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Libretto di Sala

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Libretto di Sala
Orfeo: Giogio Carducci
Euridice: Francesco Divito
Amore: Cristiana Arcari
Coro Diapente, Maestro del Coro: Lucio Ivaldi
Vice Maestro del Coro: Giuseppe Pecce
Soprani: Valentina Boccio, Giancarla Brizi, Claudia Carmana, Laura Famiglietti, Nicoletta Ferraris,
Lorena Marzolini, Paola Protani, Giusy, Raspaglio, Rosalba Rizzuto
Contralti: Roberta Benincasa, Elena Casale, Angela Falasca,
Giampaola Laudano, Daniela Ortolani, Anna Rita Travaglini,Claudia Urbini
Tenori: Riccardo Celentani, Gabriele Giorgi, Giuseppe Pecce,
Claudio Spina, Stephen Weiss
Bassi: Luca Barreca, Gabriele Blasco, Giancarlo Federico, Renato Massaccesi
Ensemble Strumentale Il Concerto d’Arianna, Coord. Maria Palumbo
Primo Violino: Lorenzo Colitto
Violini: Eliana Assenza, Alberto Caponi, Pietro Meldolesi,
Valentina Nicolai, David Simonacci, Gioia Troiani, Carola Vizioli
Viole: Anna Skorupska, Giorgia Franceschi
Violoncelli: Adriano Ancarani, Ulrike Pranter
Contrabbasso: Paolo Scozzi
Flauti traversieri: Mario Lacchini, Riccardo Ricci
Oboi: Orlando D’Achille, Antonello Bussu
Chalumeau, basson du chalumeau: Luca Lucchetta
Fagotto: Maria De Martini
Corni: Marco Venturi, Claudia Quondam Angelo
Cornetto: David Brutti
Trombone: Matteo Momo
Timpani e percussioni: Livio Matrone
Arpa: Katerina Ghannudi
Clavicembalo: Maria Palumbo
Maestro Concertatore e Direttore al Cembalo: Lucio Ivaldi
Regia per la versione semi-scenica: Natale Filice
Centro Professionale Danza
Coreografi: Remo e Rita Mazzeo
Danzatori: Martina Boccuti, Giulia Braccio, Francesca Di Martino, Ilaria Di Mattia, Ludovica De Santis,
Valeria Gentile, Lucrezia Mastino, Simone Mingarelli, Martina Muratori, Clarissa Nacchia, Claudia Panzetta,
Giorgia Simion
Assistente alla Regia: Roberta Abd El Gavad
Luci: Mauro Guglielmo
Costumi e oggetti di scena: Giuseppina Raspaglio
Organizzazione: Roberto Ivaldi
Ufficio Stampa: Valentina Boccio, Giancarla Brizzi, Angela Falasca
Il
Presentazione generale
2014 è l’anno in cui decorre il
trecentesimo
anniversario
della
nascita
di Christoph Willibald Gluck (1714). C’è stato un assordante silenzio su questo tricentenario.
Chi era Christoph Willibald Gluck e perché ha avuto notevoli riflessi sulla musica italiana?
Sebbene nato nel Palatinato Renano, Christoph Willibald Gluck deve la sua formazione musicale alla permanenza
a Praga, Vienna, Milano e Parigi. Organista, clavicembalista, violinista e violoncellista, fin dalla sua iniziale permanenza a Praga incontrò lo stile dell’opera italiana, ove era ben conosciuto Pietro Metastasio, che Christoph Willibald
Gluck incontrò a Vienna. E’ proprio a Vienna che diventa l’antesignano del così detto classicismo viennese. In
quegli anni il Lombardo-Veneto passava all’impero asburgico e Milano ne diventava una delle principali capitali.
E proprio a Milano, ospite di Antonio Melzi, Christoph Willibald Gluck entra in contatto con Giovan Battista Sammartini. Quest’ultimo, già celebre compositore di musica religiosa, affinava proprio allora lo stile sinfonico che
passava a Christoph Willibald Gluck, divenutone allievo. E a Milano Christoph Willibald Gluck ha composto, su
testo di Metastasio e coadiuvato dall’insegnante Sammartini, le sue prime opere, che andarono in scena al Teatro
Regio Ducale. Grande l’influenza italiana sulla musica di Christoph Willibald Gluck, e grande il successo delle sue
rappresentazioni, come quella dell’Orfeoe Euridice, che aveva già composto e rappresentato dieci anni prima a
Vienna, in collaborazione con Ranieri de’ Calzabigi, per il libretto. Tutta la composizione operistica seguente verrà
poi influenzata dall’opera di ChristophWillibald Gluck a cominciare da Niccolò Piccinni (suo rivale antagonista a
Vienna), per continuare con Mozart, Salieri, Cherubini, Berlioz e infine Wagner. Tornato definitivamente a Vienna,
vi sarebbe morto dopo una lunga malattia nel 1787, dopo aver assistito al tramonto degli ideali dell’ancien régime.
Orfeo,
Leggenda di Orfeo
il più famoso poeta e musicista che la storia abbia mai avuto, che non aveva eguali tra
uomini e dei era figlio di Apollo e della musa Calliope. Ogni creatura amava Orfeo ed
era incantata dalla sua musica e dalla sua poesia ma Orfeo aveva occhi solo per una
donna: Euridice, figlia di Nereo e di Doride che divenne sua sposa. Il destino però non aveva previsto per loro un
amore duraturo infatti un giorno la bellezza di Euridice fece ardere il cuore di Aristeo che si innamorò di lei e cercò
di sedurla. La fanciulla per sfuggire alle sue insistenze si mise a correre ma ebbe la sfortuna di calpestare un serpente
nascosto nell'erba che la morsicò, provocandone la morte istantanea. Orfeo, impazzito dal dolore e non riuscendo a
concepire la propria vita senza la sua sposa decise di scendere nell'Ade per cercare di strapparla dal regno dei morti.
