovi, di che un Giove; molti Bacchi di che un Bacco»[7] (Balbo – Meditazioni storiche, pag. 424). (1) Ierabou significa sacro bue. (2) Tereo fu re di Tracia, e i Sicani, che furono tra i primi abitatori della Triquetrua, furono appunto traco pelasgi. Né vale l'asserirsi d'alcuni non esser mai esistito quel re, perché anche degli esseri fantastici si servivano gli antichi a battezzare un luogo. È poi noto che quando gli archeologi non riescono a trovare una moneta o un'iscrizione – forse perché andate disperse o distrutte in tanti secoli di barbarie – la quale accenni a un re o a un guerriero, se ne escono pel rotto della cuffia esclamando, esser semplice parto d'immaginativa degli antichi. G. B. Perès pubblicò per canzonatura un lavoro – tradotto in italiano dal Foulques, con prefazione del Direttore del Giornale degli Eruditi « Napoleone non è mai esistito » per provare che in avvenire si dirà certo quel forte guerriero essere un mito, e che sotto quel nome intendevasi la personificazione del sole; e Alberto Rondani, in un brillante lavoro colmo d'umorismo scrive, che lo stesso avverrà pel Grande Vittorio e per Garibaldi, su cui gli antiquari chi sa quanto si sbizzarriranno, eziandio sulla etimologia del nome. Il Massa, nella Sicilia in prospettiva dice: « Mons Thereus dove nasce una sorgiva del fiume S. Leonardo » e che questo fiume sia appunto quello che muore non lungi di Lentini, nessuno più lo mette in dubbio. 155 Leontini. Essendo Buccheri il centro d'un gruppo d'antichissimi comuni, non è supponibile sia rimasto inabitato, considrando sopra tutti ch'era il luogo, che meglio rispondeva agli usi e costumi degli antichi popoli, e segnatamente dei Siculi, di annidarsi nelle alture, e di tener come sacri i boschi, a cui prestavano reverente culto. E su monte Lauro e nei suoi pressi era una folta e maestosa pineta detta Binit, la quale conservò questo nome latino, come scrive l'Amari (Storia dei Musulmani in Sicilia), anche attraverso la dominazione dell'islamismo. Chi osserva i numerosi sepolcri siculi del XII e IX secolo avanti Cristo e V e VI secolo dopo Cristo esistenti nella valle di Gufari (1), e quelli che sono a Costa Grotte, a Sant'Andrea, alla Stretta (2), a Scarà, e le non poche monete greche che nel castello e nelle prossime campagne si trovano, meglio si convince sulla vetustà di Buccheri e sulla sua origine sicula, (3) e può con sicurezza asserire derivare il suo nome da bos Heraei (4). – – – (1) Sebbene per la curiosa divisione fatta dei territori del dominio feudale dipenda da Buscemi, è però di qui molto più vicina. (2) Sono più in alto di quelle scavate dall'acqua. (3) Alquanti anni or sono, a nord del Castello, trovammo un bel masso – ora distrutto da qualche ignorante capraio, o da uno di quegli operai, che lì vanno spesso a intagliar pietre – su cui erano scolpite alcune lettere greche, in parte logore o distrutte, che ci affrettammo a copiare: ι … ρος [i … ros ; Iota … Ro Omicron – Sigma] e più giù ρ … ων [r ... on ; Ro … Omega – Ni] (4) Presso i primitivi popoli tutto fu ideografico e simbolico, si volle cioè ritrarre le idee e le figure dei fatti, e ciò s'ebbe eziandio per Buccheri, che pare significhi Bue degli Erei. In latino fu detto Buccherium; Maurolico, 156 L'Edrisi (1) scriveva di questo comune: È paese im portante e soggiorno popoloso, ricco di produzioni del suolo e abbondante di frutta. Il suo territorio tocca dal lato occidentale la Binit, e dagli altri lati confina col territorio di Lentini e di Buscemi. Egli che ne avrebbe avuto interesse, non fa cenno alcuno sull'origine e sul nome dato a Buccheri. Amato Amati, nel suo Gran dizionario corografico d'Italia, dopo avere ripetuto la solita leggenda del re saraceno, aggiunge: che ugual nome portasse un'antica città a cui si attribuiscono alcune rovine vicine. Ma il fatto più importante si è che nell'istoria dei tre martiri cristiani S. Alfio, Filadelfio e Cirino, scritta nel terzo secolo dell'era volgare in idioma greco, è fatto cenno di Buccherea, il che prova la sua preesistenza all'invasione musulmana. (2) Il Massa nel vol. 2 della Sicilia in prospettiva, par lando delle terre non più esistenti in Sicilia, dice esser Bucchero, casale nel 1186 dal re Guglielmo assegna to alla chiesa di Monreale, d'aver avuto tal nome da Buker re dei Saraceni, e di rimanere di esso – – – Carafa, Pirri lo chiamarono Bucchereum e papa Alessandro III Buccherea. Il Rocco Pirri, ci piace ricordare fra parentesi, a pag. 681 della Sicilia Sacra scrive di Buccheri: In colle parum edito Kaereus a famiglia Morram odie, sub Hieraeymo ecc. (1) Scrittore saraceno, nato a Ceuta in Africa nel 1099, morto verso il 1175. Dettò l'opera storicogeografica Nushat al mushtak tradotta in francese dal Jaubert. (2) P. Carrera Mem. Di Catania, Vol. 1. lib. 2 cap. 2. 