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l`espansione romana nell`italia settentrionale
Latinitas or Europa: from present to past, from past to present L’ESPANSIONE ROMANA NELL’ITALIA SETTENTRIONALE INDICE 1. 2. 3. LA ROMANIZZAZIONE UN PONTE TRA EUROPA E MEDITERRANEO LE TAPPE FONDAMENTALI DELL’AVANZATA ROMANA 3.1 La guerra gallica del 285-283 a.C. e la guerra contro i Picentes 3.2 La guerra gallica contro i Boi e gli Insubri e la prima conquista della pianura padana 3.3 L’arrivo dei romani nella Cispadana 3.4 La riconquista della Gallia Cisalpina 3.5 Relazioni commerciali con i Cenomani e conquista del Trentino Alto Adige 4. COLONIE DELL’ITALIA SETTENTRIONALE Fig. 1 - Cartina della Gallia Cisalpina con la posizioni occupate dai vari popoli. 1. LA ROMANIZZAZIONE La romanizzazione vera e propria ebbe inizio con la ne delle guerre Retiche e procedette lentamente. Infatti essa non fu la conseguenza di una massiccia colonizzazione, ma, a parte alcune misure immediate a carattere militare, fu lasciata al tempo e agli eventi. Un ruolo importante probabilmente ebbero i soldati reti, che, arruolati in modo massiccio nell’esercito romano nel corso del I secolo d.C. con Tiberio o Caligola e poi con Vespasiano, tornarono in congedo nelle loro terre, portando quello che è stato denito “romanesimo di riusso”. E’ da tenere presente anche la lenta e capillare penetrazione di singoli individui o piccoli gruppi, interessati ad allargare i propri commerci anche in zone lontane. Pian piano la cultura locale scomparve, di fronte all’avanzare della lingua, della cultura, delle leggi e dell’amministrazione romana, rimanendo attiva solo in qualche valle più remota. Anche in questo periodo comunque le Alpi non furono una barriera di divisione, ma piuttosto un luogo di congiunzione. Infatti la Val d’Adige e la Val d’Isarco, percorse da antichissimi sentieri di collegamento con il Nord, che avevano avuto una gran importanza strategica e militare durante le campagne alpine, mantennero il loro carattere sovraregionale, diventando un passaggio obbligato per lunghi percorsi. Infatti attraverso il territorio del Trentino Alto Adige si doveva passare per andare dalla Val Padana al Danubio. Così l’Alto Adige divenne molto importante per l’impero romano che ne potenziò l’apparato stradale, che diventerà il meglio attrezzato delle Alpi Orientali. L’importanza di questo territorio è confermata anche dal fatto che fu certamente difesa contro incursioni di “barbari”: i primi segni di distruzioni violente, infatti, si hanno solo nel III secolo d.C., con la discesa dei Marcomanni, ma si può dire che no agli inizi del V secolo i territori della Retia e della X Regio furono generalmente risparmiati. Dal III secolo in poi, comunque, si diffondono i segni di una certa insicurezza: nascono i castra, luoghi difesi che diventano anche zone di rifugio, e si trovano alcuni tesoretti, soprattutto di monete. Alcune persone del luogo, cioè, nella fuga nascondevano i loro averi con l’intenzione di venire a riprenderli una volta cessato il pericolo, cosa che evidentemente non successe. Uno di questi tesori, risalente alla metà del IV secolo, è stato ritrovato a Lana ed era formato da 250 monete di bronzo databili dal I al IV secolo appunto. 