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Il diritto al panorama

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Il diritto al panorama
URBANISTICA
articolo
Il diritto al panorama
Si assiste sempre più spesso alla enunciazione del diritto al panorama,
ma nella pratica la formula si rivela molte volte problematica e solo in alcuni
casi il proprietario di un immobile può usufruire di una effettiva tutela
del panorama di cui gode.
Ettore Ditta
Avvocato
Nell’ultimo periodo si è assistito, in maniera peraltro piuttosto confusa, a un sempre
maggiore richiamo alla nozione di diritto
al panorama.
In realtà si tratta di un processo ancora in
atto e non completamente concluso, dal
momento che sotto l’aspetto normativo
non esistono specifiche previsioni in proposito dal punto di vista civilistico e quindi
la disciplina deve essere ricavata dai principi generali secondo la ricostruzione che
emerge dagli orientamenti giurisprudenziali.
Di fatto i presupposti per la sussistenza
del diritto al godimento del panorama e le
tutele utilizzabili per esso sono stati finora
oggetto di una unica, peraltro non recente,
sentenza della Suprema Corte, mentre è
sempre stato più frequente il richiamo alla
servitù di panorama, che si presenta qualora vi sia una vera e propria servitù avente
per oggetto il divieto di realizzare costruzioni (ma anche di fare crescere gli alberi)
oltre l’altezza precedente (cosiddetta servitus altius non tollendi, secondo la classica
definizione che riporta l’antica formula in
latino).
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Il diritto al panorama
Il diritto al panorama è stato oggetto di un
esame approfondito nella sent. n. 3679 del
18 aprile 1996 della Corte di Cassazione che,
per la prima volta, ha affrontato in maniera esaustiva questo tema e ha individuato i
suoi presupposti con specifico riferimento
al problema della risarcibilità del danno. Va
ribadito che, contrariamente ad altre decisioni precedenti e successive, nella citata
sentenza della Suprema Corte la tutela del
panorama avviene senza riferimento alla
presenza di una servitù di panorama.
Nel caso oggetto della sentenza il proprietario di alcuni fabbricati ubicati in una
prestigiosa via della città di Napoli aveva
chiesto in giudizio il risarcimento dei danni conseguenti alla perdita di veduta, di
luce e di sole derivata dalla edificazione di
un edificio a valle della strada, in violazione
del regolamento edilizio di Napoli, del piano
regolatore generale e della convenzione tra
il comune di Napoli e la società costruttrice
per quanto riguardava l’altezza, la superficie
coperta e il rapporto tra essa e quella libera, la distanza dalla strada, dalle aree e dai
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fabbricati vicini, nonché il numero dei piani.
Il Tribunale aveva respinto la domanda di
risarcimento, così come successivamente
aveva pure fatto la Corte d’Appello.
La Corte di Cassazione nella sua motivazione
ha allora esaminato il problema se e in quali
casi la esclusione o la diminuzione del panorama, di cui si avvantaggia un determinato
appartamento, che consegue dalla costruzione di un fabbricato vicino, costituisca, per il
proprietario dell’immobile, un danno ingiusto e risarcibile e in quale misura.
La Corte ha subito precisato che un danno
di questo tipo non si può considerare sussistente in modo automatico, come accade
invece per il danno derivante dalla esclusione o dalla limitazione della servitù di veduta
o dalla violazione delle distanze legali tra gli
edifici; e quindi negli illeciti edilizi va identificato l’interesse tutelato e leso dalla esclusione o dalla diminuzione del panorama e va
stabilito se tale pregiudizio rientri tra quelli
contemplati dall’art. 872, comma 2, cod. civ.
Il contenuto del diritto di proprietà, che viene delineato in astratto in maniera uniforme
dall’art. 832 cod. civ., di fatto corrisponde
alle possibilità di utilizzazione, effettive e
concrete, inerenti ai beni che ne formano
oggetto.
Ciascun tipo di bene, sebbene costituiscano
tutti oggetto del diritto di proprietà, fornisce,
infatti, utilità, profitti e forme di godimento differenziati; e per quanto riguarda i beni
immobili, che sono suscettibili di utilità diverse in rapporto alla loro natura e alla loro
destinazione – a parità di condizioni generali
(come l’ubicazione in una determinata zona
cittadina, i collegamenti con i servizi urbani,
le strade di accesso e i parcheggi) e particolari (come la solidità delle strutture, i materiali
impiegati, gli impianti, la distribuzione dei
locali ecc.) – il panorama costituisce una qualità positiva per un appartamento che così
acquisisce valore. Proprio come per la posizione, per l’esposizione, idonea a garantire
migliore illuminazione, soleggiamento e salubrità, per l’altezza del piano rispetto al suolo,
il panorama raffigura una qualità, specifica e
individuale, la cui esistenza accresce, in misura che può essere pure considerevole, il valore
dell’unità abitativa anche rispetto alle altre
unità immobiliari dello stesso edificio.
