urbanistica. Disciplina che studia il fenomeno urbano nella sua
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urbanistica. Disciplina che studia il fenomeno urbano nella sua
Ludovico Quaroni, introduzione alla voce Urbanistica del Dizionario Enciclopedico di Architettura e Urbanistica, vol. VI, Roma 1969 urbanistica. Disciplina che studia il fenomeno urbano nella sua complessa interezza, onde fornire su di esso dati conoscitivi interessanti i singoli suoi aspetti e le reciproche loro interrelazioni,perché possano eventualmente venire utilizzati per meglio orientare le molte azioni di carattere politico, legislativo, amministrativo e tecnico che continuamente vengono a modificare la realtà di un territorio. Da un lato quindi la parola individua ogni studio sulla realtà di fatto e sui problemi delle città o di una determinata città, e giova far osservare come l’insediamento umano, questa manifestazione fondamentale della cultura, sia stato stranamente negletto nei tre millenni almeno nei quali l’evoluzione della civiltà ha condotto l’uomo a ragionare e a studiare sul mondo e in particolare su quanto egli stesso aveva fatto per trasformarlo. Una scienza della città ancora non esiste come disciplina autonoma, e le stesse ricerche particolari che studiosi provenienti da varie regioni del sapere hanno condotto avendo la città - o suoi aspetti particolari - come oggetto sono ben lontane da darci un corpus organico di conoscenze su questa primaria istituzione civile, perche la città - o il territorio urbanizzato – vive soprattutto di rapporti fra le sue parti e fra la diversissima sostanza fisica, sociologica, economica, politica - delle sue eterogenee componenti. La città infatti e essenzialmente una struttura, vale a dire una entità autonoma di dipendenze interne, quindi « non una semplice combinazione di elementi, ma un tutto formato da fenomeni solidali, tale che ciascuno dipenda dagli altri e non possa essere quello che è se non in virtù della sua relazione, e nella sua relazione, con essi » (Hjcimslev), ed e proprio per questa sua complessa natura che e stato sempre difficile, a meno di non accettare pericolose riduzioni, affrontare disciplinarmente il problema. Da un altro lato la parola individua, invece, l’attività pratica di progettazione per le strutture fisiche della città, e segnatamente l’attività di studio e di redazione del piano regolatore che consiste essenzialmente in un insieme di norme intese a permettere lo sviluppo e l’adeguamento della città della sua costruzione nei rari casi di insediamenti di nuovo impianto - in base alla prefigurazione d’un organismo funzionale-estetico desunto dagli studi fatti sulla realtà e dall’idea politico-culturale in corso del fenomeno città, di cui il disegno su carta rappresenta solo la dimostrazione figurata. Il termine urbanistica quindi dovrebbe servire giustamente a determinare un complesso ambito disciplinare, per un verso interessato agli studi sulla città e per altro all’utilizzazione di questi studi nella definizione della politica urbana nei suoi vari aspetti, e particolarmente nella pratica della redazione dei piani regolatori generali, dei piani quadro, dei piani particolareggiati, dei regolamenti edilizi, e via dicendo. Questa disciplina è ben lungi dall’aver raggiunto anche una prima maturità. La molteplicità degli aspetti che il territorio urbanizzato presenta è tale da richiedere competenze specifiche molto distanti le une, dalle altre per la preparazione culturale richiesta a chi le debba professare, cosicché la disciplina urbanistica tende a sostituire la sua specificità con un sistema di collaborazione interdisciplinare nel quale specialisti di varie discipline intervengono ognuno con la competenza, la mentalità ed i punti di vista propri del suo settore, ed in generale con poca conoscenza e scarso interesse per la città come fatto globale, come manifestazione d’una cultura. « La città, quale si rivela nella storia, è il punto di massima concentrazione dell’energia e della cultura di una comunità. In essa i raggi irradiantisi da parecchie sorgenti di vita sono messi a fuoco guadagnando in significato ed efficacia sociale. Perché il tracciato e la forma della città esprimono in modo visibile gli sviluppi della vita associata e perpetuano in una forma stabile gli sviluppi transeunti della storia ». Così il Mumford (v.) apre La cultura delle città, ma non sarà certo facile per tutti gli architetti, per tutti gli economisti, i sociologi, i demografi, gli statistici, i giuristi, gli esperti del traffico o delle altre tecnologie infrastrutturali, e nemmeno per i politici e gli amministrativi, riuscire a comprendere l’esatto taglio da dare alle proprie ricerche perché possano contribuire in modo valido alla formazione della conoscenza, da parte di tutti, dell’insieme dei rapporti costituenti 1 la realtà urbana sulla quale si dovrà operare o si sta operando. Anche se tutti si interessano, scientificamente e professionalmente, alla città, ogni specialista rimane ancorato alla sua particolare ottica disciplinare, e questo ritarda notevolmente la formazione d’una autonoma disciplina urbanistica. Peggio ancora, essi tendono a