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GENTILUOMINI DI MARE nr 27 - Associazione Combattenti Decima

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GENTILUOMINI DI MARE nr 27 - Associazione Combattenti Decima
Marzo 2011
N°27
GENTILUOMINI DI MARE
Trimestrale di
notizie creato
intrattenimento, di storie di mare e di
da naviganti di
vita per gente di mare.
...Dio solo sa quanto è brutto vivere in un mondo senza
avventure, senza fantasia...
________________________________________________________
Pubblicazione degli ufficiali del Circolo di Venezia
2
INDICE
CROCIATA VELICA
Pag.
4
UN INVESTIMENTO OCULATO
Pag.
7
PICCOLE PERLE (L’innominabile – I salami di Tore)
Pag.
9
VITA DI COMMISSARIO
Pag. 11
IL TENENTE DELLA LUFTWAFFE
Pag. 14
LA GUERRA DEGLI OCCHIALI
Pag. 16
XXXXXXXXXXXXXXX
20
La pubblicazione “Gentiluomini di mare” è edita dai Soci del Circolo Ufficiali Marina
Militare di Venezia E viene inviata per posta elettronica (e-mail) a tutti coloro che hanno
fornito il proprio indirizzo elettronico.
La collaborazione al periodico è aperta a tutti gli ufficiali della Marina in servizio ed
in congedo, ai Soci dei Circoli ed a chiunque voglia far pubblicare un articolo, una
poesia o degli annunci che siano in accordo con lo spirito del giornalino. Il materiale può
essere inviato su supporto elettronico (memory key o CD) o cartaceo al seguente
indirizzo:
“Gentiluomini di Mare”
c/o Circolo Ufficiali MM
Castello 2167
30122 - Venezia
Il materiale può anche essere inoltrato via e-mail alle sottonotate caselle di P.E.
Responsabile/redattore
C.A. (a) Rudy Guastadisegni (Ordine Nazionale dei Giornalisti, n. 116741)
[email protected]
Collaboratore
T.V. (CP) Vito Spada
[email protected]
Esclusivamente via e-mail possono essere richiesti numeri arretrati direttamente al
redattore o, col solo rimborso delle spese di spedizione, può essere richiesto l’invio del
CD-ROM contenente tutti i numeri pubblicati in formato pdf stampabile.
3
CROCIATA VELICA
Un tempo, quando ero Capo Servizio Tecnico del Comando Sommergibili
(Maricosom), mi dedicavo anche all’attività velica insieme ad un certo numero di
colleghi disposti a sacrificare parte della loro licenza per partecipare alle regate
d’altura con le barche della Marina. Si svolgevano in genere ad inizio primavera e
duravano dai 4 ai 6 giorni (e notti !) con turni di guardia di 4 e 4. Il mare non era mai
tranquillo e quando lo era il vento
latitava, le vele sbatacchiavano
desolatamente e noi ci sentivamo
come dei naufraghi in mezzo
all’oceano
sognando
raffiche
impetuose che spingessero la
nostra barca verso la vittoria.
Ovviamente quando il vento
soffiava forte si correva sulle
onde, ci si inzuppava di acqua
salata fino alle mutande, si
mangiavano scatolette e a volte si
raccava pure. Erano giorni di vero
stress nautico che ci facevano
tornare a casa barcollanti, debilitati, irriconoscibili e decisi a non ripetere mai più tali
esperienze … ma quando l’occasione si presentava di nuovo, dimenticate tutte le
avversità, lo spirito dell’avventura riprendeva il sopravvento ed eravamo i primi a
correre.
Per controbilanciare queste avventure da lupo di mare, durante l’estate
approfittavo della disponibilità delle barche a vela della marina (le stesse usate per
le regate venivano concesse per brevi crociere familiari di dieci giorni a chi era in
possesso delle patenti necessarie) per concedermi rilassanti vacanze in famiglia.
Erano veramente rilassanti quando ci si limitava a
brevi tragitti intervallati da soste alla fonda in
incantevoli angoli di costa tra la Puglia e la Calabria
con battute di caccia subacquea e relativi pranzi a
bordo a base di pesce freschissimo e lunghe,
lunghissime sieste all’ombra del tendalino.
Per le brevi traversate mi facevo aiutare alle
manovre in vela da mio figlio o da qualche collega
occasionale compagno di vacanza con la sua
famiglia.
Ci fu pero un’estate in cui nessun marinaio
maschio degno di tal nome era disponibile per la
vacanza in barca. Quella volta il mio equipaggio di
crociera era cosi composto: mia moglie con
un’amica, Gianna, moglie di un collega che si
trovava in vacanza in Grecia su un’altra barca a vela
con amici suoi; mia figlia adolescente con l’amica
coetanea figlia di Gianna e … udite udite … mia suocera. Un equipaggio tutto
femminile in cui solo mia moglie aveva qualche cognizione di vela per aver
frequentato un corso velico vent’anni prima e un po’ di attitudine marinaresca (da
laguna) per il fatto di essere Veneziana.
Io che ero abituato come skipper a stare comodamente nel pozzetto a
governare la navigazione dando disposizioni ai membri dell’equipaggio per le
4
manovre, mi ritrovai nelle condizioni di dover fare personalmente tutte le attività di
bordo, anche le più semplici come fissare una cima, alare o filare una scotta e via
dicendo. Durante le manovre complesse come le virate ero costretto a degli sforzi
mentali per tradurre gli ordini marinareschi con parole semplici e di uso comune,
soprattutto per Gianna quando stava al timone. Poichè l’unica manovra che era in
grado di fare era quella di spostare la barra del timone a dritta o sinistra a seconda
dei miei ordini, dovevo trasformare i complicatissimi puggia, orza, stramba ecc. in
due semplici vocaboli a lei
comprensibili: tira o spingi
(la barra del timone). Le
poche volte che mi e
scappato qualche termine
marinaresco
mi
sono
trovato nell’imbarazzante
condizione
di
dover
spiegare l’equivoco come
nel caso del classico
cazza o peggio quell’orza
che la prima volta venne
frainteso con orgia.
