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Gentili lettori, apriamo questo numero richiamando un concetto la
Gentili lettori,
apriamo questo numero richiamando un concetto la cui
portata storica si dilata ben oltre le origini della civiltà
moderna, di cui pure sta a fondamento, per abbracciare
l’intero divenire del mondo umano, fino a contrarsi,
nella storia presente, entro i limiti pratici della vita
quotidiana di ogni singolo individuo; ci riferiamo con
questo al concetto di tolleranza. La particolare incidenza di questo concetto all’interno della tradizione del
pensiero occidentale non è certo sfuggita a quegli interpreti come Gadamer e Derrida, che in tempi recenti, e
sotto la spinta degli avenimenti prima ancora che in
risposta a un bisogno ermeneutico o decostruttivistico,
si sono rivolti a ripensare l’idea di “Europa”, di spirito
europeo come tema filosofico, individuandone i presupposti in una rinnovata dialettica di identità e differenza.
Non v’è dubbio che su questa base, come d’altro canto
già echeggiava nella formulazione di Voltaire, il concetto di tolleranza viene a costituire il principio formale,
politico e morale, su cui si fondano per diritto le democrazie liberali occidentali. Tuttavia, proprio il suo essere divenuto in senso formale rende oggi questo principio
assai problematico, tanto inadeguato a una sua dilatazione storica che tocchi le origini della civiltà moderna,
quanto insufficiente a orientare, nel presente, l’agire
pratico degli individui. Ciò che è andato perduto ci pare
innanzitutto il rapporto d’interpretazione che lega l’uomo alla natura e che riconosce in quest’ultima il fondamento del divenire storico: quel rapporto veritativo che
permetteva ai Philosophes del ‘700 di avere uno sguardo
comprensivo, partecipe, “tollerante” appunto, nei confronti dell’eterogeneo, del differente, senza per questo
doversi appellare ad un principio unitario assoluto,
posto dall’esterno, né per altro verso rinunciare all’unità del vero come orizzonte fondativo del molteplice.
Un importante contributo per un ripensamento del concetto di tolleranza ci viene da un recente convegno dal
titolo: Europa e Paesi Bassi. Evoluzione, rielaborazione
e diffusione della tolleranza nei secc. XVII e XVIII,
frutto della collaborazione scientifica tra l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli il Netherlands
Institute for Advanced Study in the Humanities and
Social Sciences (NIAS) e dal Dipartimento di Storia
dell’Università di Firenze. Una significativa ricostruzione dei contesti tematici e degli ambiti di discussione
sollevati al convegno ci è offerta, su queste pagine, da
Mario Agrimi, che non ha mancato di mettere in rilievo
l’opera decisiva di promozione e coordinamento scientifico del convegno condotta da Antonio Rotondò.
Tra le varie elaborazioni teoriche connesse al concetto
di tolleranza, che sono state materia di riflessione al
convegno, e di cui Rotondò ha fornito in un opuscolo a
parte utilissime e approfondite linee di ricostruzione
storico-critica e bibliografica, ci pare di particolare
interesse, anche alla luce dei fenomeni che scuotono la
vicenda umana di questo ultimo decennio di fine secolo,
l’intreccio che lega l’evoluzione dell’idea di tolleranza
con l’affermarsi della libertà di coscienza. A questo
proposito, e a titolo di ulteriore riflessione, vorremmo
qui proporre le parole con cui Spinoza apre il capitolo
XX del suo Tractatus theologico-politicus (1670):
«Se fosse tanto facile comandare agli animi quanto alle
lingue, non ci sarebbe alcun sovrano che non regni in
tranquillità, né ci sarebbero governi violenti, poiché
ciascuno vivrebbe secondo la costituzione dei detentori
del potere e non giudicherebbe del vero o del falso, del
bene o del male, del giusto o dell’iniquo che secondo i
loro decreti. Ma [...] questo non può essere. Non è
possibile che l’animo di un uomo appartenga interamente a un altro, né che egli sia costretto ad abbandonare il
suo diritto naturale o la sua facoltà di fare libero uso della
sua ragione e di giudicare di ogni cosa. Di conseguenza
è ritenuto violento quel governo che pretenda di dominare gli animi; contro questi soggetti mostra di agire ingiustamente e usurpare il loro diritto quel sovrano che voglia
prescrivere a ciascuno ciò che questi deve ammettere
come vero o rigettare come falso, inculcandogli opinioni
che pure devono muovere il suo animo alla devozione
verso Dio; queste cose appartengono di diritto a ciascun
individuo; un diritto di cui nessuno, per quanto voglia,
può privarsi.
[...] Gli uomini son così fatti che niente sopportano con
più ritrosia quanto vedere le opinioni che essi credono
vere ritenute come criminali e condannato come una
malefatta ciò che muove i loro animi alla pietà verso Dio
e gli uomini; questo fà sì che essi finiscano con il
detestare le leggi, osando agire contro i magistrati, poiché giudicano non vergognoso, ma molto bello provocare sedizioni per una tale causa e tentare imprese del
genere, per quanto violente esse siano. Essendo dunque
tale la natura umana, è evidente che le leggi concernenti
le opinioni minacciano non i criminali, ma gli uomini che
mostrano un carattere indipendente, poiché mostrano di
essere fatte non tanto per contenere i malvagi, quanto per
irritare i più onesti, e non possono, di conseguenza,
essere mantenute senza grande pericolo per lo Stato.
[...] Se dunque nessuno può rinunciare alla libertà di
giudicare e pensare come vuole, e se ciascuno, in virtù di
un diritto superiore di natura, è maestro dei suoi propri
pensieri, non vi è Stato in cui, senza esporsi al più triste
successo, si possa mai tentare di far sì che gli uomini
d’opinioni diverse e opposte non dicano tuttavia niente
che non corrisponda alle prescrizioni del sovrano; e che
i più scaltri, in effetti, per non dire della folla, si lascino
mettere a tacere. E’ un errore comune degli uomini
confidare agli altri i loro intenti, tanto più quando è
richiesto il silenzio; sarà dunque il più violento quel
governo che nega all’individuo la libertà di dire e d’insegnare ciò che pensa; al contrario, è moderato quel governo che accorda all’individuo questa libertà».
SOMMARIO
5 RESOCONTO
37 PROSPETTIVE DI RICERCA
5 Europa e Paesi Bassi:
37 Socrate e le sue fonti
la storia della tolleranza nei secc. XVII-XVIII
38 Strategie di appropriazione dell’antichità
39 Ippocrate. Alle origini della medicina
9 CONFERENZA
39 La fama dei cinici
9 Le mie concezioni filosofiche
40 Hobbes e la rivoluzione inglese
40 Un nuovo interesse per Schopenhauer
13 INTERVISTA
42 L’ateismo di Fichte
13 Ragione narrativa e filosofia
42 Schelling, Fichte e Spinoza
43 Tommaso D’Aquino: una riscoperta
17 PROFILO
17 Ricordo di Emilia Giancotti
45 CONVEGNI E SEMINARI
45 Heidegger e il linguaggio
19 AUTORI E IDEE
47 Il tempo e i luoghi
19 Fine della storia
48 Leibniz e la questione della soggettività
19 L’angelo della storia
48 Seminari fenomenologici
21 Nietzsche, Deleuze: il superamento della metafisica
50 Attualità dello storicismo
21 L’ultimo libro di Félix Guattari
50 Antropologia filosofica del Novecento
22 Leo Strauss
51 Pensiero spagnolo contemporaneo
22 Jonas a Monaco
53 Le vie dell’Estetica
23 Valori inesprimibili
54 La filosofia e la sfida della complessità
24 Ricordo di Valerio Tonini
54 Giornate kelseniane
25 Pareyson in Francia
55 Dieter Henrich a Monaco
25 Ontologia dell’economia
55 Diritto e stato in Hegel
56 Comunità e società
27 TENDENZE E DIBATTITI
57 Primo piano: pensare il giardino
27 Arte e inconscio: il piacere della bellezza
28 Femminismo e filosofia
59 CALENDARIO
28 La filosofia analitica e continentale
29 La coscienza e la mente
61 DIDATTICA
30 Un uomo all’antica
61 I programmi "Brocca"
31 Il soggetto paziente
61 Convegni
32 Riviste d’autore
34 Ermeneutica letteraria
63 RASSEGNA DELLE RIVISTE
35 Figure del paradosso
70 NOVITA' IN LIBRERIA
RESOCONTO
Thomas de Keyser, Constantijn Huygens, Londra, National Gallery
RESOCONTO
C
he la storia della tolleranza in Europa abbia il suo affrontati da un convegno che si è tenuto a Vico Equense,
maggiore centro di convergenze e di irradiazioni a cura dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e del
nell’Olanda moderna è un giudizio incontestato Dipartimento di Storia dell'Università di Firenze, nei
e consolidato. E si tratta di una consapevolezza raggiunta giorni 10-12 settembre, sul tema: Europe et Pays-Bas:
e trasmessa dalla stessa storiografia olandese, almeno a evoluzione, rielaborazione e diffusione della tolleranza
partire dalla grande Historie der Reformatie (Amsterdam nei secc. XVII e XVIII. Si tratta di un piano di ricerca
1671-1674, 4 voll.) di Gerard Brandt, le cui traduzioni pluriennale, promosso dal Netherlands Institute for
inglese e francese del primo Settecento diffondono in Advanced Study in the Humanities and Social Sciences
tutta Europa il quadro denso e tormentato delle lotte (NIAS) e dal Dipartimento di Storia dell’Università di
religiose e politiche combattute dal sec. XVI in Olanda, Firenze: una collaborazione scientifica internazionale di
dove dalla stessa drammaticità dei conflitti emergono le grande importanza, che ha un qualificato coordinatore in
prime formulazioni del problema della tolleranza, in un Antonio Rotondò, dell’Ateneo fiorentino, al quale si
intreccio fortemente significativo di problemi religiosi e deve l’organizzazione scientifica del convegno, che è il
di problemi politico-costituzionali. Un documento, in- primo di una serie di incontri, in cui saranno via via
sieme ardito e maturo, sul diritto alla libertà religiosa è il presentati e discussi i risultati delle ricerche. Rotondò,
celebre discorso rettorale De religione ab imperio iure eccellente esperto dell’argomento, ha tenuto la relazione
gentium libera, che Gerard
introduttiva ed ha altresì
Noodt pronuncia a Leida l’
predisposto un prezioso vo8 febbraio del 1706.
lumetto illustrativo delle linee e del programma di riDagli ultimi decenni del Cincerca, che ha il carattere di
quecento, in non certo caun’attenta e informata guisuale connessione con le rida storico-critica e bibliovolte antispagnole, i Riforgrafica, utilissima a favorimati (soprattutto calvinisti),
re una partecipazione imfiamminghi e valloni, dalle
pegnata ai lavori del conveProvincie meridionali dei
gno, fornendo necessari
Paesi Bassi si mettono al
chiarimenti di merito e di
riparo nelle Provincie del
metodo.
Nord, in stato di secessione.
La storia della tolleranza
Ma più tardi la vita delle
Bisogna in primo luogo
nei secoli XVII e XVIII
Provincie Unite è turbata da
guardarsi da un uso generinuovi aspri contrasti religioco e incontrollato del consi, perché in seno al calvinicetto di tolleranza, in cui
smo divampa la lotta tra arconfluiscono tre grandi
miniani e gomaristi, con ricomponenti: gli irenismi di
levanti implicazioni polititendenze diverse; i progetti
che. Sono appunto queste
di tolleranza civile distinta
di Mario Agrimi
travagliate vicende a recladalla tolleranza ecclesiastimare l’imporsi dello spirito di tolleranza, per cui, per ca e intesa come mezzo per neutralizzare gli effetti
oltre un secolo, l’Olanda sarà la terra d’asilo di un’ dell’intolleranza ecclesiastica; le rivendicazioni della
Europa sconvolta da guerre e da persecuzioni religiose e libertà di coscienza. Distinzioni certamente necessarie,
politiche. Vi si cerca rifugio per motivi confessionali e che non devono comunque far perdere di vista l’unità
politici; giungono esiliati in cerca di libertà e di sicurezza. complessiva del quadro, in cui le diverse “dimensioni”
Numerosi sono i rifugiati dalla Francia, e poi ebrei della tolleranza possono coesistere, congiungersi o susispano-portoghesi, tedeschi, polacchi, i quali si riunisco- seguirsi. Né minore attenzione è da prestare alle varietà
no in molte città della Provincia d’Olanda, ma soprattutto di significati del termine “tolleranza”, che resiste a lungo
ad Amsterdam, che, dall’incontro e dallo scontro di nel suo significato originario ed etimologico di “sopporesperienze religiose, civili e politiche così intense e tare con pazienza”, prima di venire assumendo il positivo
diverse, attinge le energie di un grande rigoglio della vita valore etico-giuridico di libertà.
culturale, divenendo la maggiore sede europea delle Certo, il percorso storico più incisivo è quello che vede la
attività editoriali e del commercio librario, con scambi trasformazione delle esigenze di tolleranza in rivendicaparticolarmente intensi con l’Inghilterra.
zioni del diritto alla libertà di coscienza. E già negli ultimi
Ma, dalla metà del sec. XVII, l’Olanda raggiunge, insie- anni del sec. XVI s’incontra - nella cultura olandese - uno
me alla straordinaria fioritura intellettuale, un ecceziona- scritto quale la Synodus van der conscienten vryheyt
le sviluppo della vita economica (e sono ben note in Italia (1582), che è forse la prima esplicita elaborazione teorile immagini del Seicento olandese consegnateci dagli ca, in età moderna, della libertà di coscienza, senza
studi di Johan Huizinga) e assume il ruolo di grande dimenticare la Confessione Remostrantium (1619) di
potenza mondiale. Pierre Bayle saluterà quindi l’Olanda: Johannes Episcopius, che ha un’importanza essenziale
«la Grande Arche de Fugitifs», cioè la grande patria nell’impostazione del dibattito sui rapporti tra potere
europea della tolleranza e della libertà di coscienza.
civile e diritti della coscienza.
Aspetti specifici di questa vasta problematica sono stati L’intero sec. XVI è certamente fondamentale per lo
Europa
e
Paesi Bassi
RESOCONTO
Job Adriaenszoon Bercheyde, La vecchia Borsa di Amsterdam verso il 1668. Rotterdam, Museum Boymans - van Beu-
studio della tolleranza, e basti solo pensare a Erasmo e
alla tradizione erasmiana dell’Umanesimo cristiano, ai
suoi diffusi radicamenti europei, alla sua lunga durata.
Né minore rilievo ha tutta la complessa e talora sommersa
tradizione “sociniana”; ma indubbiamente è la philosophia Christi d’Erasmo il profondo sostrato di quell’universalismo e irenismo religioso, di cui si nutre il
migliore spirito di tolleranza. E ciò è ben tenuto presente
dal programma di ricerca, che pur si riferisce ai due secoli
successivi, e che si segnala inoltre per porre con forza
l’esigenza di indagini circostanziate e particolari, mentre
opportunamente si insiste sulle implicazioni politiche,
culturali, giuridiche, sociali, economiche della storia
della tolleranza o, se si vuole, della pace religiosa in
Europa, che perciò richiede l’impegno di competenze
multiple.
Il programma dei lavori del convegno conferma la piena
aderenza al piano di ricerca tracciato e va sottolineata
l’ampia e autorevole partecipazione della storiografia
olandese. Si tratta, come si diceva, del primo dei tre
incontri previsti, dedicato a: Fondamenti, metamorfosi e
dilatazioni dell’irenismo; il successivo, su La tolleranza
ecclesiastica e civile, si terrà all’Università di Leida nel
1993; il terzo su La libertà di coscienza si svolgerà nella
sede del NIAS a Wassenaar nel 1994. E’ particolarmente
benemerita e feconda scientificamente questa collaborazione con esponenti così qualificati della storiografia
olandese, che vede presenti Guillame H.M. Posthumus
Meyjes, l’insigne studioso di Grozio che ha tenuto un’impegnativa relazione e ha presentato le conclusioni del
convegno; Govaert C.J.J. van den Bergh, autore di studi
fondamentali su Gerard Noodt; Hans Bots, cui si devono
importanti studi sull’ambiente e sul pensiero groziani,
ricostruiti anche attraverso l’edizione di preziose corrispondenze; Willem Frijhoff, attento indagatore dei problemi delle coesistenze confessionali nelle Provincie
Unite; e molti altri qualificati studiosi.
Il respiro europeo, ampio e profondo, della storia della
tolleranza trova espressione piena in questa iniziativa. Le
sequenze più note ed eminenti di questo complesso
itinerario vanno da Erasmo a Grozio, da Spinoza a
Leibniz, da Locke a Bayle, a Lecler, a Voltaire: l’Olanda
e l’Europa sono quindi impegnate in un alto e umanissimo compito di civiltà. E non sorprende l’aperta e convinta adesione al progetto da parte dell’Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici, sensibilissimo alla collaborazione
europea degli studi, il quale, non a caso, ha di recente
inaugurato la sua “Biblioteca Europea” col poderoso e
ricco volume di Paul Dibon, Regards sur la Hollande du
siècle d’Or (1990), dedicato alla cultura della giovane e
tollerante Repubblica delle Provincie Unite, quale crocevia della vita intellettuale e spirituale europea nel sec.
XVII. Le rigorose ricerche di Dibon su André Rivet e J.F.
Gronovius toccano figure che, nel loro differenziato
RESOCONTO
rapporto con Grozio, hanno grande rilievo nella storia
della tolleranza; mentre la particolare attenzione rivolta
alla intensa e libera comunicazione intellettuale assicurata dalla République des Lettres sottolinea quanto quel
vasto e libero circuito di dialogo tra filosofi, filologi,
eruditi e scienziati sia stato una forza attivamente operante nella storia della tolleranza. Centrale è quindi la figura
di Bayle, che vive le tormentate vicende dei contrasti
confessionali e poi dal “rifugio ugonotto” di Rotterdam
diffonde con acutezza e grande efficacia le nuove idee di
libertà religiosa e intellettuale, fondate sul programma di
larga tolleranza civile esposto nel Commentaire philosophique (1686). Ma già dal 1684 egli aveva iniziato la
pubblicazione della rivista “Nouvelles de la République
des Lettres”, per favorire l’informazione e la libera discussione critica tra i cittadini della respublica literaria.
Si passa così dalle trasgressioni dello scetticismo libertino all’affermazione dei diritti della “coscienza errante” e
della libera ricerca storica, filosofica, scientifica. E non si
può non ricordare che la rivista bayleana è rinata col suo
titolo a Napoli, nel 1981, sotto la direzione di P. Dibon e
T. Gregory.
La libertas philosophandi, coraggiosamente rivendicata
dal ceto civile e intellettuale napoletano del secondo
Seicento, guarda con ammirazione e speranza all’Olanda. La biblioteca di Giuseppe Valletta è ricchissima di
edizioni olandesi, e la storia napoletana del sec. XVII anche con le sue ricorrenti rivolte antispagnole - ha talune
corrispondenze significative con le vicende dei Paesi
Bassi, pur contrassegnate queste da specifiche peculiarità. E sia in Olanda che a Napoli si svolgono intense e
accese discussioni cartesiane, sicché è necessario riservare qualche specifica attenzione ai rapporti tra diffusione del cartesianesimo e lotte per la tolleranza.
Ma si deve sottolineare che la grande tradizione anticurialistica napoletana può, per molti versi, essere considerata un capitolo della storia della tolleranza in Europa. Lo
strenuo e tenace sforzo di ridefinizione dei rapporti tra
potere civile e autorità ecclesiastica rivendica la libertas
philosophica contro le inquisitorie censure controriformistiche, utilizzando motivi gallicani e filogiansenisti,
insieme alle esperienze delle lotte olandesi. E Grozio è
autore largamente letto e utilizzato. L’anticurialismo
napoletano è, come si sa, un vigoroso movimento di lotta
politico-culturale, che interviene anche con energia sul
terreno della problematica etico-religiosa, combattendo
la morale gesuitica e la mondanizzazione e politicizzazione della Chiesa.
Esso viene così esprimendo esigenze di riforma religiosa,
che chiedono il ritorno della Chiesa alla pura e rigorosa
disciplina evangelica. Ne è alta testimonianza l’eroico
impegno della vita e delle opere di Pietro Giannone, e la
tradizione giannoniana si radica con forza a Napoli e al
suo interno sono da collocare anche figure di coraggiosi
ecclesiastici, quali Gian Andrea Serrao e Gian Francesco
Conforti, le cui proposte di riforma religiosa si intrecciano con ardite scelte politiche, quale quella del Conforti
che affronterà l’eroica fine dei martiri della Repubblica
Napoletana del 1799; e Vincenzo Cuoco dirà: «Conforti
era il Giannone, era il Sarpi della nostra età...». Del
Conforti andrà anche ricordata l’opera che va comune-
mente sotto il titolo di Antigrotius (1780), nella quale è
discusso criticamente il De imperio summarum potestatum circa sacra dell’arminiano olandese (ma è pure da
segnalare l’importante opera inedita De conciliis oecumenicis). La polemica del Conforti con Grozio contiene
certamente motivi moderati e qualche insicurezza, ma è
nettissima nell’affermare la separazione del potere temporale dal potere spirituale, e ciò, per molti aspetti,
differisce dalle posizioni groziane. Né il Conforti condivide la scelta di una tolleranza accordata a tutti i culti,
nella convinzione che ciò porta inevitabilmente alla
disgregazione politica e civile, ed è alla fine distruttivo
della stessa religione.
Grozio, com’è noto, è invece, insieme a Platone, Tacito
e Bacone, uno dei “quattro autori” di Vico, che nel
filosofo, teologo e umanista olandese coglie «un sistema
di diritto universale», che lo conferma autorevolmente
nella sua fondamentale visione di un’unità del genere
umano, provata sul piano filosofico e filologico. Quindi
Grozio è un “autore” di grande incidenza per la Scienza
Nuova, la quale nello stesso tempo si oppone frontalmente a Bayle, assertore del “pirronismo storico” e dell’ipotesi, per Vico mostruosa, di una “repubblica degli atei”.
Né Vico, convinto della necessità di una forte auctoritas
politica per il governo dei popoli, è d’accordo con le
interpretazioni groziane di Gronovius, fatte, secondo lui,
«più per compiacere a’ governi liberi che per far merito
alla giustizia». Per parte sua il filosofo napoletano auspicava «governi umani», alieni dalle intolleranze e dalle
persecuzioni, e poiché «l’uomo soggetto naturalmente
brama sottrarsi alla servitù», egli auspicava quelle repubbliche «nelle quali pii, sapienti, casti, forti e magnanimi
debellassero superbi e difendessero deboli, ch’è la forma
eccellente de’ civili governi».
La tolleranza, la libertà di coscienza, la laicità sono un
tratto essenziale della vita intellettuale napoletana moderna. Ed è per questo che - attraverso varie proposte e
sollecitazioni culturali - da tempo parte da Napoli l’energico appello a recuperare la grande tradizione morale e
intellettuale europea (e la storia della tolleranza ne è uno
dei maggiori capitoli), la cui attiva presenza è assolutamente necessaria nell’attuale pericolosa crisi mondiale,
in cui riesplodono intolleranze e fanatismo d’ogni genere.
Edwin Rabbie ha svolto nel convegno una relazione
sull’irenismo di Grozio nel contesto europeo, riprendendo il sagace avvertimento: «Nobis modica theologia
sufficit», e quella modica theologia induce a ricordare
che Benedetto Croce, tra lo scherzo e l’ironia, si diceva
parcus deorum cultor et infrequens, che era un’elegante
esortazione alla discrezione interiore e alla sobrietà, di
fronte ai troppo facili ed esibiti commerci con l’Assoluto
o col Divino.
CONFERENZA
Hans Albert
CONFERENZA
In apertura di questo incontro con Hans potrebbe essere sorretta criticamente, parte, e Albert dall’altra, in cui molti
Albert, il secondo di una serie dal titolo: e anche utilmente corretta, attraverso aspetti della forte accentuazione dialetFilosofia tedesca oggi, organizzata dal le tesi di Albert.
tica della Scuola neomarxista di FrancoGoethe Institut in collaborazione con Se prendiamo i primi lavori più impor- forte venivano sottoposti da Albert ad
l’Università degli Studi di Milano, vor- tanti di Albert, che appaiono alla fine una analisi puntuale, e spesso anche spierei cogliere l’occasione per dire alcune degli anni Sessanta, possiamo incontrar- tata e ironica, attraverso una critica che
cose di presentazione dell’opera e del vi una decisa attenzione per quei temi intendeva colpire soprattutto la mitizzapensiero di Albert, i cui testi sono in della Wertfreiheit e del Werturteil, del- zione della totalità della ragione, l’uso
parte già noti al pubblico italiano. Ricor- l’avalutatività del giudizio di valore nel- della dialettica quasi come una panacea
do che già nel 1972 Einaudi pubblicò la le scienze sociali, più che nelle scienze e sostanzialmente la refrattarietà di una
traduzione di un dibattito, e di tutti i dello spirito, che la cultura italiana ave- parte del dibattito filosofico tedesco di
commenti che ne seguirono, tenutosi a va conosciuto attraverso le discussioni lavorare in modo ampio con gli strumenColonia nel corso del Congresso di so- intorno a Weber: un’attenzione quella di ti della logica e di affrontare anche temaciologia. Nel volume che apparve con il Albert che è segnata da un deciso accen- tiche di tipo epistemologico. Va detto
titolo di Dialettica e positivismo in so- to polemico nei confronti di alcuni dei che per certi aspetti alcuni degli sviluppi
ciologia Albert interveniva, in modo po- tratti dominanti della cultura filosofica della Scuola di Francoforte, segnatamenlemico e chiaro, in particolare sulle tesi dell’epoca e che erano i tratti stessi con te di Habermas, hanno poi avuto la predi Habermas, concludendo poi con alcu- cui la cultura filosofica tedesca si pre- occupazione di confrontarsi con dibattiti
ne osservazioni circa l’Introduzione che sentava in Italia. Penso naturalmente agli filosofici a suo tempo ignorati.
a freddo e con un certo ritardo Adorno interventi su Weber, sul problema della Un altro obiettivo polemico, assai preciaveva predisposto per la presentazione Wertfreiheit, sul problema della metae- so, che Albert individua agli inizi degli
del volume. Accanto a questo
anni Settanta è anche il dibattesto, il Traktat über die kriti- In collaborazione con il Goethe Institut tito in teologia; la polemica
sche Vernunft venne pubblicadi Albert contro ogni tentatie l'Università degli Studi di Milano
to nel 1973 da Il Mulino con il
vo di fondazione ultima, di
titolo: Per un razionalismo critotalitarismo di una ragione
tico, e due anni più tardi apparche voglia essere la ratio e
ve anche presso l’editore Arnon appunto l’esame delle
mando la tradu zione di
connessioni tra le azioni umaPlädoyer für einen kritischen
ne, faceva appunto prendere
Rationalismus (Arringa per un
posizione ad Albert, che nel
razionalismo critico). Molto di
1968 aveva pubblicato il suo
recente la “Rivista di FilosoTrattato contro la teologia
fia” ha pubblicato la relazione
moderna e contemporanea,
dell’intervento di Albert al concontro la teologia della demidi Hans Albert
vegno su Heidegger nella cultizzazione, e forse, per certi
tura filosofica europea, tenuaspetti, più contro la teologia
con una presentazione
tosi a Torino nel 1990; un sagdi tipo protestante che non
di Stefano Poggi
gio questo in cui alcune delle
contro quella cattolica, e cotesi heideggeriane vengono vimunque contro ogni forma di
ste alla luce del problema del
modernizzazione del pensielinguaggio. Questo per sottoliro teologico. Questo avvenineare che il pubblico italiano
va in particolare in un testo,
conosce, o potrebbe conosceassai divertente per lo stile
a cura di Riccardo Ruschi
re, alcune delle tesi più imporpolemico, intitolato Teologitanti di Albert.
tica, che costituiscono il documento di sche Holzwege, pubblicato nel 1973, in
Se poi apriamo il Lexikon der philo- una presa di posizione, che in modo cui il teologo Hebeling viene preso in
sophischen Werke, un manuale di testi molto tempestivo, già agli inizi e nella esame a partire da tutte le repliche alle
filosofici della tradizione occidentale prima metà degli anni Sessanta, prende- tesi di Albert e avvicinato per molti aspetpubblicato qualche anno fa da Kroner, va posizione contro alcune delle tesi in ti a quelle che sono le scappatelle dialettroviamo, alla voce Traktat über die kri- via di crescita e affermazione dell’erme- tiche dell’idealismo.
tische Vernunft, un’esposizione delle tesi neutica, cogliendone alcuni aspetti tipi- Negli anni successivi l’attività di Albert
fondamentali di Albert e in particolare ci e cogliendo anche quella che sarebbe è stata anche quella di promuovere la
siamo richiamati dall’enunciazione del stata la capacità dell’ermeneutica di cre- conoscenza della letteratura di tipo epi“Trilemma del barone di Münchhausen”, arsi un largo consenso e un largo pubbli- stemologico, legata alla discussione sulche a sua volta compare come voce dello co.
le scienze sociali di impianto anglosasHistorisches Wörterbuch der Philo- Gli anni intorno al 1968, e fino al 1970, sone. Il volume Theorie und Erfahrung
sophie. Questo per dire che alcune delle sono segnati in particolare dalla parteci- (Teoria ed esperienza), pubblicato nel
tesi del razionalismo critico sono ormai pazione molto attiva di Albert al già 1979 come risultato di un convegno,
entrate a far parte della discussione filo- ricordato Positivismusstreit, la contro- tenutosi nel 1977 a Tubinga, raccoglie
sofica di questo dopoguerra in Germa- versia intorno al positivismo nella so- molti testi in cui vengono discussi pronia, che anche agli occhi dell’osservato- ciologia tedesca. Che per positivismo blemi di fondazione delle scienze sociare non tedesco ha svolto una funzione non si debba qui intendere quello di li, con un’attenzione del tutto particolaassai importante. E dico questo anche in Comte, è cosa nota; bisogna ricordare re per quei contributi di tipo fondazionavirtù di quelle che sono le mie convin- però che questo dibattito, che si prolun- le, ma non filosofico, quindi per i prozioni personali; ritengo infatti che l’at- gò per molti anni, fino a lambire e a blemi di tipo sociologico e psicologico.
tenzione con cui la cultura italiana ha superare l’esplodere degli eventi del Già nel 1971, la polemica di Albert conseguito da tempo le vicende del dibattito 1968, è un dibattito che vide la polemica tro ogni tentativo di fondazione ultima
filosofico tedesco, con un’interesse pre- decisa e chiara tra Habermas, da una era stata decisa, nei confronti di Apel, in
valente per certi aspetti o per certi altri,
un opuscolo intitolato Transzendentale
Le mie concezioni
filosofiche
CONFERENZA
Träumereien (Fantasticherie trascendentali). Qui Apel veniva sostanzialmente
criticato per quella che era l’operazione
tentata e messa in atto nei suoi due grossi
volumi pubblicati da Surkamp, dove veniva operata una connessione tra la cosiddetta pragmatica trascendentale e motivi della filosofia heideggeriana e del
secondo Wittgestein. Questo è un punto
meno noto al pubblico italiano, ma su cui
è opportuno soffermarsi, poiché negli scritti
precedenti, che risalgono fino agli anni
Sessanta, Albert aveva posto l’attenzione
su alcuni aspetti della filosofia del “secondo Wittgestein”, cogliendo le forti diversità rispetto al “primo”, in virtù di un deciso
allontanamento dal programma russelliano, con la conversione verso il problema
linguistico come tentativo di raggiungere
una fondazione ultima: tendenze che si
sarebbero sempre più fortemente manifestate e messe in atto in anni più recenti. Se
queste posizioni di Albert fossero state più
presenti, o avessero circolato di più, avrebbero aiutato a capire l’indirizzo preso da
alcuni aspetti della discussione filosofica,
analogamente a quanto il recensore della
traduzione inglese della Logik der For-
schung (Logica della ricerca) di Popper
scriveva nel ’65 sul “Times Literatur”, che
se il testo di Popper fosse stato letto un po’
prima nel mondo anglosassone certi indirizzi avrebbero preso un carattere diverso.
La polemica con Apel è una polemica
decisa e per molti aspetti illuminante circa
la presenza, nella riflessione di Albert,
della cultura di stampo anglosassone. Alcuni recensori avevano a questo proposito
rimproverato ad Albert una certa anglofilia, un atteggiamento un po' di disprezzo
per il mondo filosofico tedesco. Ma tutto
questo è avvenuto all’insegna di una precisa linea di pensiero, che è quella che vede
Albert opporsi a quella che veniva considerata la nuova ideologia tedesca, rappresentata da una compresenza di temi hegeliani e heideggeriani. Questo tipo di polemica è presente anche nei lavori più recenti, come in quello del 1982, La scienza e la
fattibilità della ragione, fino ad un saggio,
apparso in tedesco su una rivista italiana,
intitolato: “Die Suche nach der Fundament der Erkenntnis” (La ricerca di un
fondamento della conoscenza), in cui viene svolta una critica serrata di Heidegger,
e anche di Husserl, che Albert considera
L
minismo, che a quanto dichiara esplicitamente Albert non solo il
pensiero tedesco, ma anche quella parte della cultura filosofica
italiana che guarda con attenzione alla Germania, potrebbe forse
adottare e mettere in pratica, accettando, o ritenendo non decisivo
quello spirito polemico che a volte ha fatto pronunciare ad Albert
giudizi molto duri, innescando reazioni che hanno in ultima
analisi impedito di leggere e affrontare i problemi posti in
discussione.
a concezione che io sostengo appartiene a quella
direzione filosofica che si suole chiamare “razio
nalismo critico”. Il razionalismo critico fa riferimento ai lavori che Karl Popper ha pubblicato negli anni
’30 e ’40 di questo secolo, soprattutto i suoi studi Logik
der Forschung (Logica della ricerca) e Die offene Gesellschaft und ihre Feinde (La società aperta e i suoi
nemici). Studi scaturiti da un confronto critico con il
positivismo del “Circolo di Vienna”, il kantianismo della
scuola Fries-Nelson, l’hegelianismo, il marxismo e altre
dottrine.
Le versioni oggi presenti del razionalismo critico si
possono raccogliere soprattutto in tre specie: 1) un coerente fallibilismo; 2) un realismo critico; 3) un razionalismo metodico.
1) Il “fallibilismo coerente” sostiene la tesi della “fallibilità della ragione” in ogni ambito: dalla matematica e
le scienze della realtà alla morale, al diritto, alla politica
e alla religione. Ciò significa che per qualsiasi convinzione non vi è “nessuna garanzia di verità” e perciò
“nessun fondamento sicuro”, nemmeno nell’ambito della matematica. Dunque ogni dogma e ogni dogmatismo
deve essere rifiutato. Ogni soluzione di problemi deve
essere considerata ipotetica e dunque, in linea di principio, rivedibile. Questa concezione si contrappone a molte dottrine filosofiche influenti, come quella di Husserl,
di Dingler, della Scuola di Erlangen, di Apel, che sostiene la possibilità di fondamenti ultimi, e a molte dottrine
come conditio sine qua non di certi aspetti
dell’ermeneutica, e della scuola di Erlangen.
Voglio concludere con alcune brevissime
considerazioni sul fatto che uno degli strumenti che Albert ha fornito al lettore interessato a questi problemi è stata una utilissima raccolta, curata insieme a Ernst Topitsch e pubblicata dalla Wissenschaftliche
Buchgesellschaft sul Werturteilstreit (Dibattito sul giudizio di valore): una raccolta
estremamente utile, di oltre 500 pagine, in
cui la vicenda del problema dei giudizi di
valore viene esaminata non solo nei suoi
presupposti filosofici, che al pubblico italiano sono ben noti, ma in riferimento a
molti autori, alcuni noti e altri meno noti,
che affrontano la discussione sul problema
del valore nelle scienze sociali alla luce dei
problemi propri della sociologia, della politologia e della psicologia stessa. E’ una
raccolta di testi in cui le questioni filosofiche vengono affrontate guardando anche,
per alcuni aspetti, se non al punto di vista
applicativo, certo a quello della prassi razionale, alla possibilità di poter essere
davvero uno strumento di “illuminazione”, una ripresa di alcuni motivi dell’Illu-
religiose. Non si tratta tuttavia di “scetticismo”, poiché la
“possibilità” della conoscenza viene mantenuta ferma.
2) Il realismo critico è quella concezione per cui il reale
è in linea di principio conoscibile, anche se in questo ci
si può sempre di nuovo sbagliare. Nella vita quotidiana
ci sono conoscenze pure. Le scienze sono pertanto la
prosecuzione critica, attraverso i migliori strumenti, del
pensare quotidiano. A questo si connette la “consueta
concezione di verità”, secondo cui un’affermazione
“vera” è una “rappresentazione appropriata” di un effettivo stato di cose (cioè di determinati aspetti della realtà).
Si definisce per lo più (fraintendendola) questa concezione come teoria di corrispondenza della verità. Essa
viene oggi spesso criticata, ma io credo tuttavia che la si
possa accettare. Importante è qui distinguere il “concetto
di verità” (cioè il senso della parola verità), che ho
appunto spiegato, da un “criterio di verità”. Con tale
criterio generalmente si è concepito “un sicuro segno”
(indizio) di verità. Molte sono le proposte per definire un
tale criterio: evidenza, coerenza, utilità, e oggi, soprattutto, consenso (il consenso di una collettività comunicativa ideale). Tutti i tentativi di dimostrare un tale criterio
sono naufragati. Perciò non vi può essere nessuna garanzia di verità. In vari modi la questione del concetto di
verità viene scambiata con quella riguardante un tale
criterio. Ma non si tratta di una confusione.
Se ha ragione il razionalismo critico, allora può non
valere la concezione kantiana che arriva a concludere che
la realtà, in quanto è in sé - la “cosa in sé” -, non è
conoscibile. Non ha ragione il cosiddetto “strumentalismo”, una concezione molto diffusa all’interno della
teoria della scienza, secondo cui le scienze della realtà
sono solo “strumenti per il dominio di problemi pratici,
senza alcun “valore di conoscenza” che vada oltre.
3) Il “razionalismo metodico” rinuncia a “fondamenti
CONFERENZA
sicuri” che devono recare una garanzia di verità. Al loro
posto esso pone l’ ”esame critico” di tutte le concezioni
che entrano in questione. Ciò significa che le diverse
proposte di soluzione a relativi problemi di conoscenza
devono essere confrontate l’una con l’altra e valutate
sulla base di determinati criteri, e viene scelta l’alternativa ogni volta migliore. Per le teorie scientifiche vengono in primo piano i criteri circa il “contenuto d’informazione”, “la capacità di chiarimento”, la “conferma empirica”.
Ma la “prassi di conoscenza” delle scienze deve essere
concepita solo come un caso speciale di prassi sociale, in
cui si tratta dello scopo prefissato dell’ ”ampliamento
della conoscenza”, del “progresso della conoscenza”.
Negli ambiti ad essa inerenti della prassi sociale vi sono
altri scopi prefissati, e di conseguenza anche “altri criteri” per giudicare le soluzioni dei problemi, per esempio
nella morale, nel diritto, nella politica, nell’economia e
nei diversi campi dell’arte. Tuttavia qui possono valere i
tratti “generali” di una prassi razionale: analisi della
situazione problematica, confronto delle soluzioni proposte e loro valutazione in rapporto a criteri, scelta della
soluzione migliore.
Questi sarebbero i tre caratteri comuni delle diverse
versioni del razionalismo critico. C’è però un altro punto
importante. In “opposizione” a certe versioni del “positivismo”, il razionalismo critico non respinge la “metafisica” (come “illegittima” o priva di senso). Solo, esso si
schiera per un trattamento razionale anche dei problemi
metafisici e mette in evidenza la stretta connessione tra
metafisica e scienza. Le concezioni metafisiche, soprattutto, rivestono spesso un ruolo importante come “programmi di conoscenza” per discipline scientifiche - si
pensi per esempio all’atomismo -; altre volte, spesso è
possibile criticare concezioni metafisiche sulla base di
risultati scientifici - si pensi per esempio al ruolo della
geometria non-euclidea nella critica del kantianismo.
Per ciò che concerne le scienze della cultura, si devono
menzionare soprattutto “due punti” che collegano il
razionalismo critico alle concezioni di Max Weber: 1) la
soluzione della problematica del valore nel campo delle
scienze sociali; 2) l’accentuazione del significato del
comprendere e della spiegazione che comprende.
1) Il principio weberiano della libertà di valore è stato
spesso frainteso. Weber non ha semplicemente rifiutato
i valori delle scienze sociali. Egli ha piuttosto distinto
nettamente tra; a) valutazioni nell’ ”ambito obiettivo”
delle scienze sociali; b) valutazioni all’interno di “affermazioni” socio-scientifiche (teorie, ecc.); c) valutazioni
nella “prassi di conoscenza” delle scienze sociali.
a) E’ ovvio che le scienze sociali debbano “informare”
sulle valutazioni nel loro ambito obiettivo (cioè le valutazioni della gente, i cui rapporti esse analizzano).
c) E’ ovvio che gli esponenti delle scienze sociali debbano pronunciare giudizi di valore nelle loro prassi di
conoscenza, analogamente come gli scienziati della natura devono valutare i loro problemi, metodi, teorie,
spiegazioni ecc., per poterne scegliere i migliori. Sono
queste valutazioni strumentali, che sono messe in riferimento con lo scopo della conoscenza.
b) Ma “non è necessario” assumere “nelle affermazioni”
giudizi di valore che vengono formulati sugli oggetti,
poiché essi “non aggiungono niente alla conoscenza”.
Contro questa tesi non vi è finora alcuna obiezione
plausibile. C’è però una quantità di “tentativi confusi” di
superarla, come per esempio nell’opera maggiore di
Jürgen Habermas.
2) I filosofi che si sentono in obbligo nei confronti
dell’ermeneutica di stampo heideggeriano e gadameriano, descrivono spesso la situazione come se il razionalismo critico sia diretto contro l’ermeneutica. Ciò è del
tutto fuorviante. Noi sosteniamo spiegazioni che comprendono nel campo delle scienze sociali, poiché si può
spiegare l’agire umano solo se si è compreso il “senso” di
queste azioni. Un tale “comprendere” è un “elemento
importante” nella spiegazione delle azioni. L’ermeneutica come “arte dell’interpretazione di testi” può in questo
rivestire un ruolo importante. Ma essa stessa presuppone
però, in quanto teoria artistica (o tecnologia), teorie di
tipo usuale.
Noi concepiamo dunque il comprendere e l’ermeneutica
nell’ambito di un “programma di conoscenza naturalistico”, che miri a dare spiegazioni. Ciò che critichiamo è
solo la degenerazione dell’ermeneutica sotto l’influsso di
Heidegger e Gadamer, in cui viene abolito lo scopo
originario di comprendere il senso che un autore ha
collegato al suo testo: cioè la moderna “corrotta ermeneutica”.
Anche la scienza dello spirito è secondo le nostre convinzioni una normale scienza “ipotetico-deduttiva”, che può
servire (nella critica delle fonti) a un’ermeneutica come
noi la intendiamo.
Per ciò che concerne la “teologia moderna”, mi sono
sempre espresso in modo critico nei suoi confronti,
soprattutto in rapporto a Bultmann, Ebeling, Küng, Pannenberg, ma anche in riferimento a Schleiermacher. Il
“dibattito sulla demitologizzazione” mostra in modo
particolare, nell’ambito di questa teologia, il ruolo di un’
”ermeneutica corrotta”. Si dà per esempio una interpretazione completamente diversa dei testi biblici, al punto
che essi sembrano adattarsi alla moderna immagine
scientifica del mondo, nascondendo in tal modo componenti essenziali del cristianesimo. Di ciò si fanno partecipi anche quei teologi che sono oggi più amati dal
pubblico, come per esempio Drewermann in Germania,
che dà ad intendere alla gente che egli possieda la fede
cattolica, solo la traduce in un “linguaggio moderno”. La
mia critica alla moderna teologia non significa tuttavia
che io ammetta la teologia ortodossa. Essa contiene
assunti metafisici che da tempo sono problematici.
La critica della religione e della teologia appartiene alla
“tradizione dell’Illuminismo” in cui si riconosce il razionalismo critico. Se oggi i filosofi affermano che l’Illuminismo ha in una certa misura terminato il suo compito, e
che il filosofo può oggi accettare certe religioni, o la
religione in quanto tale, come componente necessaria
della cultura, questo viene reso possibile soprattutto per
il fatto che “non si prende sul serio la religione nella sua
pretesa di verità” e si crede di poterla giudicare sulla base
delle sue “funzioni” - cioè dei suoi “effetti” sulla società
- e per il fatto che anche si tiene conto di questi “effetti”
in modo incompleto. A questa situazione la citata ermeneutica corrotta dà un contributo essenziale. Soprattutto
non vengono presi in considerazione gli “aspetti inuma-
INTERVISTA
Jean-Pierre Faye
INTERVISTA
Il testo di Jean-Pierre Faye, La ragione heideggeriana da giudizio filosofico di- metafisica dà luogo a quella che per Faye è,
narrativa. La ragione dell’Altro, (tradu- venti, “all’indietro”, nei confronti del pas- in senso letterale, una “mitologia filosofizione italiana di A. Atti, Spirali, Milano sato, giudizio storico, e nel contempo, “in ca”: una drammatizzazione, un mythos,
1992) è mosso in prima istanza da un inten- avanti”, giudizio politico.
che racconta una storia di caduta, oblìo e
to “genealogico” nei confronti della ragio- La connessione di giudizio storico, giudi- “non nascondimento” dell’essere.
ne filosofica: la “ragione dell’altro”, cui zio filosofico e giudizio politico emerge La polemica di Faye con Heidegger e con i
allude il sottotitolo dell’edizione italiana, nel progetto, che Heidegger consegna ai suoi discepoli, Jacques Derrida in testa,
rappresenta più precisamente la dimensio- discepoli, “ortodossi” ed “eretici”, di “ol- vuole dunque essere politica proprio in
ne “altra” del concetto, il suo “percorso trepassamento della metafisica”, progetto quanto narrativa, vale a dire “radicalmennarrativo”, quello che fa sì che lo sguardo in cui Faye da una parte scorge il palesarsi te” filosofica. E’ proprio sul livello “rizoconcettuale si costituisca e che, peraltro, di una certa retorica roboante, ma ingenua, matico”, cioè genealogico, che si colloca la
passa in secondo piano rispetto al concetto, e dall’altra il trapassare dell’analisi in una connessione tra politica, pratiche narrative
quando questo si è costituito come tale, sorta di “scenegiatura filosofica”. Il pro- e filosofia. Qui la filosofia incontra il suo
senza cessare, con ciò, di innervarlo. Nella gramma di una Überwindung della metafi- “fondo”, nella sua dimensione di “linguagprospettiva di Faye, il concetto appare come sica appare a Faye retorico, perché equiva- gio praticato”, espressione che in Faye
una sorta di nodo che si costituisce sulla le, nel cammino narrativo da cui nasce la esclude la possibilità di una mitologizzatrama della narrazionalità, in quel momen- metafisica medesima come “cosa”, e fi- zione di un linguaggio stesso, di una sua
to che Faye definisce transformat che è nanche come concetto, ad arrestarsi o a ipostatizzazione. Soggetto non è il linguag“dentro” e “fuori” dalla narrazione medesi- tornare a uno stadio storico precedente a gio, il logos, l’essere in quanto connotato
ma: il concetto sorge infatti fuori dalla quello raggiunto. La sovrapposizione di come “altro”; lo sguardo narrazionale di
dimensione narrativa, per certi
Faye sfugge al rischio, talvolta
versi le si contrappone; ma d’alpresente in prospettive ontoloIn collaborazione con
tra parte è un elemento della
gicamente orientate alla ricerca
l’Associazione Psicoanalitica Italiana
narrazione da cui proviene e che
di fondamenti, di una mitizzacontribuisce a far proseguire.
zione dell’alterità. L’etica del
La figura di Heidegger riceve
linguaggio rimanda invece aluna particolare attenzione nell’ethos come categoria attinente
l’opera di Faye, proprio in quanal soggetto umano in quanto stoto paradigmatica dell’intreccio
rico e in quanto storicizzante; da
tra filosofia e narrazione, metaconsiderarsi cioè al contempo
fisica e storia. La tesi heideggecome oggetto di una narrazione
riana della Vergessenheit des
e come io narrante. Di contro
Seins, dell’oblìo dell’essere, conalla pretesa a un surplus di “orisiste in una censura operata dalginarietà” spesso insita nei tenla filosofia nei confronti della
tativi di fondazione ontologica
un'intevista a Jean-Pierre Faye
propria storia, cioè della narradell’esistente, e contro il decozione; è il punto di vista, già
struzionismo antiantropologico,
hegeliano, della verità come conla prospettiva di Jean-Pierre Faye
cetto, che contrappone la verità
può dunque essere definita
medesima alla narrazione.
“umanistica”, nel rivendicare la
La censura heideggeriana agicentralità del soggetto umano
sce in due sensi: nei confronti
non in quanto mero latore di
del “passato”, con l’oblìo delun’istanza che lo trascende, ma
l’origine narrativa del concetto
come unico e concreto punto di
a cura di Flavio Cassinari
e nei confronti del “futuro” del
vista da cui le domande si ponconcetto, del suo essere parte di una “sto- una considerazione storico-cronologica (e gono: «cosa senza cui non possiamo parlaria” cui esso è consegnato. Proprio la di- dunque, malgrè Heidegger, ontico-fattua- re», come direbbe Foucault.
mensione narrazionale, e in forza di ciò le) all’analisi ontologica sottesa all’intento
“storica”, della filosofia fa sì che la censura programmatico di oltrepassamento della
Ragione narrativa
e filosofia
P
rofessor Faye, il suo tentativo di determinare
l’elemento essenziale della filosofia tramite la
nozione di “ragione narrativa”, colloca, apparentemente, il problema nei termini dell’ esposizione” di
“contenuti” della ricerca filosofica. A questo proposito
vengono individuati tre paradigmi: quello “cristallografico”, dove ciascun nodo concettuale rimanda ad un
punto di sfaldatura, in modo che si dia un multiversum
di letture; quello della “messa in sequenza” elicoidale;
quello dell’”espansione galattica”. Fino a che punto
questi tre paradigmi si complicano e riguardano non
l’”esposizione” pura e semplice, ma la “cosa del pensiero”?
Sono tre “analogie”, tentativi di descrizione di un percorso compiuto. Esse riguardano sia la struttura dell’esposizione concettuale attuata dal discorso filosofico, sia il
suo procedere storico, sia, infine, il suo stesso costituirsi;
questi tre aspetti sono inestricabilmente connessi. Il
primo paradigma, quello “mineralogico”, tra forme di
cristallizzazione e piani di sfaldatura delle stesse, riflette, a mio parere, il rapporto intercorrente fra il livello
narrativo e quello filosofico, ovvero concettuale. Questa
relazione si sviluppa, però, con un movimento che mi
pare descrivibile come struttura elicoidale: un movimento che ritrova, cioè, le medesime “forme di cristallizzazione”, le medesime configurazioni concettuali, in momenti differenti e successivi. Vengono dunque riprese, a
livelli e da prospettive diverse, le medesime questioni.
L’evolversi della riflessione di Martin Heidegger per un
verso, e la connessione - in questi tutt’altro che estrinseca
- tra riflessione filosofica e prese di posizione politiche,
per l’altro, sono a questo proposito un’esemplificazione
eclatante di una ripresa del medesimo problema a stadi
INTERVISTA
diversi, e su piani diversi. Mi sembra che la struttura del
Purgatorio, nella Commedia dantesca, che è il momento
più problematico e più paradigmatico del cammino umano,
possa dare l’idea del procedere elicoidale, che avviene più
per “balze”, che per “scalini”. Ma anche le strutture elicoidali dello ziqqurat sumero e di quello babilonese, dove il dio
scendeva sulla terra e l’uomo saliva per scrutare il cielo,
sono una sorta di paradigma del pensiero narrativo, della
“via alla conoscenza” primitiva, di quella dimensione originaria del lògos che Heidegger cercava nei presocratici. E
così pure, con un altro riferimento ben estraneo alle tradizioni in cui Heidegger cerca l’ ”originario”, si può ritrovare la
struttura elicoidale nel minareto abasside, sempre in quella
regione che è la culla della cultura semitica. Questo per ciò
che riguarda il paradigma della “messa in sequenza” elicoidale, che però rimanda esso stesso alla terza analogia, che
esemplifica il rapporto tra pensiero narrativo e pensiero
concettuale.
Prima ancora che sul piano scientifico, che l’ha verificata, la “teoria del cielo” di Kant è valida su quello
filosofico: siamo parte della “via lattea”, anche se queste
stelle non sono più, per noi, il latte di Giunone. Il
movimento a spirale stesso dà luogo a un processo
centrifugo, dove le cristallizzazioni concettuali della
narrazione si fanno sempre più lontane le une dalle altre
e rimandano a un movimento espansivo. D’altra parte,
fra questi tre paradigmi del rapporto tra pensiero narrativo e concettuale, il primato spetta a quello della “sequenza a spirale”, proprio per il fatto che è esso stesso ad
animare gli altri due, quello cristallografico e quello
“espansivo”. Il paradigma della spirale attiene alla questione del farsi reale del discorso, del suo diventare
processo storico: quel momento sfuggente nella sua
inoggettivabilità, in cui il discorso diventa evento storico, la narrazione realtà effettiva. La pallottola che uccide
Robespierre è certo la realtà che irrompe nel suo discorso, è il “farsi reale” del discorso stesso; i discorsi che egli
ha già pronunciato, e quello che sta pronunciando, diventano parte di quella realtà. Ma, da un altro punto di vista,
questa pallottola è meno reale di quel discorso che, in
senso proprio, la produce, ed è dunque essa stessa a
essere parte di quel discorso. Il problema che ho tentato
di mettere a fuoco è quello del punto in cui lo snodarsi del
discorso, senza riguardo al suo essere “discorso del
pensiero”, diventa evento, storia; il momento cioè, in cui
il discorso diventa realtà. Ma neppure il movimento che
ho esemplificato con la sequenza elicoidale, il più importante dei tre, attinge a qualcosa che sia definibile come
“la cosa del pensiero”. Il pensiero si colloca piuttosto
nello scarto, nella distanza fra il processo del linguaggio
e quello del reale, o meglio, dei “reali”, cioè di quella
pluralità di realtà alla quale tentiamo di attingere attraverso l’attribuzione dei nomi.
A questo proposito la figura di Heidegger, almeno come
punto di riferimento polemico, è per Lei rilevante, in
quanto paradigma dell’intreccio fra metafisica e storia
da un lato, riflessione filosofica e pensiero narrativo
dall’altro. In che modo il discorso narrativo costruisce
qui storicamente il proprio oggetto e la metafisica diventa politica? In che modo dalla tesi dell’oblìo dell’essere
nella metafisica si arriva all’idea della necessità di un
riscatto storico nell’impegno politico?
Con la tesi della Vergessenheit des Seins, dell’ ”oblio
dell’essere”, Heidegger si inventa una sorta di peccato
originale filosofico. Smentirlo, riguardo al pensiero greco, è fin troppo facile; basterebbe pensare alla distinzione aristotelica fra l’eìnai, l’infinito del verbo essere, e
l’òn, l’ente; anche se spesso nelle lingue moderne la
differenza specifica non è salvaguardata e Heidegger ha
certo ragione nel ribadirla. Anche nel Medioevo latino,
che Heidegger conosce bene e che pure rifiuta per ragioni
più spiegabili con la sociologia, che non con la filosofia,
la nozione di “essere”, anche in un “antifilosofo” come
Bernardo, è ben focalizzata; così pure in un altro pensatore collocato all’estremo opposto del Medioevo, Pico
della Mirandola. La “differenza ontologica” è poi riconosciuta anche nel pensiero arabo, che fa parte della
storia della filosofia allo stesso titolo del pensiero tedesco e di quello greco, o della rivoluzione galileiana.
Credo che la nozione di “filosofia occidentale” sia priva
di senso: in fondo, la “filosofia greca” propriamente
detta si estende per un arco di 50 anni, mentre il pensiero
arabo lavora per circa quattro secoli sui testi greci, e
questo lavoro viene poi consegnato al cosiddetto “Occidente”. La Vergessenheit, l’oblìo, la censura è quella
operata da Heidegger nei confronti di queste tappe del
pensiero - per quel che riguarda gli Arabi, più che di
censura bisognerebbe forse parlare di ignoranza. Ancora, la censura heideggeriana investe tutto il pensiero
ebraico, che fino a Spinoza, per il quale le idee sono
«nient’altro che narrazioni mentali», consiste in una
meditazione sulla narrazione (Haggada) che si sviluppa
attraverso narrazioni, mostrando in questo la sua differenza dal pensiero arabo, che rielabora concettualmente
i problemi sollevati dalla grecità. Come la nascita di
quella greca, anche quella della filosofia ebraica consiste, non solo in senso traslato, in un’ ”uscita dalla
schiavitù”; diversa è però la strada scelta: quella della
narrazione in un caso; quella dell’idea, dell’eidos, nell’altro. I due percorsi si intrecciano nel Medioevo latino,
che cresce attorno al ripensamento concettuale del testo
narrativo ebraico, la Bibbia; questo rimandarsi è l’altra
faccia dell’antinomicità, che pure è reale, del pensiero
ebraico e di quello greco. Dunque, la vera Vergessenheit,
l’oblìo, la censura, non è quella di queste tradizioni di
pensiero nei confronti dell’essere, ma quella di Heidegger nei confronti di queste stesse tradizioni; censura che
diventa, con l’antisemitismo, una “rimozione” politica,
storica.
Dalla sua impostazione risultano quasi rovesciati i termini del dibattito attuale sul rapporto fra Heidegger e il
nazionalsocialismo: non si tratta più di chiarire l’eventuale relazione determinante tra la filosofia di Heidegger
e le sue prese di posizione politiche, ma di chiarire
alcune “svolte” teoretiche con la necessità di giustificare l’impegno politico, che si caratterizza come superamento della metafisica e del nichilismo. C’è una “volontà politica” che indirizza la speculazione “metafisica”?
INTERVISTA
E’ dal legame stesso fra metafisica e nichilismo che
affiora una volontà politica in questa gestione dell’omissione, della censura, della dissimulazione. In effetti non
si tratta più di interrogarsi sulla “possibilità” di una
relazione in Heidegger fra la posizione politica e il
discorso filosofico. Si tratta invece di cogliere in che
modo la Kehre, quella “svolta” alla quale egli stesso
allude in modo oscuro, sforzandosi di farla risalire a
conferenze non pubblicate del 1930 o del 1931, nasca in
connessione del contrasto nei confronti di coloro che
avevano affiancato Heidegger, nel primo anno dell’avvento del Terzo Reich, e che nel 1934 gli si erano rivoltati
contro, negandogli la qualifica (allora di uso corrente) di
“filosofo del nazionalsocialismo”. Da questo punto di
vista, la Bekenntnis zu Adolf Hitler (Riconoscimento di
Adolf Hitler) del 1933 si sviluppa in termini più complessi, ingarbugliati e drammatici nella Einführung in
die Metaphysik del 1935. Le due opere fanno parte della
medesima drammaturgia politico-filosofica, dove “pensiero dell’essere” e “verità interna del movimento” (nazionalsocialista) sono inscindibilmente connesse.
La volontà politica sembra essere all’origine anche
della polemica “antiumanistica” che, dopo Heidegger,
guida il cammino di alcune correnti del pensiero francese.
Anche la questione dell’ ”umanesimo” va riportata a
quel legame e al momento di “grande pericolo”, come
Heidegger lo definisce, intervenuto a seguito degli attacchi che gli provenivano dall’interno del Partito. Ma
anche a questo proposito non c’è affatto, da parte di
Heidegger, un tentativo di risolvere la questione; c’è al
contrario la dissimulazione dell’elemento essenziale del
problema con quella che può ben essere definita una
“grossolana confusione”.
Ancora una volta è Krieck, il carnefice filosofico di
Heidegger, a denunciare violentemente quello che egli
definisce “il tempo dell’umanesimo”. Possiamo udire
l’eco di questo linguaggio nella risposta heideggeriana
alle questioni poste da Jean Beaufret nel 1946. Quando
Beaufret interroga Heidegger sull’umanesimo, egli in
ciò è debitore della scoperta, negli anni Trenta, del
linguaggio del giovane Marx, che definiva la propria
posizione riferendosi precisamente alla nozione di Humanismus. Ciò che Heidegger ancora una volta misconosce è la vera origine di tale nozione, sulla base della
quale, nella seconda metà dell’Ottocento, viene coniato
il neologismo francese humanisme. L’appellativo umanista appare invece a partire dal 1539 a proposito di
Giovanni Pontano; in Montaigne esso designa l’opposto
di “teologo”, e viene ammesso nei dizionari francesi a
partire dal 1718. Questo termine sta ad indicare un
movimento di pensiero originario dell’Italia; un movimento che riassume tutto ciò che viene implicato dal
termine Rinascimento, tutto ciò che viene scoperto dai
Francesi alla fine del XV secolo. Dalla parte del termine
“umanista” c’è dunque il pensiero italiano rinascimentale; da quella del termine “Umanesimo” ci sono Arnold
Ruge e i repubblicani radicali, Heinrich Heine, Karl
Marx, Friedrich Engels e quei filosofi e poeti tedeschi
immigrati in Francia, che nel 1844 preparano a Parigi il
numero unico degli Annali franco-tedeschi. Da una parte
c’è la rottura con la scolastica medioevale, dall’altra la
problematica posthegeliana da cui prende le mosse la
riflessione di Marx; in entrambi i casi, non ha nulla a che
fare con quell’imbelle ideologia a cui Heidegger dichiara
guerra. E poi si tratta di livelli di riflessione fra loro quasi
altrettanto lontani quanto la “metafisica” e il “nichilismo”. L’amalgama concettuale creato da Heidegger è,
anche qui, il frutto di una strategia politica ben precisa.
Qual è, infatti, il significato di ciascuno di questi due
momenti della riflessione? Quello in cui appare la nozione di Humanismus segna la nascita della “critica dell’economia politica”, con l’apparizione sulla scena del
“mercato”, nozione oggi più attuale che mai nel contesto
dell’odierna economia di mercato. Il momento a cui fa
riferimento la nozione di umanista è invece quello della
critica linguistica, dell’attenzione nuova nei confronti
dell’aspetto letterario dei testi, della riscoperta dei manoscritti nelle lingue originali: quella greca, per la quale
Heidegger ha un rispetto quasi religioso, ma anche quelle
ebraica e araba. Il punto cruciale non è qui l’acquisizione
di una dimensione originaria del linguaggio, bensì la
“pratica di mutuo scambio fra le lingue” e le trasformazioni semantiche che si verificano in questo scambio. Lo
stesso rapportarsi della nozione italiana di umanista a
quella tedesca di Humanismus, all’interno della lingua
francese, è un esempio di questo scambio. Ma nel fin
troppo celebre Brief über den Humanismus (Lettera
sull’umanesimo) del 1946, con la sua rituale invettiva nei
confronti del “malinteso senso filantropico”, ciò che
emerge è solo una delle fonti narrative della pedagogia
“nera”.
Lei sembra avversare l’idea di un programma filosofico
proposto nei termini di una definizione, sia essa il
“pensiero dell’essere”, l’antiumanesimo, o il “superamento della metafisica”. Se il significato del “fare filosofia” è operativo, come si caratterizza quel coniugarsi
di narrazione e concetto da Lei definito transformat?
Fare filosofia, o piuttosto “ripensare filosoficamente”,
consiste nel comprendere in che modo scritti come la
Einführung del 1935 o il Brief über den Humanismus del
1946 siano anche la “messa in narrazione” del dialogo
heideggeriano con quel potere politico nei cui confronti
Heidegger ha pronunciato la sua professione di fede, la
sua Bekenntnis (Riconoscimento), presentandolo come
«un tornare verso l’essenza dell’essere». Ecco ciò di cui
“oggi” deve chiedersi la filosofia: la narrazione agente di
questa volontà heideggeriana di «trasformare dall’interno il nazionalsocialismo», come Heidegger l’ha intesa
nel dopoguerra. E’ qui che occorre scorgere la nuova
“rivoluzione copernicana”. Non è semplicemente una
filosofia che tutto a un tratto si interessa alla narrazione,
ma è l’operazione narrativa che coglie l’essenza problematica della filosofia e definisce l’ambito in cui essa si
muove, senza il quale la filosofia non sarebbe che un
astro solitario. L’evoluzione del pensiero di Copernico,
compiutasi fra Cracovia e Padova, è divenuta un nuovo
evento filosofico con Galileo, e nello stesso modo deve
INTERVISTA
riproporsi ancora, su un altro terreno. Pensare il transformat, consiste nel tematizzare l’evento di questo riproporsi. Il transformat è l’operazione attraverso cui il processo
narrativo si trasforma in concetto; il suo evento archetipico è la genesi della scrittura. Questo è il primum,
l’inizio del processo narrazionale, che è però del tutto
interno al processo stesso, senza il quale non si dà
filosofia. Il transformat vive nel processo narrativo che
si snoda nel linguaggio, che “è” il linguaggio, che conduce dalla narrazione all’evenire del concetto. Questo
pensiero del transformat è un lavoro che, per quanto mi
riguarda, è ancora da compiersi; in questa mia ultima
opera, che copre solo i due terzi del cammino che conto
di percorrere, vi accenno soltanto. Il transformat si
individua localizzando il momento in cui l’epiteto democratica, attribuito ad Atene con valenza dispregiativa per
sottolineare quanto ci fosse di risibile nell’attribuzione al
démos del kràtos, cioè di quella che era la prerogativa del
principe o dei “migliori”, diventa un concetto, quello di
“democrazia”. Il cambiamento avviene con la “rivoluzione” di Clistene, attuata con l’appoggio di «stranieri e
meteci», stando ad Aristotele; esso sopravviene nel momento di una difficoltà, di una aporìa concettuale, come
precisa Aristotele stesso. Questa aporìa filosofica decisiva, Heidegger non la può cogliere; per lui ancora nel 1976
la democrazia non era una soluzione soddisfacente al
problema della “tecnica”, mentre era stata una soluzione
«abbastanza soddisfacente» il nazionalsocialismo... In
modo analogo, nel corso del lungo sforzo discorsivo
heideggeriano, la svista narrativa di Ernst Krieck si
trasforma nel “concetto” di “nichilismo metafisico”;
anche qui è compito dell’indagine filosofica cogliere il
transformat aberrato e perso nella trappola heideggeriana.
