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la carne rossa e le carni lavorate

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la carne rossa e le carni lavorate
non solo consumi
Cosimo Finzi
consumi
La carne rossa
e le carni lavorate
Le reazioni
all’annuncio Iarc
AstraRicerche è stata fondata nel 1983 dal professor Enrico Finzi. Si occupa di ricerche di marketing
e sociali per clienti appartenenti a molti settori
merceologici, utilizzando molteplici metodologie
d’indagine. Si caratterizza per una struttura snella
e fles­sibile, improntata alla qualità e all’innovazione, e affianca al servizio di ricerca la consulenza di
marketing e di comunicazione a clienti – imprese
nazionali e multinazionali – di tutte le dimensioni.
Collabora con Manageritalia con indagini e analisi
di dati che spesso mirano a sintetizzare fenomeni
complessi o a far emergere informazioni latenti.
40
dicembre 2015
A
Alla fine di ottobre i principali mezzi di
informazione hanno riportato la notizia secondo cui lo Iarc – l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro
dell’Organizzazione mondiale della
sanità – ha diffuso una nuova classificazione riguardante la carne rossa e la
carne lavorata. Tale classificazione, a
cui è giunto il gruppo di scienziati
dell’Agenzia dopo aver passato in rassegna oltre 800 studi condotti in vari
Continenti sul legame tra alcuni tipi di
cancro e consumo di carne rossa e
carne lavorata, inserisce le carni lavorate nel gruppo delle sostanze “sicuramente cancerogene per l’uomo” (si
tratta di carni trattate con salatura,
stagionatura, fermentazione, affumicazione come prosciutti, wurstel, salami, salsicce, pancetta) e le carni rosse
fresche, non lavorate (manzo, vitello,
maiale, agnello, montone, cavallo, capra) nel gruppo appena meno pericoloso del precedente, classificandola
come “probabilmente cancerogena
per l’uomo”.
È questo l’argomento della recente ricerca di AstraRicerche: cosa sanno,
cosa hanno capito, come hanno reagito gli italiani all’annuncio?
È stata effettuata una rilevazione tramite 1.120 interviste a 15-69enni, nella terza decade di novembre (volutamente non nei primissimi giorni dopo
l’annuncio, ma comunque “a caldo”,
ovvero dopo circa tre settimane e mezzo dal lancio).
La reazione degli italiani
Di certo la notizia non è passata inosservata: solo il 3,8% degli intervistati
afferma di non averla ricevuta. Quasi
tre quarti hanno sentito la notizia con
riferimento sia alla carne lavorata sia a
quella rossa fresca; sono molti di più
quelli che ricordano di aver sentito solo le informazioni sulle carni lavorate
(16,5%) rispetto a quelli che hanno
sentito solo la parte sulle carni rosse
fresche (5,9%). Non emergono rilevanti differenze per sesso, età o area
geografica.
Se (quasi) tutti hanno avuto una qualche forma di informazione, qual è stata la decodifica? Di certo le idee sono
molto differenti. Vediamo come è stata letta la notizia più rilevante (in
quanto associata a una gravità maggiore) ovvero quella sulla carne lavorata: quasi un italiano su cinque (19,2%)
afferma che si tratta di un invito al non
consumo in modo assoluto; ma a questi dobbiamo aggiungere il 42,6% che
pensa che si possa mangiare ma solo
raramente, di certo senza regolarità; e
i restanti intervistati? Per il 32,9% la
carne lavorata può essere mangiata
anche regolarmente, ma moderando
frequenza e quantità rispetto al passato; c’è poi il 5,3% del campione che
afferma che il richiamo alla limitazione/eliminazione di questi prodotti è
valido solo per persone, categorie “a
rischio”. Volendo semplificare al massimo, finisce 60%-40% tra eliminanti
(del tutto o quasi) e continuanti (con
moderazione o senza cambiamenti).
E per la carne rossa? La situazione si
ribalta: 40%-60%; infatti solo il 6,7%
pensa di doverla eliminare dalla dieta (è
circa un terzo del dato della carne lavorata) mentre il 34,9% crede che l’annuncio indichi che va mangiata raramente, non in modo regolare; ottiene
la maggioranza assoluta il “partito” del
moderare frequenza e quantità, mentre
sono nuovamente pochissimi quelli che
ritengono l’annuncio sia solo per pochi
affetti da disturbi o malattie.
