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PUNTEGGIATURA 1. Il romanzo era una piena assunzione di responsabilità del romanziere di fronte ai personaggi e alle loro vicende. Il romanziere poteva anche cercare di eclissarsi, scomparire di fronte all’esistenza oggettiva di quei personaggi che si presentavano perfettamente autonomi e autosufficienti, di fronte all’accadere obiettivo di quei fatti, che andavano come andavano, al di fuori di ogni invenzione o iniziativa dell’autore; poteva al limite arrivare alla poetica dell’impersonalità, quale fu teorizzata e predicata dal naturalismo francese e dal nostro verismo, poteva arrivare a pretendere, a imporsi che l’opera sembrasse “essersi fatta da sé”, come dice con strenua semplificazione il nostro Verga nelle poche righe del bozzetto L’amante di Gramigna; poteva, secondo l’affermazione di Zola, partire dal presupposto che la materia e la trama del racconto si trova sempre pronta presso quella grande, inesauribile fornitrice che è la vita quotidiana, sì che basta ritagliare una fetta di vita, una tranche de vie, per avere a disposizione quanto occorre al lavoro narrativo, esclusa quindi ogni elucubrazione immaginativa o fantastica; sta di fatto però che, anche dopo aver rinunziato a qualunque prerogativa di demiurgo o regista di quel mondo, di quello spettacolo o dramma di vivi che si raffigurava sotto i nostri occhi, il romanziere si riserbava ancora il privilegio, e insieme l’obbligo, del testimone che sapeva come e perché sono andate le cose. G. DEBENEDETTI, Il romanzo del Novecento, Milano, Garzanti, 1998, p. 113. 2. Dedicherò la prima conferenza all’opposizione leggerezza-peso, e sosterrò le ragioni della leggerezza. Questo non vuol dire che io consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo che sulla leggerezza penso d’aver più cose da dire. Dopo quarant’anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l’ora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio. In questa conferenza cercherò di spiegare – a me stesso e a voi – perché sono stato portato a considerare la leggerezza un valore anziché un difetto; quali sono gli esempi tra le opere del passato in cui riconosco il mio ideale di leggerezza; come situo questo valore nel presente e come lo proietto nel futuro. Comincerò dall’ultimo punto. Quando ho iniziato la mia attività, il dovere di rappresentare il nostro tempo era l’imperativo categorico d’ogni giovane scrittore. Pieno di buona volontà, cercavo d’immedesimarmi nell’energia spietata che muove la storia del nostro secolo, nelle sue vicende collettive e individuali. Cercavo di cogliere una sintonia tra il movimentato spettacolo del mondo, ora drammatico ora grottesco, e il ritmo interiore picaresco e avventuroso che mi spingeva a scrivere. I. CALVINO, Lezioni americane, Milano Mondadori, 1993, pp. 7-8. 3. INTRODUZIONE Quando Dacia Maraini ha raccontato, in un affollatissimo teatro torinese, che è sua abitudine scrivere i suoi romanzi di getto, senza farne una scaletta, i miei studenti di Scienze della Comunicazione hanno iniziato a rumoreggiare e a far commenti da stadio. Erano reduci da molte ore di esercitazioni passate nei laboratori di scrittura, in cui avevo insistito sull’importanza della progettazione del testo e dell’uso della scaletta: una ipotesi da usare come bussola nel complesso tragitto di costruzione del testo. L’incontro con Dacia Maraini faceva parte di un ciclo di seminari con i professionisti della scrittura. Con la sua immancabile sciarpa azzurra, Dacia Maraini raccontava la sua esperienza e rispondeva disponibile alle domande dei ragazzi. In particolare descriveva la scrittura di La lunga vita di Marianna Ucria le sue lunghe ricerche su vestiti, profumi e abitudini del Settecento, ma soprattutto la genesi della trama del romanzo, cresciuta insieme alla stesura del testo, mano a mano che il romanzo andava avanti. I personaggi e gli eventi si erano sviluppati durante la