2. UN PONTE FRA EUROPA MEDITERRANEO Le popolazioni celtiche della Gallia Cisalpina esercitarono per diversi secoli la funzione di ponte fra l’Europa centrale e il mondo mediterraneo, relazioni di cui abbiamo indubbie prove scientiche. Possiamo serenamente respingere quest’ipotesi “neostrabonica”, riprendendo la descrizione del patavino Tito Livio, autore vissuto durante il regno di Augusto, il quale seppur quirite volle valorizzare (in parte) le diverse componenti del suo impero, suddividendo le regioni della penisola su base etnica. Sicuramente i Boii dopo la conquista romana persero ogni forma d’autonomia, in particolar modo nei territori attraversati dalla via Emilia, dove comunque rimasero la stragrande maggioranza della popolazione, fornendo la manodopera necessaria per le attività agricole o per la costruzione delle infrastrutture delle nuove colonie, ipotesi avvalorata da alcuni nuovi studi demograci sulla centuriazione. Nei territori paludosi e nelle vallate montane riuscirono a sottrarsi allo sfruttamento romano, mantenendo alcune forme d’autonomia, infatti conosciamo l’esistenza di alcuni pagi (territori governati secondo le consuetudini degli autoctoni), come il pagus Feronianum, Verabulum, Montebellinum ecc..., e a volte fondendosi con i popoli protoceltici come i ben noti Brinates della battaglia dello Scoltenna (da brig + nates, popolo dei monti, nati dai monti, latinizzato in Frinates). 3. LE TAPPE FONDAMENTALI DELL’AVANZATA ROMANA 3.1 - La guerra gallica del 285-283 a. C. e la guerra contro i Picentes (269-268 a. C.) Due delle tappe fondamentali dell’avanzata romana verso il Nord furono proprio le campagne del 285-283 a. C. contro i Galli e la guerra contro i Picenti del 269-268 a. C. Troviamo ancora una volta Manio Curio Dentato a capo della spedizione in territorio gallico, a conferma dell’interpretazione secondo la quale tale personaggio non fosse un mero esecutore delle decisioni prese dal Senato, ma avesse in mente un programma ben denito da portare a compimento. In ambito gallico, dal punto di vista etnico, accanto alle tribù predominanti dei Senoni e dei Boi, rinveniamo anche le genti degli Anari, nella zona di Piacenza, e dei Lingoni, nella Romagna. Studi recenti hanno messo in evidenza come tra tutti questi gruppi gallici ci fossero delle ostilità, delle tensioni e dei dislivelli culturali, che non consentivano una reale fusione e una seria unità d’azione contro i Romani. Fu così che, proprio per quest’assenza di collegamenti fra i Senoni e i Boi, le operazioni militari del 285-283 a. C. ebbero esito positivo per i Romani e portarono alla riduzione del territorio senone ad ager publicus. Anche in questo caso, l’acquisizione dell’ager Gallicus, al più tardi nel 283 a. C., e dell’ager Picenus nel 268 a. C., a seguito della guerra portata da Roma contro i Picenti nel 269 a. C., posero le basi per un’occupazione del territorio e un programma di colonizzazione realizzati in momenti diversi e con differenti modalità. Il denominatore comune di questa politica di predominio fu che i Romani la realizzarono in modo assai immediato e diretto, procedendo a stermini, deportazioni di massa, consche e distribuzioni viritane e coloniarie dei territori conquistati. Secondo Polibio, dopo la vittoria di Manio Curio Dentato, i Romani uccisero la maggior parte dei Senoni, e cacciarono i rimanenti. In merito ai Picenti, risulta da più fonti che furono deportati in massa nell’entroterra di Salerno. Le recenti indagini archeologiche ed epigrache hanno ridimensionato queste notizie, attestando, per ciò che riguarda la componente senone, una qualche sopravvivenza di tale tribù durante il processo di romanizzazione, se pur in contesti marginali, e, per ciò che riguarda i Picenti, la presenza, nelle aristocrazie locali del III secolo, anche di autoctoni. La prima colonia che i Romani dedussero in Gallia Cisalpina fu Sena Gallica (odierna Senigallia; 289 o 283 a. C.), che rimase per tutto il III secolo a. C. l’unica fondazione di diritto romano dell’Adriatico, in