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l`espansione romana nell`italia settentrionale

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l`espansione romana nell`italia settentrionale
Latinitas or Europa: from present to past, from past to present
L’ESPANSIONE ROMANA
NELL’ITALIA SETTENTRIONALE
INDICE
1.
2.
3.
LA ROMANIZZAZIONE
UN PONTE TRA EUROPA E MEDITERRANEO
LE TAPPE FONDAMENTALI DELL’AVANZATA ROMANA
3.1 La guerra gallica del 285-283 a.C. e la guerra contro i Picentes
3.2 La guerra gallica contro i Boi e gli Insubri e la prima conquista della pianura
padana
3.3 L’arrivo dei romani nella Cispadana
3.4 La riconquista della Gallia Cisalpina
3.5 Relazioni commerciali con i Cenomani e conquista del Trentino Alto Adige
4. COLONIE DELL’ITALIA SETTENTRIONALE
Fig. 1 - Cartina della Gallia Cisalpina con la posizioni occupate dai vari popoli.
1.
LA ROMANIZZAZIONE
La romanizzazione vera e propria ebbe inizio con la ne delle guerre Retiche e procedette lentamente.
Infatti essa non fu la conseguenza di una massiccia colonizzazione, ma, a parte alcune misure immediate
a carattere militare, fu lasciata al tempo e agli eventi.
Un ruolo importante probabilmente ebbero i soldati reti, che, arruolati in modo massiccio nell’esercito
romano nel corso del I secolo d.C. con Tiberio o Caligola e poi con Vespasiano, tornarono in congedo
nelle loro terre, portando quello che è stato denito “romanesimo di riusso”.
E’ da tenere presente anche la lenta e capillare penetrazione di singoli individui o piccoli gruppi, interessati ad allargare i propri commerci anche in zone lontane. Pian piano la cultura locale scomparve,
di fronte all’avanzare della lingua, della cultura, delle leggi e dell’amministrazione romana, rimanendo
attiva solo in qualche valle più remota.
Anche in questo periodo comunque le Alpi non furono una barriera di divisione, ma piuttosto un luogo di
congiunzione. Infatti la Val d’Adige e la Val d’Isarco, percorse da antichissimi sentieri di collegamento con
il Nord, che avevano avuto una gran importanza strategica e militare durante le campagne alpine, mantennero il loro carattere sovraregionale, diventando un passaggio obbligato per lunghi percorsi. Infatti
attraverso il territorio del Trentino Alto Adige si doveva passare per andare dalla Val Padana al Danubio.
Così l’Alto Adige divenne molto importante per l’impero romano che ne potenziò l’apparato stradale, che
diventerà il meglio attrezzato delle Alpi Orientali. L’importanza di questo territorio è confermata anche
dal fatto che fu certamente difesa contro incursioni di “barbari”: i primi segni di distruzioni violente,
infatti, si hanno solo nel III secolo d.C., con la discesa dei Marcomanni, ma si può dire che no agli inizi
del V secolo i territori della Retia e della X Regio furono generalmente risparmiati.
Dal III secolo in poi, comunque, si diffondono i segni di una certa insicurezza: nascono i castra, luoghi
difesi che diventano anche zone di rifugio, e si trovano alcuni tesoretti, soprattutto di monete. Alcune
persone del luogo, cioè, nella fuga nascondevano i loro averi con l’intenzione di venire a riprenderli una
volta cessato il pericolo, cosa che evidentemente non successe. Uno di questi tesori, risalente alla metà
del IV secolo, è stato ritrovato a Lana ed era formato da 250 monete di bronzo databili dal I al IV secolo
appunto.
2.