scrittura: era la scrittura che creava la storia, e Dacia Maraini non sapeva, all’inizio, come il suo romanzo sarebbe andato a finire. I ragazzi erano molto attenti; tra loro, probabilmente, si nascondevano alcuni romanzieri in erba. Compone un’opera letteraria di successo è uno dei desideri più diffusi, soprattutto fra i giovani; gli aspiranti scrittori sono tantissimi e un numero incredibile di manoscritti viene inviato agli editori. Pochissimi, però, diventano scrittori di professione; per costoro, il gioco di gioventù si trasforma in un vero e proprio lavoro. L’interesse per questa testimonianza mi ha spinto a raccoglierne altre e a confrontarle Ira loro. Così è nato questo libro. La carriera di uno scrittore segue percorsi diversi: c’è chi scopre la sua vocazione di scrittore fin da giovane e chi, invece, inizia a costruire romanzi da adulto, talvolta un po’ per caso. Anche l’attività di scrittore viene svolta in molti modi di diversi; c’è chi — come Alberto Moravia o Thomas Mann — REGISTRI Riscrittura del brano di E. Brizzi Quella domenica pomeriggio, tanto somigliante a una giornata primaverile, il vecchio Alex aveva salito le scale di casa con in testa il presagio, meglio, con in testa l’istantanea premonitrice, della sua famiglia barricata in tinello a guardare gli scazzottamenti americani in televisione. Un istante più tardi, non s’era ancora sfilato il parka, aveva dovuto prendere atto che l’istantanea, di un realismo agghiacciante, gli provava quanto le sue facoltà di preveggenza stessero raggiungendo, con l’età, livelli negromantici sbalorditivi: erano tutti in salotto, e tutti variamente sgomenti o assorti di fronte alle vicende del forzuto Rocky IV. [...] Dall’archivio magnetico del signor Alex D. «Sono qui, martedì pomeriggio, sdraiato sul letto a pancia in su; in totale angoscia sotto le foto giganti di Malcom X e dei Pistols, ad ascoltare il demo degli Splatter Pink che mi ha prestato l’amico Hoge; senza aver studiato per domani; a cercare di scacciare i complessi di colpa che, come talpe, continuano a saltar fuori da tutte le parti. Sento la mamma che parla nel solito tono ansioso al telefono. Di sicuro c’è il Cancelliere, all’altro capo del filo. E di sicuro stanno parlando del signor Alex D. Ma non mi interessa sentire cosa dicono. Tanto lo so già. Si spreca. Si butta via. Non fa mai niente. E in questi ultimi tempi, poi». […] Comunque aveva provato a cercare Martino, verso metà pomeriggio. E a Martino era bastato sentire la voce di Alex che diceva «ciao» per capire che il nostro era giù di corda. Avevano scambiato due parole e si erano dati appuntamento per il sabato successivo secondo la consuetudine giovanile di bere alcolici e fermarsi poi a dormire a casa di uno dei due. Martino aveva due anni più di Alex. Si era fatto respingere senza rimorsi in prima liceo, ed era un po’ l’idolo tossico della scuola. Si frequentavano da non troppo tempo col patto tacito che lui non gli avrebbe fatto conoscere nessuno dei suoi amici alternativi. [...] Poi la nuova settimana aveva preso a scivolare via, triste e annoiata. Il vecchio Alex cercava di non pensare troppo ad Aidi. Lei, d’altra parte, non si faceva sentire. [...] Sono stato io a mostrare l’articolo sul giornale, ai miei genitori, per evitare che se ne accorgessero loro e pensassero che gliel’avevo tenuto nascosto perché c’era sotto qualche faccenda poco chiara. [...]