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Non vanno, ovviamente, riconosciuti al creditore chirografario

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Non vanno, ovviamente, riconosciuti al creditore chirografario
EFFETTI PER I CREDITORI
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Non vanno, ovviamente, riconosciuti al creditore chirografario interessi postfallimentari e si ritiene che non vadano riconosciuti, fino alla data di fallimento, gli interessi di cui al D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 (emesso in attuazione
della direttiva CEE n. 35/2000, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento
nelle transazioni commerciali) per espressa disposizione ex art. 1, comma 2, della medesima legge, a meno che gli stessi non siano stati liquidati con titolo giudiziario passato in giudicato, nel qual caso gli interessi saranno calcolati in conformità del citato D.Lgs. fino alla data di dichiarazione di fallimento.
Per evitare una posizione di vantaggio per i crediti infruttiferi ab origine,
l’art. 57 L.F. statuisce che tali crediti, qualora il riparto avvenga prima della loro
scadenza, subiscano una decurtazione degli interessi composti nella misura del
5% per il tempo restante dalla data del pagamento, sino al giorno della scaden8
za del credito .
Nella consecuzione concordato-fallimento trovano applicazione gli stessi criteri esposti per il fallimento, dovendosi far riferimento al momento della presentazione della domanda di concordato, per l’espresso richiamo contenuto nell’art. 169 L.F. all’art. 55 L.F. Diversamente ove non vi sia una consecuzione
(anche alla luce dei nuovi presupposti oggettivi non necessariamente coincidenti tra le due procedure) l’effetto della sospensione degli interessi comincia a decorrere dalla dichiarazione di fallimento e non dalla presentazione della domanda di concordato, data l’autonomia della dichiarazione di fallimento che segna
il momento temporale di riferimento cui ragguagliare il regime dei crediti e degli interessi.
5.3.1. Gli interessi per crediti privilegiati
Il concorso dei creditori sui beni del fallito deve avvenire nel rispetto della
par condicio creditorum; tale principio trova applicazione per i soli creditori chirografari, ma non per i creditori cui fanno capo cause specifiche di prelazione,
come ipoteca, pegno o privilegio. Questi ultimi, infatti, fanno valere il loro diritto di prelazione sul prezzo dei beni vincolati e solo allorché non siano soddisfatti interamente con il valore realizzato da tali beni, concorrono con i creditori
chirografari nella ripartizione dell’attivo residuo. I creditori muniti di cause di
prelazione godono di un trattamento preferenziale sia in sede di ripartizione
dell’attivo, sia sotto il profilo del regime degli interessi.
L’art. 54 L.F. dispone, infatti, che i creditori garantiti da ipoteca, pegno o pri8
La misura del 5% annuo è fissa e non variabile in relazione al tasso di interesse legale, il che
attualmente, in seguito alla nuova disciplina dell’art. 1284 c.c. ed al ridotto tasso di interesse legale, comporta un trattamento meno favorevole per i crediti infruttiferi.
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vilegio fanno valere il loro diritto di prelazione sul prezzo dei beni vincolati per il
capitale, l’interesse e le spese. I creditori garantiti hanno, inoltre, diritto di concorrere alle eventuali ripartizioni parziali effettuate prima della distribuzione del
ricavato dei beni vincolati alla garanzia. Ove, tuttavia, ottengano successivamente
un’utile collocazione su tale ricavato per l’intero loro credito, avranno diritto a
percepire la sola differenza tra l’entità del credito e quanto abbiano già ricevuto in
sede di riparti parziali. L’eccedenza sarà, infatti, attribuita ai creditori chirografari.