UN PONTE FRA EUROPA MEDITERRANEO
Le popolazioni celtiche della Gallia Cisalpina esercitarono per diversi secoli la funzione di ponte fra l’Europa centrale e il mondo mediterraneo, relazioni di cui abbiamo indubbie prove scientiche. Possiamo
serenamente respingere quest’ipotesi “neostrabonica”, riprendendo la descrizione del patavino Tito Livio,
autore vissuto durante il regno di Augusto, il quale seppur quirite volle valorizzare (in parte) le diverse
componenti del suo impero, suddividendo le regioni della penisola su base etnica. Sicuramente i Boii
dopo la conquista romana persero ogni forma d’autonomia, in particolar modo nei territori attraversati
dalla via Emilia, dove comunque rimasero la stragrande maggioranza della popolazione, fornendo la
manodopera necessaria per le attività agricole o per la costruzione delle infrastrutture delle nuove colonie, ipotesi avvalorata da alcuni nuovi studi demograci sulla centuriazione.
Nei territori paludosi e nelle vallate montane riuscirono a sottrarsi allo sfruttamento romano, mantenendo alcune forme d’autonomia, infatti conosciamo l’esistenza di alcuni pagi (territori governati secondo
le consuetudini degli autoctoni), come il pagus Feronianum, Verabulum, Montebellinum ecc..., e a volte
fondendosi con i popoli protoceltici come i ben noti Brinates della battaglia dello Scoltenna (da brig +
nates, popolo dei monti, nati dai monti, latinizzato in Frinates).
3. LE TAPPE FONDAMENTALI DELL’AVANZATA ROMANA
3.1 - La guerra gallica del 285-283 a. C. e la guerra contro i Picentes (269-268 a. C.)
Due delle tappe fondamentali dell’avanzata romana verso il Nord furono proprio le campagne del
285-283 a. C. contro i Galli e la guerra contro i Picenti del 269-268 a. C.
Troviamo ancora una volta Manio Curio Dentato a capo della spedizione in territorio gallico, a conferma
dell’interpretazione secondo la quale tale personaggio non fosse un mero esecutore delle decisioni prese
dal Senato, ma avesse in mente un programma ben denito da portare a compimento.
In ambito gallico, dal punto di vista etnico, accanto alle tribù predominanti dei Senoni e dei Boi, rinveniamo anche le genti degli Anari, nella zona di Piacenza, e dei Lingoni, nella Romagna.
Studi recenti hanno messo in evidenza come tra tutti questi gruppi gallici ci fossero delle ostilità, delle
tensioni e dei dislivelli culturali, che non consentivano una reale fusione e una seria unità d’azione contro
i Romani. Fu così che, proprio per quest’assenza di collegamenti fra i Senoni e i Boi, le operazioni militari
del 285-283 a. C. ebbero esito positivo per i Romani e portarono alla riduzione del territorio senone ad
ager publicus.
Anche in questo caso, l’acquisizione dell’ager Gallicus, al più tardi nel 283 a. C., e dell’ager Picenus nel
268 a. C., a seguito della guerra portata da Roma contro i Picenti nel 269 a. C., posero le basi per un’occupazione del territorio e un programma di colonizzazione realizzati in momenti diversi e con differenti
modalità. Il denominatore comune di questa politica di predominio fu che i Romani la realizzarono in
modo assai immediato e diretto, procedendo a stermini, deportazioni di massa, consche e distribuzioni
viritane e coloniarie dei territori conquistati.
Secondo Polibio, dopo la vittoria di Manio Curio Dentato, i Romani uccisero la maggior parte dei Senoni,
e cacciarono i rimanenti. In merito ai Picenti, risulta da più fonti che furono deportati in massa nell’entroterra di Salerno. Le recenti indagini archeologiche ed epigrache hanno ridimensionato queste notizie,
attestando, per ciò che riguarda la componente senone, una qualche sopravvivenza di tale tribù durante
il processo di romanizzazione, se pur in contesti marginali, e, per ciò che riguarda i Picenti, la presenza,
nelle aristocrazie locali del III secolo, anche di autoctoni.
La prima colonia che i Romani dedussero in Gallia Cisalpina fu Sena Gallica (odierna Senigallia; 289 o
283 a. C.), che rimase per tutto il III secolo a. C. l’unica fondazione di diritto romano dell’Adriatico, in
quanto non abbiamo dati sicuri per affermare che risalgano a tale periodo anche le colonie romane di
Castrum Novum e di Aesis o Aesium.
