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Infezioni dell`ospite compromesso

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Infezioni dell`ospite compromesso
C. Viscoli, M. Mikulska, V. Del Bono, A.L. Ridolfo
Infezioni
dell’ospite compromesso
Si definisce ospite compromesso un paziente che presenta
una ridotta resistenza alle infezioni come conseguenza di un
difetto di uno o più meccanismi di difesa. La denominazione
paziente immunocompromesso indica, in questo contesto,
una sottopopolazione di soggetti la cui diminuita resistenza
alle infezioni è specificamente dovuta alla compromissione
funzionale di uno o più compartimenti dell’immunità. Per
la descrizione dei meccanismi di difesa e del loro ruolo nei
confronti degli agenti infettivi, si vedano pag. 35 e seguenti.
La Tab. 24.1 riporta i principali fattori predisponenti e le
condizioni cliniche associate a minore resistenza alle infezioni.
Le infezioni costituiscono la più frequente complicanza e la
principale causa di morte per il soggetto compromesso. Sono
infatti responsabili di exitus in oltre il 40% dei pazienti con
leucemie e linfomi; nel 50% dei portatori di tumori solidi;
nell’80-100% dei granulocitopenici gravi; nel 60-90% dei
trapiantati renali, cardiaci, epatici, midollari e in più dell’80%
dei pazienti affetti da AIDS.
La diagnosi, la terapia e la profilassi delle infezioni nell’ospite
compromesso pongono problemi di notevole impegno per i
seguenti motivi:
t le difficoltà nel definire con precisione il tipo e il grado di
compromissione dei meccanismi di difesa, per lo più multipli e variamente associati nel medesimo paziente;
t la potenziale gravità di ogni episodio infettivo, anche se
inizialmente localizzato, a causa della tendenza alla generalizzazione;
t l’elevato numero dei possibili agenti eziologici, teoricamente esteso a tutte le specie virali, batteriche, protozoarie
e fungine oggi note, che ben contrasta con la rarità dei
patogeni classici;
t la scarsità e l’aspecificità della fenomenologia clinica soggettiva, obiettiva e strumentale, a causa della frequente
compromissione della risposta flogistica.
Nell’ospite indifeso, pertanto, è possibile l’insorgenza di meningiti, polmoniti, celluliti del sottocutaneo con un quadro
clinico attenuato o atipico. Vanno ricordati, poi, altri importanti fattori:
t la scarsa indicatività degli esami di laboratorio di routine,
abitualmente già alterati dalla patologia di base e, sovente,
dei test sierologici, che possono risultare negativi;
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CAPITOLO
24
t i tempi tecnici eccessivamente lunghi richiesti dalle metodiche microbiologiche rispetto alle esigenze di rapido
trattamento di ogni complicanza infettiva.
Da queste considerazioni, derivano alcune indicazioni generali sui possibili orientamenti da adottare a fini diagnostici e
terapeutici.
1. La prescrizione di un’adeguata terapia empirica d’esordio
rappresenta un momento cruciale nella gestione dell’infezione nell’ospite compromesso. La terapia empirica deve risultare attiva contro i più probabili agenti eziologici
dell’episodio infettivo in atto, senza ipermedicalizzare il
paziente, cercando, inoltre, di limitare gli effetti tossici e
il dismicrobismo da antibiotici. L’individuazione dei più
probabili agenti eziologici può scaturire dall’analisi del
tipo di compromissione dei meccanismi di difesa, dalla
conoscenza della realtà epidemiologica locale e dalla sede
di partenza dell’infezione.
2. Il tipo di compromissione condiziona la frequenza dei diversi agenti d’infezione. L’eziologia delle complicanze
infettive, in effetti, è diversa nell’ustionato (ove il prevalente meccanismo di difesa compromesso è la barriera
anatomofunzionale), rispetto al neutropenico grave (in cui
prevale la riduzione dei fagociti professionali), all’ipogammaglobulinemico, al paziente con infezione da HIV (in cui
predomina il difetto dell’immunità cellulo-mediata). Nei
soggetti portatori di difetti singoli, pertanto, lo spettro dei
più probabili agenti eziologici delle complicanze infettive è
sufficientemente ristretto e prevedibile. I pazienti compromessi di più abituale osservazione, tuttavia, sono portatori
di difetti multipli. Il soggetto neoplastico, per esempio, a
seconda del tipo, della sede e dello stadio della neoplasia
e della terapia antitumorale in atto, può presentare difetti
di barriera, neutropenia, deficit dell’immunità umorale o
cellulo-mediata. In tali casi l’analisi dei più probabili agenti
d’infezione è complessa e articolata e deve tener conto del
difetto preminente.
3. I microrganismi responsabili delle infezioni nell’ospite
compromesso sono abitualmente i comuni commensali
della flora endogena della cute e delle mucose (Tab. 24.2).
La sede dell’infezione, di conseguenza, è un utile elemento
per la formulazione di un’ipotesi diagnostica. Non di rado,
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Capitolo 24 t Infezioni dell’ospite compromesso
Tab. 24.1 Fattori predisponenti e condizioni
cliniche associati a minore resistenza alle infezioni.
Deficit congeniti
t %FåDJUTFMFUUJWPEJ*H"
t %FåDJUTFMFUUJWPEJ*H.
t *NNVOPEFåDJFO[BDPNVOFWBSJBCJMF
t .BMBUUJBHSBOVMPNBUPTBDSPOJDBDMBTTJDBFWBSJBOUJ
t 4JOESPNFEJ%J(FPSHF
t 4JOESPNFEJ8JTLPUU"MESJDI
t "HBNNBHMPCVMJOFNJBEJ#SVUPO
t 'JCSPTJDJTUJDB
t 4JOESPNFEJ$IÏEJBL)JHBTIJ
t 4JOESPNFEJ+PCJQFS*H&
t %FåDJUEJQSPUFJOFEFMDPNQMFNFOUP$3$5$6$8
t *NNVOPEFåDJFO[BDPNCJOBUBHSBWF
t %FåDJUEJQVSJOBOVDMFPTJEFGPTGPSJMBTJ
t $BOEJEPTJNVDPDVUBOFB
Deficit acquisiti
Malattie di base
t *OGF[JPOFEB)*7
t /FPQMBTJFFNBUPMPHJDIF
t 5VNPSJTPMJEJ
t %JBCFUFNFMMJUP
t .BMOVUSJ[JPOF
t .BMBUUJFBVUPJNNVOJ
t $JSSPTJFQBUJDB
t *OTVGåDJFO[BSFOBMFDSPOJDB
t "OFNJBGBMDJGPSNF
t "MDPMJTNPFUPTTJDPEJQFOEFO[B
t 4BSDPJEPTJ
Procedure terapeutiche
t $IFNJPUFSBQJBPSBEJPUFSBQJB
t 4QMFOFDUPNJB
t 5SBQJBOUPEJNJEPMMPPEJDFMMVMFTUBNJOBMJFNPQPJFUJDIF
t 5SBQJBOUPEPSHBOPTPMJEP
t 5FSBQJBDPSUJDPTUFSPJEFB
t 5FSBQJBDPOBMUSJGBSNBDJJNNVOPTPQQSFTTPSJEFMMJNNVOJUËDFMMVMP
NFEJBUBDJDMPTQPSJOBUBDSPMJNVTTJSPMJNVT
t *QPHBNNBHMPCVMJOFNJBEBSJUVYJNBC
t 5FSBQJBDPOBMUSJGBSNBDJCJPMPHJDJFBOUJDPSQJNPOPDMPOBMJ
BMFNUV[VNBC
BOUJ5/' OBUBMJ[VNBCBOUJ*-
t *OUFSWFOUJDIJSVSHJDJ
t 6TPEJBOUJBDJEJ
Condizioni iatrogene
t /FVUSPQFOJB
t %BOOPEFMMFCBSSJFSFBOBUPNPGVO[JPOBMJ
t $VUFQSFTFO[BEJDBUFUFSJWBTDPMBSJTPQSBUUVUUPDBUFUFSJWFOPTJ
DFOUSBMJ
VTUJPOJFTUFTF
t .VDPTJUFPSBMF
t %BOOPEFMMBNVDPTBJOUFTUJOBMF
t "MUFSB[JPOFEFMMBýPSBFOEPHFOBåTJPMPHJDB
tuttavia, questo criterio di valutazione non è utilizzabile:
è quanto accade nel soggetto neutropenico grave, in cui
spesso l’unico segno di infezione in atto è rappresentato
dalla febbre.
4. La conoscenza della microflora ambientale costituisce un
ulteriore importante elemento orientativo. Nel paziente
compromesso ospedalizzato, infatti, è abituale la colonizzazione della cute e delle mucose da parte di microrganismi
cosiddetti “ospedalieri” veicolati dal personale, dai cibi,
dagli strumenti. I ceppi “ospedalieri” presentano spettri di
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sensibilità agli antibiotici del tutto peculiari e conseguenti
alla selezione determinata dall’impiego estensivo di farmaci
antimicrobici. La conoscenza della microflora ambientale e
del tipo di sensibilità agli antibiotici può essere di grande
importanza per impostare un’efficace terapia empirica.
5. Tra i numerosi antibiotici e chemioterapici utilizzabili
nel trattamento delle infezioni nell’ospite compromesso, la
preferenza va data ai preparati che rispondono meglio alle
seguenti caratteristiche: effetto antimicrobico battericida;
meccanismo antibatterico selettivo; spettro il più possibile
ristretto nei confronti dell’agente eziologico accertato o
presunto; attitudine all’associazione; tossicità nulla o scarsa
e profilo farmacologico favorevole; somministrabilità per
via parenterale; nulla o scarsa metabolizzazione; elevata
diffusibilità nei tessuti; attitudine a superare barriere biologiche; buona penetrazione intracellulare; eliminazione
prevalente per via renale.
INFEZIONI ASSOCIATE
ALLA COMPROMISSIONE
DI SINGOLE COMPONENTI
DELLA DIFESA CONTRO LE INFEZIONI
Compromissione da alterazione
della barriera anatomofunzionale
I più noti esempi di ospite compromesso a rischio di infezione
per alterazione della barriera anatomofunzionale sono l’ustionato, il traumatizzato e il portatore di catetere intravascolare.
Nell’ustionato grave le complicanze infettive sono responsabili
del 50-70% dei casi di morte. La struttura prevalentemente
alterata è l’apparato tegumentario, con esposizione del tessuto
sottocutaneo e del derma a rapida contaminazione.
Quando la superficie ustionata è estesa, la contaminazione
entro le prime 48 ore è costante. Successivamente, compaiono altri difetti che interessano principalmente i fagociti,
riconducibili a più cause: azione diretta di sostanze tossiche
prodotte dalla combustione dei tessuti, saturazione dei recettori per l’eccesso di materiale estraneo in circolo, consumo di
complemento, difetti metabolici e idroelettrolitici.
La contaminazione può evolvere in infezione e rappresentare il punto di partenza per batteriemie o sepsi. Mentre la
contaminazione dell’ustione è precoce, l’infezione si sviluppa
tardivamente, instaurandosi mediamente soltanto dopo 10-25
giorni, che rappresentano il tempo necessario perché i microrganismi contaminanti si moltiplichino in un ambiente non favorevole, quale l’escara, sino a superare i 105 microrganismi/g.
L’insorgenza della sepsi è pure tardiva, in quanto presuppone
un esaurimento delle possibilità di ripristino delle popolazioni
cellulari ad attività fagocitaria, e in particolare dei granulociti
neutrofili.
Il periodico controllo dei contaminanti consente di conoscere
con anticipo i microrganismi potenzialmente responsabili di
infezione. La terapia delle complicanze infettive dell’ustionato, quindi, è in larga misura una terapia mirata fin dall’inizio.
Le specie batteriche abitualmente in causa sono limitate, ma
le prevalenze e il grado di sensibilità agli antibiotici variano
nel tempo anche nel medesimo ambiente. Il monitoraggio
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Capitolo 24 t Infezioni dell’ospite compromesso
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Tab. 24.2 Principali agenti eziologici responsabili di infezioni dell’ospite compromesso, suddivisi a seconda
della localizzazione di infezione più tipica.
Tipo di infezione
Localizzazione
Microrganismi responsabili
#BUUFSJDB
*OGF[JPOJTJTUFNJDIFoTFQTJ
(SBNQPTJUJWJ
t Staphylococcus aureusTUBåMPDPDDIJDPBHVMBTJOFHBUJWJStaphylococcus epidermidis
t StreptococcusTQQEnterococcus TQQCorynebacterium TQQ
t Listeria monocytogenes
(SBNOFHBUJWJ
t &OUFSPCBDUFSJBDFBFEscherichia coliKlebsiella pneumoniae, ProteusTQQ
EnterobacterTQQ
t /POGFSNFOUBOUJPseudomonas aeruginosa, Stenotrophomonas maltophilia,
Acinetobacter TQQ
.JDPCBUUFSJOPOUVCFSDPMBSJ
'VOHJOB
7JSBMF
1SPUP[PBSJB
*OGF[JPOJQPMNPOBSJ
Escherichia coli, Klebsiella pneumoniaeFBMUSF&OUFSPCBDUFSJBDFBF
Pseudomonas aeruginosa, AcinetobacterTQQ
Legionella pneumophila
Mycobacterium tuberculosisNJDPCBUUFSJOPOUVCFSDPMBSJ
NocardiaTQQHaemophilus influenzae
"MUSFMPDBMJ[[B[JPOJ
$VUFStaphylococcus aureusTUBåMPDPDDIJDPBHVMBTJOFHBUJWJ Pseudomonas aeruginosa
&OUFSPCBDUFSJBDFBFNJDPCBUUFSJBUJQJDJNocardiaTQQ
4JTUFNBOFSWPTPDFOUSBMFListeria monocytogenes, Mycobacterium tuberculosis
NJDPCBUUFSJOPOUVCFSDPMBSJNocardiaTQQ
*OGF[JPOJQPMNPOBSJ
Pneumocystis jiroveci
AspergillusTQQ
.VDPSBMFT
'VOHIJEJNPSå Histoplasma capsulatum, Coccidioides immitis, Paracoccidioides
brasiliensis, Penicillium marneffei
*OGF[JPOJTJTUFNJDIFoTFQTJ
CandidaTQQFusariumTQQCryptococcus neoformans, Trichosporon TQQ
'VOHIJEJNPSåHistoplasma capsulatum, Coccidioides immitis, Paracoccidioides
brasiliensis, Penicillium marneffei
*OGF[JPOJEFMTJTUFNBOFSWPTP
DFOUSBMF
Cryptococcus neoformans, AspergillusTQQ CandidaTQQ
*OGF[JPOJEFMMBDVUFFEFMMFNVDPTF
CandidaTQQFusariumTQQCryptococcus neoformans
'VOHIJEJNPSåHistoplasma capsulatum, Coccidioides immitis, Paracoccidioides
brasiliensis, Penicillium marneffei
*OGF[JPOJTJTUFNJDIF
)$.7&#7))7))7BEFOPWJSVTQBSWPWJSVT#
*OGF[JPOJQPMNPOBSJ
)$.7)47BEFOPWJSVTWJSVTSFTQJSBUPSJEFMMJOýVFO[BQBSBJOýVFO[BMJVNBOJWJSVT
SFTQJSBUPSJPTJODJ[JBMFVNBOPNFUBQOFVNPWJSVTVNBOP
*OGF[JPOJEFMTJTUFNBOFSWPTP
DFOUSBMF
+$7)$.7))7
*OGF[JPOJEFMMBDVUF
)47)477;7))7
&QBUJUJ
)#7)$7)$.7&#7BEFOPWJSVT
*OGF[JPOJEFMUSBUUPVSJOBSJPDJTUJUF
FNPSSBHJDBOFGSPQBUJBQPTU
USBQJBOUPEJSFOF
#,7+$7
*OGF[JPOJEFMTJTUFNBOFSWPTP
DFOUSBMF
Toxoplasma gondii
&OUFSJUF
Cryptosporidium TQQ, Entamoeba histolytica, Isospora belli
*OGF[JPOJEJTTFNJOBUF
Toxoplasma gondii, LeishmaniaTQQ
&MNJOUJDB
Strongyloides stercoralis
#,7WJSVT#,&#7WJSVTEJ&QTUFJO#BSS)#7WJSVTEFMMFQBUJUF#)$.7DJUPNFHBMPWJSVTVNBOP)$7WJSVTEFMMFQBUJUF$))7IFSQFTWJSVTVNBOP
UJQP))7IFSQFTWJSVTVNBOPUJQP)47WJSVTIFSQFTTJNQMFY+$7WJSVT+$7;7WJSVTEFMMBWBSJDFMMBFEFMMP[PTUFS
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966
Capitolo 24 t Infezioni dell’ospite compromesso
microbiologico dell’ambiente e delle lesioni di continuo dei
tegumenti, pertanto, va costantemente ripetuto.