Un cammino orientato, dunque, nella direzione di una
“filosofia narrazionale”, di cui Spinoza appare una
tappa decisiva, forse anche attraverso la mediazione di
Deleuze...
C’è una vicinanza impressionante fra Deleuze e lo Spinoza dei Cogitata del 1663, soprattutto quando il primo
sottolinea di Nietzsche il vigore espressivo e concettuale,
che «presenta le idee come eventi». A mio parere la posta
messa in gioco da Nietzsche si colloca in una terribile
contraddizione, quella fra la terza parte dello Zarathustra, che culmina nel “siate duri” delle Nuove tavole, e i
passaggi sull’unità europea, sulla sua unione amministrativa, in correlazione con il “partito degli oppressi”, il
“partito della pace”, liberato «dallo spirito di vendetta e
di risentimento». Qui si scorge il senso operativo del
concetto di Wille zur Macht: non volontà della potenza,
ma volontà di contribuire alla potenza. Non la potenza
fine a sé, ma finalizzata a questo surplus di potenza di
vita. In questo senso il partito degli oppressi, il grande
partito, liberato dal risentimento e dalla vendetta, ci mette
a disposizione “il processo narrativo che opera al cuore di
questo concetto problematico”, che possiamo d’ora in
poi chiamare “volontà di potenza”. Qui comincia il
cammino verso la filosofia narrazionale: «il libro mi ha
raccontato cosa gli è accaduto». Non si tratta più di sapere
se si sia o non si sia “nietzscheani”, ma di acquisire un
altro sguardo e un’altra distanza rispetto al percorso
narrativo e alla trasformazione concettuale.
Operazione analoga a quella compiuta per la “volontà di
potenza” va intrapresa nei confronti della nozione di
metafisica. Misurare l’evento costituito dal titolo del
testo di Averroè del 1190 non vuol dire un ritorno alla
“metafisica” o al suo contrario, l’”umanismo”; significa
invece essere in grado di valutare l’inganno del 1935.
L’indagine sul transformat raggiunge risultati più eclatanti nelle forme aberrate di quest’ultimo. Ma ciò che è
decisivo è trovare una nuova misura, in grado di padroneggiare maggiormente l’esplicarsi del transformat stesso.
Può chiarire il senso della sua proposta, a sfondo “pratico”, non di un metalinguaggio, come Lei dice, ma di un
“linguaggio praticato”, e quella di un’”etica del linguaggio”?
Quando propongo un’ ”etica del linguaggio” non intendo, evidentemente, il termine etica in un senso prescrittivo, o comunque vicino a quello consegnato dalla tradizione filosofica, ma in un senso che fa riferimento
piuttosto all’accezione greca. L’indagine relativa all’éthos del linguaggio riguarda il fatto che il soggetto e i
concetti siano costituiti da modelli e da pratiche linguistiche; l’indagine critica relativa a questo costituirsi, e a
questo modellarsi, penso che ai nostri giorni possa essere
un obiettivo “etico”. “Etico” in questo senso è qualcosa
di vicino a quella “responsabilità simbolica” che Thomas
Mann attribuisce allo scrittore, dove il “simbolico” struttura, “informa”, la totalità del reale. Il carattere “critico”
di questa indagine “etica” consiste nel tentare di definire
lo scenario in cui agiscono le forze che costituiscono e
modellano i soggetti; dove “scenario” è precisamente la
“messa in scena” di queste forze, la marxiana “scena del
mercato”, o la “scena” di Freud. La “critica” è la “messa
in scena” narrativa di ciò che è in cammino per diventare
concetto filosofico, è l’attenzione al momento della
krìsis, della cristallizzazione e della sfaldatura per nuove
cristallizzazioni. In questo senso questa “etica” è, al
tempo stesso, una “critica”.
Se la Sua “etica del linguaggio”, come critica “operativa”, esclude dunque l’idea di un “oltrepassamento
della metafisica”, il progetto di poter giungere a un
“fuori” della metafisica stessa, di potersi collocare
“fuori” dal processo narrativo dal quale scaturiscono i
concetti filosofici, cosa significa «uscire dalla filosofia
narratrice, denudandone il processo narrazionale»?
Uscire dalla filosofia narratrice significa “visitare” con
essa la propria “narrazione”, rendersi conto che essa non
parla solo di se stessa e dei suoi “personaggi concettuali”, come direbbe Deleuze, ma parla di altro, anche
quando non sembra, e anche a sua insaputa. Così la
filosofia greca parla di schiavitù e di democrazia, e
Heidegger del Terzo Reich, della “verità intrinseca del
nazionalsocialismo”. Lo stato di non consapevolezza di
questo “altro”, di cui la filosofia parla nel suo processo
narrativo, è ciò da cui occorre uscire con l’aiuto della
filosofia stessa, in modo che essa metta in questione di
questo processo ciò che esso dice senza dire. Siffatta
PROFILO
R
icordare Emilia Giancotti. Non ho potuto, e non una vicenda che meriterebbe di essere raccolta e raccono tata, ma non è il caso qui. Il poco che ho detto vuol dare
voluto, dire di no. Ma sono sconcertato, e non so un’idea di quello che Emilia, giovane insegnante, trovò
cosa mi riuscirà di dire. E’ l’ultima cosa che avrei a Urbino: ne fece la sua casa, e intendo l’Istituto e la città
mai potuto immaginare. So poco di lei. Eravamo amici, - soprattutto la città, dove poi decise di abitare in un
ci si vedeva regolarmente da tempo - cene, lavori, libri, minuscolo delizioso edificio del centro storico, affacciaproblemi comuni, della città e dell’Università, anche to a un giardino, sulle mura, rivolto all’Appennino, a
quando me n’ero andato a Milano. Correva stima e ponente. Negli ultimi anni si era quasi esclusivamente
affetto reciproco, e non so bene perché. Forse lo sapeva concentrata nel suo lavoro (una nuova edizione delle
Montaigne: perché lui è lui, e io sono io. Forse, come in opere di Spinoza) ma insieme aveva coltivato ampie
qualche altro, pochi casi, il legame si annodava intorno relazioni internazionali (con l’organizzazione di due
a Urbino, questo strano stupendo centro metà città metà grandi congressi, su Spinoza e Hobbes, nel 1982 e nel
borgo selvaggio, dove entrambi avevamo scelto di vive- 1988, con la pubblicazione degli atti presso Bibliopolis,
re, ricco di fascino e di amarezze insieme: «la nemica rispettivamente nel 1985 e nel 1992). Un tratto spinoziafigura che mi resta [...]/la sua crudele festa/quieta fra le no.
mie ire» - ancora oggi, così come la vide e sentì il giovane
Volponi.
Emilia Giancotti era nata a Reggio Calabria il 24 ottobre
Emilia era arrivata a Urbi1930. In un incontro a Urbino da Roma alla giovane
no su: Donne all’UniversiFacoltà di Lettere a metà
tà, ha voluto ricordare che
degli anni Sessanta, fresca
la sua famiglia, non di inteldi libera docenza, incaricalettuali, tenne molto alla forta di Storia della filosofia
mazione culturale sua e dei
moderna e contemporanea
fratelli. Aveva studiato a
(dal ’75 sarà ordinario alla
Roma, e seguito Ugo Spiristessa cattedra); l’amico
to. Il quale, come il suo
Carmelo Lacorte era già qui,
maestro Gentile, «rispettal’aveva preceduta di poco
va molto la libertà indivinegli studi e nella carriera.
duale e ci sollecitava tutti a
L’Istituto di filosofia della
procedere autonomamente
di Livio Sichirollo
Facoltà di Lettere (che porsulla strada della nostra rita il nome di Arturo Massocerca»: così Emilia teneva a
lo, un autentico maestro,
ricordare il suo professore.
uomo eccentrico e di straSi laureò nel 1953 con una
ordinaria intelligenza e cultesi sul concetto di progrestura) ebbe subito una colloso nella filosofia di Croce:
cazione atipica nella tradiprogresso, ragione, libertà,
zione dell’Università urbilumi - già un tema spinozianate - di rottura, si diceva
no. La vita di ciascuno di
allora: apertura all’esterno; cultura e politica che si noi cresce - se e quando cresce - sulle proprie radici, di
scambiavano le parti; sensibilità ai problemi della città e solito a lungo inconsapevolmente; talora se ne ha codella regione - e non tutti erano d’accordo, evidentemen- scienza tardi, talora troppo tardi. Non così Emilia. Nel
te. Nella confusione dei tempi (ma i tempi sembrano decennio 1963-1972 si presenta in pubblico come uno
sempre confusi - pochi, come Spinoza o Hegel, sanno studioso formato, sicuro dei propri mezzi e dei propri
vedere chiaro) l’Istituto cercò di portare la contestazione obiettivi: una rassegna, Nota sulla diffusione della filoall’esterno, di uscire dall’Università, sollecitare i conflit- sofia di Spinoza in Italia (GCFI 1963, n. 3); una prova su
ti esistenti (un’economia povera, studenti passivi, una un testo: traduzione e commento (con A. Droetto) del
società locale sostanzialmente indifferente) sui quali Trattato teologico-politico (Einaudi 1972); l’opera che
riposava la buona (e in parte cattiva) coscienza sia dei fece di lei “la spinoziana” - il Lexikon spinozanum (M.
Partiti di sinistra al Comune, sia all’Università. Questo Nijhoff 1970, 2 voll.): un lavoro impressionante, artigiami colpì (ero al Magistero). Feci una certa fatica a capire nale, prima che venissero sfornati lessici e concordanze,
tali atteggiamenti. Sostenevo (ero anche al Comune), magari relativi ad ambiti microscopici, quindi del tutto
come altri, l’unità di città e Università, e ne ho anche inutili, ad opera di quegli stupidissimi computer, che
scritto. Da tempo riconosco che si trattava di un mito, fanno la gioia dei bambini e del generale Schwarzkopf.
nebuloso ed ambiguo, e lo debbo anche a loro, a Lacorte Non sono un lessicografo. Utilizzo da sempre quel lessicon il quale ebbi dure discussioni, e a Emilia, più pacata co, con profitto. I suoi limiti, le sue incertezze e improma tenacissima, che mi raccontava delle sue difficoltà e prietà o manchevolezze, che certo ci sono, sono il segno,
dei dibattiti che sosteneva nelle varie sedi.
credo, della presenza dell’intelligenza del suo autore.
L’Istituto e questi suoi rappresentanti, la loro vita intensa Non so cosa ne pensino gli specialisti. Sarebbe interese talvolta contraddittoria e disordinata, non erano né sante oggi studiarlo bene proprio alla luce delle più
popolari, né amati, né dentro, né fuori dell’Università. E’ recenti esperienze.
h
Ricordo
di
Emilia Giancotti
PROFILO
Intanto, come ho detto poco sopra, Emilia, approdata a classici? Ho già ricordato i due congressi internazionali
Urbino, vi aveva percorso tutta la sua carriera, e aveva spinoziani di Urbino e i relativi atti, e il coordinamento
diretto a lungo, dopo la morte di Lacorte, l’Istituto di del gruppo di ricerca per la nuova edizione di Spinoza.
filosofia. Non era venuta meno la fedeltà a una certa linea Altre mani, dobbiamo augurarcelo, raccoglieranno ora
e impegno politici. Vorrei ricordare almeno, fra le tante questa ricca messe.
iniziative, i due convegni internazionali: “Mao, storia e Parlare di Giancotti e parlare di Spinoza fa tutt’uno. In
politica dieci anni dopo” (1986) e “L’età dello stalini- effetti nel suo lavoro e nelle sue relazioni andava sempre
smo” (1989). Aderì subito alla proposta - e questo è più rassomigliando al suo autore: scomodo, eretico, ateo,
tipico della sua sensibilità - di presentare ai detenuti del morale (come ha notato Alfonso Iacono) - attivo restancarcere di Turi il libro di Aldo Natoli, Antigone e il do ai margini (aggiungo io). E come Spinoza amava la
prigioniero sulla vita di Gramsci in quel carcere (marzo vita. Lo sa chi l’ha vista preparare una cena per gli amici,
1991). Ma in sostanza l’attività di Emilia andava vieppiù bere vino di campagna, ballare con eleganza e sicurezza
stringendo il cerchio attorno a Spinoza. E il risultato era, una sera al termine di un convegno (ce lo ricorda Jacquecome ci si doveva aspettaline Lagrée), discutere
re, un approfondimento e
con convinzione e tenaa un tempo un allargamencia non solo di filosofia.
to di orizzonti. La sua
Ci ha lasciato il 31 magcompetenza era universalgio scorso, distrutta in
mente riconosciuta.
pochi mesi da un tumoNon è questa la sede per
re.
una bibliografia (se sono
Il 4 luglio abbiamo porbene informato vi sta latato le sue ceneri nel picvorando l’Istituto, che cucolo cimitero di Maciolrerà una raccolta dei suoi
la, un luogo splendido
scritti sparsi). Vorrei riimmerso nelle colline e i
cordare però alcuni suoi
boschi a un passo da Urlavori, proprio i più noti,
bino, vicino a una vecma anche i più significatichia casa di amici. Dunvi di un modo di lavorare
que, in fine, ancora Urbiche bada alla cosa (per
no. Pochi i presenti. I fadirla con Hegel) più che
migliari, gli amici, alcualla propria fama nel monni giovani, qualche studo (per dirla con Gadda).
dente, il personale delIl piccolo Spinoza 1632l’Istituto, niente accade1677, uno dei più riusciti
mia, nessun cerimonia“Libri di base” degli Edile. Come sempre. Il solitori Riuniti (1985):
to vento del Montefelun’esposizione piana di
tro, genius loci; il cielo
una filosofia non certo
profondo, tersissimo, e
semplice, e base dell’intenuvole bianche in corsa.
ro pensiero moderno; una
E le parole di saluto lette
storia giustamente ampia
da due giovani colleghi
della fortuna del filosofo
amici. Una citazione di
Spinoza. Dall'Opera Posthuma (1677)
dai dibattiti contemporaSpinoza, qualche poesia.
nei ai più recenti studi che
sembrano delineare una rinascita, attraverso l’Illuminismo e l’incendio del Romanticismo, dell’idealismo tede- «Il fine al quale tendo è questo: acquistare la conoscenza
sco e della sinistra hegeliana. Talora affiora nella breve dell’unione che ha la mente con tutta la natura. Fa parte
monografia il taglio politico (e non solo per l’osservazio- della mia felicità anche l’adoprarmi perché molti altri
ne, forse un po’ ingenua, che il nome di Spinoza ricorre l’acquistino insieme a me.
ancora negli ambienti operai di Amsterdam). Ma c’è n’è L’uomo libero non pensa alla morte. La sua sapienza è
bisogno, a mio avviso, per ricondurre sulla terra le menti meditazione non della morte, ma della vita.
di tanti nostri pensatori che volano alto. Poi la sua Che l’uomo viva della natura vuol dire che la natura
traduzione dell’Etica (presso lo stesso editore, nel 1988): è il suo corpo, con cui deve stare in costante rapporto
un ricco apparato di note, erudite solo quanto basta, per non morire.»
attente alle fonti, ma, proprio qui, rivolte a sostenere
l’originalità e la novità di quel pensiero, fanno di questo «La pioggia illumina/ il dietro della casa/ il riapparire
commento un esempio da seguire: delucidazione e com- del sole/ lo riuscura/ rimuovevano armadi/ come tuoni»
prensione del testo, non chiose a riprova dell’interpreta- (Ercole Bellucci, da Il ballo del Sanvito, 1985).»
zione del commentatore. Quanti sono nella nostra lingua
i veri commenti filosofici e storici delle grandi opere dei «Non scelsi mai la strada/ più battuta, ma accettai il fato/
nel suo inganno di sempre...Non vi è mai stato un nulla
in cui sparire/ già altri grazie al ricordo son risorti,/
AUTORI E IDEE
AUTORI E IDEE
Fine della storia
A seguito del clamore suscitato dal
suo articolo del 1989, Francis Fukuyama ha raccolto le sue tesi nel volume: The end of history and the
last man (La fine della storia e l’ultimo uomo, Hamish Hamilton, London
1992), con l’intento di proporre niente
di meno che una “storia universale del
genere umano”, quale esito di un processo evolutivo unitario e coerente,
culminante nel capitalismo e nella democrazia liberale. A una tale prospettiva fa riscontro, su tutt’altro versante,
l’interpretazione storico-filosofica di
Kostas Axelos, Métamorphoses (Metamorfosi, Editions de Minuit, Parigi
1992),
La moderna scienza della natura è ciò che
per Francis Fukuyama orienta questo processo evolutivo, poiché promette un progresso economico fondato sul capitalismo,
l’unico sistema economico finora rivelatosi valido. Inoltre, la continua richiesta da
parte dell’umanità del riconoscimento del
proprio lavoro e della propria dignità sembrerebbe confermare la stretta connessione
tra il capitalismo e l’instaurazione della
democrazia liberale. Una posizione, questa, facilmente riconducibile, secondo Fukuyama, alle riflessioni di Alexandre Kojève
su Hegel, ma anche, per altro verso, anticipata da Platone nella sua concezione del
thymos.
La storia sarebbe dunque giunta al suo
termine, poiché non sembra possibile ravvisare uno sviluppo futuro differente e
migliore del capitalismo e della nostra democrazia: in assenza di alternative, lo sviluppo ideologico dell’umanità completa il
suo corso. Resta tuttavia da chiedersi, come
riconosce lo stesso Fukuyama, se effettivamente l’attuale democrazia liberale rispetti e soddisfi pienamente le caratteristiche essenziali degli esseri umani, poiché
se così non fosse, allora la nostra società
non potrebbe rappresentare la fine della
storia. La questione, in realtà, non viene
affrontata in maniera sistematica e sostanziale da Fukuyama, che preferisce piuttosto rilevare come il riconoscimento dell’individuo nell’ambito di una democrazia
liberale sia un fatto necessariamente im-
personale e insoddisfacente, non essendo
presa in considerazione la vita sociale
privata di una persona, sebbene Fukuyama stesso non sia convinto che un riconoscimento integrale e omogeneo della
persona sia attualmente applicabile alle
contemporanee democrazie liberali.
Di fatto, nella società contemporanea, specialmente nell’ambito del liberalismo anglo-sassone, la vita sociale è costantemente minacciata dagli interessi individuali.
Gli effetti negativi di questa situazione
vengono accentuati dalla pressione del
mercato capitalista, che tende e parcellizzare e separare le persone. Diversamente
avviene invece nella società giapponese,
che Fukuyama pone tra il liberalismo anglo-sassone e il modello asiatico di autoritarismo paternalistico, ben esemplificato
da Singapore. In ogni caso, fa notare Fukuyama, il vero riconoscimento della persona
non può ammettere un individualismo radicale come quello proprio della società
occidentale, ma deve rispettare la capacità
sociale dell’individuo. Una considerazione del genere sembra contraddire proprio il
paradigma della fine della storia, mostrando piuttosto come lo sviluppo attuale della
società e il concetto di riconoscimento dell’individuo sembrino entrambi optare verso una combinazione di economia liberale
e di politica autoritaria propria dell’Asia
dell’Est.
Fukuyama rinuncia ad approfondire questo pensiero; non si sottrae però dal riconoscere, in definitiva, che nessun regime e
nessun sistema socio-economico è capace
di soddisfare l’individuo in tutti i suoi
aspetti: neanche la democrazia liberale.
Di fronte a una tale analisi, che disegna una
Storia in fase terminale, per la quale si
dovrebbe parlare, più che di compimento,
di esaurimento, suona riconfortante il disincanto di Kostas Axelos, che non crede
ai fantasmi della fine dell’avventura umana e ribatte invece che «questa fine non
finirà di finire, continuerà a rammemorare
ciò che fu senza smettere di essere». A
coloro che agitano gli spettri dell’apocalisse, provocata dall’insipienza umana, Axelos fa notare che «l’epoca che ci caratterizza è globalmente troppo piatta per essere
quella del disastro». Metamorfosi, così
suona il titolo dell’ultimo libro di Axelos,
vuole appunto indicare che la vita, la storia
e le opere dell’uomo portano in sé la loro
propria fine e con essa il principio stesso di
un nuovo inizio.
Il disincanto in Axelos ha una virtù tonica,
diventa un principio fecondamente aperto
ad un nuovo rapporto con il mondo, non
più segnato dall’idea del dominio. Non
solo non ci appartengono le cose, ma noi
stessi non ci apparteniamo; i fantasmi del
potere non sono che rappresentazioni umane che rispondono col narcisismo al pensiero della morte: «i famosi centri decisionali non prendono affatto decisioni, bensì
sono decisi da queste». In una tale situazione Axelos preferisce ricorrere al concetto
di assunzione, nel senso laico di prendere
in carico, di assumere la nostra condizione
e il gioco metamorfico degli inizi e delle
fini con un sentimento di amicizia. E qui
l’ispirazione poetica traduce i concetti nelle parole: «siamo destinati a fiorire e appassirci nell’orizzonte della rosa del mondo che fiorisce e appassisce, torna in fiore
e di nuovo sfiorisce, per conoscere un’altra
fioritura». E.N./V.R.
L’angelo della storia
Il preciso disegno di una nuova concezione della storia, in rottura con il
modello teleologico occidentale, si
evidenzia nelle pagine del libro di
Stéphane Mosès: L’Ange de l’Histoire. Rosenzweig, Benjamin,
Scholem, (L’Angelo della Storia. Rosenzweig, Benjamin, Scholem, Seuil,
Parigi 1992), una raffinata ricognizione critica nell’opera dei tre pensatori
di origine ebraica.
La figura dell’angelo, che assume il valore
di metafora guida della filosofia di Benjamin, Rosenzweig e Scholem, tre differenti
interpreti di una comune tradizione culturale ebraica, è presa dal Talmud. La leggenda narra di «angeli ricreati ad ogni
istante in schiere innumeri per cantare i
loro inni dinnanzi a Dio prima di essere
distrutti e di scomparire nel nulla»: Ad
ogni istante del tempo è assegnato il proprio angelo, la sua qualità specifica, nella
quale sono condensati passato presente e
AUTORI E IDEE
futuro, che vengono a coesistere come tre
stati di coscienza permanenti.
Anticipazione dell’apocalisse nel cuore
stesso della storia, l’angelo rappresenta
l’istante che spezza la temporalità lineare e
ripetitiva del commercio mondano per aprirsi alla percezione di un tempo puramente
interiore e qualitativo. Nella contrazione
del tempo fisico che diviene estensione del
tempo psichico si ha una percezione qualitativa dell’istante, carico di una virtualità
messianica che annuncia il compimento
della storia “qui ed ora”. Attraverso la
figura dell’angelo si annuncia una concezione del tempo storico come creazione
permanente, emergenza inesauribile del
nuovo, radicalmente diversa da quella a cui
ci ha abituato la Ragione. L’intera energia
della storia si attualizza nell’attimo presente: il passato che si fa vivo con il suo
retaggio di ricordi, il futuro che si rappresenta nelle differenti forme dell’attesa: speranza e paura, previsione e utopia, sono
presenze che si condensano nell’esperienza dell’istante, modalità di esperienza nel
cuore del presente. E’ in questa attualizzazione, presentificazione dei diversi momenti dello scorrere storico - l’idea del
tempo dell’ora nella formulazione di Benjamin - che si svolge in questi tre autori una
critica radicale della Ragione storica e dei
suoi assiomi: le idee di continuità, di causalità e di progresso.
Nell’Introduzione al libro, Sthéphane
Mosès fa osservare come non sia un caso
che questa nuova visione della storia, che
privilegia la discontinuità e i momenti di
crisi rispetto all’omogeneità e all’idea di
una necessità del divenire, sia apparsa in
un’epoca precisa e presso tre pensatori di
origine ebraica. L’epoca è quella appena
successiva alla prima Guerra mondiale,
vissuta come evento che segna tragicamente la rottura incomponibile di un tessuto
storico e l’evenienza di un’era senza precedenti, illeggibile secondo quei modelli che,
fino ad allora, avevano dato un senso all’esperienza umana. Scholem parla della
morte dell’Europa, del suo “interramento”,
quando per Rosenzweig si tratta della fine
di una civiltà fondata sulla credenza in un
Logos garante dell’ordine razionale del
mondo. E’ in questo quadro che ha luogo,
presso i tre pensatori, il confronto con la
filosofia della storia di Hegel , quella che
più radicalmente e conseguentemente incarna questa idea “progressiva” del divenire storico. L’evidenza della sofferenza
umana, in questi tre autori, non si lascia
ridurre ad un episodio della storia del Senso e denuncia l’assurdità di qualsiasi teodicea immanente alla storia come pure dell’idea stessa di progresso. L’esperienza
diretta del tempo storico nella sua attualità
propone una giustapposizione di istanti
qualitativamente diversi che sfuggono alla
totalizzazione in un senso determinato; ciascuno di essi è carico di una sua specificità,
e tuttavia il presente non è più la soglia di
transizione verso un futuro necessario, ma
il luogo stesso di una serie di a venire
possibili; con la scomparsa dell’idea di
continuità viene meno la possibilità stessa
della causalità che leghi l’istante al successivo, il presente all’avvenire. La relazione
non è più univoca: a partire dallo stesso
istante in cui sono date condizioni definibili, si possono aprire strade diverse che
conducono a esiti diversi. Senza arrivare a
negare la presenza di condizionamenti storici, il comune proposito di Benjamin, Rosenzweig e Scholem è quello di fondare
una filosofia della storia che segni il passaggio dal tempo della necessità al tempo
dei possibili.
L’idea e il senso della speranza si riaccende
così proprio sulle rovine del paradigma
della Ragione dove la storia è il teatro di un
Senso necessario; non più nel rimando ad
un tempo dove il fine è indefinitamente
spostato al termine del compimento mitico
della Storia, ma nell’attualità dell’istante
l’utopia torna ad essere pensabile come una
delle possibilità offerte dalla complessità
del processo storico.
Mosès non ha difficoltà a situare questa
visione della Storia, opposta al modello
teleologico occidentale che caratterizza
tanto la teodicea cristiana, quanto la dialet-
AUTORI E IDEE
tica di una ragione immanente alla Storia,
nel solco della tradizione ebraica, o ancor
meglio nell’esperienza ebraica della Storia, così intima al senso della catastrofe e
della sconfitta. La frustrazione dei tentativi
di dare un significato escatologico alla Storia si è convertita nell’Ebraismo in un messianismo che tende a relativizzare gli eventi della storia visibile per porre l’accento
sulle virtualità utopiche della storia segreta.
E’ nel quadro di quest’orizzonte culturale
comune che si dispiegano le differenti soluzioni filosofiche dei tre autori, soluzioni
che sono altresì - come suggerisce l’autore
del libro - altrettante opzioni che si imponevano a quegli ebrei che volevano staccarsi
dall’ortodossia come dallo spirito di assimilazione; per Rosenzweig la religione, il
Sionismo per Scholem e la rivoluzione per
Benjamin. E.N.
Nietzsche, Deleuze:
il superamento della metafisica
Nietzsche, Deleuze, la filosofia: sono
questi i tre termini, irriducibili l’uno
all’altro, attraverso i quali si snoda
l’interpretazione di Gilles Deleuze,
Nietzsche e la filosofia (trad. it.
a cura di Fabio Polidori, con una presentazione di Maurizio Ferraris, Feltrinelli, Milano 1992) di cui viene presentata, a distanza di quindici anni, una
nuova edizione. Prescindendo sostanzialmente dall’interpretazione heideggeriana ed essendo piuttosto debitore
della mediazione teoretica di Foucault,
il confronto che Deleuze instaura con
Nietzsche influenzerà profondamente
la ricezione nietzscheana nella cultura
filosofica e letteraria francese degli
anni Sessanta.
Come spesso accade per le monografie di
Gilles Deleuze, anche quella che il filosofo
francese dedicò a Nietzsche trascende sia
l’ambito della letteratura critica su questo
autore, sia quello del pensiero deleuzeano
in quanto tale, poiché investe il problema
del ruolo e della configurazione della riflessione filosofica. E’ il concetto di “doppia cattura” quello che, a parere di Fabio
Polidori, meglio definisce il rapporto tra il
pensatore francese e quello tedesco: non
una metabolizzazione, una reductio Nietzsche ad Deleuze, ma una relazione estrinseca sia all’uno che all’altro, in cui ciò che
accade è la multilateralità delle questioni
filosofiche. In tal senso l’ ”interpretazione”
deleuzeana di Nietzsche è ugualmente rilevante per la comprensione di Nietzsche,
per quella di Deleuze e per quella della
filosofia.
Come sottolinea Maurizio Ferraris, che
nell’ampio saggio introduttivo ricostruisce
le linee di ricezione teoretica della filosofia
nietzscheana come “filosofia dell’avveni-
re”, la lettura deleuzeana di Nietzsche prescinde soggettivamente da quella di Heidegger, ma è oggettivamente con essa che
entra in dibattito, per conquistarsi l’egemonia sulla cultura francese fra gli anni
Sessanta e Settanta. Come è noto, a fronte
dell’attualità politica che Baumler e il nazismo riconoscono al filosofo, Heidegger
sosteneva l’attualità filosofica di Nietzsche come compimento della storia della
filosofia occidentale: metafisico egli stesso quanto Aristotele, con il quale condivide
il momento ontologico della riflessione.
Con il richiamo alla prefazione di Michel
Foucault a Differenza e ripetizione (1968),
Polidori sottolinea come il tema dell’eterno ritorno, nel contesto dell’interpretazione deleuzeana di Nietzsche, ricopra lo stesso ruolo che nell’opera del 1968 viene
ricoperto dalla tesi dell’univocità dell’essere: la messa fuori gioco dell’apparato
categoriale. Tale operazione, ovvero la rimozione dell’elemento di mediazione fra
l’unicità dell’essere e la molteplicità del
differenziale, non comporta affatto la rimozione di quest’ultimo; al contrario la
tesi dell’univocità dell’essere, attraverso
quella dell’eterno ritorno dello Stesso, garantisce la differenzialità del molteplice,
non più imprigionato nelle classificazioni
concettuali.
La lettura “ontologica” della riflessione
nietzscheana, che accomuna Heidegger a
molti suoi critici è, a parere di Ferraris,
estranea all’impostazione deleuzeana, che
risente, piuttosto, della mediazione teoretica di Foucault per quanto riguarda la questione della razionalità e dei suoi limiti.
Nietzsche appare in tal senso come l’erede
più radicale della tradizione critica dell’Illuminismo; e se la sua deve essere una
filosofia dell’avvenire non lo è in quanto
distruttrice degli antichi valori, ma in quanto fondatrice di nuovi. Dove, però, questi
“nuovi valori” non sono una semplice contrapposizione dei “valori di vita” contro i
“valori della conoscenza”, ma un radicale
mutamento del concetto stesso di valore.
Se l’essenza del platonismo è porre valori,
è credere nell’esistenza di un “originale”,
del quale esistono nel cosmo delle “copie”,
delle “apparenze”, il Nietzsche di Deleuze
arriva a vedere come non esistano che
“copie”, ovvero “simulacri”: la sua “volontà di potenza” è «l’elemento genealogico della forza», dove «genealogico significa differenziale e genetico»; dunque «la
volontà di potenza è l’elemento differenziale della forza».
Quanto di Nietzsche e quanto di Deleuze vi
siano in questa interpretazione è certo questione discutibile; tuttavia non è questo il
modo adeguato per porre il problema della
lettura deleuzeana di Nietzsche. Se infatti
per Deleuze «il senso della filosofia di
Nietzsche è l’affermazione pura che ha
come oggetto il molteplice, il divenire e il
caso», e consiste in ultima analisi in una
polemica con la dialettica hegeliana, quella
che emerge in questo confronto - sullo
sfondo della lettura heideggeriana di Nietz-
sche - è la questione del superamento della
metafisica. Nella conciliazione hegeliana,
frutto della scoperta del carattere negativo
del positivo, il positivo finale è, appunto, il
prodotto di una doppia negazione che riduce la differenza a opposizione, questa a
contraddizione, e la contraddizione a unità;
la “scoperta” del Nietzsche di Deleuze è,
per contro, quella del carattere positivo del
negativo, del portato irriducibile della differenzialità. La “fine della metafisica” non
è l’unità sistematica del reale, che si articola attraverso le mediazioni delle categorie
dialettiche, e Nietzsche non è il corifeo
della volontà pianificatrice del soggetto
che compie, malgrè lui, questa conciliazione; è invece colui che «fa della filosofia
un’arte, l’arte di interpretare e valutare» e,
attraverso l’affermazione della positività
del negativo, della positività della differenza, contro la metafisica ne afferma il diritto
all’irriducibilità, il diritto della divergenza.
F.C.
L’ultimo libro di Félix Guattari
Non ha certo il carattere di un testamento intellettuale l’ultimo libro di
Félix Guattari, Chaosmose (Galilée,
Parigi 1992), uscito nelle librerie un
paio di mesi prima della sua scomparsa. Questa raccolta di scritti, che hanno per oggetto i temi della psicanalisi,
dell’ecologia e della sociologia, segnano piuttosto il punto della ricerca di
Guattari in tutti questi campi congiunti, verso una nuova definizione del
concetto di soggettività.
Dispersa, aggredita o realizzata in serie
dalla macchina di produzione sociale , la
soggettività - come risulta dall’analisi di
Félix Guattari - si trova di fronte al rischio
di una regressione massmediatica, di una
atrofizzazione del senso della differenza.
Aprire Il cammino verso la re-singolarizzazione delle soggettività è la sfida che
l’intelligenza creativa si trova oggi di fronte, sempre che sappia emanciparsi dalle
vecchie prospettive settoriali; psicanalisi,
letteratura, urbanistica, pedagogia devono
essere dei contributi alla definizione di un
pensiero che sia ecologico nel senso globale, che dunque contempli in un unico sguardo speculativo il politico, il sociale e l’esistenziale.
E’ questo un tema sul quale Guattari aveva
riflettuto nel saggio del 1990: Les Trois
écologies (Le tre ecologie). Qui il discorso
si fa propositivo e più marcatamente politico: se la crisi ecologica è il sintomo di una
«degenerazione del tessuto delle solidarietà e dei modelli psichici che occorre letteralmente reinventare», il compito della ecosofia è quello di «riarticolare trasversalmente il pubblico e il privato, l’ambientale
e il mentale».
Il primo passo è costituito dalla definizione
AUTORI E IDEE
di un concetto di soggettività capace di
«superare l’opposizione classica tra soggetto individuale e società», nella prospettiva di «far transitare le scienze umane e le
scienze sociali, da paradigmi scientifici
verso paradigmi etico-estetici», che valorizzino i fattori creativi, incrementino la
comunicazione non immediatamente funzionale, siano infine capaci di reinsediare
l’individuo in un universo di valori mutevoli. E.N.
Félix Guattari è scomparso nella notte tra il 29 e
il 30 agosto 1992 alla clinica La Borde, dove
lavorava da circa quaranta anni. Nato nel 1930 a
Villeneuve les-Sablons, nella banlieue parigina.
Inizia gli studi in farmacia, e poi in filosofia, più
interessato alla vita culturale e politica che si andava organizzando nel primo dopoguerra, che non a
portare a termine la carriera scolastica. Militante
della gioventù comunista, esce dal PCF nel 1956 in
seguito alla presa di posizione del Partito sugli
avvenimenti ungheresi. Nella sua vicenda umana e
intellettuale è decisivo l’incontro con Jean Oury e
François Tosquelles, psichiatri ed innovatori, con i
quali ha modo di sviluppare un discorso teorico e
critico sulla psichiatria e di impegno per la riforma
dell’istituzione psichiatrica che si concreterà nella
creazione della clinica di La Borde.
Intellettuale engagé dell’estrema sinistra, Guattari
ha legato il suo nome ad una serie di riviste, centri
di ricerca e di iniziativa sociale. A farlo conoscere
al grande pubblico è un libro scritto in collaborazione con il filosofo Gilles Deleuze, l’Anti-Oedipe, del
1972, destinato a diventare, in Italia, uno dei testi di
riferimento della generazione impegnata nel movimento di sovversione e di liberazione sociale degli
anni ’70. In questo testo la critica rivolta alla
psicanalisi freudiana di ridurre la ricchezza e la
complessità dello scenario psichico alla dialettica
limitante della famiglia borghese, si coniuga con la
scoperta del potenziale creativo del desiderio, dei
meccanismi che lo producono e delle sue connessioni con i processi storici. La collaborazione con
Deleuze rimane una costante nel lavoro di ricerca di
Guattari, psicanalista, prima che filosofo, e dunque
più attento alle dinamiche, alla singolarità dei processi concreti; in questo senso il suo lavoro teorico
ha un carattere più immanente e “politico”. Gli anni
’80 vedono il riconoscimento internazionale di
Guattari, fino a quel momento guardato con sospetto dagli ambienti istituzionali per le sue posizioni
politiche e per le iniziative a favore dei gruppi
marginali più diversi. Negli ultimi anni la sua
riflessione teorica e politica si sposta sulle tematiche ecologiche, fino alla candidatura nelle file dei
Verdi alle elezioni politiche regionali francesi.
Impegno politico, sperimentazione culturale, attenzione per il sociale: nel “nomadismo” culturale
di Guattari si riassumono la generosità, l’estremismo teorico e la volontà di liberazione della generazione del ’68.
Delle sue opere in volume ricordiamo: Capitalisme et schizophrénie: l’Anti-oedipe (in collaborazione con Gilles Deleuze), Minuit, Parigi 1973
(trad. it., L’Anti Edipo, Einaudi, Torino 1975);
Kafka. Pour une littérature mineure, Minuit, Parigi
1975; La Révolution moleculaire, Recherches, Parigi 1977 (trad. it., La rivoluzione moleecolare,
Einaudi, Torino1978); L’Incoscient machinique:
Elements de schizo-analyse, Galilée, Parigi 1979;
Milles plateaux, capitalisme et schizophrénie, Minuit, Parigi 1980; Pratique de l’institutionnel et
politique (in collaborazione con Jean Oury e Francois Tosquelles), Matrice, Parigi 1985; Les Anées
d’hiver: 1980-1985, Barrault, Parigi 1986; Cartographies schizoanalytiques, Galilée, Parigi 1989;
Les Trois écologies, Galilée, Parigi 1989 (trad. it.,
Le tre ecologie, Sonda, Torino 1991); Qu’est-ce
que la philosophie? (in collaborazione con Gilles
Deleuze), Minuit, Parigi 1991.
Leo Strauss
Nel panorama della filosofia contemporanea la figura di Leo Strauss non
ha ancora trovato una tranquilla collocazione. Critico della modernità, nel
solco di una cultura viva dei classici
greci, i suoi saggi sul liberalismo contemporaneo, sul positivismo e la cultura di massa rimangono delle analisi
capitali per leggere la crisi del moderno pensiero politico, e gli hanno valso
il titolo di pensatore antiprogressista
ed elitario, fautore di un liberalismo
aristocratico e nostalgico di una Ellade definitivamente sorpassata. L’opportunità di conoscere questo controverso filosofo è senz’altro più semplice per il lettore francese, a cui vengono in questi giorni proposti alcuni notevoli saggi di Strauss: Qu’est-ce la
philosophie politique? (Che cos’è la filosofia politica, PUF, Parigi
1992), Le Discours socratique de
Xénophon (Il discorso socratico di Senofonte, Editions de l’Eclat, Parigi 1992)
e gli Etudes de philosophie politique platonicienne (Studi di filosofia politica platonica, Belin, Parigi
1992).
Etudes de philosophie politique platonicienne è certamente un buon viatico per
entrare nei territori di riflessione di Leo
Strauss: gli aspetti essenziali del conflitto
tra filosofia e società politica sono qui
indicati come il tema essenziale della filosofia politica classica, politica nel senso
vero, che non discute di ideologie e di
realtà, di fatti e di valori, ma si preoccupa di
sapere «quale ordinamento politico sia l’ordine migliore», e, stabilendo la differenza
tra «il coraggio e la viltà, la giustizia e
l’ingiustizia, l’attenzione verso gli altri e
l’egoismo», cerca di definire il concetto e
di promuovere la pratica delle virtù civiche. E’ precisamente l’oblio di tutto questo
il moderno atteggiamento storicistico, che
tende a considerare “superati” questi temi
fondamentali, che conduce allo scacco il
pensiero politico di oggi nel realizzare gli
ideali politici della democrazia.
Per rispondere alla domanda: che cosa è
politica? si deve dunque tornare, per
Strauss, a lezione dai Greci, riconquistare
la loro stessa tensione speculativa e morale, sbarazzandoci di quegli abiti culturali
che sono solo maschere della indifferenza
nichilistica. Gli obiettivi polemici del filosofo tedesco sono il positivismo e lo storicismo. Il primo perché propone una scienza sociale «priva di valutazione» e «moralmente neutra»; rifiutandosi di prendere
posizione nel «conflitto tra il bene e il
male», rende impossibile stabilire i parametri di ciò che è giusto, buono ed equo e
si interdisce così l’interrogazione sui fini
dello stesso agire politico: «Un uomo che
rifiuta di distinguere tra i grandi uomini di
stato, i mediocri e gli imbecilli può essere
un buon bibliotecario, ma non può affer-
mare nulla di pertinente in materia di politica e di storia politica». Non diversamente,
l’affermazione del carattere essenzialmente storico della società e del pensiero umani
giunge a negare che possano esistere un
valore, o un contenuto di pensiero, valido
indipendentemente dalle condizioni determinate di una epoca. Respingendo in questo modo «il problema della società giusta,
ovvero di un unica società giusta», lo storicismo riduce la filosofia ad ideologia e
contemporaneamente proietta la soluzione
del problema politico alla fine del processo
storico.
A sorreggere l’analisi di Strauss v’è una
grande conoscenza della materia e una virtù di scrittura che si può definire aristocratica: la capacità di lumeggiare differenti
piani del discorso e di far intravvedere
ulteriori significazioni del testo; ciò che
Momigliano, di Strauss amico e corrispondente, ha chiamato «ermeneutica della reticenza». Si apre qui un doppio piano dell’esegesi: al discorso semplice e comunicativo che produce la leggibilità sociale del
testo si affianca quella che Strauss definisce «arte di scrivere esoterica», nella cui
cifra è ospitato il sapere più autenticamente
filosofico, nel senso in cui la filosofia può
esporre le sue verità, andando contro “l’opinione”, senza esporsi alla “persecuzione” o
alla riduzione in discorso ideologico. Leggere tra le righe dei testi di una tradizione,
quale quella greca, che sembrerebbe abbondantemente dissodata, mettendone in
luce la perenne attualità e infine scoprirvi
una traccia interpretativa utile per leggere
anche i problemi di oggi è una delle migliori qualità dell’ “esoterismo filologico” di
Strauss. E.N.
Jonas a Monaco
Dopo uno scienziato, Carl Friedrich
von Weizsäcker, e un politico, Henry
Kissinger, è toccato a Hans Jonas il
compito di rappresentare la filosofia
nella serie di conferenze dal titolo: La
fine del secolo, organizzate a
Monaco di Baviera da un’associazione letteraria locale e dalla Sovrintendenza generale del Teatro di Stato
della Baviera.
Nella conferenza Hans Jonas ha ripercorso, da testimone, alcuni momenti fondamentali della filosofia contemporanea e
della sua concezione dell’essere umano e
della storia, delineando come compito attuale della riflessione filosofica quello di
sviluppare un’ ”etica della responsabilità”, adeguata a limitare gli effetti negativi
dello sviluppo tecnologico e industriale.
Da testimone, dicevamo: infatti Jonas è
attivo da settant’anni sulla scena filosofica
ed è stato vicino ad alcuni dei più grandi
pensatori del nostro secolo: da Husserl, di
cui fu allievo a Friburgo, a Bultmann e
AUTORI E IDEE
Heidegger, che fu relatore, a Marburgo,
della sua tesi di laurea.
Proprio ai suoi maestri ha fatto riferimento
Jonas nel tracciare una linea di sviluppo
che, nel nostro secolo, ha portato la filosofia, in una sorta di movimento dall’alto
verso il basso, a ridurre le pretese di una
posizione di superiorità dello “spirito” o
dell’ ”uomo” nell’universo, riconoscendone la “finitezza” come un carattere essenziale: dalla “coscienza pura” della fenomenologia husserliana si giunge così, attraverso l’analisi heideggeriana dell’ ”esserci”, alla riproposizione di un problema classico della filosofia, quello del rapporto
dell’essere umano con la natura, o dello
spirito con la materia, che obbliga la filosofia attuale ad un’intensa collaborazione
con scienze come la fisica, la cosmologia,
la biologia.
Fu negli anni dell’emigrazione negli Stati
Uniti che Jonas incontrò le scienze della
natura, e in particolare la teoria dell’evoluzione, la cui importanza non era a suo
parere ancora sufficientemente riconosciuta dai filosofi. Alla luce del monismo radicale di tale teoria, il dualismo tradizionale
cristiano-platonico tra corpo e anima, natura e spirito, che aveva condotto in Descartes ad una rigorosa separazione tra soggetto
e oggetto, sostanza estesa e sostanza pensante, non appariva più sostenibile. Un
effetto di questa separazione era che l’indagine sul corpo e sulla dimensione materiale
veniva assegnata alle scienze naturali e alla
medicina, mentre alla filosofia veniva affidato il campo dello “spirito”. Punto culminante di tale processo fu l’idealismo tedesco, al cui sguardo sfugge la totalità della
realtà, alla cui comprensione pure esso
aspirava. Muovendo dall’unilateralità di
questa tradizione di pensiero, anche l’analisi heideggeriana della finitezza e l’ontologia del Dasein restavano sulla soglia del
problema della costituzione di un’etica della
responsabilità.
L’esigenza di sviluppare tale etica deriva,
secondo Jonas, dal fatto che l’umanità,
risvegliatasi bruscamente dal sogno di un
dominio incontrastato della natura attraverso la tecnologia, si trova di fronte all’ambiguità tragica e paradossale che è
propria della sua storia. Se l’uomo deve al
suo sviluppo storico-spirituale innegabili
vittorie nella lotta per l’evoluzione, sono
proprio tali vittorie che ora lo mettono di
fronte al pericolo di un annientamento: non
è così più la natura a farci paura, ma il
nostro potere su di essa, ed è tale paura la
motivazione da cui scaturisce l’esigenza di
un’etica della responsabilità. Se l’essere
umano è caratterizzato dal suo potere sulla
natura, ma al tempo stesso dalla sua capacità di autolimitarsi, e se oggi tale potere di
controllo della natura si estende sulla totalità dello spazio vitale, allora, afferma Jonas, nell’etica della responsabilità l'essere
umano dovrà imparare a pensare la sua
responsabilità di fronte alla totalità: «Nessun Dio salvifico gli sottrae il dovere che la
sua posizione nella natura gli impone».
M.M.
Valori inesprimibili
Sempre al centro del dibattito anglosassone risultano i temi e le problematiche sviluppati da Ludwig Wittgenstein. Sono recentemente apparsi due
studi su questo autore, di cui il primo,
Wittgenstein on ethics and religious belief (Wittgenstein sull’etica e sulla fede religiosa, Basil
Blackwell, Oxford 1991), di Cyril Barrett, intende mettere in evidenza la
posizione di Wittgenstein rispetto a
quegli ambiti in cui le proposizioni
linguistiche non hanno senso, mentre
il secondo, The realistic spirit:
Wittgenstein, philosophy and
the mind (Lo spirito realistico: Wittgenstein, la filosofia e la mente, MIT
Press, Cambridge 1991), di Cora Diamond, prende in considerazione la
AUTORI E IDEE
valenza realistica, costantemente presente all’interno del pensiero wittgensteiniano.
Nel Tractatus logico-philosophicus Ludwig Wittgenstein distingue tra ciò di cui si
può parlare e ciò che può solo essere mostrato. Solo le proposizioni empiriche sono
significanti, poiché esse descrivono gli stati contingenti della realtà; tutto il resto,
compresa la logica, la metafisica, la matematica, l’etica, l’estetica e la religione, non
hanno senso. Sia Cyril Barrett in Wittgenstein on ethics and religious belief, sia
Cora Diamond in The realistic spirit:
Wittgenstein, philosophy and the mind confermano questa posizione anche in riferimento agli ultimi scritti di Wittgenstein.
Secondo Cyril Barrett, l’importanza della
critica, con cui il filosofo austriaco attaccò
l’etica e la religione, sarebbe confermata
dal fatto che questi non abbandonò mai
l’opinione secondo cui le concezioni etiche
e religiose non sono esprimibili in proposizioni linguistiche sensate. In tal senso Barrett arriva ad affermare che primo scopo del
Tractatus fu proprio quello di testimoniare
l’inesprimibilità di questi valori. A questo
proposito Barrett non accetta l’opinione
secondo cui per Wittgenstein le espressioni
possiedono un significato in virtù del fatto
di essere usate all’interno di un “linguaggio-gioco”, in quanto per Barrett solo la
capacità di descrivere la realtà fornisce
significato alle espressioni.
L’opera critica di Cora Diamond consiste
invece in un’insieme di saggi che analizzano principalmente tre temi: il rapporto tra i
primi e gli ultimi scritti di Wittgenstein;
l’influenza che questi subì da parte di Gottlob Frege; e la possibilità di una discussione sull’etica dal punto di vista wittgensteiniano. Chiarificante è soprattutto l’analisi
che Diamond propone circa le differenze
tra il pensiero di Wittgenstein e quello di F.
P. Ramsey. Il concetto di mente wittgensteiniano viene prima analizzato come il
regno delle proposizioni fregeane; ad esso
viene poi connessa la nozione del “sé”
inteso in senso non psicologico; infine viene caratterizzata come un insieme di capacità. Altro tema che per Diamond unifica il
lavoro di Wittgenstein è quello dello spirito
realistico che permea l’intera sua opera.
Mentre la metafisica impone delle richieste
filosofiche sulla realtà, il realismo si interessa del fenomeno del linguaggio, rigettando l’idea che il linguaggio sia autonomo, senza rendere ragione della realtà. V.R.
Ricordo di Valerio Tonini
Valerio Tonini è scomparso improvvisamente a Roma il 5 aprile 1992. Quasi
un lascito culturale, il suo ultimo libro,
apparso dopo la morte, I colloqui di
Urbano VIII e Galileo Galilei
(Editrice Magenta, Varese 1992), ricostruisce significativamente il dramma
pur condividendo una comune sensibilità religiosa, si vedono schierate su
posizioni opposte.
Nato a Velletri nel 1901, Valerio Tonini
visse i primi anni della sua vita in Toscana
tra Firenze e Pisa, città tra le quali si svolse
la sua formazione culturale. Durante gli
anni liceali, a Firenze, ebbe come professore di filosofia Paolo Lamanna. Seguì le sue
lezioni, traendone - come ebbe modo di
dichiarare - una sorta di “infezione filosofica liceale”, che lo indusse poi ad iscriversi alla Facoltà di Ingegneria dell’Università di Pisa. Ebbe allora la ventura di avere
come compagni di studi personaggi come
Enrico Fermi, Franco Rasetti, Luigi Fantappié, trovandosi immerso in un ambiente
studentesco «vivo di appassionate discussioni» intorno alle nuove scoperte scientifiche, alle nuove tendenze artistiche d’avanguardia e alle nuove tendenze politiche
liberali. Dopo aver studiato con Ulisse Dini
e Giancarlo Vallauri si laureò in ingegneria
e, avendo necessità immediata di lavorare
e di guadagnare, si trasferì in Sardegna
dove iniziò a svolgere un’intensa attività
ingegneristica in opere portuali, di bonifica, in lavori stradali e minerari.
A partire dagli anni Quaranta, Tonini inizia
ad approfondire sempre più i suoi interessi
per la filosofia della scienza. Questi suoi
studi trovano una prima formulazione nei
Fondamenti metodologici della relatività
strutturale (1950) e lo inducono successivamente a pubblicare nel 1953 un’opera
più sistematica come l’Epistemologia della fisica moderna (poi ripubblicata in una
seconda edizione nel 1989). Nell’ambito
della filosofia della scienza Tonini si è
sempre sforzato di tradurre a livello epistemologico la piena consapevolezza della
sua esperienza ingegneristica: per questo
motivo, oltre a difendere una forma di
realismo che rivendicava apertamente le
sue origini tecnologiche, ha finito col prestare attenzione a problemi e aspetti dell’impresa scientifica che la tradizionale
analisi epistemologica (più legata alla lezione neopositivista) inclinava invece a
negare o a liquidare sbrigativamente. Dagli
anni Cinquanta in poi Tonini si dedica con
sempre maggiore intensità agli studi di
filosofia della scienza, interrompendo la
sua attività professionale di ingegnere. Nel
1950, oltre a collaborare attivamente al
“Centro internazionale di comparazione e
sintesi” di Roma (di cui diventa uno dei
principali esponenti), contribuisce in modo
determinante a fondare la “Società italiana
di Logica e Filosofia delle Scienze” e nel
1955 dà vita ad una rivista “La Nuova
Critica” che dirige con passione e generosità fino alla morte. La rivista, aperta ad
autentici problemi culturali, nonché alle
collaborazioni internazionali più diverse,
esordisce con fascicoli pioneristici che
mettono in circolazione problemi, tematiche e correnti sostanzialmente ignorate dal
pensiero neopositivista: la fisica sovietica
(n.1); la psicanalisi cattolica (n.2); il problema dell’istinto e dell’antistinto (n.3); le
logiche simboliche (n.4); i problemi biopsicofisici (n.5); la relatività; i quanti; la
cosmologia (n.6); le correnti post-neopositiviste (“dopo il neopositivismo”, n.7) ecc.
Molti di questi fascicoli risultano in netto
anticipo sui tempi culturali, al punto che lo
stesso Tonini è costretto a pagare lo scotto
di un solitario e coraggioso programma di
ricerca. Questo tuttavia non gli impedisce
di pubblicare, nel volgere di pochi anni,
una ventina di volumi nei quali indaga vari
aspetti della filosofia della scienza. Si occupa così di Cibernetica ed informazione
(1964); pubblica una importante ed innovativa monografia sulle Strutture della
Tecnologie (1968); analizza La scienza
dell’uomo dalla psicanalisi alla cibernetica (1969); pone capo ad una nuova sistemazione del suo pensiero filosofico nell’impegnativo Scienza dell’informazione,
cibernetica, epistemologia (1971); analizza i problemi della biologia ne La vita e la
ragione (1973) e delinea un’interessante
Epistemologia dei sistemi e sinettica (1974).
A questi studi si affiancano poi altri lavori,
dedicati a tematiche culturali nelle quali
Tonini traduce l’inquietudine della sua ricerca personale affrontando sia il discorso
teologico, cui dedica Teologia ultima
(1966), sia altri argomenti d’interesse culturale e politico (come accade nel caso
dell’agile monografia su Lenin del 1967,
oppure ne Il taccuino incompiuto del 1984,
nel quale ricostruisce la vita segreta e il
dramma personale e scientifico di Ettore
Majorana), sia scrivendo opere divulgative
su Le scelte della scienza (1977) o su Einstein e la relatività (1981).
All’estero Tonini è ammesso come membro titolare della prestigiosa “Academie
Internationale de Philosophie des Sciences”, alle cui riunioni - unico italiano partecipa regolarmente dal 1961 fino al
1988, confrontando il proprio programma
di ricerca con personaggi come Gonseth, I.
Prigogine, P. Bernays, M. Polanyi, J. Agassi, E. Laszlo, J. Vuillemin, L. Bertalanfly,
ecc.
Negli ultimi anni della sua vita Tonini
pubblica una serie di studi mediante i quali
sposta progressivamente il proprio interesse dall’epistemologia scientifica all’ermeneutica del simbolo. Appaiono così, in rapida successione, opere come Civiltà 2000,
la sfida della ragione (1985), Corpo e
anima (1987), Utrum deus sit (1988), fino
al più recente Bioetica e saggezza (1991),
cui si può affiancare l’ultimo fascicolo da
lui curato de “La Nuova Critica” dedicato
al tema monografico Scienza ed umanesimo (1990) con scritti di E. Garin, F. Barone, C. Vasoli e di V. Tonini. Ma è sempre
in questi anni che Tonini mette capo anche
ad una ricostruzione complessiva della sua
biografia intellettuale, concependola, con
grande umiltà, come un contributo per una
storia dell’epistemologia del Novecento».
In questo volume, intitolato La realtà della
natura e la storia dell’uomo (1989) Tonini
intreccia costantemente la narrazione auto-
AUTORI E IDEE
biografica con l’intervento storico e l’esigenza teorica che urge in ogni sua pagina.
F.M.
a mantenersi straordinariamente accessibile, conservando la forza espositiva di una
trattazione sistematica. E.N.
Pareyson in Francia
Ontologia dell’economia
È stata recentemente pubblicata in
Francia la traduzione degli Scritti
sull’Estetica (Gallimard, Parigi
1992) di Luigi Pareyson, una raccolta
di monografie che, sebbene non possa considerarsi tra i testi maggiori del
filosofo, per la sua struttura tematica
costituisce una buona introduzione alla
conoscenza del pensiero di Pareyson
di cui è annunciata a breve la traduzione di Filosofia della libertà.
Nel volume Gesellschaftliche Koordination. Eine ontologische
und kultur-wissenschaftliche
Theorie der Markt-wirtschaft
(Coordinazione sociale. Una teoria
ontologica e di scienza della cultura
dell’economia di mercato, J. C. B. Mohr,
Tübingen 1991) Peter Koslowski tenta
di formulare una fondazione “ontologica” dell’economia di mercato, basandosi su alcuni principi della filosofia di Leibniz.
Più conosciuti in terra di Francia sono due
degli allievi di talento di Luigi Pareyson,
recentemente scomparso: Gianni Vattimo
e Umberto Eco che, attraverso le loro opere, hanno in buona misura contribuito a
suscitare l’interesse per il pensiero del maestro. Se per il pubblico filosofico italiano
la comparsa dell’Estetica pareysoniana
(1954) aveva avuto il significato di una
emancipazione dalla impostazione idealistica crociana della riflessione sull’arte, in
Francia viene messa maggiormente in rilievo l’attenzione di Pareyson per i temi
esistenzialisti, per l’articolazione del rapporto tra libertà creativa e legalità della
forma, temi e spunti che trovano espressione compiuta nella “teoria della formatività”. L’interesse è dunque giustamente centrato sull’esposizione del processo di formazione dell’opera d’arte, condensato nel
concetto chiave di “formatività”: un fare
che, mentre fa, inventa il proprio modo di
fare, scopre la legalità specifica della singola forma artistica; il proprio inconfondibile “stile”. L’opera è perciò “interpretazione”, ma interpretazione sottratta all’arbitrio, verità «sospesa alla libertà», e in
quanto tale sorgente di dialogo con tutte le
altre interpretazioni. Il fare artistico, in
quanto progetto creativo che scopre la propria libertà e la propria necessità di forma
espressiva, in quanto interpretazione consapevole di una «verità inesauribile», rivela così per Pareyson un carattere ontologico «dal momento che si installa nel cuore
stesso del rapporto originario dell’uomo
all’essere e della persona alla verità». I
temi dell’ultimo Pareyson si annunciano
già in questi brevi saggi che raccolgono i
testi di conferenze e articoli composti intorno agli anni 60.
In tempi di metadiscorsi sull’arte dove troppo viene dato per implicito o scontato, ma
dove spesso non si riesce ad afferrare il
nucleo di pensiero o l’intenzione dimostrativa, non v’è dubbio che possano risultare
apprezzabili anche per un pubblico colto e
smaliziato come quello francese la linearità espositiva e la chiarezza di linguaggio
del discorso di Pareyson che, nell’affrontare i problemi principali dell’estetica, riesce
Tra i vari e mai del tutto convincenti tentativi di sviluppare un’ ”etica” dell’economia fondata su un concetto non metafisico
di ragione, si possono distinguere schematicamente due tendenze: da una parte quella che si potrebbe definire della “razionalità economica”, in quanto riduce ogni istanza etica e ogni modalità del rapporto sociale a calcolo dei costi e degli utili, negando
così carattere di razionalità ad ogni intervento di regolamentazione che non sia conforme alla logica del mercato; dall’altra
quella della “razionalità comunicativa”, che
si propone di sottoporre l’economia ed il
mercato al controllo di istanze “razionali”
sviluppatesi nell’ambito della discussione
pubblica.
Rispetto a queste forme della razionalità
“post-metafisica”, Peter Koslowski sembra invece voler risuscitare antichi modelli
concettuali, tentando di giungere ad una
giustificazione di carattere totalizzante della
realtà sociale ed economica. In Gesellschaftliche Koordination il suo intento è
infatti quello di presentare una teoria “ontologica” e, sviluppata a partire da una
prospettiva di “scienza della cultura”, dell’economia di mercato, che vuole essere
parte di un progetto più generale di carattere “filosofico-teologico-economico”. Nello spazio di 120 pagine Koslowski si propone così da una parte di ascrivere la dimensione “economica” alle determinazioni più generali dell’essente, dall’altra di
dare un nome ai fattori culturali e agli
elementi normativi dell’economia di mercato. In questa sua impresa, Koslowski
cerca un sostegno nella metafisica leibniziana, e in particolare in quegli aspetti della
monadologia che, nella loro struttura di
superficie, rinviano al modello di un mondo ottimale (quello esistente) e, in esso, ad
una società di carattere individualistico.
Ma più che a una “fondazione”, Koslowski
giunge in realtà ad una descrizione di carattere analogico, in cui il principio strutturale
della monadologia e le operazioni di coordinazione e massimizzazione del mercato
si sovrappongono e si spiegano reciprocamente, nel tentativo di utilizzare l’argo-
mento giustificativo di Leibniz per giustificare “metafisicamente” l’economia di mercato: come il mondo esistente è “il migliore
dei mondi possibili”, così l’ordinamento
economico capitalistico è il migliore degli
ordinamenti economici possibili. Sulla base
di questa analogia tra mondo delle monadi
e mercato, non è difficile attribuire all’individuo una dimensione ontologica che trascende la sua caratterizzazione empirica
come homo oeconomicus. Ma risulta poi
difficile conciliare la determinazione metafisica del concetto di libertà formulato da
Koslowski («la libertà del Sé mira alla
realizzazione dell’essenza umana nell’esistenza individuale») con il radicale principio di individuazione della monadologia
leibniziana, che sembra escludere ogni determinazione essenzialistica del Sé.
Gli aspetti contraddittori e non convincenti
della “ontologia dell’economia” di Koslowski appaiono ancora più evidenti non
appena se ne prendano in considerazione le
conseguenze etiche. Da un’etica della “coordinazione” sembra legittimo aspettarsi
una teoria normativa che sia in grado di
correggere i modelli “naturali” di coordinazione del mercato attraverso modelli giustificati eticamente e razionalmente. Ma
invece l’etica di Koslowski non si preoccupa dei principi della giustizia sociale, economica, ecologica, e sembra considerare
una tale giustizia come qualcosa di chimerico, la cui realizzazione pratica avrebbe
solo l’effetto di alterare l’efficienza della
coordinazione del mercato. Il suo liberalismo, giustificato metafisicamente, approda così al risultato di assegnare all’individuo il compito di correggere gli effetti
negativi e distruttivi, sul piano sociale ed
ecologico, dell’economia di mercato, rifiutando così ogni istanza di giustizia posta a
livello istituzionale e sociale. M.M.
TENDENZE E DIBATTITI
TENDENZE E DIBATTITI
TENDENZE E DIBATTITI
Arte e inconscio:
il piacere della bellezza
Il giudizio di Paride, un topos della
nostra cultura, è un giudizio “estetico”: Paride sceglie la bellezza, il piacere, l’erotismo, dando avvio alla “mala
ora” della guerra troiana. Questa decisione di sventura, stando alla genealogia dei romanzi “troiani”, è l’atto fondatore della storia dell’Occidente, in
particolare dell’Europa: esso segna in
qualche modo l’ingresso nella civiltà,
inaugura i valori fondativi della Kultur.
Hubert Damisch, noto filosofo e storico dell’arte, nel suo ultimo libro: Le
jugement de Pâris (Il giudizio di
Paride, Flammarion, Paris 1992) segue
l’ ”avvenire di quest’emozione”, il piacere vincente della bellezza e l’irrimediabile malanno del suo potere di seduzione, attraverso l’iconologia artistico/letteraria di questo “mito”. Il
soggetto è stato ripreso anche in un
dibattito pubblico al Beaubourg di
Parigi dal titolo: L e
beau
aujoiurd’hui, dando prova di un rinnovato interesse degli estetologi e dei
filosofi dell’arte in ambito francese per
la dimensione non solo semiotica, ma
anche qualitativo-intensiva dell’opera
d’arte.
Tratto specifico di questo lavoro è l’interpretazione della creazione e del piacere
estetici in termini freudiano-lacaniani: la
chiave di volta dell’estetico è per Hubert
Damisch la pulsione sessuale, le elaboratissime variazioni sul tema della Libido da
parte della cultura artistica e della sua specifica storicità.
Damisch individua tre problematiche principali nell’elaborazione artistica del mito
del giudizio “estetico” di Paride. In primo
luogo quello della volontà e della lussuria:
Venere vince con argomenti convincenti,
sconvolgendo i sensi del povero giudice, il
quale e ciò costituisce il secondo tema
forse non è davvero libero nel giudizio,
dato che rimane sconvolto dagli “attributi”
di Venere. Mettendo a confronto le “virtù”
delle tre dee, Venere risulta la più seducente. Qui si profila un paradosso: da un lato è
un “umano” a giudicare della bellezza (ideale?) delle dee; dall’altro, questo giudizio è
condizionato dagli incantesimi fatali del
“fascino” di Venere. E’ in particolare Rubens, secondo Damisch, a mostrare con
grande efficacia quanto la bellezza possa
avere di desiderabile e di scabroso. Rubens
infatti gioca su due possibilità: far vedere
allo spettatore un oggetto di desiderio e al
contempo rappresentare l’oggetto come
oggetto di desiderio per uno o più personaggi all’interno del quadro.