Il risultato comunque
era che anzichè fare
comodamente lo skipper mi toccava fare lo scimmione di bordo che saltella da
poppa a prua per stare dietro a tutte le esigenze di navigazione. Altro che crociera !
Mi sembrava più una crociata.
Non avevo tregua neppure durante le brevi soste nelle baie perche la mensa di
bordo per sei persone richiedeva un surplus di attività subacquea per procurare
pesce per tutti i gusti e le mie rilassanti immersioni si trasformavano in battute di
caccia e pesca subacquea con affannosa ricerca di prede; quasi un lavoro.
Le signore si dedicavano alla cura dell’abbronzatura limitandosi a spostamenti
da dritta a sinistra e viceversa a seconda della posizione della vela; saltuariamente
accettavano di sostituirmi al
timone per il poco tempo
necessario a consentirmi di
effettuare le virate. Le bimbe
giocavano in cabina senza
disturbare troppo fino a
quando decidevano che era
ora di giocare in coperta … e
allora erano veramente guai
e il disperato skipper si
doveva trasformare anche in
attento
sorvegliante
e
bagnino
per
la
loro
sicurezza.
Per fortuna in cucina c’era mia suocera, una santa donna che quando ci si
mette fa girare il mondo nel verso giusto e con l’energia di un vulcano in perenne
attività. Con notevole umorismo si era autonominata mozzo di bordo. E come un
vero mozzo sotto coperta faceva tutto lei, pulizie, lavaggi, cucina, cambusa, caffè e
battute di spirito sollevandomi almeno dalle incombenze logistiche. Una sera ci
siamo fermati nel porticciolo della Capitaneria di Porto di Gallipoli e siamo sbarcati
per una visita in città in occasione di un megaconcerto di Edoardo Bennato.
5
Passando davanti al corpo di guardia ognuno ha declinato le proprie generalità e il
ruolo a bordo: comandante, passeggera, passeggera … la suocera esclamò
“mozzo” strizzando contemporaneamente l’occhio al marinaio ed entrando subito
nelle simpatie del personale della Compamare.
L’ultimo giorno era prevista la navigazione finale da Gallipoli a Taranto ma le
condizioni meteo erano decisamente tragiche: nuvole scure, bassa temperatura,
piovaschi violenti e forte vento da nordovest: esattamente a 180* rispetto alla rotta
del rientro. Si prevedeva una giornata da capitani coraggiosi all’attraversamento di
Capo Horn. Ma l’equipaggio non aveva nessuna intenzione di dividere le sorti del
capitano e fu cosi che le intrepide signore misero in
atto un piano diabolico. Convinsero il marito di Gianna
che stava rientrando faticosamente in auto dalla breve
vacanza in Grecia, a deviare verso Gallipoli, si
impossessarono dell’auto lasciando a terra il mio
malcapitato collega e se ne andarono verso casa al
grido di salviamo le bimbe. Ad onor del vero avevano
ragione nel giudicare inutile il sacrificio dell’intero
equipaggio in una traversata che non aveva nulla
della spensierata vacanza; meglio sacrificare solo i
mariti che in fondo erano del mestiere e forse,
secondo loro, si divertivano pure !
E così ci ritrovammo in due a condurre la barca
sulla via del ritorno. Dovevamo arrivare prima di notte;
il vento contrario non ci consentiva una rapida
navigazione a vela se non con larghe boline che ci
avrebbero ritardato troppo; fummo costretti ad una ingloriosa traversata a motore
per giunta a mezzo servizio a causa del filtro del gasolio sporco e della mancanza
del ricambio a bordo, facendo i turni al timone spaccando le onde di prua,
imbacuccati in strati di indumenti, prigionieri delle cerate e con solo occhi e naso
scoperti. Non era certo la giornata finale di vacanza cha avevo sperato ma,
perlomeno, dopo dieci giorni di crociata sui mari avevo per la prima volta in vita mia
una sensazione di perfido piacere nel pensare che il giorno dopo sarei tornato al
lavoro.
Se vi dovesse capitare di programmare una lunga vacanza in barca assicuratevi
di non essere l’unico marinaio a bordo.
Rudy Guastadisegni
6
UN INVESTIMENTO OCULATO
Tutti coloro i quali hanno avuto la fortuna di visitare il Circolo Ufficiali della M.M. di
Venezia, non avranno potuto mancare di ammirare le porte finemente decorate dal
Maestro "Benemerito Pittore di Marina" Loris Masserini il quale, grazie ai
lungimiranti appoggi e sostegni dell’allora Presidente del Circolo CV (GN) Rudy
Guastadisegni, ebbe a disposizione a cavallo tra il 2005 ed il 2006 l'ospitalità presso
il Circolo (di cui è comunque socio) nonché i
materiali necessari al compimento dell'opera.
Un
successivo
progetto,
sempre
concordato col Presidente, prevedeva il
completamento dell’opera mediante il decoro
delle rimanenti dieci ante delle porte a
soffietto che separano la sala da pranzo
dalla c.d. sala delle cupole.
Correva l'anno 2008 ed il Maestro si rese
disponibile per portare a termine l'opera. Il
nuovo Presidente, successo al CV
Guastadisegni il 1° gennaio 2008, dopo
l'acquisto di circa 1.000 euro di foglia d'oro
necessaria all'opera, per scrupolo decise di
chiedere l'approvazione formale e scritta
della Direzione Ente Circoli di Roma,
approvazione che, ovviamente fu negata perché non esistevano le premesse
normative per concedere all’artista vitto e alloggio gratuiti (il valore dell’opera offerta
gratuitamente sarebbe stato dieci volte superiore). Il suo predecessore aveva
operato differentemente: comunicava semplicemente all'Ente Circoli l'avvenuto
compimento dei decori assumendosi la
responsabilità delle modalità dell’impresa
(concessione gratuita di vitto e alloggio). L’Ente
Circoli si è sempre compiaciuto dell'alto livello
artistico, grato per non essere stato messo in
imbarazzo da una richiesta di autorizzazione
scritta, accettava con piacere la presa in carico
dell'opera eseguita praticamente no-cost.