quanto non abbiamo dati sicuri per affermare che risalgano a tale periodo anche le colonie romane di Castrum Novum e di Aesis o Aesium. Il reale passo in avanti, nel processo di consolidamento delle posizioni romane in Cisalpina, fu però la deduzione della colonia latina di Ariminum (odierna Rimini) nel 268 a. C. La colonia di Ariminum venne impiantata all’estremità settentrionale dell’ager Gallicus, presso la foce del ume Ariminus (odierno Marecchia), da cui ricavò il nome. Nelle prime esplorazioni effettuate in questo territorio ai Romani si deve esser presentato un quadro etnograco caratterizzato da tribù di ceppo gallico sparse in villaggi, con la presenza, sui primi contrafforti appenninici, di gruppi umbri legati ad una realtà urbanistica ben denita come quella di Sarsina, retaggio di antiche migrazioni umbro-sabelliche. La colonia di Ariminum si trovò dunque di fronte, al momento dell’impianto, a due realtà etniche differenti, ossia l’afne “Umbro” e l’estraneo “Gallo”. Non disponiamo di alcuna notizia letteraria sull’organizzazione dell’agro senone dopo la scontta initta ai Galli e ai loro alleati a Sentino, se non per quanto riguarda la deduzione di Sena Gallica. Anche se gli annalisti tendono a riportare solo le date di fondazione o di trasformazione istituzionale tralasciando il resto, siamo in grado di affermare che la presenza romana nel territorio di Rimini precedette la fondazione del 268 a. C. Quindi non va esclusa a priori l’ipotesi dell’esistenza di un conciliabulum o di un presidio militare presso l’abitato indigeno già nei primi decenni del III secolo a. C. (nel caso di Ariminum, però, l’archeologia non ha portato nora alcuna novità al riguardo). In una parte del territorio conscato da Roma ai Picenti nel 268 a. C., fu istituita, quattro anni dopo (264 a. C.), la colonia latina di Firmum (odierna Fermo), come atto conclusivo di una vicenda trentennale, che presuppose lo scopo militare e politico della colonia. Difatti, nel 299 a. C. erano stati gli stessi Picenti a cercare l’alleanza con Roma per tutelarsi dai Galli Senoni e dai Pretuzi, con la conseguenza, da loro imprevista, che nel giro di pochi anni si trovarono circondati, a nord e a sud, da territorio romano. Così nel 269 a. C. insorsero e, vinti nell’anno successivo, ebbero sorti diverse: mentre città come Asculum (Ascoli Piceno) e Ancona rimanevano indipendenti, pur nell’alleanza con Roma, il restante territorio fu annesso a quello romano, diventando gli abitanti cives sine suffragio (cittadini senza diritto di voto) organizzati in praefecturae; parte di questo territorio fu poi conscata e ridotta ad ager publicus, nel quale venne dedotta la colonia di Firmum. La deduzione della colonia latina di Firmum,così denominata con palesi nalità augurali, ricavando il nome dalla sostantivazione dell’aggettivo rmus, fu suggerita dalle stesse esigenze strategiche che avevano dettato la fondazione delle colonie di Hatria e di Ariminum. Se quest’ultime chiudevano e salvaguardavano, a nord e a sud, l’ager Romanus che si affacciava sull’Adriatico, Firmum, collocata su un colle in posizione dominante rispetto alle sottostanti vallate dei umi Tenna ed Ete Vivo, rafforzava e raccordava tale rete strategica, ponendosi al centro dei territori da poco sottomessi, con funzione di controllo della principale città dei Picenti, Asculum, rimasta, come abbiamo visto, indipendente. La nuova colonia, inoltre, fu un potente mezzo di irradiazione della civiltà romana, introducendo un modello di vita cittadina in un territorio che, eccetto Ascoli ed Ancona, non aveva conosciuto ancora l’urbanizzazione. L’acquisizione dell’ager