In tale contesto è centrale la nozione di
supplemento. E’ come se Venere, con il
suo “fascino”, fosse in grado di offrire un
supplemento di felicità, che fa pendere la
bilancia delle qualità della vita dalla parte
del piacere. Questo supplemento, inoltre,
appartiene al campo del visibile, è un “premio” per gli occhi, anche se offusca lo
sguardo e intorbidisce l’oculatezza del giudizio. L’attenzione di Damisch per gli intrichi e le variazioni sul tema dell’iconologia è orientata dalla preoccupazione di
cogliere l’inconscio all’opera nella rappresentazione artistica. Importante nell’arte
è in tal senso, riprendendo l’insegnamento
di Aby Warburg, non tanto ciò che si rappresenta quanto ciò che si trasforma, ossia
le variazioni che si stagliano sulle ripetizioni, le torsioni significative di una figura
stilistica. Al lavoro in queste sovrapposizioni, spostamenti, condensazioni di motivi e di figure “eloquenti” è proprio l’inconscio.
La ragione ultima del programma di Damisch è dunque una “iconologia analitica”,
ottenuta nella feconda comparazione fra
linguaggio e inconscio sul piano dei processi stilistici, delle figure del discorso.
Scrive l’autore: «L’arte, come l’inconscio,
utilizzerebbe dunque un’autentica retorica, con i suoi tropi e la sua sintassi».
Seguendo i percorsi “stilistici” seguiti dall’inconscio nella figurazione, Damisch si
sofferma sul quadro di Antoine Watteau, Il
giudizio di Paride (1720), che per densità
e concentrazione figurativa permette di
tirare le fila, o meglio le prime conclusioni,
di questo lavoro d’iconologia analitica.
Tre gli elementi decisivi: Venere è l’unica
dea nuda di fronte al suo giudice, alquanto
inebetito, sicuramente non in posizione di
forza; Venere si sta spogliando e il suo viso
è coperto da un velo; le altre due dee,
corrucciate, se ne vanno, Giunone con un
dito sulle labbra, come per trattenere un
segreto terribile (la futura distruzione di
Troia?), Minerva riparandosi dietro uno
scudo, su cui terrifico appare il volto della
Gorgone.
Qui l’inconscio è all’opera, si prende gioco
dei vincoli della figurabilità per mettere in
scena l’ambiguità del piacere della bellezza: la Gorgone, infatti, è la maschera, il
sostituto figurativo del sesso di Venere che
nel quadro lo spettatore non può vedere,
ma di cui il volto terrifico sullo scudo
restituisce l’intrinseca verità, l’origine informe, sconvolgente tellurica. Non c’è
nessuna “misura”, né grazia, all’origine
del bello, solo un potere viscerale, urgente
che è totalmente altro rispetto all’esercizio
ponderato del giudizio. D’altra parte la
Gorgone, ricorda Damisch rifacendosi a
Vernant, è per i Greci figura non dell’essere umano differente da loro, bensì del totalmente Altro, dell’informe che opera come
forza inquietante all’interno del figurabile.
Il mito di Paride si può riallacciare allora
all’energia libidinale di Freud, che ha chiamato “mitologia” la propria teoria delle
pulsioni (ripresa in modo originale da Lacan, che come un’ombra percorre lo studio
di Damisch). La Gorgone sullo scudo esprime il malaugurio della seduzione che comporta piacere e distruzione, che non dà
piacere senza violenza, godimento senza
malanno. Il mito è inteso da Damisch come
forza arcaica, intensiva (ma non primitiva)
sempre all’opera nel figurabile, forte di un
proprio potere espressivo, che «giustifica
ancora una volta il progetto di una iconologia che sappia fare un posto all’inconscio e
al contempo al problema della figurabilità
e della bellezza».
Si profila così il terzo aspetto del mito:
Paride si è sbagliato, inaugurando una serie di sventure, di cui la guerra non è forse
la più grave. Ma quest’errore, sottolinea
Damisch, è proprio ciò che promuove la
civiltà, l’ingresso in società. Le conclusioni a cui perviene Damisch riprendono alcune significative ipotesi di lavoro presentate nella prima parte del volume, in cui
l’autore, rifacendosi a Freud, annoda strettamente civiltà e malessere.
La domanda è: perché l’inizio mitico della
nostra storia occidentale ha tutte le apparenze di un errore di giudizio, di un verdetto truccato? Inoltre si tratta di un giudizio
operato sotto la categoria dell’ ”eccesso”,
TENDENZE E DIBATTITI
della perdita di sé, di un giudizio quantomeno avventato, influenzato dai sensi, dalla Libido: come può allora promuovere la
civiltà?
L’ ”avvenire di quest’emozione”, del piacere enigmatico della bellezza, ha come
origine per Damisch il legame, messo in
evidenza da Freud, fra bellezza e Libido e
come meta le mille variazioni sul tema che
la bellezza, come consolazione della forma, saprà elaborare grazie e nonostante
l’infigurabile, l’inconscio “selvaggio”. La
genesi della bellezza è dunque sessuale,
essa coincide con il supplemento e il risarcimento che gli uomini civili hanno elaborato per consolarsi di aver dovuto lasciare
le pulsioni più “selvagge”, quelle della
Libido. La bellezza è ciò che la civiltà
accorda al piacere a condizione che sia
riconosciuto come errore e che sia “riconvertito” in pulsione scopica, nella seduzione inquietante di una visione che tanto dà,
quanto toglie allo sguardo, tanto coinvolge, quanto respinge. F.M.Z.
Femminismo e filosofia
Qual’è esattamente la relazione tra
femminismo e filosofia? Questo è in
poche parole il problema centrale che
Moira Gatens affronta nel suo libro:
Femminism and philosophy: perspectives on difference and
equality (Femminismo e filosofia:
prospettive sulla differenza e sull’uguaglianza, Polity Press, London 1991). Le
due principali metodologie interpretative che si sono applicate fino ad
oggi a questo problema possono essere così descritte: la prima coincide
con il tentativo di estendere le teorie
filosofiche, così come sono, alle modalità di vita e di pensiero dell’universo femminile; la seconda propone invece di annullare queste teorie, per
crearne di nuove, che considerino prettamente il punto di vista femminile,
purificate dai passati pregiudizi. Per
Gatens, entrambe queste strategie
interpretative non risultano soddisfacenti.
Ciò di cui si sente bisogno, afferma Moira
Gatens, è di un dialogo fertile, attraverso
cui la teoria femminista, sempre tesa ad
auto-giustificarsi tramite una grande varietà di fonti, possa considerare l’insieme complessivo del pensiero filosofico, incorporando intuizioni che le appartengono e che
dipendono dalla particolare esperienza storica e culturale delle donne. Una tale interazione positiva tra femminismo e filosofia
mostra che la concretizzazione dei profondi e impliciti pregiudizi sessuali in filosofia
nei confronti del mondo femminile appartiene ad un lungo e complesso processo
non ancora completato, e mette in evidenza
l’estensione di questi pregiudizi culturali
impliciti nelle categorie fondamentali del
pensiero. Dato che risulta impossibile porsi da un punto di vista esterno rispetto a
questi sistemi di valori, ciò che secondo la
Gatens possiamo fare è di rendere espliciti
i valori nascosti e i pregiudizi all’interno
del sistema del pensiero, scegliendo di conseguenza che cosa accettare o rifiutare.
In senso generale, è necessario innanzitutto considerare come l’opinione sulle donne
si sia costruita essenzialmente in relazione
ai termini di natura, corpo e passione. Per
Gatens l’attuale approccio femminista alla
filosofia lascia intatti i pregiudizi nei confronti delle donne. Possiamo rendercene
conto se si esaminano parecchie elaborazioni filosofiche prodotte da donne, come
la risposta di Mary Wollstonecraft all’opera di Jean-Jacques Rousseau, o l’applicazione del pensiero liberale al mondo delle
donne ad opera di J. S. Mill e Herriet
Taylor, o l’uso dell’esistenzialismo da parte di Simone de Beauvoir per interpretare la
situazione delle donne: tutti questi lavori
incorporano valori prettamente maschili
nei loro argomenti.
Interessante è anche l’analisi critica che
Gatens fornisce delle scrittrici femministe
contemporanee. Se autrici come Janet
Radcliffe Richards e Carol MacMillan
vengono incluse tra coloro che considerano la teoria filosofica come uno strumento
non-problematico con cui poter criticare e
analizzare il femminismo, Gatens mostra
al contrario che un approccio al problema
come quello proposto da Richards serve
solo a dimostrare la sterilità del metodo
analitico nel campo dell’indagine sociale e
politica. Mary Daly e Dale Spenser sono
invece considerate un esempio del tentativo di costruire una nuova teoria centrata
sulle donne, nella consapevolezza che la
filosofia femminista non può considerare
l’esperienza femminile come ciò che può
fornire un punto di vista puro e incorrotto.
Il punto di forza della proposta di Gatens
sembra risiedere nella struttura sistematica
della sua analisi della teoria femminista in
relazione alla filosofia, riuscendo a chiarire di molto i termini del confronto. Particolarmente illuminante risulta la descrizione
che ella propone del femminismo francese,
in relazione soprattutto a quello angloamericano, e dell’uso che esso fa della
psicoanalisi, mostrando come il femminismo francese abbia offerto un esame dei
pregiudizi nascosti nel pensiero, mantenendo pur sempre un dialogo con la filosofia. V.R.
La filosofia analitica
e continentale
Grazie alla cura di Marco Santambrogio, è oggi disponibile una Introduzione alla filosofia analitica
del linguaggio (Laterza, Roma-Bari
1992), che consiste anzitutto in una
raccolta di saggi di filosofi italiani intorno alle tematiche di quella che, nel
mondo anglosassone, è “filosofia”
tout court e, in secondo luogo, in una
“introduzione”, non scevra da preoccupazioni didattiche, ai problemi specifici di questa disciplina.
Quest’opera intende esplicitamente colmare, in forma introduttiva, una lacuna nel
panorama della letteratura primaria e secondaria inerente la filosofia analitica. Il
carattere sistematico dell’opera è già indicativo, rileva Marco Santambrogio nella
sua Presentazione, della tendenza della filosofia analitica a svilupparsi più come
ricerca collettiva intorno a taluni problemi,
che come insieme di singole figure di pensatori, per quanto rilevanti. La rinuncia a
seguire un approccio storiografico è dunque in primo luogo espressione dell’effettivo strutturarsi del dibattito filosofico nell’ambito della filosofia analitica.
Si dirà che anche nella filosofia “continentale” - termine con il quale, come è noto,
vengono designate in ambito anglosassone
talune correnti di pensiero non riconducibili alla filosofia analitica, che è appunto da
intendersi come “filosofia” senza ulteriori
specificazioni - quella fra un approccio
“teoretico” e uno “storiografico” è una
contrapposizione consolidata, e che anche
per questo aspetto la distinzione tra filosofia analitica e continentale è oggi molto
meno marcata che in passato. D’altra parte
ciò che senza dubbio non è scomparso è
proprio lo specifico stile di ricerca, che nel
mondo anglosassone è improntato alla discussione collettiva dei problemi, spesso
sotto forma di circolazione di papers, e che
solo in un secondo tempo dà luogo alla
pubblicazione di un “testo” con la struttura
e il respiro di un libro; laddove nella tradizione continentale il dibattito filosofico
tende piuttosto a essere un “momento secondo” che si svolge a partire da opere,
concepite da ciascun singolo autore, con
una loro più definita singolarità progettuale.
La filosofia del linguaggio, nella misura in
cui è concepita come branca disciplinare
autonoma, finisce oggi per identificarsi con
la filosofia analitica; anche se non è del
tutto verificato l’altro senso dell’implicazione, dal momento che la filosofia analitica non si qualifica esclusivamente come
filosofia del linguaggio. D’altro canto risponde alla realtà odierna della filosofia
analitica stessa un suo minore difformarsi
dalla filosofia continentale rispetto al passato, per almeno due ordini di ragioni. La
prima riguarda la volontà di contrapposizione polemica da parte dei filosofi analitici nei confronti della tradizione filosofica,
volontà che è oggi molto meno marcata che
in passato. Infatti l’aver fatto passare in
secondo piano l’intento programmatico di
superamento della metafisica, etichetta sotto
la quale venivano ricondotte, senza sostanziali distinguo, le varie correnti della filosofia “continentale”, ha comportato, da
TENDENZE E DIBATTITI
parte dei filosofi analitici, una maggior
presa di coscienza nei confronti dei propri
assunti teorici fondamentali e del loro radicarsi nella tradizione filosofica. Ciò ha
portato la filosofia analitica da un lato al
riconoscimento di un certo debito teorico
nei confronti di pensatori appartenenti alla
filosofia “continentale” come Frege, Russell, Carnap, Wittgenstein, dall’altro a una
presa di distanza critica nei confronti di
quelli che tradizionalmente valevano come
suoi presupposti. Significativa, a questo
proposito, la critica dell’empirismo condotta da Willard Von Orman Quine, se si
considera che proprio l’empirismo logico
può essere considerato, in connessione con
la filosofia del linguaggio, la matrice della
filosofia analitica.
Da ciò discende il secondo ordine di considerazioni, relativo a un avvicinamento dei
filosofi analitici a quegli esponenti del pensiero “continentale” ritenuti, a torto o a
ragione, prossimi a talune problematiche
della filosofia analitica. Avvicinamento,
questo, che non è a senso unico, come
dimostra l’interesse per la filosofia analitica di esponenti dell’ermeneutica, quali Paul
Ricoeur e Karl Otto Apel, e l’emergere di
concezioni, come quella di Richard Rorty,
che partendo da posizioni neopragmatiste
si collocano ormai al di fuori della filosofia
analitica in senso stretto, sviluppando un
dialogo che è in sintonia - anche quando è
polemico - con la gnoseologia e con la
discussione etica nell’ambito della filosofia “continentale”.
Doppiamente significativo è poi l’attuale
interesse che si riscontra nel mondo anglosassone per Jacques Derrida; in primo luogo perché esso mostra come, sollecitati da
una tematica quale il superamento della
metafisica, i filosofi analitici, soprattutto
nordamericani, abbiano cominciato un confronto con una tradizione di pensiero radicalmente differente anche dalle proprie
matrici filosofiche. In secondo luogo perché proprio la ricezione di Derrida, spesso
confinata nei dipartimenti universitari statunitensi di letteratura, anziché in quelli di
filosofia, dà conto della misura delle resistenze che questa ricezione e, in generale,
quella della filosofia “continentale”, ancor
oggi incontra nel mondo anglosassone, non
solo statunitense. Resistenze di cui la recente, travagliata, concessione al filosofo
francese della laurea honoris causa all’Università di Oxford fornisce una prova.
F.C.
La coscienza e la mente
Analisi e teorie relative al funzionamento dei processi mentali ricorrono
spesso nel campo della filosofia anglosassone. A testimonianza di questo costante interesse giunge lo studio di Daniel C. Dennett, Consciousness explained (Spiegare la co-
scienza, Allen Lane, Londra 1992), che
analizza in particolare aspetti della
teoria del pensiero e della coscienza,
ponendosi sulla scia del dibattito sollevato da Jerry A. Fodor con il suo: A
theory of content and other
essays (Una teoria del contenuto e
altri saggi, MIT Press, Cambridge 1990),
di cui una parte delle critiche sono
state raccolte da Barry Loewer e Georges Rey in Meaning in mind: Fodor
and his critics (Significato nella
mente: Fodor e le sue critiche,
Blackwell, Oxford 1991).
E’ da più di dieci anni che Jerry A. Fodor
è considerato uno dei più interessanti ed
incisivi filosofi della mente. Il suo progetto
coincide in generale con il tentativo di
conciliare la concezione degli esseri umani
come individui le cui azioni scaturiscono
intenzionalmente dalle loro credenze e dai
loro fini con quella che considera gli individui come un sistema fisico complesso.
La conciliazione di queste due concezioni
dovrebbe abolire l’affermazione secondo
cui la spiegazione intenzionale, a differenza di quella proposta dalla scienza, non è
una spiegazione causale. Secondo la teoria
del realismo intenzionale, ogni spiegazione intenzionale implica un tipo di spiegazione causale, che per Fodor conduce alla
nozione di “linguaggio del pensiero” della
conoscenza umana.
I pensieri sono strutture interne che possono essere caratterizzati in maniere diverse,
per esempio come rappresentazioni; in tal
caso essi vengono concepiti come aventi
significato, in quanto tentativi, talvolta anche erronei, di rappresentare il mondo così
come esso sembra essere o come potrebbe
essere. Le proprietà rappresentazionali possono costituire l’aspetto più importante e
interessante del pensiero, ma ve ne sono
altri. Infatti le rappresentazioni vengono da
noi trasformate in inferenze, e la scienza
formale ha dimostrato che i ragionamenti
deduttivi sono la chiave per l’organizzazione delle rappresentazioni. Quest’ultima
considerazione è ora ciò che per Fodor
fornisce la connessione tra la concezione
della mente come un sistema rappresentazionale e quella che la considera come un
sistema fisico.
Dal punto di vista di Fodor il realismo
intenzionale è dunque ciò che permette di
arrivare ad una psicologia cognitiva, il cui
compito è appunto quello di spiegare l’unione dell’aspetto intenzionale e di quello
fisico tramite un modello-struttura che tiene conto dell’intenzionalità. Gli esseri
umani risultano macchine fisiche, capaci
di produrre inferenze; solo che la relazione
tra l’organizzazione e la rappresentazione
è complessa: l’organizzazione è rilevante
per il rappresentare, ma la sintassi non
determina la rappresentazione. In definitiva il punto centrale della ricerca di Fodor è
nel riuscire ad unire una teoria della rappresentazione con una teoria dei processi mentali, una teoria del modo di rappresentare il
mondo con una teoria del pensiero.
In Meaning in mind , Michael Devitt,
Stephen Stich, Brian Loar e Ned Block
mettono tuttavia in dubbio che la psicologia computazionale proposta da Fodor possa conciliarsi con la sua psicologia intenzionale. Il progetto di Fodor costituirebbe
un’erronea teoria del significato ed una
descrizione inadeguata della struttura computazionale della mente e di conseguenza
un’unione inadeguata delle due posizioni.
Poiché il significato possiede una valenza
pragmatica e relativa al contesto e alla
dimensione sociale, questo evita di dare
una base empirica alla teoria del significato. Fodor, al contrario, vorrebbe spiegare la
nozione di rappresentazione, mostrando la
base naturale del significato. L’incompatibilità di queste due posizioni genera un’importante ipotesi: se infatti non possiamo
spiegare il contenuto del pensiero, possiamo però abbandonare la concezione dell’essere umano come guidata dall’agire
intenzionale.
Consapevole di questo dibattito, Daniel C.
Dennett si propone, con il suo Consciousness explained, di mostrare che il problema della coscienza non presenta misteri
legati al dualismo mente-corpo posto da
Cartesio. Non esiste all’interno dell’essere
umano un luogo intimo e segreto popolato
di eventi misteriosi. Ciò che invece esiste è
qualcosa come un congegno computazionale caotico (il cervello), in cui appaiono
molteplici successioni di informazioni da
cui scaturiscono risposte e affermazioni.
Poiché sappiamo come determinare una
struttura computazionale capace di produrre responsi, non c’è motivo, per Dennett,
che rimanga aperto il problema di ciò che è
in grado di rendere cosciente tale congegno.
Non esistono eventi interni con la speciale
proprietà di essere coscienti, intendendo la
coscienza secondo la struttura mente-corpo che Cartesio ci ha tramandato. Non
esiste una differenza qualitativa tra ciò che
noi facciamo, quando riportiamo un contenuto conscio, e ciò che un congegno computazionale dovrebbe fare se fosse programmato per spiegare il suo modo di procedere. In tal senso Dennett propone un’immagine alternativa a quella cartesiana, e
invece di descrivere il pensiero cosciente
come un fugace sguardo su di un misterioso luogo interno, parla di un modello a
schema multiplo. L’idea chiave risiede nel
fatto che il cervello lavora senza sosta in
parallelo su di un’ampia varietà di generi di
interpretazioni che riceve da differenti inputs. In relazione a ciò Dennett dimostra,
almeno per piccolissimi intervalli di tempo, che la distinzione tra processo preconscio e quello post-conscio non esiste
nel cervello. Nonostante gli sforzi, Dennett
non pare tuttavia in grado di spiegare e
risolvere definitivamente il problema della
TENDENZE E DIBATTITI
coscienza, anche se giustificato e legittimo
appare il suo rifiuto del mistero mentecorpo. V.R.
Un uomo all’antica
Dopo più di dieci anni dall’edizione
tedesca, viene pubblicata in italiano
la raccolta di scritti (elaborati tra gli
anni Cinquanta e Sessanta) di Günther Anders, L’uomo è antiquato
(trad. it. di M. A. Mori, Bollati-Boringhieri, Torino 1992). Erede, più di
quanto non dicano le vicende biografiche, delle analisi della Scuola di Francoforte, le riflessioni sulla tecnica di
Anders appaiono, più che datate,
“inattuali” e accostabili, anche se con
diversa profondità di pensiero, a quelle
di Heidegger e Adorno.
Fedele al noto adagio hegeliano, secondo il
quale un mutamento quantitativo ne comporta uno qualitativo, il dominio della tecnica nelle società occidentali contemporanee muta radicalmente, a parere di Günther Anders, il rapporto tra l’uomo e gli
“strumenti” tecnici, appunto, a cui egli fa
riferimento. Non più dunque l’uomo soggetto degli strumenti che produce e utilizza, ma un mondo di oggetti caratterizzato
da una propria e indefinita riproducibilità,
oggetti che “vivono” l’uomo, il quale solo
apparentemente è attivo nel rapporto con
essi.
Più ancora che nel rapporto di produzione
definito dal “tempo di lavoro”, questa situazione risulta evidente, osserva Anders,
nel rapporto di consumo, cioè nel “tempo
libero”: l’uomo è appendice funzionale del
processo oggettuale, e non viceversa. All’interno del mondo oggettuale, la pacificazione delle contraddizioni passa attraverso la rimozione di qualsiasi residuo di
attività, ovvero di soggettività, attribuibile
all’uomo; il mondo pianificato della tecnica è il mondo progettato dalla tecnica, non
dall’uomo. Le ascendenze heideggeriane
di questa interpretazione sono evidenti;
tuttavia nell’alternativa che Anders concede all’uomo permane un residuo di umanesimo che Heidegger giudicherebbe, nel
migliore dei casi, una mancanza di radicalità dell’analisi.
Il carattere antiquato dell’uomo individuato da Anders consiste nel suo non essere
adeguato al mondo oggettuale che si trova
a consumare; la specificità del soggetto, la
“soggettività offesa”, rimossa dalla partecipazione attiva al processo costitutivo del
mondo oggettuale, viene rimessa in gioco,
come inadeguata, nel mondo del consumo,
nel mondo di ciò che “si” è prodotto. E’
vero che, soggettivamente, l’uomo vive
tale inadeguatezza, tale carattere antiquato, come una mancanza, come un’incapacità di controllo del meccanismo produttivo
e, quindi, come uno stato di fatto da eliminare, nella serena convinzione della possibilità di un’adeguatezza sempre più avanzata. Ma dal punto di vista oggettivo è
proprio il permanere di questa inadeguatezza a determinare lo scarto fra il piano
delle capacità dell’uomo di controllare la
produzione, il consumo (o meglio, di controllare la produzione del consumo), e quello
delle dinamiche oggettuali, divenute ormai
“sovrumane”, sovrapersonali. Si verifica,
anzi, fra coscienza soggettiva e realtà, un
rovesciamento dialettico; quanto più l’uomo è, o crede di essere, “adeguato” alle
dinamiche di produzione e consumo del
mondo oggettuale, tanto meno è “uomo”,
tanto meno è adeguato a se stesso.
La prossimità delle analisi di Anders a
quelle di Th. W. Adorno è, da questo punto
di vista, palese. Tuttavia le posizioni dei
due pensatori sono molto differenti, proprio in virtù dell’approccio storico-dialettico alla questione: ben marcato in Adorno,
assente invece, in ultima analisi, in Anders.
La sua vuole essere una descrizione fenomenologica del mondo della tecnica, che
ha come scopo un’ontologia del mondo
oggettuale e a una tipologia antropologica,
entrambe caratterizzate in senso sovrastorico. Nelle condizioni imposte dalla tecnica, il mondo oggettuale acquisisce per
Anders un’”oggettività” che prescinde dal
rapporto che esso ha con gli uomini e dal
rapporto che questi hanno fra di loro; rapporto che è storico, e dunque dialettico,
TENDENZE E DIBATTITI
come ben sapeva Adorno. F.C.
Il soggetto paziente
Da prospettive diverse i testi di Marco
Maria Olivetti, Analogia del soggetto (Laterza, Bari-Roma 1992), e di
Ubaldo Fadini, Configurazioni antropologiche. Esperienze e metamorfosi della soggettività
moderna (Liguori, Napoli 1991), analizzano il costituirsi dell’uomo come
soggetto. Il luogo fondativo della soggettività è individuato da Olivetti nel
concetto di rappresentazione, e da
Fadini in quello di finitezza. Nell’uno e
nell’altro caso, filo conduttore di queste ricerche sembra essere il tentativo
di trovare la fondazione del soggetto,
tradizionalmente definito dall’attributo dell’attività, in una dimensione dove
quest’ultima sia consustanziale a una
“paticità” originaria. Il nesso fra razionalità e passione, fra “essere attivo” e
“essere affetto” è anche il tema conduttore della raccolta La passione
della ragione (a cura di Gianfranco
Dalmasso, Jaca Book, Milano 1991)
con saggi, fra gli altri, oltre a quello
dello stesso Dalmasso, di Francesca
Bonicalzi, Carlo Sini, Mario Vegetti.
Nell’analisi filosofica del problema religioso, Marco Maria Olivetti vede una
prospettiva privilegiata per porre la questione relativa alla dimensione originaria
della costituzione del soggetto. In un’ottica
fenomenologica, il problema di “pensare
Dio” assurge per Olivetti al ruolo di paradigma della dimensione originaria del pensare tout court. Come è noto, in un’analisi
di tipo fenomenologico è legittimo “mettere tra parentesi” il riferimento semantico,
in quanto l’epochè riguarda la realtà esterna al fenomeno, cioè all’ ”altro”, cui l’evento
segnico rinvia. L’oggetto intenzionale della religione implica tuttavia il rinvio a un
“al di là” della coscienza che è peculiare
rispetto a qualsiasi altro oggetto; il rimando
all’ ”al di là” della coscienza è infatti nella
religione talmente intrinseco all’atto di intenzionamento, da risultare ineludibile, in
quanto costitutivo dell’atto stesso. Il “totalmente altro” dell’atto è dunque il suo più
proprio costituente, che d’altra parte non è
definibile come sua “essenza”, proprio perché è “altro” da esso. Ecco allora come la
questione ontologica deve essere collocata
al di fuori di una prospettiva onto-logica,
cioè referenziale.
Nella seconda parte della sua indagine Olivetti cerca in modo analogo di ricollocare
la questione etica, o meglio, la questione
dell’uomo «alla fine dell’etica», all’interno di una fondazione dell’etica stessa che è,
a sua volta, fondazione dell’ontologia. A
parere di Olivetti tale fondazione va ricercata allontanandosi dall’intento di determinare una qualche “essenza” dell’uomo,
dall’intento cioè di svolgere la questione
dell’uomo in una prospettiva onto-logica, e
intraprendendo invece un cammino che ha
origine anch’esso dal pensiero fenomenologico. La questione dell’essere può essere
posta solo rinunciando a una tematizzazione, a una “rappresentabilità” della costituzione dell’ego. Il soggetto non viene più
concepito sotto le spoglie di una metafisica
della presenza, ma sotto quelle di una coappartenenza a intenzionamenti plurimi e divergenti, dove l’autoreferenzialità dell’io
rimanda a un’ alterità destinataria» dei suoi
intenzionamenti, ed è sua volta alterità “destinata”. Ciò non implica affatto un’adesione, da parte di Olivetti, alle posizioni
della cosiddetta “etica comunicativa”, alla
base della quale, a suo parere, permane un
presupposto soggettivistico-sostanzialistico; piuttosto, si tratta di una ridefinizione
della questione del senso «come esterno e
non presentabile, ma solo ripresentabilerappresentabile nell’identità presenziale
della coscienza soggettiva». Proprio la questione della rappresentazione, che nella terza parte del suo lavoro Olivetti propone
come cifra dell’esistenza umana, chiude il
cerchio delle considerazioni su Dio: l’affermazione della non rappresentabilità di
Dio è il correlato di quella dell’intrascendibilità della rappresentazione di Dio da parte dell’uomo, per il quale Dio permane, dal
punto di vista ontologico, come “totalmente altro”.
Anche Ubaldo Fadini nelle sue Considerazioni antropologiche cerca una determinazione della soggettività umana, al limite
dell’impostazione antropologica. Non è
casuale che le tappe di questo percorso si
snodino non solo attraverso filosofi, come
Walter Benjamin, Carl Schmitt e Arnold
Gehlen, ma anche poeti e letterati, come
Elias Canetti e Paul Celan. La «coscienza
antropologica della dimensione polimorfa
dell’umano», per quanto pur sempre considerazione di una multidirezionalità dell’esperienza umana, deve lasciare il posto
al “polimorfismo antropologico”, a una
“pluralità di assoluti”, fra loro irriducibili.
Fadini sottolinea come la costituzione dell’essere preceda la sua composizione, la
sua fatticità: l’essere si fonda su un’operazione etica, su un’attività che «si manifesta
nella molteplicità dei piani [...] in cui si
articola la pratica sociale di soggetti reali,
che si consolidano mediante la “riflessione” dell’agire su se stesso».
Richiamandosi a Benjamin, Fadini sostiene la prospettiva di un materialismo “assoluto” che si qualifica come “antropologico”. Nella ricostruzione della soggettività,
partendo dal piano ontologico e passando
attraverso il terreno dell’agire storico dell’uomo, si realizza la qualificazione “politica” dell’ontologia. Da qui, sulla scorta
delle indagini di Gilles Deleuze - nei confronti del quale Fadini dichiara il proprio
debito - si sviluppa l’attenzione dell’autore
per le “configurazioni antropologiche” storiche nell’epoca del “moderno” e del “postmoderno”. La ricerca “paziente”, proposta da Fadini nel confronto con le conside-
razioni di Arnold Gehlen, mette a fuoco il
concetto di “corpo”, rispetto al quale la
coscienza è un sintomo. Si tratta di un
rapporto direttamente proporzionale a quello fra attività e passività, fra capacità del
corpo di costruire una costellazione di relazioni che definiscono la propria individualità soggettiva e capacità di essere affetto,
di patire. Ogni tentativo di render conto del
rapporto tra anima e corpo come relazione
tra un elemento “attivo” e uno “passivo”, è
infondato quanto la pretesa di porre la
coscienza in posizione “normativa” rispetto alle pulsioni del corpo.
Ragione e passione, intelligere e credere,
libertà e desiderio, sono i poli attraverso i
quali, nel volume La passione della ragione, che raccoglie gli interventi al seminario
omonimo, tenutosi a Milano nel 1990, si
sviluppa il dibattito sul rapporto del soggetto con l’origine del proprio essere. La
questione del momento inaugurale della
soggettività individuale, sostiene Gianfranco Dalmasso, viene coperta e oscurata
qualora si consideri la libertà unicamente
nel suo aspetto di ab-solutezza, di scioglimento del suo legame originario con ciò
che la limita. L’ ”esperienza” - termine in
cui risuona il concetto di limite, peiras testimonia invece del legame tra la libertà
umana e la sua finitezza, che si manifesta
anzitutto nel rapporto tra ragione e patire; il
misconoscimento di tale rapporto avviene
qualora lo si interpreti nella prospettiva di
un controllo da parte delle facoltà razionali
dell’uomo nei confronti della propria passionalità. Sul problema del controllo delle
passioni corporee da parte dell’anima si
pronuncia anche Mario Vegetti. La questione del “governo dell’anima” si gioca
sulla doppia valenza del governo che l’anima esercita nel confronto delle passioni e
su quello che su di essa viene esercitato
dalla società, dalla famiglia e dalla polis.
Le due direzioni del rapporto vengono entrambe tenute ferme nella prospettiva platonica, fortemente orientata alla possibilità
da parte del soggetto di intervenire sulla
propria situazione storica e di determinare
il proprio destino. Viceversa, proprio perché lasciano cadere questa istanza, gli stoici possono di fatto considerare come problematica anche solo la prima direzione
della relazione di “governo”, quella che
intercorre fra l’anima e le passioni. Qui di
fatto, a parere di Dalmasso, andrebbero
ricercate le radici perdute della ratio, divenuta “ragione calcolante”, pura e semplice
“misurazione” e padroneggiamento.
Anche l’analisi che Francesca Bonicalzi
dedica a Descartes è finalizzata a escludere
un rapporto dualistico di subordinazione
tra ragione e passioni. La passione è talmente consustanziale alla razionalità, che
nel dualismo cartesiano di res cogitans e
res extensa essa si colloca sul versante
della prima: l’uomo patisce in virtù del
principio razionale e non di quello materiale. Riprendendo le tematiche di un suo
recente studio, Passioni della scienza. Descartes e la nascita della psicologia (Jaca
TENDENZE E DIBATTITI
Ludwig Wittgenstein. Disegno di Joan Bevan, Cambridge
Book, Milano 1990), Bonicalzi osserva
che in Cartesio, una volta abbandonato il
tentativo di fondare la soggettività esclusivamente sulla razionalità del cogito, sembrerebbe possibile definire il soggetto da
un punto di vista scientifico-morale, facendo riferimento all’emotività passionale.
Il carattere della passione, originariamente
ontologico e solo in via subordinata e derivativa psicologico, è sottolineato da Carlo
Sini. La dimensione “patica” in cui si colloca l’uomo indica il suo carattere di “essere destinato”: il suo essere consegnato all’interpretazione, in quanto deciso da
un’apertura peculiare di questa. Caratteristica dell’uomo è infatti quella di poter
avere nozione di sé solo accogliendo un
messaggio che gli si presenta attraverso
segni: l’uomo non incontra, infatti, né “semplici presenze”, presenze “naturali” a lui
del tutto estranee e inesplicabili, né, all’opposto, presenze “assolute”, come accade
invece a Dio. Fra questi estremi l’uomo sta
nel “frammezzo”, segno fra segni, e il suo
“patire” è l’esser deciso dai segni che esso
si trova a dover interpretare. In questo
senso, sostiene Sini, il tipo di interpretazione che definisce storicamente l’uomo del
moderno Occidente è «una passione e un
destino». Si tratta allora di “abitare l’evento” dell’interpretazione, ovvero della passione alla quale siamo consegnati, il nichilismo. In questo “abitare l’evento” consiste
l’ ”etica dell’interpretazione” che è, al contempo, “etica della passione”, mediante la
quale da soggetti alle passioni si può diven-
Riviste d’autore
Prende sempre più piede in Francia,
nel campo delle scienze umane, la formula della rivista, per così dire, d’
”autore”: annuari, vere e proprie miscellanee di saggi critici attorno a un
unico soggetto. Da segnalare, in particolare, l’uscita di tre riviste d’estetica,
“La part de l’oeil” (La parte
dell’occhio), “Poliphile” (Polifilo) e
la “Revue d’esthétique” (Rivista di
estetica), il cui tratto saliente, come è
stato notato, consiste nella connessione operata in modi diversi fra riflessione sull’arte (percezione estetica,
creatività artistica, teoria semiotica) e
analisi puntuale e competente delle
opere d’arte (elaborazione tecnica, storicità, moduli stilistici, storia critica
della ricezione).
Già dal titolo si può desumere il programma concertato dalla redazione (fra cui ricordiamo: Eliane Escoubas, Murielle
Gagnebin, Lucien Massaert, Chaké
Matossian, Luc Richir) della rivista “La
part de l’oeil”: restituire all’occhio la sua
parte, prendere le misure della forza e delle
forme della percezione estetica, coglierne i
nessi sensibili con la dimensione linguisti-
ca, la struttura del segno, la sfera del vissuto, le sedimentazioni socio-culturali. Così
sono stati dedicati: il n. 7 (1991) al rapporto
fra arte e fenomenologia, sotto la guida di
Eliane Escoubas (con interventi di Jacques Garelli, di Françoise Dastur, di Jacques Taminiaux, della stessa Escoubas,
di Marc Richir); il n. 6 (1990) a “Le
dessein” (con interventi di Jackie Pigeuad,
di Georges Didi-Hubeman); il n. 5 (1989)
a “Topologie de l’énonciation” (comprendente saggi di Daniel Arasse, Louis Marin, Jean Petitot); il n. 4 (1988) a “Voir: les
procès métonymiques de l’image” (con
articoli, fra gli altri, di Sarah Kaufmann,
di Daniel Giovannangeli).
Si tratta dunque di una rivista con una
precisa linea di pensiero tirata sull’orizzonte teorico-semiotico della riflessione
estetica con l’ausilio dell’occhio acuto,
penetrante, di chi ha una lunga e familiare
frequentazione con le opere d’arte. Nata
nel 1985 a Bruxelles, la rivista è stata
presentata quest’anno al Collège de France, indice del suo riconoscimento “parigino”. In particolare il n. 8 (1992) è stato
accolto con notevole interesse: da un lato,
dedicato a “Wittgenstein et l’esthétique”,
corona tutta una serie di iniziative del Collège, coordinate da Elisabeth Rigal, sul
pensiero del filosofo austriaco; dall’altro
mira a cogliere sotto una nuova luce quelle
zone d’ombra della percezione estetica, in
cui l’esercizio logico di Wittgenstein trova,
al contempo, resistenze tenaci e occasioni
di chiarimenti ulteriori, fermo restando il
suo rifiuto di fare dell’estetica la scienza
del bello. Rigal mette in luce la diffidenza
dell’autore rispetto all’arte del suo tempo,
chiuso spesso in un atteggiamento critico,
a volte caustico influenzato in parte da
Kraus, da Loos. Ma una volta annullate le
possibili ramificazioni “psicologistiche” o
“sensualistiche” della riflessione estetica,
qual sarebbe per Wittgenstein lo specifico
dell’esperienza estetica? E, soprattutto,
come egli guarderebbe e comprenderebbe
un’opera d’arte?
Per Fernando Gil (“Entre l’aspect et l’éternel: l’art”) l’esperienza estetica (non artistica tout court) è per Wittgenstein un esercizio della percezione, il cui tratto perspicuo è la “soddisfazione”: questa è la convenienza reciproca degli elementi in un tutto,
non rinvia a sensi altri o nascosti, bensì la
sua cifra è tutta nel gioco complesso delle
apparenze, dei riempimenti di attese. La
percezione, come nucleo dell’arte, non ha
nulla a che fare con la psicologia, la quale
connette l’apparenza all’essere o all’inconscio mentre, ricorda Gil, per Wittgenstein si tratta di «connettere l’apparenza
all’apparenza». Centrale allora diviene la
nozione di Aspekt che indica la subitanea
scoperta-invenzione di una somiglianza, di
un’analogia fin’allora non percepita. Cogliere un aspetto è un’esperienza «metà
pensiero, metà vissuto»: è una nuova percezione, nel seno di una percezione invariata. Gil interpreta la nozione di aspetto e
di soddisfazione estetica che ne deriva alla
TENDENZE E DIBATTITI
luce della nozione di esempio, tipica della
tradizione retorica e di Kant: in entrambi i
casi si tratta di un’illustratio, di un’ostensio e di un’evidentia, che Gil vede all’opera
nella kantiana presentazione vivente di
un’Idea e che in Wittgenstein assume la
forma di una teoria del vedere: la percezione estetica vede come se interpretasse, si
appoggia su un sensibile strutturato, coglie
analogie oggettive fra le apparenze dei
fenomeni, in quanto sensibilmente presenti, evidenti nell’illustrazione e ostensione
che se ne può fare. In Wittgenstein, conclude Gil, ciò che contraddistingue la “grande
arte” è il suo carattere di “profondità”, il
visibile disoccultato che stupisce e meraviglia: è il mondo dei fenomeni nel suo carattere di “aurora”.
Su questa linea, Plinio Walder Prado Jr.
(“De l’art de juger”) riprende la teoria
wittgensteiniana della visione, ma sottolinea il carattere inventivo della nozione di
aspetto: in particolare nelle Ricerche logiche Wittgenstein avrebbe strettamente legato la visione degli aspetti a una filosofia
dell’immaginazione tesa a cogliere, a giudicare la singolarità, l’unicità delle opere
d’arte. Proprio nella nozione di aspetto, che
rinvia a un particolare modo di “guardare”,
Prado vede la soluzione possibile dell’antinomia kantiana di gusto: al giudizio estetico apparterrebbe uno specifico gioco di
linguaggio capace di fare allusione e di
cogliere l’indeterminabile e la singolarità
dell’evento estetico. Linguaggio dunque
che opera non tanto per ciò che dice, ma
attraverso ciò che mostra e in questa esibizione, metà linguistica, metà percettiva,
risiede la possibilità di una condivisione
pubblica dei giudizi di gusto, una sensibilità comune forgiata su un comune vedere gli
aspetti.
A questo proposito, Prado ricorda in Wittgenstein la differenza fra “veder-questo”,
la cui enunciazione riporta a un gioco linguistico descrittivo e ostensivo, e “vedercome”, di genere valutativo e immaginativo, che implica una sintesi dell’immaginazione che attraversa il sensibile stesso. La
questione è allora capire come sia possibile
trasmettere ad altri la nostra “ricezione
attiva” di un opera d’arte e come questo
giudizio sia condivisibile. Per Prado la risposta è chiara e indica l’antidogmatismo
di Wittgenstein: significa avere occhio o
orecchio per il caso singolo, sviluppare
quel “sentimento delle regole” che implica
un riconoscimento di regole date (culturali,
sociali) e al contempo una capacità inventiva che ne sappia cogliere nuove “versioni”, interpretazioni, angolature. Il sentimento delle regole è un sentimento particolare che scorge con un colpo d’occhio particolari connessioni e analogie, “educa” la
sensibilità alla molteplicità dei modi di
vedere una medesima cosa, che resta la
stessa, pur cambiando. E’ un essere in
sintonia con le “sottili sfumature” delle
cose.
Anche Elisabeth Rigal (“De la recherche
esthétique comme philosophie première”)
sottolinea la densità teorica dell’espressione wittgensteiniana di “sentimento delle
regole”, riannodandola in particolare al
problema del piacere estetico. Il piacere
indica un “sentimento orientato”, non interpretabile però in termini autoriflessivi:
non è riducibile all’auto-affezione del soggetto per la forma delle proprie rappresentazioni. Al contrario, il sentimento delle
regole conferisce un piano oggettivo al
sentimento di piacere, che non è mai immediato, ma richiede un certo sapere, più o
meno raffinato, un esercizio dei sensi, dello
sguardo, dell’intelligenza. Centrale è allora per Rigal la nozione di “perfezione”, ciò
su cui il giudizio “si regola”: perfezione
indica una particolare relazione fra giudizio e regole, che da un lato evidenzia l’analogia delle problematiche logico-predicative con quelle estetiche, dall’altro ne sottolinea il carattere duttile, volta per volta
singolare.
Molto interessanti, in questo numero della
rivista, sono infine anche gli interventi segnatamente estetici, fra cui quello di JeanPierre Cometti sulla casa viennese costruita su progetto di Wittgenstein in Kundmanngasse 19.
Decisamente orientata a cogliere i problemi teorici a partire dall’interrogazione delle opere singole è la rivista “Poliphile”, il
cui primo numero è dedicato al problema
della malinconia in arte. Rivista annuale di
arte e scienze, a cura di Nelson Gonzàles-
Cortés, “Poliphile” ha due tratti caratteristici. Il primo è che i numeri sono connessi
strettamente alle pubblicazioni delle edizioni Aldines di Parigi: gli interventi infatti
ruotano attorno a temi o a autori, oggetti di
opere di prossima uscita presso questa casa
editrice. Il secondo è che si tratta di una
rivista “raffinata” per la scelta fotografica,
la riproduzione d’immagini e per lo “stile”
degli interventi, i quali portano appunto sul
terreno concreto del lavoro artistico, ponendo questioni sull’artisticità e sull’esteticità dell’arte a partire dalla sua effettiva
messa in opera.
Nel primo numero il rapporto fra arte e
malinconia è affrontato da Yves Hersant a
partire dalle pitture e dal diario (15541556) di Pontormo, pittore rinascimentale
alla corte di Firenze. La scrittura di questo
diario non va sottovalutata: interrotta, frammentaria, fatta a pezzi ci restituisce tutta la
violenza del combattimento di un’anima e
di un corpo. Nelle quotidiane annotazioni
igieniche, culinarie, mediche, non bisogna
scorgere solo un documento clinico da dare
in pasto a psichiatri frettolosi: al contrario,
questi appunti pongono la questione del
rapporto fra la dimensione degli “umori,
l’organismo fisiologico, in altri termini, il
corpo massiccio, viscerale, e la creatività
artistica del “genio”. La malinconia, sottolinea Hersant, è cifra dell’alterità e dell’alterazione propria dell’artista, in particolare
nel Rinascimento: «Sentirsi essenzialmen-
Albrecht Dürer, Autoritratto (1493)
TENDENZE E DIBATTITI
te diverso da sé, questo sarebbe il proprio
dell’artista e del melanconico». Il diario di
Pontormo testimonia di «questa familiarità
con la morte, la propria, quella degli altri
anche, quella della pittura forse». Questa
intima alterazione di sé, connessa all’alterazione di un corpo non sempre sano, spesso non “igienico”, e di un’anima irriconoscibile a se stessa, conduce il pittore a
toccare con mano (cioé con il pennello alla
mano) tutti gli estremi e a sentirne l’intima
coincidenza nell’alterità più “nera”. Così
appaiono le pitture di Pontormo: malinconiche certo, eppure un concentrato di colori
acidi, forti (vermiglio, rosa, blu) che ci si
aspetterebbe in scene solari e gioiose e non
in deposizioni, in immagini di morte.
Louis Marin c’invita invece a un esercizio
logico-semiotico il cui «proposito è austero»: si tratta di mettere a confronto due
enunciati, il primo teologico, l’altro artistico, il cui punto comune è una struttura di
enunciazione paragonabile: da un lato, la
formula eucaristica, consacratoria: “Questo è il mio corpo”; dall’altro la frase caratteristica delle principali espressioni di giudizio estetico dell’avanguardia: “Questa è
arte”. Entrambi gli enunciati partecipano
della medesima enigmaticità; infatti, da un
lato, come possono pane e vino trasformarsi in corpo e sangue di Cristo senza cambiare con ciò la loro apparenza di cose? Dall’altro, come possono un colore blu, un
porta-bottiglie (Marin si riferisce qui a un
quadro di Yves Klein, “Monocromo blu
senza titolo”, del 1960, e al “Porta-bottiglie” di Marcel Duchamp del 1914) trasformarsi in opere d’arte senza perdere con ciò
la loro sagoma e le loro proprietà di cose?
Esiste in arte qualcosa come una “transustanzazione”?
Marin procede passo per passo a mostrare
la comune rete semantico-logica dei due
enunciati retti dalla forza del deittico
“questo...Hoc”, la cui identificazione indicativa “questo” (immediatamente: questa
cosa qui, pane, blu, porta-bottiglie) glissa
al termine della frase in significati precisi:
“corpo”, “arte”. Com’è possibile quest’assimilazione del significato a ciò che era
solo indicato? La chiave di volta è offerta
dal verbo, anzi dal Verbo che assicura la
verità dell’essere a partire dalla rappresentazione: il nocciolo primario è la terza
persona singolare dell’indicativo “è”. Così
il soggetto parlante si trova squalificato nel
suo atto d’enunciazione a profitto della
presentazione nel suo dire delle determinazioni oggettive dell’Essere, della Parola
dell’Essere. Se questo è possibile nella
parola consacratoria, per quanto riguarda
l’arte moderna l’enunciato: “Questo è arte”,
è privo di garanzie, poiché mira a operare il
miracolo della trasformazione «per mezzo
della semplice virtù della sua enunciazione». Occorre allora, conclude Marin, interrogarsi sulla legittimità e sull’autorità specifica di questa possibile “conversione” di
gesti, oggetti, proposizioni artistici e riflettere in particolare sul carattere locale e
spaziale (metaforico) di tale conversione.
Infine è da segnalare il n. 21 (1992) della
“Revue d’esthétique” dal titolo: “Pourquoi
l’esthétique?”, che riunisce studiosi diversi
per interessi e nazionalità accumunati dal
desiderio di rendere omaggio a Mikel Dufrenne. Tre le linee principali d’intervento
teorico: la prima è tesa a individuare le
questioni di metodo dell’estetica come
scienza umana, ponendosi ora problemi
più spiccatamente teorici (M. Gagnebin
affronta il rapporto fra psicanalisi ed estetica; O. Revault d’Allonnes rivendica la
superiorità del giudizio estetico sul giudizio di gusto), ora ricostruendo le grandi
correnti dell’estetica (L. Poissant connette
strettamente l’estetica più recente alla filosofia pragmatica della lettura e della ricezione). Il secondo orizzonte teorico è disegnato invece da interventi più focalizzati su
temi “locali” e concreti dell’arte (B. Lafargue traccia un’interessante storia del viso
“cinematografico”; G. Genette s’interroga sullo statuto concettuale dell’arte del
ready-made). Non sono tralasciati nemmeno possibili punti di contatto fra estetiche
geograficamente lontane (G. Marchianò
ricorda il pensiero di Ananda K. Coomaraswamy; M. Sakabé analizza la maschera
e il gioco nel “teatro no”). Il terzo gruppo
d’interventi è più strettamente connesso
all’interpretazione del pensiero di Dufrenne (fra gli altri, D. Formaggio interviene
sul senso del poetico; R. Court sull’ontologia della carne; M. Saison sulla nozione
di trascendentale empirico; D. Giovannangeli sul rapporto fra Dufrenne e Merleau-Ponty): il rapporto intrinseco fra creazione artistica e corpo proprio e la stretta
connessione fra interpretazione della natura e percezione estetica. Daniel Charles,
curatore del numero, sottolinea come la
nozione di natura in Dufrenne non venga
intesa come terra incognita, bensì come
crocevia di un’esperienza al contempo germinale, inaudita e familiare. Il “Cap Ferrat”, così il titolo di un recente articolo di
Dufrenne da cui Charles prende spunto,
non è né puro Essere, né simbolo umano: è
abitato, reso presenza viva e intima dal
vissuto degli abitanti. Il loro dialogo percettivo-affettivo (non sentimentalistico) con
questo spazio è l’Einfühlung che fa di questo luogo uno posto in cui rimanere, per
restare - sottolinea Dufrenne - «nei paraggi
dell’originario». F.M.Z.
Ermeneutica letteraria
La seconda edizione italiana dell’opera di Peter Szondi, Introduzione all’ermeneutica letteraria (a cura
di G. Cusatelli, Einaudi ,Torino 1992)
ripropone il tema della modernità della proposta critico-ermeneutica di questo autore, già sollevata due anni fa
dalla pubblicazione dei suoi studi su
Celan con il titolo: L’ora che non ha
più sorelle. Studi su Paul
Celan (a cura di G. A. Schiaffino e C.
Viano, Gallio, Ferrara 1990), cui si affiancava lo studio critico di Elena Agazzi, L’ermeneutica di Peter Szondi e la letteratura tedesca
(Campanotto, Udine 1990).
Nella sua breve ma densa premessa al ben
articolato studio di Elena Agazzi, Gert
Mattenklott indica con chiarezza come l’
“oggetto” particolare della riflessione critico-filologica di Peter Szondi sia sempre
stato quello della modernità, intesa come
un processo di continuo disincantamento.
Già nella sua dissertazione sulla Teoria del
dramma moderno (1956), elaborata sotto
la guida di E. Staiger e la cui traduzione,
curata da C. Cases, fece conoscere nel 1962
l’autore al lettore italiano, s’impone il tema
lukácsiano del “trascendentale essere senza tetto”, che trova il suo corrispettivo nel
mondo in frantumi delle forme artistiche
moderne (soprattutto per ciò che concerne
il teatro lirico ed epico). Il tentativo di
analizzare una condizione del mondo nella
prospettiva delineata dal motivo dell’autenticità e del suo contrario conduce successivamente Szondi a considerare l’estraniazione come tema dell’indagine e insieme “forma della sua attrazione”. Mattenklott insiste in particolare sugli studi su
Celan, poiché è in quest’ultimi che s’esprime un’ “arte della distinzione”, dal tono
melanconico, che ha come ideale «l’essere
tutt’uno con l’oggetto nel modus del commiato». L’oggettivismo metodico di tale
arte non può che manifestare un interesse
profondo per il testo poetico celaniani, che
rifiuta il convenzionale rinvio al reale, il
dispositivo della mimesis, della rappresentazione.
Nel suo studio critico, Elena Agazzi ripercorre l’articolarsi di una tale “arte della
distinzione”, cogliendo con acutezza come
l’intera ricerca di Szondi si caratterizzi per
il tentativo di dare corpo ad una ermeneutica letteraria che riesca a coniugare la
filologia con l’estetica, basandosi sulla
concezione dell’arte storicamente realizzata. Questa sottolineatura del condizionamento storico dell’ermeneutica letteraria
indica il distacco dalla linea filologica di
Staiger e l’assunzione piena dell’importanza della collocazione cronologica del
testo. Szondi si allontana così dalla risoluzione heideggeriana della comprensione
nel Dasein, dalla riduzione della forma a
contenuto e, oltre all’ermeneutica filologica, critica anche chi si limita all’analisi
linguistica senza riuscire a cogliere lo spessore specifico della comunicazione letteraria. In questa prospettiva si delinea una
concezione della testualità come “contesto
di senso”, la cui complessità irriducibile
pretende un rapporto diverso con il testo,
come ad esempio quello poetico, capace di
realizzare una comprensione non dimentica della pluralità dei fattori, anche e soprattutto estetici, che la rendono costitutivamente aperta e sperimentale.
L’ Introduzione all’ermeneutica lettera-
TENDENZE E DIBATTITI
ria, consente di apprezzare pienamente la
posizione di Peter Szondi rispetto ai grandi
maestri dell’ermeneutica novecentesca, in
primo luogo Hans-Georg Gadamer. Nell’ottica szondiana, osserva Giorgio Cusatelli, la tradizione è fatta di fratture; il che
significa che la storia gioca un ruolo dialetticamente determinante nella produzione
dell’opera (sul piano della sua stessa strutturazione formale e su quello delle effettive
condizioni esterne della sua realizzazione)
e nel definire lo scarto che separa l’interprete dal testo stesso. In questo senso, l’interprete non può che approfondire quest’ultimo scarto nella riflessione critica su
di esso, non può che includere nella pratica
della comprensione l’analisi della propria
collocazione/determinazione. La proposta
ermeneutica di Szondi è dunque quella di
un sapere interpretativo capace di porsi
come un “conoscere perpetuato”, continuamente ritornante sulle sue premesse,
per saggiarne le potenzialità critiche. Nella
sua ricognizione sul materiale ermeneutico
disponibile - da Chladenius a Schleiermacher, passando attraverso Meier e Ast Szondi si sottrae tanto al vincolo oggettivo
del testo, quanto a un’esaltazione del ruolo
dell’esegeta, insistendo con Schleiermacher, sulla positività di un lavoro interpretativo che partecipi al processo di formazione genetica del testo. E’ qui, osserva
Elena Agazzi, «che si aggiunge a questo
importante fattore innovativo il primo vero
interesse per un’ermeneutica specificamente destinata all’interpretazione dei testi
poetici. Il fattore metaforico scioglie infatti
il testo dal vincolo dell’univocità del messaggio ed apre gli orizzonti a infinite soluzioni possibili che verranno vagliate grazie
all’ausilio di strumenti rigorosamente filologici».
A questo tentativo di fondare un’ermeneutica letteraria capace di evitare l’invadenza
approssimativa della teoresi filosofica e
l’eccesso filologico, si rivolge oggi l’attenzione di una critica che non si vuole esaurire all’interno del triangolo magico Heidegger-Gadamer-Derrida. Szondi muove
dalla convinzione che con “ermeneutica
letteraria” si deve intendere una scienza
dell’interpretazione basata sulla concezione dell’arte del nostro tempo e che si sa,
proprio per questo, storicamente condizionata e cioè priva di qualsiasi “validità universale e sovratemporale”. U.F.
Figure del paradosso
La questione del paradosso ha assunto negli ultimi anni una posizione centrale nella riflessione filosofica. Non
più considerato errore logico o espediente retorico in ogni caso da eliminare ai fini di una consistenza razionale del discorso, il paradosso sembra
assurgere in maniera crescente al ruolo di autentica categoria ontologica
del pensiero, esito ineludibile dell’ambivalenza e reversibilità delle formule
ontologiche fondamentali. A un’ampia disamina di questa problematica e
dei suoi risultati recenti è dedicato il
volume collettivo dal titolo: Figure
del paradosso (Liguori, Napoli 1992).
Come precisa subito nell’introduzione il
curatore del volume Rino Genovese, non
si tratta più di considerare i paradossi ostacoli da superare, ma di studiarli nella loro
“produttività”. Una concezione gnoseologica esente da paradossi comporterebbe
infatti una sclerosi dei punti di vista e di
riferimento, e un’apologia del “senso comune”; i paradossi, col loro effetto di “scepsi” conoscitiva, rappresenterebbero una
sorta di motore della conoscenza.
I due saggi di apertura propongono due
ricostruzioni storiche della vicenda del paradosso: il primo, di Walter Lupi, su di un
versante retorico e letterario, dove il discorso paradossale emerge come il discorso scettico per eccellenza; il secondo, di
Giuseppe Varnier, su di un versante propriamente filosofico. Secondo Varnier,
dopo le fortune sofistiche e la trattazione
sistematica aristotelica nella Retorica e nei
Topici, una radicale riflessione filosofica
sul paradosso ha inizio col Romanticismo,
da Hölderlin, che lo intende come contenuto più essenziale del tragico e vede l’arte
come ciò che ne realizza più compiutamente la struttura, a Kleist, che lo intende come
contenuto più proprio della conoscenza
allontanatasi dalla sua origine, sino a Kierkegaard, che lo contrappone alla totalizzante visione dialettica hegeliana come
segno più evidente del rapporto tra umano
e divino, paradosso dell’Incarnazione e della
Rivelazione.
I due saggi successivi, di Clemens Harle e
di Carla Benedetti, affrontano il problema
del significato attuale del paradosso per la
filosofia. La crisi crescente delle impostazioni di pensiero logiciste e formaliste sembra, per questi due autori, aver interamente
ribaltato il valore epistemico del paradosso: da incidente formale o indice di un’incompletezza da colmare, a espressione di
un reale ineliminabile, il manifestarsi in
una forma specifica di qualcosa di ontologicamente rilevante. Harle prende le mosse
da un lavoro di Deleuze (Logica del senso)
per presentare il paradosso non come deviazione dalla norma logica, ma come quell’incondizionato in cui il pensiero s’imbatte passando dal condizionato alla condizione, allorché comprende che non può più
cogliere quest’ultima all’interno del senso
comune. Il paradosso è una modalità del
senso, in cui vero e falso, o senso e non
senso, non si escludono reciprocamente,
ma rinviano a una loro originaria compresenza, un “essere” al di là di essere e non
essere. Harle lo chiama Aussersein, “extraessere”.
Benedetti muove invece dalla teoria dei
sistemi, vedendo nel paradosso una conseguenza dei sistemi autoreferenziali, strut-
turalmente tautologici, ossia impossibilitati a dire alcunché sul mondo. Il paradosso
risulterebbe da questa impossibilità di distinguere tra sé e il mondo. In altri termini,
poiché per parlare sensato dobbiamo necessariamente fare questa distinzione, mentre ogni metalinguaggio tenta invece di
esprimere l’unità di tale distinzione, è proprio il punto di osservazione metalinguistico, esterno al sistema e capace di considerarlo nella sua totalità, a produrre paradossi. Se ne deduce che le posizioni metalinguistiche, anziché risolvere, aggravano il
problema dei paradossi, rendendoli dirompenti.
Niklas Luhmann, forse massimo teorico
dei sistemi, in un saggio breve e un po’
ludico, ritiene i paradossi legati all’attività
stessa del distinguere, come ciò in cui consiste in ultima istanza tutta la conoscenza.
Paradossale in definitiva è il lavoro di ogni
ricercatore che deve indagare sui fondamenti del pensiero stesso attraverso cui
indaga.
Infine ci viene presentato, per la prima
volta in Italia e per la cura di Elena Esposito, un lavoro di un autore tedesco scomparso nel 1984, Gotthard Gunther, la cui
opera è oggetto di un crescente interesse in
Germania e nel mondo anglosassone. Nato
nel 1900, Gunther ha lavorato negli Stati
Uniti dagli anni Quaranta agli anni Sessanta, elaborando una critica abbastanza radicale della logica classica bivalente, minata
da “un’incompletezza strutturale” che la
costringe a escludere dal campo del formalizzabile tutto quanto è riconducibile all’attività di riflessione, e quindi anche la dialettica. Poiché i criteri logici della bivalenza e del codice binario rendono insostenibile la presenza - peraltro ineliminabile - del
paradosso, Gunther sviluppa sin dagli anni
Sessanta una complessa formalizzazione
“trans-classica”, basata sul calcolo logico
polivalente.
Nell’insieme dei saggi che compongono il
volume prevale tuttavia una visione del
paradosso in senso retorico, luogo della
sofistica, su di una visione del paradosso in
quanto matematico, luogo del platonismo.
L’attenzione prevalente è infatti alla teoria
dei sistemi, quindi a un quadro problematico ancora tributario, nonostante la distanza
critica, della filosofia analitica, e resta del
tutto trascurato il luogo teorico privilegiato
per uno studio rigoroso dei paradossi: la
teoria degli insiemi. F.E.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Socrate. Napoli, Museo Nazionale (raccolta Farnese)
PROSPETTIVE DI RICERCA
PROSPETTIVE DI RICERCA
Socrate e le sue fonti
Grazie all’opera filologica di Gabriele
Giannantoni è oggi disponibile un’opera, Socratis et Socraticorum Reliquiae (collegit, disposuit, apparatibus notisque instruxit G. Giannantoni,
Bibliopolis, Napoli 1990), che raccoglie in quattro volumi l’intero corpus
relativo alle fonti antiche su Socrate e
sui cosiddetti socratici minori ed è
destinata a diventare un punto di riferimento e di consultazione obbligato
per chiunque voglia studiare il pensiero socratico e l’immagine del filosofo
Socrate che la cultura antica ha riflesso attraverso i secoli. Quest’opera conclude, e in un certo senso completa, le
ricerche che Giannantoni e il romano
“Centro di Studi del pensiero antico”,
da lui diretto, conducono da decenni.
Studioso ed esperto di Socrate e delle scuole socratiche, a Gabriele Giannantoni si
devono tra l’altro precedenti importanti lavori su questo tema: un’edizione dei filosofi della scuola cirenaica (I Cirenaici. Raccolta delle fonti antiche. Traduzione e studio introduttivo, Firenze 1958), una preliminare raccolta dei frammenti e delle testimonianze sui socratici (Socraticorum Reliquiae, collegit, disposuit, apparatibus notisque instruxit Gabriele Giannanantoni,
Napoli 1983-1985), una traduzione italiana
di tutte le testimonianze su Socrate (Socrate. Tutte le testimonianze da Aristofane a
Senofonte ai Padri cristiani, Roma-Bari
1971, rist. 1986), oltre a una sintetica introduzione alla figura e al pensiero di Socrate
(Che cosa ha veramente detto Socrate,
Roma 1971).
Per la ricchezza della documentazione, per
la chiarezza con la quale il materiale è stato
disposto, oltre che per il notevole rigore
filologico, queste Socratis et Socraticorum
Reliquiae superano di gran lunga le precedenti raccolte dello stesso Giannantoni e
quella dell’inglese J. Ferguson (Socrates. A
Source Book, London 1970); senza timore
di esagerare si può ben dire che una tale
opera possa essere appaiata, nell’ambito
delle edizioni di frammenti e testimonianze
relative a filosofi antichi, a ben note pietre
miliari degli studi di filosofia antica, quali
gli Stoici di von Arnim, l’Epicuro di Use-
ner, i presocratici di Diels, ovvero - per
restare in ambiente italiano - i sofisti di
Untersteiner.
Lo scopo che l’editore si è prefisso è stato
quello di raccogliere tutto quello che su
Socrate è stato scritto nell’antichità, con
l’eccezione, dovuta a ragioni di carattere
editoriale (la mole dell’opera sarebbe divenuta insostenibile), dei dialoghi socratici di Senofonte (Memorabili di Socrate,
Simposio, Apologia, Economico) e delle
Nuvole di Aristofane, che pure sono fonti
essenziali per ricostruire l’immagine di
Socrate, anche perché si collocano in una
direzione diversa e complementare rispetto a quella platonica. Analogo è il proposito per quei filosofi ai quali si dà convenzionalmente il nome di socratici e che, secondo una consolidata tradizione, avrebbero
sviluppato diversi aspetti della filosofia
del maestro fondando differenti scuole
(megarica, cirenaica, cinica).
L’opera risulta suddivisa in sei sezioni,
dedicate rispettivamente a: I) Socrate; II)
Euclide e la scuola megarica; III) Fedone
di Elide; IV) Aristippo e la scuola cirenaica; V) Antistene di Atene, Diogene di
Sinope, Cratete di Tebe e altri esponenti
della scuola cinica; VI) Eschine di Sfetto e
altri socratici minori. I testi delle testimonianze in lingua originale occupano i primi
due volumi dell’opera; nel terzo volume
sono compresi tre preziosi indici rispettivamente della bibliografia (Index librorum), delle fonti (Index fontium) e dei nomi
(Index nominum). Il quarto volume costituisce infine una sorta di commento in
lingua italiana con un’ampia e approfondita presentazione per ogni filosofo trattato
oltre ad una minuziosa analisi delle fonti
utilizzate. Le note di commento sono un
sussidio indispensabile per la lettura dei
testi e per l’interpretazione che l’editore dà
di esse, benché rispetto all’esposizione del
proprio personale punto di vista interpretativo Giannantoni preferisca fornire il quadro generale nel quale un dato problema è
stato discusso nel dibattito storico-filosofico.