Più articolata appariva, ante riforma, la disciplina dell’estensione della prelazione agli interessi per i creditori garantiti da pegno, ipoteca e privilegio. Il legislatore del 1942 aveva fatto ricorso alla legiferazione per rinvio, richiamando nell’ultimo comma dell’art. 54, solo le norme di cui agli artt. 2788 e 2855 c.c., e
limitandosi a sancire una equiparazione tra la dichiarazione di fallimento e l’atto di pignoramento. Le due norme si riferiscono rispettivamente al pegno e
all’ipoteca: l’art. 2788 c.c. dispone che la prelazione ha luogo per gli interessi,
anche convenzionali, dell’anno in corso alla data del pignoramento e per gli interessi successivamente maturati, nei limiti della misura legale, fino alla data
della vendita; l’art. 2855 c.c. prevede, invece, che la collocazione degli interessi,
anche al tasso convenzionale, nello stesso grado del capitale, sia limitata alle due
annate anteriori e a quella in corso al giorno del pignoramento, nonché al periodo successivo al «compimento dell’annata in corso alla data del pignoramento, però soltanto nella misura legale e fino alla data della vendita».
La questione, che soltanto di recente aveva trovato una soluzione in un intervento “riformatore” della Consulta, concerneva il mancato richiamo dell’art.
2749 c.c., che disciplina l’estensione della prelazione agli interessi in materia di
privilegi. Il dibattito aveva riguardato in modo particolare la disciplina degli interessi successivi al fallimento: l’art. 55 L.F. nel prevedere la deroga al principio
della sospensione degli interessi per tutti i crediti privilegiati senza alcuna distinzione, fa salvo il comma 3 dell’art. 54 della stessa legge, che, come già detto,
si limitava a richiamare le norme in materia di pegno ed ipoteca, omettendo il
rinvio all’art. 2749 c.c. Prima dell’intervento risolutore della Consulta, a fronte
di alcune espressioni della dottrina favorevoli all’estensione del privilegio agli
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interessi successivi alla dichiarazione di fallimento , in giurisprudenza si era
consolidato l’orientamento contrario, secondo cui i crediti muniti di privilegio
(sia generale che speciale) avrebbero continuato a produrre interessi, anche nel
corso della procedura nella misura legale e sino alla data della vendita, ma con
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collocazione meramente chirografaria .
Era stata quindi sollevata questione di legittimità dell’art. 54, comma 3, in
relazione all’art. 3 Cost., che la Corte Costituzionale aveva risolto in passato di9
DEL VECCHIO, Le spese e gli interessi nel fallimento, Milano, 1969, p. 251 ss.
Cass. 4 aprile 1995, n. 3960.
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chiarando la questione infondata in quanto, si osservava, la denunciata disparità
di trattamento degli interessi relativi ai crediti privilegiati rispetto agli interessi
dei crediti assistiti da pegno o ipoteca «trova adeguata giustificazione nella non
irragionevole valutazione discrezionale del legislatore circa l’ontologica diversità
intercorrente tra le varie cause di prelazione considerate, differenza che si riflette
11
(…) nel differenziato regime generale riservato a ciascuna di esse» . La Consulta aveva assunto, invece, un diverso orientamento con riferimento specifico ai
crediti privilegiati da lavoro dipendente, per i quali si ravvisava nell’omessa pre12
visione della prelazione una ingiustificata lesione dell’art. 36 Cost. .
Un ultimo intervento della Corte Costituzionale, aveva però dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 3, L.F., nella parte in cui non ri13
chiamava, ai fini della estensione della prelazione agli interessi, l’art. 2749 c.c. .
La riforma modifica il comma 3 dell’art. 54 L.F., prevedendo l’estensione
del diritto di prelazione agli interessi non solo con riferimento agli artt. 2788 e
2855 c.c (crediti pignoratizi e crediti ipotecari), ma anche con riferimento all’art. 2749 c.c. (crediti assistiti da privilegio); ciò al fine di recepire l’ultimo intervento della Consulta e di rimediare a quello che la dottrina e la giurisprudenza più recenti consideravano una mera svista del legislatore del 1942. Si è inoltre precisato, anche qui recependo l’orientamento prevalente, che il decorso degli interessi maturati dai crediti assistiti da privilegio generale cessa alla data di
deposito del progetto di riparto, nel quale il credito risulti, anche parzialmente,
soddisfatto.