157 una semplice osteria detta Bucharra (1). Può darsi dunque aver confuso il Fazello questo comune col casale monrealese. La storia di Buccheri seguì per lunghi secoli le vicende comuni a tutta l'isola, dopo il dì segnato Che da le torri sicule tonaro Come arcangeli i vespri,[8] la Sicilia, a vece di costituirsi a governo proprio ed in dipendente, si diede nelle mani di Pietro d'Aragona, senza pensare che un regime straniero, foss'anche il più giusto e savio, sarà sempre funesto ai popoli. Gli angioini tentarono più volte e inutilmente riconquistare la bella Trinacria. Morto intanto Carlo I e Pietro, lo spergiuro Carlo II, detto lo Zoppo, coll'aiuto del papa ed altri principi, costrinse Giacomo, figliuolo di Pietro e re d'Aragona, a rinunziare ai suoi dominii di Sicilia, e ad aiutarlo eziandio a farne l'acquisto. Ma i siciliani, sdegnando ricadere sotto l'aborrita tirannide francese, con pompa solenne proclamarono re Federico, terzo genito di Pietro, e si apparecchiarono alla difesa. Gli alleati, dopo essersi impossessati con poca fatica di Patti, Milazzo ed altre terre, assediarono Siracusa. In quel tempo Buscemi, Palazzolo, Sortino, Ferla e Buccheri, per timore della guerra, s'arresero al – – – (1) Il P. Cascini nella 1.a digressione (cap. 3.) della vita di S. Rosalia, citata dal Massa, dice che Buccheri era nello stesso sito dov'ora è il tempio di Monreale o accanto ad esso, come si ha dal privilegio del re Guglielmo iuxta ipsum monasterium. 158 re Giacomo. Pochi giorni dopo Buccheri, con leale ardimento, ritornò sotto l'antica fede, e allora Giacomo gl'inviò ad assediarlo un buon nerbo di soldati co mandati dal conte d'Urgel. E più volte s'avanzò vigo rosamente all'assalto con alla testa i feritori, ma quei di dentro vegliavano dì e notte sulle mura, e con travi, sassi e catapulte resero vani i suoi belligeri sforzi, e lo costrinsero a levare il campo. Dubitando però i buccheresi d'un nuovo e più forte assalto, abbandonato il Castello, si rifugiarono altrove. Ciò saputo Federigo, temendo che i suoi nemici tornassero per impadronirsene, lo fece munire di esperti difensori. Dopo varie vicende, quasi sempre avverse, Giacomo ri tirossi a Napoli. Essendo qui stato tacciato di dappocag gine, n'ebbe le bizze, e apparecchiata una nuova flotta, tornò in Sicilia. Presso il capo Orlando diede una terri bile sconfitta al fratello, ma avendo perduto il fiore dei suoi ufficiali, fece proposito di non più servire di cieco strumento alle ambiziose mire angioine, e ritirossi nei suoi stati in Catalogna. Allora lo Zoppo mandò in Sicilia Roberto duca di Calabria, il quale s'impadronì di varie castella. Ruggero di Lauria assediò Buccheri e Vizzini; si difese questa cittadina eroicamente, ma lusingata poi da Giovanni Collaro, capitano vizzinese al soldo dei francesi, si arrese, e il suo esempio fu seguito da Buccheri. Dopo la morte di Carlo II e del suo successore Roberto, il regno di Napoli passò alla nipote Giovanna, la 159 quale per aver pace dai suoi nemici, rinunciò ai suoi pretesi diritti sulla Sicilia. Più non avendo questa da temere esterne invasioni, fu dilaniata da intestine fazioni, di cui le più funeste furon quelle dei Palici e dei Charamonti. Costoro riuscirono ad impossessarsi di varie città, tra cui Vizzini, che dopo un certo tempo, stanca della loro tirannide, si sollevò e chiese aiuto al re Ludovico, figlio di Pietro II d'Aragona, che campeggiava Lentini. Egli le inviò in soccorso Orlando d'Aragona, Giovanni Landolina e il Signore di Buccheri con grossa gente, ma essendo arrivati quando già i Chiaramonti avean ricevuti forti rinforzi, dovettero ritirarsi. Venuto a morte Ludovico, nel 1355 fu gridato re suo fratello Federico III. Non cessarono per questo di ardere le partigiane discordie. Nel 1357 e per lo scarso raccolto e perché gran parte dei seminati furono distrutti dai soldati, s'ebbe una forte carestia, la quale costrinse Catania, Siracusa, Noto, Sortino, Buccheri, Ferla, Mineo, Agira, Castrogiovanni, Assaro, Adernò, Paternò, Taormina, Nicosia, Gagliano, Calatabiano, Ragusa, Buscemi, Palazzolo, Vizzini, Caltagirone, Piazza da parte dei Chiaramonti a stabilire una tregua, la quale durò dal novembre 1357 al marzo 1358. Nell'aprile del 1358 Artalo Alagona, che non avea sottoscritta la tregua, assieme a molti catanesi, ad Orlando d'Aragona governatore di Siracusa, a Giovanni Landolina, ch'era a capo di Noto, e al Signore di Buccheri – ch'era 160 maresciallo del re e che accorse con buon numero sei suoi concittadini misero insieme un esercito di 1000 cavalli e numerosi pedoni e assediarono Lentini, ma pel valore di Manfredi di Chiaramonte furono costretti a ritirarsi dall'impresa. Tosto Manfredi per vendicarsi di Buccheri, che si manteneva fedele a re Federico, l'assediò, ma riusciti vani i suoi sforzi per espugnarlo, si volse a devastarne le campagne. Artalo non abbandonò il pensiero di conquistare Len tini, ch'era il più forte baluardo dei Chiaramonti. Assieme al Signore di Buccheri, a Bernardo Spadaro e ad altri baroni, che parteggiavano per Federico, l'assediò, e la notte del 30 dicembre 1359, per l'audacia d'un manipolo di soldati e la viltà e il tradimento d'alcuni cittadini, riuscì ad impossessarsene. Così cadde la potenza di Lentini e con lui quella dei Chiaramonti. Allorché il prode Ruggero d'Altavilla scacciò per sempre la Mezzaluna dalla Sicilia, Roberto Paternò, s'ebbe il dominio di Buccheri, che da suo figlio Costantino fu eretto a Contea. E in una lapide, che nel 1168 pose la moglie sul suo sepolcro, si legge: Costantino de Paternione militi, viro armis egregio Buccheri et Partanae comiti, Rob. filio, Mathildes uxor mestissima posuit die 8 aprile 1168. Alaimo di Lentini, che tanta parte prese nel Vespro siciliano, in ricompensa delle sue prodezze, fu eletto conte di Buccheri, ma perdette in seguito tal privilegio come reo d'alto tradimento. 161 Riccardo Montalto, prode e valoroso capitano, disgustato del mal governo di Carlo II d'Angiò, abbandonò il reame di Napoli e recossi in Sicilia, ove si pose agli stipendi degli Aragonesi, dai quali, in premio dei suoi segnalati servizi, fu nominato Signore di Buccheri. Alla sua morte il figlio Gerardo fu nel 1313 confermato da Federico II nel dominio di Buccheri. Da Gerardo venne alla luce Giovannuzzo, cavaliere di gran valore e di grande autorità; egli soccorse Iaci ed altre terre vicine, che erano state all'improvviso assalite da un'armata francese, e in una lettera di Federico III, il Signore di Buccheri, è ricordato come uno dei più grandi personaggi del regno (1). Suo figlio Giovanni fu privato per un certo tempo dei suoi possedimenti dalla regina Bianca, ma ritornato di lì a poco nelle di costei grazie, gli furono restituiti. A lui successero Troisio e fra Ruggero, cavaliere ospitaliero, gran commendatore e il primo gran croce che avesse avuto la Sicilia. Nel 1478 l'investitura passò alla potente famiglia Ca taldo, la quale, come scrive il Mugnos, ebbe molti ca valieri i quali fecero congiungimenti matrimoniali con le primarie famiglie nobili del regno. Ma nel secolo XVI Giovanni Morra, illustre personaggio e signore di diverse baronie del napolitano, passato in Sicilia assieme a Marc'Antonio Colonna (1) sposò Isabella unica figlia ed erede del bar. Vincenzo Girolamo, – – – (1) Mugnos – Teatro genealogico, Vol. II. (2) Uno di questi Colonna, Sac. Dr. Prospero dal 1641 al 1647 fu parroco di Buccheri. 162 il 20 marzo 1627, ottenne da Filippo IV il titolo di principe; così Buccheri, ch'era prima rifulso come contado, fu eretto a principato, e al suo rappresentante al Parlamento siciliano, spettò il 27° posto fra i principi. Nel 1693 il comune risentì grandemente le tristissime conseguenze dei tremuoti, che desolarono gran parte della Sicilia, ma dai registri della parrocchia non risulta il numero dei morti. Sin dal 1820 prese parte ai moti patriottici per con seguire la costituzione, e la casa del dotto grecista Giu seppe Ferla divenne il convegno di tutti i liberali. Nel 1837, allorché infierivano le persecuzioni contro i patrioti, le famiglie Aldaresi e Pisano molti ne accolsero nel loro seno per sottrarli ai furori della tirannide, tra cui il prof. S. Chindemi e il fu Marchese San Giuliano padre dell'attuale ambasciatore a Londra. Nel 1848 fu tra i primi comuni ad inalzare il vessillo della riscossa, ma sventuratamente venne in quell'epoca turbato da gravi intestine discordie. Anche nel 1860 fece lo stesso, ed essendosi il generale Nicolò Fabrizi qui recato, v'ebbe splendide accoglienze in casa del notar G. Zappulla{1}, e fu seguito da baldi giovani lieti d'indossar la camicia rossa,tra cui Cascio Giuseppe e Cataldo Salvatore. Con diploma del re Ruggero, ratificato dai papi Urbano II e Alessandro III fu nel 1093 aggregato alla diocesi di Siracusa. 