Un criterio editoriale adottato da Giannantoni è stato quello di riprodurre le fonti
sulla base delle edizioni critiche già esistenti, ritenute al momento le più attendibili (i rinvii a queste edizioni si trovano,
autore per autore, nell’Index fontium, vol.
III, pp.93 sgg.), senza procedere ad una
nuova edizione dei testi. E’ questo un criterio scientificamente attendibile per una
raccolta di queste dimensioni; e del resto
gli stessi von Arnim, Diels, Usener, fecero
altrettanto, anche se da tale criterio derivano grosse difficoltà, date per esempio dal
fatto che di Diogene Laerzio (una fonte
fondamentale per quello che ci tramanda
su Socrate e i socratici) e degli gnomologi
antichi (raccoglitori di frasi sentenziose
dei filosofi) non disponiamo ancora di edizioni critiche attendibili. La pubblicazione
a margine di ogni testo originale dell’apparato critico, desunto dall’edizione critica
utilizzata, rende possibile allo studioso di
farsi immediatamente un’idea della tradizione e della costituzione del testo. Eventuali correzioni o interventi congetturali da
parte di editori moderni che si riferiscono
ai contenuti di pensiero sono registrati sempre con chiarezza e discussi nelle note.
Accanto all’apparato critico filologico, ogni
fonte ha un secondo apparato, nel quale
vengono date indicazioni di carattere cronologico e bibliografico, concordanze con
edizioni precedenti, rinvii a passi simili o
rimandi interni.
Per quanto riguarda l’ordine di disposizione delle fonti per ogni singolo filosofo,
Giannantoni segue la distinzione tematica
canonica, quella usata per esempio nei
Vorsokratiker di Diels: biografia, aneddoti, apoftegmi, scritti e dossografia, rinunciando invece alle cosiddette “imitazioni”,
cioè ai passi spuri, falsamente attribuiti
all’autore in questione e che si rifanno al
suo pensiero.
Anche la rinuncia alla distinzione tra testimonianze sul filosofo e frammenti del filosofo (rinuncia ovviamente obbligata per il
caso Socrate, che non lasciò nulla di scritto) appare assolutamente legittima e utile,
dal momento che in moltissimi casi è impossibile separare chiaramente il frammento dal contesto della citazione.
Nel lavoro di Giannantoni lo scrupolo filologico si accompagna costantemente con
la consapevolezza di dover sempre storicizzare tutte le testimonianze che riguardano un pensatore antico, giacché lo scopo
finale è quello di ricostruire di volta in
volta un capitolo di storia della cultura.
Questo rapporto dinamico tra filologia pura
e ricostruzione della storia filosofica è cer-
PROSPETTIVE DI RICERCA
to un pregio essenziale di queste Socratis et
Socraticorum Reliquiae, e spiega per altro
la scelta di includere talvolta, tra le testimonianze su un autore, anche testi che non gli
si riferiscono esplicitamente, ma che sono
stati interpretati come tali: basti pensare
per esempio allo scritto di Polistrato interpretato come polemica anti-Cinici, o a quei
passi platonici del Sofista, del Teeteto e del
Filebo contenenti allusioni polemiche contro socratici quali Euclide, Antistene o Aristippo. Pur non essendo “testimonianze”
nel senso tecnico-scientifico del termine,
tali testi sono importantissimi per la comprensione globale dell’autore in questione.
Questa sintetica illustrazione dei principali
criteri editoriali adottati da Giannantoni
lascia capire quale sia il grado di complessità e quale l’importanza di questo nuovo
strumento di consultazione e di studio. Una
ricostruzione completa e definitiva della
figura di Socrate come personalità filosofica, come fondatore della filosofia, intesa
nel senso di disciplina autonoma e “genere
di vita” (Socrate fu il primo a essere definito dai suoi allievi “filosofo” in contrapposizione ai “sofisti” e ai “sapienti”), è un
risultato ancora lontano. La presente raccolta contribuisce però a dissipare taluni
equivoci di fondo, come per esempio quello che ha fatto di Platone il testimone unico
e privilegiato del pensiero socratico, e a
riconsegnarci dunque un Socrate liberato
dagli schemi platonico-aristotelici. Quanto
ai socratici minori, quelli che Eduardi Zeller chiamava Unvollkommene Sokratiker
(socratici incompiuti), la lettura delle testimonianze fa emergere personalità filosofiche mature e complesse, invertendone l’immagine svalutativa a lungo dominante negli studi di filosofia antica. Le dottrine di
Euclide, Aristippo, Antistene, Eschine non
vanno considerate semplici “deviazioni”
rispetto a una presunta ortodossia socratica
(che risulterebbe invece in Platone e/o in
Senofonte): nel loro pensiero si rispecchiano invece tutte le potenzialità insite in
Socrate, sviluppate da ciascuno di essi in
modo originale. Uno studio attento delle
loro idee o delle loro scuole (ma di “scuole”
in senso proprio è assurdo parlare, mancando sedi istituzionali, ortodossie da difendere, programmi di ricerca unificanti etc.) è
pertanto da considerarsi un momento ineludibile per la ricostruzione della figura
storica del loro maestro Socrate. G.U.
Strategie di appropriazione
dell’antichità
Diceva Whitehead: «La più certa caratterizzazione della tradizione filosofica
europea sta nel fatto che essa consiste
in una serie di note in calce alle pagine
di Platone». L’ ”estate editoriale” in
Francia sembra aver preso alla lettera
questa affermazione, recando una
“pioggia di opere” sul pensiero anti-
co, tra riedizioni di testi classici e saggi
critici. Di questi ultimi segnaliamo: Nos
Grecs et leurs Modernes. Les
strategies contemporaines d’appropriation de l’Antiquité (I
nostri Greci e i loro Moderni. Le strategie contemporanee di appropriazione
dell’antichità, Seuil, Parigi 1992), di
Barbara Cassin; Penser avec Aristote (Pensare con Aristotele, Ed.
Erès, 1992) e Aristote aujourd’hui
(Aristotele oggi, Ed. Erès, riedizione,
Tolosa 1992), a cura di M. A. Sinaceur;
Le Philosophe-roi, Platon et la
politique (Il Filosofo-re, Platone e la
politica, Payot, Parigi 1992), di MichelPierre Edmond; Interprétations
phénomenologiques d’Aristote
(Interpretazioni fenomenologiche di
Aristotele, trad. franc. di J. F. Courtine,
Ed. TER, Tolosa 1992) e Aristote,
Methaphisique. Theta 1-3, De
l’essence et de la réalité de la
force (Aristotele, la Metafisica. Theta
1-3. Sull’essenza e la realtà della forza,
trad. franc. di B. Stevens e P. Vandevelde, Gallimard, Parigi 1992) di Martin Heidegger.
Scorrendo i testi raccolti da Barbara Cassin in Nos Grecs et leurs Modernes. Les
strategies contemporaines d’appropriatrion de l’Antiquité, ci si convince che gran
parte della storia della filosofia occidentale
si identifica con i diversi modi con i quali
sono stati letti e interpretati i Greci. La
mirabile idea della curatrice è stata quella
di chiedere ad alcuni eminenti lettori, apologeti, critici ed eversori della tradizione
(tra tutti, valgano i nomi di J. Derrida, P.
Ricoeur, U. Eco) di rivelare le proprie
strategie interpretative; il che si è tradotto
immediatamente per ogni autore in una
autointerpretazione, in cui esporre i piani
di lavoro e gli utensili della propria bottega
filosofica.
Ben più di Platone è tuttavia Aristotele a
risultare interlocutore “contemporaneo”,
per contenuti e metodi, agli interrogativi
che agitano l’attualità. Tra le diverse riedizioni di testi di Aristotele è il caso di
segnalare l’aggiornata traduzione dell’Etica Nicomachea (Ed. Livres de Poches,
Coll. Classiques de la philosophie, Parigi
1992) a cura di Alfredo Gomez-Muller,
autore anche di una mirabile introduzione
all’opera dello Stagirita. Di grande rilievo
critico sono poi due grossi volumi dedicati
al filosofo, pubblicati con il concorso dell’Unesco sotto la direzione di M. A. Sinaceur: Penser avec Aristote e Aristote
aujourd’hui, una duplice raccolta di seminari, colloqui e saggi sullo Stagirita promossi dall’Unesco a partire dal lontano
1978, data in cui ricorreva il ventitreesimo
centenario della morte di Aristotele. Si può
immaginare cosa abbia potuto significare
anche solo fare il punto sulla bibliografia
aristotelica. A firmare gli interventi sono
specialisti di tutto il mondo, che si provano
ad affrontare le tematiche più disparate:
dalla ricezione del filosofo greco nell’antichità, nel medioevo e nella cultura araba,
alle relazioni del pensiero aristotelico con
l’ermeneutica e l’ontologia moderne, fino
al rinnovarsi di alcune categorie o intuizioni di Aristotele nella fisica dei giorni nostri.
Concetti quali quello di ilomorfismo, per
esempio, sono felicemente sopravvissuti
alla rivoluzione galileiana per riemergere
al termine di un «percorso sotterraneo»,
come lo definisce René Thom, nei modelli
di ricerca più avanzati. E se la tradizione
aristotelica ha disseminato il pensiero filosofico fino a tutto il medioevo, un confronto continuo, produttivo anche quando si
propone in termini di rottura, segna le stagioni della storia della filosofia occidentale.
Ancora oggi il pensiero di Aristotele attraversa e ispira le linee di analisi di Mac
Intyre e di Craven Nussbaum, per citare
soltanto il campo di riflessione in filosofia
morale. Esempi di questo dialogo critico
sono rappresentati dai due studi di Heidegger, recentemente tradotti in francese. Il
primo, Interprétations phénomenologiques
d’Aristote, è un piccolo saggio redatto nel
1922, su richiesta di Paul Nartorp per concorrere alla docenza nell’Università di
Marburgo. In queste pagine Heidegger
espone la necessità di liberare Aristotele
dalle gabbie interpretative della teologia
cristiana per rendere di nuovo udibile il
suono autenticamente greco della sua parola. E’ un lavoro di “decostruzione”, preliminare alla grande architettura ontologica
di Essere e Tempo, necessario per risalire
alle sorgenti più nascoste della metafisica,
da cui Aristotele ha attinto e di cui ha
tracciato la direzione e il destino. L’altro
studio di Heidegger ha per oggetto il corso
tenuto all’Università di Friburgo nel 1931
sul Libro Theta della Metafisica di Aristotele. Il testo si situa nel periodo che precede
la Kehre, la svolta dall’analisi esistenziale
di quel particolare essente che si interroga
sul senso dell’essere all’essere stesso. Attraverso l’esame dei concetti di energeia e
di dynamis, Heidegger procede nella rivisitazione e nella interpretazione dell’ontologia aristotelica, nella quale si esprime la
caratterizzazione ontologica più autenticamente originaria dell’Essere. Concependo
l’Essere come potentia e actus, realtà che è
potenza e virtualità del cambiamento, secondo Heidegger Aristotele «pensa più profondamente, in senso greco, ovvero in
maniera più conforme all’essenza iniziale
dell’essere, di quanto non faccia Platone».
Rimane comunque cospicuo l’inventario
delle opere di Platone recentemente pubblicate, sempre in terra di Francia. Due
dialoghi capitali: Timeo e Crizia, vengono
proposti in una nuova traduzione a cura di
Luc Brisson (Flammarion, Parigi 1992),
ottavo volume dell’opera omnia di Platone, che l’editore francese intende pubblicare in una aggiornata veste critica, con traduzioni, note e commentari di ellenisti di
valore.
Ci dispensiamo dal recensire questi dialo-
PROSPETTIVE DI RICERCA
ghi dove è tracciata la cosmologia platonica e che - sostiene il curatore - hanno
costituito «per circa venti secoli il breviario
dei sapienti, dei fisici, dei medici e degli
astronomi», per segnalare invece il notevole saggio di Michel-Pierre Edmond, Le
Philosophe-roi, Platon et la politique, un
saggio che, contro l’interpretazione scolastica e cristiana di Platone come filosofo
del mondo delle idee, contemplatore del
divino, lo fa ridiscendere nella Caverna a
confrontarsi con gli uomini per convincerli
della necessità di costruire la Città giusta.
Città che vive dunque nel consenso, secondo un ordine ben lontano dal modello utopico e totalitario di cui, secondo molti esegeti, Platone sarebbe l’inauguratore. La
figura stessa del filosofo-re - sostiene Edmond - ricalcata su quella del demiurgoartigiano del Timeo, avrebbe un ruolo maieutico, di stimolo alla ricerca del bene
comune e di organizzatore del laboratorio
politico della polis.
Ricordiamo infine che, nell’ultimo quadrimestre del ’91, a Platone è stato dedicato il
numero monografico della “Revue philosophique” (n. 1103, PUF, Parigi) che raccoglie una ventina di articoli sul filosofo.
E.N.
Ippocrate.
Alle origini della medicina
Se è vero che ancora oggi l’accesso
alla pratica medica avviene attraverso
il “giuramento di Ippocrate”, dove
sono condensate le norme della deontologia professionale, poche altre
scienze al pari della medicina possono
vantare come ancora attuale l’insegnamento di colui che si può dire è
l’inventore di tale scienza. Il libro che
Jacques Jouanna ha dedicato al medico di Coo, Hippocrate (Fayard, Parigi
1992) ci presenta la vita, l’opera, il
quadro storico in cui ha operato Ippocrate e la scuola che da lui prende il
nome.
Il quadro è quello della Grecia tra il V e il
IV secolo a.C., laboratorio unico di idee e
di sperimentazione. Tucidide si ingegna a
creare una storia scientifica, fondata sulla
conoscenza della natura umana; Platone,
nel raffigurare le qualità e le competenze
del politico autentico, cita sovente la scienza medica; Aristotele trova metafore e ispirazioni nella medicina per descrivere il
funzionamento della macchina politica. E’
la Grecia che vede la nascita del procedimento razionale, della logica e della codificazione, delle technai: arte, scienza e
tecnica in un solo nome. Con Ippocrate la
medicina si emancipa dal sapere sacerdotale e dai contenuti magico-religiosi per diventare la scienza applicata alle cose umane, fondata sull’osservazione empirica dei
sintomi e sulla loro codificazione per im-
postare poi la diagnosi, la prognosi e la
terapia. Una sequenza rimasta classica come
molti dei quadri clinici presentati nel Corpus Hippocraticum, ispirato ad una dottrina eziologica che vede al centro il fondamentale rapporto tra l’uomo e l’ambiente.
I fattori alimentari, climatici, geografici e
perfino politici e sociali sono tenuti in
conto nel valutare l’insorgenza della malattia: nell’evento patologico si manifesta
perciò uno squilibrio (Dyskrasia) nell’unità dell’organismo. E’ la teoria medica dei
quattro “umori” fondamentali: sangue, flegma, bile gialla e bile nera, il cui dosaggio
nel corpo umano è responsabile non solo
della salute e della malattia, ma - come
vuole la scuola ippocratica - serve a spiegare i diversi temperamenti e le differenti
tipologie degli individui.
Scienza ai primi passi, laica nell’ispirazione ed empirica nell’impostazione, la medicina di Ippocrate è anche conoscenza del
limiti dell’intervento medico; esemplare è
la massima: «Essere utile o almeno non
nuocere»; una modestia che consiglia in
alcuni casi di «non curare» il malato quando i risultati della cura si rivelassero aleatori e le sofferenze imposte, inutili. Anche
per riguardo a queste considerazioni la
terapia privilegia la dieta rispetto ai farmaci, la prevenzione rispetto alla cura, nel più
generale concetto di una medicina che si
appoggi e favorisca l’opera riparatrice della natura. Scienza alle prime armi, come ci
mostra Jacques Jouanna, che difende orgogliosamente l’indipendenza della propria arte. Ippocrate non si oppone al potere
di Asclepio, il dio delle guarigioni miracolose, ma separa il sovrannaturale dal naturale e rivendica alla medicina la ricerca del
sapere sulle cose umane, la riflessione sul
significato morale della propria pratica,
senza orgoglio specialistico, in colloquio
con la filosofia e con le altre scienze dell’uomo che costituiscono il lascito inestinguibile della civiltà greca. E.N.
La fama dei cinici
La recente pubblicazione in Francia di
una raccolta di testi dei Cyniques grecs, a cura di Léonce Paquet (I cinici
greci, Le Livre de Poche, Parigi 1992),
rappresenta la versione “tascabile” e
condensata dell’edizione scientifica
pubblicata in Canada nel 1975. Ciò
tuttavia non impedisce a questa raccolta di proporsi come un’opera di
grande impegno filologico, che mette
a disposizione dei lettori testi pressocché inediti o diffusi in maniera assai limitata.
Si è tentati di dire che nel mondo dei
filosofi i cinici rivestono un ruolo che potrebbe essere avvicinato a quello dei clochards per convinzione, per una rivendicata scelta di libertà, portata fino alle sue
forme più estreme, a scelte di vita elementari, come testimonia la vicenda esistenziale di Diogene, una figura tra le più inedite
della storia del pensiero greco: “Socrate
folle”, che metteva in discussione non solo
i costumi della società civile, ma la sua
stessa ragion d’essere, convinto della superiorità dell’ordine naturale su qualsiasi altro. Per questo integralismo naturalistico,
che diventa provocatorio stile di vita, i
cinici si sono trovati contro, per così dire, i
filosofi di professione, contemporanei e
posteri. E’ noto che fu Hegel ad affermare
che essi «non sono degni di alcuna considerazione filosofica». Nel loro rifiuto della
norma, della tradizione e dei luoghi comuni, i cinici incontreranno invece l’apprezzamento di Nietzsche, per il quale il cinismo è «ciò che di supremo si può raggiungere sulla terra». Di fatto, però, Antistene e
i suoi discepoli dell’Accademia di Cinosarge - da cui il nome della scuola - avevano
la reputazione di “cani” della filosofia nella
considerazione degli avversari di altre scuole, che della lezione filosofica dei cinici
non recepivano che lo scomposto “abbaiare” sentenze. La “misura” greca veniva
provocatoriamente infranta dallo stile di
vita dei cinici, prima ancora che dal loro
linguaggio filosofico fatto di poemi, allegorie, aforismi. Per questo un giudizio
morale negativo peserà sulla scuola cinica
per un lungo tratto di storia, un giudizio che
d’altra parte risponde in maniera speculare
alla provocazione stessa che la filosofia dei
cinici ostentava. Essenzialmente morale è
infatti lo scopo dell’insegnamento cinico,
che predicava l’autarchia, l’autosufficienza, l’indifferenza ai bisogni.
Per sua natura non sistematico, l’insegnamento dei cinici è giunto a noi attraverso le
testimonianze di altri filosofi, principalmente Diogene Laerzio, mentre dei testi
originali non restano che pochi frammenti.
Questa mancanza ha fatto sì che la conoscenza dei cinici greci passasse attraverso
il filtro filosofico e morale di altri pensatori, segnando così il destino della ricezione
critica di questa scuola. D’altro canto, bisogna però riconoscere che se a filosofi cinici
come Diogene, Menippo, Dione Crisostomo non resta che un piccolo posto nella
storia della filosofia - anche se proprio ad
uno di essi, Bione, pare che spetti la paternità della forma letteraria della diatriba - la
ragione è insita nell’insegnamento cinico
stesso, nella riduzione cosciente e voluta
dell’aspetto propriamente filosofico del loro
messaggio, che si risolveva quasi sempre
in una regola di vita.
La radicalità di questo atteggiamento esistenziale voleva mostrare che l’uomo ha
sempre a disposizione gli strumenti della
sua felicità, posto che abbia coscienza delle
esigenze effettive della sua natura. In questo senso vanno interpretate le affermazioni di Diogene sull’inutilità della matematica, della fisica e dell’astronomia, la sua
ostilità nei confronti delle scienze speculative e il rifiuto delle costruzioni metafisiche, per puntare direttamente al raggiun-
PROSPETTIVE DI RICERCA
gimento della disciplina morale. Gli antichi definirono il cinismo come «la via
breve verso la virtù»; appropriandosi di un
buon numero di tesi ciniche, la dottrina
degli stoici provvederà a smussare gli aspetti
più provocatori e anticonvenzionali di questo insegnamento. Uno dei meriti di questa
edizione francese è anche quello di presentare la dottrina cinica nella sua veste originale. E.N.
Hobbes e la rivoluzione inglese
Lo studio di Hans-Dieter Metzger: Thomas Hobbes und die Englische
Revolution 1640-1660 (Thomas
Hobbes e la rivoluzione inglese 16401660, Frommann Holzboog, Stuttgart
1991) presenta una visione d’insieme
del sistema filosofico di Hobbes, inserendo la riflessione del filosofo inglese
nel contesto delle discussioni sul problema della legittimità dello Stato e
del diritto nell’Inghilterra della prima
metà del Seicento.
Trasferitosi a Parigi prima dello scoppio
della guerra civile in Inghilterra, e ritornato
nel paese natale all’epoca di Cromwell,
facendosi precedere nel 1651 dalla pubblicazione in inglese del Leviatano, Thomas
Hobbes fu sostenitore della sovranità assoluta come strumento per metter fine alla
crisi che accompagnò la transizione allo
stato moderno, di cui egli fu insieme testimone e protagonista. Parte integrante di
questa crisi furono i conflitti religiosi della
prima metà del Seicento, di cui una delle
cause principali fu l’aspirazione al dominio spirituale da parte delle diverse confessioni religiose.
Nel suo studio Hans-Dieter Metzger presenta appunto la filosofia di Hobbes sullo
sfondo storico delle diverse tendenze politiche e religiose che si fronteggiarono nella
guerra civile inglese. La connotazione dei
conflitti dell’epoca di Hobbes come “guerre di religione” può sembrare riduttiva, se è
vero che in essi furono attivi e determinanti
motivi di carattere economico e politico.
Ma il fatto interessante, che emerge alla
luce del pensiero politico di Hobbes, non è
tanto che i diversi partiti si richiamassero a
motivazioni di ordine religioso, quanto piuttosto che tali motivazioni abbiano avuto un
effetto pratico nella storia inglese ed europea. Nel XVII secolo era crollato l’ordine
universale garantito dalla presenza di
un’unica chiesa, e ad esso era subentrato il
fragile ordine seguito alla pace tra le diverse chiese nate dalla riforma protestante: ma
decisivo, in quest’epoca segnata dai conflitti, dall’insicurezza e dalle guerre (“l’unica passione della mia vita è stata la paura”,
affermò Hobbes per caratterizzare lo stato
d’animo del tempo), era il fatto che l’ordine
pacifico non fosse più garantito da un sovrano: la ribellione contro la sovranità non
era più in quest’epoca una questione legata
al conflitto tra un sovrano legittimo e un
usurpatore, ma ad una crisi di principio
dell’autorità statale.
Partendo da questo sfondo Metzger delinea
in maniera dettagliata l’immagine di
un’epoca in cui, come ha affermato Niklas
Luhmann, si ristruttura radicalmente la semantica politica. Primo passo dell’analisi
di Metzger sono gli Elementi di legge naturale e politica, un testo scritto da Hobbes
intorno al 1640, circolato in forma manoscritta, che costituisce il primo abbozzo
dell’opera sistematica fondamentale progettata dal filosofo inglese, gli Elementa
philosophiae, articolata nelle tre parti De
corpore (1655), De homine e De cive (1642).
L’analisi di questo testo porta Metzger a
prendere in considerazione la discussione
sulla costituzione nel contesto della guerra
civile e il confronto, negli anni dell’esilio
parigino, tra Hobbes e Hyde. A questo
primo nucleo tematico fa seguito l’analisi
del ruolo del Leviatano nella discussione
del periodo del protettorato di Cromwell,
una discussione già annunciatasi nel periodo dell’esilio e proseguita fino al 1660.
L’articolata presentazione di questa tematica si chiude con l’analisi del Behemoth,
dialogo sulla guerra civile inglese, che precede la questione, l’ultima discussa nell’opera, della posizione e del ruolo della
teologia politica nel sistema filosofico di
Hobbes. M.M.
Un nuovo interesse
per Schopenhauer
Alcune opere recentemente apparse
in Italia e in Germania rafforzano l’impressione di un ritorno di attenzione e
di interesse per Arthur Schopenhauer.
Si tratta rispettivamente della prima
traduzione italiana di un breve ma
significativo testo del filosofo, L’arte di ottenere ragione (a cura e
con un saggio di F. Volpi, Adelphi,
Milano 1991); degli atti di un convegno svoltosi nel 1986 a Gargnano del
Garda, Schopenhauer ieri e oggi
(a cura di A. Marini, Il Melangolo, Genova 1991) e della prima edizione completa del carteggio di Schopenhauer
con i suoi familiari, Die Schopenhauers. Der Familien-Briefwechsel von Adele, Arthur,
Heinrich Floris und Johanna
Schopenhauer (a cura e con un introduzione di L. Lütkehaus, Haffmans,
Zurigo 1991).
Da qualche anno a questa parte il mondo
filosofico (e non solo quello specialistico)
sembra attraversato da un ritorno di interesse per un filosofo che per tanto tempo è
rimasto ai margini della discussione. Ingiustamente, perché, come scrive Alfredo
Marini in una breve premessa a Scho-
penhauer ieri e oggi, da uno «sguardo
sovrano ed essenziale» come quello di Schopenhauer, abituato a confrontarsi solo con
poche vette geniali del pensiero come Goethe, Kant, Platone, lo “spirito” dei Veda e
quello della mistica tedesca, «non potevano venirci risultati, se non fondamentali».
E’ del resto nota l’importanza della filosofia di Schopenhauer nella storia della cultura tedesca contemporanea, da Nietzsche a
Freud a Thomas Mann, per fare solo i nomi
più celebri. Questi nomi, ed in particolare
quello di Nietzsche, ritornano nei diversi
interventi raccolti in questo volume, di cui
qui vogliamo mettere in rilievo da un lato la
proposta di nuove prospettive interpretative da un punto di vista storico, dall’altro la
presentazione di una lettura (o meglio: di
una molteplicità di letture, condotte da diversi punti di vista) della filosofia di Schopenhauer in relazione ai temi della modernità e del cosiddetto post-moderno - si
vedano ad esempio, per quest’ultimo aspetto, i saggi di Reinhard Margreiter: “Schopenhauers Beitrag zu einer Ethik der Postmoderne” (Il contributo di Schopenhauer
a un’etica del post-moderno); di Peter
Engelmann: “Schopenhauer, Postmoderne und Poststruktruralismus” (Schopenhauer, postmoderno e poststrutturalismo); di Marten van Nierop: “Schopenhauer und die Ambivalenzen der Moderne” (Schopenhauer e le ambivalenze
della modernità).
Tra le diverse prospettive di interpretazione storica vogliamo qui menzionare quella
sviluppata da Alfredo Marini nel denso e
articolatissimo saggio dal titolo: “Essere,
soggettività e tempo in Schopenhauer
(Schopenhauer e i problemi dell’eredità
kantiana)”. Marini interpreta qui alcuni temi
fondamentali della filosofia schopenhaueriana (la soggettività, il tempo) all’interno
dell’orizzonte storico aperto dalla filosofia
kantiana (filtrata in parte attraverso la lettura di Kant e il problema della metafisica di
Heidegger), e indica nel «vero problema
teorico lasciatoci in eredità dalla Critica
kantiana» quello di «un nuovo modo di
intendere l’’essere’, dopo che si è sostanzialmente rinunciato a concepirlo come
‘oggetto’ o ‘cosa’». Da ciò deriva però
anche l’esigenza di una nuova comprensione della soggettività, non più intesa come
contraltare dell’ ”oggettività” o di un essere pensato a partire dal modello della “semplice presenza”. E’ in questo ambito problematico della soggettività, ambito che
nella storia della filosofia tedesca assume
di volta in volta i nomi di “vita” (Dilthey),
“prassi” (Marx), “mondo della vita” (Husserl), che Marini colloca le diverse tematiche della filosofia di Schopenhauer; ed è a
partire da questo contesto che egli afferma
la centralità del concetto di tempo nella suo
pensiero: nonostante la nonchalance con
cui Schopenhauer sembra liquidare questo
problema nel Mondo come volontà e rappresentazione, osserva Marini, «un’analisi
dell’uso che egli effettivamente ha fatto di
questo concetto ci fa capire, senza possibi-
PROSPETTIVE DI RICERCA
Schopenhauer all'età di ventun'anni. Miniatura in acquarello di Karl Ludwig Kaaz, 1809
PROSPETTIVE DI RICERCA
lità d’equivoco, che esso sta invece al centro di tutti i problemi del suo pensiero».
Il trattatello L’arte di ottenere ragione esposta in trentotto strattagemmi venne scritto
da Schopenhauer presumibilmente intorno
al 1830-31, con l’intento di smascherare
«gli artifici disonesti ricorrenti nelle dispute» e di sviluppare una “dialettica eristica”
intesa come «l’arte di disputare, e precisamente l’arte di disputare in modo da ottenere ragione». Il testo non venne però dato
alle stampe da Schopenhauer, e venne pubblicato per la prima volta con il titolo Dialektik da Julius Frauenstädt e successivamente da Arthur Hübscher, sulla cui edizione si basa la traduzione di Franco Volpi. In questo scritto Schopenhauer affronta, con una scrittura accattivante, agile e
carica di ironia, alcuni problemi che troviamo presi in considerazione anche nei Parega e paralipomena sotto il titolo “logica e
dialettica”. Con ciò egli non solo si muoveva all’interno di un ambito problematico
“classico” della filosofia, ma anche toccava un tema in cui era maestro l’odiato
Hegel.
Per le diverse implicazioni storico-teoretiche legate al problema della dialettica non
si può qui fare altro che rimandare al testo
schopenhaueriano, e all’accurato saggio di
Franco Volpi che lo accompagna, dedicato
al tema Schopenhauer e la dialettica. Bisogna però almeno ricordare che mentre in
Hegel la dialettica è la via maestra attraverso cui lo spirito giunge a se stesso, e costituisce così il punto per così dire più alto
della logica, Schopenhauer distingue decisamente tra logica e dialettica, verità e arte
della disputa, dove ciò che conta non è la
correttezza dell’argomentazione, ma la sua
efficacia al fine dell’ottenimento della ragione.
Le lettere raccolte da Ludger Lütkehaus
in Die Schopenhauers permettono di ricostruire alcuni aspetti del rapporto di Schopenhauer con la madre Johanna e con la
sorella Adele, ed offrono tra l’altro un’immagine della vita mondano-letteraria condotta dalla madre del filosofo a Weimar, a
diretto contatto con gli esponenti del movimento classico-romantico, tra cui Goethe,
che frequentavano il suo salotto. Emergono però anche i lati negativi e drammatici
della vita della famiglia Schopenhauer.
Così, ad esempio, quando Johanna scrive,
da una Weimar occupata dalle truppe francesi, al figlio rimasto ad Amburgo: «Potrei
raccontarti cose che ti farebbero rizzare i
capelli, ma non voglio, perché so che tu
mediti volentieri sulla miseria degli esseri
umani, tu non la conosci ancora, figlio mio,
tutto quello che abbiamo visto assieme non
è niente di fronte a questo abisso di desolazione».
Ma non erano solo gli eventi della politica
e della storia ad affliggere Johanna Schopenhauer: un anno prima il marito Heinrich
Floris, in un accesso di ipocondria, si era
gettato dal granaio della casa di Amburgo.
A Weimar, Johanna vive a contatto con gli
ambienti intellettuali, coltivando la sua
passione per la letteratura, documentata
nelle Sämtliche Schriften, pubblicate in 24
volumi nel 1830-31. Ma, dopo il fallimento
dell’impresa familiare dovuto alla bancarotta di una casa di commercio di Danzica,
il diletto dell’attività letteraria lascia ben
presto il posto alla necessità di guadagnarsi
da vivere scrivendo. E, a partire da questo
momento di difficoltà economica, il denaro, l’interesse economico, diventano l’oggetto quasi esclusivo delle lettere tra madre
e figlio e tra fratello e sorella, che, dichiarandosi addirittura grata al colera se la
«esonerasse dalla storia», sembra essere
quasi sorpresa dall’intensità della volontà
di vivere di Arthur. M.M.
L’ateismo di Fichte
Con il volume Appellation an das
Publikum. Dokumente zum Atheismusstreit. Jena 1798/99 (Appello al pubblico. Documenti sulla polemica sull’ateismo. Jena 1798/99, Reclam, Lipsia 1991) Werner Röhr presenta una utile e interessante raccolta
di materiali e documenti sulla controversia in seguito alla quale Johann
Gottlieb Fichte fu costretto, nel 1799,
a lasciare l’insegnamento all’università di Jena.
Nel 1794, su indicazione di Goethe, Johann
Gottlieb Fichte viene chiamato come successore di Reinhold all’Università di Jena una delle città più importanti nella storia
del movimento classico-romantico tedesco e nella filosofia dell’idealismo. E’ qui
che scoppia una polemica che resterà nella
storia dell’università tedesca, il cosiddetto
Atheismusstreit del 1798-99. La polemica
ebbe origine con la pubblicazione nel “Philosophisches Journal”, di cui allora Fichte
era direttore, di un articolo di F. K. Forberg
dal titolo: Lo sviluppo del concetto di religione, in cui l’autore sosteneva una concezione della religione di tipo kantiano-illuministico, della quale lo stesso Fichte era
fautore. In appendice Fichte pubblicò lo
scritto Ueber den Grund unseres Glaubens
an eine göttliche Weltregierung (Sul fondamento della nostra fede in un governo
divino del mondo), in cui, rifiutando le
concezioni metafisiche e cosmologiche
della divinità, identificava Dio con l’ordine morale del mondo. In seguito alla pubblicazione di uno scritto anonimo dal titolo: Lettera di un padre a suo figlio studente
sull’ateismo di Fichte e Forberg, la rivista
venne sequestrata a Lipsia e a Wittenberg
per intervento del governo della Sassonia,
che fece a sua volta pressioni sul granduca
di Weimar perché aprisse un’inchiesta.
Nonostante le intenzioni del granduca di
lasciare cadere la cosa, Fichte scrisse una
Appellation an das publikum gegen die
Anklage des Atheismus (Appello al pubblico contro l’accusa di ateismo) in cui faceva
valere, irrigidendo le sue posizioni, le ragioni della scienza contro quelle della fede.
Di fronte al fallimento delle argomentazioni filosofiche, Fichte passò ad un altro tipo
di strategia, e scrisse al consigliere Voigt
minacciando di rivelare al grande pubblico
come lo stesso Herder, a quell’epoca a capo
dell’amministrazione della Chiesa evangelica nel ducato di Weimar, fosse in realtà
fondamentalmente ateo. Ma nonostante
questi tentativi di difesa, Fichte dovette
alla fine, nel 1799, rassegnare le dimissioni
che, con l’approvazione di Goethe, vennero accettate.
I testi relativi a questa polemica sono stati
raccolti e commentati nel passato da diversi autori: da Immanuel Hermann Fichte
fino a Frank Böckelmann. Ciò che caratterizza il lavoro realizzato da Werner Röhr
è l’ampiezza dei materiali presentati, che
documentano la discussione in maniera
assai più articolata e dettagliata rispetto ad
opere analoghe. Ciò non va solo a vantaggio della precisione filologica, ma anche
della vivacità con cui ci si presentano i
caratteri dei diversi personaggi coinvolti
nella vicenda. Così, la raccolta, completata
da una Postilla di Röhr e da un apparato di
note, non è solo un utile strumento di lavoro
per lo studioso, ma offre anche, attraverso
le vicende di uomini di cultura, politici,
filosofi e cronisti, una vivace immagine
della “quotidianità” della filosofia idealistica tedesca tra Kant e Hegel. M.M.
Schelling, Fichte e Spinoza
La prima traduzione integrale italiana
dell’opera di Friedrich Wihlhelm Schelling, Dell’Io come principio della filosofia, ovvero sull’incondizionato del sapere umano (a
cura e con postfazione di Antonella
Moscati, Cronopio, Napoli 1991), mostra l’influsso che Fichte ebbe sul giovane Schelling, ma mette anche in
luce problematiche riprese dalla riflessione contemporanea. Diversa è la
prospettiva che emerge dagli Aforismi sulla filosofia della natura (trad. it. di Luigi Rustichelli, a cura
di Giampiero Moretti e Luigi Rustichelli, Egea, Milano 1992), pubblicati
tra il 1805 e il 1807, dove più definita è
l’argomentazione schellinghiana contro il soggettivismo di stampo cartesiano, di cui Fichte finisce per apparire
come esponente.
Come sottolinea Antonella Moscati nella
sua Postfazione, l’interlocutore principale,
e non solo l’obiettivo polemico, dell’opera
di Friedrich Wihlhelm Schelling è la riflessione kantiana sull’incondizionato. Il
problema messo a fuoco nel saggio, che già
secondo Schelling «mostra l’idealismo nel
suo più fresco apparire e forse in un senso
che più tardi perse», è quello di definire le
PROSPETTIVE DI RICERCA
condizioni con le quali, dopo Kant, si possa
cogliere l’incondizionato in un principio.
Kant aveva respinto la possibilità di cercare il fondamento del fenomeno, cioè del
condizionato, in un principio incondizionato; si ricordi a questo proposito la soluzione kantiana delle antinomie cosmologiche, laddove il contrasto fra tesi e antitesi si
mostra come contraddizione apparente,
proprio in quanto presuppone come dato
l’incondizionato nel mondo fenomenico.
Destituendo l’incondizionato da ogni ruolo gnoseologico, Kant ne aveva anche interpretato in modo fortemente riduttivo il
ruolo ontologico, arrivando, a parere di
Heidegger, fino alla sua espunzione. Il problema di Schelling è invece quello di porre
la domanda sul legame fra condizionato e
incondizionato, e di determinarlo. E’ forse
proprio questa prospettiva che lo induce ad
attribuire il saggio all’idealismo «nel suo
fresco apparire», così come è il carattere
deduttivo di questo legame, per come esso
è determinato nel sistema hegeliano, che
spinge Schelling a rimarcare la distanza di
un tale sistema dal proprio. Schelling infatti nega la possibilità di un legame, nel senso
di una deduzione, fra incondizionato (Unbe-dingt) e “cosa” (Ding), l’oggetto condizionato (be-dingt) in quanto tale.
La scelta dell’Io come luogo dell’incondizionato è certo tipica di questa fase del
pensiero schellinghiano, e verrà in seguito
abbandonata. Sono qui però già presenti
elementi che si ritrovano anche nelle fasi
successive della speculazione di Schelling.
Primo fra tutti il tentativo si trovare per
l’incondizionato una collocazione immanentistica, salvaguardandone la “differenza” radicale rispetto al condizionato. In
questa prospettiva appare non casuale la
costante presenza di Spinoza, che già in
questo saggio appare come punto di riferimento, per quanto polemico: la confutazione del sistema spinoziano, intento dichiarato in sede di presentazione dell’opera, lascia il posto, nello svolgersi della trattazione, al dialogo con esso.
Se è certo la speculazione dello Schelling
maturo quella per la quale è oggi più vivo
l’interesse, bisogna osservare d’altro canto
come anche in quest’opera giovanile emergano temi che autorizzano a parlare di un
credito di Schelling nei confronti, per esempio, di tutta la riflessione contemporanea
sulla “differenza ontologica”. Con ancora
maggiore evidenza questi temi sono presenti negli Aforismi sulla filosofia della
natura, pubblicati fra il 1805 e il 1807, di
cui appare ora la prima traduzione italiana
ad opera di Luigi Rustichelli. Qui l’io
fichteano è già interpretato come una forma, per quanto “alta”, di quel soggettivismo di stampo cartesiano che, a parere di
Schelling, costituisce l’errore fondamentale di ogni indagine sulla conoscenza umana. Schelling è qui ormai avviato alla costruzione della sua filosofia dell’identità;
all’impostazione fichteana egli può già rimproverare di non riconoscere effettivamente l’autonomia della natura, che la dialetti-
ca di Fichte riduce a momento del processo
che dall’io assoluto deduce gli io determinati. D’altra parte non si verifica qui un
mutamento radicale nei riferimenti teorici
di Schelling: se nello scritto Sull’io come
principio della filosofia la posizione di
Fichte veniva assunta come punto di riferimento per la discussione con Spinoza, in
modo ancor più palese ora la polemica con
quest’ultimo appare motivata da un genuino interesse per la speculazione del filosofo olandese. E’ evidentemente mutuata da
Spinoza la tesi sull’univocità dell’essere,
la sostanza, che è «una sola essenza, indivisibile e assolutamente unica», e che consiste solamente nel suo essere: tutti gli enti
sono uguali di fronte all’assoluto, cioè nessuno consegue dall’altro, ma ciascuno deriva allo stesso modo dall’identità assoluta.
Pure di ascendenza spinoziana è la tesi sul
carattere immaginario di ogni divisione,
così come della materia che, considerata in
modo separato dalla sostanza, non è nulla
di reale, o come dice Schelling, di “positivo”. Ripreso ancora da Spinoza è il carattere meccanico del complesso di differenze e
divisioni, peraltro puramente immaginarie, in quanto fanno invece diretto riferimento alla sostanza, una e unica.
Non meno la matrice spinoziana rieccheggia nella considerazione per cui la ragione
immanente al «reale perfetto», che si identifica da un lato con la materia corporea,
dall’altro con l’idea che è, in ciascun ente
determinato, la copula, l’essere, la sua natura naturans, coincide con l’essere divino, e quest’ultimo con la posizione, in
quanto tesi dell’identità. Natura e Spirito,
come sottolinea nella Prefazione Giampiero Moretti, non sono, nella filosofia
schellinghiana, poli dialettici di una relazione, se non pensati nella loro unità con
Dio che è, ancora una volta, come infinito,
il criterio in base al quale giudicare il «grado di realtà di una cosa (non la realtà
relativa, ma la sostanzialità)». L’infinito,
l’incondizionato, in quanto tale l’assolutamente altro dall’ente è dunque la misura
della “realtà effettiva”, il fondamento dell’ente medesimo. F.C.
Tommaso D’Aquino:
una riscoperta
In ambito anglosassone si sta assistendo da qualche tempo ad una rinascita d’interesse per il pensiero di Tommaso D’Aquino, nel tentativo di superare quella perdita del linguaggio della filosofia morale, propria della cultura del nostro secolo. In tal senso può
essere compresa l’opinione di Alasdair MacIntyre, il quale ritiene che si
debba ritornare ad un neo-tomismo,
che recuperi la tradizione di pensiero
iniziata con Aristotele e culminante
con Tommaso D’Aquino. La critica più
comune che viene rivolta al moderno
dibattito filosofico sulla morale è quella
secondo cui esso sembra caratterizzato dalla mancanza di uno scopo come
fine della sua ricerca. A questo proposito è illuminante lo studio di Brian
Davies, The thought of Thomas
Aquinas (Il pensiero di Tomaso D’Aquino, Clarendon Press, Oxford 1992), che
cerca di spiegare il perché una nuova
lettura del grande filosofo-teologo
possa essere utile ed avere senso.
Brian Davies afferma molto semplicemente che il pensiero di Tommaso D’Aquino dovrebbe essere studiato e tenuto in
considerazione non perché possieda una
soluzione magica per ogni disputa in campo filosofico o teologico, ma perché può
riuscire a far luce su molti degli interrogativi morali della nostra epoca. Lo scopo
principale dello studio di Davies è proprio
quello di dimostrare come il pensiero di
Tommaso D’Aquino possa essere messo
in relazione con i moderni problemi filosofici e teologici.
Dopo aver introdotto il filosofo da un punto
di vista storico, Davies prende in considerazione in maniera sistematica e chiara
problemi come quello dell’esistenza di Dio,
del tipo di conoscenza che è possibile acquisire riguardo agli attributi di Dio e sul
tipo di linguaggio che si deve usare per
esprimere questa conoscenza. Il pensiero
di Tommaso D’Aquino ha esercitato
un’enorme influenza sul successivo pensiero teologico, in particolare all’interno
della tradizione della Chiesa Cattolica, e
Davies, a questo proposito, intende descrivere in maniera rigorosa la natura di questa
tradizione sistematica. V.R.
NOTIZIARIO
Nell'ambito dell' ESTETICA si segnalano una serie di recenti iniziative
a livello nazionale e internazionale.
“L’impianto della ricerca estetica comparativa in Europa dal tardo Settecento” è il tema di un progetto triennale di
ricerca C.N.R., coordinato da Grazia
Marchianò, con la collaborazione dei
seguenti studiosi: L. Amoroso, P. Bagni, C. Gentili, S. Givone, F. Mariani
Zini, R. Milani, L. Rustichelli, F. Solitario, A. Trione, S. Zecchi.
Nell’ambito delle pubblicazioni di
atti di convegni sono oggi disponibili
quelli relativi al XI International Congress on Aesthetics, tenutosi a Nottingham Polytechnic nel 1990 (le ordinazioni vanno indirizzate a: Carol
Standish, Centre for Training Development, Nottingham Polytechnic,
Burton Street, Notthingam NGI 4BU).
Ugualmente per quanto riguarda gli
atti del Convegno: “The Future of
Art”, svoltosi a Lahthi nei giorni 7-10
agosto 1990, che accolgono, tra l’altro, un ragguaglio sull’estetica italiana oggi di G. Marchianò (indirizzare
le richieste a: Paijat-Hame Summer
University, Kirkkokatu 16, 1514o
Lahti).
Il “Journal of Comparative Literature
and Aesthetics” (Università di Sambalpur, Orissa) ha in programma un
fascicolo speciale dedicato all’estetica italiana del Novecento con contributi di S. Benassi, L. Bonesio, A.
Trione, S. Zecchi, presentati da G.
Marchianò. L’iniziativa è nel quadro
della collaborazione tra il Visvanatha
Kaviraja Institute dell’Università di
Sambalpur e la cattedra di Estetica
della Facoltà di Magistero dell’Università di Siena.
L’ARCO E LA LIRA è il nome della
nuova collana creata da Guido Tamoni Editore di Schio, che si propone di
introdurre e commentare la lettura dei
classici del pensiero filosofico moderno e contemporaneo. La collana si
rivolge anche al pubblico colto non
specialista, o specificamente impegnato nel settore della didattica filosofica, ma generalmente interessato
ad un’informazione non superficiale
e “giornalistica” di aspetti rilevanti
del pensiero otto-novecentesco. I primi tre volumi con cui si apre questo
nuovo progetto sono: Gaetano Rametta, Filosofia come sistema della
scienza. Introduzione alla lettura della Prefazione alla Fenomenologia
dello spirito di Hegel; Nicola Curcio,
La domanda sul nulla e sull’essere.
Introduzione alla lettura di Che cos’è
metafisica di M. Heidegger; Giovanni Gurisatti, Scrittura e idea. Introduzione alla lettura della Premessa gnoseologica al Dramma barocco tedesco di W. Benjamin.
Prosegue la gigantesca edizione dei
Sämtliche Schriften und Briefe di
LEIBNIZ. Sono recentemente apparsi il primo volume della settima
serie, Mathematische Schriften; sta
per apparire il tredicesimo della prima serie, Allgemeiner, politischer und
historischer Briefwechsel. La serie
dei Philosophische Schriften (sesta
NOTIZIARIO
serie) resta invece ferma ai primi tre
volumi e al sesto, contenente i Nouveaux Essais sur l’Entendement Humain, sebbene l’Università di Münster continui la pubblicazione annuale delle Vorauseditionen ai prossimi
volumi, arrivate ormai all’undicesimo fascicolo.
Vanno però menzionate anche singole edizioni o traduzioni che accompagnano il crescere del dibattito contemporaneo sulla figura di Leibniz.
Su “Physis. Rivista internazionale di
storia della scienza”, volumi XXVIII, nn.2 e 3, è apparso, curato da
André Robinet, l’edizione critica del
Phoranomus seu de potentia et legibus naturae, uno dei primi grandi
testi di dinamica, scritto a Roma nel
1689. Prosegue così la ricerca di Robinet su Leibniz e l’Italia, a cui si
deve anche il recente L’empire leibnizien. La conquéte de la chaire de
mathématique de l’Université de Padoue (ed. Lint, Padova 1991). Ancora
per quanto riguarda la dinamica leibniziana, è di imminente pubblicazione in Francia, presso l’editore Vrin,
un gruppo di inediti del 1678 curato
da Michel Fichant, che ha già curato
la pubblicazione di De l’horizon de la
doctrine humaine - Apokatastasis
panton, (Vrin, Parigi 1991), un gruppo di scritti tra il 1693 e il 1715, ove
il tema della Combinatoria Universale si dilata a domanda sulla possibile
ripetizione ciclica degli eventi del
mondo.
Infine la casa editrice Cronopio di
Napoli pubblica a cura di Francesco
Piro la traduzione italiana di un testo
giovanile, la Confessio Philosophi del
1672-1673, una piccola teodicea in
forma di dialogo scritta dal filosofo
all’età di ventisei anni e nella quale
compaiono tutti i grandi temi del razionalismo leibniziano. Nella sua
Postfazione al volume, Piro, seguendo la strategia interpretativa del suo
Varietas identitate compensata. Studio sulla formazione della metafisica
di Leibniz (Bibliopolis, Napoli 1990)
focalizza l’oscillazione del filosofo
tedesco tra riabilitazione e trasformazione della concezione “classica” del
mondo come kosmos armonioso, nonché il progressivo complicarsi delle
relazioni individuo-mondo nel suo
pensiero.
L’ISTITUTO BANFI di Reggio
Emilia bandisce un Concorso per il
conferimento del “Premio Ennio Sco-
lari” di L. 5.000.000, istituito in memoria di E. Scolari, per onorarne l’impegno civile e scientifico di studioso
e organizzatore di cultura. Il premio è
destinato a ricerche inedite nell’ambito degli Studi di Estetica. La domanda di partecipazione, indirizzata
al Presidente dell’Istituto, dovrà recare l’indicazione del nome, cognome, luogo e data di nascita, domicilio
del candidato, e dovrà pervenire entro il 15 maggio 1993 alla sede dell’Istituto Banfi, via Pasteur 11, 42100
Reggio Emilia. Il candidato dovrà
allegare alla domanda il proprio elaborato dattiloscritto in 5 copie e una
dichiarazione con cui assicura di non
aver ricevuto altri Premi per la ricerca
che presenta al concorso, di non averla già pubblicata o in corso di pubblicazione, né integralmente né parzialmente.
La cultura austriaca èquest’anno al
centro degli interessi di approfondimento della CASA ZOIOSA. In collaborazione con il Consolato Generale d’Austria, sono infatti in programma un ciclo di tre lezioni con il professor Walter Zettl sull’opera di Robert Musil; la lezione di Rudolf Haller, dell’Università di Graz dal titolo
“La filosofia dell’empirismo logico:
una rivalutazione”; la conferenza di
Walter Poduschka sulla figura dell’etologo Konrad Lorenz.
Per quanto riguarda i cicli di lezioni
sono in programma la seconda parte
del corso: L’eredità che il pensiero
filosofico del nostro secolo lascia al
Duemila. E’ previsto per l’aprilemaggio prossimo un ciclo di letture
sul romanzo dell’ultimo secolo, a cui
sono stati invitati Aldo Gargani, Carlo Sini, Rocco Ronchi, Elio Franzini,
Antonio Prete, Antonello Nociti. Gli
autori al centro della riflessione saranno Dostoevskij, Proust, Joyce,
Bernard, Mann e Kafka. In ambito
filosofico sono programmati una lezione con Emanuele Severino, dal
titolo: L’uomo e la gioia; quattro lezioni con Francesco Moiso sul tema
della Filosofia della natura tra Rousseau e Nietzsche e il corso di estetica
di Elio Franzini, dal titolo Le parole
dell’arte sul rapporto tra l’opera d’arte e la riflessione sull’arte stessa. Giuseppe Rizzardi, docente di teologia,
approfondirà in tre incontri il tema
della spiritualità nella religione induista, buddhista e islamica.
John Cottingham, Robert Stoothoff e
Dugald Murdoch hanno dato seguito
all’edizione di successo in due volumi dei Philosophical writings (1984)
di CARTESIO con un volume finale,
The philosophical writings, volume
three: The correspondence (Gli scritti filosofici, volume terzo: la corrispondenza, trad. ingl. di John Cottingham et al, Cambridge University
Press, Cambridge 1991), dedicato alla
corrispondenza che tenne il filosofo,
tradotta dall’originale latino e francese. Mentre i due precedenti volumi
erano delle integrali nuove traduzioni, questo incorpora le traduzioni di
un centinaio di lettere seguite da Anthony Kenny (Descartes: philosophical letters, 1970), a cui sono state
aggiunte altre 106 lettere mai precedentemente tradotte.
Poco dopo aver compiuto il settantatreesimo anno di età si è spento a
Strasburgo ABRAHAM MOLES. Dopo
avere studiato fisica, filosofia e psicologia alla Sorbona, Moles insegnò
in numerose università e istituti superiori, tra cui, dal 1960 al 1969, la
Hochschule für Gestaltung di Ulm;
negli ultimi anni, prima di diventare
professore emerito, fu direttore dell’istituto di psicologia sociale nell’università Louis Pasteur di Strasburgo e docente a Parigi presso l’istituto
di fonetica. Fisico convertito alla cibernetica e alla sociologia, Moles è
considerato, assieme a Max Bense, il
principale esponente dell’estetica informazionale, cioè di quell’orientamento che intende costruire l’estetica
in maniera rigorosamente matematizzata avvalendosi dei contributi della
teoria dell’informazione. In opere
dedicate a problemi della teoria dell’informazione, della comunicazione, dei media e della cultura, così
come alla musica sperimentale, all’estetica e alla teoria dell’arte, Moles
ha sviluppato una concezione per cui
la “bellezza” non è altro che un valore
“informativo”; ruolo dell’artista è
quello di soddisfare il bisogno di variare e combinare in maniera sempre
rinnovata l’insieme delle opere d’arte
storicamente disponibili.
Poco prima del suo ottantesimo compleanno, FRIEDRICH KAULBACH
è morto. Il suo influsso sul pensiero
filosofico contemporaneo proviene in
particolare dalla sua interpretazione
di Kant, a cui appartengono “parole
chiave” come quelle di “prospettiva”
e di “punto di vista”. Rispetto all’odierna attualità, al limite della
moda, di cui sembra godere il prospettivismo, la posizione di Kaulbach e la sua ripresa di motivi kantiani
risulta incomparabilmente sobria e
pragmatica. Un’altra figura di filosofo, da cui Kaulbach ha saputo trarre
particolari spunti e motivi di riflessione, è Nietzsche, che da questa interpretazione esce addomesticato dal
pensiero kantiano.
CONVEGNI E SEMINARI
CONVEGNI E SEMINARI
Heidegger e il linguaggio
Organizzato dall’Associazione culturale italo-tedesca e dall’Istituto di Filosofia della Facoltà di Lettere e Filosofia di Messina, si è svolto nei giorni
2 e 3 aprile 1992 a Messina un Seminario di studi sul pensiero di Martin
Heidegger. Il tema segnalato nel titolo: Il cammino verso la parola, ha
inteso indicare nel linguaggio quella
questione che il domandare heideggeriano, soprattutto dopo Essere e
tempo, si è maggiormente sforzato di
interrogare. A conclusione del convegno, che ha visto relazioni di C. Sini,
M. Ruggenini, C. Resta e V. Vitiello, si
è svolta una “tavola rotonda” in occasione della pubblicazione del volume
di M. Ruggenini, I fenomeni e le
parole. La verità finita dell’ermeneutica (Marietti, Genova
1992), alla quale ha preso parte, oltre
ai relatori, anche E. Lisciani-Petrini.
«Che cosa è degno di essere pensato in un
seminario dedicato a Heidegger?». Così
Carlo Sini ha esordito aprendo il seminario, rilevando subito come questa domanda
appaia pretenziosa. Dire infatti «ciò che è
degno di essere pensato» significa che non
tutto ha la dignità del pensiero, che qualcosa ne resta escluso, appunto perché “non
degno”. Nel caso di Heidegger, ciò che è
degno di essere domandato è propriamente
il linguaggio, dove riflettere sul linguaggio
significa pervenire a parlare del linguaggio. Heidegger dice che il linguaggio è “la
casa dell’Essere” e - ancora - che è la parola
a conferire la presenza (l’essere) alla cosa;
ma aggiunge anche che la parola, il dire,
non ha Essere. Siamo così nel paradosso in
quanto, se la parola è “la casa dell’Essere”
e l’uomo ha la dimora nella parola, ma la
parola non ha Essere, l’uomo allora ha nella
parola una “non dimora”, una “dimora sbarrata”: l’uomo infatti abita nella “differenza” già da sempre differita dal linguaggio.
Questa differenza tuttavia non si può pensare poiché, quando la pensiamo, siamo già
nell’esercizio della differenza stessa. Si
rende allora necessario risalire all’origine
remota della reciproca appartenenza di poetare e pensare, all’ “iscrizione poietica”
che li precede e li articola, perché solo
nell’originario atto di scrittura è possibile
comprendere ciò che del linguaggio resta
taciuto, nascosto e inavvertito.
Nella prospettiva di Mario Ruggenini
l’elaborazione heideggeriana della problematica del linguaggio prende le mosse dall’incontro degli anni ’30 di Heidegger con
la poesia di Hölderlin, che gli consente di
affrontare la questione della finitezza in un
orizzonte non più “esistenzialistico”, ma
come “finitezza dell’essere stesso”. Il linguaggio è l’elemento essenziale che dispone della più alta possibilità di essere dell’uomo: è la possibilità (Möglichkeit) stessa dell’Esserci che non appartiene all’uomo, ma che da sempre decide e mette in
gioco le componenti delle differenze (Dasein, uomo-linguaggio, io-altri). E’ solo
nell’orizzonte del linguaggio che gli uomini incontrano e riconoscono gli altri come
“altri”, intrecciando con loro un colloquio
che non è mero e quotidiano “chiacchierare”, ma “colloquio celeste”, come Hölderlin lo ha chiamato, in quanto spazio di
apertura del mistero del Sacro che tiene
uniti gli uomini e li fa parlare, costringendoli così a fare anche esperienza della loro
finitezza. Si tratta allora per Ruggenini di
pensare con Heidegger e oltre Heidegger il
tema ineludibile dell’alterità, al di là di
ogni forma di neo-paganesimo e di neomisticismo, ma anche contro ogni ricaduta
in tematiche intersoggettivistiche. Essere
nel mondo significa essere sempre in rapporto con altri a partire da Altro, in virtù
cioè di un’alterità che di ciascuno di noi fa
un altro per l’altro, in un colloquio sempre
aperto, dal quale solo la morte può sottrarci, senza però interromperne il corso.
Per Caterina Resta invece solo all’interno
di una ricognizione della complessa metaforica del Weg (via, cammino) è possibile
affrontare la questione del linguaggio. Per
Heidegger non si tratta infatti di voler formulare una nuova filosofia del linguaggio,
né di parlare di esso come oggetto di una
nostra rappresentazione, ma di farne “esperienza” (Er-fahrung), nel senso del corrispondere ad un cammino lungo il quale,
cogliendoci di sorpresa, si concede la “cosa”
del pensiero. In tal modo ciò che sembrava
solo un “cammino di pensiero” (DenkWeg) viene ora a configurarsi come un
“pensiero del cammino” (Weg-Denken),
dove non si guarda a metodi e procedure di
sorta, ma si prosegue nel bilico di un sentiero-limite a partire dal quale ogni rapporto si mostra rischioso, ma in virtù del quale
soltanto è possibile fare esperienza del
darsi dell’evento della parola. Secondo
Resta il pensiero del linguaggio in Heidegger - come ha ben visto Derrida - è un
pensiero del filo e dell’intreccio (Geflecht), della corda e del laccio, nel quale già
da sempre siamo implicati e dal quale non
possiamo scioglierci. Solo all’interno dell’opacità di questo intrico nel quale siamo
stretti, la “cosa” stessa rimane impigliata e
per noi dicibile, finalmente ascoltata e ridetta nel giusto accordo.
Attraverso un’analisi “topologica” della
questione del linguaggio Vincenzo Vitiello mette a confronto Benjamin e Heidegger e, con loro, tradizione ebraico-cristiana
e tradizione greca. La concezione del linguaggio in Benjamin poggia essenzialmente sulla base di due categorie: parola e
nome, ovvero parola creatrice di Dio e
lingua riconoscitrice dell’uomo. Una concezione, questa di Benjamin, totalmente
differente da quella heideggeriana, che si
presenta contraria a qualsiasi affermazione onto-teologica. Inoltre mentre Benjamin considera la lingua come phonè, suono, dando al linguaggio nominale dell’uomo carattere acustico, sonoro, Heidegger,
invece, attribuirebbe alla vista la caratteristica propria del linguaggio, nel suo portare le cose a manifestarsi nella parola. Da un
lato dunque il primato della lingua-suono,
dall’altro invece quello della lingua-vista.
Una possibile convergenza tra le due posizioni è tuttavia riscontrabile, secondo Vitiello, nel comune rifiuto della concezione
strumentale della lingua come segno rinviante ad altro. L’idea strumentale del linguaggio si estende - secondo Benjamin all’intera storia dell’umanità, da quando
cioè il peccato originale dello spirito linguistico ha segnato una divisione originaria (Ur-teil) sottraendo nel “giudizio” il
contenuto alla parola, che così diventa
segno vuoto e insignificante. Tutto questo
è presente nel Trauerspiel, laddove il simbolo indica l’idea della bellezza e della
totalità organica e l’allegoria, invece, la
frattura, il radicale korismòs tra la creatura
e il suo creatore. Ciò che resta nella scrittura corrisponde ora ad una parola frammentata, la parola-macerie, che si fa espres-
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Martin Heidegger (a destra) con Rudolf Augstein redattore di “Der Spiegel”
sione della dolorosa decadenza della storia,
laddove in Heidegger proprio la “nientità”
della parola stessa, nel suo darsi come
“niente”, permette quello spazio libero necessario per il presentarsi della cosa. Questa apparente divergenza è indice tuttavia
di una possibile convergenza. Quando nella prospettiva heideggeriana - la parola
si presenta come niente, e quindi come
spazio vuoto perché si diano le cose, questo
vuoto si caratterizza sempre come indice di
altro, facendo perdere alla parola la sua
originaria struttura di nientità e conducendola a decadere a cosa. Tanto in Heidegger
quanto in Benjamin è dunque presente un
intreccio tra negativo e positivo. Come
nell’essenza della tecnica (Gestell), infatti,
lampeggia l’Ereignis (Evento dell’Essere)
- e ciò significa che nella materialità della
tecnica è da scorgere il segno che rinvia ad
altro -, così l’Angelo della storia appare
come il luogo della manifestazione di Dio
nella miseria radicale del totale nichilismo.
Il seminario su Heidegger si è concluso con
una Tavola rotonda intorno al volume di
Mario Ruggenini, I fenomeni e le parole.
La verità finita dell’ermeneutica. Parafrasando la paradossale espressione kantiana
della “socievole insocievolezza”, Girolamo Cotroneo ha aperto i lavori segnalando
nella scelta della forma saggistica del libro
la “incoerente coerenza” di uno studioso
nei rapporti col suo problema. Il procedere
“rapsodico” del testo di Ruggenini consen-
te tanto all’autore quanto ai lettori di ritornare più volte, seguendo una trama ben
precisa, laddove il discorso era semplicemente accennato, oppure dove già esso
preludeva alla fine, senza però ancora spiegarla.
Due sono i punti-forza che Enrica Lisciani-Petrini ha voluto mettere in rilievo nel
suo intervento: 1) fare i conti con il nostro
“esserci” storico, reimpostando la relazione finito-infinito; 2) ripensare di conseguenza l’Evento, sottraendolo all’istanza
fondamentalistica della metafisica. E’ a
livello del linguaggio che Ruggenini ripensa la questione dell’alterità: il mondo si
presenta come quel tessuto di parole in cui
le cose si danno, ma solo perché, a sua
volta, esso è dato da una struttura linguistica, silente, originaria. L’importanza del
volume di Ruggenini, ha ribadito Resta,
risiede appunto nel modo con cui è posta la
relazione finitezza-alterità: essa è pensata
come esperienza del limite, per il quale
l’altro dal finito si costituisce come l’altro
del finito. In gioco è in primo luogo la
finitezza stessa dell’essere, finito perché
de-finito dal e nel rapporto con l’uomo,
attraverso la parola. In modo alquanto diverso da Gadamer, da un lato, e Habermas
e Apel dall’altro, e molto più vicino a
Derrida, Ruggenini sembra escludere che
l’intesa e l’accordo tra gli uomini possa
costituirsi come un telos, anche solo ideale.
L’insistenza di Ruggenini sulla dimensio-
ne interumana del parlare, del dialogare,
con il rischio di perdere la radicale alterità
dell’Altro è stata affrontata da Carlo Sini,
in base al difficile rapporto tra il “sensibile”
e il simbolo e, soprattutto, al modo in cui
questo sensibile rimanda e apre lo spazio ad
una risposta, ad un mondo o comunque ad
una significatività. Il rischio che si corre
nel ripensare l’alterità - sebbene finita e
altra rispetto alla tradizione - è quello di
voler assumere un nuovo statuto ontologico.
Ancora sul rapporto tra alterità e finitezza
è intervenuto Vincenzo Vitiello, osservando come, per Ruggenini, esse appaiono
strettamente intrecciate. Il finito, infatti,
proprio affermando la sua finitezza, non
può non “finitizzare” anche l’altro a cui si
rapporta. Per mantenere “finita” questa relazione di finito-infinito, la prima strategia
è quella di riportare la relazione entro la
relazione, il colloquio dentro il colloquio,
affrontando la questione base della filosofia: il principium firmissimum (il principio
di non-contraddizione) e la non saturabilità
del termine Essere.
A conclusione degli interventi, Mario Ruggenini ha ribadito che se la lettura metafisica tradizionale ha voluto trasformare l’essere nel principio di un essere assoluto, in
contraddittorio, qui il tentativo è invece
quello di volerlo restituire al linguaggio a
cui appartiene, ponendo una necessità più
fondamentale di quella del principio di non
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contraddizione, e cioè la necessità fondamentale dell’apertura linguistica del mondo dei “pragmata”, dei quali in tanto si può
ragionare, dibattere, in quanto sono già
sempre detti in parole. In questa prospettiva, parlare significa corrispondere, in primo luogo, all’esser chiamati in discorso da
parole che dicono qualcosa, ma la cui determinazione, sfuggendoci, ci porta a richiedere nuove parole al logon didonai, nel
cammino costante dell’interpretazione. Il
compito dell’uomo è quello di tentare la
“determinazione” nel dire qualcosa di nuovo nel colloquio, sempre inquietante e mai
amorevole, degli uomini e, al contempo,
quello di fare esperienza della propria finitezza, che consiste nello stare inevitabile
dei parlanti tra “rivelazione” e “occultamento”.