. I miei genitori avevano sentito parlare ben poco del vecchio Martino, quindi non si sono molto inquietati, però mi hanno ugualmente tartassato di domande, hanno voluto sapere se avessi mai visto girare della droga, a scuola, o se ne avessi mai presa. [...] «Quest’estate, mi mandano ad Exeter in college», aveva detto Hoge. Quel ragazzo si stava spegnendo piano piano. SINONIMI CONCITAZIÓNE [vc. dotta, lat. concitatione(m), da concitare 'concitare';1582] s. f. * Intensa agitazione dell'animo: 'essere in uno stato di estrema concitazione'; 'parlare con concitazione' | Impeto, foga:'concitazione di stile'. s. f. agitazione, commozione, vivacità, foga, impeto, slancio, smania, eccitazione, emozione, turbamento, confusione, nervosismo CONTR. calma, pacatezza, tranquillità, serenità, autocontrollo, quiete, placidità, imperturbabilità. SFUMATURE concitazione - emozione – nervosismo. Un'agitazione estrema, uno stato emotivo di grande eccitazione o turbamento si definisce "concitazione", parola che correntemente indica anche una foga particolare nel parlare o nell'agire. Anche"emozione" definisce un'agitazione viva e spesso improvvisa, ma il termine ha il significato più ampio di sentimento molto intenso, di moto dell'animo. "Nervosismo" ha un ambito d'uso più circoscritto, e indica uno stato emotivo permanente o temporaneo di irritabilità, tensione, agitazione. ATTITUDINE (1) [vc. dotta, lat. tardo aptitudine(m), da aptus 'adatto'; 1303 ca.] s. f. * Predisposizione verso particolari attività: 'avere attitudine per le lettere'; 'persona priva di particolari attitudini'; 'cavallo che ha attitudine al trotto'. attitùdine s. f.disposizione, idoneità, inclinazione, predisposizione, propensione, istinto, tendenza, vocazione # dono, bernoccolo, talento, stoffa # abilità, capacità, facoltà # mentalità CONTR. inidoneità, inattitudine # imperizia, incapacità, inettitudine, inabilità. SFUMATURE facoltà - attitudine – abilità Per "facoltà" si intende la capacità, la possibilità di fare qualcosa. Diversa cosa è l'"attitudine", che è la predisposizione naturale verso una determinata attività. Con "abilità" si sottolinea invece la particolare capacità nello svolgerla, cioè la bravura, la perizia. RICERCATÉZZA s. f. [av. 1764] s.f. 1 Caratteristica di chi (o di ciò che) è ricercato: 'la sua ricercatezza nel vestire'; 'la ricercatezza delle sue parole'. SIN. Affettazione. 2 (spec. al pl.) Azione o espressione improntate a una raffinata eleganza, a volte eccessiva: 'una ricercatezza stilistica dell'autore' (CALVINO); 'un discorso pieno di ricercatezze'. eleganza, buon gusto, raffinatezza # preziosismo, preziosità # concettosità # (spreg.) snobismo, affettazione, posa, artificio, artificiosità, maniera, manierismo CONTR. cattivo gusto, kitsch (ted.), pacchianeria # rozzezza, ineleganza # praticità, comodità # semplicità, essenzialità, lindura (fig.), pulizia (fig.), spontaneità # disinvoltura, naturalezza, immediatezza, scioltezza, spigliatezza. SFUMATURE ricercatezza – affettazione La caratteristica di ciò che è elegante, esclusivo, squisito è la "ricercatezza"; in senso negativo il termine definisce tuttavia un'eleganza eccessiva, perseguita a scapito della naturalezza e della semplicità. Se questa ricerca di eleganza dà luogo a comportamenti falsi e artificiosi si parla di "affettazione". SFUMATURE raffinatezza - squisitezza – ricercatezza La caratteristica di ciò che è estremamente fine, ricercato,elegante, a un alto livello di perfezione formale si definisce "raffinatezza". Un'estrema finezza d'animo, di sentimenti o capacità si dice "squisitezza", parola che riferita a cibi o bevande identifica ciò che è molto gradevole al gusto. Se l'eleganza e la raffinatezza sono risultato di una ricerca consapevole, studiata, e perfino artificiosa si parla allora di "ricercatezza": il termine contiene quindi una sfumatura negativa e spesso denota ciò che è affettato e manierato, in nessun caso naturalmente elegante. MUNÌFICO [vc. dotta, lat. munificu(m) 'che compie il proprio dovere', comp. di munia 'doveri' e -ficus '-fico'; 1499] agg. (pl. m. -ci; come superl. munificentissimo) 1 Detto di chi è generoso e liberale nello spendere e nel donare: 'principe, signore, mecenate munifico. 