Un’altra condizione che si associa alla compromissione dei
meccanismi di difesa di barriera e, non infrequentemente, a
immunodeficienza acquisita iatrogena è quella del paziente
politraumatizzato. La colonizzazione da parte di patogeni
nosocomiali è un fenomeno che insorge rapidamente in questi
pazienti ricoverati nelle Unità di terapia intensiva. Il danno
della barriera mucocutanea, che può essere molto esteso, e
l’ampio utilizzo di pratiche rianimatorie invasive (per esempio, respirazione assistita, cateteri vescicali e intravascolari –
vedi oltre) rappresentano i principali fattori che aumentano
il rischio di infezioni in queste condizioni.
I dispositivi intravascolari permanenti apportano notevoli
vantaggi alla gestione dei pazienti compromessi che necessitano di terapie parenterali prolungate, di emotrasfusioni,
di alimentazione parenterale totale e di frequenti prelievi
ematici per esami di laboratorio. L’accesso venoso centrale permanente viene realizzato tramite cateteri venosi, che
possono essere “tunnellizzati” nel tessuto sottocutaneo (tipo
Hickman), oppure mediante sistemi totalmente impiantabili
in quest’ultimo (tipo Port). Tali dispositivi, tuttavia, non sono
esenti da rischi per il paziente e quello infettivo è sicuramente il principale, soprattutto in condizioni critiche o nei
casi di grave immunodepressione (pazienti neoplastici o con
infezione da HIV). I cateteri inseriti nel sistema vascolare,
infatti, oltrepassano i normali meccanismi di difesa della cute
e forniscono una porta d’ingresso ai microrganismi presenti
sul presidio o sulla cute al momento dell’inserimento o che
contaminano successivamente il catetere.
Il processo infettivo può localizzarsi alla cute nel sito di fuoriuscita del catetere o, nei casi più gravi, interessare il tunnel
o la tasca sottocutanea, oppure manifestarsi con batteriemia
o fungemia. La prevalenza di tali complicanze è stimata globalmente tra il 3,6% e il 20,4%; il rischio è correlato fondamentalmente al tipo di catetere utilizzato (è piu elevato
per i cateteri a più lumi e più basso per i sistemi totalmente
impiantabili), allo stato di compromissione del paziente, alla
durata della cateterizzazione, alle modalità di manipolazione
e cura del presidio stesso. Tra gli agenti microbici responsabili
di infezioni, gli stafilococchi coagulasi-negativi e Staphylococcus aureus rendono conto del 70% degli isolamenti.
Questi microrganismi ubiquitari, usuali contaminanti della
cute e delle mucose, possono colonizzare il catetere durante
il posizionamento, durante la successiva manipolazione o in
corso di batteriemia. Sono inoltre implicati, anche se con
minor frequenza, altri batteri gram-positivi, quali Micrococcus
spp., Bacillus spp. e Corynebacterium jeikeium, e alcuni batteri
gram-negativi come Escherichia coli, Klebsiella spp., Enterobacter spp., Pseudomonas spp. Infezioni fungine da Candida
spp. sono riportate con particolare frequenza nei pazienti
compromessi, nei quali provocano il 6-22% delle infezioni
sistemiche associate a questi dispositivi.
Ai fini diagnostici è importante effettuare ripetute emocolture,
che devono essere eseguite sia dal catetere, sia da una vena
periferica. È inoltre importante provvedere con adeguate procedure alla coltura della parte terminale del catetere rimosso,
in modo da individuare le specie microbiche colonizzanti e
instaurare un regime terapeutico mirato, in particolare nel-
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le situazioni in cui uno stato febbrile non si accompagna a
un’inequivocabile identificazione del patogeno responsabile.
La prevenzione dell’infezione del catetere venoso centrale,
che implica l’utilizzo di tecniche sterili durante il posizionamento e in ogni successiva manipolazione, è di fondamentale
importanza in relazione alle difficoltà che presentano la diagnosi e il trattamento di questa complicanza.
Nella maggioranza dei casi le infezioni localizzate nella sede
di inserzione si risolvono con la terapia antibiotica senza
necessità di rimuovere il catetere. Al contrario, nei casi di
infezione del tunnel, di sepsi e in particolare di fungemia
è spesso indispensabile rimuovere il presidio nonostante il
trattamento antibatterico o antifungino.
Compromissione da ostruzione
e da ostacolo dei deflussi fisiologici
L’ostruzione o l’ostacolo dei deflussi fisiologici può interessare
l’apparato respiratorio, le vie biliari, l’apparato digerente, le
vie urinarie. Le cause possono essere svariate, di natura sia
organica, sia funzionale: per esempio, l’iperplasia prostatica,
il tumore broncogeno, la calcolosi biliare, la tumefazione dei
linfonodi addominali, la vescica neurogena.
Il meccanismo patogenetico più comune è la stasi del contenuto e di conseguenza la compromissione del suo fisiologico
allontanamento. Ciò facilita la proliferazione della flora endogena o, se il contenuto è primitivamente sterile (come nel
caso della bile e dell’urina pelvica), la contaminazione da parte
della flora dei distretti adiacenti.
Compromissione conseguente
a patologie del sistema nervoso centrale
Malattie del sistema nervoso centrale possono compromettere
il corretto funzionamento di organi e apparati e, di conseguenza, esporli a infezioni. In particolare, condizioni che
alterano il riflesso della tosse, il flusso urinario e il transito intestinale sono causa di aumentato rischio di infezione.
I pazienti con gravi patologie del sistema nervoso centrale
richiedono frequentemente misure di terapia intensiva, quali
la tracheotomia con respirazione assistita, il cateterismo vescicale, la nutrizione parenterale: tutte queste pratiche rappresentano ulteriori fattori favorenti.
Difetti granulocitari
I disturbi della funzione fagocitaria dei granulociti neutrofili
possono essere sia quantitativi, su base congenita o acquisita,
sia qualitativi, per difetti funzionali, strutturali o metabolici.
Le granulocitopenie congenite, trasmesse in vario modo,
possono determinare deficit costanti (come nella neutropenia
cronica familiare o nella più grave agranulocitosi genetica
infantile) o ciclici (neutropenia ciclica).
Di più frequente osservazione sono le granulocitopenie acquisite, in particolare quelle indotte dai trattamenti antineoplastici.
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Capitolo 24 t Infezioni dell’ospite compromesso
La riduzione del numero dei granulociti neutrofili si associa a un elevato rischio di contrarre infezioni batteriche e
micotiche.
La prevalenza e la gravità delle infezioni sono proporzionali
alla rapidità d’insorgenza e all’entità della granulocitopenia,
che è definita lieve quando il numero di granulociti neutrofili
per microlitro è compreso tra 2.000 e 1.000; moderata per
livelli tra 1.000 e 500; grave tra 500 e 100 e molto grave al di
sotto dei 100 elementi/μL. Il rischio infettivo per paziente si
aggira rispettivamente intorno al 10, 20, 50 e 90%. A parità
di numero assoluto di neutrofili, sono assai più pericolose
le neutropenie da farmaci, a rapida induzione, rispetto alle
cosiddette neutropenie idiopatiche benigne o neutropenie
cicliche.
Fattori che aumentano il rischio infettivo sono, inoltre, la
durata della neutropenia e l’associazione con altre cause favorenti. Una neutropenia di 7-10 giorni, come quella indotta
dalla chemioterapia dei tumori solidi, o di 20-30 giorni, come
in corso di trattamento antileucemico, può essere relativamente ben controllata, mentre periodi più protratti creano le
condizioni per complicanze infettive difficilmente trattabili.
Ulteriori cause favorenti le infezioni – quali l’uso di cateteri
venosi, l’adozione di altre pratiche invasive e l’impiego di
farmaci immunodepressivi – andrebbero limitate ai casi di
assoluta necessità. Il paziente granulocitopenico è esposto al
rischio di infezioni causate dai microrganismi nei confronti
dei quali il principale meccanismo di resistenza è rappresentato dalla fagocitosi con distruzione intracellulare.
Questi microrganismi sono per circa l’80% batteri e di norma
sono presenti nella flora endogena o ambientale (Tab. 24.3).
Meno frequenti sono le infezioni da miceti, protozoi e virus.
Tra i batteri, prevalgono i bacilli gram-negativi come Escherichia coli, enterobatteri del gruppo KES (Klebsiella spp., Enterobacter spp., Serratia spp.), Pseudomonas aeruginosa, Proteus
spp., Stenotrophomonas maltophilia e i cocchi gram-positivi
quali Staphylococcus aureus, S. epidermidis, enterococchi, altri
streptococchi; tra i funghi, i generi Candida, Aspergillus e i
membri dell’ordine Mucorales.
Nell’85% dei casi le infezioni interessano sedi prossime a
distretti cutanei e mucosi-contaminati, quali la cute perineale
e le vie respiratorie; sono pertanto frequenti celluliti e ascessi,
faringiti, polmoniti e anche flebiti in corrispondenza di accessi
venosi, esofagiti, coliti ed epatiti fungine.
Tutte queste infezioni possono decorrere con una sintomatologia d’organo modesta o anche assente a causa della neutropenia, o manifestarsi con un unico segno rappresentato
dalla febbre. Il segno clinico della febbre non deve essere
tuttavia sopravvalutato, poiché la sua assenza non esclude la
possibilità di un’infezione anche grave (per esempio, lo shock
settico può insorgere e decorrere nel paziente neutropenico
in assenza di febbre o, addirittura, con ipotermia).
Le infezioni nel neutropenico tendono a generalizzare e a
evolvere in batteriemie o sepsi. Le emocolture, pertanto,
rappresentano una metodica sempre utile nell’isolamento
dell’agente eziologico. Va anche ricordato che l’isolamento
da emocoltura di un microrganismo gram-negativo, in un
soggetto neutropenico, è considerato un indice di prognosi
più grave rispetto alle febbri di origine sconosciuta senza una
batteriemia dimostrabile e senza localizzazione polmonare.
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967
Tab. 24.3 Infezioni associate ai vari tipi
di compromissione.
Condizione
predisponente
Microrganismi
più frequentemente implicati
/FVUSPQFOJB
$PDDIJHSBNQPTJUJWJ
t Staphylococcus aureus
t 4UBåMPDPDDIJDPBHVMBTJOFHBUJWJS. epidermidis,
S. haemolyticus, S. hominis
t 4USFQUPDPDDIJiWJSJEBOUJwS. mitis, S. oralis
t &OUFSPDPDDIJ
#BDJMMJHSBNOFHBUJWJ
t &OUFSPCBDUFSJBDFBFEscherichia coli,
Klebsiella pneumoniae, ProteusTQQ
EnterobacterTQQ
t Pseudomonas aeruginosa
t 'VOHIJCandidaTQQAspergillusTQQ
%BOOP
EFMMFCBSSJFSF
BOBUPNJDIF
$VUFDBUFUFSJWBTDPMBSJTPQSBUUVUUPDBUFUFSF
WFOPTPDFOUSBMF
t 4UBåMPDPDDIJDPBHVMBTJOFHBUJWJ
S. epidermidis, S. haemolyticus,
S. hominis
t Staphylococcus aureus
t Pseudomonas aeruginosa
t CandidaTQQC. albicans, C. parapsilosis
.VDPTJUFPSBMF
t 4USFQUPDPDDIJiWJSJEBOUJwS. mitis,
S. oralis
t CandidaTQQ
%BOOPEFMMBNVDPTBJOUFTUJOBMF
t Escherichia coli
t Pseudomonas aeruginosa
t &OUFSPDPDDIJ
t CandidaTQQ
%FåDJU
EFMMJNNVOJUË
DFMMVMPNFEJBUB
7JSVT
t )FSQFTWJSVT)47)477;7)$.7
t 7JSVTSFTQJSBUPSJEFMMJOýVFO[BBEFOPWJSVT
WJSVTSFTQJSBUPSJPTJODJ[JBMFVNBOP
'VOHIJ
t Pneumocystis jirovecii
t Aspergillus TQQ
t Cryptococcus neoformans
t Histoplasma capsulatumWBScapsulatum
#BUUFSJJOUSBDFMMVMBSJ
t Listeria monocytogenes
t Mycobacterium tuberculosis
t .JDPCBUUFSJOPOUVCFSDPMBSJ
t Nocardia TQQ
1SPUP[PJ
t Toxoplasma gondii
t LeishmaniaTQQ
t Trypanosomacruzi
%FåDJU
EFMMJNNVOJUË
VNPSBMF
t Streptococcus pneumoniae
t Haemophilus influenzae
"TQMFOJB
t Streptococcus pneumoniae
t Haemophilus influenzae
t Neisseria meningitidis
13/01/14 11:00
968
Capitolo 24 t Infezioni dell’ospite compromesso
L’interessamento polmonare, per contro, specie se associato
a batteriemia da gram-negativi, ha una prognosi significativamente peggiore.
Nel paziente neutropenico la febbre, sino a prova contraria,
deve essere considerata come dovuta a un’infezione, che più
probabilmente è di eziologia batterica. Ciò implica l’adozione
di protocolli diagnostici e terapeutici che vanno applicati con
criteri di urgenza.
Difetti dell’immunità umorale
e del complemento
Nell’ospite compromesso per difetto selettivo dell’immunità
umorale le complicanze infettive sono riconducibili a un numero relativamente limitato di specie. In questi pazienti sono
soprattutto carenti gli anticorpi opsonizzanti i batteri capsulati,
quali Streptococcus pneumoniae ed Haemophilus influenzae.