Tutto ciò conduce ad un’ ”etica del discorso” come “etica della finitezza”, di quella
finitezza di cui i parlanti fanno esperienza
quando, frequentando il colloquio con gli
altri parlanti, scoprono che “al di là del
miraggio” di un accordo possibile, esiste
un’alterità che li tiene uniti e li fa parlare,
sempre però in vista di un’intesa precaria e
finita. Questa alterità - ha concluso Ruggenini - non è nulla di trascendente o di
salvifico; essa non ci richiama altrove, ma
ci fa essere nel mondo, nell’inquieto appartenergli come mortali. I.B.
Il tempo e i luoghi
Nel corso di un dibattito al quale hanno partecipato, oltre all’autore, Maurizio Ferraris, Umberto Galimberti, Pier
Aldo Rovatti, Carlo Sini, nel mese di
maggio 1992 è stata presentata, alla
Sala Incontri dell’ISU di Milano, l’ultima opera di Vincenzo Vitiello, Topologia del moderno (Marietti, Genova 1992). La “topologia”, nell’intendimento dell’autore, ritiene di dover assumere la dimensione della storicità
in modo così radicale da porla sotto lo
sguardo prospettico della sua fine, che
è poi anche la sua finalità in quanto
estinzione del processo. Proprio per
questo la considerazione “finale” della storia - che è poi anche quella “originaria” - non può essere “cronologia”, bensì “topologia”.
Multiversum contra uninversum: è questo
il tema dell’opera di Vincenzo Vitiello,
che intende difendere le ragioni del multiversum proprio in forza di un’assunzione
radicale dell’universum. Se si vuole dar
ragione allo storicismo, all’esistenza di una
finalità nella storia, occorre “finire” la storia e “farla finita” con la storia; la topologia
accade in quel limite, che è l’orizzonte
stesso del procedere temporale, che è il
tempo stesso. Il tempo non procede, sono i
fenomeni che procedono nel tempo.
Topologia, non topica, dice dunque Vitiel-
lo, perché ai topoi si accede mediante il
logos, che è sempre un “sapere secondo”,
contrariamente a quanto crede Heidegger,
che ritiene possibile prospettare di esso una
“dimensione originaria”. La “topologia” si
identifica dunque con la filosofia, e questa
con il pensiero in quanto tale; questo sovrapporsi di identificazioni è precisamente
ciò che qualifica “il moderno”, cioè la “fine
della storia”, come termine e finalità della
prospettiva storica. In questo senso il “moderno” si colloca in una posizione duplice:
da una parte è categoria storica, momento
della storia, dall’altra la attraversa tutta, e
la trascende fondandola.
Illuminante è il ruolo che Vitiello assegna
a Hegel, il filosofo “più cristiano” che
esista, nel suo assumere nella forma più
radicale la prospettiva storica, “inventata”
dal cristianesimo. Hegel avrebbe infatti
intrapreso il tentativo di «liberare il tempo
dalla necessità», di rendere, cioè, quel legame fra tempo e necessità individuato da
Kant e conciliare la conseguente scissione
fra libertà e tempo. Quello di conciliare
libertà e necessità è il tentativo “politico”
che avvicina Hegel a Platone nel riportare
il sapere, l’azione e la vita della comunità
nella storia; tentativo che fallisce, perché la
libertà, come nozione ontologica, non può
essere salvaguardata che “fuori” dal tempo, o identificata con esso, ma solo come
limite del processo, e la libertà del singolo
atto, in quanto fenomeno che cade comunque nel tempo, può darsi solo nella sospensione, nello zwischen, “tra” sensibile e intelligibile, tra tempo e “assenza di tempo”.
Se in tal senso su Hegel si allunga l’ombra
di Spinoza, come sostiene Vitiello, dietro
Vitiello s’intravede Gentile, laddove lo
spazio per la libertà si dà nella sospensione
della storia, derivante dalla sua assolutizzazione.
Nel suo intervento Maurizio Ferraris ha
legato il tema della filosofia della storia
alla questione gnoseologica, che nell’opera di Vitiello emergerebbe, a suo parere, in
modo ancor più rilevante. Dal punto di
vista della filosofia della storia la posizione
di Vitiello si collocherebbe all’interno del
tema nietzscheano dell’eterno ritorno, come
cifra della fine della storia. La libertà è il
sedersi di Zarathustra sulla soglia dell’attimo, dove la storia, ormai priva di tempo, si
fa “natura”: l’eterno presente del “grande
meriggio”, in cui i topoi non si susseguono,
ma sono compresenti. L’elemento più significativo in questa prospettiva consiste
nella possibilità, con la fine della storia, di
fondare una logica trascendentale, dove sia
superata la contrapposizione fra la logica,
universale ma astratta, e la filosofia della
cultura, dominata dal relativismo; prospettiva, questa, ben diversa da quella della
“topologia”, che Ferraris preferisce denominare con il termine di “topica”, proprio
per sottolineare la compresenza dei topoi, e
salvaguardarne l’indipendenza nei confronti del logos. La filosofia “trascendentale”
così fondata è la «forma logica di una
ripetizione»: da topos a topos, il percorso è
quello dallo Stesso allo Stesso, passando
per l’Altro, dove l’io finito, che si sa come
tale, pensa l’infinito come sua proiezione,
e in tal modo garantisce la propria finitezza.
Tematizzare il trascendentale come forma
logica della ripetizione è, però, solo il primo passo, ribatte Vitiello, corrispondente
al superamento dell’empiricità del cogito;
resta ancora da mostrare come l’empiricità
rientri in gioco.
A parere di Umberto Galimberti, proprio
il caratterizzarsi della prospettiva di Vitiello come topologia, anziché come topica, è
ciò che determina la sua posizione nei
confronti dell’ermeneutica. Dimostrare
contro quest’ultima che la storia è un topos
e non il luogo che accoglie tutti i topoi,
significa portare l’ermeneutica stessa a un
livello di verità più alto. Per entrare in
questa prospettiva occorre congedarsi dall’ebraismo e dal cristianesimo, che prevedono un tempo escatologico, un senso unidirezionale, da un inizio verso una fine;
occorre tornare alla figura greca del kuklos,
nella quale si riassume la prospettiva “topologica”. Lo stesso Vitiello, d’altra parte,
sottolinea che è proprio la concezione escatologica del tempo “inventata” dal cristianesimo (più che quella lineare, presente già
nell’ebraismo) a “creare” la prospettiva
storica, individuando nel processo un momento centrale (la venuta del Messia).
Alla nozione di “topologia” ha dedicato il
proprio intervento Pier Aldo Rovatti. Essenza della topologia è il suo determinarsi
come contra-dizione: un dire che, nel momento in cui dice, si allontana da sé, si
respinge, non riesce e non può “dirsi”. La
topologia è rivendicazione della ricettività
dello spazio, di contro alla selettività del
tempo; d’altra parte, la topologia stessa
comincia con la storia, non la “comprende”, nel senso che non la supera, ma le
rimane accanto “contra-dicendola”. Questo “contra-dirsi”, questo convivere della
storia con la propria fine, è proprio del
moderno. La topologia è superiore alla
storia, perché ne segnala il problema, non
perché lo risolve; la topologia si pone “dentro” e “fuori” della storia. Il suo problema
è in fondo ancora il problema dell’identità,
che si esprime nelle figure del processo
storico; e anche questa è una “contra-dizione”, perché immanente al processo e nel
contempo trascendente ad esso. Emerge
qui la stessa ambiguità e doppiezza che si
esprime nella “presentificazione del tempo” operata dall’eterno ritorno: il tempo si
nega, ma permane come momento della
propria negazione. La “contra-dizione”
consiste qui nel fatto che la negazione del
tempo la si può cogliere solo nel tempo; e
il significato consiste nell’impossibilità di
uscire dalla metafisica.
L’intervento di Carlo Sini ha infine posto
una domanda “fondamentale” riguardo alla
nozione di “topologia”, quella del rapporto
fra topologia ed ermeneutica. Sini ha sottolineato come, venendo meno il testo come
“prae-testo”, venga meno la verità propria
CONVEGNI E SEMINARI
dell’ermeneutica. D’altra parte la topologia pretende di frequentare la questione
della verità; proprio in questo consiste, a
parere di Sini, il punto problematico e la
difficoltà, per la topologia, di mostrare la
verità cui essa mira. Cercare le essenze
sotto le spoglie di forme, proporre il paradigma della morfologia contro quello della
successione, rischia di far ricadere ancora
nel paradigma della successione.
Un secondo rilievo è stato mosso da Sini
sulla questione del logos. Dichiarandosi
d’accordo con Vitiello in merito alla negazione della storia, e con essa della tradizione, Sini ha sostenuto come il problema
nasca appunto nel momento di giustificare
questa negazione. Vitiello non ha negato
questa difficoltà, che tuttavia discende dalla necessità di ricollocarsi con la propria
posizione all’interno della prospettiva che
si vuole sospendere. F.C.
Leibniz
e la questione della soggettività
Presso il Centro Internazionale di Fisica Teorica di Trieste, si è tenuto nei
giorni 11-14 maggio il convegno internazionale: Leibniz e la questione
della soggettività, organizzato
dal Laboratorio Interdisciplinare per le
Scienze Naturali e Umanistiche della
SISSA, in collaborazione con il Dipartimento di Filosofia dell’Università di
Trieste, con il C.N.R., con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli e
con la Leibniz-Gesellschaft di Hannover.
Il convegno è stato il primo dopo la scomparsa di quel formidabile studioso e promotore di studi leibniziani che fu Albert
Heinekamp, direttore del Leibniz-Archiv
negli scorsi decenni, la cui opera è stata
commemorata ad apertura del convegno da
Wilhelm Totok, attuale presidente della
Leibniz-Gesellschaft.
Due sono stati i filoni dominanti nel dibattito. Da un lato, il tema della “soggettività”
suggerito dal titolo imponeva una rivisitazione dei punti nodali della monadologia
leibniziana. D’altro lato, sia la figura di
Leibniz, sia il luogo stesso di svolgimento
del convegno suggerivano il tema dei rapporti e dei possibili momenti di complementarietà tra dimensione filosofica e scientifica. In questa direzione andava già il
saluto agli intervenuti di Paolo Budinich,
a nome del Laboratorio Interdisciplinare
per le Scienze Naturali e Umanistiche. Il
tema è stato però ampiamente ripreso da
George F. R. Ellis, che partendo dalla
discussione del cosiddetto “principio antropico” e delle sue applicazioni, ha sostenuto, anche alla luce della forte integrazione tra filosofia e metodo scientifico, presente in Leibniz, che ricerca scientifica e
filosofia debbono riconnettersi di fronte a
quei quesiti di ordine cosmologico, esistenziale, etico, che troverebbero altrimenti risposta soltanto nelle correnti antirazionalistiche oggi già presenti nel senso comune. A provarlo basterebbero gli interventi di Michel Fichant, dedicati appunto
alla fase di costituzione di questa “nuova
scienza”, nonché quello di Paolo Zellini
sullo specifico approccio di Leibniz al concetto di numero, tema decisivo per comprendere i sottintesi teorici che sono alla
base del calcolo infinitesimale nella versione leibniziana.
Quanto alla “soggettività”, la conferenza
di apertura di Konrad Cramer ha riattraversato il nodo della distinzione leibniziana tra “percezione” e “appercezione” alla
luce delle domande della filosofia contemporanea sui limiti e le potenzialità dell’autocoscienza. Mentre sui rapporti tra ontologia e logica si è pronunciato Massimo
Mugnai, con un intervento dedicato alla
questione delle relazioni, uno dei temi più
discussi a partire dalla Critical Exposition
of the Philosophy of Leibniz di Bertrand
Russel. Mugnai ha rilevato come le proposte leibniziane di formalizzazione logica
degli asserti che esprimono relazioni (come
“Paride ama Elena”) non mirino all’eliminazione della relazione, ma piuttosto ad
una diversa espressione di essa. Di qui il
loro accordo con un’ontologia che riduce le
relazioni tra più individui (intermonadiche) ad astrazioni derivanti dalla simultanea considerazione degli accidenti di sostanze diverse, e che però ammette relazioni intra-monadiche, dato che ogni monade
rispecchia l’intero universo.
All’immagine della monade come “specchio dell’universo” si sono ricollegate poi
altre due discussioni. Quella di Fabrizio
Mondadori ne ha esaminato soprattutto
l’aporia, per cui il mondo potrebbe constare anche soltanto di me e di Dio, ovvero
potrebbero darsi mondi contenenti un solo
individuo. Quintin Racionero invece, valorizzando la compresenza della dimensione della “sostanzialità” e della “soggettività” nella dottrina leibniziana dell’individuo, ha collegato l’immagine dello specchio dell’universo con quegli elementi del
discorso leibniziano che sfuggono ad un’interpretazione strettamente “panlogistica”.
Diversamente si è sviluppato l’intervento
di André Robinet, che ponendo la stessa
soluzione monadologica all’interno di quella “architettonica disgiuntiva” tra riduzione fenomenistica dei corpi e rifondazione
della corporeità in termini di vinculum substantiale del Leibniz maturo, ha contestato l’immagine di un Leibniz tutto interno
alla dimensione della soggettività.
A queste riconsiderazioni dei nodi centrali
della filosofia monadologica si sono affiancati altri percorsi di riflessione non
meno significativi. Partendo dagli scritti
etici giovanili del filosofo, Francesco Piro
ha segnalato le loro linee di rottura e quelle
(più problematiche) di continuità rispetto
alla tradizione della philosophia practica
di impianto aristotelico. Al rapporto tra
razionalità e affettività nell’antropologia
leibniziana della piena maturità doveva
essere dedicato l’intervento di Antonio
Lamarra, che non ha potuto aver luogo per
un incidente occorso al relatore. Nell’intervento di Kiyoshi Sakai è invece emerso il
tema dei rapporti tra filosofia occidentale
ed orientale, ripercorrendo la vicenda della
ricezione della filosofia leibniziana nel
Giappone contemporaneo.
Altro filone di dibattito è stato quello degli
aspetti onto-teologici del pensiero di Leibniz in rapporto al divenire della Modernità.
Mario Ruggenini, partendo dalla celebre
domanda leibniziana «perché esiste qualcosa e non piuttosto il nulla?», vi ha visto
l’emergere di una “semantica ontologiconichilista”, originata dal creazionismo di
matrice cristiana, attraverso la quale l’essente viene posto sotto il segno della negatività e della bisognosità di una giustificazione esterna.
Carlo Sini ha discusso della figura di Spinoza come inquietante “ombra” ambiguamente presente nel percorso teoretico del
filosofo tedesco. Infine, l’altro grande nodo
del rapporto Leibniz-Kant è stato discusso,
sotto diversi aspetti, da Kalus-Erich Kaehler e Vincenzo Vitiello. Il primo ha
esaminato le diverse risposte che Leibniz e
Kant danno sull’unità e sulla finitezza del
soggetto umano. Vitiello ha invece confrontato la difesa leibniziana e la critica
kantiana dell’argomento cosiddetto “ontologico” (o, come specifica Vitiello, “ontologico”) a favore dell’esistenza di Dio. In
entrambi i casi, sebbene per diverse ragioni, ne esce radicalmente ridiscussa l’immagine di un Kant che porta a compimento la
Modernità, sbaragliando le astrattezze metafisiche di Leibniz, mentre si fa sempre
più avanti una considerazione “topologica” del Moderno stesso e delle questioni
che vi si pongono, in cui Leibniz e i temi da
lui sollevati giocano un ruolo diversificante rispetto ai compiti del pensiero contemporaneo.
Oltre ai relatori, hanno partecipato ai lavori
Renato Cristin, Guido Zingari, Bianca
Maria Cuomo d’Ippolito, Gino Roncaglia,
Enrico Pasini, per citarne solo alcuni.
Seminari fenomenologici
Organizzato dal Dipartimento di Scienze filosofiche dell’Università di Bari, si
è svolto un ciclo di tre seminari fenomenologici: il primo è stato tenuto da
Giuseppe Semerari, il 7 aprile 1992, sul
tema: I §§ 22-28, 59 e 61 di Idee
II; il secondo da Ferruccio De Natale,
il 28 aprile, su Enigmi e paradossi
a partire dal § 2 della ‘Crisi
delle scienze europee’; il terzo da
Nicola Massimo De Feo, il 5 maggio,
su Essere e Tempo in Heidegger.
La relazione di Giuseppe Semerari ha
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riguardato i §§ 22-28, 59 e 61, dell’opera
di Edmund Husserl, Idee II, con l’intento di
approfondire quattro temi fondamentali:
“La desostanzializzazione dell’Io” (§§ 24,
25 e 59); “La individuazione e la molteplicità dell’Io puro” (§§ 22-27-28); “La struttura temporale dell’io: il gioco di occultamento e di manifestazione dell’io” (§§ 2223); “Considerazioni dell’io attivo e passivo” (§§ 22-26-61).
Per quanto riguarda il primo tema, Semerari ha osservato che in Idee II il soggetto che
si desostanzializza - o si destruttura - è
proprio quello della tradizione trascendentalista, universalistica, per la quale il Soggetto non coincide con nessuno dei soggetti. L’ “Io posso” husserliano oppone a questa tradizione un’interpretazione prassistica del Cogito. La desostanzializzazione
operata dall’ “Io posso” husserliano consiste nella trasformazione dell’Io puro, inteso come sostanza, in un Io puro come
centro di funzioni.
Per quanto concerne il secondo tema Semerari ha richiamato l’attenzione in modo
particolare sul § 27 di Idee II: «Esistono
tanti Io puri quanti sono gli Io reali». Semerari ha sottolineato la molteplicità degli Io
puri: ogni Io reale ha in sé un Io ideale. L’Io
puro è dunque una delle fonti di costituzione dell’Io reale; l’altra è l’intersoggettività,
alla cui tematizzazione è dedicato il § 28.
Semerari ha evidenziato come l’unità dell’Io puro sia, in ultima istanza, un processo
di unificazione.
La trattazione del terzo tema ha portato
Semerari a osservare che l’Io ha una struttura temporale, non è qualcosa di amorfo.
L’Io puro e l’Io ideale sono vita vissuta
secondo le scansioni della temporalità. Il
gioco di occultamento e di manifestazione
dell’Io riguarda la possibilità dell’Io di
essere o meno attuale, di essere o meno
desto. Ciò apre al quarto tema, a proposito
del quale Semerari ha sottolineato come la
fenomenologia husserliana si sviluppi tra
Hintergrund (sfondo) e Untergrund (base
di fondo). Del § 26 è stata evidenziata la
“funzione illuminante” dell’Io; questa “funzione illuminante” è lo sguardo attento
dell’Io. Ma come non c’è pura luce, che
non abbia l’oscurità per suo sfondo, così
non c’è attenzione senza distrazione. La
passività è il fondo dell’attività.
Alla luce di tutte queste considerazioni,
Semerari ha infine avanzato un’ipotesi ancora interamente da sviluppare, per la quale, in relazione al suo carattere di produttività e alla sua stessa trascendentalità, l’Io
puro husserliano può essere posto in analogia con il concetto heideggeriano dell’essere.
Il seminario di Ferruccio De Natale, ha
inteso collegare il § 2 e i §§ 51-52-53
dell’ultima opera di Husserl, la Crisi delle
scienze europee, individuandone “enigmi
e paradossi”. L’enigma del soggetto concerne la sua reificazione operata dal positivismo scientifico («Le mere scienze di
fatto, creano uomini di fatto»), che riduce il
mondo ad un mondo di cose (enigma del
Edmund Husserl
mondo). Il tema del mondo, comparso già
nella V Meditazione Cartesiana, viene semantizzato nella Crisi come Lebenswelt
(mondo della vita), mondo a partire da cui
acquistano senso tutte le operazioni scientifiche. L’enigma del mondo sembra risolversi, pertanto, con il recupero della Lebenswelt.
De Natale ha fatto riferimento, in proposito, alla lettura materialistica della Crisi,
sviluppatasi in Italia intorno agli anni ’60’70, mettendo tuttavia in evidenza la necessità di non fermarsi ad un livello di lettura
della Lebenswelt che ne valorizzi esclusivamente gli aspetti “emancipativi” o “eversivi”. Se «mondi della vita si danno solo al
plurale» (secondo l’espressione di F. Fell-
mann), nel § 51 si avanza invece l’esigenza
di individuare la struttura di ogni possibile
Lebenswelt. Husserl viene così a configurarsi, a sua volta, come un Galileo della
Lebenswelt: occulta la contingenza, la
molteplicità, congela quello slancio di disoccultamento emancipativo che la sua stessa scoperta della Lebenswelt comporta. Ma
è proprio nel momento in cui Husserl sottolinea il carattere radicale costitutivo della
soggettività trascendentale che si determina una serie di paradossi o “difficoltà”
delineati nel § 52: 1) il contrasto tra una
verità soggettiva e una oggettiva, risolto da
Husserl facendo della verità un correlato
soggettivo; 2) la possibilità di cogliere la
Lebenswelt mediante l’epoché e il disinte-
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resse che metodologicamente l’epoché
comporta - paradosso che Husserl utilizza
per ribadire come l’interesse del fenomenologo sia quello del disoccultamento del
mondo, dell’emergenza di esso come “polistema della soggettività trascendentale”;
3) la difficoltà di una descrizione del fluire
eracliteo dei vissuti - difficoltà che riguarda esclusivamente chi permane nella mentalità scientifico-positiva.
E’ il § 53 quello che sancisce il paradosso
definitivo. De Natale ha sottolineato l’oscurità di questo paragrafo, già evidenziata da
Enzo Paci nel 1963 e da Pieraldo Rovatti in
L’esercizio del silenzio. La fondazione di
una scientificità positiva presuppone un’autofondazione, che si basi sulla verità intesa
come risultante dell’intersoggettività universale; quest’ultima è una parte del mondo. Il paradosso riguarda la possibilità per
una struttura parziale del mondo di costituire l’intero mondo. L’elemento soggettivo
(una parte del mondo) inghiotte l’intero
mondo. Il cammino di Husserl è parso un
“cammino interrotto”: partiti da un’immagine del mondo come congerie di fatti
opprimenti (§ 2) si giunge ad una sorta di
“evaporazione” del mondo; da una perdita
della soggettività si perviene ad una ipertrofia della soggettività.
Nell’ultimo incontro Nicola Massimo De
Feo ha proposto una lettura dell’ontologia
heideggeriana intesa come radicalizzazione della fenomenologia husserliana, indicando come luogo del confronto tra Husserl e Heidegger Le lezioni di Marburgo del
1925 di Heidegger, il cui nucleo centrale
consiste nella problematizzazione del metodo fenomenologico husserliano. In
un’epoca caratterizzata dalla rinascita della metafisica, delle metafisiche, intese come
espressione della crisi della scienza, Heidegger individua il terreno d’indagine della crisi delle scienze non nel divorzio tra
scienza pura e sua organizzazione, ma nel
campo delle “cose stesse”. In tale prospettiva la fenomenologia husserliana rappresenta l’unico indirizzo di pensiero che apre
il varco verso le “cose stesse”. La cosa
stessa diviene l’essere.
Husserl rimane coscienzialista per Heidegger, in quanto è rimasto chiuso in quella
tradizione di approccio che, almeno da
Cartesio, ha frapposto nella comprensione
dell’essere la coscienza. Nelle Lezioni del
‘25 l’essere delle cose è strettamente legato
all’esserci umano, ma l’uomo (contrasto
Husserl-Heidegger per la formulazione
della voce “Fenomenologia” per l’Enciclopedia Britannica) non può essere ridotto
a soggettività trascendentale, è, invece, una
soggettività esistenziale, una totalità concreta; il “carne e ossa” husserliano rimanda
ad una esperienza puramente percettiva
della cosa stessa. La fenomenologia, per
Heidegger, deve guardare la cosa stessa nel
suo manifestarsi.
Ma la riformulazione dell’essere delle cose
si delinea individuando nel tempo la sua
struttura di pensabilità. L’essere stesso viene dopo il tempo; il tempo non è, tempora-
lizza. Anche per quanto concerne l’elaborazione del tempo è stato evidenziato il
limite coscienzialista, comune a tutta la
tradizione occidentale, di Husserl. Le lezioni del ‘25 di Heidegger delineano i tre
momenti di quel metodo fenomenologico
che ormai è divenuto l’approccio dell’ontologia: 1) riduzione ontologica; 2) costruzione; 3) distruzione.
L’ultima parte del seminario ha posto l’attenzione sulla diversità del porsi della Seinfrage (domanda sull’essere) nel secondo
Heidegger. L’enigma dell’essere diviene
un’esperienza storica. E’ stata sollevata
anche la possibilità di considerare l’esperienza della Gelassnheit (rilassamento), del
lasciar-essere, come un’esperienza an-archica, come la possibilità di lasciare aperti
nuovi spazi emergenti. In tale prospettiva,
è stato avanzato un accostamento tra il
pensiero foucaultiano e quello heideggeriano. F.R.C.
Attualità dello storicismo
Nell’ambito dei seminari della rivista
“Studi e Ricerche” (Nuova Serie), organo dell’Istituto di Filosofia e Storia
della filosofia della Facoltà di Magistero di Bari, su iniziativa del Direttore
della rivista medesima, Davide Bigalli,
si è tenuta il 14 aprile 1992, nel palazzo
dell’Ateneo di Bari, una tavola rotonda dal titolo: Attualità dello storicismo, in occasione della presentazione del volume di Fulvio Tessitore,
Lo Storicismo (Introduzione a, Laterza, Roma-Bari 1991), cui hanno partecipato, oltre all’autore, lo stesso
Davide Bigalli, Mario Agrimi e Enrico
Rambaldi.
Del libro in discussione, che coniugando
magistralmente acribia filologica e limpida discorsività ripercorre i due secoli di
sviluppo dello storicismo - dalle sue origini
settecentesche sino ai suoi esiti nel Novecento, con F. Meinecke -, ciascuno dei
relatori ha sottolineato aspetti fecondi o
lamentato “assenze” e prospettato ulteriori
direzioni di approfondimento, a seconda
dei propri campi di interesse e della propria
formazione e sensibilità scientifica. Così
Davide Bigalli ha incentrato l’attenzione
su quello che, nel testo di Fulvio Tessitore,
è indicato come lo “storicismo degli storici” (da B. G. Niebuhr a L. v. Ranke, a J. G.
Droysen), ponendo ed elaborando la questione se e fino a che punto possa accostarsi
a questa particolare “forma” dello storicismo la Scuola delle Annales e la storiografia di lingua francese.
Mario Agrimi ha invece posto in rilievo
come in forza delle analisi di Tessitore
risulti superata la consolidata immagine
dello storicismo tedesco contemporaneo
tutto rinchiuso nel problema della comprensione della storia e assiologicamente
“neutrale”: c’è, piuttosto, da parlare di un’
“etica dello storicismo”, che si evince sia
dal tema della responsabilità e della decisione in un contesto di libertà per -, nella e dalla storia, sia dal confluire dello storicismo in quelle tematiche esistenziali “alla”
Meinecke, sulla cui illustrazione si chiude, per l’appunto, il volume di Tessitore. E
se ad Agrimi è parsa rilevante l’assenza di
Marx (e di Vico) nella trattazione di Tessitore, questa stessa “assenza” è parsa comprensibile a Enrico Rambaldi per il quale
Marx va oggi letto come storico robustissimo e non come storicista. Rambaldi, a
partire dalle analisi contenute nel libro in
esame, ha mostrato come tra uno storicismo tutto teso a comprendere la storia in se
stessa e uno storicismo che della storia
vuol capire la struttura soggiacente occorra porsi il problema della storia in modo
radicalmente diverso. Se, infatti, al primo
tipo di storicismo (che noi potremmo dire
“conoscitivistico”) si è spesso accompagnato “pessimismo” circa la possibilità di
trasformare la realtà, al secondo tipo, sin
dalle sue origini hegeliane e marxiane, si è
accompagnato un “ottimismo” che ha acconsentito alla coercizione in nome della
nobiltà del “fine” da raggiungere: di qui
l’esigenza, per Rambaldi, di porre il problema della storia in modo da escludere l’
“ottimismo”, ma non la possibilità della
critica dell’esistente, in vista della sua
trasformazione.
Nella sua replica conclusiva, Fulvio Tessitore ha, tra l’altro, ribadito come dello
“storicismo” siano possibili molteplici interpretazioni, al punto da potersi parlare di
“storicismi” al plurale: proprio questa possibilità, che è segno incontrovertibile della
vitalità dei problemi dello storicismo, chiarifica, a nostro avviso, l’intitolazione che si
è voluta, sapientemente, dare a questo fecondo incontro di studio. F.D.N.
Antropologia filosofica
del Novecento
Il seminario tenuto dal 4 all’8 maggio
1992 da Jan Sperna Weiland, presso
l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, ha preso in esame i Maestri dell’antropologia filosofica del Novecento, individuando il
pensiero di alcuni di quegli autori le
cui opere hanno spesso oltrepassato i
confini tra filosofia e letteratura, offrendo in maniera esplicita e pregnante le immagini dell’uomo che hanno
segnato il nostro secolo.
L’analisi di Jan Sperna Weiland è partita
da Nietzsche, filosofo che ha determinato
una svolta imprescindibile nel pensiero
contemporaneo, proponendo concetti come
“Morte di Dio” e “Volontà di potenza” che
hanno rovesciato l’immagine del pensiero
classico, segnalando una condizione teori-
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ca ed esistenziale che reclama la trasmutazione dei valori e l’immanenza del corpo
vivente, privato di ogni trascendenza. I
principi della morale e della fede vacillano
di fronte alla “Volontà di potenza”, forza
intensiva, impersonale, dionisiaca che toglie ogni centralità alla ragione fondata
nella morale, spingendo l’uomo verso il
proprio destino, che è il gioco “gaio” ed
affermativo della vita, in cui l’esistenza
non si dà mai in modo definitivo secondo
una propria razionalità, ma è travolta tragicamente dalla potenza irriconducibile del
patico e dell’alogico.
Anche Jaspers, ha fatto notare Sperna Weiland, è stato sicuramente suggestionato
dalla presenza di Nietzsche; anche per lui
l’esistenza non si dà mai in modo definitivo: è esistenza possibile. L’esperienza dell’insufficienza, che ne sta alla base, determina quello slancio dell’uomo verso l’opacità di una vita intangibile, altra, che si
annuncia nella realtà senza poter essere
esplicata. Nell’esistenza siamo esposti al
naufragio per il fatto di fallire ogni compiutezza, e nello stesso tempo siamo chiamati ad una trascendenza che si annuncia
proprio in questa insufficienza della ragione di rendere l’esistenza oggetto di una
ricerca scientifica.
Molto vicine alle tematiche di Jaspers sono
le riflessioni di Marcel, per il quale l’uomo
è esistenza possibile, e in questo mondo del
possibile può perdersi o agire creativamente. Sebbene sia in questo esclusa l’esperienza ineluttabile del naufragio indicata
da Jaspers, anche per Marcel può tuttavia
esserci una risposta scientifica per la ricerca filosofica sull’esistenza. La filosofia si
origina dal rapporto con l’uomo come essere concreto e storico. Marcel si richiama
qui al concetto nietzscheano di “Morte di
Dio”: l’uomo contemporaneo appartiene
ad un mondo infranto dall’assenza dei valori, in cui l’avere ha sostituito l’essere, e
un pensiero calcolante ha disperso le tracce
della riflessione autentica. Tuttavia l’esigenza insopprimibile di trascendenza presente nell’uomo continua a spingere il pensiero verso una riflessione sull’essere dimenticato.
Per Sartre invece, fa notare Sperna Weiland, non c’è una interiorità misteriosa opposta all’esteriorità, non c’è dualismo di
Essere e apparire. L’Essere è l’essere degli
enti; pertanto non c’è un essere in sé, ma
l’essere per sé della libertà umana. La libertà si muove all’interno della necessità di
situazioni date, entro le quali si agisce
mediante scelte responsabili e la capacità
di negare ogni decisione è negazione. La
libertà umana presuppone l’esistenza di
soggetti liberi; l’incontro con altri soggetti
permette l’integrazione dell’essere in sé
nell’essere per sé, il passaggio dalla trascendenza al mondo reale storico. La domanda che accompagna Sartre riguarda
allora il come vivere umanamente dopo la
“Morte di Dio”.
Anche Camus è estremamente vicino a
queste problematiche, riconoscendo nel-
l’assurdo l’elemento fondamentale della
mancanza di senso e di scopo della vita. Ma
l’esperienza dell’assurdità non lo porta ad
un nichilismo radicale di negazione assoluta; per Camus l’esistenza è affrontare la
vita e la morte senza illusioni, ma con forza
e perseveranza. L’uomo assurdo è l’uomo
in rivolta che afferma la vita e la gioia
elementare della vita stessa. A.C.
Pensiero spagnolo
contemporaneo
Nella sede dell’Istituto Italiano per gli
studi Filosofici di Napoli si è svolto dal
16 al 20 Dicembre un ciclo di seminari
dal titolo: Pensamiento Español contemporaneo, a cui hanno partecipato,
in un proficuo confronto di idee, studiosi italiani e spagnoli, tra cui R. Bodei, F. Jarauta, M. Cacciari, F. Savater,
G. Marramao, J. I. Linazasoro, prendendo in considerazione diverse forme di sapere: Filosofia, Architettura,
Storia dell’Arte e Pittura.
Riferendosi all’opera di A. Castro, Francisco Jarauta ha sottolineato come vi sia una
difficoltà intrinseca, dal punto di vista filosofico, ad analizzare la situazione storica
del pensiero spagnolo. Per definire le componenti strutturali della cultura spagnola,
Castro individua come momento essenziale la fine del sec. XV, dove è possibile
identificare quella triade di “forze simmetriche” della cultura araba, ebraica e cristiana, che sta alla radice del pensiero spagnolo contemporaneo. Il processo storico
della cultura del XV sec. mette in evidenza
come per la Spagna il modello imperiale
non abbia permesso di creare uno sviluppo
culturale. Come ha osservato Jarauta, l’unica risposta del progetto culturale spagnolo
a questa situazione si riassume nell’affermazione di Castro: «la cultura è dare forma
all’esperienza». In tal senso Castro mostra
come nell’esperienza “mistica” spagnola il
processo di omologazione della verità si
esprima come vissuto culturale e sia da
analizzare come sintesi di contenuti politici e morali. La non univocità del modello
culturale mistico è dunque da ascrivere a
quel “discorso sul mondo”, che attraverso
la scomposizione del tempo dell’esperienza, ne distrugge la rappresentazione unidimensionale e unidirezionale.
Sviluppando le osservazioni di Castro sulla
“verità degli estremi” della cultura spagnola, Jarauta individua nel rapporto dottrinamodello culturale la rottura nei confronti
del modello occidentale. La mistica è dunque nell’analisi di Castro, ma anche in
quella di Zambrano, il punto di intersezione dove la soggettività si proietta nel più
complesso dell’organizzazione culturale,
così fortemente vissuto nell’esperienza
spagnola.
In tale direzione, ha sottolineato Jarauta, si
muove l’analisi di Ortega Y Gasset, che sul
confine del processo di analisi del mistico
rintraccia gli elementi originari dell’impianto letterario del Chisciotte di Cervantes, che gli studi di Castro, Zambrano e
dello stesso Ortega Y Gasset hanno problematizzato nel senso di una teoria generale
dell’esperienza, a cui si connette anche un
complesso e articolato processo di semantizzazione, così fortemente individuato da
autori come Borges e Barthes.
L’analisi del testo del Chisciotte rivela quel
gioco linguistico che, rompendo con i modelli univoci della “rappresentazione del
testo”, mette in evidenza lo spessore innovativo della creazione letteraria spagnola.
Il Chisciotte si rivela modello letterario
dell’immaginario, modello che nell’opera
di Borges si problematizza come progettoorganizzazione della biblioteca del Chisciotte. La follia del Chisciotte, ha proseguito Jarauta, è infatti il tentativo di un
nuovo modello del discorso, che facendo a
meno di forme progressive della razionalità, sottolinea la drammaticità e la inverosimile possibilità, insita nell’esperienza dell’uomo, di un nuovo progetto storico-critico. Abitare l’immaginario, introdursi alla
follia, è immagine letteraria, visione problematica del mondo. Nella saggia follia
del Chisciotte è il segno che irrompe tra il
forzato e univoco significato del piano della letteratura, e quello della scrittura. In tal
senso possiamo dire che Cervantes problematizza il processo descrittivo-razionale
dell’espressione culturale in rapporto al
processo interpretativo di una teoria generale dell’esperienza soggettiva.
Il dibattito è proseguito con l’intervento di
Giacomo Marramao, che ha sottolineato
come nella cultura spagnola, e in quella
italiana, fossero rintracciabili, attraverso il
processo storico della Controriforma, quei
modelli di riferimento che si rintracciano
nei diversi esiti culturali. In Spagna la Controriforma è stata violenta dal punto di vista
etico-politico, fino a produrre una scissione opposta e simmetrica alla scissione prodottasi con la riforma protestante. E’ qui
che si può rintracciare quel carattere tragico della filosofia spagnola che si discosta
dal modello della filosofia italiana. In Italia
la Controriforma si sviluppa infatti non nel
senso tragico di quella spagnola, ma in
quello di un modello di mediazione.
Marramao ha rilevato come tuttavia siano
determinanti gli elementi che accomunano
la filosofia italiana e quella spagnola, intendendo la filosofia come quella prospettiva poliedrica e molteplice i cui esiti sono
rintracciabili nei diversi ambiti del sapere.
Riprendendo il tema della modernità spagnola, Marramao ha ricordato come in
Maimonide, il più importante filosofo ebreo
del medioevo, sia presente il tema della
“differenza ontologica”. E’ soprattutto in
questi filosofi, e più precisamente in questi
teologi, che è possibile ripercorrere, sulla
base del tema centrale della differenza ontologica, quell’aspetto teorico che più tardi
Heidegger porrà al centro della propria
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Joseph Fuchs, L'Eden (1961), Musée des Arts Décoratifs di Parigi
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riflessione. Heidegger infatti, secondo
Marramao, delinea il continuum della differenza ontologica, nella cesura tra Essere
e Ente, “scolasticamente” intesa.
Marramao si è infine ricollegato alla problematizzazione del labile confine tra Realtà e Immaginario, osservando come la
dimensione letteraria e filosofica tra realtà
e immaginario della cultura spagnola sia
ricollegabile al tema di un universo visto
come complesso segnico, ciò che Jarauta
aveva definito nella cultura spagnola come
processo di semantizzazione. R.L.
Le vie dell’Estetica
Organizzato da Luisa Bonesio, docente di Estetica presso il Dipartimento di
Filosofia dell’Università di Pavia, in
collaborazione con il Collegio universitario Ghislieri, il terzo ciclo di conferenze seminariali: Le Vie dell’Estetica, intendeva proporre una considerazione, più che dell’Estetica come
disciplina settoriale del filosofico, delle sue frontiere, dei confini in cui essa
si apre e si confronta con altre tradizioni di pensiero, oppure, all’interno
della configurazione occidentale dei
saperi filosofici, una considerazione di
quelle posizioni che riconducono le
tematiche estetiche alla speculazione
filosofico-teoretica tout court. Insomma, la proposta di quest’anno era quella di osservare lo sfumare dei contorni, peraltro assai incerti, di questo ambito del filosofico, anche per sottrarre
le sue tematiche alla configurazione
talvolta un poco riduttiva di un’Estetica interpretata come provincia della
filosofia o campo di incontro-scontro
delle scienze umane.
L’intervento di apertura è stato quello di
Caterina Resta, con una relazione su “Heidegger e l’estetica: per un pensiero dell’inapparente” (12 febbraio 1992). Secondo Heidegger l’Estetica, avendo assunto il
modello cartesiano, pone anche la creazione artistica come “oggetto” prodotto da un
“soggetto”, anche se il “modo” di questo
conoscere è colto non attraverso il cogito,
ma attraverso un Erlebnis, un’esperienza
vissuta. Ma poiché entrambi i modi della
conoscenza si fondano sulla separazione
tra soggetto e oggetto, in realtà sono profondamente solidali e destinano l’Estetica
- come in modo esemplare accade con
Hegel - a rappresentare solo l’altra faccia,
e non una vera alternativa della metafisica
occidentale, riconfermando l’inaugurale
separazione tra sensibile e intelligibile.
Dopo aver seguito le tappe più importanti
della decostruzione heideggeriana, dall’esperienza greca della bellezza, alla svolta decisiva di Platone, fino a Hegel, Resta
ha tentato di indicare come l’insistenza
dell’ultimo Heidegger sui temi dell’En-
tzug, del sottrarsi, ritrarsi, nascondersi dell’essere, del suo necessario venir meno
come “movimento” essenziale di apertura,
forse preludono a un’esperienza della bellezza rimasta sconosciuta ai Greci: per loro
la bellezza consisteva nell’ ”apparire” dell’ente; a noi non rimane che quella, non
meno essenziale, del suo tornare nell’ ”inapparente”.
A sua volta Giorgio Franck, nella sua
conferenza: “La crisi della distanza: un
problema dell’estetica moderna” (19 marzo 1992), ha gettato uno sguardo critico su
uno dei tratti caratterizzanti dell’esperienza estetica della modernità, la perdita di
quella distanza che costituiva la regolamentazione simbolica di accesso all’icona,
sia in quanto, propriamente, parte di un
rituale sacro, sia in quanto oggetto dotato di
un valore artistico. A partire dalla classica
analisi benjaminiana della caduta dell’aura, Franck ha mostrato come, assieme alla
distanza, vada perduta quella funzione di
soglia e articolazione di spazi diversi, che
l’arte assicurava in tempi passati: luogo
esemplare in cui osservare questo fenomeno è l’opera di Baudelaire, in cui sia le
tecniche della scrittura (l’allegoria), che gli
espedienti di ampliamento della coscienza
(le droghe), concorrono all’ottenimento di
un unico piano comune a io e oggetti. Si
tratta della perdita della scrittura come “passaggio”, funzione di soglia, che anche
Benjamin, nel Passagenwerk, ha teorizzato e praticato come dispositivo per costruire la leggibilità del destino, pur mantenendo disgiunti nella loro individualità, e al
tempo stesso riunibili in immagini dialettiche, fenomeni eterogenei.
Il tema dell’apertura dell’Estetica al confronto con tradizioni altre da quella occidentale, è stato al centro delle conferenze di
Giangiorgio Pasqualotto e di Grazia
Marchianò. Marchianò, intervenendo su
“Tradizione estetica in una prospettiva storica e teorica comparativa” (26 marzo 1992),
ha proposto una riflessione sul significato
della tradizione, che, in quanto trasmissione, paradosis, in sanscrito equivale al termine Tao (via, tracciato). La tradizione non
è solo il tramandato da tempi passati, quel
patrimonio di conoscenze e di stili cognitivi posseduto da ogni civiltà nelle forme che
le sono proprie, ma può essere anche una
tradizione vivente, una “via” attuale del
sapere estetico. E’ chiaro come questa impostazione della problematica estetica guardi molto al di là dei confini modernamente
assegnati in Occidente a questa disciplina,
per ritornare piuttosto alla crucialità inevadibile di alcune fondamentali questioni:
quella dell’identità dell’anima, che diventa
identità della mente, e del ruolo dell’immaginazione, e quella della “meraviglia”, dello stupore di fronte allo schiudersi dell’ignoto, che dalle espressioni religiose
migra alla filosofia.
A sua volta Pasqualotto, nel suo intervento,
“L’estetica del Vuoto” (2 aprile 1992), ha
tracciato la mappa del significato del Vuoto nelle tradizioni estetiche, filosofiche e
artistiche dell’Estremo Oriente, per poi
passare a una fenomenologia di un’esperienza globale del Vuoto, quale quella che
si dà per esempio in una casa da thè, ove
tutto converge verso il conferimento di
sacralità a un’esperienza sensibile, e la
qualità sacra attribuita ai gesti e alla purificazione dalle abitudini diviene una vera e
propria askesis dell’attenzione. Un medesimo risultato analitico, ha osservato Pasqualotto, lo si può raggiungere anche per
esempio attraverso la lettura di uno dei
celebri haiku di Basho: sorprendente, forse, per l’estetologo occidentale, è il constatare che questa forma poetica non ha soggetto - né il poeta né un sentimento che vi
verrebbe espresso -, ma è la semplice registrazione di un evento, senza che questo
voglia dire isolare un evento protagonista,
e quindi di nuovo un “oggetto”.
L’intervento conclusivo di Luisa Bonesio,
“La terra celeste” (7 aprile 1992), pur sviluppando un proprio percorso, riprendeva
l’orizzonte comune alle altre conferenze,
sia nell’interpretazione di un’estetica “forte” e “teoretica”, e dunque lontana da posizioni ermeneutizzanti ed “estetizzanti”, sia
nell’esigenza di volgersi ad altre forme e
altre provenienze del pensiero. Riprendendo fin nel titolo un tema di Henry Corbin, e
coniugandolo con le riflessioni di Nietzsche, Hölderlin e Heidegger, la riflessione
attorno alla “terra celeste” vuol essere la
ricerca di nuove possibili Heimat (patrie)
del pensiero in un’epoca di tramonto della
Terra: pensare, nella profonda necessità
che li collega, il tema della terra, che si
occulta, distrutta dall’impero della tecnica,
e quello del compito del pensiero di fronte
al deserto del nichilismo, vuol dire anche
mettere in questione le forme e le strategie
della filosofia, così come la tradizione prevalente dell’Occidente le identifica, e guardare verso il pensiero poetante e l’immaginazione attiva di Sohravardi e degli altri
filosofi dell’immaginale, una dimensione
per lo più rimossa o incompresa. Ma per
compiere questo passo, occorre sottrarsi
alla comoda immagine di un’estetica “debole”, disciplina destinata a oggetti del
gusto e del soggettivismo, per reinterpretarla come il movimento originario del
pensiero stesso, come, appunto, quello thaumazein, o quel sublime, in cui sorge il
domandare essenziale.
Il particolare successo di questa edizione
dell’iniziativa, e l’importante riscontro didattico, ne fa prevedere la continuazione
anche per l’anno prossimo, presumibilmente con l’adozione di una formula monotematica, articolata in quattro o cinque conferenze seminariali. Ancora una volta, il
proposito è quello di invitare gli studiosi
che abbiano contribuito in modo significativo e originale al campo di studi proposto
che, possiamo anticiparlo, concernerà con
tutta probabilità il pensiero di Walter Benjamin. (Per informazioni sul calendario e il
programma definitivo, rivolgersi alla sezione filosofico-teorica del Dipartimento
di Filosofia dell’Università di Pavia, a par-
CONVEGNI E SEMINARI
tire da novembre: tel. 0382/386279, o 0382/
386283; oppure alla sede del Collegio Ghislieri, 0382/22044). L.B.
La filosofia
e la sfida della complessità
Nei giorni 23-26 aprile 1992, nell’Aula
Magna dell’Università degli Studi di
Roma “La Sapienza”, si è tenuto il
XXXI Congresso Nazionale della Società Filosofica Italiana sul tema: La
Filosofia e la sfida della
complessità, in occasione del quale
si sono svolte anche le elezioni per il
rinnovo del Consiglio Direttivo e della
carica di Presidente della S.F.I. per il
triennio 1992-1995.
La complessità caratterizza numerosi aspetti
della cultura e della vita contemporanee,
interessando ambiti conoscitivi e discipline assai diversificati tra loro e imponendo
quasi una sorta di sfida alla riflessione
filosofica contemporanea. Alla sfida lanciata alla filosofia dalla questione della
complessità, hanno cercato di dare risposta
i numerosi e diversificati interventi al Convegno sul tema, organizzato dalla Società
Filosofica Italiana, che ha messo in evidenza non solo l’ampia estensione semanticoconcettuale del termine “complessità”, ma
anche la pluralità delle metodologie di approccio e delle prospettive teoretiche e
speculative in grado di interrogarsi adeguatamente sull’argomento.
Armando Rigobello, presidente uscente
della S.F.I., nella sua relazione dal titolo:
“Differenza e ulteriorità”, ha rilevato la
connessione del tema della complessità
soprattutto con le nozioni di differenza e
ulteriorità, proponendosi di configurare un
modello di pensiero in grado di interpretare
il nostro fondamentale in-der-Welt-sein, o
meglio il nostro sitzen in Leben, attraverso
l’analisi di quelle strutture portanti che
caratterizzano la condizione umana e che
Rigobello definisce di “differenza interiore” e “autenticità nella differenza”: sotto
forma di una estraneità interiore la differenza caratterizza la nostra autenticità, ci
costituisce più intimamente, eppure ci supera ed è la condizione essenziale per comprendere la complessità sia del sé, sia del
reale e per riscattarla.
Muovendosi in un ambito di indagine di
tipo storiografico, Franco Bianco ha invece affrontato la questione della complessità
dell’agire, con particolare attenzione alle
suggestioni diltheyane circa la definizione
della natura della comprensione del mondo
storico in relazione al soggetto umano e, in
costante riferimento soprattutto all’ermeneutica di Ricouer, si è soffermato sul rapporto tra il senso dell’agire e la problematica dell’interpretazione.
Sulla complessità come paradigma prevalentemente epistemologico e come cifra
essenziale del pensiero scientifico contem-
poraneo, si è concentrata la relazione di
Evandro Agazzi, il quale, di fronte al
rapido mutare dei modelli scientifici odierni, alle progressive innovazioni tecnologiche, alla complessificazione generalizzata
della realtà e ai vorticosi mutamenti antropologici che ne derivano, ha insistito sulla
necessità del riferimento costante a valori
che si pongano oltre la mera fattualità ed
efficienza tecnologica e alle questioni di
senso da parte della filosofia, che in questa
situazione di problematico disorientamento si trova chiamata a svolgere il suo ruolo
fondamentale di controllo e di orientamento. Problematiche morali e orizzonti di senso connessi al tema della complessità, affrontato dal punto di vista di una riflessione
teologica, sono stati al centro della relazione di Giovanni Ferretti, che ha riflettuto
sulla complessa natura del metodo teologico. Dal punto di vista della complessità, la
riflessione filosofica sul fenomeno religioso prevede dapprima l’apporto fondamentale del metodo fenomenologico, la cui
descrizione eidetica deve però fare successivamente spazio ad una comprensione ermeneutica che ricerca i suoi criteri fondamentali in una ontologia di tipo esistenziale. Graduale articolazione metodologica e
ampia convergenza di approcci filosofici
caratterizzano, dunque, il metodo teologico e la riflessione sul fatto religioso.
Come è ormai consuetudine nei convegni
promossi dalla Società Filosofica Italiana,
una parte degli incontri viene riservata alle
questioni relative alla didattica e all’insegnamento della filosofia e, a questo proposito, Enrico Berti e Luciana Vigone si
sono soffermati soprattutto sui nuovi programmi di filosofia per la scuola secondaria superiore e hanno esposto chiaramente
i criteri della riforma legislativa in materia,
la quale, tra le altre cose, prevede com’è
noto, il progetto di estensione dell’insegnamento della filosofia oltre i tradizionali
ordini di scuole superiori di secondo grado.
La sfida lanciata dal tema della complessità
è stata poi ripresa da Sergio Givone, secondo il quale essa può essere seriamente
raccolta e affrontata da una filosofia ermeneutica, o da un “pensiero tragico” che,
restituendo la riflessione filosofica, ontologicamente fondata, alla sua originaria
solidarietà col mito e la religione, scopra la
tragica e complessa natura della verità, la
quale in tal modo ricusa ogni immagine
sistematica e unitaria del mondo a favore di
una visione aperta all’esercizio ermeneutico che tenga insieme libertà e interpretazione. Al “tragico” statuto della complessità tratteggiato da Givone si affianca la
drammatica complessità dell’esistenza
umana sottolineata dalla relazione di Sergio Moravia, per il quale comunque essa
può venir positivamente riscattata in direzione di una lucida consapevolezza e della
irripetibile singolarità dell’esistenza e della sua possibile apertura verso la relazione.
Moravia ha cioè insistito sulla complessa
identità dell’Io, sul suo statuto esistenziale,
caratterizzato da una unità di “apparati
significanti” in una molteplicità di “moduli
esistenziali”.
Il Convegno si è concluso con la relazione
di Giuseppe Cantillo, che nell’ambito di
una approfondita analisi sul rapporto tra
storiografia filosofica e pluralità metodologiche, con riferimenti a Rorty, Rickert e
Jaspers, ha avanzato una prospettiva storiografica che abbia nella organica relazione di storia della filosofia ed esperienza
esistenziale, insita in ogni sistema filosofico, il suo significato essenziale. Alla relazione di Cantillo ha infine fatto seguito
quella di Enrico Berti, che riflettendo sulla complessità della ragione, in un colloquio a distanza con le immagini di ragione
disegnate dall’ermeneutica gadameriana e
dal pragmatismo trascendentale di Apel, ha
in qualche maniera riproposto l’attualità
del pensiero classico e del suo modello di
ragione, ripensato e centrato sul rigoroso
esercizio della confutazione, che nella complessità del variare storico trova la forza
dell’affermazione metafisica. G.P.
Giornate kelseniane
Organizzata da Letizia Gianformaggio
del Dipartimento di Studi Politici e di
Storia Giuridico-politica dell’Università di Siena, il giorno 3 maggio 1992 si
è svolta la “IV Giornata kelseniana”,
un appuntamento annuale ormai tradizionale per gli studiosi europei di
Hans Kelsen. Quest’anno il seminario
ha avuto per tema: Hans Kelsen on
International Law. La discussione
dei partecipanti è ruotata intorno alla
relazione di François Rigaux, emerito
dell’Università Cattolica di Lovanio,
che ha sintetizzato nelle sue linee essenziali la vasta portata della riflessione internazionalistica di Kelsen.
Le “giornate kelseniane” sin qui svolte
hanno fatto il punto sulle più recenti acquisizioni nella letteratura critica in merito ad
alcuni degli innumerevoli spunti offerti
dall’imponente produzione di filosofia del
diritto di Hans Kelsen. Nella “I Giornata”
del 1989 venne discussa la periodizzazione
delle tappe evolutive della filosofia del
filosofo viennese, prendendo spunto dalla
relazione di uno dei massimi esperti mondiali di “kelsenologia”, Stanley L. Paulson, curatore tra l’altro di una recente edizione critica in lingua originale dei testi più
importanti di Kelsen. Gli esiti del dibattito
sono stati poi raccolti nel volume a cura di
Letizia Gianformaggio, Hans Kelsen’s
Legal Theory. A Diachronic Point of View
(La teoria del diritto di Hans Kelsen. Un
punto di vista diacronico, Giappichelli,
Torino 1990). Anche dalla “II Giornata”
del 1990 si è ricavato un volume per gli
stessi tipi, Sistemi normativi statici e dinamici. Analisi di una tipologia kelseniana,
mentre sono in corso di pubblicazione gli
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atti della “III Giornata” dedicati al tema:
Cognition and Interpretation of Law (Conoscenza e interpretazione della legge) e
incentrati su una relazione neo-empirista di
Eugenio Bulygin.
Nel corso della “IV Giornata” gli aspetti
politici del diritto internazionale sono stati
al centro dell’attenzione dei partecipanti:
la recente guerra del Golfo ha riproposto il
problema della natura della tradizionale
dottrina del bellum justum. Mentre giuristi
come François Rigaux e François Leben
si soffermavano sulle sottili distinzioni della
consuetudine internazionale, un grande filosofo della politica come Felix Oppenheim insisteva sul fatto che i governi non si
sono mai preoccupati della “giustizia” di
una guerra che intendevano muovere contro una nazione rivale. Altri ancora, tra i
quali Luigi Ferrajoli, mettevano in discussione il fatto che la guerra possa essere
considerata una sanzione, quando il suo
carattere principale è quello dell’imposizione di una “ragion fattasi”.
La discussione ha poi evocato i problemi
della distinzione tra la sanzione e la pena,
dell’attribuzione di responsabilità nel diritto internazionale, nel rapporto tra ordinamenti primitivi e impiego della guerra,
della natura giuridica e/o morale del diritto
internazionale. Va segnalato che l’usuale
procedimento scientifico di Kelsen, volto
alla rigorosa separazione tra il dato conoscitivo-fattuale e il dato prescrittivo-valutativo, registra in campo internazionale un
apparente indebolimento. Kelsen infatti
giustificò senza alcuna difficoltà le norme
retroattive di cui ci si avvalse nel Processo
di Norimberga contro i criminali nazisti.
Le norme retroattive sono di fatto vietate
dagli ordinamenti giuridici nazionali; tuttavia Kelsen osservò che, in campo internazionale, fatti “moralmente eccezionali”
autorizzano l’emanazione di tali norme,
perché gli autori di questa specie di fatti
devono essere considerati «moralmente
responsabili da un punto di vista giuridico», anche se non esiste una norma di
diritto positivo che ne preveda la punizione. Essi meritano di essere puniti e quindi
deve essere formulata una norma che preveda la loro punizione (si veda Hans Kelsen, La pace attraverso il diritto, trad. it. di
Luigi Ciaurro, Giappichelli, Torino 1990).
L.P.
Dieter Henrich a Monaco
Con una giornata di studio a cui hanno
partecipato otto dei suoi ex-assistenti, oggi docenti e studiosi di rilievo, e
che ha visto anche la presenza di HansGeorg Gadamer, suo maestro a Heidelberg, l’Università di Monaco di Baviera ha festeggiato i sessantacinque
anni del filosofo Dieter Henrich.
Konrad Cramer (Göttingen) ha preso in
considerazione uno scritto di Dieter Henrich, risalente al 1960, in cui questi discuteva il problema della dimostrazione ontologica dell’esistenza di Dio, cioè quel tentativo filosofico di derivare l’esistenza di
Dio dal concetto di Dio in quanto essere
supremo e perfetto. Riferendosi alla nota
critica kantiana - che mette in luce l’insufficienza logica di tale tentativo di dimostrazione - Henrich aveva mostrato come l’argomentazione kantiana potesse essere applicata al concetto di un essere “superiore”,
ma non a quello dell’ens necessarium postulato da Cartesio. Senza oltrepassare il
livello di un’argomentazione meramente
logico-formale, Cramer ha sostenuto la tesi
che l’argomentazione di Henrich non toccherebbe l’esistenza di Dio come ente perfetto. Sul piano di un’argomentazione logico-formale si è mosso anche l’intervento di
Friedrich Fulda (Heidelberg), dedicato al
“sistema del diritto privato nella Metafisica dei costumi di Kant”.
L’intervento di Jens Kulenkampff (Duisburg), con la sua interpretazione del sentimento di sé in David Hume, ha sollevato le
critiche di Hans-Georg Gadamer, secondo il quale Kulenkampff avrebbe isolato i
concetti di “orgoglio” e di “rappresentazione di sé”, approdando a un’errata interpretazione del pensiero di Hume. Più legato
all’attualità è stato invece l’intervento di
Manfred Frank (Tübingen), dedicato al
tema “razionalità e coscienza di sé”, ed in
particolare alla questione di come ed in che
misura ciò che è immediatamente chiaro
alla coscienza del singolo possa anche diventare oggetto di verifica scientifica. Frank
ha sottolineato il fatto che le recenti discussioni nell’ambito della logica e dell’analisi
del linguaggio hanno mostrato che le certezze immediate non sono irrilevanti solo
per il fatto di non poter venire direttamente
tradotte in proposizioni obiettivabili scientificamente. Ciò vale in particolare per i
moti dell’animo. Affermando così l’esistenza di un ambito pre-linguistico dell’esperienza, Frank ha sostenuto una preminenza della coscienza soggettiva rispetto al sapere dimostrabile ed un’irriducibilità del mondo a “proposizioni”.
Al complesso ed antico tema “causalità e
libertà” è stato dedicato l’intervento di
Lorenz Krüger (Göttingen), che ha posto
la questione della compatibilità tra la connessione di causa ed effetto, entro cui pensiamo lo svolgersi degli eventi, e la libertà
del volere umano. Nel tentativo di rispondere a questa domanda, Krüger ha indicato
come le difficoltà risiedano nel concetto
stesso di causa e nella sua inadeguatezza a
spiegare l’esperienza: gli eventi non sarebbero da pensare come cause ed effetti concatenati l’uno all’altro come perle in una
collana, ma nel loro sviluppo si darebbero
continuamente delle “ramificazioni” che
giustificano e rendono possibile la libertà
umana. Ancora nell’ambito della filosofia
pratica, Rüdiger Bittner (Bielefeld) si è
chiesto perché e in che modo la ragione ci
obblighi ad agire in un certo modo in vista
di un determinato scopo o, in altri termini,
perché, in assenza di una legge morale
valida universalmente, il nostro comportamento “debba” seguire dei percorsi obbligati. Tale connessione “obbligata” tra azione e scopo non sarebbe da intendersi, ha
osservato Bittner, come il comandamento
di una ragione obiettiva, ma solo come
derivata dall’esperienza.
Al tema del “sentire” (Spüren), inteso come
l’instaurazione di un rapporto “sensibile”
del soggetto con se stesso, è stato dedicato
infine l’intervento di Ulrich Pothast (Hannover), che ha riecheggiato alcune posizioni di Edmund Husserl, Arnold Gehlen e
Martin Heidegger, e che per questo è stato
accusato, nella discussione seguita al suo
intervento, di mancanza di originalità.
La giornata di studio è stata conclusa dallo
stesso Henrich, che ha sostituito il previsto
intervento di Peter Bieri (Marburg) con un
contributo sulla funzione degli “intellettuali nella Repubblica federale e dopo la
divisione della Germania”. Indipendentemente dai rapidi sviluppi dell’attualità quotidiana, gli intellettuali avrebbero il compito, secondo Henrich, di proporre analisi più
approfondite e prospettive di lunga durata.
Per risolvere i nuovi e difficili problemi
connessi alla riunificazione della Germania, e per non perdere di fronte ad essi una
visione d’insieme, non si ha solo bisogno,
ha osservato Henrich, «del lavoro di politici lungimiranti, ma anche della distanza e
dell’impegno degli intellettuali». M.M.
Diritto e stato in Hegel
Organizzato da Wolfgang Sünkel dal
30 aprile al 2 maggio 1992 a Norimberga - città natale di Wilhem Raimund
Beyer, fondatore della Internationale Hegel-Gesellschaft, deceduto l’anno scorso -, il XIX Congresso
internazionale hegeliano, dal titolo:
Diritto e Stato, ha posto al centro
dei dibattiti la Rechtsphilosophie,
con particolare attenzione allo sviluppo dei concetti di “diritto” e “stato”
dall’epoca di Hegel fino ai giorni nostri. Dal 1961, l’anno della sua fondazione, la Internazionale Hegel-Gesellschaft ha organizzato diciannove congressi internazionali, caratterizzati
tutti da una imponente partecipazione di studiosi hegeliani provenienti
dalle più diverse aree culturali dell’Europa occidentale e orientale, delle due
Americhe, dell’Africa e dell’Asia.
La storia della ricezione del pensiero di
Hegel nell’Ottocento e nel Novecento si
può dire sia la storia di un Giano bifronte,
la storia di un filosofo da cui hanno attinto
pensatori appartenenti alle più diverse correnti filosofiche, storiche, sociologiche,
giuridiche, poetiche, culturali in senso lato,
e last but not least, politiche. Le accurate
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ricerche di W. R. Beyer, K. Löwith, H.
Kiesewetter e A. Negri ne danno puntuale
testimonianza. Pertanto il lettore non si
stupirà di apprendere che, al giorno d’oggi,
sono attivi ben tre diversi sodalizi hegeliani, che si distinguono l’uno dall’altro a
seconda della collocazione geografica e
dell’ispirazione storico-politica, senza dimenticarne la strategia editoriale. Con baricentro tedesco-occidentale, legata alle figure di H. G. Gadamer e O. Pöggeler, si
configura la Internationale Hegel-Vereinigung, con sede a Stoccarda, i cui membri
trovano espressione in una propria collana
presso l’editore Klett-Cotta di Stoccarda e
negli assai prestigiosi Hegel-Studien, per i
tipi dell’editore Bouvier di Bonn. Con baricentro tedesco-orientale, legata agli studiosi di quella che una volta era la Deutsche
Akademie der Wissenschaften di Berlino,
si è invece costituita la Societas der Freunde der dialektischen Philosophie, che in
questo momento ha sede presso l’Università di Urbino - il suo presidente è D. Losurdo -, che si esprime nella rivista “Dialektik”, pubblicata per i tipi dell’editore Meiner di Amburgo, e i cui membri si sono
impegnati nell’imponente progetto - diretto da H. J. Sandkühler - della Europäische Enzyklopädie zur Philosophie und
Wissenschaftstheorie (Meiner, Amburgo
1990). Con vocazione del tutto al di fuori
dei blocchi occidentale e orientale, slegata
da qualunque istituzione e dunque tanto più
gradita agli studiosi che si dicono scettici
sia nei confronti dell’ontoteologia che del
Diamat, si configura infine la Internationale Hegel-Gesellschaft, con sede a Rotterdam e Berlino - presidenti sono H. Kimmerle e W. Lefèvre - che dà vita alla rivista
Hegel-Jahrbuch, pubblicata presso il Germinal-Verlag di Bochum.
Al recente Convegno di Norimberga, il
rapporto tra libertà e istituzioni è stato
centrale nelle relazioni di S. Avineri, H.
Ottmann e R. Zippelius. Dell’interpretazione del diritto in termini di filosofia della
storia si sono invece occupati il celebre
giurista W. Maihofer e i filosofi K. Bal, H.
Givsan e W. Jäschke.
Un posto a parte ha meritato l’opera di W.
R. Bayer, che con la sua precisa ricostruzione storica, dal titolo: Zwischen Phänomenologie und Logik. Hegel als Redakteur
der Bamberger Zeitung (2˚ ed. 1974), apriva nuove direzioni agli studi su Hegel. Il
primato della dimensione storico-pragmatica nella concezione hegeliana del progresso della libertà, su cui ha sempre insistito Beyer, è stato messo in evidenza da E.