Nel 2009 subentrava un nuovo Presidente la
cui opinione artistica era che le porte in
questione stavano meglio se lasciate al bianco
naturale, tipo ospedale.
Intanto, a causa della crisi economica
mondiale, il prezzo dell'oro in cassaforte a
Venezia cresce del 20%, un investimento, in
ogni caso, comunque fruttuoso per la Marina
Militare.
Accadde quasi per caso che l'Ammiraglio Comandante del Dipartimento Militare
Marittimo di Ancona, persona di raffinati gusti artistici, si trovasse a Venezia nel
2008 in occasione del Simposio delle Marine del Mediterraneo e del Mar Nero.
L’alto ufficiale si meravigliò per la bellezza di tali decori e si complimentò con l’artista
sia per la qualità dell’opera che per le motivazioni profonde che l’avevano spinto a
donarla alla Marina.
Nell'anno 2010 l'Ammiraglio di cui sopra si trasferì a Roma con l’incarico di
Presidente del CASD (Centro Alti Studi della Difesa) presso il Palazzo Salviati e,
7
ricordandosi del Maestro Masserini lo convoca per esplorare la sua disponibilità ad
eseguire a Roma un ‘opera simile a quella di Venezia. Si trattava di decorare le
porte del Corridoio della Direzione del Palazzo ed il
Maestro, nonostante l'immensità dell'opera (54 pannelli
da decorare contro i 24 di Venezia) accettò di buon
grado l’incarico con l’entusiasmo di chi sa di lasciare
un’opera che sarà ammirata per decenni dai vertici delle
nostre Forze Armate.
Nel frattempo, a Venezia, si svolge nuovamente il
Simposio delle Marine del mediterraneo e del Mar Nero
e per l'occasione si trovano nella capitale veneta il
Presidente dell'Ente Circoli ed il Capo di Stato Maggiore
della Marina oltre all’ammiraglio Direttore del CASD.
Tutti si compiacciono per le
porte decorate ma quando il
presidente dell'Ente Circoli
viene a sapere dell'occasione sfumata del 2008 e nel
2010, vuoi per inerzia vuoi per eccesso di scrupolo, vuoi
per mancanza di coraggio, si dispiace che la Marina
abbia perso l'occasione per ottenere ulteriore lustro.
Siamo nel novembre 2010 quando, finalmente, l’opera
di palazzo Salviati giunge a
compimento
e
vengono
ufficialmente inaugurate le porte
del Corridoio della Presidenza
del CASD. La presentazione
ufficiale viene fatta ad un gruppo
rappresentativo di personalità
delle Forze Armate, personalità
non solo sorprese dall'altissima qualità artistica dei lavori
ma anche compiaciuti dalla sagacia e lungimiranza
dell’ammiraglio Direttore il quale, proprio per via del suo
intuito, è stato omaggiato dal Maestro con una di lui
raffigurazione in veste mecenatesca su uno dei pannelli
della porta dell’Ufficio di Direzione.
Il Maestro ha voluto ringraziare, nell’opera di Roma,
anche l’ammiraglio Guastadisegni, riportando in uno dei
pannelli lo stemma dei sommergibilisti, specialità di cui ha
fatto parte per quasi tutta la carriera, ma non si è dimenticato di Venezia: ha già
pronti, nel cassetto, nuovi bozzetti di decorazioni, sempre di argomento prettamente
marino e che richiamano oggetti e particolari propri della Marina Militare e, con la
solita santa pazienza, rimane in attesa che qualcuno si ricordi della sua (gratuita)
disponibilità e rispolveri le lettere di intenti con le quali gli si voleva affidare la nuova
opera rimasta sospesa nel limbo delle intenzioni.
Ed intanto il valore delle foglie d'oro nella cassaforte del Circolo di Venezia,
cresce, cresce, cresce ...
Mircea Masserini
N.d.R.
Per chi volesse saperne di più si consiglia di leggere il n.14bis di “GENTILUOMINI
DI MARE” dal titolo “Loris Masserini, marinaio e pittore”.
8
PICCOLE PERLE
L’INNOMINABILE
Nel “71 il sommergibile Mocenigo si trovava di stanza ad Augusta e, quando
non era per mare (molto raramente) sonnecchiava ormeggiato alle banchine
sommergibili. A breve distanza si trovavano le banchine delle navi grigie o navi di
superficie da cui la definizione di superficiali data dai sommergibilisti ad i loro
equipaggi. Una delle navi all’ormeggio era famosa perché di essa non si poteva
pronunciare il nome e quindi da tutti (specialmente dai Sommergibilisti) chiamata
"Innominabile".
L'equipaggio del Mocenigo e del Dandolo che avevano l'ormeggio in fondo
alla banchina, nella zona "Ufficio Porto" dovevano passare tutte le mattine davanti
a quella nave per andare a fare l'assemblea perchè gli alloggi dei sommergibilisti
si trovavano dalla parte opposta dell’Arsenale. Era spontaneo e quasi istintivo
toccarsi tutte le volte che si passava di poppa a quella nave e , vi assicuro, questo
avveniva parecchie volte al
giorno.
Una mattina un T.V.,
molto nervoso, quasi alterato
appare dentro la baracca (sì,
proprio baracca) dove il
Mocenigo aveva la segreteria
ed urla davanti al T.V.
Carrieri, il nostro Ufficiale in
2^: "basta , non se ne può
più, non è possibile che tutti
quelli che passano di poppa
alla mia nave..." Calmati “
dice il signor Carrieri, “si può
sapere che succede?”. "Succede che tutti i tuoi, ogni volta che passano di poppa
alla mia nave si toccano. E' una vergogna devi dire loro che la devono smettere!!"
Calmo e serafico il buon Michele Carrieri gli chiede: "ma tu...chi sei?" “Sono il
Secondo di Nave ... “ e nomina la Nave. Non l'avesse mai fatto!!! A quel punto tutti
quelli che erano in segreteria si toccarono contemporaneamente con gesti
smaccatamente teatrali per dare più forza al significato della loro reazione di fronte
al malcapitato ufficiale; tutti compreso naturalmente il nostro buon Ufficiale in
Seconda.