163 Sotto i Saraceni (1) appartenne al val di Noto, sotto gli Svevi a quella meridionale, e ritornò all'antica valle sotto gli Aragonesi, finché colla classificazione in sette province, fatta nel 1817, fu sottoposta a quella di Siracusa. Archeologia – Opere artistiche – Edifizi notevoli, Il Tereo ha forma di un cono a larga base, e s'eleva 815 m. sul livello del mare. I suoi fianchi sono ripidi e scoscesi, sparsi qua e là di balze e dirupi, e chiazzati di gialliccio, di rosso e di bianco. Più volte m'ero inerpicato ad osservare il Castello, che sorge sulla sua vetta, ma volli tornarvi nel giugno ultimo in compagnia di due amici. Era l'ora in cui il sole, rivestendo di porpora le balze d'oriente, pare canti l'inno delle mirifiche bellezze eterne della natura, e in cui la scintilla del pensiero, rin vigorita dal notturno riposo, è più atta ad immergersi nelle contemplazioni dell'infinito. S'udia nell'aria l'alito rigeneratore della giovine està; un leggero zefiro, in volando le fragranze d'alcuni aulenti fiori, che alteri ger minavano nei sottostanti prati, le traeva ad imbalsamare quelle serene alture. A un punto ci fermammo ad osser vare un pezzo di tufo sabbioso rossastro, poi si riprese l'andare con certo sapore di festività. – – – (1) I Saraceni divisero la Sicilia in tre valli: di Demone, di Mazzara e di Noto; gli Svevi in due: settentrionale e meridionale; gli Aragonesi in quattro. 164 Pervenimmo sul culmine un po' sfiaccolati e madidi di sudore. Il cielo d'opale lasciava nitidamente scorgere i più lontani luoghi, e col volto radiante d'insolita gioia ci demmo a contemplare l'immenso panorama, che s'offre allo sguardo, e che seduce, affascina, elettrizza. L'Etna, questo titano dell'isola, era in alto biancheg giante per neve, nei suoi fianchi – tinti di verde, di giallognolo e di nero – si scorgeano non pochi comuni a simiglianza di grandi fiocchi di bambagia, mentre a destra le glauche onde dell'Ionio confondeansi coll'intangibile curva del cielo. Tosto ci demmo a contemplare quell'acropoli severa, che per lunghi secoli risuonò del marziale tintinno di lo riche e di spade, che cosi suoi merli incuteva terrore e rispetto, e di cui non restano che pochi ma forti ruderi e i grandi serbatoi d'acqua, come testimonio della sua pas sata grandezza. Fra quelle silenziose mura, ove adesso l'ignorante pastore conduce le pecore a brucare, chi sa quante triste idee sorsero fra le gozzoviglie di luculliani desinari; chi sa quante idilliache passioni e lunghi rimorsi, quanti dolci palpiti e neri tradimenti s'agitarono nei cuori; chi sa quante volte il paggio dal chermisino giubetto sospirò la milesca castellana, e il tremacoldo, tra il sussulto dell'animo e il fremito dei sensi, allietò quelle aure del suo dolce canto. Altrove Testimonianza ai fasti furon le tombe Ed are ai figli,[9] 165 e con lodevole gara di sacrifici si cercò di strappare all'uragano dei secoli le prische glorie, qui a vece il ma terialismo della vita, fatte poche eccezioni, spegnendo nei cuori ogni ideale di rosa, ha fatto porre in dimenticanza quel non inglorioso patrimonio storico, e desta l'amaro sogghigno di certi Mevi in diciottesimo, chi s'arrischia a parlarne. Solo per un istante, esclamò uno dei due amici, amerei possedere il genio lirico d'Alceo per lanciare al vento il clangore d'una fluente strofa in omaggio di tanti obliati eroi, mentre seduto l'altro su quelle pietre livide di strage, sommessamente diceva: tacete, potrebbero forse svegliarsi col vostro eloquio quelle ombre sacre, che da secoli dormono l'eterno sonno della morte. Quando per questi culmini fa sentire l'aquilone i suoi ruggiti, chi sa che non sia lo spirito di qualche eroico guerriero, caduto impavido in difesa del suo paese natìo che, pieno di sdegno, vagola per rimproverare ai suoi degeneri nipoti, l'ingiusto abbandono in cui han lasciate queste ruìne. Mentre così andavamo almanaccando, dalle mandre poco discoste venian zaffate di nauseabondo lezzo. Scendemmo dall'opposto pendio: tutto era silenzio, solo uno sciame di variopinte farfalline, le pieridi dei prati, ci svolazzavano attorno, e quasi a mezza costa udimmo il muglio d'una falba giovenca, di cui stava a guardia una fanciulla, fragile e bianca come il mistico fior d'asfodele, la quale biascicava un tozzo di pane 166 inferigno. Monete Antiche. Attorno a questo monte trovansi spesso monete greche, e due anni or sono furon rinvenuti al Cavazzo, che dista poche centinaia di metri, gran quantità di pegasi e di tetradrammi. S. Nicola. « A un chilometro circa di fronte al Castello è una grotta famosa per religione e più per antichità, dove si ammirano varie pitture di greca mano, ed affermano essere stata la prima chiesa cristiana avanti dei Saraceni, poiché dicesi essere stata negli antichi tempi la città e la rocca opera dei Leontini », scrive Vito Amico nel suo Lexicon topog. Siculum. È un oratorio trogloditico scavato nella roccia calcarea, quasi a mezza costa del monte Croce, e nella parte più scoscesa, per cui riesce un po' difficile salirvi ed anche scorgerla. La volta, nella parte interna, venne divisa collo scarpello in quattro triangoli isosceli coi vertici convergenti allo stesso punto, e in cui è un foro, che serviva forse ad appendervi una lampada, ma questo lavoro sembra di non antica data. A destra di chi entra in questa grotta son due aperture, sostenute da specie di pilastri formati dalla stessa roccia. Una è m. 1. 