I difetti dell’immunità umorale sono prevalentemente congeniti; tra le cause di difetti secondari, la splenectomia eseguita
in età infantile, il mieloma multiplo, la leucemia linfatica
cronica, l’anemia a cellule falciformi, la sindrome nefrosica.
L’apparato respiratorio e l’apparato gastroenterico rappresentano i siti preferenziali per lo sviluppo di infezioni in questi
pazienti.
La Tab. 24.4 riporta le principali cause congenite e acquisite di
deficitaria produzione di anticorpi, alle quali va aggiunta, tra le
congenite, l’ipogammaglobulinemia comune variabile, in genere
classificata come difetto misto sia dell’immunità umorale, sia di
quella cellulo-mediata, ma nella quale prevale il deficit umorale.
La carenza selettiva di IgA è associata a maggior frequenza
di infezioni da Neisseria meningitidis e Giardia lamblia, e di
epatite virale grave.
Anche alcuni difetti di componenti del sistema del complemento sono alla base di un’aumentata suscettibilità alle infezioni batteriche (Tab. 24.5).
Tali difetti sono causati da anomalie trasmesse congenitamente e si associano spesso a sindromi autoimmunitarie.
Il quadro più grave meglio descritto è la carenza della componente C3, che ricorda nel rischio infettivo quello osservato
nelle ipogammaglobulinemie.
Il deficit di C2 predispone in modo particolare allo sviluppo
di quadri settici da H. influenzae in età infantile.
Difetti delle componenti C5-C6-C7-C8 sono alla base di
un’aumentata suscettibilità a infezioni disseminate o ricorrenti
da Neisseria spp. La deficienza di C5, per esempio, è caratterizzata da una compromissione dell’attività chemiotattica del
siero e da ricorrenti infezioni piogeniche.
La sindrome di Leiner (eczema, diarrea, batteriemie ricorrenti da microrganismi gram-negativi) è stata attribuita a una
Tab. 24.4 Difetti congeniti e acquisiti dei linfociti B e della produzione di anticorpi e principali agenti eziologici
implicati nelle infezioni a essi associate.
Malattie o condizioni responsabili
Congenite
t "HBNNBHMPCVMJOFNJBEJ#SVUPOMFHBUBBMDSPNPTPNB9
t *QPHBNNBHMPCVMJOFNJB
Acquisite
t %JTHMPCVMJOFNJB
t %FåDJUTFMFUUJWPEJ*H.
t %FåDJUTFMFUUJWPEJ*H"
t -FVDFNJBMJOGBUJDBDSPOJDB
t .JFMPNBNVMUJQMP
Agenti eziologici delle infezioni associate
più frequentemente implicati
t Streptococcus pneumoniaeBMUSJTUSFQUPDPDDIJ
t Haemophilus influenzae, Streptococcus pneumoniae,
Streptococcus pyogenes, Staphylococcus aureus
t Pneumocystis jirovecii&OUFSPWJSVT
t Streptococcus pneumoniae, Haemophilus influenzae, Escherichia coli
t Giardia lamblia, Streptococcus pneumoniae, Haemophilus influenzae,
WJSVTFQBUJUJDJ
t Neisseria meningitidis, Staphylococcus aureus
t Streptococcus pneumoniae, Staphylococcus aureus,
Klebsiella pneumoniae, Escherichia coli, Giardia lamblia
Tab. 24.5 Cause principali di deficit di proteine del complemento e agenti responsabili delle infezioni
più frequentemente associate.
Deficit
Malattie o condizioni responsabili
Agenti eziologici delle infezioni associate
più frequentemente implicati
C3
&QBUPQBUJFDPOHFOJUFMVQVTFSJUFNBUPTPTJTUFNJDP
Staphylococcus aureus, Streptococcus pneumoniae, PseudomonasTQQ
ProteusTQQHaemophilus influenzae, Streptococcus pyogenes
C5
%FåDJFO[BDPOHFOJUB
NeisseriaTQQDPDDIJHSBNOFHBUJWJ
$$$
%FåDJFO[BDPOHFOJUBMVQVTFSJUFNBUPTPTJTUFNJDP
NeisseriaTQQ
7JBBMUFSOB
"OFNJBBDFMMVMFGBMDJGPSNJTQMFOFDUPNJB
JQFSTQMFOJTNP
Streptococcus pneumoniaeSalmonella TQQHaemophilus influenzae
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Capitolo 24 t Infezioni dell’ospite compromesso
disfunzione della componente C5, associata a un difetto di
chemiotassi.
Deficit primitivi delle proteine che partecipano alla fase effettrice (da C5 a C8) sono associati a ricorrenti infezioni da
Neisseria spp.
Una carenza di properdina, trasmessa con un meccanismo
legato al cromosoma X, è causa di infezioni piogeniche ricorrenti e di elevata frequenza di meningococcemia fulminante.
Infezioni piogeniche ricorrenti sono associate al deficit di C3,
di fattore D, di C3b inattivatore (o fattore I).
Un difetto di CR3 (il recettore di membrana per il C3b inattivato, o iC3b), presente sui neutrofili e sui monociti-macrofagi,
comporta un marcato difetto della fagocitosi con infezioni
ricorrenti.
Deficienze acquisite del complemento sono state descritte in
corso di lupus eritematoso sistemico (associate a infezioni meningococciche), nella sindrome di Felty (con aumentata frequenza di infezioni), nelle sepsi, nell’insufficienza respiratoria
acuta e nella coagulazione intravascolare disseminata, con
un’ulteriore compromissione della resistenza alle infezioni.
Difetti dell’immunità cellulo-mediata
L’immunità cellulo-mediata è il principale dispositivo di protezione contro gran parte dei più importanti agenti patogeni e,
in particolare, contro i microrganismi endocellulari obbligati.
I difetti dell’immunità cellulo-mediata possono essere sia
congeniti, sia acquisiti.
Attualmente le cause più comuni di deficit acquisiti di tale
immunità sono l’infezione da HIV-1, l’impiego di farmaci immunosoppressivi o citostatici (corticosteroidi, analoghi delle
purine, alemtuzumab) e le emolinfopatie sistemiche.
La Tab. 24.3 elenca i patogeni più frequentemente osservati in
associazione a condizioni caratterizzate da deficit dell’immunità cellulo-mediata o da deficit misti della risposta umorale
e della risposta cellulo-mediata.
Un ruolo di particolare rilievo, nell’immunocompromesso
con compromissione dell’immunità cellulo-mediata, è svolto
dalle infezioni da virus.
Infezioni virali possono altresì complicare condizioni a patogenesi autoimmune, quale il lupus erimatoso sistemico, che richiedono terapie corticosteroidee o immunosoppressive protratte.
PAZIENTI COMPROMESSI
Trapianto d’organo solido
e di cellule staminali emopoietiche
Il trapianto d’organo solido e quello di midollo osseo o, come
viene oggi più propriamente definito, il trapianto di cellule
staminali emopoietiche, rappresentano procedure salvavita.
I pazienti trapiantati necessitano di una terapia immunosoppressiva a scopo antirigetto, per tutta la vita nel caso di
trapianto d’organo solido, o per un periodo di tempo prolungato nei riceventi del trapianto di cellule staminali emopoietiche. Negli ultimi decenni si è assistito ad un notevole
miglioramento della prognosi post-trapianto d’organo solido,
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con aumento della sopravvivenza sia dell’organo trapiantato
sia del ricevente. Di conseguenza, è aumentato il numero dei
trapianti effettuati, rendendo sempre più numeroso il gruppo
di soggetti immunocompromessi.
TRAPIANTO D’ORGANO SOLIDO
Il rischio infettivo è più elevato nel caso di trapianto di polmone e di cuore e minore nel trapianto renale. Sebbene vi siano
infezioni peculiari di ciascun tipo di trapianto, è possibile
indicare uno schema generale delle infezioni nel ricevente
di trapianto di organo solido. In generale, il rischio infettivo
è maggiore nei primi 2 mesi dopo la procedura chirurgica.
Nel 1° mese prevalgono le usuali infezioni osservate nel paziente sottoposto a intervento chirurgico (di pari invasività e
durata) che deve trascorrere un periodo più o meno lungo
in Unità di terapia intensiva: infezioni della ferita chirurgica,
dei cateteri intravascolari o di drenaggio, delle vie urinarie nel
trapiantato di rene; intraddominali nei trapiantati di fegato,
pancreas e intestino; mediastiniti, bronchiti o polmoniti nei
trapiantati di cuore e polmone. Frequente, in questo periodo,
è anche la riattivazione del virus herpes simplex (HSV) in
sede orolabiale, mentre è più rara l’evenienza di un’infezione
primaria trasmessa al ricevente non immune con l’organo di
un donatore HSV-sieropositivo. Dopo il 1° mese, le infezioni
associate alle procedure chirurgiche diventano meno frequenti, mentre compaiono le tipiche infezioni opportunistiche
correlate all’immunosoppressione indotta per prevenire o
trattare il rigetto dell’organo trapiantato. Tra queste le più
importanti sono quelle da riattivazione dei virus (citomegalovirus umano, virus herpes simplex e virus della varicella
e dello zoster), la polmonite da Pneumocystis jirovecii (oggi
meno frequente grazie all’impiego della chemioprofilassi con
cotrimoxazolo), altre infezioni fungine invasive (nelle aree endemiche, istoplasmosi, coccidioidomicosi e blastomicosi) e la
nocardiosi. La prevalenza della malattia d’organo da HCMV
(polmonite, enterite, encefalite) è stata notevolmente ridotta
grazie alla strategia pre-emptive) e alla profilassi. La strategia
preventiva (pre-emptive) si basa sul monitoraggio regolare
dell’antigene o del DNA di HCMV, che permette di iniziare la
terapia nel momento della riattivazione, prima dello sviluppo
di malattia d’organo.
A 6 mesi dal trapianto, l’incidenza delle infezioni gravi solitamente si riduce, salvo nei casi dei pazienti sottoposti a
consistente immunosoppressione per il trattamento del rigetto
o in caso di nuovo trapianto e reintervento dovuto a complicanze chirurgiche. In questa fase si osservano solitamente le
infezioni da tipici patogeni comunitari, come la polmonite da
pneumococco o da Haemophilus influenzae, la diverticolite
o la colecistite. In ogni caso, nei soggetti trapiantati, a causa
dell’immunosoppressione in corso, queste infezioni possono
avere una presentazione clinica più sfumata e un decorso
atipico, ma conseguenze più gravi rispetto ai pazienti immunocompetenti. Tra le infezioni più tardive, occorre ricordare
le riattivazioni virali, per esempio del virus dell’epatite B o del
virus di Epstein-Barr. Quest’ultima, nei pazienti immunocompromessi, può portare allo sviluppo di una neoplasia dei linfociti B chiamata “malattia linfoproliferativa post-trapianto”
(post-transplant lymphoproliferative disease, PTLD). Oltre alle
sopraelencate infezioni tipiche di tutti i soggetti trapiantati,
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970
Capitolo 24 t Infezioni dell’ospite compromesso
ogni specie di trapianto è caratterizzata da un rischio di patologie infettive particolari.
Nei riceventi di trapianto renale le vie urinarie rappresentano
il sito più frequente di infezione e la maggior parte delle batteriemie è causata da batteri gram-negativi provenienti dalle
vie urinarie. Le infezioni urinarie ricorrenti o croniche sono
solitamente favorite, in questi pazienti, da stenosi ureterali
postchirurgiche o dal reflusso ureterale. Un’altra complicanza
tipica è quella causata dalla riattivazione del virus BK (simile
al virus JC implicato nella patogenesi della leucoencefalopatia
multifocale progressiva), responsabile di cistite emorragica e
nefropatia, con possibile perdita della funzionalità dell’organo
trapiantato. La riduzione dell’immunosoppressione in caso di
riattivazione del virus BK rappresenta una strategia efficace
per ridurre il rischio di nefropatia.
Tra le infezioni più frequenti nei soggetti sottoposti a trapianto di cuore vi sono le polmoniti batteriche (spesso causate da
bacilli gram-negativi nosocomiali come le Enterobacteriaceae
e Pseudomonas aeruginosa), le infezioni urinarie e le infezioni
fungine invasive (polmonite da P. jirovecii, aspergillosi polmonare invasiva e candidemia). Infezioni peculiari di questo
gruppo di pazienti sono la mediastinite e le infezioni della
ferita sternale, analogamente a quanto si osserva nei soggetti
immunocompetenti sottoposti agli interventi a cuore aperto.
Queste infezioni sono solitamente causate da stafilococchi,
sia S. aureus sia stafilococchi coagulasi-negativi.
I riceventi il trapianto polmonare sono particolarmente a rischio di sviluppo di polmoniti batteriche, soprattutto durante
le prime settimane dopo il trapianto, a causa della ridotta
depurazione mucociliare e della mancanza di altri riflessi di
difesa locale del polmone trapiantato. La tracheobronchite
aspergillare è un’infezione tipica in questa popolazione e
coinvolge la mucosa delle basse vie respiratorie, talvolta in
contiguità con il sito di anastomosi dell’albero respiratorio
trapiantato, senza colpire necessariamente il parenchima
polmonare. Inoltre, il polmone trapiantato è particolarmente
suscettibile alle infezioni virali causate da citomegalovirus,
virus herpes simplex, virus respiratorio sinciziale, metapneumovirus e adenovirus, mentre la situazione di rigetto cronico
predispone questi pazienti alle bronchiti e alle polmoniti
batteriche ricorrenti.
Infine, sebbene la prevalenza delle infezioni nei trapiantati di
fegato sia più bassa rispetto a quella rilevata nei trapiantati
di intestino o di cuore-polmoni, la maggior parte dei decessi
annovera come causa primaria o secondaria le complicanze
infettive. Le infezioni in questi pazienti sono prevalentemente
batteriche e sono di solito a carico delle vie biliari e dell’addome (ascessi epatici, peritoniti). Un tipico quadro è la colecistite ricorrente, spesso favorita dalla comparsa di stenosi
delle vie biliari dopo la procedura chirurgica. Vanno inoltre
ricordate le infezioni della ferita chirurgica, le polmoniti e la
sepsi, anche correlata al catetere venoso centrale. I fattori di
rischio per infezioni batteriche e fungine includono un intervento chirurgico di lunga durata, il numero di unità di sangue
trasfuse, la coledocodigiunostomia come derivazione biliare,
il retrapianto e l’infezione da HCMV. Inoltre, i riceventi il
trapianto di fegato sono ad alto rischio di infezioni fungine
(prevalenza anche fino a 40% in assenza di profilassi) causate
sia da Candida spp. sia da Aspergillus spp. Nei pazienti che
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ricevono il trapianto di fegato a causa di cirrosi o di carcinomi
HBV- o HCV-correlati, è frequente la reinfezione del nuovo
organo da parte dei virus dell’epatite B o C, con la necessità
di trattamento specifico antivirale.
TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE
Dal punto di vista infettivologico, il trapianto di cellule staminali emopoietiche è caratterizzato da un rischio molto alto
di infezioni gravi nel 1° anno dopo la procedura ma, in caso
di successo clinico e di buon funzionamento del midollo
trapiantato, si assiste a una ricostituzione dell’immunità e, a
differenza del trapianto di organo solido, la terapia immunosoppressiva può essere sospesa. Quando le cellule staminali
reinfuse, precedentemente raccolte e adeguatamente conservate, sono quelle del paziente stesso, il trapianto si definisce
autologo. Quando invece le cellule staminali provengono da
un donatore, il trapianto si definisce allogenico.
Le fasi di rischio di infezione dopo il trapianto di midollo
vengono suddivise classicamente in tre fasi: 1) fase di neutropenia grave e prolungata, che dura fino a 4 settimane dopo
l’infusione del midollo del donatore; 2) fase precoce postattecchimento, con grave deficit dell’immunità cellulo-mediata
e umorale, ma senza neutropenia; 3) fase postattecchimento
tardiva. La velocità di recupero dalle competenze immunitarie
si riduce notevolmente in caso di comparsa della malattia del
trapianto contro l’ospite (graft versus host disease, GvHD)
acuta o cronica, che necessita di essere trattata con una terapia immunosoppressiva intensiva. La Fig. 24.1 illustra in
modo schematico le fasi di rischio infettivo conseguenti al
trapianto di midollo, con i corrispondenti deficit immunitari
e i patogeni più frequenti.
Durante la fase di neutropenia, le infezioni più frequenti sono
le sepsi batteriche, che colpiscono fino al 40% dei pazienti. Gli agenti eziologici più comuni sono rappresentati dai
cocchi gram-positivi, provenienti dalla cute (Staphylococcus
aureus e stafilococchi coagulasi-negativi), dalla mucosa orale
(streptococchi viridanti) o intestinale (enterococchi) o da
bacilli gram-negativi di origine intestinale (Escherichia coli,
Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa). La prevalenza delle riattivazioni di HSV e della candidemia in questa
fase si è notevolmente ridotta grazie alla chemioprofilassi,
rispettivamente con aciclovir e fluconazolo. Durante le fasi
postattecchimento precoce e tardiva il paziente è a rischio
per le riattivazioni di HCMV, EBV e adenovirus, per le polmoniti di natura batterica o fungina (Pneumocystis jirovecii,
Aspergillus spp.) e per le infezioni virali delle vie respiratorie.
L’aspergillosi invasiva riconosce come fattori di rischio sia la
neutropenia prolungata sia la terapia corticosteroidea ad alte
dosi, e di conseguenza la prevalenza di questa infezione ha
una distribuzione bimodale: il primo picco si osserva precocemente dopo il trapianto durante la neutropenia, il secondo
in caso di terapia con alte dosi di corticosteroidi per il trattamento della malattia da trapianto contro l’ospite. In caso di
successo del trapianto, in assenza di ricaduta della malattia
di base e della GvHD, a partire da circa 6-12 mesi dopo il
trapianto può essere sospesa la terapia immunosoppressiva
e iniziata l’immunoprofilassi attiva con vaccini inattivi o a
subunità (per esempio, contro influenza, pneumococco) per
ripristinare anche le difese immunitarie specifiche (i vaccini
13/01/14 11:00
Capitolo 24 t Infezioni dell’ospite compromesso
Difetti
del sistema
immunitario
90 giorni
60 giorni
Attecchimento
971
180 giorni 1 anno 2 anni
Neutropenia
Linfopenia
Ipogammaglobulinemia
Fattori
contribuenti
all’infezione
correlati
al trapianto
Mucosite
Catetere venoso centrale
Piastrinopenia
GvHD cronica
GvHD acuta
Infezioni
a elevata
prevalenza
HSV
Adenovirus
HCMV
VZV
Candida spp.
Aspergillus spp.
precoce
Aspergillus spp. tardiva
Streptococchi
viridanti
Gram-negativi
facoltativi
Stafilococchi coagulasi-negativi
Infezioni
a bassa
prevalenza
Batteri capsulati
Pneumocystis jirovecii
Virus respiratori ed enterici (episodici, epidemici)
Malattia linfoproliferativa da EBV
Toxoplasma gondii
Strongyloides stercoralis
Cryptosporidium spp.
FIG. 24.1 - Infezioni nei pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali emopoietiche in relazione alla terapia immunosoppressiva
e al tempo di insorgenza della malattia del trapianto contro l’ospite (GvHD, graft versus host disease).
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972
Capitolo 24 t Infezioni dell’ospite compromesso
vivi attenuati possono essere invece somministrati solo dopo
la sospensione della terapia immunosoppressiva e non prima
di 2 anni dopo il trapianto).
Paziente splenectomizzato
La splenectomia è associata a un rischio aumentato di episodi
setticemici anche a grande distanza di tempo dall’intervento.
Il rischio è variabile a seconda della situazione patologica che
ha richiesto la splenectomia e dell’età del paziente al momento
dell’atto chirurgico. La splenectomia postraumatica è caratterizzata dalla più bassa prevalenza di infezioni, non diversa
da quanto osservato nella popolazione generale, ma la letalità
per infezione è da 50 a 60 volte più elevata rispetto ai soggetti
non splenectomizzati. La splenectomia in corso di emolinfopatie sistemiche (autoimmuni e neoplastiche) è più sovente
seguita da gravi infezioni batteriche, con una prevalenza (in
relazione alla malattia di base e al grado di compromissione
immunitaria da essa comportato) compresa tra il 4 e il 12%. I
casi fatali sono stimati tra il 2 e il 2,5% negli splenectomizzati
per piastrinopenia idiopatica e attorno al 2% nei bambini
splenectomizzati per sferocitosi ereditaria.
Gli agenti più spesso responsabili di sepsi sono Streptococcus
pneumoniae ed Haemophilus influenzae. Neisseria meningitidis
può essere causa di infezioni fulminanti specie nel bambino,
in cui anche le infezioni da S. pneumoniae ed H. influenzae,
che restano le più comuni, assumono sovente un decorso particolarmente grave. L’adulto è più di rado vittima di infezioni
batteriche fulminanti, ma può presentare forme iperacute da
protozoi a ciclo intraeritrocitario come i plasmodi e le babesie.
La milza è una delle sedi principali della risposta immune
timo-indipendente, con numerosi linfociti B residenti e una
ricca rappresentanza del sistema monocitico-macrofagico.
Un’alterata produzione di anticorpi antipneumococco e rivolti
verso altri antigeni timo-indipendenti è stata dimostrata negli
adulti splenectomizzati, così come una meno efficiente eliminazione di particelle opsonizzate, una ridotta concentrazione
di properdina e un decremento di tuftsina.
L’aumentato rischio di sepsi da S. pneumoniae rende consigliabile la vaccinazione antipneumococcica polivalente, da
praticarsi – ove possibile – prima dell’intervento. Poiché,
specie nei bambini piccoli e nei soggetti con malattie defedanti, l’infezione può ugualmente presentarsi, è opportuna la
chemioprofilassi penicillinica.
L’anemia a cellule falciformi comporta una marcata compromissione della funzionalità splenica, risultato dei ripetuti infarti
splenici, che viene definita splenectomia (o asplenia) funzionale.
A questa condizione viene attribuita l’aumentata frequenza di
infezioni, in particolare di sepsi penumococciche, meningiti
e osteomieliti da salmonelle, che rappresentano una delle
principali cause di malattia e di morte nei pazienti con anemia drepanocitica. Sono state segnalate anche polmoniti da
micoplasmi a decorso insolitamente grave.
Il rischio di meningite batterica o setticemica è stato calcolato attorno al 9% nei bambini con genotipo SS e il rischio
di presentare meningite pneumococcica e da H. influenzae,
rispettivamente, 36-600 volte superiore e 110 volte superiore
rispetto ai bambini sani viventi nella stessa comunità.
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Il rischio di infezione è più elevato nei soggetti con milza
palpabile prima del compimento dei 6 mesi.
Un difetto linfocitario con deficienza di zinco, infine, è stato
recentemente descritto nei portatori di genotipo SS.
Paziente diabetico
Nel diabete mellito la frequenza delle infezioni è aumentata.
Una compromissione delle prime linee di difesa, dovuta alle
iniezioni ripetute e alla vasculopatia e neuropatia diabetica,
costituisce un fattore favorente primario, così come l’elevato
contenuto in glucosio di urine e secrezioni.
Il principale difetto immunitario osservato nei pazienti diabetici è un’alterata chemiotassi dei granulociti neutrofili e dei
monociti. Deficit di fagocitosi e dell’attività microbicida dei
neutrofili sono stati descritti in relazione ad alte concentrazioni di glucosio. Non vi sono, invece, marcate alterazioni delle
funzioni T-linfocitarie, se non eccezionalmente in pazienti con
diabete scompensato.
Paziente con insufficienza renale cronica
Le infezioni sono la complicanza più comune e la più frequente causa di morte negli individui con insufficienza renale
acuta. Nell’insufficienza renale cronica la patologia infettiva è
spesso responsabile di exitus. È discutibile se l’insufficienza
renale sia di per sé un elemento determinante nel provocare
immunocompromissione.
Tuttavia, sono stati osservati difetti del compartimento di
riserva granulocitario e della chemiotassi dei neutrofili, in
assenza di rilevanti alterazioni della funzione fagocitica e microbicida. La dialisi peritoneale, ma non l’emodialisi, corregge
il deficit chemiotattico, attribuito all’anomala generazione di
fattori chemiotattici nel siero uremico. I fagociti mononucleati
appaiono funzionalmente compromessi sia in vivo sia in vitro,
mentre le reazioni cutanee di ipersensibilità ritardata risultano
alterate e non vengono ripristinate dalla dialisi.
Il siero uremico inibisce la proliferazione in risposta ad
antigeni e mitogeni in vitro. Deficit dell’immunità cellulomediata, comunque, sono presenti anche in pazienti dializzati. L’emodialisi comporta una neutropenia transitoria
come conseguenza dell’attivazione del complemento determinata dalla membrana dialitica, con marginalizzazione
dei neutrofili e loro sequestro nel circolo polmonare. Le
infezioni più spesso osservate nell’uremico sono a carico dell’apparato uropoietico e interessano (escludendo
i portatori di pielonefrite) il 17% circa dei pazienti. Il
cateterismo vescicale è la causa predisponente più comune;
Pseudomonas spp., Proteus spp., Klebsiella pneumoniae ed
Escherichia coli sono tra le specie batteriche più sovente
isolate. Una polmonite batterica colpisce il 50% circa dei
soggetti con uremia. Le sepsi, dovute agli stessi agenti
responsabili delle infezioni urinarie e, in circa il 25% dei
casi, a Staphylococcus aureus, costituiscono una complicanza in oltre il 10% dei pazienti. L’emodialisi è associata a
un aumentato rischio di infezione da virus dell’epatite B,
con una prevalenza di marcatori sierologici HBV-correlati
13/01/14 11:00
Capitolo 24 t Infezioni dell’ospite compromesso
che raggiunge e supera l’80% nei Centri di dialisi, da virus
dell’epatite C e da altri virus non-A, non-B, non-C. È stata
altresì descritta un’aumentata prevalenza di infezioni da
virus di Epstein-Barr.
Le infezioni degli accessi vascolari più frequenti sono provocate da Staphylococcus aureus (50-100% dei casi), S. epidermidis, Pseudomonas spp.; focolai metastatici polmonari,
osteomieliti, endocarditi batteriche sono stati descritti in
questi pazienti.
Le complicanze peritonitiche nella dialisi peritoneale sono
più spesso causate da batteri gram-positivi, in particolare da
Staphylococcus epidermidis.
973
Tab. 24.7 Fattori legati alla tossicodipendenza
che possono interferire con l’assetto immunitario.
t "[JPOFEJSFUUBEFMMFSPJOB
t "[JPOFEJBMUSFTPTUBO[FBTTVOUFBTDPQPWPMVUUVBSJPFUBOPMP
DPDBJOB
t *OUFSGFSFO[BDPOJMNFUBCPMJTNPEFMMFFOEPSåOFFEFMMFFODFGBMJOF
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t "TTVO[JPOFDPOUFNQPSBOFBEJGBSNBDJQTJDPUSPQJFBMUSJ
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Paziente etilista
L’alcolismo è caratterizzato da numerose complicanze infettive, tra cui una maggior prevalenza di polmoniti batteriche,
tubercolosi e meningiti batteriche (di cui Streptococcus pneumoniae è l’agente eziologico più comune).
Lo stile di vita, la malnutrizione, l’aumentato rischio di traumi, la frequenza dei fenomeni di reflusso gastroesofageo e la
depressione del riflesso della tosse sono responsabili della
compromissione della prima linea di difesa. Il danno epatico
da etanolo induce una compromissione del sistema monocitomacrofagico del fegato, cui consegue uno stato “iperantigenemico” con attivazione policlonale delle cellule B e incremento della concentrazione sierica di IgG. Varie frazioni del
complemento, inoltre, risultano progressivamente carenti
come conseguenza della ridotta sintesi epatica e del consumo
dovuto all’attivazione del compartimento linfocitario B.
Le principali alterazioni dell’immunità cellulare riscontrate
negli etilisti sono riportate nella Tab. 24.6.
Paziente tossicodipendente
La tossicodipendenza da eroina cagiona un complesso spettro
di alterazioni immunologiche legate a numerosi fattori, di cui
l’azione immunodepressiva della droga a carico dei linfociti
T è soltanto un aspetto, e probabilmente non il più rilevante
(Tab. 24.7). La presenza di infezioni legate a un’alterazione
della risposta immunitaria cellulo-mediata è stata osservata
nel tossicodipendente da eroina “da strada” anche in epoca
precedente la diffusione dell’infezione da HIV-1 tra questi
pazienti. Micosi profonde (in particolare polmoniti ed endoftalmiti da Candida spp.) sono state segnalate già a partire
dai primi anni Settanta e associate a difetti della funzionalità
granulocitaria.
Tab. 24.6 Etanolo e sistema immunitario.
t "MUFSB[JPOFEFMturnoverUJNJDPFPTQMFOJDPMJOGPQFOJBSJEV[JPOF
EJTJOHPMFTPUUPQPQPMB[JPOJ
t 3JEV[JPOFEFMMBSJTQPTUBBJNJUPHFOJ
t "UUJWB[JPOFBTQFDJåDBEFJMJOGPDJUJ#
t 3JEV[JPOFEFMMBUUJWJUË/,in vitro
t 3JEV[JPOFEFMMBDIFNJPUBTTJEFJOFVUSPåMJin vitro
t 3JEV[JPOFEFMMBEFSFO[BEFJOFVUSPåMJin vitro
025_ch024_MORONI_0963_0984.indd 973
Difetti dei neutrofili sono in genere più evidenti nei tossicodipendenti con infezione da HIV rispetto a pazienti appartenenti ad altri gruppi a rischio.
Le patologie infettive che colpiscono più spesso i tossicodipendenti sono riportate nella Tab. 24.8.
Peculiare, tra le varie infezioni di origine batterica, è la suscettibilità ad infezioni rare da clostridi. Casi sporadici di tetano
associati all’iniezione sottocutanea accidentale (“fuori vena”)
sono segnalati in tossicodipendenti con accessi venosi compromessi: gli ascessi e i granulomi conseguenti allo stravaso
della sostanza iniettata costituiscono, infatti, un ambiente
anaerobio ideale per la germinazione delle spore eventualmente inoculate.