2 Che dimostra generosità: 'offerta munifica'. || munificaménte, avv. agg.generoso, largo, liberale, magnifico, splendido CONTR. parsimonioso # avaro, gretto, spilorcio, taccagno, pidocchioso. SFUMATURE munifico – magnifico Chi è generoso nel donare è detto "munifico", termine utilizzato soprattutto in riferimento ad azioni di mecenatismo. "Magnifico" aggiunge alla munificenza una sfumatura di eccellenza, di grande eleganza, di bellezza. IGNOMINIA [vc. dotta, lat. ignominia(m), comp. di in- (3) e (g)nomen 'nome'; av. 1342] s. f. 1 Disonore e disprezzo generale in cui cade chi ha commesso un'azione vergognosa: 'coprirsi d'ignominia';'cadere nell'ignominia'; 'la fama d'un gentilom ... se una volta ... si denigra per codardia ... sempre resta vituperosa al mondo e piena d'ignominia' (CASTIGLIONE). SIN. Infamia, obbrobrio. 2 Chi (o Ciò che) è causa di disonore. 3 (fig., scherz.) Ciò che è contrario all'estetica e al buon gusto: 'quella statua è una vera ignominia'. ignomìnia s. f. disonore, infamia, vergogna, onta, vituperio, scorno # (fig., scherz.) obbrobrio, bruttura CONTR. onore, decoro, dignità, gloria # bellezza. SFUMATURE vergogna - onta - ignominia – scorno "Vergogna" è una consapevolezza penosa della gravità di un'azione commessa, tanto in relazione al proprio senso morale quanto al giudizio fortemente negativo altrui e al disonore o al discredito che ne consegue. "Onta" è parola di uso elevato, che esprime, oltre che una grande vergogna, anche un'offesa o un oltraggio di particolare gravità. "Ignominia" è termine letterario per esprimere il disonore di chi ha commesso un'azione o un fatto ignobile, infamante. "Scorno" si differenzia perché corrisponde a una vergogna che non è frutto di una condotta riprovevole ma di una sconfitta o un insuccesso, per cui si associa a essa un senso di umiliazione. ANNÈTTERE (o -é-)[vc. dotta, lat. adnectere, comp. di ad e nectere 'legare', da avvicinare a nodus 'nodo'; av. 1642] v. tr. (pres. io annètto o annétto; pass. rem. io annettéi, raro annèssi, tu annettésti; part. pass. annèsso o annésso) 1 Unire, congiungere: 'annettere un magazzino alla fabbrica' | Allegare, accludere: 'annettere un foglio a una lettera' | (fig.) Annettere importanza a qlco., attribuirle, darle, importanza. 2 Conglobare tramite un'annessione: 'annettere una provincia a uno Stato' | Anche nella forma pron. 'annettersi': 'la Germania nazista si annetté l'Austria'. annèttere o annéttere v. tr. 1 congiungere, accoppiare, collegare, legare # aggregare, aggiungere # addizionare # allegare, accludere CONTR. disgiungere, dividere, disunire, separare, staccare, sciogliere, slegare 2 (di territorio) incorporare, occupare FRASEOLOGIA "annettere importanza", dare importanza. SFUMATURE incorporare - amalgamare – annettere Mescolare insieme due o più sostanze in modo da creare un'unica massa si dice "incorporare"; in altra accezione il verbo descrive l'azione di inserire un elemento in una struttura o in un organismo preesistente, avendo cura che il risultato finale sia di omogeneità e non di giustapposizione. Un'azione di fusione completa di più componenti in un insieme è descritta dal verbo "amalgamare", che si usa di preferenza in riferimento a ingredienti alimentari o a colori. "Annettere" esprime invece l'idea di aggiungere un elemento accessorio a un tutto già strutturato, che alla fine non risulta modificato, ma solo ampliato. SUPPÓRRE [vc. dotta, dal lat. supponere, propr. 'porre (ponere) sotto (sub)'; av. 1276] v. tr. (coniug. come porre) 1 (qlco.; +che seguito da congv.; +di seguito da inf.) Presumere in via d'ipotesi, immaginare che qlco. sia accaduto o possa accadere in un determinato modo: 'suppongo che sia come dici tu'; 'suppongo che tu non sia d'accordo'; 'supponi di partire domani'; 'spesso mi sono ingannato, supponendo nella gente sentimenti troppo delicati' (DE SANCTIS). 2 +Porre sotto. 