Gallicus e dell’ager Picenus ha dunque creato le premesse di una politica di colonizzazione realizzata in più fasi. Sui territori conscati, divenuti ager publicus, i Romani, oltre a dedurre delle colonie (sia di diritto latino che di diritto romano), promossero delle distribuzioni viritane, ossia assegnazioni individuali (viritim) di terra a cittadini romani, senza la creazione di un nuovo centro urbano. Nel 232 a. C. Gaio Flaminio, uno dei primi grandi capi popolari, legato ai problemi dei piccoli proprietari terrieri a allo sfruttamento della terra, ed unito con un lo ideale a Manio Curio Dentato, in qualità di tribuno della plebe, propose di assegnare a migliaia di cittadini romani dislocati in ordine sparso ampi tratti dell’agro gallico e dell’area immediatamente contigua dell’agro piceno: ciò signicò un ulteriore sfruttamento di questo territorio. L’aristocrazia senatoria si oppose al plebiscito: tale atteggiamento rivela la tensione già esistente fra l’esigenza di colonizzare nuove terre e quella di non alterare l’ordinamento cittadino, oltre che il riaccendersi del contrasto tra le aspirazioni espansionistiche verso il Nord e quelle nel Mediterraneo, già vericatosi nei primi decenni del secolo. 3.2 - La guerra gallica contro i Boi e gli Insubri (e i loro alleati d’oltralpe) e la prima conquista della pianura padana (225 a. C.-222 a. C.) Nel 225 a. C. una nuova invasione gallica (già nel 236 a. C. tribù galliche si mossero verso sud, arrivando a minacciare la colonia di Rimini) arrivò no a Chiusi, dove vinse ma fu bloccata. Poco dopo a Talamone il console Gaio Atilio vinse lo scontro decisivo. L’offensiva passò ora ai Romani: Gaio Flaminio, console nel 223 a. C., sconsse una prima volta i Galli presso il ume Oglio; Marco Claudio Marcello, console nel 222 a. C., conseguì la vittoria nale a Clastidium (odierna Casteggio), distinguendosi per aver vinto il capo celtico in duello individuale (guadagnò infatti il raro onore delle spoliae opimae). La guerra si concluse con la sottomissione dei Boi e degli Insubri e delle tribù padane minori che li avevano appoggiati. Da segnalare che nel catalogo lasciatoci da Polibio sui milites alleati che Roma fu in grado di mobilitare in occasione della guerra gallica del 225-222 a. C. compaiono, oltre ai Sarsinati, anche i Galli Cenomani e i Veneti che, n dall’inizio, scelsero di stare dalla parte di Roma e di combattere con essa. 3.3 - L’arrivo dei Romani nella Cispadana (la pianura posta a sud del Po) Quando i romani nel III secolo a. C. manifestarono l’intenzione di espandere il proprio dominio alla Pianura Padana la trovarono occupata dai Galli, suddivisi in tribù, mentre sugli Appennini erano stanziate genti di stirpe ligure. La pianura posta a sud del Po era occupata dai Lingoni, stabiliti in Romagna, dai Boi, che occupavano l’Emilia, e dagli Anari, collocati oltre Piacenza. Nelle Marche era stanziata la tribù dei Senoni. Quel territorio, denominato Ager gallicus, fu il primo ad essere conquistato ed occupato stabilmente dai Romani. La prima tappa della penetrazione romana è rappresentata dalla fondazione di Ariminum (Rimini) nel 268 a. C.. Successivamente, i Galli organizzarono una grande invasione dell’Italia peninsulare, ma vennero fermati e scontti dai Romani a Talamone (225 a. C.). Ne seguì la rapida, ma non stabile, conquista della Gallia Cispadana (la pianura posta a sud del Po). Venne poi assicurato il collegamento della colonia di Rimini con Roma attraverso la via Flaminia (220 a. C.). Roma si affacciava così stabilmente sulla pianura padana, assicurandosi una via di penetrazione verso l’interno. Dopo Rimini furono fondate altre