Il reale passo in avanti, nel processo di consolidamento delle posizioni romane in Cisalpina, fu però la
deduzione della colonia latina di Ariminum (odierna Rimini) nel 268 a. C.
La colonia di Ariminum venne impiantata all’estremità settentrionale dell’ager Gallicus, presso la foce del
ume Ariminus (odierno Marecchia), da cui ricavò il nome.
Nelle prime esplorazioni effettuate in questo territorio ai Romani si deve esser presentato un quadro
etnograco caratterizzato da tribù di ceppo gallico sparse in villaggi, con la presenza, sui primi contrafforti appenninici, di gruppi umbri legati ad una realtà urbanistica ben denita come quella di Sarsina,
retaggio di antiche migrazioni umbro-sabelliche. La colonia di Ariminum si trovò dunque di fronte, al
momento dell’impianto, a due realtà etniche differenti, ossia l’afne “Umbro” e l’estraneo “Gallo”.
Non disponiamo di alcuna notizia letteraria sull’organizzazione dell’agro senone dopo la scontta initta
ai Galli e ai loro alleati a Sentino, se non per quanto riguarda la deduzione di Sena Gallica.
Anche se gli annalisti tendono a riportare solo le date di fondazione o di trasformazione istituzionale tralasciando il resto, siamo in grado di affermare che la presenza romana nel territorio di Rimini precedette
la fondazione del 268 a. C. Quindi non va esclusa a priori l’ipotesi dell’esistenza di un conciliabulum o
di un presidio militare presso l’abitato indigeno già nei primi decenni del III secolo a. C. (nel caso di
Ariminum, però, l’archeologia non ha portato nora alcuna novità al riguardo).
In una parte del territorio conscato da Roma ai Picenti nel 268 a. C., fu istituita, quattro anni dopo (264
a. C.), la colonia latina di Firmum (odierna Fermo), come atto conclusivo di una vicenda trentennale, che
presuppose lo scopo militare e politico della colonia.
Difatti, nel 299 a. C. erano stati gli stessi Picenti a cercare l’alleanza con Roma per tutelarsi dai Galli
Senoni e dai Pretuzi, con la conseguenza, da loro imprevista, che nel giro di pochi anni si trovarono
circondati, a nord e a sud, da territorio romano.
Così nel 269 a. C. insorsero e, vinti nell’anno successivo, ebbero sorti diverse: mentre città come
Asculum (Ascoli Piceno) e Ancona rimanevano indipendenti, pur nell’alleanza con Roma, il restante territorio fu annesso a quello romano, diventando gli abitanti cives sine suffragio (cittadini senza diritto di
voto) organizzati in praefecturae; parte di questo territorio fu poi conscata e ridotta ad ager publicus,
nel quale venne dedotta la colonia di Firmum.
La deduzione della colonia latina di Firmum,così denominata con palesi nalità augurali, ricavando il
nome dalla sostantivazione dell’aggettivo rmus, fu suggerita dalle stesse esigenze strategiche che avevano dettato la fondazione delle colonie di Hatria e di Ariminum.
Se quest’ultime chiudevano e salvaguardavano, a nord e a sud, l’ager Romanus che si affacciava sull’Adriatico, Firmum, collocata su un colle in posizione dominante rispetto alle sottostanti vallate dei umi
Tenna ed Ete Vivo, rafforzava e raccordava tale rete strategica, ponendosi al centro dei territori da poco
sottomessi, con funzione di controllo della principale città dei Picenti, Asculum, rimasta, come abbiamo
visto, indipendente. La nuova colonia, inoltre, fu un potente mezzo di irradiazione della civiltà romana,
introducendo un modello di vita cittadina in un territorio che, eccetto Ascoli ed Ancona, non aveva conosciuto ancora l’urbanizzazione. L’acquisizione dell’ager Gallicus e dell’ager Picenus ha dunque creato le
premesse di una politica di colonizzazione realizzata in più fasi. Sui territori conscati, divenuti ager
publicus, i Romani, oltre a dedurre delle colonie (sia di diritto latino che di diritto romano), promossero
delle distribuzioni viritane, ossia assegnazioni individuali (viritim) di terra a cittadini romani, senza la
creazione di un nuovo centro urbano.
