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Daniele Emmanuello, il boss stratega che usava i

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Daniele Emmanuello, il boss stratega che usava i
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Ultimo aggiornamento martedi 04.12.2007 ore 20.20
CRONACA
Capo della cosca gelese, fedelissimo di Madonia che gli delegava rapine al Nord
Cominciò a fare i soldi con la ricostruzione della diga "Disueri"
Daniele Emmanuello, il boss stratega
che usava i minorenni per le rapine
Daniele Emmanuello
GELA (CALTANISSETTA) - Gli investigatori lo descrivono come un killer feroce in grado, però,
di pensare alleanze e strategie. Fedele alleato del boss di Caltanissetta Piddu Madonia, che di lui
si fidava tanto da 'delegargli' rapine milionarie in Lombardia e Veneto, Daniele Emmanuello, boss
latitante ucciso oggi in un blitz della polizia nelle campagne di Enna, apparteneva ad una storica
famiglia mafiosa gelese. Dalla fine degli anni '80 era il gestore degli affari criminali a Gela e nel
comprensorio e utilizzava ragazzi anche minorenni, estortori, rapinatori, criminali rampanti, per
imporre la propria violenza.
Lo zio Angelo, detto 'Furmiculunì, a capo della 'famiglia' di Gela, fu tra le prime vittime della
sanguinosa guerra che, negli anni '90, contrappose Stidda e Cosa nostra. Da allora Daniele e i
suoi tre fratelli, Alessandro, Nunzio, e Davide, tutti in carcere per associazione mafiosa, e
qualcuno per omicidio, avrebbero combattuto a fianco dei mafiosi nella lotta contro gli stiddari.
I primi affari importanti gli Emmanuello li fecero, proprio grazie a Madonia, negli anni '80,
partecipando alla spartizione dell'appalto di oltre 300 miliardi per la ricostruzione della diga
"Disueri". Durante la guerra con la Stidda, che culminò il 27 novembre del '90, quando in quattro
agguati simultanei furono uccise otto persone ed altre sette rimasero ferite, gli Emmanuello,
decisero di lasciare la Sicilia. La famiglia si divise tra Liguria, Piemonte e Germania. Nel '92, dopo
120 morti, si sancì la tregua.
Ma l'arresto di Madonia, punto di riferimento delle famiglie di Cosa nostra, e la cattura dei vertici
della Stidda, disarticolata grazie alle rivelazioni dei pentiti, rimisero in discussione gli equilibri
della provincia. La guerra stavolta scoppiò tra le cosche mafiose degli Emmanuello e dei
Rinzivillo, fino ad allora alleate. La latitanza di Daniele Emmanuello, orami diventato capo della
famiglia, cominciò nel '96 quando gli investigatori lo indagarono per la morte di uno dei
luogotenenti dei Rinzivillo, Maurizio Morreale. Per il delitto il capomafia è stato condannato
all'ergastolo, ma la pena non è ancora definitiva. La seconda condanna al carcere a vita gli venne
inflitta dalla corte d'assise nissena per il duplice omicidio di Emanuele Trubia, detto 'la belva', e
del suo guardaspalle, Salvatore Sultano, anche loro uomini del clan Rinzivillo, trucidati nel '99, in
un salone da barba. Nel 2002 arrivarono le due condanne per associazione mafiosa, le uniche
ormai definitive: in tutto 10 anni. Processato per l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, venne
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assolto.
Da latitante, però, Emmanuello, unico dei 4 fratelli fino ad oggi riuscito a sfuggire alla cattura,
continuò a controllare estorsioni e traffico di droga e riuscì a estendere le sue attività oltre la
Sicilia. In Friuli una 'cellula' del clan gelese gestiva appalti per suo conto. Miracolosamente
sfuggito a due attentati - uno dei quali fallito perchè la bomba utilizzata per l'agguato era rimasta
inesplosa - avrebbe compiuto 43 anni a luglio.
(3 dicembre 2007)
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