Kiss e da R. Geffgen, M. E. Koutlouka e
A. Köpke-Duttler. Sono stati, in particolare i due temi, cari a Beyer, della “costituzione sociale dello Stato” e la fondazione di
una “eticità sovrastatale”, a catalizzare l’interesse dei relatori.
Dal lavoro delle sezioni sono emersi quattro principali nuclei tematici. In primo luogo la considerazione logica del diritto, della quale si sono occupati F. Duque, A.
Arndt, T. Oisermann, K. Seelemann, M.
Siemek, M. Bykova, H. Pisarek. In secondo luogo lo studio delle fonti e della
immediata ricezione di Hegel, oggetto delle relazioni di W. Neuser, P. Timmermann, C. E. Bärsch, F. Hespe, N. F.
Chiang, M. Potepa. In terzo luogo è stato
preso in considerazione il problema classico del rapporto teoria-prassi, non solo in
Hegel, ma anche nella filosofia contemporanea. Il tema è stato affrontato da W.
Schmidt-Kowarzik, M. Szívós, E. Csikós,
P. Prechtel, H. Kimmerle, D. O.
Dahlstrom e Z. Kuderowicz. Dell’interpretazione del diritto nell’ambito della filosofia della storia, infine, si sono occupati
T. Rockmore, H. C. Lucas, B. Despot, K.
Vieweg. A tal riguardo va segnalata la
discussione, riproposta da R. Pozzo, sull’ipotesi di Karl Heinz Ilting concernente
la possibile confusione in Hegel tra Geltungsgrund ed Entstehungsgrund, tra il piano
logico e quello storico nella fondazione del
diritto.
Non resta che attendere gli atti - circa 150
relazioni - che usciranno nei volumi del
1992 e del 1993 dello Hegel-Jahrbuch.
R.P.
Comunità e società
E’ possibile sviluppare nella società
attuale un nuovo senso della “comunità”? Quale significato assume questo concetto in rapporto ad un auspicabile pluralismo dei valori? Qual è nel
mondo contemporaneo il rapporto tra
individualismo e solidarietà, tra “diritti” e “beni”? Questi ed altri problemi
sono stati discussi in un convegno
tenutosi a Francoforte dal 28 al 30
maggio 1991 e organizzato dall’Accademia francofortese delle Arti e delle
Sienze sul tema:Comunità e giustizia. A confermare l’attuale interesse nel mondo culturale tedesco per
questi temi, viene la recente traduzione di alcuni testi importanti nella discussione sviluppatasi nell’ultimo decennio negli Stati Uniti sui concetti di
comunità e di giustizia: Spheren der
Gerechtigkeit (Sfere di giustizia,
Campus, Frankfurt a. M. 1992) di Michael Walzer e Die Idee des politischen Liberalismus (L’idea di
liberalismo politico, Suhrkamp,
Frankfurt a. M. 1992) di John Rawls.
La filosofia, ha osservato Jürgen Habermas nel corso del convegno francofortese,
si muove oggi su un terreno in cui ci si può
attendere il chiarimento di un problema
filosofico “dalla lettura dei giornali del
giorno dopo”. Questo riferimento della filosofia all’attualità politica, sociale e culturale è apparso quantomai evidente nel
convegno in questione. Tema centrale della discussione, a cui hanno partecipato studiosi tedeschi, europei e statunitensi, è sta-
ta quella tendenza dell’attuale filosofia statunitense della politica che con un’etichetta viene definita “comunitarismo” e che
trova il suo più celebre rappresentante in
Michael Walzer, conosciuto in Italia, oltre
che per la sua opera principale Sfere di
giustizia, anche per il saggio Esodo e rivoluzione, in cui lo studioso rintraccia nel
testo biblico dell’esodo l’idea utopica di
una “lunga marcia” di liberazione dalla
schiavitù, che funzionerebbe poi da modello dei vari movimenti progressisti, e in
particolare di quelli riformatori. Assieme a
John Rawls e alla sua teoria della giustizia,
a Robert Nozick e alla sua teoria liberale
dello “stato minimale” e al tentativo di
James Buchanan di determinare attraverso un calcolo razionale i “limiti della libertà, Walzer, con la sua opera sulle diverse
“sfere” in cui si articola il concetto di
giustizia, uscita in edizione originale nel
1983, è tra gli autori che hanno influenzato
in modo più decisivo la discussione statunitense sui problemi di filosofia della politica e della società. In Sfere di giustizia egli,
contrapponendosi alla concezione “contrattualistica” di Rawls, afferma che la giustizia può essere coniugata solo al plurale,
e fonda questa posizione sull’impossibilità
di misurare il “bene” sulla base di un unico
criterio. Questa impossibilità non è però,
secondo Walzer, qualcosa di negativo, di
fronte alla quale bisogna rassegnarsi, ma,
al contrario, un fatto positivo e liberatorio,
non essendo né desiderabile né auspicabile
la possibilità di stabilire un “bene” valido
universalmente. Così, mentre nella storia
del pensiero politico si è cercato di regola
di fondare la legittimità del potere politico
su un bene di tipo “superiore”, o comunque
appartenente ad una sfera diversa da quella
della politica, le riflessioni di Walzer sulla
possibilità di una società “giusta” si fondano su una teoria della molteplicità dei “beni”
e su una consapevolezza del condizionamento storico e sociale nella loro valutazione, e giungono così a distinguere il
“bene” politico dal “bene” che si realizza in
altre sfere (sicurezza, benessere, denaro,
funzioni sociali, tempo libero, educazione
e cultura, amore, religione, riconoscimento
sociale). Se questa argomentazione “aristotelica” circa la pluralità dei beni può
essere utilizzata in senso conservatore, per
proteggere l’economia da interventi del
potere politico, in Walzer essa assume una
valenza “progressiva” e “di sinistra”, in
quanto serve a far valere l’esigenza di una
separazione del potere politico da quello
economico.
Le posizioni di Walzer vengono spesso
classificate sotto il titolo di “comunitarismo”. Gli equivoci impliciti in tale etichetta sono stati però sottolineati, nel convegno
francofortese su “Comunità e società”, dal
filosofo canadese della “società civile”
Charles Taylor (Montreal), che ha invitato a rinunciare a questo concetto “che non
dice niente”. A parte gli equivoci derivanti
da un’utilizzazione acritica del termine, il
“comunitarismo” è stato recepito in Euro-
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pa come l’espressione di un pensiero che
tenta di contrapporre alla crescente diintegrazione della società la possibilità di sviluppare forme differenziate di comunità,
capaci di convivere all’interno di una stessa comunità sociale. Nella risposta a questo
problema sembrano essersi delineate, nella
riflessione statunitense, due grandi orientamenti: il primo, quello appunto rappresentato da Walzer, fa riferimento ad un
nuovo senso di antichi concetti, come quelli di comunità, morale, virtù; il secondo,
quello “contrattualistico” o “liberale” di
Rawls, giura sulla possibilità di sviluppare
nuovi principi universali nell’àmbito dei
diritti umani e nuove teorie della democrazia. Per entrambi gli orientamenti costituisce un problema essenziale il significato e
il valore che va conferito al pluralismo di
comportamenti e di etiche che sembra tipico delle società occidentali contemporanee. Nel congresso di Francoforte queste
tematiche sono per così dire state tradotte
parzialmente nel linguaggio dell’etica del
discorso di Habermas e di Karl Otto Apel:
raggiunto l’accordo sull’accettazione dei
principi della democrazia, della discussione razionale e dell’auspicabilità di una pluralità di posizioni etiche, è possibile giustificare tale accordo attraverso una “fondazione ultima” (Apel), o bisogna fermarsi al
livello dell’empiria? E ancora, ciò che caratterizza la filosofia è, come vuole Apel, la
riflessione sui fondamenti o piuttosto, come
ha indicato Albrecht Wellmer, il filosofo
deve limitarsi (senza indulgere a nostalgie
per i fondamenti perduti) ad un’analisi della “grammatica interna della cultura liberale”, dunque ad un compito ermeneutico?
Questi problemi, a cui, nella cultura statunitense, Richard Rorty ha risposto facendo valere una “preminenza della democrazia sulla filosofia” (sostenendo cioè l’irrilevanza delle questioni filosofiche relative
ai fondamenti dal punto di vista “empirico”
delle questioni poste dalla vita politica e
sociale), si collocano, in Germania, su uno
sfondo che non è solo accademico o teoretico ma è anche quello assai concreto di un
difficile processo di unificazione politica.
Così Ulrich K. Preuß ha fatto notare come
nelle società occidentali contemporanee
aumenti sempre più il numero di quei problemi (tecnologia genetica, eutanasia, diritto d’asilo) che mettono di fronte ad alternative in cui si scontrano morali diverse, e
come questo fatto possa bloccare l’ambito
delle decisioni politiche. Così, a suo parere, un nuovo costituzionalismo dovrebbe
“creare la premessa della coesistenza di
una molteplicità di moral communities”,
prendendo congedando dal mito di una
decisione rivoluzionaria violenta e rendendosi consapevole della pluralità di convincimenti morali presenti nella società.
Indipendentemente da questioni di scuola
o di denominazione, le tesi dei “comunitaristi” devono avere comunque un effetto
provocatorio per le società “occidentali”,
in quanto implicano che l’accentuazione
dei diritti individuali alla libertà possa mi-
nare alla base la democrazia. Così, Taylor
ha messo in luce come la rigorosa separazione liberale tra stato e società non sia
sufficiente a garantire l’autoregolamentazione democratica della società. Questo
limite dovrebbe piuttosto venire superato
da organizzazioni indipendenti, in modo
che gli interessi sociali possano farsi valere
realmente anche nell’ambito della politica.
Una mediazione tra principi “liberali” e
comunitari” è stata tentata da Wellmer. Per
lui i diritti liberali fondamentali sono sì i
presupposti della partecipazione alla formazione democratica della volontà. Ma,
inversamente, tali diritti fondamentali restano privi di effetto se non vengono permanentemente interpretati e sviluppati.
L’ambivalenza dei diritti fondamentali e
dei diritti alla libertà della democrazia si
mostra però nel fatto che essi non rappresentano solo i presupposti di un’essenza
democratica comune, ma possono anche
costituire un pericolo, in quanto implicano
il diritto alla differenza e all’astensione
dalle cose pubbliche. Per questo motivo
Wellmer, ricollegandosi a Habermas, afferma che una “moralità” democratica può
essere intesa solo in modo “procedurale”.
Essa non può prescrivere il modo in cui si
presenta una “vita buona”, ma solo il modo
in cui bisogna comportarsi rispetto al conflitto tra diverse forme di vita. Wellmer non
può però evitare un circolo: egli appoggia
la comunità democratica sui diritti fondamentali e, inversamente, questi diritti sulla
comunità democratica. La necessità di un
procedimento circolare diventa in lui, come
in altri pensatori pragmatisti, una virtù dell’epoca post-metafisica. Egli rinuncia a
fondare i principi universali in cui si riconosce l’occidente su qualcosa che non sia
la loro validità fattuale. Come in Rorty e
nell’ultimo Rawls, il primato dei diritti
rispetto al bene deve essere fondato solo
politicamente e non più in maniera metafisica. Habermas può però a buon diritto
domandare in che modo l’occidente possa
legare altre nazioni e culture a tali princìpi,
e come possa farlo in caso di necessità come è avvenuto nell’Irak di Saddam Hussein - con l’uso delle armi. Un contributo
critico alla ricostruzione della
“mitologia”delle società liberali è stato offerto da Nancy Frazer (Chicago). A suo
parere tale mitologia conosce solo due forme legittime della reciprocità interumana:
lo scambio contrattualistico di equivalenti
tra individui uguali e la beneficienza, non
richiesta da colui che riceve, e rispetto alla
quale colui che dà non è obbligato. In
quanto risulta privilegiato lo scambio tra
equivalenti, le altre forme del rapporto sociale perdono di valore. Ciò ha poi come
conseguenza che non possono svilupparsi
“diritti civili sociali” in grado di fondare
l’esigenza dei cittadini all’incentivazione
delle loro condizioni di vita. J.F./M.M.
Pensare il giardino
Organizzato dall’Istituto di Filosofia
dell’Università di Salerno e dal Politecnico di Milano, si è tenuto alla
fine del 1991 a Fisciano (Salerno) il
convegno dal titolo Pensare il giardino, cui hanno partecipato studiosi
di filosofia e architetti. L’obiettivo
era quello di ripensare il giardino
come categoria filosofica, oltre che
come forma del paesaggio. Sono
stati ora pubblicati gli atti del convegno con il titolo omonimo di Pensare il giardino (a cura di Paola Capone, Paola Lanzara, Massimo Venturi Ferriolo, Guerini e Associati,
Milano 1992). A questo volume di
atti fa seguito la pubblicazione di
Massimo Venturi Ferriolo, Giardino
e filosofia (Guerini e Associati, Milano 1992), una ricostruzione della fenomenologia pensiero-giardino-paesaggio nella riflessione filosofica
occidentale. A testimonianza dell’interesse, anche istituzionale, per queste tematiche segnaliamo il II Convegno Nazionale su Parchi e Giardini Storici. Parchi letterari, promosso dal Comitato Nazionale per lo
Studio e la Conservazione dei Giardini Storici e organizzato dalla Sezione Studi Parchi e Giardini Storici
della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Milano.
“Cultura del giardino” è oggi ambito
d’intervento pressoché esclusivo di architetti, paesaggisti e storici dell’arte;
ma non è sempre stato così, sostiene
Massimo Venturi Ferriolo, ideatore e
promotore del convegno di Fisciano. In
tutte le antiche culture mediterranee e
mediorientali l’uomo proviene, infatti,
da un giardino, o in qualche modo vi è
connesso: oltre all’Eden biblico basti
pensare ai giardini delle antiche divinità
greche, a quello delle Esperidi, al giardino della Grande Madre e così via.
Al tema del giardino come grembo materno, con un percorso ricostruttivo attraverso le origini mesopotamiche e quelle delle antiche civiltà elladiche, Venturi
Ferriolo aveva già dedicato lo studio:
Nel grembo della vita. Le origini dell’idea di giardino (Guerini e Associati,
Milano 1987). Quelle origini permangono e si perpetuano nel culto della Grande
Madre e del suo giardino, grembo vitale,
contro il quale combatte il Cristianesimo. Questo giardino-grembo, il keros, è
il simbolo dell’eterno femminino in cui
tutto si genera, uomini, animali e vegetali; un luogo “vitale”, pulsante e perciò
temuto e avversato dai Profeti e dai Padri della Chiesa. L’idea di giardino, da
un punto di vista filosofico, è dunque qui
connessa a quella di origine dell’uomo,
un’origine felice in un ambiente a lui
favorevole. Viene suggerito un legame
originario fra l’uomo e la natura, in uno
CONVEGNI E SEMINARI
Giardino «della Minerva». Parco botanico paesaggistico “Matteo Silvatico”, Salerno
stato di reciproca coappartenenza: essenza della natura è quella di essere
“coltivabile”; essenza dell’uomo quella
di “coltivare”. L’uomo è quindi, originariamente, “essere culturale”: non si
trova di fronte una natura ostile, cui deve
soggiacere o che deve domare - o che
deve domare soggiacendovi, come diceva Bacone - perché egli stesso “è” questa
natura.
La dimensione filosofica della nozione
di giardino acquisisce quindi un fondamento etico: il carattere “naturale” dell’uomo, originariamente edenico, gli si
impone come “stile di vita” e, in quanto
tale, esso affiora nella riflessione dei
moralisti inglesi del Settecento, in quella di Rousseau e in quella dei Romantici.
Il sentimento morale è qui il cordone
ombelicale che lega l’uomo alla natura,
e l’originarietà della nozione di giardino
dà conto di esso. E’ questa la tesi di
fondo della ricostruzione condotta da
Venturi Ferriolo in Giardino e filosofia,
che ripercorre il cammino che lega la
nozione di giardino all’idea di felicità,
agire morale, conoscenza.
Il giardino, grembo accogliente da cui
l’uomo proviene, è ciò che sempre gli sta
davanti. In questa prospettiva il paradiso
(perduto) diventa metafora del giardino,
e non viceversa: l’Eden paradisiaco biblico è un giardino fra gli altri, anzi
contrapposto, come “stile di vita”, ad
altri giardini, altri “stili di vita”. La ricerca del paradiso originario si caratterizza per l’uomo come eutopia, il “bel
luogo”, bene supremo raggiungibile dal-
l’uomo. Non come utopia: il giardino è
un “non luogo”, un irraggiungibile, solo
per quelle prospettive che si fondano su
una contrapposizione fra l’uomo e la
natura, o che pervengono a tale posizione. Prospettive che pure sono storicamente reali: dove la natura è solo “l’altro
da sé” dell’uomo, un qualcosa da dominare, o a cui soggiacere, lì la techne, con
cui l’uomo interviene sulla natura, non è
più la cura amorosa del custode e conservatore del giardino, del “giardiniere appassionato”, ma la “volontà del soggetto
progettante”, come direbbe Heidegger.
Ma oltre a non essere la via della felicità,
questa non è neppure la via della saggezza, di un agire morale, e neppure quella
della conoscenza; rescindere il legame
con il proprio luogo di provenienza significa precludersi la possibilità di agire
conformemente alla propria natura e di
vedere le radici del proprio sapere in
quell’originario intrecciarsi di indagine
e scoperta, ricerca e stupore che ha luogo
nel giardino. Qui il teorein sorge dal
taumazein, il sapere dalla meraviglia:
“conservare il giardino” significa dunque in questo senso, fin da Platone, salvaguardare lo spazio del pensiero. Ancora per Goethe, che si rifaceva in ciò a
Rousseau, la botanica poteva essere pensiero, se del francese, promeneur solitaire, se ne fosse seguito il metodo: un
peregrinare solitario “per i giardini”, e
per il mondo, al tempo stesso contemplativo e riflessivo, scevro da qualsiasi
preoccupazione utilitaristica, fosse pure
rispettosa degli equilibri naturali.
Il giardino è “paesaggio assoluto”, estraneo alla prospettiva utilitaristica della
fruibilità, e pertiene invece alla categoria estetica della bellezza, come ha sostenuto Rosario Assunto, autore, tra l’altro, di Ontologia e teleologia del giardino (Guerini e Associati, Milano 1989).
Per Assunto, quella del giardino è «la
bellezza del paesaggio a sé finalizzata»;
ed è a essa che occorre “tornare”. Inoltre
a suo parere la crisi conosciuta negli
anni scorsi dai giardini reali sarebbe un
effetto della crisi del giardino ideale.
Proprio all’obiettivo di formulare un’idea
universale di giardino è dunque rivolto il
tentativo di Assunto, che contrappone il
modello del giardino edenico alla prospettiva utilitaristica insita nella civiltà
industriale moderna, che dopo aver rimosso l’idea di giardino ha eliminato
anche i giardini reali, compresi quelli
storici.
Proprio questo aspetto è stato tematizzato durante il II Convegno Nazionale sui
Parchi e Giardini storici, organizzato a
Monza il 24-26 giugno 1992 dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali
d’intesa con il Comitato Nazionale per
lo Studio e la Conservazione dei Parchi
e Giardini storici. Nel corso del convegno si è offerto un momento di riflessione sulla tematica del verde storico, tramite un raffronto con la situazione di
altri paesi europei, e sulla base di una
ricostruzione dell’iconografia del giardino italiano tra Settecento e Ottocento.
Oggetto di dibattito sono stati anche la
catalogazione, la conservazione delle
CONVEGNI E SEMINARI
ville storiche, la progettazione architettonica del patrimonio verde.
La nozione filosofica di giardino, come
è stata tematizzata al convegno di Fisciano, si colloca fuori dalla posteriore,
e odierna, idea di giardino, frutto di una
“riduzione” concettuale in senso paesaggistico, che si fonda sulla contrapposizione fra giardino e natura, fra il “dentro” dello spazio coltivato, lo spazio della “cultura”, e il “fuori” dei territori
selvaggi, come direbbe Hans-Peter
Duerr. Lo stesso Rousseau, sulle cui riflessioni si è soffermato Enzo Cocco,
accetta in ultima analisi questa frattura e
questa contrapposizione, anche se ne rovescia il senso: il “fuori” è una promessa
di felicità; il limite - che è un recinto e
uno steccato, cioè una barriera - fra il
“dentro” e il “fuori” è il luogo di un
mutamento antropologico. Il giardino
rousseauiano («luogo storico, e come
tale non etico») in quanto prodotto dalla
techne fa scordare ciò che è invece palese in quello che il pensatore francese
chiama verziere, asilo, Eliso, e cioè che
l’uomo è ospite della natura, non suo
signore. La contrapposizione fra “dentro” e “fuori” diventa quindi un “paesaggio dell’anima”, dove il “fuori” appare,
di volta in volta, come minaccia o come
luogo paradisiaco, “giardino delle delizie”.
In questo senso Erkinger Schwarzenberg ha ricordato il vagheggiare di Socrate di un “giardino dell’anima”, luogo
abitato dal divino e incontaminato dall’uomo. Significativo è che, dopo la scissione e la contrapposizione fra natura e
cultura - ovvero fra uomo e natura - dove
l’idea di giardino come spazio non ostile
è attribuito di volta in volta all’uno e
all’altro termine della relazione, l’ ”altro dell’uomo”, il “fuori” è in ogni caso
concepito esplicitamente come “non
umano”, come “incontaminato”, anziché come coessenziale all’uomo.
Non è, evidentemente, un problema puramente accademico: ritenere il “giardino originario” nella sua coappartenenza
all’uomo, come luogo di fondazione dei
rapporti socio-affettivi, luogo da proteggere e da cui si è nutriti, se da un lato
indica la credenza in un’origine “naturale” dell’uomo e dei suoi rapporti storici
con la natura, dall’altra rimanda alla
coscienza del fatto che, a livello concettuale, non può darsi una natura “estranea
all’uomo”, un totalmente altro da sé,
allettante o minaccioso, se non come
chimera. I “giardini degli dei”, proprio
in quanto “giardini”, non sono ignoti,
illic non sunt leones; non sono antropizzabili allo stesso titolo del podere dietro
la capanna o dell’aiuola sotto casa, ma la
loro essenza non è estranea a quella dell’uomo. Da lì, l’uomo proviene e lì, forse, può tornare.
La perdita della coscienza della originaria coappartenenza di uomo e natura, a
cui si è sostituita invece quella della
scissione e della contrapposizione, è la
comune origine tanto dell’inconsapevo-
CALENDARIO
CALENDARIO
Un corso di aggiornamento su Le
forme dell’arte e l’idea del moderno, coordinato dal Prof. Aldo
Trione, docente di Estetica e Preside
della Facoltà di Lettere dell’Università di Salerno, si è svolto a Napoli
presso l’Istituto Suor Orsola Benincasa, dall’11 maggio al 24 giugno. La
formula adottata è stata quella della
lezione con seminario (il giorno successivo a quello della lezione), con
ampio spazio alla discussione per gli
iscritti e i borsisti. Presenti: Aldo Trione, Sergio Givone, Franco Fanizza,
Grazia Marchianò, Remo Guidieri,
Michel Rey, Rafael Argullol, Gianni
Vattimo. José Jimenez, Stefano Zecchi, Yves Hersant, Domenico Conci,
Emilio Garroni.
● Informazioni: Istituto Suor Orsola Benincasa, 80100 Napoli.
Organizzato dalla Société Suisse de
Philosophie (SSP), nei giorni 19 e 20
giugno si è svolto un convegno dal
titolo: La philosophie et le mal. Il
programma ha previsto, per il giorno
19, l’apertura dei lavori da parte di
Bernard Baertschi, presidente della
SSP, e gli interventi di Helmut Holzhey e Alain de Libera. Il giorno
successivo il tema del dibattito è stato
discusso in tre differenti gruppi di
lavoro.
● Informazioni: Università di Fribourg, CH-1700 Fribourg.
Dal 10 al 13 settembre ha avuto luogo
il XIV Congresso Nazionale di Filosofia, organizzato dalla Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia e dall’ADIF (Associazione Docenti Italiani di Filosofia). Il tema del convegno è stato: Filosofia e Cultura
nell’Europa del domani. Questo
il calendario degli interventi: 10 settembre, Battista Mondin: “Missione
culturale dell’Europa”; Aniceto Molinaro: “L’anima cristiana dell’Europa”; 11 settembre, Enrico Berti: “Radici filosofiche dell’idea di Europa”;
Vittorio Possenti: “Le componenti
ideali della nuova Europa”; Vladimir
Zelinski: “Il dialogo tra Russia ed
Europa”; 12 settembre, Luciano Corradini: “Scuola ed educazione nell’Europa Unita”; Rocco Buttiglione:
“Quale politica per l’Europa Unita”;
13 settembre, Tavola rotonda conclusiva del Congresso.
● Informazioni: Prof. Giuseppe
Schiff, via Rubignacco 8/a-2, 33043
Cividale del Friuli.
Dal 10 al 16 settembre ha avuto luogo, presso la Fondazione Collegio
San Carlo, il secondo Corso Internazionale di Alti Studi dedicato a: Prospettive di Sociologia della Religione. Sono intervenuti due dei
maggiori studiosi della materia in
qualità di docenti: Niklas Luhmann,
dell’Università di Bielefeld, e Thomas Luckman, dell’Università di
Costanza. Alle dodici lezioni, sei per
ciascuno dei due docenti, hanno preso parte quindici borsisti ed uditori
provenienti da paesi della Comunità
Europea, di livello post-universitario, selezionati tramite un bando di
concorso internazionale. Oltre ad essi,
in qualità di discussant, erano presenti: Bruno Accarino, Maurizio Bach,
Claudio Baraldi, Elena Esposito, Giovanni Filoramo, Enzo Pace, Francesco Pardi, Carlo Prandi, Hartmann
Tyrell.
● Informazioni: Segreteria della
“Summer School” - Fondazione Collegio San Carlo, via San Carlo 5,
41100 Modena.
Dal 23 al 25 settembre la Internationale Schopenhauer-Vereinigung, insieme al Collège Internationale de
Philosophie, ha organizzato a Parigi,
sotto la direzione di Jacque Poulain e
di Wolfgang Schirmacher, il convegno: Kierkegaard e l’ironia postmoderna, con relatori/relatrici
dalla Scandinavia, Canada, USA,
Francia, Austria, Lussemburgo, Paesi Bassi e Turchia.
● Informazioni: Internationale
Schopenhauer-Vereinigung, Hallerstr. 72, D-2000 Hamburg 13.
Dal 2 al 4 ottobre si è tenuto a Tubinga
il primo “Convegno-Ernst Bloch”,
organizzato dalla Bloch-Gesellschaft
sul tema: Bloch? Tra gli altri, hanno
parlato M. Riedel, M. Brumlik, K.
Weigand, H. Fahrenbach, G. Raulet,
B. Dietzschy, T. Hartmann-Macho,
H.-E. Schiller, W. SWchmied-Kowarzik, E. Uhl, J. Teller e W. Sonnemann. In connessione al convegno si
è tenuta una tavola rotonda dal titolo:
L’estetica nell’epoca della cultura della simulazione, alla quale
CALENDARIO
hanno preso parte N. Bolz, H. Paetzold, B. Schmidt e S. Zecchi.
● Informazioni: Seminar für Allgemeine Rhetorik, Prof. Dr. G. Ueding, Wilhelmstr. 50, 7400 Tübingen.
Dal 4 al 7 ottobre si è tenuto il VI
Colloquio internazionale dedicato a
Hamann sul tema: Johann Georg
Hamann - autore e autorità.
● Informazioni: Bernhard Gajek,
Universität Regensburg, Institut für
Germanistik, Universitätsstr. 31, D8400 Regensburg.
Dall’8 all’11 ottobre si è tenuto a SilsMaria l’annuale convegno dedicato a
Nietzsche sul tema: Nietzsche e la
storia naturale della morale. I
relatori sono stati: Norbert Bischof
(Zurigo), Friedrich Kaulbach (Münster), Peter Schlaber (Zurigo), Werner Stegmaier (Bonn), Bernhard
Waldenfels (Bochum). Nell’ambito
del programma generale, Grete Lübbe-Grothues (Zurigo/Münster) ha interpretato poesie di Nietzsche.
● Informazioni: Nietzsche-Haus,
CH-7514 Sils-Maria.
Dal 12 al 15 ottobre , l’Universidad
Autonoma del Estado de Mexiko, in
occasione del 500 anniversario della
scoperta del continente americano,
ha organizzato un convegno internazionale sul tema: Un pensiero senza confini. Sul problema delle
comunità e delle differenze nello sviluppo storico dell’Europa
e dell’America latina negli ultimi 500 anni. Senso e significato
oggi.
● Informazioni: Prof. Dr. H. Krumpel, Universität-Gesamthochschule
Paderborn, Fachbereich 1, Postfach
1621, D-4790 Paderborn.
Organizzato dal Comune di Umbertite, si è svolto dal 15 al 17 ottobre un
seminario internazionale dal titolo: I
linguaggi della mente. Questo il
calendario: 15 ottobre, Fabrizio Ciappi: “Perché i linguaggi della mente”;
Paolo Rossi: “Parole e immagini”;
Salomon Resnick: “Il linguaggio pittografico della mente”; Massimo Piattelli Palmarini: “L’inconscio cognitivo”. 16 ottobre, Oliver Sacks: “The
Grammar of Vision”; Pierre Bovet:
“Language and the Intersubjective
Constitution of Identity in Schizophrenics”; Sergio Piro: “Verso una antropologia transformazionale”; Georges
S. Rousseau: “The Brain and its Narratives”; Eugenio Gaburri: “Il succo del
discorso”. 17 ottobre, Ruggero Pierantoni: “L’atto del disegno nel bambino: lessico, grammatica, sintassi”;
Alessandro Pagnini: “Paradossi dell’irrazionalità”; Simona Argentieri:
“Poliglottismo e polilinguismo nella
dimensione psicoanalitica”; Remo
Bodei: “Il linguaggio delle passioni”;
Laura Dalla Ragione: “Se cadono gli
avverbi”.
● Informazioni: Comune di Umbertide, p.zza Matteotti 1, 06019 Umbertide (Perugia).
Organizzato dall’Institut für Systemische Forschung, Therapie und Beratung di Heidelberg e dalla Abteilung 3.2.3 der Psychosomatischen
Kliniker dell’Università di Heidelberg, dal 15 al 18 ottobre si è svolto a
Heidelberg il congresso: La realtà
del costruttivismo, in cui, attraverso conferenze, tavole rotonde e
seminari, sono stati discussi principi
e critiche del costruttivismo. Fra i
relatori: G. Böhme, O. Breidbach, H.
von Foerster, C.F. Graumann, E. v.
Glaserfeld, N. Luhmann, D.B. Linke,
H. Maturana, G. Roth, H. Stierlin e G.
Vollmer.
● Informazioni: Psychosomatische
Klinik, Universität Heidelberg.
Nei mesi di ottobre e novembre, la
Casa della Cultura di Milano organizza un ciclo di conversazioni, a cura di
Fulvio Papi, dal titolo: La filosofia
contemporanea, ciò che è vivo ciò che è morto. Questo il calendario degli incontri: 15 ottobre, Pier
Aldo Rovatti: “Attualità di Sartre”;
22 ottobre, Carlo Sini: “Bilancio su
Heidegger”; 29 ottobre, Salvatore Natoli: “Giochi di verità: Foucault epistemologo e genealogista”; 5 novembre, Silvana Borutti: “Wittgenstein:
il linguaggio come forma”; 12 novembre, Giulio Giorello: “Popper:
scienza come democrazia”; 19 novembre, Maurizio Ferraris: “Derrida
e la filosofia”; 26 novembre, Mario
Vegetti: “Platone e noi”.
● Informazioni: Casa della cultura, via Borgogna 3, 20122 Milano.
Organizzato dal Centro Internazionale Studi di Estetica di Palermo, si è
tenuto nei giorni 16 e 17 ottobre a
Palermo un seminario di studi dal
titolo: Perché non possiamo non
dirci neoclassici. Dopo la “Presentazione” di Luigi Russo, Giorgio Cusatelli ha introdotto alla discussione
su: “Perché dobbiamo dirci neoclassici”; Franco Fanizza a: “Spalletti e la
bellezza rinominata”; Giilo Dorfles
a: “Perché possiamo non dirci neoclassici”.
● Informazioni: Centro Internazionale Studi di Estetica, Viale delle
Scienze, 90128 Palermo.
In collaborazione con il Consolato
Generale d’Austria, il Centro culturale ‘La Casa Zoiosa’ di Milano organizza nei mesi di ottobre e novembre
un seminario dal titolo: L’eredità
che il pensiero filosofico del
nostro secolo lascia al Duemila.
Gli incontri avverranno secondo il
seguente programma: 19 ottobre, Jean
Petitot: “Il razionalismo scientifico
come valore culturale”; 21 ottobre,
Francesco Barone: “Filosofia e scienza: la nuova prospettiva su un antico
rapporto”; 26 ottobre, Imre Toth:
“Scienza e scienziati nell’età postmoderna”; 9 novembre, Rudolf Haller:
“La filosofia dell’empirismo logico:
una rivalutazione”; 16 novembre,
Carlo Sini: “Un’etica per il Duemila”; 23 novembre, Corrado Mangione: “Al confine: scienza e cultura”.
La quota di partecipazione è di Lire
150.000.
Nel ciclo delle iniziative del Centro
Internazionale di Studi Semiotici e
Cognitivi della Repubblica di San
Marino, si è tenuto nei giorni 20-21
ottobre un seminario dal titolo: Fonosimbolismo e linguaggio poetico. Questo il calendario: 20 ottobre, Linda Waugh: “Degrees of Iconicity in the Lexicon”; Masako K.
Hiraga: “Iconicity as Principle of
Composition and Interpretation: A
Case Study in Japanese Short Poems”; 21 ottobre, Háj Ross: “The Taoing of a Sound-Phonetic Drama in
Blake’s The Tyger”; Ivan Fonagy:
“Why Iconocity?”.
● Informazioni: Università di San
Marino, Contrada Omerelli 77, 47031
San Marino.
Dal 3 al 5 novembre si terrà a Lipsia
il congresso: Etica ed estetica, con
noti relatori provenienti dall’Europa
orientale e occidentale.
● Informazioni: Leipziger Gesellschaft für Philosophie und Kultur,
Grassistr. 10, O-7010 Leipzig.
Dal 6 all’8 novembre a Graz si terrà il
simposio: Nazione e ragione, organizzato dalla Philosophische Gesellschaft dell’Università di Graz. Vi
parleranno Jacques Poulain (“Der
Nationalismus im Osten und die philosophische Zukunft Europas”), Ivan
Djuric (“Der Historiker und der jugoslawische Raum”), Christian Meier
(“Zur Funktion des Nationalen im
modernen Europa”), Rastko Mocnik
(“Das Nationalitätenproblem in kulturanthropologischer Sicht”), Rada
Ivekovic (“Nation, Nationalität, Nationalismus”). In aggiunta ai lavori
del simposio si terrà anche il seminario: Nationalismus und Frauen.
● Informazioni: Dr. Elisabeth List,
Institut für Philosophie, Universität
Graz, A-8010 Graz.
Dal 12 al 14 novembre a Mannheim si
terrà una giornata di lavoro scientifico della Sokratische Gesellschaft sul
tema: Sokrates. Parleranno R. Zoepffel, Gerhardt Schmidt, Franz Vonessen, Karl Bormann, Heinrich
Schipperges e Gerd Wolandt.
● Informazioni: Sokratische Gesellschaft e.V., Riedlach 12, D-6800
Mannheim 31.
In occasione del settantesimo anniversario della nomina di Moritz Schlick alla Cattedra di Filosofia dell’Università di Vienna, si terrà dal 18 al 21
novembre a Vienna un convegno internazionale dal titolo: Ordine e
caos in natura e nella società,
organizzato dall’Istituto “Wiener
Kreis”, sotto la direzione di Rainer
Hegselmann (Bremen) e di HeinzOtto Peitgen (Bremen). Fuori programma avrà luogo inoltre l’incontro: Chaos und Musik.
● Informazioni: Institut “Wiener
Kreis”, Museumstr. 5/2/19, A-1070
Wien.
Nell’ambito della serie di conferenze
dal titolo: “La filosofia in Germania
oggi”, organizzata dal Goethe Institut e dall’Università degli Studi di
Milano, Oskar Negt (Hannover) terrà
il 23 novembre, nella sala “Crociera”
dell’Università, una conferenza sul
tema: La Scuola di Francoforte.
Introduce Francesco Moiso (Milano).
● Informazioni: Goethe Institut,
Via S. Paolo 10, Milano
Il Dipartimento di Ricerche Filosofiche dell’Università degli Studi di
Roma “Tor Vergata”, nell’ambito
delle proprie iniziative culturali, ha
organizzato per il giorno 30 novembre un convegno dedicato all’Estetica di Luigi Pareyson. Interverranno Gianni Carchia, Sergio Givone,
Mario Perniola, Aldo Trione, Valerio
Verra.
Sempre organizzato dal Dipartimento di Ricerche Filosofiche dell’Università degli Studi di Roma, nei giorni 29 e 30 gennaio 1993 avrà luogo un
Convegno Internazionale dal titolo: Il
Neoantico. Tecnica e possessione nella poesia e nelle arti.
Saranno presenti Mario Perniola,
Michel Deguy, Michel Maffesoli,
Christoph Wulf, Francesco Pellizzi.
● Informazioni: Dipartimento di
Ricerche Filosofiche dell’Università
degli Studi di Roma “Tor Vergata”,
00100 Roma.
Dal 30 novembre al 4 dicembre si
terrà a Madrid il II. Congreso Internacional de Filosofia de la Educacion
sul tema: La filosofia dell’educazione oggi: clima filosofico e
contesto pedagogico. Il congresso si articola in otto sezioni: 1. e 2.,
“Assiologia ed educazione”; 3 e 4,
“Valori”; 5, “Assiologia e politiche
educative”; 6, “Educazione e valori
estetici”; 7, “Valori nelle istituzioni
educative”; 8, “Deontologia professionale”.
● Informazioni: Universidad Nacional de Educacion a distancia, Departemento de la Theoria de la Educacion, Senda del Rey, E-28040 Madrid.
DIDATTICA
DIDATTICA
a cura di Riccardo Lazzari
I programmi “Brocca”
L’interesse per le nuove proposte relative ai piani di studio e ai programmi
approntati dalla “Commissione Brocca” ha coinvolto in una serie di recenti
convegni (di cui abbiamo dato notizia
nel numero scorso di questa rivista)
anche il dibattito sull’insegnamento
della filosofia. Una versione integrale
dei nuovi programmi di filosofia è apparsa, fra le altre pubblicazioni, sul
“Bollettino della Società Filosofica Italiana” (n. 145, gennaio-aprile 1992),
con una breve presentazione di Enrico
Berti, coordinatore del gruppo di lavoro che ha predisposto i programmi. Di
questi dà un’interpretazione anche
Domenico Massaro su “Paradigmi” (n.
29, maggio-agosto 1992).
L’aspetto saliente dei nuovi piani di studio
consiste, com’è noto, nell’estensione dell’insegnamento della filosofia, per gli ultimi due anni, agli indirizzi tecnologici ed
economici dell’istruzione superiore. Data
l’esiguità delle ore di insegnamento (due
ore settimanali), si è ritenuto opportuno
rinunciare ad un asse storico dell’insegnamento, per far posto ad una scelta di temi,
per lo più attinenti a due grandi ambiti,
l’uno di carattere conoscitivo ed epistemologico, l’altro di tipo etico-politico. I temi
prescelti dall’insegnante, che spaziano dalla rivoluzione scientifica ai problemi connessi alle scienze attuali, dalle concezioni
etico-politiche della modernità ai rapporti
fra nuove tecnologie biologiche ed etica,
saranno trattati mediante una lettura diretta
dei testi di autori elencati nella bozza dei
programmi, con la presenza di filosofi sia
antichi che moderni nel primo anno, e di
filosofi sia dell’Ottocento che del Novecento nel secondo.
Pur variando nei percorsi programmatici,
le finalità generali dell’insegnamento della
filosofia restano comuni agli indirizzi tradizionalmente “liceali” dell’istruzione superiore e a quelli di tipo tecnologico. Tra
queste finalità assume particolare rilievo
quella indicata al sesto punto: «la capacità
di pensare per modelli diversi e di individuare alternative possibili, anche in rapporto alla richiesta di flessibilità nel pensare,
che nasce dalla rapidità delle attuali trasformazioni scientifiche e tecnologiche».
Nei tradizionali indirizzi dell’istruzione
liceale (che tenderanno a ristrutturarsi secondo un indirizzo classico, socio-psicopedagogico, linguistico, scientifico e scientifico-tecnologico) i nuovi piani di studio
cercano di coniugare un approccio di tipo
prescrittivo con un approccio che fa diversamente leva sulle possibilità di scelta autonoma dell’insegnante. Questi potrà cioè
compiere una scelta di argomenti, da trattare in ciascun anno, assumendoli da un’articolata elencazione fornita dai programmi
(nella quale, a parte le novità introdotte per
il terz’anno, possiamo riconoscere le classiche ripartizioni dei manuali di storia della filosofia), ma dovrà comunque svolgere
obbligatoriamente taluni punti: Platone ed
Aristotele per il primo anno, Kant e Hegel
(di cui è anticipata la trattazione rispetto ai
programmi attuali), più altri due autori a
scelta fra i pensatori del Seicento e Settecento per il secondo anno, ed infine due
autori a scelta dell’Ottocento e due del
Novecento per il terzo anno. Tutto questo
in una prospettiva che non vuole essere né
esclusivamente storica, né esclusivamente
problematica, bensì storico-problematica,
tesa cioè ad individuare alcuni grandi nodi
della filosofia (costituiti da autori o da
nuclei tematici) da presentare in modo cronologico.
Grazie anche ad una ristrutturazione dei
temi da affrontare durante il secondo anno,
in cui si anticipano momenti salienti del
pensiero ottocentesco, la filosofia del Novecento trova ora un’ampio spazio il terz’anno, sia in termini di filosofi che di
nuclei tematici, entro cui l’insegnante potrà compiere le sue scelte. Ci sembra peraltro importante il fatto che i nuclei tematici
presentati svolgono solo una funzione
esemplificativa, lasciando liberi i docenti
di individuare e di costruire altri percorsi.
Si tratta di un’indicazione utile, tanto più
che nella individuazione dei temi alcuni
risultano di fatto sacrificati o tratteggiati
solo in maniera allusiva. Ogni indirizzo
liceale, peraltro, vede una diversa accentuazione nella individuazione degli argomenti da trattare, fermi restando alcuni
punti fissi.
Gli autori e gli argomenti da trattare dovranno peraltro essere affrontati a partire
dalla lettura dei testi, senza che per questo
si rinunci ad un necessario inquadramento
storico: viene così recepito dai nuovi pro-
grammi un orientamento che è maturato
già da lungo tempo presso i docenti della
disciplina.
Un accenno particolare merita anche l’intervento in proposito di Domenico Massaro, che affronta il problema della “Storicità e centralità del testo nei nuovi programmi di filosofia”, proponendosi sia di
dare una chiave di interpretazione del testo
di questi programmi nell’ambito del progetto complessivo della nuova secondaria,
sia di offrire alcune esemplificazioni di
percorsi didatticamente praticabili.
Convegni
Per iniziativa dell’Istituto “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, è attivato per
l’anno accademico 1992-93 un Corso
di aggiornamento per docenti di filosofia, scienze dell’educazione e storia
nelle scuole medie superiori di Napoli
e Provincia e di perfezionamento per i
giovani laureati. Tema del Corso, che
si svolgerà dal 30 novembre 1992 al 30
aprile 1993, è: Storia della storiografia filosofica. Filosofie del Novecento.
Il Corso si configura come spazio di dialogo formativo con alcuni tra i maggiori
storici della filosofia e filosofi, per consentire ai docenti in servizio ed ai giovani
laureati una ricognizione puntuale dei problemi, di contenuto e di metodo, concernente i temi proposti. Il corso si svolgerà
presso la sede dell’Istituto “Suor Orsola
Benincasa” (corso Vittorio Emanuele 292,
Napoli) e si articolerà in due incontri settimanali, di norma il martedì ed il mercoledì
dalle ore 16.30 alle ore 18.30, suddivisi in
lezioni e sedute seminariali. L’ammissione al Corso è limitata a 30 laureati nelle
Facoltà di Magistero, Lettere e Filosofia,
Scienze Politiche e Giurisprudenza. Per
ottenere l’iscrizione è necessario presentare agli uffici di Segreteria dell’Istituto
Universitario di Magistero “Suor Orsola
Benincasa”, entro e non oltre il 23 ottobre
1992, domanda in carta legale da L. 15.000
indirizzata al Rettore dell’Istituto, un certificato di laurea in carta legale, con votazioni degli esami di profitto, un certificato
DIDATTICA
di residenza in carta libera, un breve curriculum studiorum ed eventuali pubblicazioni. L’ammissione al corso avverrà per graduatoria, in base ai titoli, al curriculum
presentato ed eventualmente ad un colloquio. L’Istituto assegnerà inoltre n. 5 borse
di studio annuali di L. 13.000.000 ciascuna
in base alle graduatorie di merito formulate
in occasione dell’ammissione al Corso.
Sono previste anche forme di rimborso
spese, al termine del corso, per i non residenti a Napoli.
L’ammissione al Corso relativa ai docenti
di filosofia di Napoli e provincia sarà decretato dai Presidi o dai Collegi d’Istituto
in numero di due per ogni Liceo e dovrà
essere comunicato al Rettorato dell’Istituto “Suor Orsola Benincasa” entro e non
oltre il 30 ottobre 1992.
La frequenza è obbligatoria. A conclusione
del corso è rilasciato agli iscritti, previo
eventuale colloquio di accertamento, un
titolo finale di frequenza. Le lezioni ed i
seminari saranno tenuti da: E. Garin, A. G.
Gargani, D. Antiseri, A. Bausola, M.
Ferretti, B. Forte, G. Riconda, C. Sini,
G. Sasso, A. Negri, V. Mathieu, N. Matteucci, P. Prini, F. Tessitore, S. Veca.
L’ARIFS organizza, in collaborazione
con il Seminario di Filosofia della Scuola Normale di Pisa, un convegno sul
tema: La filosofia italiana tra
Umanesimo e Rinascimento. L’iniziativa si svolgerà a Brescia dal 19 al 21
marzo 1993.
Il calendario dei lavori è il seguente: venerdì 19 marzo, ore 15.00, Claudio Cesa:
presentazione del convegno; ore 15.15,
Eugenio Garin: “Umanesimo e Rinascimento: definizione dei concetti”; ore 16.15,
Cesare Vasoli: “Retorica e logica tra Umanesimo e Rinascimento”; segue dibattito.
Sabato 20 marzo, ore 9.00, Alfonso Ingegno: “Il platonismo nell’umanesimo italiano”; ore 10.00, Paola Zambelli: “L’aristotelismo e Pietro Pomponazzi”; segue dibattito; ore 15.00, Michele Ciliberto: “Giordano Bruno”; ore 16.00, Germana Ernst:
“Aspetti del pensiero di Tommaso Campanella”; ore 17.00, Davide Bigalli: “Il pensiero politico: Machiavelli e Guicciardini”; segue dibattito. Domenica 21 marzo,
ore 9.00, Paolo Galluzzi: “Galilei”; dibattito e conclusioni.
Il convegno si svolgerà presso la Camera di
Commercio di Brescia, via Luigi Einaudi
23. Per iscriversi occorre versare L. 50.000
sul c.c.p. 12808259 intestato a A.R.I.F.S. casella postale 103 - 25100 Brescia, ed
inviare domanda di iscrizione al medesimo
indirizzo. Termine delle iscrizioni: 15 gennaio 1993. Per informazioni: tel.
030.3757341, dalle 15 alle 16 tutti i giorni,
esclusi festivi e prefestivi.
Giordano Bruno, Incisione di C. Mayer
RASSEGNA DELLE RIVISTE
RASSEGNA DELLE RIVISTE
a cura di Silvia Cecchi
REVUE PHILOSOPHIQUE
DE LOUVAIN
Vol. 90, febbraio 1992
Institut supérieur de philosophie
Louvain La Neuve
Heidegger et la poésie. De Sein und Zeit au
premier cours sur Hölderlin, di P. Vandevelde: se in Essere e Tempo (1927) la poesia è menzionata en passant, a partire dal
primo corso su Hölderlin del 1934 la poesia
si presenta come la “lingua originaria” dell’Essere, all’ascolto della quale tutto il pensiero deve porsi. Non si tratta solo di comprendere il perché di questo cambiamento
radicale di prospettiva, ma anche scoprire
quale sia il vero significato della poesia
nelle considerazioni del 1927 e del 1934 e
più in particolare il suo rapporto con il
linguaggio e il pensiero.
Le principe éthique d’universalité et la
discussion, di M. Canivet: il principio di
universalità può comprendersi in modo
deduttivo o intersoggettivo, a secondo di
ciò che esige l’universale applicabilità delle massime (Kant) o la loro universale accettabilità (Rawls, Habermas). L’etica della discussione di Habermas, sottomettendo
le norme a discussioni reali, evita la monoliticità dell’interpretazione intersoggettiva
del principio di universalità. Tuttavia anche questa soluzione presenta dei limiti.
Moralité et magie, di D. Lesage: il naturale
interesse che si prova per quelle persone
che, in un modo o nell’altro, ci sono più
vicine, pur apparendo un’attitudine egocentrica ed arbitraria, ha generato un dibattito relativo al significato morale della prossimità delle persone, dibattito che, nel mondo anglosassone, ha determinato una posizione universalista, contrapposta ad una
particolarista. Prendendo spunto da queste
problematiche, l’articolo analizza l’uso del
possessivo “mio” nel contesto della attitudini simboliche, sviluppando l’idea che esso
possa avere anche un significato magico
con una portata morale.
De l’originalité de la philosophie ancienne, di J. Follon: recensione di W. Jordan,
Ancient concepts of philosophy (Routledge, London - New York 1990).
Le “néo-médiévisme” d’Alain De Libera,
di J. Follon: recensione di A. De Libera,
Penser au moyen âge (Seuil, Paris 1991).
Regard à l’est: essais esthétiques et politiques de Jan Patocka, di P. Seys: recensione di J. Patocka, Liberté et sacrifice. Ecrits
politiques (Jêrome Millon, Grenoble 1990).
tore che Lauth conosce molto bene.
Christianisme et philosophie dans la première philosophie de Fichte, di J. C. Goddard: a partire da una rielaborazione del
pensiero kantiano, nella prima fase della
sua riflessione, Fichte tenta di dare un
fondamento trascendentale al Cristianesimo sotto forma di una cristologia ascendente.
Vérité kantienne et science lacanienne, di
A. Kremer- Marietti.
Fichte, le droit sans la morale?, di A.
Renaut: c’è una trasformazione nella filosofia di Fichte circa i rapporti tra diritto ed
etica: nel 1793 il diritto naturale è incluso
nell’etica; nel 1796 legalità e moralità divengono ambiti più autonomi per poi riunirsi nei Discorsi alla nazione tedesca del
1807. L’articolo ricostruisce la logica di
queste trasformazioni.
La raison depuis l’incoscient ou le rêve de
Wittgenstein, di R. Major: l’articolo affronta la problematica della decostruzione
del segno in Wittgenstein e Lacan.
Vie et spéculation dans l’”Anweisung zum
seligen Leben”, di A. Philonenko: i rapporti tra vita e speculazione nel pensiero di
Fichte; la dialettica dell’amore e dell’odio.
The paternal metaphor: a lacanian theory
of language, di E. Rayland-Sullivan.
Idéalisme et théisme dans la dernière philosophie de Fichte, di M. Vetö: un commento alla Dottrina della scienza del 1813.
REVUE INTERNATIONALE
DE PHILOSOPHIE
Vol. 46, n. 1, 1992
Universa, Wetteren
Tema della rivista: “Lacan”.
Acte et faute subjective, di D. e G. Miller:
il problema della somatizzazione in Lacan.
Le musement, de Peirce à Lacan, di M.
Balat: la questione della categorie e quella
del significante sono poste come emblema
di una connessione tra la riflessione dei due
pensatori.
Luigi Pareyson (1918-1991), di X. Tilliette.
Segue il “Bulletin Hobbes IV”.
MAN AND WORLD
Vol. 25, n. 2, aprile 1992
Kluwer Academic Publishers, Dordrecht
ARCHIVES DE PHILOSOPHIE
Vol. 55, n. 2, aprile-giugno 1992
Beauchesne, Paris
Lignes de développement de la pensée transcendentale: la recherche historique et
systématique de Reinhard Lauth, di M.
Ivaldo: R. Lauth (1919) ha dato vita alla
più completa edizione delle opere di Fichte, corredate da importanti introduzioni.
A lui dobbiamo anche magistrali studi sulla filosofia trascendentale e sulla sua evoluzione fino a Marx; tracce di questa tradizione si trovano anche in Dostoïevski, au-
Transcendental background to the anthropic reasoning in cosmology, di Y. V. Balashov: l’articolo analizza le tangenze trascendentali del principio cosmologico antropico (AP), espresso per la prima volta
nel 1974 dall’astrofisico Brandon Carter.
L’AP appare come una variazione di una
forma di “trascendentalismo naturalizzato”: come la filosofia trascendentale, questo principio studia le condizioni dell’apparire del mondo nel pensiero; ma, diversamente dal trascendentalismo filosofico,
segue il cammino inverso, ponendosi la
questione delle condizioni di emergenza
RASSEGNA DELLE RIVISTE
del pensiero nel mondo.
Transcendental empiricism: Deleuze’s response to Hegel, di B. Baugh: l’empirismo
di Deleuze si dice trascendentale perché
ricerca le condizioni reali di tutta l’esperienza reale, non perché basa tutta la conoscenza sulla generalizzazione dell’esperienza. Un empirismo quindi che vorrebbe
essere immune dalle critiche ad esso mosse
da Hegel come la più povera e vuota forma
di conoscenza.
Difference without the flux: pragmatic vs.
romantic conceptions of alterity, di I. Nevo:
prendendo le mosse dalla concezione della
“differenza” in Derrida, l’articolo analizza
la tradizione romantica del concetto di alterità in connessione alla visione eracliteonietzscheana del flusso e anche indipendentemente da questo riferimento.
Wittgenstein on language, meaning and
use, di D. Nesher: la teoria del significato
nelle Ricerche filosofiche di Wittgenstein.
Quando si parla di significato non è chiaro
se Wittgenstein intenda senso (Sinn) o referenza (Bedeutung) e quale sia la funzione
d’uso nella comprensione del significato
dell’esperienza linguistica.
The problem of closure in Derrida (Part
II), di S. Critchley: Heidegger e Derrida sul
problema della fine della filosofia.
Free selves, enriched values and experimental method: Mead’s pragmatic synthesis, di S. B. Rosenthal.
Does Husserl have a Philosophy of history
in the Crisis of european sciences?, di D.
Mann: nonostante l’ostilità del rapporto tra
storia e fenomenologia, nella Crisi Husserl
tenta di dare senso alla storia attraverso
un’analisi critica della relazione storica tra
filosofia e scienza a partire dal Rinascimento.
Sagacity and african philosophy, di A. S.
Oseghare.
Personal bodily rights, abortion and
unplugging the violinist, di F. J. Beckwith
Towards a Phenomenology of legal
thinking, di M. Salter.
Metaphor and reality, di C. A. Van Peursen: la discussione sulla relazione tra linguaggio (pensiero) e realtà trova nuovi
spunti in recenti studi sulla metafora.
JOURNAL OF THE HISTORY
OF PHILOSOPHY
The rigour of Heidegger’s thought, di M.
Weatherston.
Why is there a discussion of false belief in
the Theaetetus?, di H. H. Benson.
Ethics and ontology: Levinas and Merleau-Ponty, di W. Busch.
Is the ontological argument ontological?
The argument according to Anselm and its
metaphysical interpretation according to
Kant, di J. L. Marion: la questione del
ritardo con cui si è arrivati alla denominazione di “ontologico” per l’argomento a
priori di S. Anselmo.
“Les Fondateurs” and “La Découverte de
l’Histoire”: Two short pieces excluded
from Everywhere and Nowhere by Maurice Merleau-Ponty, a cura di D. H. Davis:
due brevi contributi del 1956 di MerleauPonty.
Taylor and Ricoeur on the Self, di B. P.
Dauenhauer: recensione di C. Taylor: Sources of the Self: the making of the modern
identity (Harvard University, Cambridge
1989) e di P. Ricoeur: Soi-même comme un
autre (Editions du Seuil, Paris 1990).
INTERNATIONAL
QUARTERLY
PHILOSOPHICAL
Vol. XXX, n. 2, aprile 1992
Washington University, St. Louis
Hume and the contexts of politics, di R. H.
Dees: il contestualismo di Hume; guardando alla situazione politica coeva, egli è
più intento a scoprire cos’è possibile fare e
cosa le consuetudini richiedono, che ad
applicare idee astratte come libertà e proprietà.
The unity of the proposition, di L. Linsky:
la questione dell’unità della proposizione
nei Principles of Mathematica (1938) di
Russell, in Appearance and Reality (1897)
di Bradley e in Frege.
Vol. XXXII, n. 1, marzo 1992
Fordham University, New York
Fuller’s Synergetics and Sex Complementarity, di P. Allen: alcune ipotesi sulla complementarietà proposte da R. B. Fuller in
Synergetics: explorations in the geometry
of thinking (1982).
Husserl and Heidegger as phenomenologists, di P. Görner: i differenti punti di vista
di Husserl e Heidegger a proposito dell’intenzionalità.
J. B. S. P.
Vol. 23, n. 2, maggio 1992
University of Manchester, Manchester
Tema della rivista: “Sartre, Derrida and
Law”.
Political legitimacy and discourse ethics,
di D. B. Rasmussen: l’etica di Habermas, i
suoi fondamenti, le sue insufficienze.
Sartre on the Self-deceiver’s translucent
consciousness, di P. Sutton Morris.
Nonduality and Daoism, di R. P. Peerenboom: alla luce dei contributi di David
Loy, l’articolo esamina la posizione del
daoismo nella tradizione asiatica, con particolare attenzione all’epistemologia di Lao
Zi e Zhuang Zi.
On the limits of classical reason: Derrida
and Aristotle, di D. A. White: prendendo le
mosse dagli Analitici primi, l’articolo esamina la critica di Derrida al ragionamento
classico così com’è esemplificato nel sillogismo.
DIALEKTIK
n. 3, 1991
Meiner, Hamburg
Tema della rivista: “Individualizzazione
nella società”.
Kann es eine Wissenschaft vom individuellen Subjekt geben?, di Y Schwarz: il concetto e l’individualità umana; la relazione
tra componenti singolari della relazione e
strumenti teoretici per analizzare tale situazione; l’esempio del taylorismo.
Auf der Suche nach einer Methodologie:
eine kulturhistorische Annäherung an Individualität, di Y Engeström e M. Cole: un
approccio all’individualità a partire dalla
tesi di Vygotsky, Leont’ev, Luria e la scuola americana.
Klassenzugehörigkeit und Individuum, di
J. P. Terrail: il legame strettissimo tra individuo e società, per cui, ad esempio, nel
campo della sociologia la storia personale
si dà anche come espressione di uno sviluppo storico-sociale.
Der Beitrag der Psychoanalyse zu einer
meterialistischen Sozialisationstheorie, di
A. Lorenzer: il problema della connessione
tra base naturale dell’individuo e dimensione sociale; l’integrazione della teoria
psicoanalitica della personalità in una concezione storico-materialistica della storicità dell’umana personalità, sulla scorta di un
legame tra la base corporea dell’esperienza
umana e le relazioni sociali.
Familie und Individuation. Über die Verhältnisse von Dissens und Konsens, Autonomie und Abhängigkeit in direkter sozialer Interaktion, di A. Retzer.
Der Physikalismus und die anderen Weisen der Welterzeugung. Jenseits von Reali-
RASSEGNA DELLE RIVISTE
smus una Antirealismus, di H. Tetens: a
proposito dell’articolo “Die Wirklichkeit
der Wissenschaft- Probleme des Realismus”, apparso in “Dialektik” n. 1, 1991.
Geymonat, e a Giuseppe Riconda: Esistenzialismo, ermeneutica e pensiero tragico.
La proposta speculativa di Luigi Pareyson.
Zum Konzept einer “Wissenschaft vom Einzelnen”: Vorbemerkungen zur folgenden
Diskussion, di L. Sève; Diskussionsbeitrag
zu Schwartz und Terrail, di E. G. Sledziewski; Zu den Bemerkungen von Frau E.
G. Sledziewski, di Y. Schwartz, a proposito
del tema di questo numero della rivista.
Il fenomeno del repentino e la paticità del
tempo, di A. Masullo.
Arbeit und Persönlichkeit. Ansatz, Ergebnisse und Konsequezen einer Längsschnittstudie des Max Planck Instits für Bildungsforschung, di W. Lempert.
Aktuelle philosophische Diskussionen über
Subjekt und Individuum, di J. Zimmer.
Persönlichkeit und Tod. Neuere Literatur
und Forschungsstand, di H. D. Strüning.
ARCHIV FÜR GESCHICHTE
DER PHILOSOPHIE
Vol. 74. n. 1, 1992
Walter de Gruyter, Berlin, New York
Sull’intreccio di logica e retorica in alcuni
paradossi di Zenone di Elea, di L. Rossetti:
la portata dell’elaborazione retorica dei
paradossi di Zenone è stata spesso ritenuta
irrilevante; dall’esame di alcuni paradossi
zenoniani, tra cui quello di Achille e quello
della freccia, emerge come accanto ad una
consequenzialità logica in questi argomenti vi sia anche un’attenzione alla sovrastrutture comunicazionali che rimandano all’ambito della retorica.
Mental disabilities and human values in
Plato’s late dialogues, di C. F. Goodey.
Speusipp und die Unendlichkeit des Einen.
Ein neues Speusipp-Testimonium bei Proklos und seine Bedeutung, di J. Halfwassen.
Newton, first principles and reading Hume,
di E. Sapadin.
PARADIGMI
Vol. X, n. 28, gennaio-aprile 1992
Schena Editore, Brindisi
A seguito della recente scomparsa, a breve
distanza l’uno dall’altro, di Ludovico Geymonat e Luigi Pareyson, due veri e propri
punti di riferimento per la filosofia italiana
del secondo Novecento, compare in questo
numero un ricordo dei due pensatori affidato rispettivamente a Giulio Giorello e Marco Mondadori: Osservazioni su Ludovico
Performatività e realismo giuridico in
David Hume, di M. Manfredi: prendendo le
mosse da alcune considerazioni humeane
circa la giustizia, la promessa, l’intenzione
e la convenzione, l’articolo rileva come
Hume intuisca il carattere condizionato
delle espressioni verbali capaci di incidere
sulla realtà in campo giuridico o religioso,
aprendo quindi la prospettiva di una dimensione pragmatica e strumentale del linguaggio. Inoltre Hume colloca tali “formule verbali” all’interno di regole forti ed in
quanto tali capaci di incidere profondamente sulla realtà; in questo senso la sua
riflessione può essere legata al realismo
giuridico scandinavo.
Fritz Mauthner: la filosofia come critica
del linguaggio, di A. Altamura: questo
filosofo è stato oggetto di un oblio nella
storia della critica filosofica, non soltanto
in Italia, ma anche nei paesi di lingua tedesca ed anglosassone; per questo l’articolo
intende ricostruire la genesi e lo sviluppo
della filosofia del linguaggio di Mauthner,
con particolare riferimento ai Beiträge zu
einer Kritik der Sprache (1923).
Angoscia esistenziale, “regia dell’esserci” e rassicuramento nel Mondo Magico di
Ernesto De Martino, di T. Monini: dalla
lettura di alcune pagine inedite di De Martino, in via di pubblicazione, dedicate al
concetto di “Ethos del trascendimento”,
emergono alcune riflessioni circa l’esistenzialismo di questo filosofo.
Un teatro lirico in forma di prosa. La
simbologia dello spazio in M. Eliade, di V.
Ferrari.
La legna e la cenere, di E. Severino: commento all’articolo di M. De Paoli: “La
fiamma e la lampada. Riflessioni sul pensiero di E. Severino e sul nichilismo in
Occidente” (“Paradigmi”, n. 26, maggioagosto 1991).
Il testo del Sé. Note sull’ultimo libro di
Paul Ricoeur, di D. Milani: recensione di
P. Ricoeur: Soi-même comme un autre
(Seuil, Paris 1990)
Introduzione alla lettura del “Tractatus”
di Wittgenstein, di P. Filiasi Carcano: la
filosofia di Wittgenstein, con particolare
riguardo al Tractatus, rappresenta uno dei
frutti più emblematici della riflessione contemporanea. Infatti la cifra caratteristica
della contemporaneità é senz’altro una sorta di ambivalenza, da un lato l’inesauribile
accumulo di conoscenze, tecniche, benessere e ricchezze fornito dalla scienza, dall’altro la crisi dell’Occidente ed il nichilismo proposti dalla filosofia, in particolare
da Nietzsche Spengler ed Heidegger. Questa ambivalenza rappresenta una delle istanze più interessanti della riflessione wittgensteiana, riflessione proposta ora come
emblematica di una sorta di “distruttività”
della filosofia, ora come proposta di una
ricostruzione positiva e di un rinnovamento culturale. L’articolo sviluppa pertanto
un lavoro analitico attorno al Tractatus,
rilevando come l’attenzione posta sui problemi del simbolismo e del linguaggio rappresenti uno dei grandi meriti di Wittgenstein.
Democrazia e riforma sociale, di S. Veca:
l’articolo sviluppa una serie di osservazioni sull’idea di una riforma sociale alla luce
di questioni che investono il passato, il
presente ed il futuro.
La confessione di Jean-Jacques, di L. Marchetti: il fascino e l’inquietudine che la
lettura delle Confessioni di Rousseau provocano nel lettore possono essere spiegati
anche attraverso un’analisi esistenziale del
testo che ne rilevi la sofferta investigazione
sull’origine del male. Proprio il tema dell’origine, centrale nell’intera riflessione
rousseauiana, rappresenta anche il cuore di
questo scritto che può essere letto come una
sorta di hegeliana storia dell’esperienza
della coscienza in cui la coscienza, ritrovando la propria origine, espia il proprio
male e si redime. Per questo l’articolo parla
di una struttura mitologica di questo scritto, individuando in esso la struttura triadica
Prossimità al Divino, Decadenza, Redenzione presente in tutti i miti e le escatologie.