Un’altra rara complicanza delle ferite da iniezione è il botulismo. La solubilizzazione dell’eroina mediante esposizione al
calore non è sufficiente a garantire la distruzione delle spore
di Clostridium botulinum eventualmente presenti. In particolare, è stata riportata una significativa relazione tra botulismo
da ferita e un peculiare tipo di oppioide illecito (black tar
heroin, o black, o brown), inoculata o per via intramuscolare
o sottocutanea.
È stata anche segnalata una condizione patologica acuta grave
caratterizzata da estesa infiammazione locale in sede di iniezione sottocutanea o intramuscolare (ascessi, fasciti, celluliti
o miositi) associata a reazione leucemoide, ipotensione e collasso cardiocircolatorio.
Sebbene estesi accertamenti microbiologici non abbiano
ancora condotto alla definizione dell’agente eziologico, l’isolamento di Clostridium novyi in alcuni pazienti viene considerato con particolare interesse, in merito alla possibile
implicazione di questo o di altri clostridi nella patogenesi di
tale nuova sindrome.
Recenti evidenze sottolineano l’elevata prevalenza (3-12%)
di infezioni da HTLV-II tra i tossicodipendenti, in Italia e negli Stati Uniti. Il fenomeno è stato osservato sia in individui
con infezioni da HIV-1, sia in soggetti HIV-1-sieronegativi.
Allo stato attuale delle conoscenze, non è possibile prevedere in che misura e con quali manifestazioni questo virus, di
cui è nota la capacità di indurre malattie linfoproliferative
(leucemie a cellule capellute e linfomi), si dimostrerà in
grado di causare problemi clinicamente apprezzabili nei
soggetti infettati.
13/01/14 11:00
974
Capitolo 24 t Infezioni dell’ospite compromesso
Tab. 24.8 Patologie infettive nel tossicodipendente.
Quadri clinici
Agenti eziologici
&OEPDBSEJUFTFQTJ
Staphylococcus aureus,
StreptococcusTQQ
SerratiaTQQPseudomonas TQQ
CandidaTQQCorynebacterium
pseudodiphtheriticum
"TDFTTPTQMFOJDP
Staphylococcus aureus,
Klebsiella pneumoniae
0TUFPNJFMJUF
FBSUSJUFTFUUJDB
Staphylococcus aureus,
Klebsiella pneumoniae
1PMNPOJUF
StreptococcusTQQ
Staphylococcus aureus,
Pseudomonas aeruginosa,
Serratia marcescens
*OGF[JPOJDVUBOFFGBTDJUF
QJPNJPTJUFýFCJUF
Staphylococcus aureus,
Streptococcus pyogenes,
CandidaTQQStreptococcus TQQ
Pseudomonas TQQClostridium
novyi *OGF[JPOJPDVMBSJFOEPGUBMNJUF
DPSJPSFUJOJUFVWFJUF
CandidaTQQAspergillus flavus
DJUPNFHBMPWJSVTVNBOP
5FUBOP
Clostridium tetani
#PUVMJTNP
Clostridium botulinum
.BMBSJB
Plasmodium falciparum, P. malariae
&QBUJUF
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/"/#/$/%/&
"*%4FTJOESPNJDPSSFMBUF
)*7
-FVDFNJFMJOGPNJ )5-7)5-7
*OGF[JPOJBUSBTNJTTJPOFTFTTVBMF
Treponema pallidumTTQpallidum
Neisseria gonorrhoeaeWJSVT
IFSQFTTJNQMFYUJQPDMBNJEJF
Mycoplasma hominis
&QBUJUFOPO"OPO#OPO$OPO%OPO&
Paziente trattato con farmaci biologici
Si veda il Capitolo 25.
Prevenzione delle infezioni
nell’ospite immunocompromesso
In considerazione della varietà dei fattori predisponenti e del
polimorfismo eziologico, l’approccio profilattico alle infezioni
nell’ospite immunocompromesso è particolarmente complesso e rilevante. Schematicamente, si possono distinguere le
seguenti misure profilattiche:
t eliminazione della condizione predisponente;
t immunoprofilassi passiva;
t immunoprofilassi attiva;
t prevenzione della colonizzazione da parte di patogeni ambientali e riduzione della flora fisiologica endogena;
t indagini infettivologiche e chemioprofilassi.
025_ch024_MORONI_0963_0984.indd 974
ELIMINAZIONE DELLA CONDIZIONE PREDISPONENTE
È ovvio che la profilassi ideale debba tendere a eliminare la
condizione predisponente, intervenendo sulla patologia di
base. Purtroppo tale approccio è solo raramente perseguibile. Un esempio in tal senso è rappresentato dall’infezione
da HIV, in cui la terapia antiretrovirale, quando assunta in
modo appropriato, porta al recupero immunitario e previene
l’insorgenza di infezioni opportunistiche. Nelle malattie linfoproliferative la terapia può essere considerata curativa dell’immunodeficienza solo nel lungo termine poiché, inizialmente,
aggrava il deficit delle difese. Nell’ottica dell’eliminazione
della condizione predisponente va anche segnalato l’uso dei
fattori di crescita dei granulociti, il cui utilizzo terapeutico è
riservato ai pazienti con neutropenia grave.
Talvolta, nelle malattie neoplastiche, di fronte a un rischio
elevato di infezione grave è consentito ridurre o sospendere la
terapia immunosoppressiva, con il risultato però di aggravare
il rischio di recidiva della malattia di base. Analogamente, nei
trapianti di rene a volte è meglio accettare il rigetto dell’organo e ricondurre il paziente a un regime di dialisi, piuttosto che
mettere a rischio la vita del paziente insistendo nel tentativo
di controllare il rigetto. Un altro approccio utile per eliminare
potenziali condizioni predisponenti, ma nella pratica clinica
raramente perseguibile, è quello di limitare il più possibile le
manovre invasive e l’utilizzo delle vie venose centrali.
IMMUNOPROFILASSI PASSIVA
L’immunoprofilassi passiva consiste solitamente nel periodico ripristino degli anticorpi mancanti nei soggetti affetti
da ipo-agammaglobulinemia, con somministrazione delle
immunoglobuline per via endovenosa o intramuscolare. Un
importante impiego delle immunoglobuline, inoltre, è rappresentato dall’immunoprofilassi passiva per la prevenzione di
alcune infezioni con preparazioni a base di immunoglobuline
specifiche (immunoglobuline antiepatite B, antivirus della
varicella e dello zoster, e così via).
IMMUNOPROFILASSI ATTIVA
La risposta ai vaccini può essere ridotta in presenza di deficit
immunitari. È opportuno segnalare che la somministrazione di
vaccini contenenti microrganismi vivi attenuati (antimorbillo,
antivaricella, antiparotite, antirosolia, antipoliomielite orale,
antifebbre gialla, BCG) a un paziente immunocompromesso
è sconsigliata, mentre non sussistono rischi nell’impiego di
vaccini costituiti da agenti inattivati, anatossine o subunità. Rimane importante la vaccinazione antipneumococcica,
anti-Haemophilus influenzae tipo b e antimeningococcica nel
paziente candidato a splenectomia. Tale approccio, unito alla
chemioprofilassi con benzilpenicillina benzatinica prima della
formazione degli anticorpi, si è dimostrato in grado di ridurre
il rischio di sepsi gravi provocate da questi batteri.
PREVENZIONE DELLA COLONIZZAZIONE
DA PARTE DI PATOGENI AMBIENTALI
E RIDUZIONE DELLA FLORA ENDOGENA
Il malato ricoverato in ospedale viene rapidamente colonizzato dalla flora batterica di origine ospedaliera, spesso resistente
a diversi antibiotici. I mezzi idonei a prevenire almeno in parte
tale fenomeno possono essere molto semplici (per esempio,
13/01/14 11:00
Capitolo 24 t Infezioni dell’ospite compromesso
lavaggio delle mani, uso di sovraccamice e mascherina da
parte del personale di assistenza, ricovero in camere singole) o
più sofisticati (camere a pressione positiva con filtri ad alta efficienza, nutrizione con cibi a carica batterica bassa o assente,
riduzione del contatto diretto con il personale di assistenza).
Dal punto di vista del rapporto costo-beneficio (intendendo
con ciò non solo quello economico, ma anche quello psicologico per il paziente), le normali precauzioni igienico-sanitarie
(lavaggio delle mani, sovraccamice e mascherina, cibi cotti)
danno i risultati più soddisfacenti. È opportuno sottolineare
anche la necessità di mantenere condizioni di asepsi quando
il catetere venoso centrale a permanenza viene usato o manipolato per i lavaggi.
Per quanto riguarda la prevenzione delle infezioni dovute a
patogeni ambientali a trasmissione aerea (Aspergillus spp.,
Legionella pneumophila) è indispensabile ricoverare i pazienti
in reparti dotati di stanze con aria condizionata filtrata attraverso filtri assoluti (high efficacy particulate air, HEPA). Altre
misure preventive semplici ed efficaci, indicate soprattutto per
ridurre l’incidenza delle infezioni respiratorie virali (per esempio, l’influenza), consistono nel lavaggio frequente delle mani
e nell’utilizzo, da parte del paziente immunocompromesso,
della mascherina chirurgica nei luoghi affollati (per esempio,
nella sala d’attesa dell’ambulatorio).
Accanto alle misure di isolamento è stato anche proposto di
ridurre la microflora endogena intestinale, sede di patogeni
potenzialmente causa di infezione, con la somministrazione
di antibiotici non assorbibili per via orale. Tale approccio,
sperimentato per lo più nel paziente neoplastico, potrebbe
avere un ruolo anche in altri ambiti, quali per esempio la
chirurgia addominale, ma non viene più utilizzato nei pazienti
sottoposti a trapianto. Altri provvedimenti analoghi sono stati
sperimentati in terapia intensiva e in cardiochirurgia mediante
trattamento dei pazienti portatori di stafilococchi meticillinoresistenti a livello nasale: in questi casi l’applicazione di un
unguento a base di mupirocina ha fornito buoni risultati nella
prevenzione delle infezioni causate da tali microrganismi.
INDAGINI INFETTIVOLOGICHE
E CHEMIOPROFILASSI
Profilassi antibiotica durante la neutropenia
975
La profilassi della varicella viene effettuata in caso di esposizione al virus della varicella e dello zoster nei pazienti suscettibili (VZV-sieronegativi), inclusi i pazienti leucemici e
quelli sottoposti a trapianto d’organo solido. Si somministrano immunoglobuline specifiche entro 96 ore dall’esposizione,
oppure aciclovir o valaciclovir nel caso di tempi più lunghi.
Considerata la possibilità di riattivazione di un’epatite B inattiva nei pazienti oncologici, soprattutto se sottoposti a terapie
con farmaci soppressivi dell’immunità cellulo-mediata o che
inducono ipogammaglobulinemia (per esempio, l’anticorpo
monoclonale anti-CD20), si deve effettuare prima della chemioterapia la ricerca dei seguenti marcatori: HbsAg, antiHBs, anti-HBC e, nel caso in cui l’HBsAg o gli anticorpi antiHBc risultino positivi, anche la ricerca quantitativa dell’HBVDNA. La profilassi della riattivazione dell’infezione da HBV è
raccomandata nei pazienti emato-oncologici HBsAg-positivi
con HBV-DNA negativo (i pazienti con HBV-DNA positivo
vanno invece trattati per epatopatia cronica HBV-correlata) e
nei pazienti HBsAg-negativi, ma anti-HBc-positivi (infezione
pregressa) che vengono sottoposti al trapianto allogenico o
ricevono rituximab. La chemioprofilassi prevede la somministrazione giornaliera di lamivudina.
Profilassi antifungina
La profilassi della polmonite da Pneumocystis jirovecii viene
prescritta ai pazienti con grave deficit dell’immunità cellulomediata: HIV-sieropositivi con conta dei linfociti CD4+ inferiore a 200 cellule/ L, sottoposti a trapianto autologo o allogenico di cellule staminali emopoietiche, affetti da leucemia,
linfoma, mieloma e tumori solidi la cui terapia preveda l’uso
di corticosteroidi o fludarabina. Si impiegano cotrimoxazolo
per os o pentamidina per aerosol.
La profilassi antifungina contro Candida spp. o Aspergillus
spp. è indicata nei pazienti con leucemia acuta/sindrome
mielodisplastica in fase di neutropenia dopo ogni ciclo di
chemioterapia, nei riceventi di trapianto allogenico di midollo
durante le fasi di maggior rischio e in alcuni riceventi di trapianto di organo solido durante i periodi di più alto rischio;
viene effettuata con fluconazolo nei confronti di Candida
spp. oppure, in caso di elevato rischio di infezioni da funghi
filamentosi, con i triazoli attivi nei confronti di Aspergillus
spp. (posaconazolo o voriconazolo).
Si veda il paragrafo successivo.
Profilassi della riattivazione della tubercolosi
Profilassi delle infezioni virali
La profilassi delle infezioni da virus herpes simplex è raccomandata nei pazienti HSV-sieropositivi con neoplasie ematologiche o sottoposti a trapianto di midollo o di cellule staminali emopoietiche e viene effettuata con aciclovir o valaciclovir.
La profilassi dell’infezione e della malattia da citomegalovirus
umano (HCMV) è indicata solo nei pazienti ad alto rischio: in
alcuni tipi di trapianto allogenico di midollo, nel trapianto di
polmone e in pazienti trattati con alemtuzumab. Viene effettuata con ganciclovir o valganciclovir e deve sempre essere
accompagnata dal monitoraggio virologico (determinazione
dell’antigenemia o ricerca dell’HCMV-DNA) per verificare
la possibile riattivazione e iniziare precocemente la terapia, in
modo da ridurre significativamente il rischio che si sviluppi
una malattia d’organo.
025_ch024_MORONI_0963_0984.indd 975
Nei pazienti sottoposti ad alcune terapie immunosoppressive
o immunomodulanti, per esempio con i farmaci inibitori del
TNF- , vi è un rischio particolarmente aumentato di riattivazione delle infezioni granulomatose latenti, soprattutto
della tubercolosi.
In generale è consigliata l’esecuzione degli esami di controllo relativi alla tubercolosi in caso di anamnesi positiva, nei
soggetti provenienti da aree ad elevata endemia, anche in
assenza di anamnesi positiva, e in tutti i pazienti prima di
iniziare terapia con farmaci biologici associati a rischio di riattivazione di una tubercolosi latente. Le metodiche utilizzate
includono l’intradermoreazione tubercolinica con PPD e i
test di secrezione di interferone (interferon-gamma release
assay, IGRA) e la radiografia del torace. I test di secrezione
di interferone misurano la produzione di interferone in
13/01/14 11:00
976
Capitolo 24 t Infezioni dell’ospite compromesso
risposta ad antigeni specifici di Mycobacterium tuberculosis.
Si possono verificare tre tipi di risposta:
t risposta positiva nei confronti sia degli antigeni specifici del
micobatterio sia del mitogeno di controllo: indica un’infezione latente o attiva;
t risposta negativa verso gli antigeni specifici del micobatterio, ma positiva nei confronti del mitogeno di controllo:
indica una bassa probabilità di un’infezione latente o attiva;
t risposta negativa ad entrambi gli antigeni: in questo caso
si tratta di un risultato indeterminato dovuto all’immunodeficienza del paziente.
