GENTILUOMINI DI MARE nr 27 - Associazione Combattenti Decima
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GENTILUOMINI DI MARE nr 27 - Associazione Combattenti Decima
Marzo 2011 N°27 GENTILUOMINI DI MARE Trimestrale di notizie creato intrattenimento, di storie di mare e di da naviganti di vita per gente di mare. ...Dio solo sa quanto è brutto vivere in un mondo senza avventure, senza fantasia... ________________________________________________________ Pubblicazione degli ufficiali del Circolo di Venezia 2 INDICE CROCIATA VELICA Pag. 4 UN INVESTIMENTO OCULATO Pag. 7 PICCOLE PERLE (L’innominabile – I salami di Tore) Pag. 9 VITA DI COMMISSARIO Pag. 11 IL TENENTE DELLA LUFTWAFFE Pag. 14 LA GUERRA DEGLI OCCHIALI Pag. 16 XXXXXXXXXXXXXXX 20 La pubblicazione “Gentiluomini di mare” è edita dai Soci del Circolo Ufficiali Marina Militare di Venezia E viene inviata per posta elettronica (e-mail) a tutti coloro che hanno fornito il proprio indirizzo elettronico. La collaborazione al periodico è aperta a tutti gli ufficiali della Marina in servizio ed in congedo, ai Soci dei Circoli ed a chiunque voglia far pubblicare un articolo, una poesia o degli annunci che siano in accordo con lo spirito del giornalino. Il materiale può essere inviato su supporto elettronico (memory key o CD) o cartaceo al seguente indirizzo: “Gentiluomini di Mare” c/o Circolo Ufficiali MM Castello 2167 30122 - Venezia Il materiale può anche essere inoltrato via e-mail alle sottonotate caselle di P.E. Responsabile/redattore C.A. (a) Rudy Guastadisegni (Ordine Nazionale dei Giornalisti, n. 116741) [email protected] Collaboratore T.V. (CP) Vito Spada [email protected] Esclusivamente via e-mail possono essere richiesti numeri arretrati direttamente al redattore o, col solo rimborso delle spese di spedizione, può essere richiesto l’invio del CD-ROM contenente tutti i numeri pubblicati in formato pdf stampabile. 3 CROCIATA VELICA Un tempo, quando ero Capo Servizio Tecnico del Comando Sommergibili (Maricosom), mi dedicavo anche all’attività velica insieme ad un certo numero di colleghi disposti a sacrificare parte della loro licenza per partecipare alle regate d’altura con le barche della Marina. Si svolgevano in genere ad inizio primavera e duravano dai 4 ai 6 giorni (e notti !) con turni di guardia di 4 e 4. Il mare non era mai tranquillo e quando lo era il vento latitava, le vele sbatacchiavano desolatamente e noi ci sentivamo come dei naufraghi in mezzo all’oceano sognando raffiche impetuose che spingessero la nostra barca verso la vittoria. Ovviamente quando il vento soffiava forte si correva sulle onde, ci si inzuppava di acqua salata fino alle mutande, si mangiavano scatolette e a volte si raccava pure. Erano giorni di vero stress nautico che ci facevano tornare a casa barcollanti, debilitati, irriconoscibili e decisi a non ripetere mai più tali esperienze … ma quando l’occasione si presentava di nuovo, dimenticate tutte le avversità, lo spirito dell’avventura riprendeva il sopravvento ed eravamo i primi a correre. Per controbilanciare queste avventure da lupo di mare, durante l’estate approfittavo della disponibilità delle barche a vela della marina (le stesse usate per le regate venivano concesse per brevi crociere familiari di dieci giorni a chi era in possesso delle patenti necessarie) per concedermi rilassanti vacanze in famiglia. Erano veramente rilassanti quando ci si limitava a brevi tragitti intervallati da soste alla fonda in incantevoli angoli di costa tra la Puglia e la Calabria con battute di caccia subacquea e relativi pranzi a bordo a base di pesce freschissimo e lunghe, lunghissime sieste all’ombra del tendalino. Per le brevi traversate mi facevo aiutare alle manovre in vela da mio figlio o da qualche collega occasionale compagno di vacanza con la sua famiglia. Ci fu pero un’estate in cui nessun marinaio maschio degno di tal nome era disponibile per la vacanza in barca. Quella volta il mio equipaggio di crociera era cosi composto: mia moglie con un’amica, Gianna, moglie di un collega che si trovava in vacanza in Grecia su un’altra barca a vela con amici suoi; mia figlia adolescente con l’amica coetanea figlia di Gianna e … udite udite … mia suocera. Un equipaggio tutto femminile in cui solo mia moglie aveva qualche cognizione di vela per aver frequentato un corso velico vent’anni prima e un po’ di attitudine marinaresca (da laguna) per il fatto di essere Veneziana. Io che ero abituato come skipper a stare comodamente nel pozzetto a governare la navigazione dando disposizioni ai membri dell’equipaggio per le 4 manovre, mi ritrovai nelle condizioni di dover fare personalmente tutte le attività di bordo, anche le più semplici come fissare una cima, alare o filare una scotta e via dicendo. Durante le manovre complesse come le virate ero costretto