Quel poverino uscì ancora più paonazzo di come era entrato e noi dopo
esserci guardati in faccia non potemmo evitare di sbellicarci dalle risate. Nessuno
venne mai più a reclamare e noi continuammo a passare a poppa di quella nave
facendo il consueto istintivo gesto.
Enzo Arena
(adattamento di Rudy Guastadisegni)
9
I SALAMI DI TORE
Nel periodo dell’allestimento del sommergibile Sauro, (“78-80) noi
dell’equipaggio alloggiavamo al secondo piano dell'ex “albergo impiegati”, una
struttura piuttosto vecchiotta ma solida e massiccia che in passato era servita da
stabile dimora per gli impiegati dei cantieri navali che si trovavano a poche
centinaia di metri di distanza. Io ero in camera con l'amico e collega Francesco
Russo; nella camera adiacente alloggiava Salvatore Sechi, giovane sergente
elettricista che, fresco di licenza, aveva appeso al di fuori della finestra, al fresco,
le prelibatezze appena portate dalla sua Sardegna.
Si fece sera e mentre ci rilassavamo
nella nostra stanza, all'esterno della
nostra finestra passò, aderente al muro
strisciando sul cornicione, una figura
sinistra con un coltello stretto tra i denti.
Per
nostra
e
sua
fortuna,
lo
riconoscemmo subito come uno dei
nostri. Vistosi scoperto l’amico ci fece
segno con un dito di stare zitti. Era il
mitico Giacetti, un elettricista V3 di
Mestre noto per le sue vulcaniche
mattane; poco dopo ripassò a ritroso per
la stessa via con salamini e formaggi
appesi al collo con cordicelle
Aveva fatto man bassa delle
leccornie del Tore (Sechi) che il mattino
seguente accortosi della sparizione si
aggirava disperato per il palazzo
chiedendosi
cosa
potesse
essere
successo e se qualcuno fosse al corrente
dell’accaduto. Quando finalmente si
convinse che non poteva essere opera
dei fantasmi ormai era troppo tardi....del corpo del reato rimasero solo le cordicelle
in un angolo della mensa e le facce beate e soddisfatte del malfattore e dei suoi
complici che stavano ancora leccandosi i baffi per la bontà del materiale appena
consumato e, soprattutto, per il modo così rocambolesco di come fu procurato.
Da buon sommergibilista e compagnone, il Tore sdrammatizzò il fatto con
una rassegnata risata e, le volte successive conservò i salami in cassaforte.
Renzo Ferrari
(adattamento di Rudy Guastadisegni)
10
VITA DI COMMISSARIO
Ho partecipato recentemente al Quarantennale della Maturità del Corso
Orsa Minore del Collegio Navale Francesco Morosini a Venezia e, al ritorno, sono
affiorati in me ricordi di ben quaranta anni fa del mio servizio militare in Marina.
La mia storia inizia nel lontano 1967 quando, militare di leva in Marina,
presento domanda per partecipare al 62°corso AUCD. Quindi visite mediche, test
attitudinali e, dopo tre mesi, con mia grande sorpresa, proprio non ci speravo, ricevo il
telegramma di presentarmi a Marinaccad Livorno il giorno 1° novembre assegnato al
62° Corso AUCD.
Da buon ragioniere sono assegnato alla sezione Commissari e
per sette mesi le lezioni sono improntate su amministrazione,
contabilità, diritto militare unite ad altre, in misura molto superficiale, su
nautica, genio navale, armi. Al termine del corso esami di rito e prima
destinazione con il grado di
Aspirante: Maricommi Messina.
La destinazione è un po’ una
sorpresa,
vivendo
in
una
cittadina vicino ad Ancona avevo
scelto tre destinazioni: Ancona,
Venezia,
Roma
ma
l’alto
Comando decide che un po’ di
Sicilia non poteva che farmi bene
per
cui,
al
motto:
“una
destinazione vale l’altra” prendo
il treno alla volta della città dello
Stretto.
Presentazione alla locale
Maricommi, arriviamo in tre e subito
veniamo destinati a tre uffici diversi nell’ambito della stessa sede. Già mi sto
preparando ad applicare quanto studiato in Accademia quando, dopo solo due giorni
dall’arrivo, convocazione dal Colonnello responsabile che ci informa che due di noi
sono trasferiti a Marisicilia Messina e di presentarci all’indomani presso il suddetto
Comando.
L’indomani mattina nuova presentazione, questa volta presso l’Ammiraglio
Comandante che ci fa presente di avere due destinazioni e, su nostra scelta, destinati
io presso l’Aiutante di Bandiera come supporto all’Ufficio addetto stampa il cui
responsabile era lo stesso Aiutante di Bandiera e l’altro presso l’Ufficio del Genio
Marina per i fabbricati civili e militari ricadenti nella giurisdizione del Comando.
Per quattro mesi mi occupo di recensioni di giornali nazionali e
locali, di comunicati stampa emessi dal Comando di Marisicilia da
portare alle sedi o alle agenzie dei giornali; unico lavoro, se così si può
dire, da Commissario, la preparazione della tesina per la promozione a
Sottotenente con argomento da trattare: la contabilità di stato in
generale con particolare riferimento alle forze armate.
Non faccio in tempo a presentare la mia ricerca che sono
convocato dall’Ammiraglio Comandante che mi comunica che, con
decorrenza due giorni dopo, sono trasferito a Maricollegio Venezia.
Venezia era una delle destinazioni richieste, mi informo e vengo a
sapere che c’è un piccolo Ufficio di Commissariato per cui riprendo a
sperare di fare il vero Commissario.