Nel 232 a. C. Gaio Flaminio, uno dei primi grandi capi popolari, legato ai problemi dei piccoli proprietari
terrieri a allo sfruttamento della terra, ed unito con un lo ideale a Manio Curio Dentato, in qualità di
tribuno della plebe, propose di assegnare a migliaia di cittadini romani dislocati in ordine sparso ampi
tratti dell’agro gallico e dell’area immediatamente contigua dell’agro piceno: ciò signicò un ulteriore
sfruttamento di questo territorio.
L’aristocrazia senatoria si oppose al plebiscito: tale atteggiamento rivela la tensione già esistente fra
l’esigenza di colonizzare nuove terre e quella di non alterare l’ordinamento cittadino, oltre che il riaccendersi del contrasto tra le aspirazioni espansionistiche verso il Nord e quelle nel Mediterraneo, già
vericatosi nei primi decenni del secolo.
3.2 - La guerra gallica contro i Boi e gli Insubri (e i loro alleati d’oltralpe) e la prima conquista
della pianura padana (225 a. C.-222 a. C.)
Nel 225 a. C. una nuova invasione gallica (già nel 236 a. C. tribù galliche si mossero verso sud, arrivando
a minacciare la colonia di Rimini) arrivò no a Chiusi, dove vinse ma fu bloccata.
Poco dopo a Talamone il console Gaio Atilio vinse lo scontro decisivo. L’offensiva passò ora ai Romani:
Gaio Flaminio, console nel 223 a. C., sconsse una prima volta i Galli presso il ume Oglio; Marco Claudio Marcello, console nel 222 a. C., conseguì la vittoria nale a Clastidium (odierna Casteggio), distinguendosi per aver vinto il capo celtico in duello individuale (guadagnò infatti il raro onore delle spoliae
opimae).
La guerra si concluse con la sottomissione dei Boi e degli Insubri e delle tribù padane minori che li
avevano appoggiati.
Da segnalare che nel catalogo lasciatoci da Polibio sui milites alleati che Roma fu in grado di mobilitare in
occasione della guerra gallica del 225-222 a. C. compaiono, oltre ai Sarsinati, anche i Galli Cenomani e i
Veneti che, n dall’inizio, scelsero di stare dalla parte di Roma e di combattere con essa.
3.3 - L’arrivo dei Romani nella Cispadana (la pianura posta a sud del Po)
Quando i romani nel III secolo a. C. manifestarono l’intenzione di espandere il proprio dominio alla Pianura Padana la trovarono occupata dai Galli, suddivisi in tribù, mentre sugli Appennini erano stanziate
genti di stirpe ligure. La pianura posta a sud del Po era occupata dai Lingoni, stabiliti in Romagna, dai
Boi, che occupavano l’Emilia, e dagli Anari, collocati oltre Piacenza. Nelle Marche era stanziata la tribù
dei Senoni. Quel territorio, denominato Ager gallicus, fu il primo ad essere conquistato ed occupato
stabilmente dai Romani.
La prima tappa della penetrazione romana è rappresentata dalla fondazione di Ariminum (Rimini) nel 268
a. C.. Successivamente, i Galli organizzarono una grande invasione dell’Italia peninsulare, ma vennero
fermati e scontti dai Romani a Talamone (225 a. C.). Ne seguì la rapida, ma non stabile, conquista della
Gallia Cispadana (la pianura posta a sud del Po). Venne poi assicurato il collegamento della colonia di
Rimini con Roma attraverso la via Flaminia (220 a. C.). Roma si affacciava così stabilmente sulla pianura
padana, assicurandosi una via di penetrazione verso l’interno.