La filosofia neognostica di Piero Martinetti, di F. Milanesi: l’articolo tenta un’originale lettura “eretica” del pensiero di Martinetti in rapporto alla gnosi: emergono infatti nella sua opera non soltanto motivi
dualistici riconducibili alla gnosi, ma anche forme di sincretismo che, pur ricollegandosi direttamente alla tradizione gnostica, si sono riproposti in maniera tanto
ininterrotta quanto sotterranea, in tutta la
vicenda della modernità.
PARADIGMI
Vol. X, n.29, maggio-agosto 1992
Schena Editore, Brindisi
Linguaggio tramandato e linguaggio tecnico, di M. Heidegger: il testo di una conferenza heideggeriana del 1962
Interpretazioni del dolore, di M. Sgobba:
resoconto del convegno nazionale della
Società Filosofica Italiana dal titolo: “Il
dolore”, tenutosi a Matera il 3-5 ottobre
1991
Fenomenologia ed esistenzialismo, di S.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Sandrini: resoconto del convegno dell’A.R.I.F.S. (Associazione per Ricerca e
Insegnamento di Filosofia e Storia) tenutosi a Brescia il 20-22 marzo 1992.
Il convegno “Filosofia, formazione, professionalità”, di A. Falcioni e M. Micelli:
resoconto del convegno tenutosi a Bollate
il 7-9 maggio 1992.
Recenti studi su Franz Brentano, di M.
Sinatra.
Interpretare e comunicare in Donald Davison, di P. Artuso.
La pace di Lyotard. di L. Bottani: recensione di J. F. Lyotard: Peregrinazioni, legge,
forma, evento (Il Mulino, Bologna, 1992)
Un manuale di metafisica e ontologia, di R.
Poli e L. Albertazzi: recensione di
A.A.V.V.: Handbook of Metaphysics and
Ontology (Philosophia Verlag, Munich,
Philadelphia, Vienna 1991)
FILOSOFIA
Vol. XLIII, n. 1, gennaio-aprile 1992
Mursia, Milano
Apre questo numero una commemorazione di Luigi Pareyson a cura di Claudio
Ciancio, che riporta una conferenza tenuta
da Pareyson il 5 novembre 1991 a Lecce, in
occasione dell’apertura del convegno:
“Metafisica ed arché”.
L’ironia e il soggetto nascosto, di G. Gallino: una comprensione della cultura dell’ironia, a partire sia dallo sviluppo storico,
sia dal significato teorico. Analisi del carattere di maturità del pensiero nel momento in cui appare l’ironia, della contestazione creativa che essa propone, della forza di
controllo e di alleggerimento sulla realtà
che sono propri del gioco, momento fondante dell’ironia. Sulla base di queste premesse, viene ricostruita la centralità del
concetto d’ironia dall’Illuminismo, al Romanticismo, a Nietzsche, anche in riferimento all’evoluzione della letteratura.
Fondazione, creazione e creazione artistica in Sartre, di A. Gonzi: prendendo le
mosse dalla questione, presente in L’Essere e il Nulla, dell’identità di Dio come
coincidenza di essenza ed esistenza, che
porta Sartre a concludere circa l’impossibilità dell’esistenza di Dio, l’articolo ricostruisce la genesi di tale questione attraverso una rilettura dei primi scritti fenomenologici del filosofo che mostrano una particolare attenzione per il problema, di origine cartesiana, dell’autofondazione del cogito. L’esito di questa analisi approda ad un
depotenziamento del cogito cartesiano che
implica un venir meno della nozione ideale, ontoteologica di Dio come causa sui,
che si autofonda, traendosi all’essere dal
nulla; un nuovo autentico creatore si staglia
tuttavia all’orizzonte: l’artista che crea e
ricrea l’essere attraverso il potere nullificante dell’immaginazione. Si tratta di un
ente privilegiato in cui essenza ed esistenza
coincidono.
Filosofi della tradizione nascosta. Filosofia e cultura ebraica, di E. Greblo: numerosi problemi della filosofia attuale non possono non fare i conti con la tradizione
ebraica, una tradizione che, pur non portando ad una contrapposizione netta tra Atene
e Gerusalemme, introduce tuttavia nella
filosofia una serie di simboli, metafore,
immagini particolarmente efficaci per esprimere “lo spirito del tempo”. Autori come
Rosenzweig, Jabés, Jankélévitch, Lévinas
pongono la questione ebraica non solo in
termini storici o culturali, ma anche in
termini filosofici.
La teoria della relatività e il tempo universale, di E. Guillaume: in riferimento a due
articoli di A. Genovesi su Bergson e Einstein (“Filosofia”, n. 2-3, 1991) viene qui
proposto un articolo sulla relatività del
matematico E. Guillaume, pubblicato nel
1918, che probabilmente influenzò molto
Bergson. Questi, inoltre, lavorò nell’Ufficio Brevetti di Berna, in cui lo stesso Einstein fu occupato dal 1902 al 1909.
l’immagine priva di ombra dell’umanista,
fiducioso nella ragione e nella virtus, che a
lungo ha pesato sulla storiografia dell’Umanesimo.
Geo-Filosofia dell’Europa, di M. Cacciari: il concetto filosofico dell’armonia in
connessione all’esserci storico dell’Europa e ai suoi confini geografici.
Colloquio con Jacques Derrida, di M. Telmon: conversazione con Derrida in occasione di una sua conferenza all’Istituto di
Studi Francese di Firenze nel 1990.
RIVISTA INTERNAZIONALE
DI FILOSOFIA DEL DIRITTO
Vol. LXVIII, n. 4, ottobre-dicembre 1991
Giuffrè Editore, Milano
Nel cinquantenario della morte di Henri
Bergson, i primi tre articoli della rivista
sono dedicati ad una chiarificazione di alcuni aspetti del suo pensiero: la questione
del tempo in relazione alla morale ed alla
politica (Il tempo secondo Henri Bergson,
di L. Bagolini); il problema della giustizia
in rapporto alle considerazioni del filosofo
sulla cultura occidentale (La giustizia in
Bergson. Dal monte Sinai alla montagna
Cafarnao, di D. Campanale); l’emergere
nascosto della problematica del diritto (Può
il bergsonismo fondare un diritto?, di V.
Mathieu).
PARADOSSO
n. 2, 1992
Pagus Edizioni, Treviso
La rubrica Saggi è dedicata al tema: “Ethos
e natura”, con l’intento di approfondire la
riflessione sulla natura dell’ethos inteso
originariamente come “esercizio” (quell’esercizio etico di cui parlarono, in diversi
modi, anche Husserl e Wittgenstein) evitando l’astratta composizione tra le forme
del fare da una parte e “mondo naturale”
dall’altra.
Ethos e natura, di V. Vitiello.
La potenza in Aristotele come soglia tra
natura ed Ethos, di M. De Carolis.
Natura e conoscenza: tra idealismo scientifico ed empirismo estetico, di M. Donà.
Theogenius, di Leon Battista Alberti: questo dialogo, composto intorno al 1440, appare caratterizzato da un tono cupamente
pessimistico, che sembra porsi, secondo
Garin, come il “rovescio simmetrico” della
Famiglia e del De Aedificatoria; se là emergevano rigore, armonia, compostezza, misura, ragione, qua sono protagonisti bizzaria, follia, rivolta, offesa, irrazionalità, paradossalità. Due anime antinomiche quindi
si alternano in Alberti, correggendo anche
Lo Stato di diritto, di S. Amato: attraverso
un’analisi dell’origine dello Stato e del
diritto moderno e dei modelli di pensiero
che li fondano, l’idea dello Stato di diritto
pare basarsi su una sorta di triangolo: potere, diritto, verità.
Uno sguardo da nessun luogo. Thomas
Nagel e la filosofia come sapere riflessivo,
di M. La Torre: un esame del recente libro
di T. Nagel, tradotto in italiano con il titolo:
Una brevissima introduzione alla filosofia
(Il Saggiatore, Milano 1989), offre l’occasione per ripercorrere alcune fondamentali
tesi di Nagel, in riferimento, soprattutto, al
campo etico e metaetico.
IRIDE
n. 7, luglio-dicembre 1991
Ponte alle Grazie, Firenze
Il principio di indeterminazione e il progresso scientifico, di H. Putnam.
La meccanica quantistica: uno spettro di
interpretazioni, di B. C. van Fraassen: se
l’interpretazione delle teorie scientifiche
rappresenta uno degli scopi fondamentali
della filosofia della scienza, è indubbio che
tali interpretazioni rifuggono da qualsiasi
chiarezza circa la natura e le implicazioni
RASSEGNA DELLE RIVISTE
delle teorie considerate; al contrario le oscurità e la problematicità relative ad una teoria scientifica del passato si ripropongono
costantemente, indipendentemente dal fatto che essa sia ormai stata superata: emblematici sono sia il caso della meccanica
classica newtoniana, sia i problemi inerenti
alla relatività di Einstein. Sorge quindi un
meta-problema: comprendiamo una teoria
formulandone un’interpretazione, oppure
restiamo insoddisfatti finché non potremo
decidere circa l’una o l’altra interpretazione? Un problema evidente anche in relazione alla meccanica quantistica.
Il relativismo metaetico da Moore a Brandt, di M. Vacatello: alcune considerazioni
in particolare sulla forma di relativismo
che analizza il significato dei giudizi morali o le forme di argomentazione razionale,
proponendosi come teoria metaetica.
L’etica come misura di verità scientifica,
di P. K. Feyerabend.
Valutazioni critiche dell’etica politica, di
D. F. Thompson: l’etica politica rappresenta quel campo di riflessione nel quale filosofi, scienziati, economisti trovano la possibilità di misurarsi concretamente con la
politica pubblica. Il suo successo è anche
dimostrato dalla vasta letteratura critica di
cui essa è oggetto dal punto di vista, tra
l’altro, realista, critico-ideologico, strutturale, personalista.
Minimalismo morale, di M. Walzer: la contrapposizione tra “morale minima” (moral
minimum) e “morale sviluppata” (moral
maximum), tra “morale essenziale” (thin
morality) e “morale completa” (thick morality).
Etica e politica nell’età nucleare. Fine
della deterrenza?, di F. Cerutti.
Il problema della pace oggi, di E. Tugendhat.
Complessità senza appigli, di N. Luhmann:
un approccio al problema della complessità a partire dalla distinzione tra connettibilità completa e connettibilità selettiva.
Definire la “complessità”. Una proposta,
di E. Esposito.
Sulla distinzione kantiana tra giudizi sintetici e giudizi analitici, di E. W. Beth: questo
testo, risalente al 1953-54 nella versione
tedesca e al 1942 in quella olandese, propone alcune idee estremamente rilevanti nel
dibattito filosofico sull’analiticità e la matematica della filosofia kantiana.
La contesa della bellezza, le metamorfosi
del sublime, di G. Franck: recensione di F.
Rella: L’enigma della bellezza (Feltrinelli,
Milano 1991) e di L. Bonesio: La ragione
estetica (Guerini, Milano 1991).
Il mito e il suo altro. Note su Romantik,
ermeneutica, modernità, di F. Vercellone.
La frase infinita di Gargani, di M. Vozza:
l’oscillazione tra filosofia e poesia di Aldo
Giorgio Gargani.
Capitalismo, socialismo, democrazia.
Schumpeter cinquant’anni dopo, di D. Zolo.
ARCHIVIO
DI STORIA DELLA CULTURA
Anno V, 1992
Morano Editore, Napoli
Kant e Linneo. Un “superamento” scientifico-filosofico di una visione “descrittiva”
della natura, di S. Marcucci: è nelle lezioni
di geografia fisica, non pubblicate, e negli
appunti che costituiscono l’Opus postumum che la polemica tra Kant e Linneo
diviene evidente ed esplicita. Analisi dei
temi centrali linneani tenuti presenti da
Kant, della posizione di Kant, a livello
scientifico e filosofico, circa il concetto di
sistema, in generale, e, più in particolare,
circa la distinzione tra classificazione artificiale e classificazione naturale. In tale
prospettiva è possibile cogliere il superamento kantiano della posizione linneana.
Kant e la questione del sublime, di F.
Fanizza: il ripensamento kantiano del sublime significa anche un allontanamento
dall’idea classicistica del sublime; ripercorrendo le tappe dell’analisi kantiana,
viene scoperta la valenza dell’aspetto antropologico-psicologico del problema del
sublime.
Sul rapporto tra giudizio di gusto e interpretazione nella filosofia del bello di Kant,
di M. Riedel.
Critica del giudizio e metafisica del senso,
di M. Barale: un’interpretazione complessiva della filosofia kantiana quale metafisica del senso, in rapporto alla funzione della
Critica del Giudizio rispetto al progetto di
una critica della ragion pura e ad una filosofia trascendentale.
Finalità kantiana e teleologia hegeliana,
di L. Lugarini: nonostante i numerosi apprezzamenti espressi da Hegel per la scoperta kantiana dell’idea di scopo, esiste una
difformità di fondo nelle considerazioni
dei due pensatori circa l’idea di finalità.
Scopo come attività riflettente in Kant e
come determinazione dell’oggettività in
Hegel; il riferimento all’Urteilskraft in Kant
ed al Begriff in Hegel; la determinazione
concettuale dell’oggettività secondo fini di
tipo giudicativo in Kant e sillogistico in
Hegel; l’unione del concetto con se stesso
hegeliano.
Attività del linguaggio e produttività del
pensiero in W. Von Humboldt, di A. Carrano.
August Böckh: tra filologia e filosofia, di
G. D’Alessio.
Nota su “contingenza”, “singolarità” e
“coerenza” dell’esperienza nella Critica
del Giudizio, di F. Chiereghin: giudizio
come fondamento della coerenza della totalità dell’esperienza; il contingente, estraneo all’attività legislatrice dell’intelletto,
come oggetto della “riflessività” del giudizio.
Il cielo stellato e l’analogia come fondamento nella Critica del Giudizio, di B. M.
d’Ippolito.
Il disinteresse nel giudizio di gusto. Fondazione e presupposizione nella Critica del
Giudizio, di F. Desideri: esame della questione del disinteresse, proprio del giudizio
di gusto, che rappresenterebbe il fondamento della possibilità dell’autonomia dello stesso.
La dialettica di spirito e lettera nel pensiero di Friedrich Schlegel, di C. Ciancio.
Il colloquio tra io e sé nello Zarathustra di
Nietzsche, di E. Mazzarella: la “scienza”
psicologica nietzscheana rappresenta un
momento dello sviluppo della filosofia
moderna che, con Cartesio, ha posto la
questione dell’essere a partire da una problematica onto-teo-egologica; le ontologie
nel moderno si risolvono soltanto prendendo le mosse dall’io ed a questa regola non
si sottraggono né Nietzsche, né lo stesso
Heidegger.
Intorno a Wille zur Macht e Cristianesimo,
di A. Giugliano: soprattutto a partire dalla
primissima elaborazione dello Zarathustra,
il discorso nietzscheano perde il carattere
apparente di polemica storica, culturale,
psicologica, di stampo illuministicamente
ateistico, per assumere i toni di un più
profondo spessore teoretico circa la questione del senso dell’accadere storico nella
sua totalità.
Aspetti politici della storiografia tedesca
nella Repubblica di Weimar, di K. E. Lönne.
Gli studi europei di filologia classica nel
XX secolo, di G. Polara.
Il problema Clausewitz e la letteratura
monografica degli ultimi decenni, di M.
Barbieri.
Compare inoltre, per la prima volta in traduzione italiana, un testo del 1896-96, Che
cos’è la storia della cultura? Contributo
ad una istorica empirica, dello storico Karl
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Lamprecht (1856-1915), fondatore a Lipsia di un “Institut für Kultur und Universalgeschichte”; ad esso è premessa una breve
introduzione di G. Cacciatore dal titolo: “I
‘principi’ della Kulturgeschichte”.
AUT-AUT
n. 248-249, marzo-giugno 1992
La Nuova Italia, Firenze
Tema della rivista: i Beiträge zur Philosophie (Vom Ereignis).
Conversazione con Jacques Derrida: testo
di una conversazione avvenuta a Napoli nel
1991 con la partecipazione di V. Vitiello,
M. Ruggenini, P. Peñalver Gomez, C. Alunni, V. Verra, M. Ferraris.
L’evento della svolta, di O. Pöggeler: dopo
aver ricostruito il percorso lungo il quale
Heidegger sviluppa il suo discorso circa
l’evento appropriante (Ereignis), vengono
affrontati i Beiträge come una sorta di
salita verso la “svolta”.
I doppi vincoli ultimi, di R. Schürmann:
l’articolo affronta una delle problematiche
fondamentali della riflessione heideggeriana, il suo atteggiamento nei confronti
della filosofia alla luce della più ampia
questione che attraversa i suoi scritti, quella dell’essere come tempo, come condizione ultima dei fenomeni.
Vita e pensiero, Milano
Un nuovo e diverso “ritorno a Parmenide”. L’interpretazione del Poema sulla
Natura proposta da Giovanni Reale e Luigi
Ruggiu, di M. Migliori: recensione della
nuova edizione dei frammenti e delle testimonianze indirette su Parmenide curati da
G. Reale e presentate da un saggio introduttivo di L. Ruggiu (Parmenide, Poema sulla
natura, Rusconi, Milano 1991).
Origine et portée de la formule dialectique
du Proslogion de Saint Anselme. De
l’”argument ontologique” à l’”argument
mégalogique”, di C. E. Viola: riflessione
sull’argomento ontologico di S. Anselmo
attraverso la dialettica del concetto di “Maius” in rapporto al concetto di “Cogitari”.
Essere e intellectus. Una prefazione alla
metafisica, di V. Possenti: l’articolo esamina le due linee di sviluppo che si presentano
alla filosofia in rapporto alla questione
della possibilità della metafisica come capacità dell’intellectus-nous di attingere l’essere; una linea va positivamente dall’’intellectus alla metafisica, l’altra va dalla
negazione dell’intelletto e dell’intuizione
intellettuale al nichilismo speculativo.
Stato della questione e bibliografia ragionata sul dialogo De Musica di S. Agostino
(1940-1990), di M. Bettetini.
La contrada dello straniero, di F. Duque.
Seyn als Wesung: Heidegger e il nichilismo, di V. Vitiello: partendo dalla domanda sul senso dell’essere, vengono prese in
esame le parole chiave del testo heideggeriano per approdare ad un confronto con
Nietzsche ed Hegel.
La questione dell’essere e il senso della
“Kehre”, di M. Ruggenini.
Il sacrificio di Heidegger, di M. Ferraris: la
fenomenologia del morire e le allegorie
della morte; il rapporto tra il mio autentico
morire e l’esperienza del lutto e del sacrificio dell’altrui morte come questione primaria nel rapporto con la morte.
RIVISTA DI FILOSOFIA
Vol. LXXXIII, n. 2, agosto 1992
Il Mulino, Bologna
Dalla logica teoretica alla logica pratica,
di C. Cellucci: negli ultimi quindici anni la
logica si è dilatata da pura logica teoretica,
con fini di carattere eminentemente ideologici, tesi a giustificare la basi della certezza
della matematica, a logica pratica, collegata allo sviluppo dell’informatica. Al paradigma “logica matematica” si è così sostituito il paradigma “logica computazionale” che, lungi dall’essere un semplice sviluppo tecnico della logica matematica, ha
condotto, al contrario, ad uno sgretolamento di essa.
Dall’esperienza del vissuto all’esperienza
del pensiero. Sulle trasformazioni dei concetti di Erlebnis e di Erfahrung nei Beiträge zur Philosophie, di R. Cristin.
Tra cellula e malattia, di G. Pareti: una
storia della patologia tumorale agli albori
della teoria cellulare.
La possibilità della decisione nei Beiträge,
di M. De Carolis: il problema della possibilità della decisione, che in Essere e Tempo
è posta su un piano esistenziale, nei Beiträge su un piano storico.
Logica trascendentale e ontologia fondamentale: Emil Lask e Martin Heidegger, di
C. Demmerling: il saggio intende esaminare uno dei molteplici motivi che concorrono alla genesi di Essere e Tempo: il neocriticismo tedesco nella versione di E. Lask
(1875-1915).
RIVISTA DI FILOSOFIA
NEOSCOLASTICA
Vol. LXXXIII, n. 3, luglio-settembre 1991
Pufendorf e Hobbes, di N. Bobbio.
Prospettive storiografiche sul millenarismo, di A. Bettini: le interpretazioni del
chiliasmo a partire dagli anni ’50 del nostro
secolo.
TEORIA
Vol. XII, n. 1, 1992
ETS, Pisa
C’è un circolo dell’autocoscienza?, di K.
Düsing: uno schizzo delle posizioni paradigmatiche e dei modelli di autocoscienza
da Kant ad Heidegger.
Il pensare è spontaneo?, di S. Rosen: la
dottrina di Kant presenta un fondamentale
problema filosofico, quello della spontaneità in campo teoretico, secondo cui l’attività del pensare ci separa da ciò che pensiamo. Come è possibile risolvere tale questione?
Consapevolezza e riferimento oggettivo, di
G. Varnier: il problema dell’autocoscienza
viene affrontato dapprima attraverso l’esame di problemi relativi al rapporto coscienza-autocoscienza da Cartesio alla filosofia
classica tedesca, poi alla luce delle analisi
linguistiche ed epistemologiche del fenomeno dell' (auto) consapevolezza.
Autocoscienza, riferimento dell’io e conoscenza di sé, di A. Ferrarin: il dibattito
contemporaneo relativo all’analisi della
struttura della coscienza sotto l’influsso
della filosofia analitica.
Credere e sapere, di H. J. Iwand: viene qui
presentato, a cura di S. Sorrentino, uno
scritto inedito di Iwand che costituisce il
testo incompiuto di una conferenza che il
teologo tenne più volte, a partire dal 1955,
sul tema: “Fede e sapere”.
AQUINAS (Vol. XXXIV, Facoltà di
Filosofia della Pontificia Università
Lateranense, Roma) ha pubblicato, nel
corso del 1991, una serie di interessanti
articoli, tra cui ricordiamo: Etica e
morale: mira teleologica e prospettiva
deontologica, Di. P. Ricoeur (n. 1,
gennaio-aprile 1991) e Edith Stein: la
dottrina degli Angeli, di X. Tilliette (n. 3,
settembre-dicembre 1991).
AESTHETICA (n. 34, aprile 1992, Centro
Internazionale Studi di Estetica, Palermo)
presenta uno scritto di Denis Diderot piuttosto trascurato dalla critica e qui pubblicato integralmente per la prima volta in italiano, i Pensieri sparsi sulla pittura, la scultura e la poesia per continuare i “Salons”,
opera nata dalla lettura della traduzione
francese delle Betrachtungen über die
Malerei di C. L. von Hagendorn e dalle
RASSEGNA DELLE RIVISTE
visite alle gallerie olandesi, tedesche e russe nel 1773-74.
PHILOLOGICA (n. 1, Giugno 1992, Dipartimento di Filosofia e Istituto di Filologia
Moderna, Parma) offre ai lettori una serie
di interessanti articoli a carattere filosofico e letterario; tra gli altri: Quale skoteinotes? Sul rapporto che Eraclito instaura
con il suo uditorio potenziale, di L. Rossetti; Sophismata Asinina. L’analisi linguistica nella logica medievale, di L. Pozzi; Precisioni platoniche, di S. Novel Pieri; Linguaggio e teoria in Abelardo, di R.
Pinzani.
TELLUS (n. 7, ottobre 1992, Morbegno-
SO) presenta una serie di articoli attorno al
tema “Il tramonto dell’uomo selvatico”. La
proposta intende sviluppare il tema del
rapporto tra selvaticità della montagna e
tramonto della categoria del selvaggio; proprio la caduta e la crisi della pedagogia del
selvatico pare sottrarre la montagna al suo
secolare stato di minorità, perdendo la sua
essenza, per farle acquistare una diversa
dimensione umana e spirituale.
INTERSEZIONI (Vol. XII, n. 2, agosto
1992, Il Mulino, Bologna) presenta un articolo di G. Forni: Simone Weil. Il tradizionalismo rivoluzionario, che parte dall’interpretazione data da Dujardin (1975) secondo cui Weil, spostandosi dal “Bolscevismo sentimentale” all’ipotesi di “co-gestione padronato-lavoratori”, prodromo del
corporativismo, avrebbe aderito ad un tradizionalismo reazionario di stampo antitecnico e anti-scientifico rivolto al passato.
E’ alla luce di questa interpretazione che
viene proposta un’analisi dell’ultima opera
di S. Weil, La prima radice (1942-43).
FILOSOFIA ’91 (Laterza, Bari, 1992) a
cura di G. Vattimo e M. Ferraris, sviluppa
una riflessione sulla razionalità dell’ermeneutica. Il volume si apre con un colloquio
di Sergio Givone con Luigi Pareyson, a cui
fanno seguito quattro sezioni: la prima,
“Come argomentano gli ermeneutici”, offre interventi di M. Ferraris (Dare ragione), A. Gargani (La copia e l’originale), G.
Vattimo (Ricostruzione della razionalità)
e le obiezioni di E. Berti (Come argomentano gli ermeneutici?) e K. O. Apel (Autocritica o autoeliminazione della filosofia?);
la seconda, “Topologie del fondamento”,
presenta interventi di J. Derrida (Pupille
Dell’Università. Il principio di ragione e
l’idea dell’Università) e di V. Vitiello (Razionalità ermeneutica e topologia della
storia); la terza, “Storia e teoria”, presenta
gli interventi di U. Eco (Forma locutionis),
Moiso (La natura e i simboli) e F. Volpi
(L’esistenza come praxis: le radici aristoteliche della terminologia di Essere e Tempo), che esaminano alcune esperienze storiche significative del rapporto tra ermeneutica e razionalità; nella quarta appare un
testo di Hans Lipps, risalente agli anni
Trenta, che per la prima volta pone esplicitamente il problema della logica ermeneutica: Logica formale e logica ermeneutica.
di A. Villani, e un intervento di F. Bosio su
Il nazismo di Martin Heidegger.
LA FILOSOFIA (Anno IX, n. 24,
gennaio-aprile 1992, Massimo, Milano)
presenta un numero monografico sul tema:
“Estetica e poetica”. Tra i numerosi interventi segnaliamo Estetica ed etica in Kierkegaard, di G. Mollo, e L’estetica in Jacques e Raïssa Maritain, di G. Galeazzi.
PER
THEOLOGIE UND PHILOSOPHIE (Vol. 67, n.
1, 1992, Herder, Freiburg, Basel, Wien)
propone un articolo di O. Muck, Eigenschaften Gottes im Licht des Gödelschen
Arguments, sul rapporto tra problema di
Dio e logica formale a partire da un frammento di Kurt Gödel del 10 febbraio 1970
dal titolo: Ontologischer Beweis (Prova
ontologica).
NUOVA CIVILTA’ DELLE MACCHINE (Vol.
X, n. 1, 1992, Nuova Eri, Roma) pubblica
le relazioni del convegno di Locarno del
1990, dedicato al tema: “Etica e politica”.
Interventi di V. D. Segre, E. Berti, P. Bourdieu, H. E. Richter, M. Walzer, S. Veca, R.
Bodei, A. Gutmann, D. F. Thompson, M.
Viroli, M. A. Somerville, P. K. Feyerabend, C. Yturbe, P. P. Portinaro.
FENOMENOLOGIA E SOCIETA’ (Anno XIV,
n. 3, Piemme, Milano) presenta un articolo
di F. Avanzini, L’utopia neoilluminista di
Norberto Bobbio, ed uno di F. Coppellotti,
Augusto Del Noce: la filosofia contro fascismo-antifascismo. Compaiono inoltre:
La concezione del governo in Adam Smith,
SEGNI E COMPRENSIONE (Anno VI, n. 16,
maggio-agosto 1992 Capone editore, Lecce) presenta un articolo di W. L. McBride
dal titolo: Sartre e il postmodernismo. Compaiono inoltre: Un “Leitfaden” per la lettura delle opere nietzscheane, di G. Rocci;
Nietzsche e “il cinese di Königsberg”.
Appunti di un filologo metacritico, di M.
Simonetta.
MARX CENTOUNO propone un volume mo-
nografico dal titolo: Cronache dal centro
dell’Impero. USA: crisi, conflitti sociali,
politica del “nuovo ordine” mondiale nelle analisi di marxisti e radical americani,
che prende in esame il dissolvimento dell’Unione Sovietica e del “campo socialista”, con il relativo superpotere degli Stati
Uniti nella definizione di un “nuovo ordine” mondiale. Il volume, che si presenta
NOVITA' IN LIBRERIA
A. A. V. V.
L’arte della persuasione scientifica
a cura di M. Pera e William R. Shea
Guerini e Ass., Milano giugno 1992
pp. 273, L. 40. 000
I saggi raccolti in questo libro sono un
antidoto contro i due mali principali
della filosofia della scienza contemporanea: la sindrome cartesiana e la
sindrome anarchica che nascono entrambe dal presupposto che il gioco
scientifico dipenda dal rapporto tra la
mente che elabora le concezioni sotto
forma di domande e la natura che
fornisce le risposte come fatti e percezioni, sotto la regola di un arbitro, il
metodo. In realtà il gioco scientifico è
più complesso e la conoscenza scientifica dipende da una duttile arte della
persuasione.
A. A. V. V.
L’universo della comunicazione.
Prospettive europee
a cura di Maria Adelaide Raschini
Jaka Book, Milano aprile 1992
pp. 169, L. 23. 000
Un’analisi degli aspetti della sostanza concettuale della comunicazione
come simbolarità e gestualità originarie, come linguaggio poetico, nei
media e nel rapporto scienze-mass
media, come immagine, come possibilità di trasparenza dell’ethos politico, come momento di riflessione antropo-sociologica.
A. A. V. V.
Lo straniero ovvero
l’identità culturale a confronto
a cura di Maurizio Bettini
Laterza, Bari luglio 1992
pp. 178, L. 27. 000
Dall’antichità, alle società di interesse etnografico, alla riflessione della
civiltà occidentale, la comparsa dello
straniero ha sempre rappresentato un
elemento incomprensibile. Attraverso una serie di saggi centrati su esempi diversissimi, il libro mostra il senso dell’alterità dello straniero.
A. A. V. V.
Max, Loreau, 1928-1990
Lebeer-Hossmann, maggio 1992
pp. 136, FF 165
I contributi presentati alla seduta del
Dollège International de philosophie
del 10 maggio 1990 in omaggio a
Max Loreau, filosofo, autore del Grido.
A. A. V. V.
Hobbes e Spinoza. Scienza e politica
Atti del Convegno Internazionale di
Urbino - 14-17 ottobre 1988
a cura di Daniela Bostrenghi
Bibliopolis, Napoli luglio 1992
pp. 732, L. 80. 000
Il volume contiene i saggi del Convegno Internazionale organizzato dall’Istituto di Filosofia dell’Università
di Urbino in occasione del quarto
centenario hobbesiano.
A. A. V. V.
Figure del paradosso.
Filosofia e teoria dei sistemi 2
a cura di Rino Genovese
Liguori Editore, Napoli aprile 1992
pp. 304 L. 30. 000
NOVITA' IN LIBRERIA
Medio Evo. Il presente volume contiene un’edizione critica della traduzione in latino di Michele Scoto di
una versione araba della terza parte,
“Generazione degli animali”.
Aubenque, Pierre
Etudes sur le Sophiste de Platon
Bibliopolis, Napoli maggio 1991
pp. 592, FF 548
Il Sofista non è solo il luogo dove
vengono esposti i problemi particolari del platonismo, ma anche un testo
centrale nella storia dell’ontologia.
Il concetto di paradosso è oggi al
centro non solo di una tradizionale
prospettiva logico-matematica, ma
anche di altri campi di ricerca. Il
volume si confronta quindi con gli
autori che costituiscono i punti di
riferimento classici del problema
(Russell, Wittgenstein, Bateson, Quine, Deleuze) per rilevare possibili
ulteriori sviluppi del problema.
A. A. V. V.
I progressi della filosofia
nell’Italia del Novecento
Marano Editore, maggio 1992
pp. 599
Adorno, Francesco
La filosofia antica
IV. Cultura, filosofia,
politica e religiosità
II - VI secolo d. C.
Feltrinelli, Milano settembre 1992
pp. 512, L. 28. 000
Ales Bello, Angela
Fenomenologia dell’essere umano.
Lineamenti di una
filosofia al femminile
Città Nuova Editrice
Roma aprile 1992
pp. 207, L. 22. 000
La proposta fenomenologica accolta
da Hedwig Conrad-Martius (18881966), Edith Stein (1891-1942), Gerda Walther (1897-1977) consente di
dare un impulso originale alla ricerca
filosofica attraverso un’analisi che,
muovendo da settori specifici, tende
a dilatarsi verso la comprensione della totalità e che fornisce, pertanto,
una peculiare soluzione dei problemi
che sono posti dalle scienze della
natura, dalle scienze umane e dalla
metafisica. Il metodo fenomenologico si mostra quindi particolarmente
congeniale alla modalità femminile
di approccio ai problemi.
Althaus, Horst
Hegel und die heroischen
Jahre der Philosophie.
Eine Biographie.
Hanser, München maggio 1992
pp. 528, DM 58
Con un’approfondita cognizione della ricerca biografica e filosofica, Althaus ci raffigura la personalità di
Hegel, facendo conflluire storia della
vita, del suo tempo e filosofia.
Althoff, Jochen
Warm, kalt, flüssig, und fest
bei Aristoteles.
Die Elementarqualitäten in den
zoologischen Schriften
Steiner, Stuttgart maggio 1992
pp. 320, DM 80
Annas, Julia E.
Hellenistic Philosophy of mind
University of California Press
Berkeley giugno 1992
pp. 255, $42
Elegante ricognizione delle idee stoiche ed epicuree sull’anima; un’introduzione a due antiche scuole le cui
credenze sulla fisicità dell’anima spesso offrono innegabili parallelismi con
i moderni approcci della filosofia della
mente.
Apel, K. -O. - Ketnner, M.
(a cura di)
Zur Anwendung des Diskursethik
in Politik, Recht und Wissenschaft
Suhrkamp, Frankfurt/M. giugno 1992
pp. 376, DM 26
Arendt, Hannah
La banalità del male
Eichmann a Gerusalemme
Feltrinelli, Milano settembre 1992
pp. 352, L. 40. 000
Al suo comparire, nel 1963, questo
libro provocò accese discussioni e
pesanti critiche alla sua autrice, recatasi a Gerusalemme come inviata del
New Yorker per il processo contro il
nazista Eichmann. Assistendo a quel
discusso dibattimento, la Arendt scoprì “la terrificante normalità umana”
del secolo delle Ideologie Organizzate dove i servitori del Male non sono
altro che piccoli, grigi burocrati del
tutto simili al nostro vicino di casa
(come aveva già intuito Franz Kafka).
Aristotele
De animalibus
Michael Scot’s
arabic-latin translation:
Part 3. Books XV-XIX:
Generation of animals:
With a greek index
to “De generatione animalium”
a cura di Aafke M. I. van Oppenraaij
H. J. Drussaart Lulofs
E. J. Brill, giugno 1992
pp. 532
Il “De animalibus” di Aristotele è
stato la fonte principale di conoscenza zoologica sia per gli antichi greci
che per gli arabi e gli europei nel
Aviau de Ternay, Henri d’
La Liberté kantienne:
un impératif d’exode
Cerf, Paris maggio 1992
pp. 234, FF 149
Un viaggio nelle tre Critiche suscitato dalla dinamica paradossale della
legge della libertà kantiana, come libertà all’interno della responsabilità.
Tre sfide che affrontano tale libertà
responsabile per ciò che riguarda la
religione, il diritto e la metafisica.
Bachelard, Gaston
La Poétique de l’espace
PUF, Paris aprile 1992
pp. 214, FF 48
Il filosofo delle scienze si è interessato anche all’immaginario e alla poesia. In quest’opera, apparsa per la
prima volta nel 1957, si trovano le
famose pagine sulla “casa, dalla cantina al solaio”, “il nido”, “la conchiglia”, eccetera.
Balibar, Françoise
Einstein, 1905:
de l’éther aux quanta
PUF, Paris giugno 1992
pp. 128, FF 198
La storia del concetto di campo in
fisica, dal momento della sua elaborazione (legata alla nozione di etere)
fino al momento in cui Einstein, nel
1905, lo ha reso tale in se stesso,
ponendo così, con l’ipotesi dei quanta di luce, le basi della sua modificazione e conferendogli il suo senso
attuale.
Bartels, Hans-P.
Logik und Weltbild
Leske und Budrich
Opladen giugno 1992
pp. 125, DM 39
Bauman, Zigmunt
La decadenza degli intellettuali
Bollati Boringhieri
Torino settembre 1992
pp. 240, L. 36. 000
L’autore mette al centro della sua
brillante sintesi di tre secoli di storia
dei rapporti tra potere e sapere le
“strategie” in base alle quali gli intellettuali si sono autodefiniti come tali.
Si tratta ovviamente del ruolo del
lavoro intellettuale nelle società moderne, che trovò la sua definizione
canonica con i philosophes dell’illuminismo e che sembra aver subito
una radicale trasformazione in epoca
“postmoderna”.
NOVITA' IN LIBRERIA
Baumgarten, Hans-Ulrich
Kant und Tetens.
Untersuchungen zum Problem
von Vorstellung und Gegenstand
M&P, Stuttgart maggio 1992
pp. 150, DM 29,80
Beckermann, A. et al. (a cura di)
Emergence or reduction?
Essays on the prospects of
nonreductive physicalism
de Gruyter, Berlin giugno 1992
pp. 315, DM 152
Raccolta di saggi sulla questione se
un ricordo della teoria dell’emergenza, le caratteristiche dei sistemi complessi non possano essere fatte risalire alle caratteristiche e alla disposizione delle loro parti; schiude nuove
prospettive sull’attuale dibattito sulla
riducibilità del mentale al fisico.
Berdjaev, Nikolaj
L’idea russa
I problemi fondamentali
del pensiero russo
(XIX e inizio XX secolo)
Mursia Ed., Milano settembre 1992
pp. 320, L. 48. 000
Un avvincente e denso excursus storico introduce al nucleo centrale del
libro, l’Ottocento e le sue problematiche essenziali: la filosofia della storia, la persona e l’ordine del mondo,
l’umanesimo e la sua dialettica, il
tema sociale, la questione religiosa e
le tematiche escatologiche. Un panorama della rinascita culturale che segnò in Russia il principio del nostro
secolo.
Berger, Christian P.
Erstaunte Vorwegnahmen.
Studien zum frühen Wittgenstein.
Mit einem Vorwort von A. Janik
Böhlau, Köln giugno 1992
pp. 264, DM 54
Berger, Wilhelm
Das Bedürfnis und sein Schatten.
Vorarbeiten zu einer Philosophischen
Anthropologie
Karl Alber
Freiburg i. Br. giugno 1992
pp. 280, DM 70
Tutte queste teorie, come si vedrà, si
basano su un gesto fondante, che concepisce il concetto dell’uomo insieme al concetto della storia e che non
si può più seguire incondizionatamente. Il libro svela le evidenti aporie
nel tema fondamentale antropologico dei bisogni umani.
Bergson, Henri
Lettere a Xavier Léon e ad altri
a cura di Renzo Ragghianti
Bibliopolis, Napoli maggio 1992
pp. 187, L. 50. 000
Berkhof, Henrik
200 anni di teologia e filosofia.
Da Kant a Rahner
a cura di Michele Fiorillo
Claudiana, Torino maggio 1992
pp. 462, L. 48. 000
Un intelligente Baedeker per scoprire
ed approfondire i momenti critici, i
punti nodali e le controversie decisive nel dibattito fra teologia e filosofia, nello sforzo di gettare un necessa-
rio ponte tra cultura laica ed Evangelo.
Blumberger, W. - Nemeth, D.
(a cura di)
Der technologische Imperativ.
Philosophische und
gesellschaftliche Orte der
technologischen Formation.
Heinz Hülsmann zum 75. Geburstag
Profil, München giugno 1992
pp. 320, DM 88
Bollack, Jean
Empédocle
1: Introduction
à l’ancienne physique
2: Les Origines
3: Les Origines
Gallimard, Paris aprile 1992
pp. 420, FF 92
Per questa tesi sostenuta negli anni
’60 Jean Bollack ha raccolto numerosissimi documenti compiendo un gigantesco lavoro filologico. Il primo
volume espone il pensiero di Aristotele e dei presocratici, il secondo presenta una traduzione delle opere di
Empedocle e l’ultimo fornisce un
acuto commento dell’insieme.
Bonar, James
Moral sense (1930)
Theommes Press, giugno 1992
pp. 300, £ 40
Il volume consta di saggi di Shaftesbury, Hutcheson, Hume e Adam
Smith, con incursioni fra i critici contemporanei, da parte di uno dei grandi
studiosi della storia intellettuale del
XVIII secolo.
Borne, Etienne
Le Problème du mal
PUF, Paris giugno 1992
pp. 128, FF 48
Quando la filosofia cerca di risolvere
il problema del male, non trova soluzioni ma incontra l’uomo, l’uomo
nudo al di là del mito, l’uomo solo al
di qua di Dio, l’uomo prometeo e
cristiano al quale non è vietato trovare nell’esperienza il senso della propria esistenza, vale a dire della propria passione.
Borsche, Tilman
Was etwas ist. Fragen nach
der Wahrheit der Bedeutung
bei Platon, Augustin
Nikolaus von Kues und Nietzsche
W. Fink, München giugno 1992
pp. 336, DM 68
Il libro tratta della domanda più fondamentale, più esigente della metafisica e ne segue l’evoluzione nell’arco
di due millenni di pensiero occidentale.
Bosanquet, Helene
Bernard Bosanquet (1924):
A short account of his life
Thoemmes Press, giugno 1992
pp. 160, £ 32
Il resoconto della vita di uno dei più
influenti idealisti britannici, Bernard
Bosanquet.
Bosio, Franco
Martin Heidegger.
Prospettive e itinerari
Franco Angeli, Milano giugno 1992
pp. 160, L. 25. 000
L’analisi del pensiero di Heidegger è
condotta prendendo in esame tematiche varie e diversificate, nell’intento
di mettere in luce sia le ragioni più
profonde del presunto “irrazionalismo” heideggeriano, sia i suggerimenti e gli impulsi più vitali che il
pensiero odierno può accettare dalla
sua mediazione.
Boulad-Ayoub, Josiane
L’Activité symbolique
dans la vie sociale
Université du Québec
Départment de philosophie
giugno 1992
pp. 217, FF 96
Una riflessione sulle descrizioni dell’attività simbolica che troviamo nel
discorso antropologico sulla cultura e
le rappresentazioni collettive.
Bourgeois, Bernard
Etudes hegéliennes:
raison et décision
PUF, Paris aprile 1992
pp. 416, FF 198
I saggi riuniti in questa raccolta rivelano nell’hegelismo una filosofia che
può rinsaldare, lontano dalle astrazioni del liberalismo e dell’individualismo, il pieno conseguimento
della libertà dell’individuo, in quanto
che la ragione hegeliana, al fondo, è
proprio decisione.
Bouwsma, William, J.
Giovanni Calvino
a cura di Aldo Comba
Laterza, Bari luglio 1992
pp. 441, L. 58. 000
A partire da un’approfondita analisi
testuale, il libro ripercorre la vita ed il
pensiero del grande riformatore.
Breier, Karl-H.
Hannah Arendt zur Einführung
Junius-Vlg., Hamburg maggio 1992
pp. 184, DM 17,80
Brezzi, Francesca
A partire dal gioco .
Per i sentieri di un pensiero ludico
prefazione di Paul Ricoeur
Marietti, Genova febbraio 1992
pp. 134, L. 25. 000
Il gioco come rottura della ragione e
del logos unificante e totalizzante;
pensare a partire dal gioco può porci
all’interno della misteriosa identità di
gioco e sacro, legando l’Homo ludens
al Deus ludens.
Brockmeier, Jens
”Reines Denken”.
Zur Kritik der theologischen
Denkform
Grüner, Amsterdam maggio 1992
pp. 331, DM 165
Brun, Jean
Le Stoicisme
Puf, Paris aprile 1992
pp. 128, FF 38
Fondato da Zenone verso il 300 a. C.,
lo stoicismo non ci ha lasciato molti
scritti. Lo studioso deve dunque accontentarsi di frammenti e di citazio-
ni più o meno fedeli. Qui l’autore fa il
punto su questa scuola filosofica e
sulle sue tre sezioni: la logica, la
fisica e la morale.
Bühler, Axel
Einführung in die Logik.
Argumentation und Folgerung
Karl Alber
Freiburg i. Br. giugno 1992
pp. 300, DM 38
Questo libro di testo parte dalla lingua naturale e dalle sue forme grammaticali e da qui sviluppa la logica
formale. Nel punto centrale di tale
esposizione si colloca la deduzione
logica.
Buhr, Manfred
Ragione e rivoluzione nella
filosofia classica tedesca
Ist. Ital. per gli Studi Filosofici
Napoli, marzo 1992
pp. 120, L. 30. 000
Bürger, Peter
Das Denken des Herrn.
Bataille zwischen Hegel
und dem Surrealismus. Essays
Suhrkamp, Frankfurt giugno 1992
pp. 180, DM 36
In modi diversissimi fra loro, autori
come Bataille e Blanchot, Lacan,
Derrida e Heidegger fanno dell’esperienza estetica lo strumento di una
critica filosofica del Moderno. Lo
status di questo libro fra filosofia e
letteratura istituisce un rapporto tra le
due, che non procede ricostruendo e
criticando, ma coglie la contrapposizione con quelle come processo.
Campagna, Nunzio
Potere, legalità, libertà.
Il pensiero di F. M. Pagano
presentazione di Antimo Negri
Calice Editori
Rionero in Vulture aprile 1992
pp. 264, L. 35. 000
Il riformismo di Pagano a partire da
uno dei suoi capitoli centrali, dal titolo, appunto, Libertà, Legge, Potere.
Carr, Brian
Mahalingham, Indira
John Stuart Mill
Harvester Wheatsheaf
giugno 1992
pp. 244, £ 35
Un’analisi del pensiero filosofico di
John Stuart Mill. L’autore cerca di
dimostrare che l’unità organica del
pensiero di Mill, dalla logica alle questioni di morale, ai fenomeni politici
e sociali, ha molto da insegnare sui
fondamenti filosofici dell’indagine
sociale.
Cavallar, Georg
Pax Kantiana.
Systematisch-historische
Untersuchung des Entwurfs
”Zum ewigen Frieden” (1795)
von Immanuel Kant
Böhlau, Wien/Köln maggio 1992
pp. 480, DM 98
Centre de Philosophie politique
et juridique (a cura di)
Cahiers de philosophie politique
et juridique, n. 20;
NOVITA' IN LIBRERIA
La Fondation des normes:
tradition et argumentation:
actes/colloque de mai 1991
Centre de publication de
l’Université de Caen, giugno 1992
pp. 229, FF 126
Lo sviluppo dell’individualismo democratico si accompagna a un ineluttabile ritiro delle rappresentazioni tradizionali, cosa non priva di difficoltà.
Chalier, Catherine
La Patience: passion
de la durée consentie
Autrement, Paris aprile 1992
pp. 224, FF 98
La riscoperta di questa virtù che dà ai
tempi la possibilità di far sì che uomini e cose maturino e che porta con sé
il segreto di un apprezzamento positivo della passività, come disponibilità nei confronti di ciò che avviene.
Charles, David et al. (a cura di)
Reduction, explanation and realism
Clarendon Press, Oxford giugno 1992
pp. 496, £ 18
Gli studiosi che hanno contribuito a
questo volume prendono in considerazione l’ipotesi che i fenomeni studiati in campi diversissimi quali la
filosofia morale e mentale, la psicologia, la biologia organica e le scienze sociali abbiano un fondamento nei
fenomeni che possono essere spiegati
dalle scienze di base, ma non possono
essere ridotti a ciò.
Chimirri, Giovanni
Pensare Dio.
Introduzione alla religione
Edizioni Logos, Roma maggio 1992
pp. 220, L. 25. 000
Il volume analizza le principali questioni di teologia filosofica, coinvolgendo il lettore in un lavoro di meditazione personale.
Cleary, John J. (a cura di)
Proceedings of the Boston
area colloquium in ancient
philosophy: vol. 7
University Press of America
giugno 1992
pp. 250, £ 17,50
Il volume contiene scritti e commenti
presentati al 13˚ Convegno annuale
dell’area di Boston sulla filosofia
antica nell’anno accademico 199091.
Colli, Giorgio
Montinari, Mazzino
(a cura di)
Friedrich Nietzsche:
Considérations inactuelles I et II;
Fragments posthumes
Gallimard, Paris aprile 1992
pp. 224, FF 24,50
E’ dopo una prima crisi che lo allontana da Schopenhauer e da Wagner
che Nietzsche scrive queste pagine in
cui denuncia la storia come un veleno
per l’essere sano e pieno di gioia di
vivere.
Conche, Marcel
Temps et destin
PUF, Paris aprile 1992
pp. 213, FF 120
La presente edizione differisce dalla
precedente (Mégare, 1980) per l’aggiunta di una breve nota inedita sul
tempo, di una nota e di un articolo
polemico relativi alla concezione kantiana del tempo.
Costantini, Domenico
Garibaldi, Ubaldo
Penco, Maria Antonietta
Introduzione alla statistica
Fr. Muzzio Ed., Padova luglio 1992
pp. 320. L. 35. 000
Una visione globale dei metodi statistici attraverso la delineazione della
cornice concettuale che sta dietro ad
essi. Uno strumento importante non
solo per gli studenti, ma anche per
tutti coloro che vogliono affrontare il
problema dell’incertezza nelle sue
varie forme.
Crimman, Ralph P.
Metaphysik und Praxis.
Gewissensethische Überlegungen
Die Blaue Eule, Essen maggio 1992
pp. 140, DM 36
Croce, Benedetto
Nuovi saggi di estetica
Bibliopolis, Napoli luglio 1992
pp. 454, L. 50. 000
Curcio, Nicola
La domanda sul nulla e sull'essere
Introduzione alla lettura di
Che cos'è metafisica?
di M. Heidegger
Tamoni Ed., Schio settembre 1992
pp. 207, L. 26.000
L'unica opera che consenta una lettura diacronica del pensatore Heidegger è Che cos'è metafisica?, scritto
cui egli pose mano nel 1929, quando
redasse con questo titolo la sua prolusione accademica e su cui ritornò a
più riprese nel corso di un ventennio.
Questo volume si pone l'obiettivo di
affrontarne una lettura interpretativa
sempre aderente al testo.
Damisch, Hubert
Le Jugement de Pâris
Flammarion, Paris giugno 1992
pp. 240, FF 260
Sul mito di Paride, l’autore abborda
la questione della bellezza in rapporto alla teoria delle pulsioni di Freud e
della sua rappresentazione.
Deneys-Tunney, Anne
Ecritures du corps:
de Descartes à Laclos
PUF, Paris aprile 1992
pp. 328, FF 178
Prendendo la rappresentazione cartesiana della corporeità come un limite
o qualcosa che respinge, questo saggio studia il modo in cui, in alcuni dei
maggiori universi narrativi dell’epoca (La vita di Marianne di Marivaux,
La monaca di Diderot, Le relazioni
pericolose di Laclos) si mettono in
funzione delle retoriche del corpo.
Dent, N. J. H.
The Rousseau dictionary
Blackwell Publishing
Oxford maggio 1992
pp. 260, £ 15
Una fonte concisa e completa sulle
principali opere filosofiche, sociali e
politiche di Jean-Jacques Rousseau.
Oltre 100 voci ordinate alfabeticamente forniscono un’introduzione alla
vita e all’opera di Rousseau.
Dorschel, Andreas
Die idealistiche Kritik des Willens.
Versuch über eine Theorie
der praktischen Subjektivität
bei Kant und Hegel
Meiner, Hamburg maggio 1992
pp. 240, DM 68
Il saggio dimostra e ricerca i motivi
per cui tanto il tentativo di Kant quanto quello di Hegel di dare un fondamento razionale al libero arbitrio non
riescono a essere convincenti.
Drewermann, Eugen
Worum es eigentlich geht.
Protokoll einer Verurteilung
Kösel, München maggio 1992
pp. 512, DM 34
Questo libro smaschera non solo la
reale situazione della chiesa, ma offre
anche un’analisi approfondita della
condanna di Eugen Drewermann.
Droit, Roger-Pol
L’Oubli de l’Inde
LGF, Paris maggio 1992
pp. 253, FF 40
Schopenhauer, Nietzsche, Victor
Cousin, Edgar Quinet, Charles Renouvier hanno sempre pensato che
l’India fosse una terra filosofica. Perché è stato dimenticato? Come mai,
dopo un secolo, si è tornati, sotto
forme diverse, alla severa antipatia di
Hegel?
Dumoulié, Camille
Nietzsche et Artaud:
pour une éthique de la cruauté
PUF, Paris giugno 1992
pp. 264, FF 198
La tematica della crudeltà permette di
riavvicinare l’enigma del metafisico
e il mistero del religioso, nonché di
riformulare la questione della scrittura: dal mito del superuomo al desiderio del “corpo senza organi”, è sempre la crudeltà come esigenza etica
che muove il pensiero di Nietzsche e
quello di Artaud.
Dupleix, Scipion
La Métaphysique: 1610
Fayard, Paris aprile 1992
pp. 906, FF 390
Segretario di Margherita di Valois,
consigliere di Stato e storiografo di
Luigi XIII, al soldo di Richelieu,
Dupleix è il primo ad aver redatto un
corso completo di filosofia in lingua
francese, più volte ristampato.
Eidam, Heinz
Strumpf und Handschuh.
Der Begriff der nichtexistenten
und die Gestalt
der unkonstruierbaren
Frage. Walter Benjamins Verhältnis
zum “Geist der Utopie” Ernst Blochs
Königshausen & Neumann
Würzburg giugno 1992
pp. 90, DM 24,80
In questo lavoro sulle posizioni teoretiche relative alla conoscenza di Walter Benjamin ed Ernst Bloch vengono
innanzitutto elaborate le formulazio-
ni delle domande di entrambi, per poi
in un secondo momento poterli confrontare.
Emmet, Dorothy
The passage of nature
Macmillan Academic
and Professional
giugno 1992
pp. 192, £ 29,50
Spesso si usa il concetto di processo,
ma raramente lo si discute. In questo
libro l’autrice osserva il modo in cui
un processo differisce da una serie di
eventi, fatti o anche solo cose che
cambiano, affermando che la causalità si può descrivere meglio in termini
di processi. Successivamente esamina vari aspetti di questo soggetto.
Erdmann, K. -H- (a cura di)
Perspektiven
menschlichen Handelns.
Umwelt und Ethik
Springer, Berlin maggio 1992
pp. 210, DM 48
I relatori discutono in un dialogo interdisciplinare di teologia, filosofia,
geografia, pedagogia, psicologia e
scienza comportamentale, formulazione etica della domanda nei rapporti dell’uomo con la natura e l’ambiente.
Escher Di Stefano, Anna
Coniglione, Francesco
Percorsi di filosofia contemporanea
CUECM, Catania settembre 1992
pp. 338, L. 32. 000
Il volume si propone come un’analisi
critica delle principali correnti filosofiche contemporanee e come un’analisi del dibattito storiografico intrecciatosi con le singole proposte teoriche. Filo conduttore la dialettica.
Feron, Etienne
De l’idée de trascendance
à la question du langage:
l’itinéraire philosophique
de Lévinas
J. Millon, Brignoud maggio 1992
pp. 236, FF 115
Un’interpretazione d’assieme del pensiero del filosofo Emmanuel Lévinas
attraverso la problematica della fenomenologia del linguaggio.
Filodemo
Testimonianze su Socrate
a cura di Eduardo Acosta Méndez
e Anna Angeli
Bibliopolis, Napoli giugno 1992
pp. 408
In Filodemo confluiscono da un lato
i punti essenziali della critica antisocratica del primo epicureismo, dall’altro le testimonianze di un nuovo
aspetto della polemica epicurea verso
Socrate, in coincidenza con l’attenuarsi delle posizioni scettiche dell’Accademia.
Fink, Eugen
Natur, Freiheit, Welt.
Philosophie der Erziehung
Königshausen & Neumann
Würzburg maggio 1992
pp. 210, DM 34
L’autore rivela la dipendenza fra natura, libertà e mondo e mostra gli
NOVITA' IN LIBRERIA
uomini come qualsiasi altro essere
sulla terra, cosa che potrebbe trasformare il soggiorno mondano degli
uomini verso una nuova moralità.
Fiorentino, Fernando
Filosofia religiosa di Leroux
ed eclettismo di Cousin
Milella, Lecce maggio 1992
pp. 470
Folk, Jacques
Ma vérité est-elle la vôtre?
De l’âme, de Dieu et de l’homme
Nouv. éd. Debresse, 1991
pp. 319, FF 120
Un saggio filosofico sulle componenti dell’anima umana, il ruolo di
Dio nei confronti degli uomini e la
mentalità degli uomini.
Fontenelle, Bernard Le Bovier de
Oeuvres complètes
Vol. 4
Fayard, Paris maggio 1992
FF 210
Riedizione di un classico nella collana Corpus des oeuvres de philosophie.
Franz, Albert
Philosophische Religion.
Eine Auseinandersetzung mit den
Grundlegungsproblemen der
Spätphilosophie F. W. J. Schellings
Edit. Rodopi, Amsterdam
maggio 1992
pp. 372, Dfl 90
Procedendo nel testo si scopre che (e
in che modo) la “filosofia puramente
razionale” dell’intenzione di Schelling continua e corregge Kant, Fichte
e Hegel, superando contemporaneamente la filosofia in una “religione
filosofica”.
Funke, G. (a cura di)
Grundlagen einer transzendentalphilosophischen Systematik.
Die geistesgeschichtlichen
Grundlagen
der unterschiedlichen Entwicklung,
die die systematische Philosophie
bis heute in Österreich und in
Deutschland genommen hat.
Steiner, Stuttgart maggio 1992
pp. 105, DM 49
Interventi all’organizzazione generale
della Österr. AdW Wien e della AdW
d. Wiss. un. Lit. Mainz, 8/9 marzo a
Mainz.
Galvan, Sergio (a cura di)
Forme di razionalità pratica
Franco Angeli, Milano
settembre 1992
pp. 272, L. 35. 000
La convinzione che si dia una razionalità pratica è condivisa dagli autori
dei contributi a questo testo. Più precisamente si riconosce il carattere
razionale dell’azione umana: si ammette cioè che l’ambito della prassi
sia sottoponibile ad indagine razionale. Tale indagine è inoltre incentrata
su una nozione di razionalità tipica
della prassi; i suoi metodi e procedimenti, non mutuabili da altri campi di
ricerca, sono quindi tenuti a rispettarne la irriducibile peculiarità.
Garber, Daniel
Descartes’ metaphysical physics
University of Chicago Press
Chicago giugno 1992
pp. 488, $ 28
In questa prima trattazione avente
dimensioni di libro dell’importante e
influente filosofia naturale di Descartes, Garber si occupa principalmente
delle definizioni di Descartes di materia e moto, il punto di unione tra gli
interessi filosofici e scientifici di
Descartes.
Gaspar, Bernard D.
Sous le signe de Yabboq:
dieu en duel
Nouv. éd. Debresse, 1991
pp. 142, FF 70
Un saggio filosofico che tenta di indicare come incontrarsi con Dio e cerca
di definire la natura di questo incontro.
Gell, Alfred
The anthropology of time.
Cultural constructions of
temporal maps and images
Berg Publishers.
Leamington Spa giugno 1992
pp. 256, £ 27,50
Il volume fornisce un’analisi dettagliata delle teorie elaborate da pensatori come Durkheim, Evans-Pritchard,
Levi-Strauss, Geertz, Piaget, Husserl
e Bourdieu.
Gerber, Klaus
Zum Bilde Walter Benjamins.
Studien - Porträts - Kriterien
Fink, München maggio 1992
pp. 250, DM 78
Il libro riunisce trattazioni materiali
sull’opera a studi sulla sua ricezione
e alcuni saggi nel segno di Benjamin.
Giannatiempo Quinzio, Anna
L’estetico in Kierkegaard
Liguori Editore, Napoli marzo 1992
pp. 197, L. 22. 000
Giard, Luce (a cura di)
Michel Foucault: lire l’oeuvre
J. Millon, Brignoud maggio 1992
pp. 240, FF 110
Atti degli incontri sull’opera di M.
Foucault organizzati il 25 maggio
1991 al centro Sévres. Con gli interventi di storici, psicanalisti e filosofi.
Girndt, H. (a cura di)
Zeit und Mystik. Der Augenblick
im Denken Europas und Asiens
Academia-Verlag
Sankt Augustin maggio 1992
pp. 132, DM 38
Golomb, Alain (a cura di)
Sénèque, Apprendre à vivre:
Lettres à Lucilius
2 vol.
Arléa, Paris maggio 1992
pp. 143, FF 95
Continua la pubblicazione di queste
celebri lettere.
Gomez-Muller, Alfredo (a cura di)
Aristote, Ethique à Nicomaque
LGF, Paris aprile 1992
pp. 447, FF 34
In questa edizione si è conservata la
traduzione di Barthélémy Saint-Hilaire, risalente al XIX secolo, accuratamente revisionata, corretta e fornita
di numerose varianti.
Gräfrath, Bernd
John Stuart Mill:
Über die Freiheit.
Ein einführender Kommentar
Schöningh, München maggio 1992
pp. 140, DM 16,80
Grimaldi, Nicolas
Le Désir et le temps
Vrin, Paris maggio 1992
pp. 507, FF 260
Il filosofo Grimaldi sviluppa qui una
fenomenologia del desiderio e un’ontologia del tempo.
Gros, Jean-Michel (a cura di)
Pierre Bayle, De la tolérance
Presses Pocket, Paris maggio 1992
FF 80
Ripubblicato integralmente per la prima volta, a suo tempo questo testo fu
uno dei più letti. L’opera di P. Bayle,
calvinista convertitosi al cattolicesimo e ritornato in seguito alla fede
protestante, è il riflesso di una lotta
costante contro i dogmi tradizionali.
Grossman, Reinhardt
The existence of the world:
An introduction to ontology
Routledge, London giugno 1992
pp. 152, £ 30
L’autore vede la storia della filosofia
occidentale come una grande battaglia fra naturalisti e ontologisti e osserva in dettaglio il dibattito che separa le due fazioni.
Grover, Dorothy
A prosentential theory of truth
Princeton UP
Lawrenceville NJ giugno 1992
pp. 264, $ 27,50
La raccolta di scritti dell’autrice sulla
teoria presentenziale della verità si
appunta sul ruolo grammaticale dei
predicati di verità e sostiene che “è
vero” è una prosentenza, il cui funzionamento è assai simile a quello di
un pronome.
Günther, Klaus
Der Sinn für Angemessenheit.
Anwendungsdiskurse
in Moral und Recht
Suhrkamp, Frankfurt maggio 1992
pp. 416, DM 28
Il senso dell’adeguatezza non si dimostra solo nel seguire i giusti principi, ma anche nel suo uso imparziale
tenendo conto di ogni circostanza. La
tesi di questo libro è che quindi non
dovremmo rinunciare alla ragion pratica.
Gurisatti, Giovanni
Scrittura e idea
Introduzione alla lettura della
Premessa gnoseologica al
Dramma barocco tedesco
di W. Benjamin
Tamoni Ed., Schio settembre 1992
pp. 272, L. 29.000
Questa "Introduzione alla lettura" tenta di rendere praticabile al lettore una
via interpretativa che altrimenti, data
l'oggettiva difficoltà della scrittura
del testo di Benjamin, gli rimarrebbe
preclusa.
Guyer, P. (a cura di)
The Cambridge Companion to Kant
Cambridge UP, Cambridge
maggio 1992
pp. 496, £ 40
Un gruppo di studiosi kantiani di rinomanza internazionale esplora la rivoluzione concettuale di Kant nell’epistemologia, nella metafisica, nella filosofia della scienza, nella morale e nella filosofia politica, nell’estetica e nella filosofia della religione.
Habermas, Jürgen
Postmetaphysical thinking:
Between metaphysics and the
criitique of reason
Polity Press, giugno 1992
pp. 200, £ 29,50
Il libro considera la natura e il futuro
della filosofia in un’età post-metafisica. Nella prima parte, Habermas
esamina l’eredità kantiana e valuta
alcuni recenti tentativi di ritornare ai
modi metafisici del pensiero. Nella
seconda parte sviluppa e difende i
concetti di ragione comunicativa.
Habermas, Jürgen
Nachmetaphysisches Denken.
Philosophische Aussätze
Suhrkamp, Frankfurt/M. giugno 1992
pp. 288, DM 20
Haldane, Elizabeth S.
Descartes (1905): His life and times
Thoemmes Press, giugno 1992
pp. 422, £ 48
Uno studio biografico della vita di
Descartes.
Halfwassen, Jens
Der Aufstieg zum Einen.
Untersuchungen
zu Platon und Plotin
Teubner, Stuttgart maggio 1992
pp. 422, DM 88
Harrington, A. (a cura di)
So human a brain.
Knowledge and values
in the neurosciences
Birkhäuser, Basel maggio 1992
pp. 336, DM 148
Questo libro avvicina neuroscienziati e studiosi di etica, sociologi e storici
della scienza per esplorare il modo in
cui la moderna scienza neurologica
ha cambiato la nostra conoscenza di
ciò che significa essere un umano e
come le differenti comunità di studiosi concepiscono lo status epistemologico ed etico di queste mutate concezioni.
Harris, E. Errol
Cosmos and theos:
Ethical and theological
implications of the anthropic
cosmological principle
Humanities Press International
giugno 1992
pp. 232, £ 27,95
Il libro cerca di dimostrare l’impatto
sulle dottrine sociali, etiche e teologi-
NOVITA' IN LIBRERIA
che della rivoluzione scientifica del
XX secolo, in particolare il Principio
cosmologico antropico, uno sviluppo
di enorme portata della fisica contemporanea che ha implicazioni filosofiche immensamente importanti.