La Suprema Corte ha allora chiarito che il
panorama non è un elemento necessario e
connaturale alle unità abitative, ma un elemento accidentale, derivante dalla natura
delle cose e, precisamente, dalla posizione,
dall’esposizione e dall’altezza del piano o
della porzione di piano e dalla amenità dei
luoghi in cui l’edificio è costruito; in altre
parole non tutti gli appartamenti sono panoramici, come possono non esserlo tutte
le unità abitative ubicate nello stesso fabbricato e solo gli appartamenti che godono
del panorama beneficiano di utilità, profitti e forme di godimento che li rendono più
richiesti e apprezzati rispetto ad altri. Ma
il panorama, che accresce il valore dell’immobile, può essere diminuito o escluso del
tutto da una nuova costruzione, che venga
edificata legittimamente in conformità con
le norme civili e amministrative vigenti e in
tal caso il pregiudizio subito dal proprietario
non costituisce un danno ingiusto e risarcibile ex art. 2043 cod. civ., dato che l’opera
lesiva consegue all’esercizio di un diritto; il
contrario succede quando invece la edificazione sia avvenuta in violazione della disciplina relativa all’assetto del territorio (vale
le norme edilizie sulle limitazioni del volume, dell’altezza, della densità degli edifici,
delle esigenze dell’igiene e della viabilità).
La conservazione dell’ambiente o la tutela
delle bellezze naturali garantiscono agli edifici esistenti indirettamente il vantaggio del
panorama e implicitamente vietano che il
panorama venga diminuito o escluso dalle
nuove costruzioni; e di queste norme dettate nell’interesse pubblico, anche gli interessi privati vengono a beneficiare. È dall’art.
872, comma 2, cod. civ., che deriva un diritto
soggettivo perfetto, indipendentemente dal
fatto che le norme urbanistiche richiamate
siano o meno integrative del codice civile.
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In conclusione in caso di diminuzione o
esclusione del panorama goduto da un appartamento e tutelato dalle norme urbanistiche, che prescrivono determinati standard edilizi, a norma dell’art. 872, comma 2,
cod. civ., il pregiudizio arrecato costituisce
danno ingiusto e, come tale, risarcibile. E la
prova del danno, configurata dal pregio che
il mercato riconosce al panorama goduto da
un appartamento e quindi dal deprezzamento commerciale dell’immobile susseguente
al venir meno della panoramicità, esige l’indagine essenzialmente critica e valutativa
tipica della consulenza tecnica in quanto si
risolve nell’accertamento di fatti rilevabili o
valutabili con l’ausilio di specifiche cognizioni tecniche.
La Suprema Corte ha individuato in questi
termini i presupposti per l’esistenza del diritto al panorama e i fondamenti per la risarcibilità del danno conseguente alla sua
violazione.
Il principio suddetto è stato poi applicato da
App. Napoli, 30 aprile 2007, con la decisione
secondo cui la riduzione del panorama di
cui beneficia un determinato immobile va
dimostrata di volta in volta dall’interessato,
dal momento che la sussistenza del danno
da riduzione del panorama è strettamente
correlata alla natura del bene che di quel panorama godeva.
Nello stesso senso Trib. Bari, sent. 8 ottobre
2005, secondo cui il risarcimento del danno
derivante dalla violazione delle norme speciali di edilizia, come quelle sulle distanze legali
nelle costruzioni, è condizionato alla prova
della esistenza e della misura del pregiudizio. E la prova – consistente nel pregio che al
panorama goduto da un appartamento riconosce il mercato e quindi al deprezzamento
commerciale dell’immobile susseguente al
venir meno della panoramicità – si risolve
nell’accertamento di fatti rilevabili o valutabili
con l’ausilio di specifiche cognizioni tecniche
ed esige l’indagine essenzialmente critica e valutativa tipica della consulenza tecnica.
In senso contrario invece Trib. Genova, sent.
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9 luglio 2005, secondo cui l’ordinamento giuridico non riconosce un diritto al panorama,
di per sé considerato, e neppure le limitazioni di aria e luce derivanti da opere, installazioni di manufatti e piante hanno giuridica
rilevanza a prescindere da una violazione
delle norme codicistiche sulle distanze nelle
costruzioni e sulle distanze dalle vedute.