Dopo Rimini furono fondate altre due colonie nel 218 a. C., Placentia (Piacenza) e Cremona, ai limiti
opposti della pianura, sul Po. Piacenza sorse nel territorio dei Boi, Cremona in quello degli Insubri.
L’occupazione romana era contraddistinta, oltre che dalla fondazione di città e dalla costruzione della rete
stradale, che ebbe in primo luogo una funzione militare, dalla centuriazione del territorio (ripartizione del
terreno in quadrati di 710 m circa di lato).
Proprio mentre i magistrati incaricati di suddividere ed assegnare le terre ai coloni si trovavano nel territorio della nuova colonia di Piacenza scoppiò la seconda guerra punica e si ribellarono le popolazioni
galliche.
Questi e i successivi avvenimenti vanicarono la conquista romana della pianura padana. Una riconquista
di queste zone poté essere avviata solo all’indomani della ne della seconda guerra punica (218-201
a. C.), ma questa volta i Romani incontrarono la tenace resistenza dei Galli, in particolare dei Boi, che
sconssero denitivamente solo nel 191 a. C.
Rimaneva a questo punto da conquistare l’Appennino occupato dai Liguri. Per quanto riguarda il versante
modenese, dove erano stanziati i Friniati (il cui nome rimane tuttora legato al territorio - il Frignano),
tale conquista poté ritenersi conclusa solamente nel 175 a. C.
3.4 - La riconquista della Gallia Cisalpina (201 a. C. -191 a. C.)
Alla ne del conitto annibalico, le pianure dell’Italia settentrionale vennero riprese secondo le linee
precedenti (protagonista degli eventi fu Publio Cornelio Scipione Nasica, futuro triumviro della colonia di
Aquileia).
Nel 197 a. C., per primi si arresero i Cenomani che, qualche anno prima, senza troppa convinzione,
avevano tradito la ventennale alleanza con i Romani. Seguirono nel 196 a. C. gli Insubri e, solamente nel
191 a. C. fecero atto di deditio (resa incondizionata) i Boi.
Per quanto concerne gli esiti della riconquista, a mezzogiorno del ume Po i Boi sopravvissuti, relegati
nelle zone più ingrate del loro territorio, continuarono a vivere precariamente, mentre nelle ampie
distese di terreno conscato ai vinti e divenuto ager publicus vennero dedotte nel 189 a. C. la colonia
di diritto latino di Bononia (Bologna), e nel 183 a. C. le colonie di diritto romano di Mutina (Modena) e
Parma.
Diversamente, nelle regioni poste a settentrione del ume Po le consche furono più circoscritte e nei
territori sottratti agli Insubri e ai Cenomani non vennero dedotte colonie.
Il territorio degli alleati Veneti rimase integro, ad eccezione di un settore collocato ai loro conni orientali,
che, dopo aver subito nel 186 a. C. un’occupazione da parte di 12.000 Galli Transalpini, ed essere divenuto ager Gallorum (cfr. Appendice I, 1), fu, dopo la loro espulsione, ridotto ad ager publicus e destinato
al futuro impianto della colonia di diritto latino di Aquileia (181 a. C.).
3.5 - Relazioni commerciali con i Cenomani e la conquista del Trentino Alto Adige
Già dagli ultimi decenni del III secolo a.C., la Lombardia inizia ad entrare nell’area d’inuenza romana
attraverso le relazioni commerciali con i Galli Cenomani. Questi infatti già nel 225 a.C. avevano stretto
un patto federativo con i Romani, che viene poi ripetuto nel 197 a.C.
La conquista del Trentino Alto Adige da parte dei Romani procede poi gradualmente, a partire già dal II
secolo a.C. Occupata la Pianura Padana i Romani si spinsero a Nord, penetrando nelle valli interne delle
Alpi anche per rendere più sicuro il loro dominio. La conquista delle Alpi fu lunga e difcile.