due colonie nel 218 a. C., Placentia (Piacenza) e Cremona, ai limiti opposti della pianura, sul Po. Piacenza sorse nel territorio dei Boi, Cremona in quello degli Insubri. L’occupazione romana era contraddistinta, oltre che dalla fondazione di città e dalla costruzione della rete stradale, che ebbe in primo luogo una funzione militare, dalla centuriazione del territorio (ripartizione del terreno in quadrati di 710 m circa di lato). Proprio mentre i magistrati incaricati di suddividere ed assegnare le terre ai coloni si trovavano nel territorio della nuova colonia di Piacenza scoppiò la seconda guerra punica e si ribellarono le popolazioni galliche. Questi e i successivi avvenimenti vanicarono la conquista romana della pianura padana. Una riconquista di queste zone poté essere avviata solo all’indomani della ne della seconda guerra punica (218-201 a. C.), ma questa volta i Romani incontrarono la tenace resistenza dei Galli, in particolare dei Boi, che sconssero denitivamente solo nel 191 a. C. Rimaneva a questo punto da conquistare l’Appennino occupato dai Liguri. Per quanto riguarda il versante modenese, dove erano stanziati i Friniati (il cui nome rimane tuttora legato al territorio - il Frignano), tale conquista poté ritenersi conclusa solamente nel 175 a. C. 3.4 - La riconquista della Gallia Cisalpina (201 a. C. -191 a. C.) Alla ne del conitto annibalico, le pianure dell’Italia settentrionale vennero riprese secondo le linee precedenti (protagonista degli eventi fu Publio Cornelio Scipione Nasica, futuro triumviro della colonia di Aquileia). Nel 197 a. C., per primi si arresero i Cenomani che, qualche anno prima, senza troppa convinzione, avevano tradito la ventennale alleanza con i Romani. Seguirono nel 196 a. C. gli Insubri e, solamente nel 191 a. C. fecero atto di deditio (resa incondizionata) i Boi. Per quanto concerne gli esiti della riconquista, a mezzogiorno del ume Po i Boi sopravvissuti, relegati nelle zone più ingrate del loro territorio, continuarono a vivere precariamente, mentre nelle ampie distese di terreno conscato ai vinti e divenuto ager publicus vennero dedotte nel 189 a. C. la colonia di diritto latino di Bononia (Bologna), e nel 183 a. C. le colonie di diritto romano di Mutina (Modena) e Parma. Diversamente, nelle regioni poste a settentrione del ume Po le consche furono più circoscritte e nei territori sottratti agli Insubri e ai Cenomani non vennero dedotte colonie. Il territorio degli alleati Veneti rimase integro, ad eccezione di un settore collocato ai loro conni orientali, che, dopo aver subito nel 186 a. C. un’occupazione da parte di 12.000 Galli Transalpini, ed essere divenuto ager Gallorum (cfr. Appendice I, 1), fu, dopo la loro espulsione, ridotto ad ager publicus e destinato al futuro impianto della colonia di diritto latino di Aquileia (181 a. C.). 3.5 - Relazioni commerciali con i Cenomani e la conquista del Trentino Alto Adige Già dagli ultimi decenni del III secolo a.C., la Lombardia inizia ad entrare nell’area d’inuenza romana attraverso le relazioni commerciali con i Galli Cenomani. Questi infatti già nel 225 a.C. avevano stretto un patto federativo con i Romani, che viene poi ripetuto nel 197 a.C. La conquista del Trentino Alto Adige da parte dei Romani procede poi gradualmente, a partire già dal II secolo a.C. Occupata la Pianura Padana i Romani si spinsero a Nord, penetrando nelle valli interne delle Alpi anche per rendere più sicuro il loro dominio. La conquista delle Alpi fu lunga e difcile. Nel 118 a.C. i Romani guidati dal console Quinto Marzio Re, si scontrarono con gli Stoni, popolazione che abitava nel Trentino. Questi, scontti, preferirono