Abbiamo, quindi, la seguente individuazione relativa alla collocazione degli
interessi, ovviamente dovuti solo se esplicitamente richiesti dal creditore nell’istanza di insinuazione al passivo fallimentare:
a) interessi generati da crediti pignoratizi (art. 2788 c.c.): il trattamento
degli interessi generati dai crediti pignoratizi si fonda sugli stessi principi che
verranno esposti per gli interessi sui crediti ipotecari, divergendo (oltre che per
la natura mobiliare dell’oggetto della garanzia, che non comporta l’iscrizione)
solo per i diversi limiti temporali entro cui la prelazione è riconosciuta, ossia solo l’anno in corso alla data della dichiarazione di fallimento. La collocazione al
passivo di un credito in via pignoratizia fa collocare nella stessa posizione:
• gli interessi corrispettivi, al tasso convenzionale contrattualmente pattuito,
maturati nell’annata (contrattuale) in corso al momento della dichiarazione di
fallimento;
11
Corte Costituzionale 28 luglio 1993, n. 350.
Corte Costituzionale 20 aprile 1989, n. 204.
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Corte Costituzionale 28 maggio 2001, n. 162.
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PARTE PRIMA – IL FALLIMENTO
• gli interessi, al tasso legale sul capitale, successivi all’annata in corso al
momento della dichiarazione di fallimento e fino alla vendita del bene offerto
in garanzia.
Trovano, invece, collocazione chirografaria fino alla data del fallimento:
• gli interessi moratori al tasso convenzionale contrattualmente pattuito dovuti dalla data di messa in mora;
• gli interessi corrispettivi al tasso convenzionale contrattualmente pattuito
maturati prima dell’annualità in corso al momento della dichiarazione di fallimento;
b) interessi generati da crediti ipotecari (art. 2855 c.c.): il comma 2 dell’art.
2855 c.c., non concede la prelazione a tutti gli interessi convenzionali ante fallimento generati da crediti ipotecari arretrati, ma la limita «alle due annate anteriori e a quella in corso al momento del pignoramento, ancorché sia stata pattuita
l’estensione della prelazione ad un maggior numero di annualità». Quindi le annate garantite sono tre: quella in corso al momento del fallimento e le due anteriori, anche in presenza di diversa pattuizione più favorevole per il creditore.
L’anno in corso non coincide con l’anno solare nel quale è intervenuta la dichiarazione di fallimento, ma con l’annata di maturazione degli interessi, ossia
quella compresa tra la data di inizio del debito per interessi e quella di scadenza.
Per il periodo sopra indicato l’articolo in commento prevede la collocazione in
via ipotecaria, nello stesso grado del capitale, degli interessi dovuti senza alcuna
differenza tra interessi corrispettivi o moratori; anche se esistono indirizzi contrastanti, si ritiene che gli interessi che godono della prelazione ipotecaria siano
solo quelli corrispettivi e non anche quelli moratori. Dopo il compimento dell’annata in corso alla data di dichiarazione di fallimento, gli interessi vanno collocati, sempre in via ipotecaria, nella misura legale (determinata, per tutti i crediti, dall’art. 1284, comma 1, c.c.). Il dies ad quem della decorrenza degli interessi per i crediti assistiti da ipoteca (“momento della vendita”) va identificato
nella data del decreto di trasferimento. Ove manchi il decreto di trasferimento
(il che può accadere nel caso di vendita immobiliare attuata con procedura
competitiva), il dies ad quem sarà coincidente con la data del rogito notarile. Per
quanto riguarda l’estensione del diritto di prelazione agli interessi, non è prevista alcuna riserva in favore dei creditori fondiari, vale pertanto la regola generale
sopra esposta dell’art. 2855 c.c. Riassumendo con la collocazione al passivo di
un credito ipotecario vanno ammessi con lo stesso rango ipotecario:
• gli interessi corrispettivi iscritti, al tasso convenzionale e nel limite del tetto
ipotecario, maturati sul capitale nell’annata (contrattuale) in corso al momento
della dichiarazione di fallimento e nelle due annualità anteriori;
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• gli interessi iscritti, al tasso legale sul capitale, successivi all’annata in corso
al momento della dichiarazione di fallimento e fino al decreto di trasferimento
dell’immobile.