A differenza di quanto si verifica per l’intradermoreazione
tubercolinica, i test di secrezione di interferone non sono
operatore-dipendenti e non determinano false positività nei
soggetti vaccinati con BCG. Essi, tuttavia, come l’intradermoreazione, non sono in grado di distinguere l’infezione attiva
da quella latente.
La profilassi della riattivazione dell’infezione tubercolare è
indicata nei pazienti con pregressa tubercolosi non trattata
per un tempo sufficiente o nei soggetti con tubercolosi latente;
viene effettuata con isoniazide (per 6-9 mesi) o isoniazide e
rifapentina (per 3 mesi).
Infezioni particolari
nei soggetti immunocompromessi
SEPSI
La sepsi è caratterizzata dalla presenza nel torrente circolatorio di agenti infettivi (batteri o miceti) accompagnata da segni
sistemici di reazione infiammatoria acuta; si manifesta in genere con febbre intermittente o remittente. Tuttavia, in alcuni
casi, la temperatura è inferiore a 36 °C e sono presenti altri
segni o sintomi di infezione sistemica; il suo decorso è particolarmente grave in caso di neutropenia (vedi oltre, Neutropenia
febbrile). Può indirizzare verso la diagnosi l’osservazione di
lesioni cutanee necrotizzanti (ectima gangrenoso), tipiche, ma
non patognomoniche, della sepsi da Pseudomonas aeruginosa
e da miceti (per esempio, fusariosi).
L’esame obiettivo attento e ripetuto, la ricerca dei segni occulti di infezione ed, eventualmente, l’impiego delle tecniche
di immagine possono consentire l’identificazione del focolaio
sepsigeno primario. Questo di solito è poco evidente e va
ricercato soprattutto a livello dell’apparato respiratorio e gastroenterico. Talora la sepsi è causata dalla colonizzazione dei
cateteri vascolari o vescicali, da infezioni della cute e dei tessuti molli o da focolai settici localizzati negli organi viscerali.
Sepsi batterica
Attualmente la sepsi è causata nel 60-65% dei casi da batteri gram-positivi (stafilococchi, streptococchi, enterococchi),
anche se in alcuni Centri possono predominare i bacilli gramnegativi. Va segnalato come l’eziologia sia suscettibile di notevoli variazioni, come dimostrato dal fatto che fino alla fine
degli anni Ottanta la situazione era esattamente opposta, con
predominanza dei microrganismi gram-negativi. La letalità è in
funzione dell’agente eziologico, più elevata nelle infezioni da
batteri gram-negativi (in particolare da Pseudomonas aerugino-
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sa) e da miceti, inferiore per quelle da cocchi gram-positivi, ma
è anche direttamente proporzionale alla gravità e alla durata
della condizione predisponente. La diagnosi si fonda sull’isolamento dell’agente causale in una o, meglio, più emocolture.
Sepsi fungina
Le sepsi a eziologia fungina è in genere causata da Candida
spp., meno frequentemente da altri miceti diagnosticabili con
le emocolture quali, per esempio, Cryptococcus neoformans (la
criptococcemia è tipica del paziente con AIDS o linfoma) e
Fusarium spp. (tipica del soggetto neutropenico, solitamente
associata a lesioni cutanee necrotiche in corso di infezione
disseminata).
La candidemia rappresenta un’infezione molto frequente, occupando in alcuni Centri il quarto posto in termini di incidenza
tra le batteriemie nosocomiali. Nel paziente neoplastico spesso
coesistono numerosi fattori di rischio per la candidemia, come
la neutropenia o la terapia immunosoppressiva (per esempio,
corticosteroidea), la colonizzazione da Candida spp. in seguito
alla pressione selettiva degli antibiotici somministrati, la presenza di catetere venoso centrale, la nutrizione parenterale, lo
stato clinico grave, l’esistenza di patologie concomitanti (per
esempio, l’insufficienza renale cronica), gli interventi di chirurgia addominale o le perforazioni del tratto gastrointestinale
(soprattutto nei pazienti con tumori solidi intraddominali), la
mucosite da chemioterapia e/o radioterapia.
La diagnosi di candidemia è fondata sulla ricerca di Candida
spp. nel sangue con ripetute emocolture, sia da catetere venoso
centrale sia da vena periferica. In caso di candidemia correlata
al catetere venoso centrale, questo, se possibile, va rimosso
per aumentare la probabilità di guarigione. Inoltre, nel caso
di candidemia persistente deve essere ricercata un’eventuale
localizzazione d’organo (endocardite, endoftalmite, candidosi
epatosplenica). Poiché le emocolture sono contraddistinte da
una sensibilità non ottimale (50-60%) per la diagnosi delle
infezioni invasive da Candida spp. negli ultimi anni sono stati
introdotti test sierologici non colturali. Questi si basano sulla
ricerca nel siero di antigeni della parete fungina di Candida
spp. – (1,3)- -D-glucano e mannano – e dell’anticorpo antimannano, e mostrano una sensibilità superiore a quella delle
emocolture. La ricerca del glucano è stata utilizzata con successo nella pratica clinica e in vari studi per diagnosticare la
candidosi invasiva nei pazienti con emocolture negative e per
ridurre il tempo intercorrente tra il sospetto clinico di candidemia e la diagnosi colturale. Poiché il glucano è un componente
della parete fungina che Candida spp. condivide con molti
altri miceti (fanno eccezione Mucorales e la maggior parte dei
criptococchi), il test può risultare positivo anche in corso di
altre micosi invasive. Tuttavia, dal momento che candidemia
rappresenta l’infezione fungina più frequente, nei pazienti a
rischio con quadro clinico compatibile la sua positività può
essere considerata la documentazione microbiologica di candidemia. Anche in caso di infezione da Pneumocystis jirovecii,
che contiene nella parete (1,3)- -D-glucano, si riscontrano
livelli sierici elevati del polisaccardide.
Va segnalato che la durata ottimale della terapia nel caso di
candidemia è di 14 giorni a partire dalla prima emocoltura
negativa; pertanto è necessario eseguire emocolture di controllo dopo l’inizio della terapia. È da ricordare, infine, come
13/01/14 11:00
Capitolo 24 t Infezioni dell’ospite compromesso
alcune localizzazioni d’organo (tipico esempio la candidosi
epatosplenica) si rendano clinicamente evidenti solo dopo il
recupero ematologico.
POLMONITE
La polmonite costituisce la più grave e frequente complicanza infettiva che colpisce l’ospite immunocompromesso; si
manifesta con un quadro clinico a esordio più o meno acuto,
talora subdolo e poco appariscente, caratterizzato da febbre,
stato ansioso, polipnea, dispnea e ipossiemia. L’ipossiemia è
più evidente e precoce nelle forme con interessamento interstiziale rispetto a quelle alveolari.
In rapporto al maggiore o minore grado di risposta infiammatoria, il quadro clinico-strumentale potrà essere più o meno
significativo, ma è comunque contraddistinto da una scarsa
corrispondenza con l’entità del danno anatomoistologico.
Nel paziente neutropenico, per esempio, non è infrequente
osservare lesioni radiologicamente evidenti solo al momento
della risalita dei granulociti neutrofili. Analogamente, negli
individui affetti da AIDS, il quadro radiologico può essere
A
B
977
inizialmente aspecifico o poco significativo, pur in presenza
di sintomatologia clinica e di un’elevata carica di Pneumocystis
jirovecii nel liquido di lavaggio broncoalveolare.
Le alterazioni radiografiche possono variare da aspetti di
infiltrazione bilaterale diffusa di tipo alveolare o alveolointerstiziale (conseguenti per lo più a infezioni batteriche,
fungine o protozoarie) a forme esclusivamente interstiziali di
eziologia virale. In molti casi, per meglio valutare la tipologia
di danno polmonare, è opportuno ricorrere alla tomografia
assiale computerizzata (TAC) ad alta risoluzione, che consente
la dimostrazione di danno polmonare anche quando la radiografia standard è negativa o poco significativa. Reperti radiologici più specifici sono rappresentati dallo pneumatocele
(S. aureus), dai segni dell’“alone” (halo sign) e della “mezzaluna” (air crescent sign) (Aspergillus spp.) (Fig. 24.2) o, infine,
dai quadri di interessamento interstiziale ed alveolo-interstiziale a vetro smerigliato o reticolonodulare (HCMV, Pneumocystis jirovecii, virus respiratorio sinciziale, adenovirus)
(Fig. 24.3). La specificità di questi rilievi radiologici è però
da valutare molto criticamente, poiché è noto che nell’ospite
C
FIG. 24.2 - Aspergillosi polmonare invasiva in un paziente neutropenico sottoposto a trapianto allogenico di midollo osseo. Lesione
nodulare con segno dell’alone (A). Evoluzione successiva della stessa lesione − comparsa di escavazione (B). Segno della mezzaluna (C).
A
B
C
D
FIG. 24.3 - Immagini radiologiche (tomografia assiale computerizzata ad alta
risoluzione) delle infezioni polmonari
interstiziali tipiche dell’ospite immunocompromesso. Polmonite da Pneumocystis jirovecii in un paziente affetto
da AIDS (A) e in un paziente sottoposto a
trapianto allogenico di midollo osseo (B).
Polmonite da virus respiratorio sinciziale
umano (C) e polmonite da adenovirus (D)
in pazienti sottoposti a trapianto allogenico di midollo osseo.
025_ch024_MORONI_0963_0984.indd 977
13/01/14 11:00
978
Capitolo 24 t Infezioni dell’ospite compromesso
immunocompromesso immagini radiografiche simili possono
essere causate da agenti diversi e che uno stesso patogeno può,
a sua volta, essere responsabile di quadri differenti.
La diagnosi eziologica delle infezioni polmonari si basa sulla
dimostrazione dell’agente causale (anche con metodi molecolari di amplificazione genica) da campioni ottenuti con
lavaggio broncoalveolare o mediante biopsia transbronchiale
in corso di broncoscopia; talora, da campioni di tessuto
polmonare prelevato con biopsia polmonare percutanea
TC-guidata, a cielo aperto o con tecniche pleuroscopiche.
L’esame microscopico e colturale dell’espettorato, spontaneamente prodotto o indotto tramite stimolazione con
soluzione salina ipertonica somministrata per via aerosolica,
può essere utile in alcune condizioni cliniche (per esempio,
polmonite da P. jirovecii nel paziente affetto da AIDS), ma
non è in generale una prova sicura e affidabile in questo
contesto. La ricerca di antigeni urinari (per Legionella pneumophila e Streptococcus pneumoniae), di antigeni fungini
(galattomannano o glucano nel siero e galattomannano nel
liquido di lavaggio broncoalveolare) o di materiale genetico
(virus respiratori, batteri nel tampone nasale o faringeo o
nel liquido di lavaggio broncoalveolare) può supportare
l’ipotesi diagnostica.
Aspergillosi polmonare invasiva
La diagnosi di malattia fungina invasiva, importante causa
di letalità e morbosità nei pazienti immunocompromessi, è
un problema di non facile soluzione nella pratica clinica,
in considerazione dei segni e sintomi poco specifici, della
scarsa sensibilità delle indagini colturali e della frequente
impossibilità di sottoporre il paziente a manovre diagnostiche invasive, quale, ad esempio, la biopsia polmonare.
Una diagnosi certa di malattia fungina invasiva si basa sulla
dimostrazione della presenza del fungo all’esame istopatologico e/o citopatologico e/o microscopico diretto in
un campione del tessuto colpito dall’infezione, ottenuto
tramite una procedura sterile (biopsia o agoaspirato). Per
questo motivo, è necessario mantenere un elevato sospetto
clinico nei pazienti con le seguenti condizioni predisponenti
all’aspergillosi: neutropenia prolungata (superiore a 10
giorni); uso protratto di corticosteroidi (alla dose minima
equivalente di 0,3 mg/kg/die di prednisone per una durata
superiore a 3 settimane); terapie con altri farmaci immunosoppressori dei linfociti T (per esempio, ciclosporina,
inibitori del TNF- , anticorpi monoclonali specifici come
alemtuzumab o analoghi nucleosidici) durante i 90 giorni
precedenti; trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche; immunodeficienza grave congenita (per esempio, la
malattia granulomatosa cronica e l’immunodeficienza grave
combinata). Tra i pazienti trapiantati, il rischio di aspergillosi invasiva è particolarmente alto nei riceventi di midollo
durante la fase di neutropenia prolungata e durante i periodi
di trattamento con alte dosi di terapia corticosteroidea per
la GvHD e nei pazienti sottoposti a trapianto di polmone.
Nei pazienti a rischio, qualora presentino un quadro clinico
compatibile, la diagnosi di infezione da Aspergillus spp. può
essere confermata microbiologicamente tramite la ricerca
dell’antigene galattomannano nel siero o nel liquido di lavaggio broncoalveolare (vedi anche a pag. 472).
025_ch024_MORONI_0963_0984.indd 978
CELLULITE PERIRETTALE E PERIANALE
Si tratta di un’infezione che si osserva per lo più nel paziente
neutropenico; è contraddistinta da dolore in sede perianale,
talvolta accompagnato da febbre. La consapevolezza dell’esistenza di questa patologia è di particolare importanza, perché
dimostra quanto l’esame clinico dei pazienti debba essere
accurato. L’agoaspirazione delle lesioni, seguita dall’esame
microscopico e dalla coltura del materiale prelevato, può
rivelarsi essenziale per la terapia. Tra gli agenti eziologici si annoverano per lo più i batteri gram-negativi e gli enterococchi,
ma non deve essere trascurata la possibilità di un’infezione da
anaerobi (Bacteroides spp.).
INFEZIONI CUTANEE
Le infezioni cutanee a volte si sviluppano spontaneamente, ma
sono in genere provocate da manovre invasive (venipuntura,
prelievi midollari, biopsie, iniezioni o infiltrazioni a scopo
terapeutico) o da colonizzazioni batteriche o fungine dei
cateteri venosi. Gli agenti eziologici in causa sono solitamente
batteri e miceti. Non va trascurato il fatto che alcune manifestazioni cutanee costituiscono l’espressione di disseminazione
ematogena in corso di infezioni batteriche o fungine; inoltre,
possono far parte del quadro clinico di un’infezione virale
(morbillo, infezione da virus herpes simplex o da virus della
varicella e dello zoster).
Le infezioni della cute o dei tessuti molli (associate o meno
a sepsi) localizzate sul decorso o nel punto di emergenza di
un catetere venoso centrale, rendono difficoltoso individuare
la corretta condotta clinica da tenere; infatti, non è sempre
facile stabilire se sia o meno indispensabile rimuovere la via
venosa per curare l’infezione. In generale è indicata la sostituzione per i cateteri non a permanenza, mentre per i cateteri
“tunnellizzati” già definiti in precedenza oppure per quelli
completamente impiantabili si ricorre alla sostituzione se
rappresentano fonte di infezione, se l’infezione non risponde
alla terapia antibiotica, se vi è una batteriemia persistente
o ricorrente e nel caso di infezione da parte di microrganismi dotati di elevata virulenza che rispondono in modo non
ottimale alla terapia antimicrobica (Staphylococcus aureus,
Pseudomonas aeruginosa, Candida spp.).