farsi massacrare piuttosto che lasciarsi sottomettere. Nel I secolo a.C. i Romani occuparono pacicamente la Val d’Adige e l’Anaunia (Val di Non). Trento gode del diritto latino concesso ai Galli Cenomani, n dal 89 a.C. Nel 49 a.C. è ammessa alla piena cittadinanza Romana e nel 30 a.C. la città diventa un Municipium. Nel 16 a.C. Augusto decide di organizzare una spedizione contro i Reti, guidata dai suoi gliastri Druso e Tiberio. Le Alpi orientali consentivano, grazie ai numerosi passi e valichi facilmente transitabili, un rapido spostamento delle truppe, necessario durante le campagne di conquista. Queste ragioni spingono Druso a partire nel 15 a.C., dal Trentino (che già si trovava sotto l’inuenza romana), per conquistare il versante meridionale delle Alpi. Arrivato nella conca di Bolzano, dove probabilmente fece costruire un ponte (Pons Drusi) con il suo esercito raggiunse passo Resia lungo la Val Venosta. Di quest’avvenimento vi sono alcuni documenti scritti. Nel monumento romano di Le Tourbiè, il Tropaeum Alpium, dove sono elencati i 44 popoli vinti o comunque inclusi nei conni dell’impero Romano durante le campagne militari tra il 25e il 14 a.C., compaiono anche i Venostes (abitanti nella zona della Val Venosta) e gli Isarci (abitanti nella Val d’Isarco o, come altri sostengono, nella Val d’Adige, dal Burgraviato verso sud). Anche alcuni storici romani parlano di quest’avvenimento. Dione Cassio scrive: “In quel tempo medesimo i Reti, che hanno le loro sedi tra il Norico e la Gallia, nelle Alpi Tridentine che connano con la Gallia, facendo delle frequenti scorrerie nella Gallia stessa, avevano depredato anche l’Italia e avevano molestato non poco i Romani e i loro alleati che viaggiavano per quelle regioni. Per tali iniquità, dunque, Augusto spedì contro costoro Druso con un esercito, il quale, venuto a battaglia con i Reti, che lo affrontarono alla periferia dei monti di Trento, li pose in rotta con una non difcile battaglia. Per tale vittoria Druso ottenne gli Onori pretori”. Plutarco riferisce: “Augusto, non potendo più tollerare le iniquità dei Reti, spedì contro di loro Druso che li sbaragliò presso Trento. Dopo di ciò, siccome i medesimi Reti, cacciati fuori d’Italia, cionostante infestavano la Gallia, Augusto mandò contro di essi Tiberio. Druso, pertanto, e insieme Tiberio, unitamente ai loro legati, essendo entrati per molti luoghi nella Rezia, e Tiberio essendovi anche penetrato con navigli per il Lago, atterrirono i barbari e dopo averli scontti e dispersi, diedero ad essi la caccia, in modo che, essendo le loro genti state sbaragliate con piccole scaramucce qua e là in diversi tempi, fu agevole per i Romani distruggerli interamente e ridurre in proprio potere quelli di loro che accidentalmente erano rimasti in vita, deboli per se medesimi e abbattuti d’animo. Ma siccome la nazione dei Reti era assai numerosa e si temeva che essi avrebbero di nuovo tentato le sorti della guerra, Druso e Tiberio condussero via da quella Regione la più gran parte della gioventù e la più robusta, lasciandovi solamente un tale numero di abitanti che bastasse alla coltivazione dei campi e non avesse forze sufcienti per ribellarsi. 