Nel 118 a.C. i Romani guidati dal console Quinto Marzio Re, si scontrarono con gli Stoni, popolazione che
abitava nel Trentino. Questi, scontti, preferirono farsi massacrare piuttosto che lasciarsi sottomettere.
Nel I secolo a.C. i Romani occuparono pacicamente la Val d’Adige e l’Anaunia (Val di Non). Trento gode
del diritto latino concesso ai Galli Cenomani, n dal 89 a.C. Nel 49 a.C. è ammessa alla piena cittadinanza
Romana e nel 30 a.C. la città diventa un Municipium.
Nel 16 a.C. Augusto decide di organizzare una spedizione contro i Reti, guidata dai suoi gliastri Druso e
Tiberio. Le Alpi orientali consentivano, grazie ai numerosi passi e valichi facilmente transitabili, un rapido
spostamento delle truppe, necessario durante le campagne di conquista. Queste ragioni spingono Druso
a partire nel 15 a.C., dal Trentino (che già si trovava sotto l’inuenza romana), per conquistare il versante
meridionale delle Alpi. Arrivato nella conca di Bolzano, dove probabilmente fece costruire un ponte (Pons
Drusi) con il suo esercito raggiunse passo Resia lungo la Val Venosta. Di quest’avvenimento vi sono alcuni
documenti scritti.
Nel monumento romano di Le Tourbiè, il Tropaeum Alpium, dove sono elencati i 44 popoli vinti o comunque inclusi nei conni dell’impero Romano durante le campagne militari tra il 25e il 14 a.C., compaiono
anche i Venostes (abitanti nella zona della Val Venosta) e gli Isarci (abitanti nella Val d’Isarco o, come
altri sostengono, nella Val d’Adige, dal Burgraviato verso sud).
Anche alcuni storici romani parlano di quest’avvenimento.
Dione Cassio scrive: “In quel tempo medesimo i Reti, che hanno le loro sedi tra il Norico e la Gallia, nelle
Alpi Tridentine che connano con la Gallia, facendo delle frequenti scorrerie nella Gallia stessa, avevano
depredato anche l’Italia e avevano molestato non poco i Romani e i loro alleati che viaggiavano per quelle
regioni. Per tali iniquità, dunque, Augusto spedì contro costoro Druso con un esercito, il quale, venuto
a battaglia con i Reti, che lo affrontarono alla periferia dei monti di Trento, li pose in rotta con una non
difcile battaglia. Per tale vittoria Druso ottenne gli Onori pretori”.
Plutarco riferisce: “Augusto, non potendo più tollerare le iniquità dei Reti, spedì contro di loro Druso che li
sbaragliò presso Trento. Dopo di ciò, siccome i medesimi Reti, cacciati fuori d’Italia, cionostante infestavano la Gallia, Augusto mandò contro di essi Tiberio. Druso, pertanto, e insieme Tiberio, unitamente ai
loro legati, essendo entrati per molti luoghi nella Rezia, e Tiberio essendovi anche penetrato con navigli
per il Lago, atterrirono i barbari e dopo averli scontti e dispersi, diedero ad essi la caccia, in modo che,
essendo le loro genti state sbaragliate con piccole scaramucce qua e là in diversi tempi, fu agevole per
i Romani distruggerli interamente e ridurre in proprio potere quelli di loro che accidentalmente erano
rimasti in vita, deboli per se medesimi e abbattuti d’animo.
Ma siccome la nazione dei Reti era assai numerosa e si temeva che essi avrebbero di nuovo tentato le
sorti della guerra, Druso e Tiberio condussero via da quella Regione la più gran parte della gioventù e la
più robusta, lasciandovi solamente un tale numero di abitanti che bastasse alla coltivazione dei campi e
non avesse forze sufcienti per ribellarsi.
4. COLONIE NELL’ITALIA SETTENTRIONALE
La colonia romana (di diritto romano) era soprattutto destinata alla salvaguardia delle coste (coloniae
maritimae); essa era costituita da cittadini romani (almeno 300) che conservavano tutti i diritti previsti
dal loro status giuridico. Non godendo di autonomia amministrativa, la colonia romana può essere considerata come un semplice frammento separato della città d’origine.