INFEZIONI DELLA CAVITÀ ORALE, DELLA FARINGE,
DELL’ESOFAGO, DELL’INTESTINO E DEL FEGATO
Le manifestazioni infettive localizzate alla cavità orale e alla
faringe sono particolarmente frequenti nei pazienti sottoposti
a terapie citostatiche, ma possono essere osservate anche in
corso di altre immunodeficienze, in particolare quelle interessanti il compartimento delle cellule T (immunodeficienza
combinata grave, infezione da HIV). Gli agenti eziologici
sono soprattutto miceti (Candida albicans), batteri anaerobi e
virus (virus herpes simplex). L’infezione può rimanere localizzata al cavo orofaringeo o diffondersi per contiguità (esofagiti,
per lo più da HSV, Candida o HCMV) o a distanza (sepsi).
La presenza di una grave mucosite a livello orofaringeo deve
far considerare l’eventualità che tutta la mucosa gastrointestinale sia interessata. Altre patologie dell’apparato digerente
rilevanti sono le gastroenteriti fungine, la colite pseudomembranosa da Clostridium difficile, la colite da citomegalovirus,
le gastroenteriti protozoarie, tipiche del paziente HIV-siero-
13/01/14 11:00
Capitolo 24 t Infezioni dell’ospite compromesso
positivo (Cryptosporidium spp., Isospora belli) e l’enterocolite
del neutropenico, un’affezione caratterizzata da cellulite e
necrosi agranulocitaria del cieco (tiflite) seguita da peritonite
e stato di shock.
A carico del parenchima epatico va segnalata la candidosi
epatosplenica (o candidosi cronica disseminata), osservata
soprattutto nei pazienti emato-oncologici o sottoposti a trapianto di midollo osseo. È contraddistinta dalla comparsa
di lesioni microascessuali nel fegato e nella milza, febbre
persistente e notevole aumento della fosfatasi alcalina sierica. Insorge contestualmente al recupero dei granulociti
neutrofili dopo una prolungata neutropenia e generalmente,
ma non costantemente, è accompagnata dall’isolamento di
Candida spp. dal sangue. L’esame ecografico può evidenziare
la presenza di alcune immagini tipiche (“ruota nella ruota”,
“occhio di toro”), oppure lesioni uniformemente ipoecogene.
La risonanza magnetica nucleare è l’indagine radiologica più
sensibile; mostra inizialmente piccoli noduli (inferiori a 1 cm
di diametro), iperintensi nelle sezioni pesate in T2, e successivamente noduli di maggiori dimensioni (1-3 cm), a margini
irregolari, iperintensi nelle sezioni pesate in T1, circondate
da un anello perilesionale.
Rara, ma probabilmente destinata ad aumentare di frequenza,
è la sindrome da iperinfestazione da Strongyloides stercoralis,
un elminta che può causare quadri clinici di addome acuto
e successiva disseminazione in tutto l’organismo in soggetti
gravemente immunocompromessi (leucemie acute o allotrapianto di cellule staminali).
INFEZIONI DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE
Le infezioni del sistema nervoso centrale che colpiscono i
pazienti con condizioni predisponenti, come la presenza di
derivazioni ventricoloperitoneali o endoventricolari, sono
solitamente causate da batteri (cocchi gram-positivi) o da
Candida spp. Nei soggetti con deficit dell’immunità cellulo-mediata, soprattutto HIV-sieropositivi, sono frequenti
l’encefalite da Toxoplasma gondii, la meningite da Cryptococcus neoformans, le meningoencefaliti da micobatteri
(Mycobacterium tuberculosis e micobatteri non tubercolari)
e le meningoencefaliti virali (HCMV, HSV, VZV o virus
JC). Infine, nel paziente immunocompromesso non va dimenticata Listeria monocytogenes, batterio gram-positivo,
responsabile di quadri di meningite o meningoencefalite
con frequente interessamento del tronco encefalico e con
localizzazioni ascessuali parenchimali (cerebrite); non di
rado è presente idrocefalo.
Neutropenia febbrile
La neutropenia febbrile è definita come presenza di febbre
(temperatura ascellare 38,3 °C in una singola misurazione o
≥38 °C per almeno 1 ora, senza assunzione di antipiretici) in
pazienti con conta assoluta dei granulociti neutrofili inferiore
a 500/ L (o inferiore a 1.000/ L, ma in rapida diminuzione).
La neutropenia grave viene definita come conta assoluta dei
granulociti inferiore a 100/ L.
La neutropenia febbrile è un’emergenza medica, in quanto
la febbre può essere l’unico segno clinico di un’infezione
025_ch024_MORONI_0963_0984.indd 979
979
sistemica in atto che, specialmente se causata da batteri gram-negativi, può assumere un decorso rapidamente
fatale. Tale condizione, oltre ad aumento di morbosità e
mortalità per causa infettiva, si associa a un incremento del
ricorso all’ospedalizzazione e alle procedure diagnostiche e
terapeutiche, nonché ad un eventuale ritardo e/o riduzione
della dose della chemioterapia successiva. Solitamente, il
tipo e l’intensità della chemioterapia influenzano la durata
e la gravità della neutropenia che, a sua volta, è correlata al
rischio di infezione.
GESTIONE CLINICA INIZIALE
La gestione della neutropenia febbrile nel paziente ematooncologico consiste nella valutazione dell’eventuale utilità
dell’impiego di misure preventive, per esempio la profilassi
con i fattori di crescita o la profilassi antibiotica, e nell’adozione di strategie diagnostiche e terapeutiche tempestive
allorché in un paziente compaia la febbre durante la fase di
neutropenia. Non va dimenticato, tuttavia, che nel paziente
neutropenico si possono osservare segni e sintomi di infezione anche in assenza di febbre (Fig. 24.9); questi casi vanno
considerati alla stessa stregua della classica presentazione
clinica febbrile.
In base alle possibili cause, le complicanze febbrili nel paziente neutropenico possono essere classificate come segue.
t Infezioni microbiologicamente documentate con batteriemia: isolamento di un agente patogeno significativo da una
o più emocolture.
t Infezioni microbiologicamente documentate senza batteriemia: isolamento di un agente patogeno significativo da
un sito normalmente sterile diverso dal sangue, in presenza
di un quadro clinico indicativo di infezione (per esempio,
pielonefrite, ascesso cutaneo, e così via).
t Infezioni clinicamente documentate: quadro clinico chiaramente e obiettivamente definibile come di natura infettiva,
ma in assenza di documentazione colturale e/o sierologica
(per esempio, il quadro clinico e radiologico della polmonite o della tiflite).
t Febbre di origine sconosciuta: quadro febbrile privo di
documentazione clinica e microbiologica di infezione, ma
compatibile con un’eziologia infettiva.
t Febbre di origine non infettiva: causa documentata non
infettiva di febbre, ad esempio febbre da citolisi in corso
di chemioterapia.
Tab. 24.9 Segni, sintomi e alterazioni di laboratorio
in corso di infezione in assenza di febbre.
t *QPUFSNJB
t -FVDPQFOJBPMFVDPDJUPTJ
t *QPUFOTJPOFPEPMJHVSJBTFHOJDPNQBUJCJMJDPOTIPDLTFUUJDP
FJQPQFSGVTJPOFSFOBMF
t "MUFSB[JPOJEFMTFOTPSJP
t 5BDIJQOFBJQFSWFOUJMB[JPOFDPOBMDBMPTJSFTQJSBUPSJB
t 4JOUPNJTFHOJEJJOTVGåDJFO[BEPSHBOPQFSFTFNQJPDJUPMJTJFQBUJDB
t %PMPSJBEEPNJOBMJEJBSSFB
t "MUFSB[JPOJFNPDPBHVMBUJWFMFTJPOJQFUFDDIJBMJPQJBTUSJOPQFOJB
DPOBVNFOUPEFMMBåCSJOPHFOFNJBDPNQBUJCJMJDPOMBQSFTFO[B
EJDPBHVMB[JPOFJOUSBWBTDPMBSFEJTTFNJOBUBJODPSTPEJTFQTJ
13/01/14 11:00
980
Capitolo 24 t Infezioni dell’ospite compromesso
Tutti i pazienti con neutropenia febbrile devono essere sottoposti a un percorso diagnostico che includa l’esecuzione
degli accertamenti elencati nella Tab. 24.10. Successivamente, è indispensabile valutare il livello di rischio individuale
di infezione grave e iniziare la terapia antibiotica empirica.
Dei diversi metodi impiegati per stimare il rischio individuale di complicanze gravi, il MASCC score (Multinational
Association of Supportive Care in Cancer, MASCC) è quello
che è stato studiato prospetticamente in una numerosa coorte
di pazienti oncologici e rappresenta quello maggiormente
utilizzato. Questo punteggio prende in considerazione la presentazione clinica, l’età, l’esistenza di patologie concomitanti
come l’ipotensione, la broncopneumopatia cronica ostruttiva,
la disidratazione, la pregressa infezione micotica e il luogo d’esordio della neutropenia febbrile (intra- o extraospedaliero)
(Tab. 24.11). I pazienti con un punteggio complessivo ≥21
(i punteggi attribuiti alla variabile “gravità del quadro clinico” non sono cumulabili) sono considerati a basso rischio di
infezioni gravi.
PROFILASSI ANTIBIOTICA
DURANTE LA NEUTROPENIA
A partire dagli anni Ottanta, ricerche cliniche su numeri limitati di pazienti e le successive meta-analisi hanno dimostrato
una riduzione della prevalenza della neutropenia febbrile in
malati emato-oncologici sottoposti a profilassi antibiotica.
Nei soggetti con tumore solido è stata evidenziata una diminuzione relativa degli episodi di neutropenia febbrile, delle
infezioni e della letalità in caso di profilassi antibiotica durante
la neutropenia. In considerazione, tuttavia, della bassa prevalenza di queste complicanze in tale popolazione, il numero di
pazienti che dovrebbero assumere la profilassi per prevenire un
singolo episodio di neutropenia febbrile o di decesso è molto
elevato. Di conseguenza, anche in relazione ai documentati o
possibili svantaggi della chemioprofilassi con fluorochinoloni
(tra i quali gli effetti collaterali farmacologici, l’alterazione della
microflora batterica naturale, la selezione di ceppi resistenti e
l’impossibilità di utilizzare successivamente tale classe di antibiotici nella terapia della neutropenia febbrile), le linee guida
internazionali concordano nel non raccomandare la profilassi
antibiotica nei pazienti con tumori solidi in cui la durata attesa
della neutropenia sia inferiore a 7 giorni.
Tab. 24.10 Accertamenti indispensabili in tutti
i pazienti con neutropenia febbrile.
t "DDVSBUPFTBNFPCJFUUJWP
t &NPDPMUVSF
EBWFOFQFSJGFSJDIFFTFQSFTFOUFBODIF
EBDBUFUFSFWFOPTPDFOUSBMFWBOOPFGGFUUVBUFQSJNBEJJOJ[JBSF
MBUFSBQJBBOUJCJPUJDBBODIFJOSBQJEBTVDDFTTJPOFTFJMQB[JFOUF
QSFTFOUBJQPUFOTJPOFFPBMUSJTFHOJEJTIPDLTFUUJDP
t $PMUVSFEFHMJBMUSJTJUJEJTPTQFUUBJOGF[JPOF
t &TBNFFNPDSPNPDJUPNFUSJDPQFSTUBCJMJSFJMHSBEP
EJOFVUSPQFOJB
t &TBNJEJGVO[JPOBMJUËSFOBMFFQBUJDBFEFMMFNPDPBHVMB[JPOFQFS
TUBCJMJSFMBQSFTFO[BEJFWFOUVBMJQBUPMPHJFDPODPNJUBOUJ
FPBMUFSB[JPOJJOEJDBUJWFEJTUBUPTFUUJDP
t *OEJDJEJýPHPTJ1$3åCSJOPHFOFNJBQSPDBMDJUPOJOBTJFSJDB
t "MUSJFTBNJFNBUPDIJNJDJPTUSVNFOUBMJJOCBTFBMMBQSFTFOUB[JPOFDMJOJDB
025_ch024_MORONI_0963_0984.indd 980
Tab. 24.11 Definizione del profilo di rischio del
paziente neutropenico febbrile secondo il sistema a
punteggio della Multinational Association
of Supportive Care in Cancer (MASCC, 2000).
Variabile
Gravità del quadro clinico
4JOUPNJBTTFOUJPMJFWJ
4JOUPNJNPEFSBUJ
4JOUPNJHSBWJ
Punteggio
5
3
0
Condizioni che depongono per la gravità del
quadro clinico
t *OTVGåDJFO[BSFTQJSBUPSJBQSFTTJPOFQBS[JBMF
EJPTTJHFOPJOBSJBMJCFSBNN)HPOFDFTTJUË
EJWFOUJMB[JPOFNFDDBOJDB
t 3JDPWFSPJOSFQBSUJEJUFSBQJBJOUFOTJWB
t $PBHVMB[JPOFJOUSBWBTDPMBSFEJTTFNJOBUB
t 4UBUPDPOGVTJPOBMFPBMUFSBUPTUBUPNFOUBMF
t 4DPNQFOTPDBSEJBDPDPOHFTUJ[JP
t 4BOHVJOBNFOUPEJFOUJUËUBMFEBSJDIJFEFSF
FNPUSBTGVTJPOJ
t "OPNBMJFFMFUUSPDBSEJPHSBåDIFDIFOFDFTTJUBOP
EJUSBUUBNFOUP
t *OTVGåDJFO[BSFOBMF
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OFDFTTBSJB
1B[JFOUFOPOPTQFEBMJ[[BUPBMNPNFOUPEFMMJOTPSHFO[B
EFMMBGFCCSF
&UËBOOJ
5
4
4
3
3
*MNBTTJNPQVOUFHHJPUFPSJDPÒJQVOUFHHJBUUSJCVJUJBMMBWBSJBCJMF
iHSBWJUËEFMRVBESPDMJOJDPwOPOTPOPDVNVMBCJMJ
*QB[JFOUJDPO
QVOUFHHJPöQPTTPOPFTTFSFDMBTTJåDBUJBCBTTPSJTDIJPNFOUSFRVFMMJ
DPOQVOUFHHJPTPOPEBDPOTJEFSBSFBEBMUPSJTDIJP
D’altro canto, il beneficio della chemioprofilassi con fluorochinoloni (levofloxacina o ciprofloxacina) si è dimostrato più rilevante nei pazienti con neutropenia più prolungata, per esempio
quelli sottoposti a chemioterapia per tumori ematologici, inclusi
i riceventi il trapianto di cellule staminali. Per questo motivo,
ai pazienti con previsione di neutropenia prolungata (almeno 7
giorni) viene consigliata la chemioprofilassi con fluorochinoloni;
tale indicazione deriva principalmente da studi effettuati circa
una decina di anni fa, quando il tasso della resistenza a questi
farmaci era più basso. Pertanto, è verosimile che l’efficacia reale
di tale intervento nelle realtà geografiche, come l’Italia, dove
la resistenza a questa classe di antibiotici è elevata, sia scarsa.