3 +Sostituire, scambiare, una persona con un'altra. Suppórre v. tr. (qlco., +che + congv., +di + inf.) immaginare, opinare, argomentare, arguire, pensare, credere, giudicare, sospettare, temere # presumere, congetturare, presupporre, figurarsi, fingere, ammettere, ipotizzare, porre, mettere il caso, far conto CONTR. affermare, asserire, constatare, avere la certezza. SFUMATURE credere - supporre - arguire - sospettare "Credere" è ritenere vera una cosa; da qui il significato di stimare, reputare come veritiero o anche di immaginare come molto probabile. In quest'ultimo significato un suo sinonimo è "supporre", che è presumere in via di ipotesi qualcosa come probabile. In "arguire" l'opinione che ci si è fatta è il risultato di deduzioni logiche che si fondano su una serie di indizi e premesse. Con "sospettare" si fa invece riferimento al formarsi di un'opinione sulla base di indizi e supposizioni. COMPÈNDIO [vc. dotta, lat. compendiu(m) 'risparmio, abbreviazione, via più breve', da compendere 'pesare assieme'; av. 1349] s. m. 1 Riduzione o trattazione sintetica del contenuto di un testo, di un argomento, di una materia e sim.: 'un compendio di letteratura latina' | "In compendio", (fig.) in breve, in succinto, in sostanza. SIN. Riassunto, sommario. 2 In paleografia, scrittura di una parola per sintesi dei segni alfabetici più significativi di essa. 3 (fig.) Sintesi di elementi diversi: 'la vita è un compendio di miserie'.|| compendiàccio, pegg. | compendiétto, dim. | compendìno, dim. | compendiòlo, compendiuòlo, dim. | compendiùccio, dim. Compèndio s. m. 1 riassunto, sunto, riduzione, raccolta, riepilogo, ricapitolazione, sintesi, specchietto, sommario, summa, epitome, sinossi (lett.), abstract (ingl.), abrégé (fr.), Bignami® (pop.), breviario, condensato, estratto, manuale 2 insieme, somma, complesso FRASEOLOGIA "in compendio" (fig.), in breve, in succinto. SFUMATURE compendio - epitome – estratto "Compendio" è la trattazione sintetica del contenuto di un testo, di un argomento, di una disciplina. Nel caso in cui ad essere compendiata sia un'opera di notevole vastità si ha un'"epitome". Diverso, perché non frutto di una rielaborazione, è l'"estratto", capitolo di un libro o articolo di una rivista stampato autonomamente su un fascicolo usando la stessa composizione tipografica del volume o della rivista stessi. PRODIGO [vc. dotta, lat. prodigu(m), da prodigere 'spingere avanti a sé', poi metaforicamente 'sperperare', comp. di prod'avanti' (V. prode) e agere 'spingere'; av. 1292] A agg. (pl. m. -ghi) 1 Che dà o spende senza misura: 'essere prodigo dei propri averi' | "Figliol prodigo", (fig.) chi, dopo un periodo di sbandamento morale, si ravvede e torna sulla buona strada. SIN. Dissipatore, scialacquatore. CONTR. Avaro. 2 (fig.) Generoso: 'essere prodigo di premure, di consigli, di attenzioni'. || prodigaménte, avv. Da prodigo, con prodigalità: 'vivere, dare prodigamente'. B s. m. (f. -a) * Chi dona o spende con eccessiva larghezza. pròdigo agg. 1 scialacquatore, dilapidatore, dissipatore, spendaccione, sprecone, sciupone CONTR. avaro, stretto, tirato, gretto, meschino, pitocco (fig.), pidocchioso (fig.), spilorcio, tirchio, taccagno, sparagnino 2 (fig.) generoso, liberale, munifico, brillante, splendido, largo CONTR. economo, sobrio, frugale, misurato, parsimonioso, parco # ingeneroso FRASEOLOGIA 'figliol prodigo', chi si ravvede dopo un periodo di sbandamento. SFUMATURE generoso - liberale - caritatevole - altruista - prodigo Chi dona con larghezza o presta gratuitamente la sua opera a vantaggio di altri è "generoso". "Liberale" contiene una sfumatura di magnanimità, di generosità anche morale. Il termine "caritatevole" aggiunge alla volontà di dare una disposizione amorevole, che viene incontro allo stato di necessità di chi riceve. "Altruista" è colui che nel dare mette l'interesse altrui innanzi al proprio. "Prodigo" è sinonimo più elevato di generoso, ma può anche definire chi spende senza misura banàle [fr. banal 'appartenente a un feudo (ban), d'uso comune'; 1877] agg. * Detto di ciò che è convenzionale, assolutamente comune, privo di originalità e di significato particolare: 'persona, conversazione banale'; 'libro, film banale' | Di poco conto: 'si tratta di un banale incidente'. || banalménte, avv. In modo