Le colonie romane in genere non potevano avere che lo scopo di segnalare gli attacchi dal mare e di
tenere occupati i contingenti sbarcati no all’arrivo dei soccorsi da parte di Roma o della colonia latina
più vicina.
In questa prospettiva esse non vanno considerate come entità autosufcienti, ma come elementi integranti di un sistema complessivo: il caso più esplicito è quello della serie delle quattro colonie romane
dedotte nel territorio sottratto alla etrusca Caere (odierna Cerveteri) alla vigilia della prima guerra
punica, in chiara funzione anticartaginese: Castrum Novum (S. Marinella) e Pyrgi (S. Severa) attorno al
264 a. C.; Alsium (Ladispoli) e Fregenae (Fregene) fra il 247 e il 245 a. C., collegate sinergicamente alla
colonia latina di Cosa (273 a. C.).
Triumviri creati sunt P. Scipio Nasica, C. Flaminius, L. Manlius Acidinus: Livio racconta che fu eletta una
commissione di tre magistrati, i triumviri, preposti alla fondazione della colonia.
I triumviri sono dei magistrati straordinari eletti specicamente per sovrintendere alle operazioni di
impianto delle colonie, dalla deductio (il trasferimento vero e proprio dei coloni) all’impianto della colonia, alla redazione delle leggi e delle norme generali per l’amministrazione della città, alle operazioni
connesse all’elezione dei membri del senato locale (decuriones).
Rimini o Ariminum (286 a.C.)
Roma fondò la colonia latina di Rimini nel 286 a.C. nel territorio dei Galli Senoni, con lo scopo di presidiare le popolazioni celtiche dell’Emilia e della Romagna. Questo avvenne in seguito alla vittoria romana
a Sentino (nelle Marche) nel 295 a.C., sulla coalizione dei Sènoni, Etruschi, Umbri e Sanniti. Rimini servì
da testa di ponte per la conquista di tutta l’Italia settentrionale.
Bologna o Bononia (189 a.C.)
La colonia latina di Bononia venne fondata nel 189 a.C. dopo che Roma ebbe scontto denitivamente,
nel 191 a.C., i Galli Boi nella battaglia di Bononia. Questa era la città più importante nel territorio controllato dai Boi. I Celti avevano chiamato Bononia ciò che restava dell’etrusca Felsina. La città celtica non
era più che un villaggio di capanne di legno poiché l’antico splendore della città etrusca era stato perduto
con la cacciata degli Etruschi. Da Bologna i Romani poterono dedicarsi alla conquista del Frignano a spese
delle popolazioni liguri locali.
Forlì o Forum Livi (186 a.C.)
Molto probabilmente Forum Livi, nel 186 a C., fu fondata dai Romani su un magos celtico, in pratica su
un’area, all’incrocio tra la via montana e quella pedemontana (che poi divenne via Emilia), adibito a luogo
di scambi commerciali tra le popolazioni della collina e quelle della pianura romagnola. Da Forum Livi si
dipartiva una strada che la collegava a Mevaniola (Galeata) e ad Arezzo.
Ravenna
Oscure sono le origini di Ravenna, c’è chi dice sia stata fondata da coloni venuti dalla lontana Tessaglia,
chi, invece afferma che il suo nome è di chiara origine etrusca. Molto probabilmente i suoi fondatori
furono gli Umbri, che costruirono un villaggio palatticolo in mezzo alle paludi in un punto in cui le navi
dei commercianti greci ed etruschi potevano approdare dal mare.