Qualora vi sia l’indicazione, la chemioprofilassi va somministrata
dall’inizio della chemioterapia fino alla risalita dei neutrofili
(superiore a 500/ L) o fino all’inizio di una terapia antibiotica.
TERAPIA EMPIRICA
In tutti i pazienti neutropenici con febbre o con segni e sintomi di infezione, anche in assenza di rialzo termico, va iniziata
tempestivamente una terapia antibiotica empirica. La scelta
del tipo di terapia empirica da impiegarsi deve essere basata
sulla valutazione del rischio individuale del paziente, sull’epidemiologia microbica locale e sulle resistenze agli antibiotici
di ogni singolo Centro, nonché sulla storia clinica del paziente (allergie, infezioni pregresse, eventuale chemioprofilassi
13/01/14 11:00
Capitolo 24 t Infezioni dell’ospite compromesso
antibiotica effettuata). Il farmaco scelto deve essere attivo
nei confronti dei patogeni gram-negativi di più frequente
isolamento in questa popolazione (soprattutto Enterobacteriaceae e Pseudomonas aeruginosa). Numerose -lattamine
(ceftazidima, cefepima, piperacillina-tazobactam, carbapenemi), associate o meno a un aminoglicoside (gentamicina,
tobramicina o amikacina), si sono dimostrate efficaci nella
terapia empirica della neutropenia febbrile. Uno schema della
gestione della terapia antibiotica empirica nei pazienti con
neutropenia febbrile è riportato nella Fig. 24.4.
Nei soggetti con rischio di infezione grave la terapia va effettuata per via endovenosa e in ambiente ospedaliero. Nei pazienti
a basso rischio di infezione grave è possibile intraprendere la
terapia antibiotica in regime di ricovero giornaliero o ambulatoriale, fin dall’inizio per os o con un passaggio precoce dalla terapia endovenosa a quella orale, in presenza di stabilità clinica.
Le scelte antibiotiche proposte sono indicate nella Tab. 24.12.
I dati della letteratura confermano che la monoterapia con
un antibiotico -lattamico anti-Pseudomonas aeruginosa, rispetto alla terapia di combinazione con aminoglicosidi, è
sovrapponibile in termini di efficacia, ma migliore per quanto
concerne la tossicità. Purtroppo, negli ultimi anni si è assistito
a un importante aumento delle resistenze agli antimicrobici,
con l’osservazione sempre più frequente di infezioni provocate da batteri multiresistenti, in particolare P. aeruginosa e
981
Klebsiella pneumoniae resistenti ai carbapenemi. I più recenti
dati di sorveglianza europei (European Antimicrobial Resistance Surveillance Network, EARS-Net), relativi all’anno
2011, hanno documentato che in Italia i ceppi di Escherichia
coli isolati in corso di infezioni invasive erano nel 10-24%
resistenti alla ceftazidima e nel 25-49% dei casi ai fluorochinoloni. Pertanto, la scelta del farmaco deve essere basata
sull’epidemiologia delle resistenze in ogni singolo Centro e
sulla conoscenza della storia clinica del paziente in relazione
a infezioni o colonizzazioni da patogeni multiresistenti. Per
esempio, nei Centri dove sono frequenti Enterobacteriaceae
resistenti alle cefalosporine (con meccanismo di produzione
di -lattamasi a spettro esteso, ESBL) la terapia empirica
della neutropenia febbrile si fonda sull’uso di un carbapeneme anti-P. aeruginosa, mentre in un paziente colonizzato da
P. aeruginosa resistente ai carbapenemi la terapia empirica può
essere effettuata con piperacillina-tazobactam e amikacina.
Di fronte all’aumento delle resistenze nei batteri responsabili delle infezioni nei pazienti immunocompromessi, è
stato proposto di sostituire in talune situazioni la cosiddetta
strategia escalation con una strategia de-escalation. Il primo
approccio consiste nell’iniziare il trattamento con antibiotici
inattivi nei confronti dei batteri gram-negativi resistenti (per
esempio, ceftazidima o piperacillina-tazobactam) e, in caso di
peggioramento clinico, nel modificare il regime terapeutico
Neutropenia e febbre
Esami diagnostici: emocolture,
altre colture secondo la presentazione clinica, esami ematochimici
Basso rischio di infezione grave
Durata attesa di neutropenia <7 giorni
Condizioni cliniche stabili
Non patologie concomitanti
Alto rischio di infezione grave
Durata attesa di neutropenia >7 giorni
Condizioni cliniche instabili
o presenza di patologie concomitanti
Antibioticoterapia in regime
ambulatoriale
Terapia orale se tollerata ed assorbita
Disponibilità di assistenza a domicilio,
contatto telefonico, trasporto
Decisione condivisa dal medico
e dal paziente
Antibioticoterapia ev
in regime di ricovero
Piperacillina-tazobactam
o ceftazidima o cefepima
Ceftriaxone + amikacina
Amoxicillina-acido clavulanico
+ ciprofloxacina
Risposta clinica e non controindicazioni
alla terapia ambulatoriale
Osservazione clinica 4-24 ore
per assicurarsi, prima della dimissione,
che la terapia antibiotica orale sia
ben tollerata e le condizioni cliniche
rimangano stabili
Antibioticoterapia ev
in regime di ricovero
Monoterapia con uno dei seguenti
farmaci, a seconda dell’epidemiologia
locale: piperacillina-tazobactam
o carbapeneme
o ceftazidima o cefepima
Aggiustamento della terapia secondo
i dati clinici, colturali o radiologici
(per esempio, aggiunta di glicopeptide
o aminioglicoside)
FIG. 24.4 - Gestione della terapia antibiotica empirica nei pazienti con neutropenia febbrile.
025_ch024_MORONI_0963_0984.indd 981
13/01/14 11:00
982
Capitolo 24 t Infezioni dell’ospite compromesso
Tab. 24.12 Antibiotici consigliati per la terapia empirica della neutropenia febbrile, da scegliere in base
all’epidemiologia locale, alla storia del paziente e alla gravità della presentazione.
Rischio
di infezione grave
Antibiotico
e via di somministrazione
Dosaggio standard
"MUP
1JQFSBDJMMJOBUB[PCBDUBNFW
HPHOJPSF
$FGFQJNBPDFGUB[JEJNBFW
HPHOJPSF
Commenti
/FJ$FOUSJDPOCBTTBQSFWBMFO[BEJCBUUFSJFNJFEB
&OUFSPCBDUFSJBDFBFSFTJTUFOUJBMMFDFGBMPTQPSJOFQFSFTFNQJP
USBNJUFQSPEV[JPOFEJ MBUUBNBTJBTQFUUSPFTUFTP&4#-
$BSCBQFOFNFBOUJPseudomonas
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QSPEVUUSJDJEJ&4#-
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HPHOJPSF
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NHPHOJPSF
%PSJQFOFN
NHPHOJPSF
1JQFSBDJMMJOBUB[PCBDUBNFW
HPHOJPSF
$FGFQJNBPDFGUB[JEJNBFW
HPHOJPSF
/FJ$FOUSJDPOCBTTBQSFWBMFO[BEJCBUUFSJFNJFEB
&OUFSPCBDUFSJBDFBFSFTJTUFOUJBMMFDFGBMPTQPSJOFQFSFTFNQJP
USBNJUFQSPEV[JPOFEJ MBUUBNBTJBTQFUUSPFTUFTP&4#-
$FGUSJBYPOFBNJLBDJOBFW
HHPHOJPSF
*MDFGUSJBYPOFOPOQPTTJFEFBUUJWJUËBOUJPseudomonas
aeruginosa
$JQSPýPYBDJOBBNPYJDJMMJOB
BDJEPDMBWVMBOJDPper os
NHPHOJPSF
HPHOJPSF
%BOPOVUJMJ[[BSFJODBTPEJQSFDFEFOUFDIFNJPQSPåMBTTJ
DPOýVPSPDIJOPMPOJ
con l’aggiunta di antimicrobici efficaci contro i patogeni resistenti (per esempio, aggiungendo amikacina o vancomicina,
o passando dalla ceftazidima al carbapeneme). La seconda
opzione, invece, consiste nella scelta di una terapia empirica
attiva contro i batteri resistenti (per esempio, carbapeneme
+ amikacina o carbapeneme + vancomicina) che, a distanza
di 2-3 giorni, viene semplificata qualora non siano stati isolati
batteri resistenti dalle emocolture. Quest’ultimo approccio è
raccomandato in caso di presentazione clinica grave (shock
settico, grave polmonite o ileotiflite) nei Centri in cui i microrganismi multiresistenti sono di frequente osservazione.
La durata della terapia empirica della neutropenia febbrile è
di 2-4 giorni dopo la scomparsa della febbre se si verifica il
recupero dei valori dei granulociti. Se l’infezione viene documentata, il paziente deve essere sottoposto a un ciclo completo
di trattamento antibiotico appropriato per la specifica infezione. Talora, in presenza di quadri clinici particolari, potrebbe
essere indicata la terapia empirica di combinazione comprendente i glicopeptidi, per esempio nelle infezioni della cute e
dei tessuti molli, o del catetere venoso centrale (Tab. 24.13).
Infine, la scelta di proseguire la terapia a domicilio dovrebbe
essere riservata ai pazienti che rimangono a casa assistiti da un
adulto e che possono raggiungere tempestivamente il Centro
in caso di peggioramento delle condizioni cliniche.
La terapia empirica antifungina prevede la somministrazione di
un antimicotico nei pazienti neutropenici a rischio con febbre
persistente per più di 5 giorni dopo l’inizio del trattamento
antibiotico ad ampio spettro. Il principale vantaggio di tale condotta terapeutica è che, quando la micosi è realmente esistente,
la terapia specifica viene iniziata precocemente. Tra i numerosi
svantaggi, va segnalato che la maggioranza dei pazienti con
febbre persistente non presenta un’infezione fungina e quindi
025_ch024_MORONI_0963_0984.indd 982
Tab. 24.13 Indicazioni per l’uso di antibiotici attivi
nei confronti dei batteri gram-positivi nella terapia
empirica della neutropenia febbrile (Linee guida
della Infectious Diseases Society of America, 2010).
t 4FQTJHSBWFPJOTUBCJMJUËFNPEJOBNJDB
t 1PMNPOJUF
t *OGF[JPOFDPSSFMBUBBMDBUFUFSFWFOPTPDFOUSBMFGFCCSFFCSJWJEP
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EJJOTFS[JPOFEFMDBUFUFSF
t /PUBDPMPOJ[[B[JPOFEBQBSUFEJCBUUFSJHSBNQPTJUJWJSFTJTUFOUJ
S. aureusNFUJDJMMJOPSFTJTUFOUF.34"FOUFSPDPDDIJWBODPNJDJOP
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t .VDPTJUFHSBWFTPQSBUUVUUPJODBTPEJDIFNJPQSPåMBTTJ
DPOýVPSPDIJOPMPOJFUFSBQJBFNQJSJDBDPODFGUB[JEJNB
t 3JTVMUBUPEJFNPDPMUVSBQPTJUJWBQFSCBUUFSJHSBNQPTJUJWJ
JODPSTPEJJEFOUJåDB[JPOF
t *OCBTFBMMFQJEFNJPMPHJBMPDBMF
viene sottoposta a un trattamento inutile. Soprattutto nei Centri
con prevalenza medio-bassa di infezioni fungine invasive, l’uso
della terapia empirica basata esclusivamente sulla presenza della
febbre fa sì che un numero molto elevato di pazienti debba
assumere un antimicotico per evitare un singolo decesso causato da questa patologia. In tali situazioni vanno considerati
attentamente il rischio di tossicità farmacologica, il rischio di
sviluppo delle resistenze, il costo dei farmaci e il fatto che la
durata della terapia empirica è solitamente insufficiente se l’infezione fungina è effettivamente in atto. Tra i motivi principali
dell’impiego estensivo della terapia empirica antifungina, vi è la
difficolta di giungere tempestivamente a una diagnosi di micosi
invasiva per la bassa sensibilità degli esami microbiologici tradizionali. Lo sviluppo e la commercializzazione di test indiretti
13/01/14 11:00
Capitolo 24 t Infezioni dell’ospite compromesso
che, nei soggetti ad alto rischio di micosi invasiva, forniscono
un’indicazione microbiologica relativa alla presenza di antigeni
fungini nel siero o in altri liquidi biologici rappresenta un miglioramento delle possibilità diagnostiche. L’utilizzo di questi
antigeni e la disponibilità di tecniche radiologiche come la già
definita in precedenza TAC ad alta risoluzione costituiscono la
base di una moderna strategia di terapia antifungina basata sulla
diagnostica, denominata preventiva (pre-emptive) o diagnosi
guidata (diagnostic driven). La strategia diagnosi guidata è stata
sviluppata nelle situazioni caratterizzate da rischio molto elevato
di aspergillosi invasiva durante la neutropenia in pazienti con
leucemia acuta o sottoposti al trapianto di midollo osseo. Si
basa sui seguenti elementi: 1) controllo periodico, 2-3 volte alla
settimana, tramite determinazione del galattomannano nel siero;
2) TAC del torace ad alta risoluzione in caso di febbre persistente o segni o sintomi clinici compatibili con una micosi invasiva; 3) broncolavaggio in caso di lesioni polmonari alla TAC.
L’approccio diagnostic-driven è una naturale conseguenza dello
sviluppo delle metodiche diagnostiche e, rispetto alla terapia
antifungina empirica, permette di ottenere più precocemente
la diagnosi di aspergillosi invasiva evitando la somministrazione
degli antifungini a tutti i pazienti con febbre persistente. Naturalmente, nei Centri in cui tali metodiche non sono facilmente
disponibili, la terapia empirica continua ad essere usata routinariamente nei pazienti neutropenici con febbre persistente.
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Conclusioni
In sintesi, le infezioni rappresentano una delle principali
complicanze nei pazienti immunocompromessi e il tipo e
la gravità dipendono strettamente dal tipo e dalla gravità
dell’immunocompromissione. Le infezioni, in questa popolazione, sono caratterizzate da morbosità e letalità elevate, e
possono essere causate da numerosi agenti eziologici, tra cui
alcuni peculiari degli ospiti indifesi. Inoltre, in essi le infezioni
causate dai patogeni comuni possono avere un decorso molto
grave. Dal punto di vista della gestione clinica, gli ospiti immunocompromessi costituiscono un gruppo non uniforme,
anzi molto diversificato; quindi, le procedure diagnostiche
e terapeutiche devono essere scelte individualmente sulla
base dei fattori di rischio di ogni singolo paziente. Occorre
ricordare che la neutropenia febbrile e, in generale, il sospetto
clinico di infezione in un paziente neutropenico costituiscono
un’emergenza medica e necessitano di una terapia antibiotica empirica tempestiva (sempre previa esecuzione delle
emocolture e delle eventuali colture dai vari siti di sospetta
infezione). Infine, i provvedimenti di prevenzione (igiene,
asepsi, misure di isolamento da contatto, controllo e terapia
delle infezioni latenti o chemioprofilassi delle riattivazioni)
sono un’arma importante per ridurre le complicanze infettive
potenzialmente evitabili.
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