60 e termina in alto a semicerchio, l'altra è più grande ma quasi tutta logora, e forse ne esisteva una terza, che formava ordine colla prima. Da esse si entra in una seconda e più importante grotta di forma rettangolare. Nella parete di fronte, che corrisponde a sud est, è un grande affresco bizantino, il quale ha nel mezzo della 167 cornice una Madonna, col bambino Gesù sulle braccia, e una testa di S. Pietro. In seguito è incavata una nicchia, profonda 18 centimetri e alta m. 1. 16 nel cui fondo si scorgono degli affreschi, e in alto, nella par te arcata, si vedono due angeli e poi N... las, dove certo nello spazio vuoto, mancano le lettere ico. Nella parete ad est è un'altra gran cornice, ma nulla vi si scorge. È da notare, che sotto quegli affreschi, altri ne esistono dello stesso genere. Ma tanto essi quanto quella preziosa chiesetta – che un dì fu sicuro rifugio dei primitivi cristiani, per isfuggire alle cruenti persecuzioni dei proconsoli romani sono lasciati nel più nauseante abbandono, e tutti guasti e profanati dall'ignoranza e dal più volgare vandalismo. Opere artistiche. Delle opere artistiche son meritevoli di ammirazione: Nella chiesa della Maddalena: un quadro della natività di Gesù, e la statua di marmo della santa titolare. È un lavoro del Gagini, come risulta dall'atto stipulato il 16 agosto 1508 dal notar Giulio Pascalia di Messina, mediante cui obbligossi ad Antonino Anzalone e Antonino Cofilio, due dei confrati di una confraternita di S. Maria Maddalena probabilmente in Buccheri, pel lavoro di un'immagine o statua in marmo di detta santa, con un pomo in una mano e nell'altra un libro, alta 6 palmi ( m. 1, 55 ) oltre uno di piedistallo ( m. 0, 26 ) dove si dovesse scolpire 168 anche una storia di essa. Cotale statua, fornita in tutto, dorata e incassata, era tenuto l'artefice consegnarla a coloro in Messina di lì a tutto il giugno del vegnente anno pel prezzo di onze 24 ( L. 306 ), confessando già di averne ricevuto di presenza fiorini 12 e promettendo i confrati pagargli in Palermo il restante. Il Di Marzo dubitò per un i stante, se la statua del cennato contratto sia proprio quella di Buccheri, perch'essa tiene nella destra un vaso invece del pomo, sconoscendo che fu per incarico po steriore degli stessi confrati, se fu modellato il vaso, ch'è proprio dello stemma municipale del comune. Ma poi che egli recossi in Buccheri, come aggiunge nella citata opera, ed esaminò la statua, della sua delicata bellezza, dall'esser tutta forza di nervi, e somigliantissima a quella che si conserva nella chiesa di S. Francesco d'Assisi in Alcamo, pienamente si convinse ch'è vera fattura del Gagini. Però rotta è la mano, e il piedistallo vi fu anche rinnovato, e solo porta in fronte un perfetto bassorilievo della Maddalena fra due angeli, indubitato lavoro dell'insigne artista. La chiesa è a tre navate e ricca di bassorilievi d'or nato e di angeli. La sua facciata è pregevole disegno del valente architetto Michelangelo Di Giacomo. Pria del tre muoto del 1693 era di forma oblunga e un po' distante da quella madre, e perciò fu innalzata a suffraganea. Tal privilegio le fu confermato dal papa Benedetto XIV a 20 luglio 1751 e da Clemente XIV, ma essendosi il 169 paese poco per volta ricostruito più in basso, lo perdette, perché non più ritenuto necessario. Degni di plauso sono nella chiesa di Sant'Antonio gli altorilievi in gesso, rappresentanti i 12 apostoli in grandezza naturale; Cristo all'orto, pittura della scuola veneta del rinascimento; San Vito e Sant'Antonio, due grandi quadri di rara bellezza, lavori di G. Borremans, pittore fiammingo seguace del Rubens. La chiesa è a tre navate e con un bellissimo organo. Il tremuoto del 1693 la distrusse, e fu riedificata nello stesso sito. Un bel quadro della scuola fiamminga, dipinto sul bronzo e notevole per antichità, fu trovato nella chiesa degli ex padri cappuccini, dove son pure degni di ricordanza alcune sculture dell'altare maggiore. Uomini illustri. Buccheri diede i natali a diversi uo mini illustri per bontà