11
Non faccio in tempo a presentarmi al Morosini che sono
assegnato al Corso Orsa Minore come Sottordine al Comandante al
Corso. Quindi ancora una volta addio lavoro da Commissario e nuovo
incarico, per me difficile non avendo alcuna esperienza in materia, di
addetto agli allievi che avevano quasi la mia età. A quei tempi non
avevo ancora 22 anni e qualcuno degli anzianissimi del Corso Poseidon
volevano addirittura “spivolarmi”. Incarico difficile dicevo ma sotto la
guida del Comandante GB Falletti e la collaborazione di due Capi come
Lenarduzzi e Fabrello ho imparato a sapermi destreggiare per bene
cercando di far capire ai ragazzi che purtroppo dovevo fare una certa
parte che mi era imposta e che il mio primo scopo era quello di
dialogare, capire i loro problemi e di utilizzare lo strumento delle
punizioni come ultima ratio. Penso di essere riuscito in tutto ciò e le
punizioni da me inflitte sono tra le più basse del periodo 1968/70. Ho
passato 18 mesi veramente stupendi, a proposito mi sono pure
raffermato per un anno altrimenti i conti non tornano.
Partecipo, nel frattempo, a vari concorsi
Statali, sto già pensando alla futura vita da
borghese, anche se non accantono l’ipotesi
della vita militare quando il Comandante in
2° mi comunica che l’Incrociatore Vittorio
Veneto, appena uscito dall’allestimento a
Castellammare di Stabia, è in partenza per
una campagna addestrativa in Nord America
di quattro mesi e necessita di un Sottordine
al Servizio Amministrativo da scegliere tra i
tre sottordini ai Corsi Allievi. Rapida
consultazione tra i tre designati ed alla fine
viene comunicato il mio nominativo. Passa
del tempo ed io del Vittorio Veneto
addirittura me ne dimentico.
Verso la metà di aprile del 1970
partecipo alla prova orale di un concorso
nelle Ferrovie quando improvvisamente il
giorno 20 ricevo una telefonata di rientrare immediatamente perché,
pagato 23 aprile sono imbarcato sul Vittorio Veneto in partenza il giorno
25 dello stesso mese. Come vedete mi hanno trasferito sempre dandomi
un paio di giorni. Questa volta, visti i precedenti, ho pensato: che cosa
mi faranno fare?; è vero, imbarco come Sottordine al Servizio
Amministrativo ma quali saranno i miei compiti, le mie mansioni? E’ con
queste idee in testa che la sera del 23, attorno alle 22 imbarco su Nave
Veneto. La mattina successiva non faccio in tempo ad entrare nel
quadrato Ufficiali che subito il Maggiore Commissario Crucillà mi chiama
e mi accompagna in tutta fretta presso l’Ufficio Cassa. Devo subentrare
all’Ufficiale alla Cassa Tenente Nicolò D’Amore che deve sbarcare per
un corso di aggiornamento di qualche settimana, lo stesso ci avrebbe
raggiunto
direttamente in America. Immaginare la mia sorpresa è
plausibile; non avevo mai ricoperto mansioni di Commissario e mi
ritrovo, anche se temporaneamente, Ufficiale alla Cassa di una nave in
partenza per una lunga crociera all’estero; valuta estera, pagamenti,
prelievi in banca, ecc, ecc. E’ vero non ero solo, ma la responsabilità
diretta del maneggio denaro era la mia. Dobbiamo fare il passaggio
12
delle consegne e ci siamo recati direttamente dal Comandante senza
darmi il tempo per indossare l’uniforme con sciarpa e sciabola per la
presentazione di rito. “La presentazione la farà successivamente,
adesso sono importanti le consegne”
ed effettivamente la mia
presentazione è stata fatta alcuni giorni dopo in piena navigazione.
E’ così la mattina del 25 aprile, in pratica il giorno dopo, il Veneto ha
lasciato La Spezia per la sua prima
campagna addestrativa. Immaginate
il mio stato d’ansia, ero appena
imbarcato ed ero entrato in piena
attività
in
una
attività
a
me
sconosciuta, a bordo non c’erano
precedenti per l’estero a cui fare
riferimento;
mi
sono
dovuto
ambientare in fretta in tutti i sensi;
sia per il lavoro che per la
conoscenza della nave che per il
piede marino.
Fortunatamente tutto è andato nel
migliore dei modi; ho imparato in fretta e all’arrivo nei porti ero uno
degli Ufficiali di bordo più ricercati per la parte contabilità; prima il
prelievo in banca di moneta locale, il pagamento all’equipaggio di
quanto dovuto per ogni giorno di sosta, il pagamento ai fornitori e agli
ormeggiatori, il pagamento delle retribuzioni all’equipaggio con tutti gli
annessi e connessi. Unite pure il fatto che sul
Veneto, a differenza di quanto avveniva allora
su altre navi, il Commissario era anche, a
seconda dei turni, Ufficiale di Guardia ai ponti
coperti per cui in alcuni casi mi sono ritrovato
a dover correre a saldare qualche creditore con
la sciarpa addosso.
Al rientro a bordo del Tenente D’Amore le
mie incombenze per la Cassa sono finite, mi
hanno incaricato di seguire le tre mense di
bordo; il lavoro è diventato un po’ più “umano”.
La crociera è così proseguita tra alti e bassi
e siamo rientrati in Italia alla fine di Agosto.
Nel frattempo ero stato convocato dalle
Ferrovie, quale vincitore di Concorso, per la
visita di assunzione. Mi sono congedato ad
ottobre 1970 e subito ho iniziato una nuova vita legata in parte alla
precedente; anche qui numeri, contabilità, partita doppia fino alla
pensione ma mi rimane nel cuore quel meraviglioso periodo in cui mi
hanno fatto fare quasi sempre cose molto lontane dalla mia
preparazione tecnica ma piene di grande soddisfazione perchè così è la
Marina: chiede tanto ma altrettanto concede, e il ritrovarmi, dopo
quaranta anni in mezzo a tanti sinceri amici di gioventù come se ci
fossimo lasciati il giorno prima, non è stato altro che la conferma di
questo concetto
Cesarino Graziosi
13
IL TENENTE DELLA LUFTWAFFE
(Dal mio diario)
- omissis Eccomi dunque all’8 Settembre del 1943 a bordo della R.N. Littorio, che chiamo
ancora col suo glorioso nome perché così mi accolse, così la conobbi, così la amai e
così mi piace ricordarla. Riporto integralmente quanto scrissi nel mio diario di quei
giorni.