4. COLONIE NELL’ITALIA SETTENTRIONALE La colonia romana (di diritto romano) era soprattutto destinata alla salvaguardia delle coste (coloniae maritimae); essa era costituita da cittadini romani (almeno 300) che conservavano tutti i diritti previsti dal loro status giuridico. Non godendo di autonomia amministrativa, la colonia romana può essere considerata come un semplice frammento separato della città d’origine. Le colonie romane in genere non potevano avere che lo scopo di segnalare gli attacchi dal mare e di tenere occupati i contingenti sbarcati no all’arrivo dei soccorsi da parte di Roma o della colonia latina più vicina. In questa prospettiva esse non vanno considerate come entità autosufcienti, ma come elementi integranti di un sistema complessivo: il caso più esplicito è quello della serie delle quattro colonie romane dedotte nel territorio sottratto alla etrusca Caere (odierna Cerveteri) alla vigilia della prima guerra punica, in chiara funzione anticartaginese: Castrum Novum (S. Marinella) e Pyrgi (S. Severa) attorno al 264 a. C.; Alsium (Ladispoli) e Fregenae (Fregene) fra il 247 e il 245 a. C., collegate sinergicamente alla colonia latina di Cosa (273 a. C.). Triumviri creati sunt P. Scipio Nasica, C. Flaminius, L. Manlius Acidinus: Livio racconta che fu eletta una commissione di tre magistrati, i triumviri, preposti alla fondazione della colonia. I triumviri sono dei magistrati straordinari eletti specicamente per sovrintendere alle operazioni di impianto delle colonie, dalla deductio (il trasferimento vero e proprio dei coloni) all’impianto della colonia, alla redazione delle leggi e delle norme generali per l’amministrazione della città, alle operazioni connesse all’elezione dei membri del senato locale (decuriones). Rimini o Ariminum (286 a.C.) Roma fondò la colonia latina di Rimini nel 286 a.C. nel territorio dei Galli Senoni, con lo scopo di presidiare le popolazioni celtiche dell’Emilia e della Romagna. Questo avvenne in seguito alla vittoria romana a Sentino (nelle Marche) nel 295 a.C., sulla coalizione dei Sènoni, Etruschi, Umbri e Sanniti. Rimini servì da testa di ponte per la conquista di tutta l’Italia settentrionale. Bologna o Bononia (189 a.C.) La colonia latina di Bononia venne fondata nel 189 a.C. dopo che Roma ebbe scontto denitivamente, nel 191 a.C., i Galli Boi nella battaglia di Bononia. Questa era la città più importante nel territorio controllato dai Boi. I Celti avevano chiamato Bononia ciò che restava dell’etrusca Felsina. La città celtica non era più che un villaggio di capanne di legno poiché l’antico splendore della città etrusca era stato perduto con la cacciata degli Etruschi. Da Bologna i Romani poterono dedicarsi alla conquista del Frignano a spese delle popolazioni liguri locali. Forlì o Forum Livi (186 a.C.) Molto probabilmente Forum Livi, nel 186 a C., fu fondata dai Romani su un magos celtico, in pratica su un’area, all’incrocio tra la via montana e quella pedemontana (che poi divenne via Emilia), adibito a luogo di scambi commerciali tra le popolazioni della collina e quelle della pianura romagnola. Da Forum Livi si dipartiva una strada che la collegava a Mevaniola (Galeata) e ad Arezzo. Ravenna Oscure sono le origini di Ravenna, c’è chi dice sia stata fondata da coloni venuti dalla lontana Tessaglia, chi, invece afferma che il suo nome è di chiara origine etrusca. Molto probabilmente i suoi fondatori furono gli Umbri, che costruirono un villaggio palatticolo in mezzo alle paludi in un punto in cui le navi dei commercianti greci ed etruschi potevano approdare dal mare. Modigliana o Castrum Mutilum Castrum Mutilum che poi divenne, molto probabilmente, Modigliana fu teatro di una disastrosa scontta dei Romani ad opera dei Galli Boi.. Nel 201 a.C. il console Publio Elio mandò da Rimini una spedizione, nei territori occupati dai Boi, allo scopo di razziare il territorio boico per vendicare le scorrerie che questi Celti avevano fatto alle spese degli Umbri e dei Piceni, alleati di Roma. I Romani, che no a quel momento non avevano trovato alcuna resistenza da parte dei