Harris, Errol E.
Spinoza’s philosophy: An outline
Humanities Press International
giugno 1992
pp. 128, £ 9,95
Il libro vuole fornire una presentazione breve e semplificata delle maggiori branche della filosofia di Spinoza
per chi si avvicina allo studio di questo grande filosofo del XVII secolo. I
termini tecnici sono spiegati chiaramente o evitati del tutto e le idee di
Spinoza vengono esposte in un linguaggio piano.
Harvey, E. D. - Okruhlik. K.
(a cura di)
Women and reason
University of Michigan Press
Ann Arbor MI giugno 1992
pp. 296, $ 33
Filosofi, filosofi della scienza, storici, critici letterari, storici dell’arte e
teorici della cultura affrontano l’idea
di ragione e il modo in cui ha influenzato il nostro concetto di femminile a
partire dal XVII secolo, il periodo in
cui molti vedono la nascita della moderna idea di razionalità, fino al presente.
Hecht, Helmut
Gottfried Wilhelm Leibniz.
Mathematik und Naturwissenschft
im Paradigma der Metaphysik
B. G. Teubner, Stuttgart maggio 1992
pp. 136, DM 19,80
Al centro ci sono matematica, scienza naturale e tecnica, che in Leibniz
sono sempre ancorate metafisicamente e legate alla teoria della scienza.
Heidegger, Martin
Kunst - Politik - Technik
W. Fink, München maggio 1992
pp. 328, DM 88
I. Kunst und Philosophie. II. Philosophische Politik - Politische Philosophie? III. Theologie, Geschichte
und Technik.
Heidegger, Martin
Concetti fondamentali
della metafisica.
Mondo, finitezza, solitudine
a cura di F. W. von Herrmann
Il Melangolo, Genova giugno 1992
pp. 495, L. 60. 000
Il corso tenuto da Heidegger a Friburgo nel semestre invernale ’29-30.
Heidegger, Martin
Sejours Aufenthalte
Trad. François Vezin
Rocher, Paris aprile 1992
pp. 128, FF 120
Il viaggio che forma la trama di questo testo si è svolto nel 1962 fra Venezia e Delfi. La poesia e la filosofia
greche, in particolare di Eraclito, occupano il pensiero del filosofo, che
produce una riflessione sul mondo
attuale e sulla tecnica.
Heidegger, Martin
Gadamer, Hans-Georg
Intérpretations phénoménologiques
d’Aristote; Un Ecrit théologique
de jeunesse de Heidegger
TER, Tolous maggio 1992
pp. 118, FF 69
Redatto nell’autunno del 1922, su
richiesta di P. Natorp, questo breve
manoscritto segna una pietra miliare
sul cammino che conduce a Essere e
tempo. Heidegger ci presenta, in un
abbozzo assai denso e spesso ellittico, i primi risultati di una nuova interpretazione di Aristotele.
Heinekamp, H. - Robinet, A.
(a cura di)
Leibniz, le meilleur des mondes.
Tavola rotonda
Domaine de Seillac (Loir-et-Cher)
giugno 1990.
Steiner, Stuttgart maggio 1992
pp. 295, DM 78
Organizzato dal Centre National de la
Recherche Scientifique, Paris/Gottfried-Wilhelm-Leibniz Gesellschaft,
Hannover.
Heinzmann, Richard
Thomas von Aquin.
Eine Einführung in sein Denken.
Mit ausgewählten
lateinisch-deutschen Texten
Kohlhammer, Stuttgart giugno 1992
pp. 300, DM 34
L’interesse di questa introduzione si
fonda interamente sulla sua idea filosofica fondamentale, sulla filosofia
dell’ascesa del mondo a Dio. I testi
latino-tedeschi sono scelti in modo
tale che si possa seguire questo svelamento del pensiero fondamentale nell’opera di Tommaso.
Henckmann, W. - Lotter, K.
Lexikon der Ästhetik
C. H. Beck, München giugno 1992
pp. 270, DM 24
Con i suoi già oltre 300 lemmi il
Lessico dell’estetica è il primo ampio
lessico specialistico in lingua tedesca
da 150 anni in qua, e presenta tutti i
concetti basilari dell’estetica classica
e di quella moderna.
Hentschel, Rüdiger
Sache selbst und
Nichtdenkungsgedanke.
Husserls phänomenologische Region
bei Schreber, Adorno und Derrida
Turia und Kant, Wien maggio 1992
pp. 180, DM 29
Herder, Gottfried Johann
Idee per la filosofia
della storia dell’umanità
a cura di Valerio Verra
Laterza, Bari luglio 1992
pp. 390, L. 56. 000
L’opera più significativa del pensiero
di Herder in una seconda edizione
riveduta nella traduzione e nelle note
ed ampliata nella Nota bibliografica.
Herder, Johann Gottfried
Dio. Dialoghi sulla filosofia
di Spinoza
Franco Angeli, Milano
settembre 1992
pp. 224, L. 28. 000
In quest’opera, per la prima volta
tradotta in italiano, J. G. Herder esprime la sua convinzione profonda
nell’unità dell’intera natura e nella
sua intrinseca necessità. Herder unisce alla concezione spinoziana dell’unicità della sostanza la dinamicità
propria della speculazione di Leibniz e la visione armonica di Shaftesbury. La sua ferma presa di posizione a favore del pensiero di Spinoza si
inserisce con rilievo e significato
all’interno del dibattito filosofico dell’epoca.
Herdina, Ph. M. (a cura di)
Methodenfragen der
Geisteswissenschaften
Inst. f. Sprachwiss.
Innsbruck giugno 1992
pp. 330, ÖS 640
Heyd, David
Genethics. Moral issues in
the creation of people
University of California Press
Berkeley giugno 1992
pp. 290, $ 54
Genethics è la prima esposizione sistematica dei principi morali in grado
di guidare le nostre decisioni sull’esistenza, sul numero e sull’identità della popolazione futura.
Höffe, O. (a cura di)
Einführung in die
utilitaristische Ethik.
Klassische und zeitgenössische Texte
Francke, Tübingen maggio 1992
pp. 250, DM 26,80
Hollis, M. - Vossenkuhl, W.
(a cura di)
Moralische Entscheidung
und rationale Wahl
Oldenbourg, München giugno 1992
pp. 221, DM 98
Interventi su razionalità economica,
teoria della scelta razionale e interdipendenza fra razionalità economica e
morale.
Honnefelder, L. (a cura di)
Natur als Gegenstand
der Wissenschften
Karl Alber, Freiburg i. Br.
maggio 1992
pp. 300, DM 78
Il libro tratta di possibilità e senso del
discorso scientifico sulla natura; uno
dei punti di maggiore interesse è la
domanda sulla natura come istanza di
orientamento. I vari saggi partono in
generale da un’ipotesi: la natura si
mostra solo come tale, mentre noi ci
poniamo nei suoi confronti in un rapporto riflesso vitalistico o scientifico.
Honnefelder, L. (a cura di)
Sittliche Lebensform
und praktische Vernunft
Schöningh, Paderborn maggio 1992
pp. 180, DM 32
Honneth, Axel McCarthy, Thomas-Offe, Claus
Wellmer, Albrecht
(a cura di)
Philosophical interventions
in the unfinished project
of enlightenment
The MIT Press, giugno 1992
pp. 368, £ 15,95
Questi undici saggi di filosofi e teorici sociali riprendono gli aspetti filosofici dell’incompiuto progetto di
Jürgen Habermas di ricostruzione
della razionalità illuministica. Nell’ambito di questa materia, spaziano
dai problemi classici ai dibattiti contemporanei.
Inness, Julie
Privacy, intimacy, and isolation
Oxford University Press
USA giugno 1992
pp. 192, $ 20
Un trattato che definisce una nuova
teoria sulla natura e il valore della
privacy, centrato sul concetto di intimità.
Inwood, Michael
A Hegel dictionary
Blackwell Publishing
Oxford giugno 1992
pp. 260, £ 37,50
Il volume esamina il pensiero di Hegel attraverso voci ordinate alfabeticamente che ne esplorano la terminologia. Concentrando l’attenzione su
100 termini chiave, da “assoluto” a
“volontà”, si esamina l’etimologia e
lo sviluppo dei termini di Hegel, sia
nelle parole tedesche che nella loro
traduzione inglese, greca e latina.
Irrgang, Bernhard
Christliche Umweltethik.
Eine Einführung
Reinhardt, München maggio 1992
pp. 350, DM 39,80
Jacob, Alexander
De naturae natura.
A study of idealistic conceptions
of nature and the unconscious
Steiner, Stuttgart giugno 1992
pp. 180, DM 64
Jacobi, Friedrich Heinrich
Scritti kantiani
a cura di Giuliano Sansonetti
Morcelliana, Brescia maggio 1992
pp. 165, L. 22. 000
Dall’analisi critica del testo kantiano
Jacobi trae da un lato la grandezza del
pensiero di Kant, dall’altro le inaggirabili aporie da cui prendere le mosse
per evidenziare i concetti di fede,
credenza, ragione.
Jeffrey, Richard
Probability and the art of judgement
Cambridge University Press
giugno 1992
pp. 264, £ 10,95
Questa raccolta di saggi sulla teoria
della decisione e sulla teoria della
conoscenza attraversa un periodo di
circa 35 anni e comprende alcune di
quelle che sono diventate opere classiche del campo. C’è anche uno scritto completamente nuovo, e in molti
casi l’autore aggiunge riflessioni ulteriori a vecchi saggi.
Jegelka, Norbert
Paul Natorp. Philosophie
Pädagogik - Politik
Königshausen & Neumann
NOVITA' IN LIBRERIA
Würzburg maggio 1992
pp. 370, DM 98
questa la domanda centrale nell’indagine sulla fede di Anthony Kenny.
Jouary, Jean-Paul (a cura di)
Diderot et la matière vivante
Messidor Ed. sociales, maggio 1992
pp. 200, FF 90
Nel mezzo di quali contraddizioni
Diderot, in pieno XVIII secolo, ha
dovuto elaborare una concezione
materialista del vivente. Una raccolta
di testi sparsi nell’opera del filosofo
che cerca di cogliere la coerenza del
suo percorso.
Kirscher, Gilbert
Figures de la violence
et de la modernité: essais
sur la philosophie d’Eric Weil
Presses Universitaires de Lille
giugno 1992
pp. 291, FF 150
L’opera di E. Weil è una delle più
attuali, in quanto rivolta a ciò che
sorge nel cuore della modernità e la
scuote dalle fondamenta: la violenza
estrema che si è tentati di dire impensabile.
Kahan, Alan
Aristocratic liberalism:
The social and political theought
of Jacob Burckhardt, John Stuart Mill
and Alexis de Tocqueville
Oxford University Press Inc
Oxford giugno 1992
pp. 240, £ 35
Il trattato riunisce in una singola tradizione intellettuale e ideologica tre
filosofi del XIX secolo, identificando
i punti di contatto nel loro pensiero.
L’autore cerca anche di correggere i
principali fraintendimenti sul liberalismo del XIX secolo.
Kannheiser, Werner
Handeln, Erleben und Emotionen
in der Arbeit.
Eine integrierende Betrachtung
Quintessenz, München maggio 1992
pp. 240, DM 78
Kant, Immanuel
Dreams of a spirit-seer (1900)
A cura di Frank Sewall
Thoemmes Press, giugno 1992
pp. 176, £ 12,99
I “Sogni di un visionario” (1766) appartengono all’opera precritica di
Kant. Si tratta di una critica piena di
spirito rivolta principalmente ai filosofi suoi contemporanei, che fa di
Swedenborg il bersaglio ad hoc dei
suoi strali.
Kant, Immanuel
Perpetual peace (1903):
Aphilosophical essay
Thoemmes Press, giugno 1992
pp. 218, £ 12,99
Il famoso saggio di Kant fornisce una
base per un pacifismo pratico e prefigura una lega mondiale delle nazioni.
Questa riedizione della traduzione
inglese del 1903 contiene anche un’introduzione di cento pagine e diverse
appendici.
Kemper, Adolf
Von den Gründen der menschlichen
Erkenntnis zum Urgrund des Sein.
Die philosophischen Schriften
des Münsterländer Arztes
Johan Anton Brüning
Lit, Münster giugno 1992
pp. 156, DM 38
Kenny, Anthony
What is faith? Essays on
the philosophy of religion
Oxford Paperbacks, giugno 1992
pp. 160, £ 5,99
Può la fede in Dio essere uno stato
mentale ragionevole e razionale? E'
Klenpointner, Manfred
Alltagslogik. Struktur und
Funktion von Argumentationsmustern
Fromman-Holzbog
Stuttgart maggio 1992
pp. 490, DM 148
Krumpel, Heinz
Philosophie in Lateinamerika.
Grundzüge ihrer Entwicklung
Akad. -Vlg, Berlin giugno 1992
pp. 398, DM 48
Kubovy, Michael
La freccia nell’occhio.
Psicologia della prospettiva
ed arte rinascimentale
a cura di Manfredo Massironi
Fr. Muzzio Ed., Padova maggio 1992
pp. 233, L. 36. 000
L’autore, psicologo sperimentale, racconta dettagliatamente la vivace e
movimentata storia dell’invenzione
della prospettiva nel XV secolo, mostrando come essa sia stata usata per
raggiungere ingegnosi ed affascinanti effetti estetici.
Knoppe, Thomas
Die theoretische Philosophie
Ernst Cassirers.
Zu den Grundlagen transzendentaler
Wissenschafts- und Kulturtheorie
Meiner, Hamburg maggio 1992
pp. 176, DM 48
Questa presentazione sistematica dei
fondamenti teoretici della filosofia di
Ernst Cassirer si raccomanda come
chiave per la comprensione e l’adeguata interpretazione delle opere complete.
Küppers, Bernd-Olav
Natur als Organismus.
Schellings Naturphilosophie
und ihre Bedeutung für
die moderne Biologie
Klostermann, Frankfurt a. M.
giugno 1992
pp. 160, DM 38
La presunta attualità della filosofia
della natura di Schelling si rivela
un’ottica illusoria, che sostanzialmente è riconducibile a un gioco acritico
fra concetto e analogia, per il quale
d’altra parte, come aveva già giustamente notato Ernst Bloch, lo stesso
Schelling ha fornito il modello.
Kögler, Hans-H.
Die Macht des Dialogs.
Kritische Hermeneutik
nach Gadamer,
Foucault und Rorty
J. B. Metzler, Stuttgart maggio 1992
pp. 288, DM 48
Kögler accosta le figure emergenti di
tre diverse tradizioni occidentali, per
seguire le istanze storiche e culturali
del pensiero straniero.
Labre, Chantal (a cura di)
Lucrèce, La Nature des choses
De rerum natura
Arléa, Paris aprile 1992
pp. 329, FF 130
Quest’opera, uno dei grandi libri dell’umanità, inaugura al di là di ogni
ambizione strettamente scientifica,
una morale del materialismo, una
morale del vivente, della sua fragilità,
e una morale del sentimento.
Körner, Un. (a cura di)
Ethik der menschlichen Fortplanzung
Enke, Stuttgart giugno 1992
pp. 328, DM 48
I 19 autori dai loro rispettivi campi di
interesse esprimono prese di posizione impegnate sulla fondamentale riflessione etica riguardo responsabilità umana, solidarietà, libertà di coscienza e autodeterminazione.
Lacharité, Normand
Sémantisme et répresentation
Université du Québec, giugno 1992
pp. 177, FF 120
Tre testi che si inscrivono fra le ricerche contemporanee sulla scienza cognitiva e si occupano, per strade differenti, della natura della rappresentazione.
Koslowski, P. (a cura di)
Neuere Entwicklungen
in der Wirtschaftsethik
und Wirtschaftsphilosophie
Springer, Berlin giugno 1992
pp. 290, DM 98
I diversi contributi informano ampiamente sugli ultimi stadi del dibattito
sui fondamenti dell’etica dell’economia e delle imprese e sullo sforzo di
integrazione di teoria etica ed economica.
Koslowski, P. (a cura di)
Russische Religionsphilosophie
und Gnosis. Philosophie
nach dem Ende des Marxismus
Bernward, Hildesheim giugno 1992
pp. 144, DM 28
Landolt, Eduard
Systematischer Index zu Werken
Heideggers. Was ist das die Philosophie? Identität
und Differenz, Gelassenheit
Winter, Heidelberg maggio 1992
pp. 319, DM 80
Lang, H. - Weiß, H. (a cura di)
Interdisziplinäre Anthropologie
Königshausen & Neumann
Würzburg maggio 1992
pp. 180, DM 36
Il volume raccoglie i contributi del
congresso svoltosi dal 30/11 all’1/12
1990 all’Università di Würzburg. Dal
punto di vista della propria specialità,
filosofi, medici, psicologi e psicana-
listi si confrontano con il significato e
la portata attuale dell’impostazione
antropologica.
Laurenti, Renato
Introduzione alla
Politica di Aristotele
Ist. Ital. per gli Studi Filosofici
Napoli gennaio 1992
pp. 158, L. 32. 000
Leinsle, Ulrich G.
Vom Umgang mit Dingen.
Ontologie im dialogischen
Konstruktivismus
Marco-Verlag, Augsburg
maggio 1992
pp. 300, DM 29,80
Lemaire, Jacques (a cura di)
La Pensée et les hommes, n. 20
Montaigne et la révolution
philosophique du XVI siècle
Ed. de l’univerité de Bruxelles
giugno 1992
pp. 168, FF 91
Come il nostro secolo, l’epoca di
Montaigne ha generato scoperte essenziali e crimini abominevoli, ha
prodotto uno sviluppo intellettuale e
culturale degno di ammirazione, ma
anche ragioni per dubitare dell’umanità dell’uomo.
Leroux, Robert (a cura di)
Friedrich von Schiller:
Lettre sur l’éducation
esthétique de l’homme
Aubier, Paris aprile 1992
pp. 373, FF 125
In quest’opera, apparsa nel 1795,
Schiller si sforza di dimostrare che le
considerazioni estetiche possono aiutare la riforma dello Stato e contribuire alla felicità dell’umanità.
Liesenfeld, Cornelia
Philosophische Weltbilder
des 20. Jahrhunderts.
Eine interdisziplinäre Studie
zu Max Planck
und Werner Heisenberg
Königshausen & Neumann
Würzburg maggio 1992
pp. 288, DM 58
Il testo dibatte a livello storico e sistematico la collocazione intellettuale
della filosofia kantiana nella visione
del mondo di Planck, di quella platonica in Heisenberg e di quella spinoziana in Einstein.
Lloyd, S. A.
Ideals as interests in Hobbes’s
”Leviathan”. The power of mind
over matter
Cambridge University Press
maggio 1992
pp. 432, £ 40
Quest’opera propone un’interpretazione radicalmente nuova del “Leviathan” dei Hobbes, la quale dimostra come gli interessi trascendenti,
interessi che vanno al di là del timore
della morte, siano centrali nell’analisi del disordine sociale hobbesiana,
nonché nei rimedi proposti.
Lolli, Gabriele
Cos’è la logica matematica?
Fr. Muzzio Ed., Padova giugno 1992
pp. 161, L. 28. 000
NOVITA' IN LIBRERIA
Un contributo alla chiarificazione della natura e della portata della “filosofia della logica”.
Loraux, Patrice - Richir, Marc
Tassin, Etienne (a cura di)
Maurice Merleau-Ponty
phénoménologie et expériences
J. Millon, Brignour aprile 1992
pp. 256, FF 125
I testi degli incontri al Collège International de Philosophie dell’ottobre
1991.
Löwy, Michaël - Sayre, Robert
Révolte et mélancolie:
le romantisme à contre-courant
de la modernité
Payot, Paris aprile 1992
pp. 304, FF 180
Al lume della rivolta e della melanconia la visione del mondo romantica
appare come un’opposizione polimorfa alla civiltà moderna generata dalla
rivoluzione industriale e dalla nascita
dell’economia di mercato.
Majetschak, Stefan
Die Logik des Absoluten.
Spekulation und Zeitlichkeit
in der Philosophie Hegels
Akad. -Vlg., Berlin giugno 1992
pp. 358, DM 84
Malebranche, Nicolas de
Recherche de la vérité
Galerie de la Sorbonne
Paris aprile 1992
pp. 966, FF 200
Esiste in noi un’intelligenza che, essendo un’eco dell’intenzione divina,
ci permette di accedere alla conoscenza del reale. Tanta insistenza di
Malebranche, che affermava la superiorità della certezza intellettuale sulla fede, sulla convergenza fra la teologia e la filosofia, gli valse numerose
critiche da parte dei suoi contemporanei.
Manning, Rita C.
Speaking from the heart:
A feminist perspective on ethics
Rowman & Littlefield, giugno 1992
pp. 224, £ 11,95
Il volume vuole essere un saggio originale e ambizioso della pratica morale e dell’intuizione morale che vengono suscitate da un impegno per
un’etica della cura. Così facendo, la
Manning tenta una sfida al sapere
ricevuto nel campo della filosofia
morale.
Mansfeld, Jaap
Heresiography in context.
Hippolytus’ “Elenchos” as a
source for Greek philosophy
Brill, Leiden/Köln giugno 1992
pp. 380, Dfl 170
Manzoni, Claudio
Il “Cattolicesimo illuminato”
in Italia tra cartesianesimo,
leibnizismo e newtonismo-lockismo
nel primo Settecento (1700-1750)
LINT, Trieste maggio 1992
pp. 114, L. 16. 850
Note di ricerca sulla recente storiografia.
Mazzocut-Mis, Maddalena
Mostro. L’anomalia e il deforme
nella natura e nell’arte
Guerini e Ass., Milano aprile 1992
pp. 164, L. 26. 000
A partire dal XIX secolo il "mostro”
cessa di evocare mistero e terrore per
acquistare nuovo significato e porsi
al centro dell’arte e delle speculazioni dei filosofi della natura. Esso diventa quindi la manifestazione del
potere vitale dei corpi viventi, la vita
stessa che pulsa e che si trasforma.
McGrade, A. S. (a cura di)
William of Ockham:
A short discourse on
tyrannical government
Cambridge University Press
giugno 1992
pp. 256
Una valutazione della posizione del
pensatore medievale Guglielmo d’Occam sui rapporti della suprema autorità spirituale, rappresentata dal papa,
con l’autorità secolare autonoma rivendicata dall’impero medievale e
con gli stati nazionali emergenti in
Europa.
McHenry, Leemon B.
Whitehead and Bradley.
A comparative analysis
State University of New York Pr.
Alabny NY giugno 1992
pp. 192, $ 15
Nella sua magnum opus “Process and
Reality”, Alfred North Whitehead
dichiara una particolare affinità con il
filosofo oxfordiano Francis Herbert
Bradley. McHenry chiarisce esattamente quanto la metafisica di Whitehead ne sia influenzata e si accordi
con i principi fondamentali dell’ ”idealismo assoluto” di Bradley.
McInerny, Ralph
Aquinas on human action:
A theory of practice
Catholic Univer. of America Press
giugno 1992
pp. 260, £ 31,95
Il volume presenta il carattere sistematico e unificato della teoria dell’atto morale dell’Aquinate, nelle sue
relazioni con le azioni umane. Concentrandosi sulla “Summa theologiae”, McInerny sostiene che la teoria
dell’azione morale dell’Aquinate è
all’altezza dei bisogni contemporanei e continua a essere adeguata contro ogni critica contemporanea.
McKirahan, Richard D. Jr
Priciples and proofs:
Aristotle’s theory
of demonstrative science
Princeton University Press
giugno 1992
pp. 356, £ 35
Studiando gli “Analitici secondi” e i
testi aristotelici correlati, l’autore ricostruisce la teoria di Aristotele dell’
”episteme”, la scienza. Il suo proponimento è di interpretare gli “Analitici secondi” simpateticamente, seguendo la traccia del testo invece che imporgli una cornice contemporanea.
McLarty, Colin
Elementary categories,
elementary toposes
Oxford University Press, giugno 1992
pp. 280, £ 45
Introduzione alle categorie e ai topos
elementari che necessitano di scarsa
conoscenza matematica. Si definiscono i concetti chiave e si danno dimostrazioni elementari ma complete di
teoremi. Il libro si conclude con descrizioni topiche teoretiche di insiemi, di geometria differenziale di base
e di analisi ricorsiva.
Meißner, Walter
Wie tot ist Schrödingers Katze?
Vom Platonismus
der modernen Physik
B. I. -Wiss. Vlg., Mannheim giugno
1992
pp. 350, DM 39
Trattazione delle lezioni sulla teoria
della conoscenza dalla teoria generale della relatività alla meccanica quantistica. Sviluppo di una nuova impostazione per mezzo della fisica dell’effetto.
Mensching, Günther
Das Allgemeine und das Besondere.
Der Ursprung des modernen Denkens
im Mittelalter
J. B. Metzler, Stuttgart maggio 1992
pp. 312, DM 78
Mensching ci offre una ricostruzione
completa della nascita del soggetto
moderno nel pensiero medievale.
Sulla base di aspre contese durate
quasi un millennio sugli “universali”,
riesce a dimostrare come i problemi
sociali si infiltrano in dispute teologiche apparentemente lontane dal mondo.
Méridier, Louis (a cura di)
Platon: Ion, Ménexène, Euthydème
Gallimard, Paris maggio 1992
pp. 177, FF 55
In questi dialoghi Platone affronta il
problema dell’arte, della poesia e del
linguaggio. Il volume contiene anche
il Cratilo.
Mertens, Gerhard
Kluxen, Wolfgang
Mikat, Paul (a cura di)
Markierungen der Humanität.
Sozialethische Herausforderungen
auf dem Weg
in ein neues Jahrtausend
Zum 65. Geburstag
von Wilhelm Korff.
Schöningh, Paderborn maggio 1992
pp. 409, DM 78
Meunier, Mario
Poirier, Jean-Louis (a cura di)
Platon, Le Banquet
Presses-Pocket, Paris giugno 1992
pp. 234, FF 36
Un’introduzione generale analizza le
difficoltà di questo testo, una raccolta
di commenti ne testimonia l’importanza.
Meyer, Manfred
Leiblichkeit und Konvention.
Struktur und Aporien der
Wissenschaftsbegründung
bei Hobbes
und Poincaré
Karl Alber
Freiburg i. Br. giugno 1992
pp. 300, DM 78
Il tentativo di Hobbes di compensare
con il potere dell’ordinamento arbitrario dell’uomo il perduto ordine
originario finisce in una dialettica
incompiuta fra potere e stato di fatto,
che affligge in modo analogo anche il
convenzionalismo geometrico di
Poincaré.
Mill, John Stuart
Essays on some unsettled
questions of political economy
(1844)
Theommes Press, giugno 1992
pp. 172, £ 12,99
I cinque saggi qui riuniti rappresentano il primo pensiero di Mill su questioni economiche e furono composti
originariamente nel 1829 e nel 1830,
prima che l’autore si affermasse con
la pubblicazione della “Logica”, nel
1843.
Miller, Richard W.
Moral differences:
Truth, Justice and conscience
in a world of conflict
Princeton University Press
giugno 1992
pp. 416, £ 12,95
Addentrandosi in molti campi filosofici e delle scienze sociali, Miller
presenta un resoconto del nostro accesso alla verità morale e all’interno
di questa cornice sviluppa una teoria
della giustizia e un’affermazione del
ruolo della moralità nella scelta razionale.
Milner, Jean-Claude
Constat
Verdier, Paris giugno 1992
pp. 67, FF 65
Un saggio sulla rivoluzione: è compatibile con il pensiero? E il pensiero
richiede sottomissione?
Minazzi, Fabio
Alla ricerca del Képos.
Considerazioni inattuali sui
Seminari Varesini di Filosofia
e gli immediati dintorni civili
(Varese 1979-1985)
prefazione di Ludovico Geymonat
Editrice Magenta, Varese
maggio 1992
pp. 156
Il libro ricostruisce le complesse vicende che hanno portato alla nascita
prima ed alla scomparsa poi dei Seminari Varesini di Filosofia che hanno rappresentato una novità di rilievo
nella vita culturale e civile della città.
Misrahi, Robert
Spinoza
Grancher, maggio 1992
pp. 200, FF 69
Il volume dimostra come la filosofia
della totalità di Spinoza poggia su
una dottrina del desiderio per divenire un’etica della libertà e della gioia.
Mohanty, Jitendra Nath
Reason and tradition in Indian
thought. An essay on the nature of
Indian philosophical thinking
Clarendon Press, Oxford giugno 1992
NOVITA' IN LIBRERIA
pp. 320, £ 37,50
Il volume esplora il pensiero indiano
attraverso i concetti fondamentali che
vi sono sottesi. Fra i concetti discussi,
coscienza e soggettività, linguaggio e
significato, logica e verità. Per agevolare l’interpretazione, si applicano
prospettive delle moderne filosofie
analitiche e fenomenologiche occidentali.
Moritz, Peter
Kritik des Paradigmenwechsels.
Mit Horkheimer gegen Habermas
zu Klampen, Lüneburg giugno 1992
pp. 178, DM 28
Moulier, Yann
Louis Althusser: une biographie
Grasset, Paris maggio 1992
pp. 509, FF 175
Vecchio allievo della Scuola Normale superiore, a tal titolo Y. Moulier ha
frequentato per lungo tempo Althusser. La presente biografia fu iniziata
quattro anni fa con il beneplacito di
Althusser e della sua cerchia. Il primo
volume arriva fino al 1959 ma si apre
sull’assassinio di Hélène, moglie del
filosofo; tutto il resto viene costruito
come un flash-back.
Muirhead, John H.
Coleridge as philosopher (1930)
Thoemmes Press, giugno 1992
pp. 288, £ 40
Pubblicato per la prima volta nel 1930,
il libro è una presentazione di Muirhead e un’analisi della dottrina filosofica di Coleridge. L’autore dimostra che, come filosofo, Coleridge ha
conservato forti spunti di pensiero
originale e che il suo sistema filosofico è molto più coerente di quanto si
ritenesse in passato.
Muirhead, John H.
Tha platonic tradition
in anglo-saxon philosophy (1931):
Studies in the history of idealism
in England and America
Thoemmes Press, giugno 1992
pp. 438, £ 44
Una storia dell’idealismo britannico,
pubblicata per la prima volta nel 1931.
Muller, Philippe
Tout ce que ta main. . .
Age d’homme, Losanna maggio 1992
pp. 164, FF 120
La filosofia non è solo una rete di
enunciati più o meno astratti che rendono conto del mondo e della realtà
umana. E' anche l’itinerario di una
coscienza alla ricerca di sé.
Müller, Severin
Phänomenologie und philosophische
Theorie der Arbeit.
Band I: Lebenswelt Natur - Sinnlichkeit
Karl Alber, Freiburg i. Br.
maggio 1992
pp. 490, DM 98
Il libro costituisce il primo volume
di un’analisi fenomenologica e filosofica del lavoro moderno, nella sua
storia dei significati e degli orientamenti.
Münch, Dieter
Intention und Zeichen.
Untersuchungen zu Franz Brentano
und zu Edmund Husserls Frühwerk
Philosophia Verlag
München maggio 1992
pp. 232, DM 89
O’Rourke, Fran
Pseudo-Dionysius and
the netaphysics of Aquinas
Brill, Leiden/Köln giugno 1992
pp. 300, Dfl 140
Nabert, Jean
Eléments pour une éthique
Aubier, Paris maggio 1992
pp. 221, FF 120
Una tesi cara all’autore: la riflessione
è desiderio, che non cerca un punto di
partenza radicale, poiché tutto è già
stato provato sul registro del sentimento, ma resta da comprendere.
Oberschelp, Arnold
Logik für Philosophen
B. I. -Wiss. Vlg., Mannheim
giugno 1992
pp. 200, DM 29,80
Introduzione alla logica centrata sui
seguenti punti: logica del messaggio,
logica del predicato, logica di classe e
logica modale.
Nagl, Ludwig
Charles Sanders Peirce
Campus, Frankfurt/M. giugno 1992
pp. 140, DM 17,80
L’introduzione di Nagl si accosta ai
concetti fondamentali della teoria dei
segni di Peirce e dimostra in che senso il suo pragmatismo, la teoria delle
categorie, la teoria della scienza e la
filosofia speculativa dell’evoluzione
vadano messe in relazione al concetto
di semiosi, il processo continuo di
rimando dei segni.
Olson, Alan M.
Hegel and the spirit:
Philosophy as pneumatology
Princeton University Press
giugno 1992
pp. 240, £ 17,50
Il testo esplora il significato della
grande categoria filosofica di Hegel,
quella di “Geist”, per mezzo di quella
che Olson definisce una tesi pneumatologica. Egli sostiene che lo sviluppo di Hegel di una filosofia come
pneumatologia trae origine da una
valutazione della comprensione dialettica dello spirito di Lutero.
Nancy, Jean-Luc
Corpus
A. -M. Métailié, maggio 1992
pp. 112, FF 80
Allontanandosi dalla filosofia tradizionale, l’autore porta qui la riflessione di un uomo (che ha subito un
trapianto di cuore) sul corpo come
limite del pensiero. Dopo il suo ultimo libro (Une pensée finie, Galilée
1991) pratica una messa in prospettiva della metafisica e della religione in
rapporto al corpo.
Negri, Antimo
Giovanni Gentile
Edizioni dell’Arcipelago
Genova gennaio 1992
pp. 95, L. 20. 000
Neumann, Walter G.
Praxiskritik J. Habermas’
”Erkenntnis und Interesse”
Haag & Herchen
Frankfurt/M. maggio 1992
pp. 152, DM 24,80
Nickl, Peter
Jacques Maritain.
Eine Einführung in Leben und Werk
Schöningh, Paderborn giugno 1992
pp. 160, DM 36
Nisters, Thomas
Akzidentien der Praxis.
Thomas von Aquins Lehre
von den Umständen
menschlichen Handelns
Karl Alber, Freiburg maggio 1992
pp. 190, DM 58
In genere, gli uomini si trovano davanti situazioni irripetibili. Filosofia
morale, giurisprudenza e teologia
morale si eclissano alla generalità
contingente, non appena non tengano
conto di questa singolarità delle circostanze. La teoria morale di Tommaso d’Aquino in modo ineguagliabile trasforma questa particolarità in
una prassi umana.
Otto, M. A. C.
Der Ort. Phänomenologische
Variationen
Karl Alber, Freiburg i. Br.
giugno 1992
pp. 170, DM 48
Il luogo, che fa dell’esserci un esserequi, si frappone al tempo di quello: il
momento nel luogo ha il carattere di
un’eternità infinita. Si discute il mezzo dell’esserci, il corpo, in una trattazione di mezzo e fine, con un occhio
al secondo imperativo categorico di
Kant.
Otto, Stephan
Rekonstruktion der Geschichte.
Zur Kritik der historischen
Vernunft. Zweiter Teil:
Systematische Ausarbeitung
W. Fink, München maggio 1992
pp. 336, DM 88
Otto ci presenta un inventario delle
contraddizioni nella critica della ragione storica, per elaborare un fondamento filosofico-metodologico della
disciplina della storia dello spirito.
Ottonello, Pier Paolo
L’enciclopedia di Rosmini
Japadre Editore, L’Aquila marzo 1992
pp. 172
Una serie di saggi che sottolineano
importanti aspetti dell’opera di Rosmini.
Ouaknin, Marc-Alain
Méditations érotiques
Balland, Paris giugno 1992
pp. 150, FF 85
Partendo da un’interpretazione dell’opera di Emmanuel Lévinas, l’autore delinea un’etica che non è più
solo una branca della filosofia, ma
una filosofia a pieno titolo.
Pasqualotto, Giangiorgio
Estetica del vuoto
Marsilio Ed., Venezia
settembre 1992
pp. 168, L. 28. 000
Questa ricerca ci invita a rintracciare
le cause dell’impressione di smarrimento e di disagio in cui si trova
spesso l’osservatore occidentale che
si imbatte nelle forme d’arte della
Cina e del Giappone; queste cause le
troviamo non solo nella differenza
storica e teorica delle culture orientali, ma nella loro esperienza vissuta:
nell’esperienza del vuoto.
Patar, Benoit (a cura di)
Jean Buridan, Le Traité de l’âme:
de prima lectura
Institut supérieur de philosophie
maggio 1991
pp. 891, FF 834
Quando Buridano comincia la propria carriera universitaria, verso il
1320, i filosofi si interessano particolarmente alle questioni psicologiche
e al De Anima di Aristotele. B: Patar
presenta un’edizione critica delle due
opere maggiori di Buridano: Expositio de anima e Quaestiones de anima,
ricollocandole in questa prospettiva.
Peirce, Charles Sanders
Categorie
a cura di Rossella Fabbrichesi Leo
Laterza, Bari luglio 1992
pp. 158, L. 29. 000
Un’antologia che raccoglie i testi più
significativi, e nella maggior parte
mai tradotti in italiano o inediti, che il
filosofo americano ha dedicato al problema delle categorie.
Pietsch, Christian
Prinzipienfindung bei Aristoteles.
Methoden und erkenntnistheoretische
Grundlagen
Teubner, Stuttgart maggio 1992
pp. 359, DM 78
Pinset, H. David
Vacanze con Wittgenstein
Pagine di diario
Bollati Boringhieri
Torino settembre 1992
pp. 160, L. 18. 000
Studente a Cambridge, dove era andato per seguire le lezioni di Bertrand
Russell, Wittgenstein - poco più che
ventenne - incontra nel 1912 David
Pinset. Ne nascono una frequentazione assidua e una certa complicità intellettuale a tal punto che Wittgenstein dedicherà a lui, che definisce “il
mio primo ed unico amico”, il
Tractaus logico-philosophuicus.
Pouivet, Roger
Lire Goodman:
les voies de la référence
Eclat, Paris aprile 1992
pp. 180, FF 80
L’opera di Nelson Goodman, che in
Francia si comincia ora a conoscere,
costituisce qui oggetto di discussioni
e di applicazioni. Alcuni filosofi analizzano le questioni dell’estetica, del
rituale, del rapporto dell’arte e della
scienza con la comprensione. Una
nuova raccolta che si propone di presentare l’opera di un filosofo contemporaneo.
NOVITA' IN LIBRERIA
Pourtalès, Guy de
Calame, Christophe
Nietzsche en Italie;
L’Europe des grands pianos
Age d’homme, Losanna maggio 1992
pp. 124, FF 40
Troppo spesso si ricorda l’episodio
torinese di Nietzsche quando, dopo
una crisi apoplettica, perse l’uso della
ragione. Questa fine tragica non deve
però far dimenticare tutto ciò che di
solare l’Italia ha portato in un’opera
che non cesserà mai di essere grande.
Preterossi, Geminello
I luoghi della politica.
Figure istituzionali della filosofia
del diritto hegeliana
Guerini e Ass., Milano maggio 1992
pp. 205, L. 34. 000
Il libro analizza i diversi livelli in cui
si articola la politica in Hegel e mostra lo spessore del confronto del diritto pubblico hegeliano con un dibattito politico-costituzionale vivo e variegato, smentendo l’immagine monolitica della cosiddetta “epoca della
Restaurazione”
Putnam, Hilary
Il pragmatismo:
una questione aperta
a cura di Massimo Dell’Utri
Laterza, Bari luglio 1992
pp. 112, L. 15. 000
Il grande filosofo americano torna al
pragmatismo e al confronto con la
lezione di James, Peirce, Dewey,
Wittgenstein per affrontare la questione se sia possibile un’alternativa
tra scetticismo morale corrosivo e
autoritarismo morale.
Quillien, Jean (a cura di)
Cahiers Eric Weil, n. 3
Université Lille III, aprile 1992
FF 90
Il volume contiene le comunicazioni
su Kant e le interpretazioni del kantismo.
Rametta, Gaetano
Filosofia come "sistema della scienza"
Tamoni Ed., Schio settembre 1992
pp. 266, L. 29.000
Il volume esamina la concezione hegeliana del negativo e della dialettica
nella concretezza del suo articolarsi
linguistico e concettuale. All'indagine puntuale delle strutture argomentative e delle peculiarità terminologiche della Vorrede, accompagna l'analisi del confronto instaurato da Hegel
con le sue precedenti posizioni filosofiche e con i suoi grandi contemporanei filosofi e poeti.
Rapp, Friedrich
Fortschritt. Entwicklung
und Sinngehalt einer
philosophischen Idee
Wiss. Buchges., Darmstadt
maggio 1992
pp. 232, DM 42
Attraverso la conoscenza dello sviluppo e del senso dell’idea di progresso, si può raggiungere Disanz, e
con ciò la libertà, nei confronti della
situazione concreta, il punto a cui
tende il libro.
Raymond, Didier (a cura di)
Arthur Schopenhauer:
Essai sur le libre arbitre
Rivages, Paris aprile 1992
pp. 180, FF 59
Il filosofo è innanzitutto un disilluso
e la sua filosofia una caccia alle illusioni. In questo saggio, pubblicato
per la prima volta nel 1841, si aggrappa all’illusione della libertà, della
quale nega l’esistenza.
Raymond, Pierre
Dissiper la terreur et les ténèbres
Méridiens-Klincksieck, maggio 1992
pp. 144, FF 150
Come la priorità data alle pratiche di
decisione e alla politica morale e la
preoccupazione della ricerca di una
verità scientifica si sono affrontate
nei recenti sconvolgimenti del socialismo e del comunismo.
Reibnitz, Barbara von
Ein Kommentar zu
Friedrich Nietzsches “Die Geburt der
Tragödie aus dem Geiste der Musik
J. B. Metzler, Stuttgart maggio 1992
pp. 360, DM 68
Reichel, H. -Chr.
Prat de la Riba, E. (a cura di)
Naturwissenschaft und Weltbild.
Mathematik und Quantenphysik
in unserem Denk- und Wertesystem
Hölder-Pichler-Tempsky
Wien maggio 1992
pp. 272, DM 43
Reiman, Jeffrey
Justice and modern moral philosophy
Yale UP, New Haven CT giugno 1992
pp. 336, $ 19
Analizzando teorie di Hobbes, Locke, Rousseau, Kant, Marx, Gewirth,
Nozick, Rawis e altri, Jeffrey Reiman
propone qui una nuova teoria della
giustizia.
Renner, R. G. (a cura di)
Klassiker deutschen Denkens.
Schlüsseltexte der deutschen
Geistes- und Wissenschftsgeschichte
Herder, Freiburg maggio 1992
pp. 384, DM 98
Rescher, Nicholas
Ethical idealism:
An inquiry into the nature
and function of ideals
University od California Press
giugno 1992
pp. 159, $ 14,50
E’ razionale lottare per l’irraggiungibile? In questo saggio l’autore difende
la razionalità e la praticabilità di una
seria ricerca dei sogni impossibili.
Resweber, Jean-Paul
La Philosophie des valeurs
PUF, Paris aprile 1992
pp. 128, FF 38
La filosofia dei valori caratterizza
una corrente di pensiero nata nella
prima metà del XX secolo, grazie a un
clima polemico in cui si affrontano i
filosofi della decostruzione (Nietzsche, Freud o Marx) e quelli della
restaurazione (Sheler, Mounier, Dupréel, eccetera).
Richter, Emanuel
Der Zerfall der Weltenheit
Vernunft und Globalisierung
in der Moderne
Campus-Vlg., Frankfurt/M.
maggio 1992
pp. 291, DM 78
pp. 380, DM 68 ÖS 476
Richter, Ewald
Heideggers Frage nach dem
Gewährenden und die exakten
Wissenschaften
Dunckler & Humblot
Berlin maggio 1992
pp. 116, DM 86
Schleichert, Hubert
Der Begriff des Bewußtseins.
Eine Bedeutunsanalyse
Klostermann, Frankfurt/M.
giugno 1992
pp. 222, DM 48
Ricken, F. - Marty, F. (a cura di)
Kant über Religion
Kohlhammer, Stuttgart maggio 1992
pp. 260, DM 49
Soprattutto nelle sue opere tarde, Kant
elabora nuovi fondamenti filosofici
sulle credenze religiose. I contributi
di ricercatori tedeschi, francesi e inglesi seguono lo sviluppo degli scritti
religiosi fino all’Opus postumum.
Roberts, Julian
The logic of reflection.
German philosophy in the
twentieth century
Yale University Press
New Haven CT aprile-maggio 1992
pp. 288, £ 25
Il volume offre un’esposizione critica della metafisica tedesca e della
filosofia della logica nel XIX secolo.
L’argomento è inserito nel contesto
del dibattito fra filosofi “analitici” e
“continentali” e verte sul problema
della riflessione che secondo Robert
si trova al cuore di entrambe le tradizioni.
Sassenbach, Ulrich
Der Begriff des Politischen
bei Immanuel Kant
Königshausen & Neumann
Würzburg maggio 1992
pp. 182, DM 34
Questo lavoro vuole dimostrare che
la filosofia kantiana contiene in sé un
concetto della politica che attraverso
la connessione fra normatività ed
esperienza, attraverso l’accentuazione della differenza critica tra ragione
pura pratica e realtà empirica può
ancora oggi dare il proprio contributo
a una teoria dell’obiettivo politico e
del metodo.
Schelling, Friedrich W. J.
Urlassung der Philosophie
der Offenbarung
Meiner, Hamburg maggio 1992
pp. 406, DM 78
Questa edizione getterà piena luce
sull’ultimo periodo creativo di Schelling, fino a questo momento considerato oscuro. La scoperta della versione originale della Filosofia della rivelazione mette in evidenza come le
edizioni fin qui esistenti del testo non
rispecchiavano le intenzioni dell’autore.
Schermaier, M. J. (a cura di)
Materia. Beiträge zur Frage
der Naturphilosophie im klassischen
römischen Recht
Böhlau, Köln/Wien giugno 1992
Schlegel, Lothar H. P.
Urteilstheorie bei
Friedrich Ueberweg
Lit, Münster giugno 1992
pp. 160, DM 68,80
Schneider, Hans J.
Phantasie und Kalkül.
Über die Polarität von Handlung
und Strukturen in der Sprache
Suhrkamp, Frankfurt maggio 1992
pp. 580, DM 78
I tentativi intrapresi all’inizio del secolo di delimitare in modo formale
ciò che ha senso linguisticamente e di
dominarlo quindi con il calcolo è destinato a fallire e studiare questo campo singolarmente è da un punto di
vista linguistico filosofico ricchissimo di implicazioni e di grande importanza per le scienze dello spirito.
Schrempp, Gregory
Magical arrows: The Maori,
the greeks and the folklore
of the universe
University of Wisconsin Press
giugno 1992
pp. 240, £ 13,50
Un’esplorazione della cosmologia che
mette in connessione la tradizione
filosofica occidentale con le tradizioni cosmologiche di società non occidentali. Servendosi della mitologia e
della filosofia dei Maori come parametro, si scopre un comune denominatore filosofico nel pensiero di Zenone di Elea.
Schröter, Manfred (a cura di)
Friedrich Wilhelm
Joseph von Schelling:
Les Ages du monde - Fragments
(premières versions de 1811 et 1813)
PUF, Paris aprile 1992
pp. 368, FF 238
Una meditazione in cui si fa luce sulla
tesi centrale del carattere organico
del tempo e da cui risulta che passato,
presente e futuro, lungi dall’essere
dati all’uomo, possono essere conquistati solo grazie a una vittoria su di
sé. Prima traduzione integrale francese dell’ultimo tomo delle Opere di
Schelling, pubblicate nel 1946 da M.
Schröter.
Schulte, Günter
Kennen Sie Marx? Kritik der
proletarischen Vernunft
Campus-Vlg, Frankfurt/M.
maggio 1992
pp. 237, DM 38
Schulz, Walter
Subjektivität im
nachmetaphysischen Zeitalter
Günter Neske, Pfullingen
giugno 1992
pp. 384, DM 82
Osservazioni sulla fine della metafisica - Soggettività e tempo - Soggettività e morte - La fine della filosofia della
NOVITA' IN LIBRERIA
storia e il suo significato per la soggettività - Per un chiarimento filosofico
della storia occidentale fra Nietzsche e
Heidegger - Dibattito sull’interpretazione postmoderna della fine della
metafisica - Riferimenti diversi al problema della soggettività - etc.
Schulze, Markus
Leibhaft und unsterblich.
Zur Schau der Seele in der
Anthropologie und Theologie des hl.
Thomas von Aquin
Freiburg/CH, Freiburg maggio 1992
pp. 188, Sfr 34
Schütt, Rolf R.
Von den jüdischen Religion
zur deutschen Philosophie
und zurück.
Versuch über das Unbewußuste
des Denkens
Vlg. Die Blaue Eule
Essen giugno 1992
pp. 262, DM 68
Secret, Francois
Hermétisme et Kabbale
Bibliopolis, Napoli luglio 1992
pp. 146, L. 22. 000
Cinque saggi per chiarire la concezione cabalistica dell’alchimia.
Seebass, Gottfried
Wollen
Klostermann, Frankfurt a. M.
maggio 1992
pp. 320, DM 84
Il libro illustra la prima parte di un più
ampio progetto di ricerca filosofica
sulla “responsabilità”, concepita
meta-eticamente e che deve produrre
un parametro di giudizio per determinati concetti di “responsabilità” morale o giuridica. Al centro si trova il
rapporto “attivo” dell’uomo con il
mondo.
Senigaglia, Silvana
Il gioco delle assonanze.
A proposito degli influssi
hobbessiani sul pensiero
filosofico-politico di Hegel
La Nuova Italia, Firenze maggio 1992
pp. 235, L. 28. 000
Un’indagine che individua i temi, i
percorsi, l’adesione e la distanza che
caratterizzano la presa di posizione di
Hegel verso Hobbes, da lui considerato il fondatore della scienza politica
moderna.
Seyhan, Azade
Representation and its discontents.
The critical legacy of
German Romanticism
University of California Press
Berkeley giugno 1992
pp. 189, $ 20
Seyan ci offre un’introduzione concisa ed elegante nell’esposizione alla
teoria critica del romanticismo tedesco e dimostra come il suo approccio
alla natura metaforica e linguistica
della conoscenza sia tuttora vivissima nella filosofia contemporanea e
nella teoria letteraria.
Sitt, Martina
Kriterien der Kunstkritik.
Jackob Burckhardts
unveröffentlichte Ästhetik
als Schlüssel seines Rangsystems
Böhlau, Wien/Köln/Weimar
maggio 1992
pp. 192, DM 42,50
Sloane, William Milligan (a cura di)
The life of James McCosh (1896)
Theommes Press, giugno 1992
pp. 294, £ 44
James McCosh (1811-1894) è stato
l’ultimo grande rappresentante della
scuola filosofica scozzese del “senso
comune”. La sua autobiografia ci dà
un resoconto della vita e dello sviluppo intellettuale alle università di Glasgow e di Aberdeen, prima di diventare professore al Queen’s College di
Belfast.
Smith, John E.
America’s philosophical vision
Univ. of Chicago Press
Chicago giugno 1992
pp. 207, $ 18
Pochi filosofi sono stati altrettanto
vigili quanto John E. Smith alla difesa del contributo unicamente americano alla filosofia. In questo volume
vengono raccolti per la prima volta
molti dei suoi saggi più importanti.
Sommerville, C. John
The secularization of
early modern England:
From religious culture
to religious faith
Oxford University Press
giugno 1992
pp. 272, £ 27,50
L’autore prende in esame il sorgere
della secolarizzazione nell’Inghilterra del XVII secolo, esaminando come
e perché diversi aspetti della vita si
separano dai valori religiosi.
Spinks, C. W.
Peirce and triadomania.
A walk in the semiotic wilderness
Mouton de Gruyter, Berlin/New York
giugno 1992
pp. 256, DM 148
Indagine sugli inizi e sui successivi
sviluppi dei rapporti fra segno, oggetto e interpretante nella teoria semiotica di Charles Sanders Peirce.
Spitzley, Thomas
Handeln wider besseres Wissen.
Eine Diskussion
klassischer Positionen
de Gruyter, Berlin giugno 1992
pp. 241, DM 118
Stachowiak, H. (a cura di)
Sprachphilosophie,
Sprachpragmatik und
formative Pragmatik
Meiner, Hamburg giugno 1992
pp. 528, DM 278
Contenuto: Parte 1: Filosofia del linguaggio pragmatica. Parte 2: Pragmatica linguistica. Parte 3: Pragmatica semiotica e logica. Parte 4: Pragmatica matematica.
Stanciu-Reiss, Françoise
Parlez-moi de la mort. . .
Siloë, Paris aprile 1992
pp. 250, FF 125
Smitizzando e sdrammatizzando il
tabù che ancora oggi costituisce
l’esperienza della morte, l’autore si
innalza a un vero gioco di costruzione
per raccogliere innumerevoli pensieri, riflessioni e studi su questa angoscia fondamentale che dalla quale siamo tutti ossessionati.
Steffens, A. - Szlezynger, J.
Das Unvermeidliche und sein Preis.
Antworten auf die Frage:
”Ist Philosophie in der Lage,
ihre Zeit in Gedanken zu fassen?”
Bollmann, Düsseldorf/Bensheim
giugno 1992
pp. 100, DM 19,80
Stegmaier, Werner
Philosophie der Fluktuanz.
Dilthey und Nietzsche
Vandenhoeck & Ruprecht
Göttingen maggio 1992
pp. 420, DM 96
Steinherr, Thomas
Der Begriff “absoluter Geist”
in der Philosophie G. W. Hegels
EOS-Verlag, St. Ottilien
maggio 1992
220, ÖS 210
Stekeler-Weithofer, Pirmin
Hegels Analytische Philosophie.
Die Wissenschaft der Logik
als kritische Theorie der Bedeutung
Schöningh, Paderborn maggio 1992
pp. 460, DM 98
Stemmer, Peters
Platons Dialektik.
Die frühen und mittleren Dialoge
de Gruyter, Berlin giugno 1992
pp. 307, DM 158
Platone chiama “dialetto” la capacità
di discutere con metodo come fare
domande ciò che è essere buoni, giusti, accorti. Il saggio cerca innanzitutto il perché domande concettuali di
questo genere in Platone sospingano
al centro della filosofia, e in secondo
luogo quale metodo Platone concepisca per la risposta a simili domande
nei primi dialoghi e in quelli di mezzo.
Störig, Hans J.
Kleine Weltgeschichte
der Philosophie
Fischer Taschenbuchvlg.
Frankfurt a. M. giugno 1992
DM 29,80
L’autore ha rinnovato il capitolo sul
XX secolo, ampliando parti essenziali.
Streminger, Gerhard
Gottes Güte und die Übel der Welt.
Das Theodizeeproblem
J. C. B. Mohr, Tübingen maggio 1992
pp. 470, DM 80
Streminger discute i differenti tentativi di soluzione e li respinge senza
eccezione come insostenibili. Si espone l’esigenza di trattare il problema in
tutta la sua pienezza. Inoltre, Steminger cerca di dimostrare non solo che il
problema della teodicea rimane a tutt’oggi irrisolto, ma anche che una
teodicea è impossibile.
Stucki, Pierre-André
Les Leçons de l’existentialisme:
de Platon à Sartre
Labor et Fides, maggio 1992
pp. 100, FF 55
Dall’Ecclesiaste a Kierkegaard, passando per Kant, Lutero o Kant, l’esistenzialismo all’opera è presente sotto la forma di lezioni di facile approccio.
Tachibana, Shundo
The ethics of buddhism
Curzon Press, giugno 1992
pp. 304, £ 10,99
Il libro cerca di dimostrare che il
buddhismo, all’origine, è una religione di grande statura morale e che la
moralità messa in evidenza dal buddhismo è di tipo pratico. L’opera presenta un’indagine delle virtù cardinali del buddhismo invece di limitarsi
ad astrarne semplicemente l’idea
morale e a filosofare su di essa.
Tackels, Bruno
Walter Benjamin
Presses universitaires de Strasbourg
Strasbourg maggio 1992
pp. 136, FF 60
Un’introduzione all’opera di W.
Benjamin: filosofia del linguaggio,
riflessione sull’arte, critica della storia. Questo volume inaugura una nuova collana.
Tassin, Etienne (a cura di)
Denis Diderot.
Supplement au voyage
de Bougainville et autres
oeuvres philosophique
Presses-Pocket, maggio 1992
pp. 363, FF 60
Raffronto fra una società che obbedisce al solo codice di natura e una
sottomessa a tre autorità contraddittorie: quella divina, quella morale e
quella legale.
Thagard, Paul
Conceptual revolutions
Princeton UP
Lawrenceville NJ giugno 1992
pp. 344, $ 40
In questo lavoro apripista, Paul Thagard si concentra sulla storia e la
filosofia della scienza, sulla psicologia cognitiva e sul campo dell’intelligenza artificiale, elaborando una teoria del cambiamento concettuale in
grado di dar conto delle maggiori
rivoluzioni scientifiche.
Titze, Hans
Das philosophische Gesamtwerk.
Band 1: Wissen, Glauben, Handeln
Schäuble, Rheinfelden giugno 1992
pp. 174, DM 78
Toner, James H.
The sword and the cross:
Reflections on command
and conscience
Praeger Publisher, giugno 1992
pp. 224, £ 35
Uno studio delle relazioni esistenti
fra politica ed etica. Suo fine è di
sottolineare che le convinzioni morali concepite e attuate senza saggezza
politica possono essere fallimentari e
che una strategia geopolitica formulata e messa in pratica senza carattere
etico può risultare disastrosa.
NOVITA' IN LIBRERIA
Touati, Charles
La Pensée philosophique
et théologique de Gersonide
Gallimard, Paris giugno 1992
pp. 574, FF 110
Gersonide (1288-1344), matematico,
astronomo, medico, esegeta biblico e
talmudista, ha elaborato nella Francia meridionale, ambiente di grande
vivacità intellettuale, un sistema filosofico e teologico che avrebbe segnato tutto il pensiero ebraico successivo.
Traub, Hartmut
Die Populärphilosophie J. G. Fichtes
Frommann-Holzbog
Stuttgart maggio 1992
pp. 270, DM 84
Tugendhat, Ernst
Ethik und Politik
Suhrkamp, Frankfurt a. M.
giugno 1992
pp. 120, DM 14
Contiene le più importanti prese di
posizione etico-politiche del Professore di filosofia di Berlino degli ultimi quindici anni. I temi sono: Questioni di pedagogia; Guerra e pace;
Minoranze e profughi; Tedeschi ed
ebrei.
Twersky, Isadore (a cura di)
Studies in Maimonides
Harvard UP, Cambridge MA
giugno 1992
pp. 300, £ 24
Una raccolta di saggi critici sul pensiero maimonide per gli studiosi del
pensiero ebraico medievale.
Valera, Francisco - Thompson,
Evan
Rosch, Eleanor
La mente incarnata
Scienze cognitive
e esperienza umana
Feltrinelli, Milano settembre 1992
pp. 320, L. 55. 000
Per “scienze della cognizione” si intende l’insieme delle discipline interessate allo studio della mente. La
convinzione che ha spinto gli autori a
scrivere questo libro è che tutte le
ricerche in questo campo falliscono
nel comprendere la mente umana all’interno dell’esperienza vissuta, quotidiana, perché incapaci di inglobare
quest’ultima nel loro modello interpretativo. E’ necessario quindi che la
filosofia torni al concreto, che si coniughi pensiero e esperienza, e che si
possa scoprire l’immanenza della
mente, il suo essere “incarnata” appunto.
Verdan, André
Karl Popper ou la Conaissance
sans certitude
Presses Polytechniques Romandes
aprile 1991
pp. 145, FF 246
Sotto l’etichetta di “razionalismo critico” il pensiero di Popper s’è imposto come messa in guardia contro le
ideologie del XX secolo. Parallelamente alla sua concezione “falsificabilista” della conoscenza, ha elaborato una critica al dogmatismo totalita-
rio: al dittatore onnisciente, oppone il
democratico “ingegnere sociale”.
Vesey, Godfrey
Perception (1971)
Thoemmes Press, giugno 1992
pp. 114, £ 9,99
Breve studio introduttivo a uno dei
problemi principali della filosofia. La
preoccupazione primaria del professor Vesey in questo libro è di respingere l’idea che il compito del filosofo
sia quello di trovare una giustificazione a ciò che noi percepiamo come
vero, dato che la maggior parte della
percezione è sospetta.
Vetsch, Florian
Martin Heideggers Angang
der interkulturellen
Auseinandersetzung
Königshausen & Neumann
Würzburg giugno 1992
pp. 213, DM 38
Vignaux, George
Les Sciences cognitives:
une introduction
La Découverte, Paris giugno 1992
pp. 360, FF 110
Le scienze cognitive designano un
insieme di discipline che si volgono
ad analizzare i comportamenti intelligenti (degli uomini, degli animali o
delle macchine) e a esaminare i supporti materiali che sembrano condizionare questi comportamenti (il cervello o il computer, per esempio).
Vorländer, Karl
Immanuel Kant.
Der Mann und das Werk
Sonderausgabe.
2 Bände in einem Band
Meiner, Hamburg maggio 1992
pp. 800, DM 39,80
Nessun altro libro nella letteratura su
Kant presenta un ritratto tanto ricco
biograficamente e dal punto di vista
della storia delle opere del filosofo di
Königsberg, il “grande” precursore.
Waggaman, Béatrice
Le Voyage autour du monde
de Bougainville: droit et imaginaire
Presses universitaires de Nancy
maggio 1992
pp. 136, FF 90
Un diario di viaggio testimone di
un’ideologia radicata nei concetti di
potere centralizzato, di conquista e di
possesso territoriale così come sono
formulati nei trattati di diritto internazionale, dello “jus gentium” dell’epoca.
Walther, Christian
Ethik und Technik.
Grundfragen - Meinungen
Kontroversen
De Gruyter, Berlin maggio 1992
pp. 258, DM 38
Riallacciandosi al dibattito in corso
fra ingegneri e filosofi della tecnica
sulla necessità di un’etica della tecnica, in cinque capitoli vengono delineati fondamenti e criteri di una problematica della tecnica e delle sue interdipendenze culturali e socio-politiche.
Ward, Ian
Law, philosophy
and National Socialism.
Heidegger, Smith and
Radbruch in context
Lang, Frankfurt a. M. giugno 1992
pp. 276, DM 72
Warnock, Mary
The uses of philosophy
Blackwell Publishing
Oxford giugno 1992
pp. 256, £ 30
Si rivolge ad aree di pubblico interesse, quali la filosofia della biologia e
della medicina, la filosofia dell’educazione e l’uso della filosofia accademica. Le lezioni di Warnock dimostrano che tipo di uso si può fare
dell’abitudine di tutta una vita al pensiero filosofico quando si confronta
con problemi nella sfera pubblica.
Watson, John
Schelling’s transcendental
idealism (1882)
Thoemmes Press, giugno 1992
pp. 266, £ 36
Questo saggio offre al lettore un resoconto del “trascendentalismo” di
Schelling. Si tratta della prima monografia di lingua inglese su Schelling
ed è un testo importante per lo studio
dell’idealismo tedesco e di Schelling
in particolare.
Wenzel, Uwe J.
Anthroponomie.
Kants Archäologie der Autonomie
VCH, Weinheim maggio 1992
pp. 326, DM 142
Wenzel cerca di portare in luce il
momento dell’indeterminatezza che
si trova rinchiuso nella definizione
dell’autodeterminazione, e per mezzo di un aspetto che corrisponde alla
possibilità di un incontro di pathos
della libertà e di ethos del legame, di
spontaneità e di autonomia morale.
Wetzel, James
Augustine and the limits of virtue
Cambridge Univer. Press, giugno
1992
pp. 200, £ 32,50
Il libro esamina lo sviluppo della psicologia morale di Agostino, dimostrando che le prospettive offerte da
Agostino sul libero arbitrio non sono
state apprezzate come dovevano a
causa di una distinzione anacronistica fra teologia e filosofia.
Wieland, Wolfgang
Die aristotilsche Physik.
Untersuchungen
über die Grundlegung
der Naturwissenschaft und die
sprachlichen Bedingungen der
Prinzipenforschung bei Aristotels
Vandenhoeck & Ruprecht
Göttingen giugno 1992
pp. 365, DM 85
Williams, C. J. F.
Being, identity, and truth
Clarendon Press, Oxford giugno 1992
pp. 240, £ 27,50
I filosofi hanno trattato l’essere e la
verità come proprietà e l’identità come
relazione. L’autore dimostra che ciò
è dovuto a un’insufficiente valutazione del modo in cui funzionano le
parole “essere”, “vero” e “uguale”,
demistificando questioni metafisiche
quali il significato di “io” e la natura
della realtà.
Wolf, Jean-Claude
Verhütung oder Vergeltung?
Einführung in ethische Straftheorien
Karl Alber, Freiburg i. Br.
maggio 1992
pp. 188, DM 48
Il libro ci aggiorna sui problemi posti
e sulle soluzioni applicate alla legittimazione morale della punizione di
Stato, come ne discutono già da lungo
tempo nelle aree linguistiche angloamericane filosofia morale e filosofia
del diritto.
Zeidler, Kurt W.
Grundriß
der transzendentalen Logik
Junghans, Cuxhaven maggio 1992
pp. 206, DM 44
Zeki, Hans Günter (a cura di)
Platon: Timaios
Meiner, Hamburg maggio 1992
pp. 247, DM 48
Le teorie elaborate nel Timeo sulla
natura e il cosmo hanno improntato la
visione del mondo occidentale. Nella
connessione fra Physis ed Ethos entrambe ideate per la buona realizzazione dei compiti della vita gravosi e
carichi di responsabilità si dimostrano sorprendentemente moderne. Edizione bilingue con nuova traduzione.
Ziemke, Axel
System und Subjekt.
Biosystemforschung und Radikaler
Konstruktivismus im Lichte
der Hegelschen Logik
Vieweg, Wiesbaden giugno 1992
pp. 174, DM 68
Basandosi sulla genesi logica del concetto di soggettività nello scritto hegeliano “Scienza della logica”, si tenta una reinterpretazione del concetto
di sistemi cibernetici, autorganizzanti e autopoietici nel loro impiego sull’individuo vivente.
Zwick, Elisabeth
Der Mensch als personale Existenz.
Entwürfe
existenzialer Anthropologie
und ihre pädagogische
Implikationen
bei Sören Kierkegaard
und Thomas von Aquin.
EOS-Verlag, St. Ottilien giugno 1992
pp. 275, DM 34 ÖS 260
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