e dottrina, ricorderemo di essi: 1. P. Stefano dei minori cappuccini, valentissimo pre dicatore, ammirevole per bontà e dottrina, morto nel 1570; 2. P. Silvestro dello stesso ordine, anch'egli dotto o ratore sacro, morto nel 1571; 3. P. Clemente cappuccino, degno delle migliori lodi per le sue virtù ed il vasto sapere. Morì nel 1576 (Sto ria dei patri[10] cappuccini pag. 710 e 818); 4. M. B. Antonei chiaro per virtù e per lettere, e il P. Luigi che fu in Roma segretario generale (Memorie storiche di frati min. Capp. del P. Samuele da Chiara 170 monte); 5. Riccio Giuseppe scrittore di tragedie, tra cui pri meggia quella su S. Vito, edita dal Barbera in Palermo nel 1690 (Mongitore. De scriptoribus siculis vol. 1); 6. Burgio Francesco gesuita, nato nel 1674 morto nel 1761. Fu tenuto in sommo onore dai suoi contemporanei, e le sue opere, per altezza di pensiero ed eleganza di forma, s'ebbero il plauso dei teologi e dei letterati d'ogni paese (S. Salomone. La prov. di Siracusa). Sotto lo pseudonimo di Candido, egli pubblicò un lungo lavoro per combattere un'opera teologica messa in giro da Lodovico Antonio Muratori (D. Scinà – Storia delle letteratura siciliana); 7. Catalano Pietro, nato nel 1675 morto nel 1722. Fu valentissimo teologo e moralista. Scrisse un'opera, in due volumi, sotto il titolo: Universi juris theologico moralis, ammirevole sovra tutto per vastità d'erudizione; 8. Catalano Antonino, di nobile famiglia, molto perito in ambo le leggi, e che tanto contribuì al miglioramento dei pubblici costumi. Morì nel 1777 di anni 77. 9. Di Franco Ilario, valente giurista, di cui pregevole è il suo lavoro: Allegationes pro universitate terrae Buccheri; contra principem terrae eiusdem. Panormi 1654 (Narbone, Bibliografia, vol. 1 pag. 192); 10. Cappello Lazzaro, di magnate famiglie, aromatorio del grande nosocomio messinese ed uomo assai colto e generoso. Restituitosi in patria vi morì nel 1770; 171 11. Cappello Natale, congiunto di Lazzaro. Fu insigne patriota, e seppe difendere a viso aperto i diritti van tati dal comune su diversi feudi del suo territorio, che voleano altri usurpare; 12. Di Giacomo Michelangelo, valente architetto. Si se gnalò molto in un concorso sostenuto a Palermo, e per alcuni lavori ivi fatti. Morì nel 1773; 13. Zappulla Vacirca Sac. Nunzio, colto nell'astronomia e nelle lettere, e di cui si considera un lavoro inedito; 14. Ferla Aldaresi Giuseppe, esperto istoricio e greci sta. Scrisse diversi lavori di cui uno sui monti Erei, che pubblicò nel 1831 nel Giornale di scienze e lettere di Sicilia; 15. Zappulla Vito, dotto scienziato e valente medico chrurgo, molto lodato dall'Oscar Giacchi, dal Mantegazza, dal Livi e d'altri scrittori. Pubblicò varie opere, fra cui primeggia quella intitolata: Errori del popolo in medicina e chirurgia, edita a Milano dai fratelli Rechiedei. Fiere e mercati. Fabrizio Morra nel 1593 concesse facoltà di farsi la fiera del bestiame, sete, panni per la festa della Maddalena, che corrisponde alla prima dome nica precedente il 29 agosto, e per la festa di S. Vito. Nata quistione per questa fiera tra i rappresentanti la cappella di S. Vito e i minori osservanti di Palazzolo A creide, con sentenza del 9 luglio 1738, emessa sotto il governo dell'Infante di Spagna Carlo di Borbone, fu sta 172 bilito dover durare quella di Buccheri fino al 7 agosto, e principiar quella di Palazzolo il dì seguente. Ma le più importanti al dì d'oggi sono: quella del 7 settembre e l'altra, che coincide coll'ottava dell'Ascensione, e ch'è una delle più importanti di Sicilia. Caratteri psichici e fisici degli abitanti. La psicologia della strada è un fenomeno complesso, ha i suoi bagliori e le sue ombre, e anche qui il proteiforme carattere del popolino è un'inesplicabile miscela di coscienze, in cui gli slanci più nobili del cuore si mescolano, s'alternano e si confondono colle più disgradevoli azioni. Or sogna il riso degli angeli ed ora il ghigno beffardo di Mefistofele; ama l'idillio e la commedia, ma non disdegna il tragico e l'elegiaco. È timido e audace, credulo e diffidente, amorevole e mordace, generoso e vendicativo; t'accarezza certe fiate, mentre affila il pugnale della calunnia e della maldicenza; ci gode a ferir la reputazione altrui colla pungente celia e colla venefica berlina, e ti slancia con incoscienza or dall'osanna all'ingiusto crucifigi, or dalla rupe Tarpeia agli onori del Campidoglio. È laborioso e di rado scorgi che vadi bighellonando per le vie, perciò non s'incontrano troppo doloranti miserie, né opulente sfarzo. È morigerato nei cibi e nelle bevande, ma da alquanti anni in