Un cambio
di abitudini alimentari
C’è quindi da aspettarsi un impatto
notevole sulle abitudini alimentari degli italiani e sugli acquisti di questi prodotti. E in effetti la reazione sembra già
forte: lo si era intuito dai dati di vendita (-20% dopo due settimane) ma non
era ancora stato misurato come numero di persone. Ebbene, per effetto
dell’annuncio il 2,6% ha interrotto il
consumo di carni rosse fresche e il
3,6% lo ha fatto per quelle lavorate;
ma il dato rilevante (e che vede una
differenza significativa tra le due tipologie di prodotto) è quello relativo alla
diminuzione: l’8,1% degli intervistati
ha reagito riducendo i consumi di carne rossa, valore che per le carni lavorate sale al 26,9%.
Con una reazione negativa (di riduzione o eliminazione) più presente tra le
donne e, soprattutto, tra i 25-44enni,
e crescente passando da Nord a Sud.
E per il futuro?
Sempre rispetto al passato (non allo
stato raggiunto per effetto della reazione immediata alla notizia), gli italiani dichiarano di prevedere una diminuzione stabile nel tempo di carni
rosse fresche (16,5% del campione) e
carni lavorate (28,6%). In particolare,
per entrambe le categorie di prodotto
coloro che dichiarano che smetteranno di consumare carne sono circa il
3% del totale. Uno “scossone” al
mercato non da poco e – almeno nelle intenzioni dei nostri concittadini –
duraturo.
Corto circuito mediatico
Eppure non si può parlare di effetto
sorpresa, e del panico che ne consegue: il 68,1%, infatti, concorda molto
o abbastanza con l’affermazione “la
notizia non mi è nuova, la pericolosità
della carne rossa mi era già nota”; e
l’impatto è parzialmente limitato dal
ritenere che in Italia i rischi siano minimi grazie alla qualità delle carni e dei
processi di lavorazione (45,4%).
Il vero problema è costituito dalla
confusione a livello informativo. In-
Previsione del cambiamento dei consumi
Diminuito/interrotto
Stabile/stabilmente nullo
20%
0%
16,5%
40%
Aumentato
60%
80%
81%
100%
2,5%
Carni rosse fesche
Carni lavorate
rosse o bianche
28,6%
fatti, ben il 61,4% chiede che l’annuncio si traduca in indicazioni pratiche per il consumatore: cosa, quanto,
quando mangiare carne, non a caso
quasi due italiani su tre criticano la
mancanza di indicazioni specifiche
fino ad ora e il 58,9% ritiene sbagliato il modo di dare la notizia, che è
parso volto solo a creare inutili allarmismi che abbatteranno il consumo
di carne.
Le modalità di diffusione delle informazioni sono criticate anche per un
altro aspetto: l’inefficacia. Infatti il
44,4% afferma che paragonare la pericolosità del consumo di salumi a note sostanze fortemente cancerogene
porterà molti a ritenere la notizia non
credibile.
E se non bastasse non sono tutti convinti (ci si ferma al 73,7%) che le informazioni diffuse siano chiare nell’indicare l’intera popolazione come target del richiamo, facendo capire che
coinvolge tutti.
Insomma, si è assistito a un corto-circuito mediatico, in cui una notizia importante (a livello di salute, serenità dei
cittadini, comportamenti di acquisto e
quindi vendite di un settore economicamente rilevante) è stata comunicata
in modo inefficace, equivoco, a volte
sbagliato.
67,8%
3,7%
Alla ricerca di fonti affidabili
Chi potrà in futuro dare informazioni
affidabili sul tema? Per una volta (non
capita spesso nelle ricerche negli ultimi
anni) al vertice della classifica troviamo
il ministero della Salute (57,4%), che
già si è attivato tramite il ministro ma
a cui, evidentemente, è chiesto uno
sforzo maggiore.
A seguire i medici, indicati con frequenza assolutamente simile: 45,9%
gli alimentaristi, 44,3% i medici di famiglia, poco sotto gli oncologi; chiude
il gruppo di testa la comunità scientifica, rappresentata anche dai ricercatori
(39,1%), per poi avere un “salto” di
più di 15 punti percentuali e arrivare
alle associazioni consumeriste (23,3%)
e ai web site specializzati in medicina/
salute (22,8%). Data la rilevanza
dell’argomento, siti generalisti e social
network sono in fondo alla classifica di
affidabilità (con il 7,9% e il 4,5%, percentuali molto minori rispetto ad altre
rilevazioni su alimentazione e salute)
superati da mezzi classici (trasmissioni
in tv o alla radio 14,9%, articoli su
carta stampata 14,6%). In mezzo troviamo le associazioni di categoria (di
chi alleva, lavora la carne, la vende) che
sono, per loro natura, specialisti del
settore ma anche in conflitto di interesse (e ottengono il 14,1%).
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