diminuire le difficoltà e ad allontanare i conflitti di mentalità riducendo il numero degli aspetti che la realtà, presa nella sua interezza, offre. Si sta formando così intorno a questa materia un gruppo d’interesse settoriale tendente ad escludere, dall’urbanistica intesa come disciplina a preciso carattere scientifico, ogni concezione progettuale della materia che, pur adeguando metodi e mezzi alle possibilità e alle necessità attuali, non rinunci al controllo dell’organismo urbano anche inteso come comunicazione visuale dei risultati d’una storia culturale. «Non è in senso metaforico, che si ha il diritto di confrontare - scrive C. LéviStrauss in Tristi Tropici - una città a una sinfonia o a un poema; sono infatti oggetti della stessa natura. Più preziosa ancora, forse, la città si pone alla confluenza della natura con l’artificio. Agglomerato di esseri che racchiudono la loro storia biologica entro i suoi limiti e la modellano con tutte le loro intenzioni di creature pensanti, la città, per la sua genesi e per la sua forma, risulta contemporaneamente dalla procreazione biologica, dall’evoluzione organica e dalla creazione estetica. Essa è, nello stesso tempo, oggetto di natura e soggetto di cultura; individuo e gruppo; vissuta e sognata; cosa umana per eccellenza». Indubbiamente il momento attuale è caratterizzato culturalmente dal progresso scientifico reso possibile dai mezzi di ricerca che la tecnica e lo sviluppo economico hanno messo a disposizione. Ma è proprio questo progresso scientifico che ha determinato il mito nuovo della scienza, per cui in tutti i campi dell’umana ragione si sta verificando, accanto ad un serio sforzo d’adeguamento scientifico-tecnico, il tentativo più comodo di mistificare, camuffandole da scienza, vestendole di linguaggio tanto artificioso quanto impreciso, le stesse vecchie concezioni, se possibile riducendole anche, per toglier loro ogni parte che, non prestandosi al trattamento pseudo-scientifico, scoprirebbe il giuoco. I mezzi di indagine forniti dalle nuove matematiche e dalla ricerca operativa sono già impiegati in urbanistica, con notevoli vantaggi, per risolvere con esattezza completa problemi di verifica e di calcolo diretto che prima non erano possibili; parallelamente, i progressi delle scienze economiche, statistiche e sociali forniscono strumenti nuovi per lo studio di alcuni aspetti della realtà urbana, e non sono pochi quindi coloro che fra non molto saranno capaci di contribuire sostanzialmente alla formazione disciplinare dell’urbanistica Manca, e anziché progredire regredisce, nella disciplina urbanistica in formazione, la visione ampia, globale del campo e la chiarezza sulle ragioni ultime sue, senza la quale gli approfondimenti metodologici parziali non solo non servono, ma finiscono per risultare pericolosi in quanto tendono a sostituire i fini con i mezzi e a ignorare ogni aspetto del problema che, perché più complesso, non è riducibile nelle maglie semplici di un procedimento matematico o pseudo-matematico. Questa crisi dell’urbanistica è il risultato della sovrapposizione, nella attuale pseudo-cultura del “mito tecnologico”, derivato già nella metà del secolo scorso dalla cattiva interpretazione delle idee fornite dal movimento illuministico e dalle esigenze della prima rivoluzione industriale - per cui si confondono continuamente fra loro i concetti di scienza e di tecnica - e del “mito della funzione”, derivato dopo la seconda guerra mondiale dalla cattiva interpretazione delle idee fornite dagli architetti e dai critici del cosiddetto Movimento Moderno (v. Razionalismo), per cui ci si illude di aver soddisfatto l’esigenza d’una maggiore oggettività nei controlli urbanistici verso;, una vera e propria fondazione disciplinare, avendo soltanto eliminato dal discorso le parti scomode, che sono forse quelle più importanti. Giustamente il sociologo Berndt afferma che « l’urbanistica non può essere valutata unicamente in base alla sua capacità di soddisfare le esigenze igieniche minime dettate dalle funzioni istintive primarie dell’uomo (mangiare, dormire, muoversi); ci riteniamo 2 insoddisfatti di una urbanistica che si limiti ad essere “tecnicamente corretta” » (H. BERNDT, A. LORENZER, K. HORN, Ideologia dell’architettura, Bari, 1969). I sostenitori dell’urbanistica funzionale fanno giustamente risalire la nascita dell’urbanistica « come disciplina autonoma, al secolo scorso, quale risposta (e difesa) ai problemi suscitati nell’esistenza e nella cultura urbana dal progressivo adcrmarsi dell’industrializzazione e dal rapido incremento della popolazione e del traffico » (G. ASTENGO, EUA s.v.), ma dimenticano che quei tali problemi dell’esistenza e della cultura urbana erano già il frutto di quella diseducazione verso il fenomeno urbano come fenomeno culturale di prima importanza che ha poi, a distanza di tempo, favorito la formazione attuale dell’arida mentalità tecnocratica e falsamente scientifica con la quale si guardano, nel tentativo di risolverli, i problemi della città. La crisi attuale dell’urbanistica e dell’architettura (le due cose non possono essere separate) dipende dalla divisione dei cultori della materia in due opposti