Modigliana o Castrum Mutilum
Castrum Mutilum che poi divenne, molto probabilmente, Modigliana fu teatro di una disastrosa scontta
dei Romani ad opera dei Galli Boi.. Nel 201 a.C. il console Publio Elio mandò da Rimini una spedizione, nei
territori occupati dai Boi, allo scopo di razziare il territorio boico per vendicare le scorrerie che questi Celti
avevano fatto alle spese degli Umbri e dei Piceni, alleati di Roma. I Romani, che no a quel momento non
avevano trovato alcuna resistenza da parte dei Boi, pensarono che questi fossero tutti fuggiti. Forse per
questa ragione che posero il castrum nei pressi di ampie distese di grano maturo, nella zona ove oggi
sorge Modigliana, e senza porre sentinelle a guardia abbandonarono le armi per mietere il grano. Mal
gliene incorse perchè i Boi non erano fuggiti ma si erano solo nascosti aspettando il momento propizio
per attaccare i razziatori romani. La sorpresa dell’attacco, unito al furore con cui i Celti combattevano,
causarono la fuga dei soldati romani e dei loro alleati. Fuga disastrosa perché i Boi li uccisero quasi tutti,
solo alcuni trovarono rifugio nel castrum e nottetempo riuscirono ad eludere la sorveglianza dei Galli e
a trovare rifugio sicuro in Rimini.
Luni
La colonia di Luni fu fondata dai Romani nel 177 a.C., per stabilirvi un posto avanzato contro i Liguri
Apuani, ai quali avevano faticosamente strappato quel territorio; il nome della città deriverebbe da una
dea primitiva italica o dalla forma a falce del porto cittadino. La fondazione di una colonia romana in
questa zona indica che il territorio era assai importante dal punto di vista strategico, militare e commerciale: l’accorta politica romana prevedeva il trasferimento di intere famiglie in tali zone, per lo più veterani di guerra, ai quali venivano concessi appezzamenti di terreno con diritto ereditario; e così avvenne
per Luni.
I Liguri, tuttavia, non si rassegnarono alla perdita di un territorio così importante e continuarono a
combattere nché furono denitivamente scontti, nel 154 a.C., dal console Claudio Marcello. Con il
consolidamento del dominio romano, la colonia iniziò la propria ascesa economica: la città ebbe, infatti,
un’industria di scultori del marmo, forse una fonderia di bronzi ed una fabbrica di oggetti in vetro; i
cives lunensi erano anche abili commercianti e seppero trarre vantaggi dalle materie prime della zona:
esportavano legname delle foreste appenniniche, i celebri formaggi della zona cari a Marziale e a Plinio, i
vini locali, ma soprattutto il marmo, fra cui soprattutto il richiestissimo marmo bianco.
All’epoca di Augusto, la città conobbe un ulteriore periodo di ascesa e di splendore, mentre in età giulioclaudia raggiunse un notevole sviluppo monumentale. Rutilio Namaziano, nell’anno 416 ne ammirava
ancora dal mare le bianche mura e cantava di una terra ricca di marmi che sdano il candore dei gigli e le
bianche nevi; certamente era ancora orente nel V secolo se, nell’ordinamento delle diocesi, venne prescelta come sede vescovile. Nel 642, la città fu occupata militarmente dai Longobardi guidati da Rotari,
devastata e ridotta a semplice villaggio e le sue famiglie di un tempo avviate ad un rapido declino.
L’avvento dei Franchi determinò una nuova crisi nella città che, in seguito, non fu in grado di evitare
un terribile saccheggio da parte dei pirati saraceni e, pochi anni più tardi (860), il famoso assalto dei
Normanni che segnò la ne dello splendore altomedievale di questa città. Il progressivo impaludamento
della zona, il conseguente diffondersi della malaria, l’abbandono delle abitazioni, oltre che le necessità
difensive fecero il resto: nel 1201, la sede vescovile venne trasferita a Sarzana e Luni perse l’ultimo ed
il più importante carattere della sua condizione di città. Della colonia romana rimasero soltanto rovine,
destinate a scomparire per la violenza della natura e degli uomini; ma le leggende legate alla loro storia,
il fascino di ciò che resta della grandezza del passato, la bellezza del paesaggio circostante ed il mistero
che ancora circonda la ne della città, fanno della visita a Luni antica un’esperienza indimenticabile.
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