qua, per quel tumulto suggestivo che poco per volta mette nell'animo il contagio della frequenza coi contadini d'altri comuni, ci gongola a diguazzare nel tanfo delle taverne, ove con cinico 173 indifferentismo consuma la mercede giornaliera, tracannando a josa l'ebbrezza in luride pincerne. È appassionato molto della musica e del ballo, e spesso, anche nelle buie notti invernali, s'odono lunghi e squillanti cori di contadini, a cantar l'anacreontica strofa sgorgata spontanea dall'entusiasta anima siciliana. Balla con passione al suono cadenzato d'un tamburello, e vanno allora in sollocchero le raffaellesche forosette, nel far, coi loro piedini di fata, caratteristiche e seducenti movenze, mentre la loro rosea carnagione acquista un vago splendore, e i loro occhi mandano fosforescenti riflessi di luce. Il forestiero che capita in uno di quei balli, è costretto a confessare, che la donna buccheresa ha qualcosa della fidiaca bellezza greca, e delle fascinatrici grazie delle vezzose andalusiane. Santo patrono è il dotto vescovo che ardì umiliare re Teodosio per la strage di Tessalonica. Il suo nome, a cui è dedicata la chiesa madre, fa correre il pensiero al drappel della morte della battaglia di Legnano. Chiese. Oltre le tre cennate sono da ricordarsi; Quella dell'Annunziata, eretta nel 1554, accanto a cui, 29 anni dopo, per opera di Gregorio di Bernardo, fu fabbricato un monastero sotto la regola di S. Benedetto; quella della natività di Maria, a cui nel 1614 fu attaccato un piccolo convento di carmelitani, e dove ora alloggia un eremita; quella di S. Giovanni, che fu anche detta del Carmelo, sin da quando i carmelitani nel 1622 passarono nell'adiacente convento, ora scomparso; quella di S. 174 Francesco D'Assisi, con vasto convento, eretto dai cappuccini nel 1627, e che ora si va demolendo; quella di S. Maria di Fonte Aurato, alle falde di monte Lauro, ov'era anche un'eremitaggio, ma di entrambi restano poche rovine: e infine: quelle di S. Rocco, sopravvissuta al tremuoto del 1693, degli Agonizzanti, di Gesù e Maria, di Monserrato e di Oreto più o meno abbandonate. Feste. Le più importanti feste sono: 1. Quella della Natività di Maria, che in modo splendido si solennizza il 7 ed 8 settembre, con processioni – in cui si portano in giro una reliquia e la statua della Madonna, e a cui pren dono parte i confrati delle varie chiese coi rispettivi gonfaloni – e con musiche, sfarzosa illuminazione delle pubbliche vie, sparo di mortaretti e artifici di fuoco; 2. quella di S. Francesco di Paola, che suole celebrarsi 15 giorni dopo Pasqua; 3. quella della Madonna della Provvidenza, che ha luogo la domenica successiva al giorno dell'Ascensione. Associazioni religiose. Nella chiesa madre: associazioni del Crocifisso e del SS. Sacramento e confraternite del Rosario e del terz'ordine di S. Francesco; in quella del Carmine: confraternita di Maria del Carmelo; in quella di Sant'Antonio: confraternita di Sant'Antonio istituita il 17 gennaio 1660, aggregate il 15 ottobre 1662 all'arciconfraternita del Salvatore di Roma, ciò che fu confermato da papa Alessandro VII; in quella della Maddalena: confraternita della Maddalena 175 istituita da papa Alessandro VI, e da papa Alessandro VII dichiarata arciconfraternita. Beneficienza. La congregazione di carità amministra 8 opere pie: 4 per la concessione di legati di maritaggio; 2 per la distribuzione di soccorsi a domicilio; 2 per ce lebrazione di messe. I coniugi Cav. G. Politi e Sig.a C. Cosentino istituirono le Figlie della croce per la distribuzione a domicilio di cibi e medicinali agl'infermi poveri; e il fu Salvatore Ciurcina, nel 1903 fondò un rifugio di poveri orfani d'ambo i genitori. Stemma municipale. È un castello a tre torri, di cui quella di mezzo più alta, e di fronte è assiso un leone alato, che porta un vaso colla zampa destra anteriore. Buccheri, prov. Siracusa, MCMVIII. 176 NOTE alla presente edizione del MMXII [1] Vergine cuccia de le Grazie alunna (alunna e non adorna come riportato dal Guarrella, probabilmente con una deliberata forzatura del verso per adeguarlo meglio al contesto del suo discorso), si tratta di un verso tratto dal Mezzogiorno di Giuseppe Parini del 1765. ...Tal ei parla, o signore; e sorge intanto al suo pietoso favellar dagli occhi de la tua dama dolce lagrimetta pari a le stille tremule, brillanti che a la nova stagion gemendo vanno dai palmiti di Bacco entro commossi al tiepido spirar de le prim’aure fecondatrici. Or le sovviene il giorno, ahi fero giorno! allor che la sua bella vergine cuccia de le Grazie alunna, giovenilmente vezzeggiando, il piede villan del servo con l’eburneo dente segnò di lieve nota: ed egli audace con sacrilego piè lanciolla: e quella tre volte rotolò; tre volte scosse gli scompigliati peli, e da le molli nari soffiò la polvere rodente... 