campi. Uno di questi, quello di certi architetti più aggiornati, tenta di liberarsi dalle riduzioni cui li costringe una pratica urbanistica basata solamente sui vincoli, sugli standards, sulle tipologie obbligate,che riconosce solo ai “centri storici”, e cioè al passato, la possibilità di esprimere anche figurativamente (che non significa solo esteticamente) lo spirito e la cultura d’una popolazione e di uno o più momenti della sua storia. Ma il tentativo di sfuggire a questa riduzione, a questo impoverimento, a questa evirazione della città, si risolve in un eccesso di libertà dalla concreta domanda, sì che le estrapolazioni verso un incontrollato quanto inconsistente gioco di gratuite e spesso infantili, risibili fantasie servono solo a fornire esca agli avversari, che con estrema facilità possono difendersi, rafforzando nella pubblica, ingenua opinione il culto dell’urbanistica “scientifica” liberata dalle velleità poetiche degli artisti. L’altro campo è quello appunto dei cultori d’una scienza o pseudo-scienza, tanto esperta, in pochissimi casi, da saper intervenire con precise verifiche matematiche, quanto incapace, nelle parti sostanziali dell’azione di analisi e nella sintesi della progettazione urbanistica, d’usare mezzi nuovi o di accettare, aspettando questi ultimi, quelli sempre usati nel passato. I numerosi seguaci di questa linea cercano di approfittarsi della situazione, fondando sul mito dell’efficienza tecnologicotecnocratica del mondo moderno un proprio campo d’azione e di potere, monopolizzando e gonfiando opportunamente le miopi, analitiche indagini per loro possibili, da queste facendo discendere direttamente i “modelli” o l’organismo delle città, dimenticando che la progettazione d’una città - o l’adeguamento progettuale d’una città esistente ad un modello rispondente alle esigenze, non solo materiali, del tempo presente - è, come ogni altra progettazione dell’ambiente per la vita dell’uomo, un’azione complessa nella quale non tutti gli eterogenei parametri e non tutti i passaggi sono riducibili, al momento attuale e ancora certamente per parecchio tempo, entro le maglie logiche di una razionalità, di una oggettività, di una scientificità, ancora da raggiungere in altri campi, più omogenei e più semplici, della progettazione. Dalla composizione di questa vertenza fra planners e designers, per usare i chiari termini anglosassoni che individuano le due tendenze, dipende l’avvenire delle nostre città e la possibilità seria di una vera fondazione disciplinare dell’urbanistica che, proprio perché si occupa del fenomeno urbano, come tale coinvolgente complessi problemi di natura economica, di natura sociale, di natura tecnologica e di natura artistica - anche se si tratta di un’arte collettiva, e appunto per questo più interessante -, non consente semplificazioni, e dovrà trovare il modo di unire le due mentalità. Si tratta, praticamente, di riuscire nella costruzione di un nuovo “modello” mentale, capace di utilizzare contemporaneamente, del nostro cervello, gli strati più esterni, più coscienti, e insieme quelli più interni, meno razionali e più intuitivi, più capaci cioè di cogliere interrelazioni armoniche anche fra parti ed aspetti diversi, disciplinarmente parlando, del fenomeno unitario della città: non ha senso, infatti una collaborazione interdisciplinare senza un cervello-guida. 3 Una disciplina urbanistica dovrebbe restituire all’uomo moderno, culturalmente, quel senso completo della città che hanno avuto tutti in antico e clic ancora posseggono le popolazioni meno progredite; ma dovrebbe sviluppare un’idea della città che sia in armonia con lo sviluppo del pensiero filosofico, del pensiero politico e del pensiero scientifico della seconda metà del ventesimo secolo, utilizzando, per la sua realizzazione, gli attuali enormi mezzi di elaborazione tecnica e di costruzione tecnologica, senza tuttavia dimenticare - questo è soprattutto importante - che anche le qualità creative dell’immaginazione umana hanno raggiunto nei tempi recenti punte notevolissime. Dalla città primitiva che nasceva, nella sua struttura, da una concezione magico-mistica dei rapporti degli uomini fra loro e degli uomini con il mondo, dobbiamo arrivare ad una struttura urbana del tutto diversa, che tuttavia non perda fra i circuiti dei computers quel senso poetico dell’esistenza dell’individuo e della collettività nello spazio, delle relazioni e delle comunicazioni fra gli individui nella città, che sono sempre stati alla base d’ogni valida idea di città e d’ogni efficace operazione progettuale per realizzarla. Per una analisi completa del termine urbanistica e dei suoi corrispondenti nelle varie lingue, tenuto conto dell’intero campo d’azione della materia, rimandiamo alla voce urbanistica che G. Astengo ha redatto per l’Enciclopedia Universale dell’Arte. Per toccare tutti i termini e gli argomenti interessanti l’urbanistica quale oggi viene comunemente praticata, occorrerebbe un dizionario intero. Tenuto conto, invece, del taglio della presente opera, ci si limita qui a considerare brevemente come dal Medioevo ad oggi si sia svolta la pratica del controllo sulla struttura fisica urbana. L. Q. 4