“Erano le venti circa quando, dopo aver cenato alla mensa della Guardia,
discorrevo del più e del meno con Caleca passeggiando davanti al Quadrato Ufficiali.
Anche se i momenti che vivevamo erano altamente drammatici ed anche se avevamo
la quasi certezza che nel cuore della notte avremmo preso il largo, insieme alle altre
Unità delle Forze Navali da Battaglia,
per andare a contrastare lo sbarco
alleato in corso a Salerno, eravamo
tuttavia lontanissimi dal pensare alla
bufera di altro genere che si stava per
scatenare su di noi. Eravamo tutti, a
bordo, eccitati e pieni di entusiasmo
anche se ben consapevoli che per noi
sarebbe stato “il canto del cigno”, ma
almeno avremmo concluso la nostra
avventura con onore. Ricordo che
stavo appunto parlando con Caleca della epopea dell’ammiraglio russo
Roždesvienskij e della sua flotta che nel 1905 andava ad immolarsi a Tsushima,
consapevole dello stato in cui si trovavano le sue navi dopo mesi di navigazione e
della efficienza delle navi giapponesi dell’ammiraglio Togo, quando, d’improvviso,
vedemmo un marinaio precipitarsi sulla plancetta proiettori del torrioncino facendo
gesti da esaltato e gridando. Le sue parole concitate ci giunsero come un fulmine a
ciel sereno: “l’armistizio, gridava, è finita la guerra, è la pace, è la pace”.
E’, quello, un ricordo che resterà sempre nella mia mente, sento ancora la voce
di quell’uomo sconosciuto nelle mie orecchie,
vedo ancora quella figura piena di giubilo per un
evento che, invece, doveva segnare per la nostra
Italia l’inizio di una epoca di innumerevoli
sciagure. Tutti siamo come colpiti da una
mazzata e non afferriamo sul momento la vera
drammaticità della cosa. Non riesco a farmi
capace che ormai tutto è finito, sia pure così
miseramente. Intanto vicino a me tanti uomini
dell’equipaggio, provati per oltre 40 mesi da una
durissima lotta e con la speranza di essere
arrivati sul punto di rivedere le famiglie lontane,
danno ora segni di grande gioia. E’ come se tutti
si fossero tolti un peso da dosso. In realtà è la
lotta fra il sentimento di italiani che fa piangere sulla rovina della Patria e quello di
uomini che fa sorridere il cuore al pensiero di tornare in famiglia. Non tutti però
esultano: vedo molti Ufficiali e Sottufficiali, specialmente fra i più anziani, come
folgorati, ma non mancano fra essi anche dei giovani e fra questi ero sicuramente io.
Il mio pensiero correva ai tantissimi che erano caduti combattendo, ai tantissimi che
avevano sopportato pesanti sacrifici al fronte come nelle città. Pensavo al mio babbo
che da tre anni rischiava quotidianamente la vita volando sul mare in condizioni tanto
pericolose e che due volte era tornato dalla missione ferito e con morti a bordo del
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suo aereo sforacchiato dalla contraerea e dai caccia nemici. A che valevano ora le
ferite che aveva riportato in combattimento? E quei poveri aviatori morti?
Il diario prosegue e, dopo molte pagine, affiora un altro mio ricordo legato a quei
momenti in cui tanti, all’annuncio dell’Armistizio, si sentirono traditi. Ecco cosa allora
scrissi: “Non dirò come mi sentii io stesso, che pure ero solo un giovanissimo
Guardiamarina, quando quella stessa sera a bordo della Littorio vidi negli occhi del
giovane Oberleutnant (Tenente) della Luftwaffe Erwin Mayer,
camerata di ogni giorno, lo sconforto, l’amarezza, lo stupore
resi ancor più forti da quello che Badoglio aveva quella sera
stessa fatto capire per radio: che ora il nemico sarebbe stato il
tedesco, cioè l’alleato, il camerata di qualche minuto prima. Il
povero tenentino Mayer si era affezionato alla Nave, ai
camerati italiani al fianco dei quali, con i suoi disciplinati
uomini, aveva sempre fatto puntualmente il suo dovere per
assicurare il collegamento fra la nostra Flotta e gli aerei della
Luftwaffe che la difendevano dall’alto. Ora, nella notte, riunì i
suoi trenta uomini, li lasciò inquadrati e silenziosi sul ponte di
coperta della Nave a poppa (io bene li ricordo perché ero
proprio lì in servizio di seconda comandata a poppa) e scese giù per il boccaporto
che portava al ponte di secondo corridoio. Al piantone chiese di essere annunciato al
Comandante della Nave che lo ricevette senza indugio, imbarazzatissimo anche lui e
che poi ci raccontò cosa era avvenuto fra di loro. Mayer si irrigidì sull’attenti e fece il
saluto militare, poi estrasse dal fodero la sua rivoltella d’ordinanza e la posò sulla
scrivania del Comandante Bottiglieri, dicendogli in un
discreto italiano che lui ed i suoi uomini si rimettevano al
suo giudizio. Sabato Bottiglieri era un gentiluomo, un
Ufficiale di Marina della vecchia generazione. Si alzò,
prese la rivoltella dal piano della scrivania e,
guardandolo dritto negli occhi, la restituì a Mayer
dicendogli che quanto accadeva era una sorpresa ed un
dolore anche per lui e che ciò non modificava i
sentimenti di rispetto e di stima che nutriva per chi era
stato al suo fianco in tante occasioni. Pertanto lo
invitava ad agire come meglio riteneva per il suo onore
militare e se avesse deciso di restare a bordo sarebbe
stato, lui ed i suoi uomini, sempre trattato come nel
passato. Mayer ringraziò ed i due uomini commossi si
strinsero lungamente la mano senza altri commenti.