La servitù di panorama
Come si diceva al principio di queste note, la
servitù di panorama, consistente nella particolare amenità del fondo dominante per
la visuale di cui gode, è una servitus altius
non tollendi, che riguarda sia le costruzioni,
sia gli alberi e che può essere acquistata per
destinazione del padre di famiglia o per usucapione nel solo caso in cui siano presenti
opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto
a quelle che consentono la servitù di veduta e specificatamente destinate all’esercizio
della servitù invocata (Cass., sent. 20 ottobre
1997, n. 10250).
È stato precisato che la crescita di una pianta rampicante, che limita il diritto di veduta
del panorama al proprietario di un immobile vicino, non rientra tra le ipotesi idonee a
ledere una servitù altius non tollendi, poiché
questa richiede particolari opere che qualifichino il bene in modo certo, non essendo
sufficiente il mero diritto di veduta (Trib. Salerno, 9 luglio 2002).
La servitù, ai sensi dell’art. 1030 cod. civ., può
anche comportare, per il proprietario del
fondo servente, l’obbligo di un facere, se così
viene stabilito dal titolo o dalla legge, purché
esso costituisca soltanto una obbligazione accessoria che non esaurisce l’intero contenuto
della servitù essendo volto solo a consentirne il concreto esercizio; e in applicazione di
questo principio è stato ritenuto compatibile
con il contenuto della servitù di non collocare
e mantenere nel fondo alberi che impediscano la visuale del panorama dal fondo vicino,
l’obbligo di rimuovere o potare gli alberi già
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esistenti che ostacolino l’esercizio della veduta (Cass., sent. 13 giugno 1995, n. 6683).
In tema di servitù altius non tollendi, il più
ampio panorama assicurato al fondo dominante, da valutarsi in relazione alle condizioni ambientali in atto al momento della
costituzione della servitù, non esaurisce il
requisito della utilità, che ricorre anche in
relazione al maggior godimento di aria e
luce garantito a detto fondo (Cass., sent. 6
marzo 1980, n. 1522).
giustificata sotto il profilo della tutela della
riservatezza del convenuto in quanto la terrazza era sottoposta ad altri due piani del
fabbricato dai quali era comodamente esercitabile la visuale su di essa, è stato deciso
che la collocazione di piante di alto fusto
che impediscano l’esercizio del diritto di veduta del vicino senza apprezzabile vantaggio del proprietario, configura un mero atto
emulativo che quindi è illecito (Trib. Napoli,
20 febbraio 1997).
Violazione delle disposizioni
sulle distanze
Apposizione di vasi e vasche
contenenti arbusti
Il principio secondo cui il proprietario che
abbia eseguito una costruzione in violazione delle norme che disciplinano il diritto a
edificare, pur essendo esposto alle relative
sanzioni previste dalla legge, non rimane
sprovvisto della tutela apprestata dall’ordinamento a favore della proprietà, nel caso
di violazione delle norme stesse a opera di
terzi, è applicabile – oltre che nel caso in
cui dall’altrui violazione sia derivata una
diminuzione della visuale, di panorama, di
amenità o di soleggiamento della costruzione – anche all’ipotesi in cui nei confronti del
convenuto sia stato chiesto l’arretramento
della costruzione effettuata in violazione
delle norme sulle distanze da parte dell’attore, che abbia violato pure tali norme. In
questa ipotesi, il convenuto non può limitarsi a eccepire la violazione commessa
dall’attore, ma, per rendere legittima la propria situazione, deve chiedere e ottenere
l’arretramento della precedente costruzione dell’attore (Cass., sent. 9 agosto 1996, n.
7365).
In una recente sentenza la lamentata lesione della veduta derivava dall’apposizione, da parte del dirimpettaio, di vasi e
vasche contenenti arbusti e siepi, destinati
a realizzare una barriera, di cui era stata
richiesta al Giudice l’ordine di rimozione;
e il ripristino dei luoghi è stato ordinato
nonostante non sia stata riconosciuta la
sussistenza di alcuna servitù (Cass., sent.
28 febbraio 2013, n. 5045).
Atto emulativo
Con riferimento a un caso in cui i due cespiti si trovavano sullo stesso livello e la collocazione di alcune piante non poteva essere
Tutela amministrativa
Con riferimento alla impugnazione di un
permesso di costruire da parte del proprietario di un fondo attiguo a quello teatro di preventivati lavori di demolizione e
ricostruzione con ampliamento sulla base
della lamentata impossibilità di godere
della vista del lago il TAR Veneto, Sez. II,
sent. 5 luglio 2012, n. 959, ha deciso che il
denunciato pregiudizio del diritto al panorama è insufficiente a individuare un interesse differenziato e qualificato, in quanto
tale meritevole di tutela giurisdizionale in
sede amministrativa; e così ha dichiarato
il ricorso inammissibile per mancanza di
legittimazione e di interesse a ricorrere in
capo al ricorrente.
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