Trovano, invece, collocazione chirografaria fino alla data del fallimento:
• gli interessi moratori al tasso convenzionale contrattualmente pattuito dovuti dalla data di messa in mora;
• gli interessi corrispettivi, al tasso convenzionale contrattualmente pattuito
maturati prima delle due annualità anteriori a quella in corso al momento della
dichiarazione di fallimento;
• gli interessi non iscritti o eccedenti il limite del tetto ipotecario;
c) interessi generati da crediti assistiti da privilegio generale (art. 2749
c.c.): il trattamento degli interessi generati da crediti assistiti da privilegio si estende agli interessi dovuti per l’anno in corso alla data della dichiarazione di
fallimento e per quelli dell’anno precedente. Il creditore privilegiato risulta
quindi più favorito rispetto al creditore pignoratizio (prelazione solo per l’anno
in corso alla data della dichiarazione di fallimento) e meno favorito rispetto al
creditore ipotecario (prelazione per l’anno in corso al momento del fallimento e
per le due annate anteriori). Il dies ad quem della decorrenza degli interessi per i
crediti assistiti da privilegio generale cessa alla data di deposito del progetto di
riparto, nel quale il credito risulti, anche parzialmente, soddisfatto.
5.4. LA COMPENSAZIONE TRA CREDITI E DEBITI
È consentita al creditore la compensazione di debiti verso il fallito, con esclusione di crediti non scaduti acquistati per atto inter vivos nell’anno anteriore la
declaratoria fallimentare (art. 56 L.F.). Trattasi di una particolare ipotesi di
compensazione legale, contemplata dal codice civile all’art. 1243, del quale peraltro devono essere rispettati i requisiti di liquidità, omogeneità ed esigibilità. Il
creditore compensa, quindi, contrapposte posizioni creditorie e debitorie al di
fuori del concorso sostanziale e senza subire la c.d. “falcidia fallimentare”.
La deroga al concorso ed al principio della par condicio creditorum, è stata
giustificata con il ricorso ai principi di equità e di giustizia sostanziale, in quanto sarebbe iniquo imporre una soddisfazione in percentuale del proprio credito
a chi nel contempo deve soddisfare integralmente il debito nei confronti del fal14
lito, e, per esso, dell’ufficio fallimentare . Un’ulteriore ragione giustificativa
della norma è stata ravvisata nella funzione di autotutela e di garanzia svolta dal
14
SATTA, Diritto fallimentare, Padova, 1990, p. 185.
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meccanismo compensativo che il legislatore fallimentare ha voluto preservare,
accanto alle cause specifiche di prelazione e ad altri strumenti giuridici di prote15
zione e di rafforzamento della posizione del creditore .
Presupposto indispensabile della compensazione è l’anteriorità rispetto all’apertura della procedura concorsuale della causa di entrambe le contrapposte
posizioni creditorie.
Non è ammissibile, quindi, la compensazione tra crediti verso il fallito e debiti verso la massa, ad esempio per le restituzioni conseguenti all’esercizio del16
l’azione revocatoria , mancando oltre al requisito dell’anteriorità anche quello
della reciprocità dei rapporti di debito e di credito tra i medesimi soggetti.
Il comma 2 dell’art. 56 L.F. vieta la compensazione per i crediti non scaduti,
quando questi siano stati acquistati dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore. La ratio della norma è quella di evitare manovre fraudolente ai
danni della massa dei creditori.
L’espresso riferimento ai soli crediti non scaduti non lascia spazio ad incertezze intepretative. Tuttavia, la questione è stata sottoposta al vaglio della Corte
Costituzionale, che con sentenza 10 ottobre 2000, n. 431 ha ritenuto infondata
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 56, comma 2, L.F. in relazione
all’art. 3 Cost. nella parte in cui non esclude dalla compensabilità anche i crediti scaduti acquistati dal creditore per atto tra vivi nell’anno anteriore al fallimento.
15
16
PAJARDI, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 1998, pp. 276-277.
Cass. 14 ottobre 1998, n. 10140.
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