Nella notte il gruppo dei tedeschi si presentò a poppa
con i bagagli e si avviò mestamente lungo il barcarizzo salutando, ognuno, con il
rispetto di sempre, nella mia persona, l’Ufficiale di Guardia che rappresentava la
bandiera tricolore. Quando per ultimo si avviò a scendere Mayer lo vidi indugiare a
lungo nel saluto militare, poi ci stringemmo a lungo la mano senza parole, ma i nostri
sguardi si dicevano tutto. Li vidi allontanarsi ordinatamente nella notte lungo la
banchina del molo Lagora. Fu un momento assai triste per tutti. Si chiudeva una
epopea. Si apriva un futuro di incognite.
- omissis Giuseppe Baldacci
N.d.R.
Sentimenti profondi di lealtà ed onore tra Uomini di Mare e di Guerra che le
generazioni successive sembra abbiano perso di vista
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LA GUERRA DEGLI OCCHIALI
Nel 1978 ero destinato all’allestimento del sommergibile Sauro presso l’allora
Italcantieri di Monfalcone. La nuova classe di sommergibili imponeva alla Marina
Militare un più moderno approccio alla preparazione del personale destinato a
formare gli equipaggi dei suoi moderni gioielli. Fra i vari programmi di addestramento
ne esistevano due che prevedevano di inviare il personale in
Inghilterra. Il primo consisteva in una settimana di
addestramento alla condotta della navigazione con speciale
riferimento a timonieri e ufficiali tecnici. Si svolgeva presso
“Dolphin” (Gosport), la scuola sommergibili della Royal Navy
che, unica per allora in Europa, possedeva un moderno ed
efficace simulatore.
Il secondo era dedicato alle tecniche di sopravvivenza e
salvataggio e si svolgeva sempre a Dolphin dove esisteva
un’imponente struttura che consentiva di operare con
sommozzatori ed apneisti fino ad una profondità di 30 metri. Si
trattava di un palazzo alto una quarantina di metri che
conteneva una enorme vasca cilindrica di 7/8 metri di diametro
dotata di strutture idonee a simulare la
fuoriuscita di personale da un sommergibile
sinistrato a diverse quote (profondità) a
partire da 3 metri fino a 30.
In questa vasca operava un team di
istruttori inglesi composto da espertissimi
sommergibilisti e sommozzatori militari che
gestivano le esercitazioni con scrupolosa
serietà ed efficienza.
Purtroppo, per un banale incidente
tecnico, a metà degli anni “70, durante
un’esercitazione, morirono alcuni allievi
(sommergibilisti di provata esperienza) per cui la vasca fu chiusa per diversi mesi per
cercare di capire le cause dell’incidente e modificare di conseguenza le procedure.
Nel “79 la vasca aveva ripreso le attività già da diverso
tempo.
Quando la nostra Marina decise che per imbarcare sui
nuovi battelli classe Sauro fosse obbligatorio superare le
prove di fuoriuscita dalla vasca di Dolphin, il personale
interessato cominciò a preoccuparsi e molti meditavano di
rinunciare alla destinazione pur di non essere sottoposti alla
dura prova.
Fu deciso allora di formare un gruppo di istruttori che,
secondo le patenti e i brevetti rilasciati dagli inglesi,
avrebbero dovuto condurre l’istruzione e le esercitazioni di
fuoriuscita effettiva dai sommergibili, direttamente nei loro
paesi e con i loro mezzi subacquei.
Molto bene. Ma gli inglesi pretendevano che gli
aspiranti istruttori sommergibilisti fossero anche in possesso
di un brevetto subacqueo militare.
E dove si poteva trovare, negli anni “70, un sommergibilista che fosse anche
sommozzatore, disposto a partecipare a quel corso per pazzi ?
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Si presentarono solo tre volontari: il giovane sergente elettricista sardo
Salvatore Sechi, appassionato di immersioni e di caccia subacquea (e forse l’unico
dei tre che non aveva capito bene quali fossero i rischi), il capo di 3^Cl. Pietro
D’Arpino da Montecassino, un simpaticissimo omaccione
corpulento ed erculeo, una via di mezzo tra Bud Spencer e
un missionario gesuita sempre in cerca di difficili avventure
con cui misurarsi, ed io: un giovane tenente di vascello già
patentato sommozzatore civile di terzo grado e in corsa per il
brevetto di istruttore che vedevo nell’impresa una nuova
esilarante avventura ed un modo per aggirare l’ostilità degli
ufficiali di Stato Maggiore verso gli ingegneri che
“pretendevano” di fare anche i sommozzatori.
Già dai primi imbarchi sui sommergibili ex americani
avevo condotto diverse operazioni come sommozzatore (volontario) di bordo che mi
erano permesse solo grazie ai miei brevetti civili ed alla
mia personale entusiastica disponibilità. Ma quando
chiedevo di essere mandato a fare il corso al Varignano
mi sentivo sarcasticamente rispondere “non puoi, voi
ingegneri siete cecati, e comunque servi di più a bordo”.
Non riuscivo a capire: un OSSALC deve spesso
intervenire sottacqua per individuare e riparare avarie (e
sui sommergibili capita frequentemente) e i comandanti
insistevano a mandare giù radaristi, infermieri, TLC e
segretari che non erano in grado nemmeno di riferire su
problemi meccanici. Invece le professionalità più adatte
(gli ufficiali ingegneri ed i meccanici/motoristi) venivano
tenuti in disparte solo perche non avevano una vista
perfetta. E poi i miei brevetti civili molto più avanzati
dell’OSSALC non contavano ? E che dire del fatto che
all’occorrenza comunque mi si chiedeva di intervenire ?
Si, era proprio l’occasione perfetta per una rivalsa.
Orbene, nell’ottobre del “78, vista la fretta dello Stato Maggiore per avere
disponibili questi istruttori prima della consegna del battello alla Marina, i tre furono
spediti rapidamente al Varignano, sede del gruppo subacquei ed incursori, per
frequentare il corso OSSALC
(Operatore del Servizio di Sicurezza
Abilitato per Lavori in Carena),
corrispondente a poco più del
brevetto civile di primo grado.