Boi, pensarono che questi fossero tutti fuggiti. Forse per questa ragione che posero il castrum nei pressi di ampie distese di grano maturo, nella zona ove oggi sorge Modigliana, e senza porre sentinelle a guardia abbandonarono le armi per mietere il grano. Mal gliene incorse perchè i Boi non erano fuggiti ma si erano solo nascosti aspettando il momento propizio per attaccare i razziatori romani. La sorpresa dell’attacco, unito al furore con cui i Celti combattevano, causarono la fuga dei soldati romani e dei loro alleati. Fuga disastrosa perché i Boi li uccisero quasi tutti, solo alcuni trovarono rifugio nel castrum e nottetempo riuscirono ad eludere la sorveglianza dei Galli e a trovare rifugio sicuro in Rimini. Luni La colonia di Luni fu fondata dai Romani nel 177 a.C., per stabilirvi un posto avanzato contro i Liguri Apuani, ai quali avevano faticosamente strappato quel territorio; il nome della città deriverebbe da una dea primitiva italica o dalla forma a falce del porto cittadino. La fondazione di una colonia romana in questa zona indica che il territorio era assai importante dal punto di vista strategico, militare e commerciale: l’accorta politica romana prevedeva il trasferimento di intere famiglie in tali zone, per lo più veterani di guerra, ai quali venivano concessi appezzamenti di terreno con diritto ereditario; e così avvenne per Luni. I Liguri, tuttavia, non si rassegnarono alla perdita di un territorio così importante e continuarono a combattere nché furono denitivamente scontti, nel 154 a.C., dal console Claudio Marcello. Con il consolidamento del dominio romano, la colonia iniziò la propria ascesa economica: la città ebbe, infatti, un’industria di scultori del marmo, forse una fonderia di bronzi ed una fabbrica di oggetti in vetro; i cives lunensi erano anche abili commercianti e seppero trarre vantaggi dalle materie prime della zona: esportavano legname delle foreste appenniniche, i celebri formaggi della zona cari a Marziale e a Plinio, i vini locali, ma soprattutto il marmo, fra cui soprattutto il richiestissimo marmo bianco. All’epoca di Augusto, la città conobbe un ulteriore periodo di ascesa e di splendore, mentre in età giulioclaudia raggiunse un notevole sviluppo monumentale. Rutilio Namaziano, nell’anno 416 ne ammirava ancora dal mare le bianche mura e cantava di una terra ricca di marmi che sdano il candore dei gigli e le bianche nevi; certamente era ancora orente nel V secolo se, nell’ordinamento delle diocesi, venne prescelta come sede vescovile. Nel 642, la città fu occupata militarmente dai Longobardi guidati da Rotari, devastata e ridotta a semplice villaggio e le sue famiglie di un tempo avviate ad un rapido declino. L’avvento dei Franchi determinò una nuova crisi nella città che, in seguito, non fu in grado di evitare un terribile saccheggio da parte dei pirati saraceni e, pochi anni più tardi (860), il famoso assalto dei Normanni che segnò la ne dello splendore altomedievale di questa città. Il progressivo impaludamento della zona, il conseguente diffondersi della malaria, l’abbandono delle abitazioni, oltre che le necessità difensive fecero il resto: nel 1201, la sede vescovile venne trasferita a Sarzana e Luni perse l’ultimo ed il più importante carattere della sua condizione di città. Della colonia romana rimasero soltanto rovine, destinate a scomparire per la violenza della natura e degli uomini; ma le leggende legate alla loro storia, il fascino di ciò che resta della grandezza del passato, la bellezza del paesaggio circostante ed il mistero che ancora circonda la ne della città, fanno della visita a Luni antica un’esperienza indimenticabile.