177 [2] Ved. sotto il grafico dell'andamento della popolazione di Buccheri nei vari anni: [3] Lo spettro della fame, ovvero secondo la teoria di Malthus, quando in una determinata zona si verifica un sovrappopolamento, quella zona non è più in grado di soddisfare i bisogni primari degli abitanti che quindi rischiano la fame. [4] Elveziano è uno dei piani stratrigrafici in cui viene suddiviso il Miocene. L'Elveziano copre il periodo tra i 15,97 e i 13,82 milioni di anni fa. Studi recenti collocano la nascita di monte Lauro agli inizi del Paleocene ovvero intorno ai 60 milioni di anni fa, ma ciò non toglie che le utime formazioni (a vulcano ancora attivo) siano risalenti al più recente periodo Elveziano del Miocene. [5] Nel testo originario, per un errore tipografico, mancano le virgolette («) d'apertura di inizio della 178 citazione, sono presenti invece quelle di chiusura alla fine del brano. [6] ...Grandine grossa e acqua tinta e neve / per l'aer tenebroso si riversa... Sono versi tratti dal VI° canto dell'Inferno di Dante; sono il 10° e l'11° verso. [7] Come per la nota [5], a causa di un errore tipografico, nel testo originario mancano le virgolette di chiusura (»). [8] ...tonaro come arcangeli i vespri... sono versi tratti dai Canti di Aleardo Aleardi (Canti il monte Circello). [9] Testimonianza a' fasti eran le tombe, ed are a' figli; sono i versi 97 e 98 de I Sepolcri di Ugo Foscolo. Il Guarrella volge al passato remoto il tempo (imperfetto) del verbo essere (furono anziché erano) per far risaltare la vetustà dei nostri ruderi. [10] Trattandosi del titolo di un'opera antica non è escluso che il titolo arcaico sia proprio ...patri cappuccini... anziché padri cappuccini. {1} Oggi, 02 luglio 2014, nello stilare l'ultima revisione non posso non menzionare una scoperta (casuale) fatta appena qualche mese fa, esattamente nel mese di maggio, durante le funzioni sacre nella 179 Chiesa della Madonna. Nel leggere i nomi dei "notabili" ivi sepolti mi colpì un nome in particolare (Gaetano Zappulla) sepolto a sinistra dell'altare maggiore, già sindaco di Buccheri, che nell'anno 1851 aveva dato la sua figlia in sposa ad Andrea Barresi (cerimonia civile celebrata nel comune di Buccheri alle ore 22,00 nel mese di agosto scoperte sempre casuali che avevo fatto io nel corso degli ultimi anni alla ricerca di antenati) da cui nascerà Giuseppa Barresi che andrà in sposa a Vito Gambilonghi (mio omonimo e e mio antenato ma per discendenza femminile) da cui nascerà Maria Maddalena Gambilonghi (detta di 'nciuria a zappullitta per via di sua nonna Zappulla) che andrà in sposa a Franco Antonino da cui nascerà Franco Grazia (mia madre) che andrà in sposa a Gaetano Gambilonghi (mio padre) con la quale era imparentato (cugini di secondo grado). Considerazioni finali: Il Guarrella o per una svista o per una sottovalutazione del testo di Edrisi, non tiene conto dell'affermazione di questi che Buccheri sorgeva (nel 1150 circa) su luogo pianeggiante; ed escludendo che sia mai sorto in contrada Piana, c'è l'altra nota della quale non tiene conto, ovvero che Edrisi colloca Buscemi propriamente a sud della Buccheri di allora. 180 La famosa pineta AlBinit che Guarrella pensa erroneamente localizzarsi nell'attuale bosco di Santa Maria, in realtà si trovava all'incirca fra le contrade Pirazzo, Sugherita e Poggio Dolce, e collocando ad ovest il sito di Buccheri di allora questo coincide con la zona pianeggiante di Sant'Andrea. Le vestigia di questa pineta possono ancora ritrovarsi in 3 pini giganteschi sopravvissuti al tempo che si trovano nel costone che dal piano della Sugherita declivia verso Poggio Dolce, ovvero a ovest di Sant'Andrea che corrisponde perfettamente con quanto riportato da Edrisi. Non solo, ma a questo punto anche la collocazione di Buscemi a sud di Buccheri indica ancora Sant'Andrea come sua antica posizione e non certo la posizione attuale che ci fa vedere Buscemi quasi ad ovest da noi. Dello stesso avviso sono anche altri autori citati dai due scopritoriautori del Rivelo del 1474, (Antonino Marrone e Bruno De Marco Spata), sebbene con qualche riserva, pervenuti in modo indipendente (probabilmente consultando anche altri testi) alle stesse nostre conclusioni. Nota finale: Le fotocopie delle opere di Vincenzo Ottaviano Guarrella ci sono state gentilmente messe a disposizione da Tanino Cannata a cui va il nostro ringraziamento. 181