Convinse con la sua musica Caronte a traghettarlo sull'altra riva dello Stige; il cane Cerbero e i giudici dei morti a
farlo passare e nonostante fosse circondato da anime dannate che tentavano in tutti i modi di ghermirlo, riuscì a
giungere alla presenza di Ade e Persefone. Una volta giunto al loro cospetto, Orfeo iniziò a suonare e a cantare la sua
disperazione e solitudine e le sue melodie erano così piene di dolore che gli stessi signori degli inferi si commossero.
Fu così che fu concesso a Orfeo di ricondurre Euridice nel regno dei vivi a condizione che durante il viaggio verso la
terra la precedesse e non si voltasse a guardarla fino a quando non fossero giunti alla luce del sole. Orfeo, presa così
per mano la sua sposa iniziò il suo cammino verso la luce. Durante il viaggio, un sospetto cominciò a farsi strada
nella sua mente pensando di condurre per mano un'ombra e non Euridice. Dimenticando così la promessa fatta si
voltò a guardarla ma nello stesso istante in cui i suoi occhi si posarono sul suo volto Euridice svanì, e Orfeo assistette
impotente alla sua morte per la seconda volta. Invano Orfeo per sette giorni cercò di convincere Caronte a condurlo
nuovamente alla presenza del signore degli inferi ma questi per tutta risposta lo ricacciò alla luce della vita. Quale
che fosse il modo come Orfeo morì è certo che ogni essere del creato pianse la sua morte, le ninfe indossarono una
veste nera in segno di lutto e i fiumi si ingrossarono per il troppo pianto. Le Muse recuperarono le membra di Orfeo
e le seppellirono ai piedi del monte Olimpo e ancor oggi, in quel luogo, il canto degli usignoli, il più soave che in
qualunque parte della terra. Fu recuperata anche la sua lira che fu portata a Lesbo nel tempio di Apollo che però
decise di porla nel cielo in modo che tutti potessero vederla a ricordo del fascino della poesia e delle melodie dello
sfortunato Orfeo, alle quali anche la natura si arrendeva, creando la costellazione della Lira.
Sviluppo dell’opera
La
vicenda dell’Orfeo è lineare e molto semplice, sviluppata in poche scene che formano quadri fra loro contrapposti; i personaggi sono solamente tre (anche nelle feste e azioni teatrali di Metastasio spesso i personaggi sono pochi).
Atto primo
L’immobilità regna all’inizio dell’opera: si svolge la cerimonia funebre di Euridice, sposa del cantore Orfeo.
Per ogni strofa, Gluck sceglie uno strumento concertante differente: flauti, corni, e poi corni inglesi. Appare Amore e
annuncia che Giove, impietosito, permetterà a Orfeo di recarsi nell’Ade per placare con il canto le divinità infernali, in
modo da ottenere Euridice, alla condizione che egli non si volti a guardarla durante il ritorno sulla terra, e non le riveli il
divieto. Amore esorta Orfeo a rispettare tali condizioni in un’aria disinvolta, su ritmo di danza (“Gli sguardi trattieni”).
Atto secondo
Alle porte dell’Ade, «al suono di orribile sinfonia, comincia il ballo delle Furie e degli Spettri,
interrotto dalle armonie della lira d’Orfeo». L’orchestra si scinde in due gruppi timbrici: da una parte l’arpa e gli archi
pizzicati, che accompagneranno il canto del protagonista, dall’altra l’orchestra piena, che rappresenta la musica
infernale delle Furie. Il coro ripete ossessivamente la stessa frase ritmica. Orfeo inizia a cantare, interrotto
dalle grida isolate («No!») delle Furie. A poco a poco riesce a placarle e le porte dell’Ade gli vengono aperte.
Siamo nei Campi Elisi e la descrizione pagana del Paradiso, prevede un cielo azzurro ieratico e un armonioso
paesaggio sonoro di reminiscenza petrarchesca con “cantar degli uccelli e scorrer dei ruscelli”, che coincide con
i cinguettii alternati del violoncello e del flauto, accompagnati dai trilli isolati dei violini secondi e dal sussurro
orchestrale di archi (terzine dei violini primi e pizzicati dei bassi), con brevi interventi alternati, a mo’ di eco, di
violoncello e flauto solisti, In seguito, “da un coro di Eroine vien condotta Euridice vicino ad Orfeo, il quale, senza
guardarla e con un atto di somma premura, la prende per mano e la conduce subito via”.
Atto terzo
In una «oscura spelonca» infernale, Orfeo guida Euridice verso la luce. Ella comincia a porre domande
sempre più incalzanti e Orfeo le risponde in modo evasivo, senza guardarla. Dopo un duetto, Euridice manifesta la sua
passionalità costringendo il consorte a volgersi per guardarla. Euridice muore, perduta per sempre. Dopo un recitativo
disperato, Orfeo intona “Che farò senza Euridice”, sublimando il proprio dolore nella melodia dell’aria
strofica. Invocando la sposa, decide di togliersi la vita, ma interviene Amore: gli dèi, commossi, gli restituiranno
Euridice. Nell’Europa del XVIII secolo non si poteva ammettere che il finale fosse tragico. E quindi l’ultimo quadro
celebra il lieto fine in un «magnifico tempio dedicato ad Amore», come in un vaudeville da opéra-comique.
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