Appena
arrivati
i
tre
moschettieri furono subito sottoposti
a visite mediche per accertarne
l’idoneità. Nessun problema per i
due sottufficiali mentre io, essendo
del Genio Navale avevo già
suscitato sospetti come se fossi un
essere
inferiore
rispetto
ai
perfettissimi incursori. Infatti, la mia lieve miopia (non avevo nemmeno bisogno degli
occhiali) determinò il rifiuto e il rinvio al mittente. A nulla valsero i concilianti discorsi
circa la necessità dello Stato Maggiore di brevettare i tre aspiranti a tutti i costi per
motivi di opportunità politica e di mancanza di altri volontari; fui invitato a tornarmene
al mio Comando.
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Stavo per varcare i cancelli del Varignano quando la sentinella mi intimò di
tornare nell’ufficio del comandante della base. Seduto dietro la sua scrivania
l’ufficiale superiore aveva appena finito di confabulare col medico. Ambedue
avevano un’aria piuttosto contrariata e dopo il conciliabolo si rivolsero a me che
attendevo sugli attenti: “Sig. Guastadisegni, da domani inizia per lei il corso OSSALC
… ma le garantisco che non riuscirà a portarlo a termine”.
Al momento non compresi cosa potesse essere successo e le parole del
comandante mi suonavano come una minaccia nemmeno troppo velata, ma la sera
l’intraprendente D’Arpino mi riferì di aver avvisato per telefono il Comando
Sommergibili dell’esito delle visite mediche
e, dopo una mezzora circa è arrivato al
Comandante di Comsubin l’ordine dallo
Stato Maggiore di considerare idoneo
l’ufficiale malgrado la lieve carenza di
vista. Ecco spiegato lo scorno soprattutto
del
medico,
toccato
nella
sua
professionalità ma anche dell’incursore,
geloso delle preziose prerogative della sua
casta ignorate per interessi superiori.
Il corso durò 40 giorni durante i quali
si tentò di tutto per mettermi in difficoltà.
Per fortuna la preparazione fisica derivata
dalla maniacale cura per corpo e salute e
l’esperienza di centinaia di immersioni anche profonde mi consentirono di superare
tutte le prove; non solo; la ferrea determinazione nata dal desiderio di rivalsa verso
l’ingiustificato atteggiamento della scuola mi spinsero a strafare tanto da farmi uscire
dal corso al primo posto nella graduatoria finale (e, per inciso, con D’Arpino e Sechi
subito a ruota) con risultati eccellenti e con la gratitudine del sottufficiale conduttore
della barca con la quale si usciva in mare per le esercitazioni che per lo più
consistevano nella pesca industriale di frutti di mare, allora non proibita, e che
finivano tutti nella sua borsa e, alla fine della giornata, sui tavoli dei ristoranti che li
pagavano a peso d’oro (all’istruttore). Il gruppetto dei tre sommergibilisti fu
soprannominato affettuosamente “corso tartufo 1°”.
La
Marina
potè
così
ottemperare
agli
impegni
internazionali
mandando
in
Inghilterra i primi tre sommergibilisti
da patentare HDSI (Hight Diver
Submariner Instructor).
Ma il giovane TV e il
subacqueo che erano in me non
dimenticarono la lezione e negli
anni successivi, forte di grandi
successi e soddisfazioni nell’attività
subacquea professionale, iniziai
una lunga battaglia per ottenere la
maggior considerazione possibile per gli OSSALC, fino allora considerati
sommozzatori di serie B.
Primo obiettivo: l’abbassamento dei penalizzanti requisiti riguardanti la vista. Il
sommozzatore di bordo deve lavorare in acque portuali, torbide e rimescolate, con
una visuale limitata e costretto molte volte a lavorare a tentoni; non e necessario che
abbia la vista di un’aquila (cosa invece necessaria per l’incursore che ha ben altri più
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rischiosi e impegnativi compiti). Secondo: un giusto riconoscimento economico che
andasse oltre i miseri compensi alimentari mensili (mezzo chilo di Parmigiano,
mezzo di cioccolato e un po’ di scatolame) di allora. Terzo: l’acquisizione di materiali
moderni che in campo civile erano ormai diffusissimi e che avrebbero migliorato
enormemente
il
rendimento
delle
operazioni OSSALC (mute in neoprene,
gav, bombolini di minimo ingombro,
videocamere
stagne,
sistemi
di
comunicazione ecc.). Quarto ma non
ultimo: un distintivo indicativo della
specialità da portare sulla divisa per
ufficiali e sottufficiali che li rendesse fieri
del loro servizio e desse loro la
soddisfazione di un riconoscimento
morale.
La battaglia lunga e silenziosa duro
una quindicina di anni per i limiti visivi e si
concluse con successo negli anni “90 con l’abbassamento dei limiti di “visus”. Poco
dopo fu approvata la corresponsione di una lauta indennità (di cui io non ho fatto in
tempo a godere). Per i restanti argomenti le carte vincenti risultarono alcuni
documentari girati da me ed inviati a Maristat che dimostravano l’importanza degli
OSSALC nel risolvere problemi ed avarie che altrimenti
sarebbero costati un’enormità in termini economici e di perdita
di tempo e, non ultimo, un circostanziato articolo comparso
sulla Rivista Marittima di febbraio 1999 che metteva in chiaro i
concetti e dimostrava con i fatti la necessita di provvedere a
soddisfare i quattro punti di cui sopra. Poco dopo arrivarono i
materiali speciali e, finalmente, il sospirato distintivo di brevetto
che tutti gli OSSALC portano orgogliosamente sul petto.
Lungi da me l’intenzione di attribuirmi il merito di queste
conquiste (a parte il distintivo), che deve essere riconosciuto al silenzioso ed efficace
lavoro di tutti gli OSSALC, tutto ciò si sarebbe potuto concludere molto prima e con
soddisfazione di tutti se negli anni “70 non ci fossero stati alcuni ufficiali superiori
ancora infarciti degli arcaici concetti legati alla presunta superiorità di alcuni solo per
l’appartenenza ad un corpo di elite. La razionalità e lungimiranza dei grandi capi, alla
lunga, ha sistemato ogni cosa … ma che fatica.
Rudy Guastadisegni
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