banale, con banalità. banàle agg. scontato, convenzionale, comune, usuale, senza originalità, conformista, impersonale, superficiale, ovvio, trito, rifritto, risaputo, piatto, scialbo, sciapo, prosaico, oleografico, incolore, insignificante, insipido, corrente, terra terra CONTR. originale, eccentrico, estroso, raro, non comune, stravagante, strano, colorito, capriccioso, incomparabile, eccezionale. SFUMATURE banale - ovvio - trito – rifritto "Banale" è ciò che è privo di originalità, valore, interesse particolare. "Ovvio" è invece ciò che si presenta con immediatezza alla mente ed è facile a pensarsi, in senso negativo indica ciò che è così evidente da risultare scontato. "Trito" descrive argomenti e idee abusati e dunque né efficaci né interessanti. Anche "rifritto" suggerisce l'immagine di un argomento riproposto con pretese di originalità ma in realtà logoro, vecchio, inefficace. FUGACE [vc. dotta, lat. fugace(m), da fugere 'fuggire'; 1342] agg. 1 +Che fugge. 2 Che è fuggevole, transitorio, di breve durata: 'la bellezza è un bene fugace'; 'i fugaci beni del mondo'; 'avanzano / ore fugaci e meste' (PARINI). CONTR. Durevole. 3 (bot.) Caduco. || fugaceménte, avv. In modo fuggevole. fugàce agg. breve, caduco, effimero, fuggevole, labile (lett.), momentaneo, passeggero, precario, provvisorio, temporaneo, transitorio, transeunte (lett.) # fallace CONTR. durevole, duraturo, stabile, saldo, costante # lungo, longevo # perenne, permanente, immortale, perpetuo, sempiterno. SFUMATURE fugace - effimero – caduco "Fugace" è ciò che è di breve durata, che passa rapidamente; il termine, di uso letterario, definisce solitamente la natura di beni transitori, come la giovinezza o la felicità. "Effimero" esprime anch'esso un'idea di durata breve, ma è connotato negativamente e descrive cose il cui pregio scade proprio per il loro carattere passeggero. " Caduco", legato etimologicamente a cadere, per cui abbiamo'foglie caduche' o 'denti caduchi', aggiunge ai termini precedenti una sfumatura di fragilità, di inconsistenza. CONNETTIVI Testo n. 1 Il vecchio Ackey si piazzò in camera mia, tanto per cambiare. Alla fine, comunque, dovetti parlar chiaro e dirgli che dovevo fare un tema per Stradleter, perciò bisognava che sloggiasse perché mi dovevo concentrare. Il guaio era che non mi riusciva di pensare né a una stanza né a una casa né a niente da descrivere, come mi aveva detto di fare Stradetler. Sicché andò a finire che feci un tema sul guantone da baseball di mio fratello Allie. Era un argomento molto descrittivo. Dico davvero Mio fratello Allie, dunque, aveva quel guantone da prenditore, il sinistro. Lui era mancino. La cosa descrittiva di quel guanto, però, era che c’erano scritte delle poesie su tutte le dita e il palmo dappertutto in inchiostro verde. Ce le aveva scritte lui, così aveva qualcosa da leggere quando stava ad aspettare e nessuno batteva. Ora è morto. Gli è venuta la leucemia quando stavamo nel Maine, il 18 luglio 1946. Testo n. 2 Dopo l’accurata analisi di circa ottanta programmi televisivi, si può concludere che essi forniscono rappresentazioni della società più “devianti” che non di conferma del senso comune. Quello che si affaccia dal piccolo schermo durante la normale programmazione non è tuttavia un mondo irreale come può esserlo quello della pubblicità. Se si confronta ad esempio il mondo degli spot pubblicitari, così perfettamente coerente e prevedibile, con quello di un quiz o di un’inchiesta giornalistica, si nota infatti come quest’ultimo sia, al contrario del primo, pieno di ‘strappi’ inquietanti. Le casalinghe sgangherate e intemperanti che formano il pubblico di alcuni spettacoli della fascia diurna sono spesso molto diverse dalle nonnette delle pubblicità, tutte pizzi e chiome argentee, tanto da sembrare uscite anima e corpo dalla candeggina che raccomandano. Si sente dire spesso che la televisione è ormai un unico grande spot pubblicitario. Del resto, è vero che le logiche commerciali hanno totalmente determinato, in un modo o nell’altro, la produzione televisiva. Eppure i modelli sociali creati a tavolino nelle agenzie pubblicitarie stanno all’immagine del sociale fornita dalla TV come il teorema di Pitagora alla lista della spesa. Con questo non si vuole concludere che la TV sia uno specchio della realtà mentre la pubblicità rimane favola, astrazione, modello. È indubbio che la pubblicità lavora su astrazioni di tipo sociologico, compone un quadro comunque corerente e infinitamente meno complesso.Viceversa la programmazione televisiva considerata quasi nella sua totalità, lascia trasparire con chiarezza una massa di incongruenze, di incertezze, di inquietudini del sociale. Benché la persona comune che compare in TV appaia schiacciata dalla formula spettacolare e addirittura espropriata della propria individualità, essa riserva tuttavia non poche sorprese a chi analizza o guarda semplicemente i programmi. Testo n. 3 Dopo il successo dei suoi libri precedenti e, in particolare, dell’ultimo Lettere contro la guerra, un saggio di denuncia e di forte impatto emotivo, Tiziano Terzani torna nuovamente in libreria. Questa volta non con un testo di intervento, di protesta e di proposta, ma con il racconto di un lungo viaggio nel mondo, intrapreso dopo la scoperta di avere un tumore. Un altro giro di giostra è innanzitutto un itinerario alla ricerca di aiuto per la guarigione che ha portato Tiziano Terzani in Paesi e civiltà lontane e diverse; non solo un libro di viaggio, ma anche un cammino lungo i sentieri della ricerca interiore, spirituale e sapienziale. Un libro nel quale riaffiorano i temi da sempre cari al giornalista e scrittore fiorentino: la storia, la globalizzazione, il confronto di civiltà. La rivelazione della malattia, accolta dapprima con stupore misto a incredula indifferenza, in seguito con la frenesia di cure, visite, esami diagnostici e terapie, ha rappresentato per Terzani l’opportunità di compiere una riflessione sul significato dell’esistenza, tanto più intensa e coinvolgente in quanto intima e personale, vissuta sulla propria pelle. Di fronte all’imprevedibilità di un mare incurabile, anche il viaggiatore coraggioso, il cronista avventuroso, l’inviato di guerra sprezzante del pericolo si sente disarmato e vulnerabile, ma non si tira indietro. "Viaggiare era sempre stato per me un modo di vivere – scrive nelle prime pagine – e ora avevo preso la malattia come un altro viaggio: un viaggio involontario, non previsto, per il quale non avevo carte geografiche, per il quale non mi ero in alcun modo preparato, ma che di tutti i viaggi fatti fino ad allora era il più impegnativo, il più intenso." Il suo percorso di ricerca si snoda sulla scia della medicina tradizionale e alternativa: lo porta dapprima a New York e in un centro della California; segue un lungo girovagare per l’India, compresi tre mesi passati da semplice novizio in un ashram. E poi le Filippine, ancora gli Stati Uniti (a Boston), Hong Kong e la Thailandia. Infine, il ritorno nella quiete della regione himalayana, dove Terzani ha deciso di ritirarsi a vivere per molti mesi dell’anno. Tappa dopo tappa, il viaggio esterno alla ricerca di una cura si trasforma in un viaggio interiore, alla ricerca delle radici divine dell’uomo e alla "scoperta" della "malattia che è di tutti: la mortalità." Questa consapevolezza non significa però arrendersi al male. Al contrario, il libro di Terzani è un invito alla speranza e alla vita, un’esortazione a cercare l’unica cura risolutiva all’interno di se stessi. "La storia di questo viaggio non è la riprova che non c’è medicina contro certi malanni… tutto, compreso il malanno stesso, è servito tantissimo. E’ così che sono stato spinto a rivedere le mie priorità, a riflettere, a cambiare prospettiva e soprattutto a cambiare vita. E questo è ciò che posso consigliare ad altri: cambiare vita per curarsi, cambiare vita per cambiare se stessi."