a degli sforzi mentali per tradurre gli ordini marinareschi con parole semplici e di uso comune, soprattutto per Gianna quando stava al timone. Poichè l’unica manovra che era in grado di fare era quella di spostare la barra del timone a dritta o sinistra a seconda dei miei ordini, dovevo trasformare i complicatissimi puggia, orza, stramba ecc. in due semplici vocaboli a lei comprensibili: tira o spingi (la barra del timone). Le poche volte che mi e scappato qualche termine marinaresco mi sono trovato nell’imbarazzante condizione di dover spiegare l’equivoco come nel caso del classico cazza o peggio quell’orza che la prima volta venne frainteso con orgia. Il risultato comunque era che anzichè fare comodamente lo skipper mi toccava fare lo scimmione di bordo che saltella da poppa a prua per stare dietro a tutte le esigenze di navigazione. Altro che crociera ! Mi sembrava più una crociata. Non avevo tregua neppure durante le brevi soste nelle baie perche la mensa di bordo per sei persone richiedeva un surplus di attività subacquea per procurare pesce per tutti i gusti e le mie rilassanti immersioni si trasformavano in battute di caccia e pesca subacquea con affannosa ricerca di prede; quasi un lavoro. Le signore si dedicavano alla cura dell’abbronzatura limitandosi a spostamenti da dritta a sinistra e viceversa a seconda della posizione della vela; saltuariamente accettavano di sostituirmi al timone per il poco tempo necessario a consentirmi di effettuare le virate. Le bimbe giocavano in cabina senza disturbare troppo fino a quando decidevano che era ora di giocare in coperta … e allora erano veramente guai e il disperato skipper si doveva trasformare anche in attento sorvegliante e bagnino per la loro sicurezza. Per fortuna in cucina c’era mia suocera, una santa donna che quando ci si mette fa girare il mondo nel verso giusto e con l’energia di un vulcano in perenne attività. Con notevole umorismo si era autonominata mozzo di bordo. E come un vero mozzo sotto coperta faceva tutto lei, pulizie, lavaggi, cucina, cambusa, caffè e battute di spirito sollevandomi almeno dalle incombenze logistiche. Una sera ci siamo fermati nel porticciolo della Capitaneria di Porto di Gallipoli e siamo sbarcati per una visita in città in occasione di un megaconcerto di Edoardo Bennato. 5 Passando davanti al corpo di guardia ognuno ha declinato le proprie generalità e il ruolo a bordo: comandante, passeggera, passeggera … la suocera esclamò “mozzo” strizzando contemporaneamente l’occhio al marinaio ed entrando subito nelle simpatie del personale della Compamare. L’ultimo giorno era prevista la navigazione finale da Gallipoli a Taranto ma le condizioni meteo erano decisamente tragiche: nuvole scure, bassa temperatura, piovaschi violenti e forte vento da nordovest: esattamente a 180* rispetto alla rotta del rientro. Si prevedeva una giornata da capitani coraggiosi all’attraversamento di Capo Horn. Ma l’equipaggio non aveva nessuna intenzione di dividere le sorti del capitano e fu cosi che le intrepide signore misero in atto un piano diabolico. Convinsero il marito di Gianna che stava rientrando faticosamente in auto dalla breve vacanza in Grecia, a deviare verso Gallipoli, si impossessarono dell’auto lasciando a terra il mio malcapitato collega e se ne andarono verso casa al grido di salviamo le bimbe. Ad onor del vero avevano ragione nel giudicare inutile il sacrificio dell’intero equipaggio in una traversata che non aveva nulla della spensierata vacanza; meglio sacrificare solo i mariti che in fondo erano del mestiere e forse, secondo loro, si divertivano pure ! E così ci ritrovammo in due a condurre la barca sulla via del ritorno. Dovevamo arrivare prima di notte; il vento contrario non ci consentiva una rapida navigazione a vela se non con larghe boline che ci avrebbero ritardato troppo; fummo costretti ad una ingloriosa traversata a motore per giunta a mezzo servizio a causa del filtro del gasolio sporco e della mancanza del ricambio a bordo, facendo i turni al timone spaccando le onde di prua, imbacuccati in strati di indumenti, prigionieri delle cerate e con solo occhi e naso scoperti. Non era certo la giornata finale di vacanza cha avevo sperato ma, perlomeno, dopo dieci giorni di crociata sui mari avevo per la prima volta in vita mia una sensazione di perfido piacere nel pensare che il giorno dopo sarei tornato al lavoro. Se vi dovesse capitare di programmare una lunga vacanza in barca assicuratevi di non essere l’unico marinaio a bordo. Rudy Guastadisegni 6 UN INVESTIMENTO OCULATO Tutti coloro i quali hanno avuto la fortuna di visitare il Circolo Ufficiali della M.M. di Venezia, non avranno potuto mancare di ammirare le porte finemente decorate dal Maestro "Benemerito Pittore di Marina" Loris Masserini il quale, grazie ai lungimiranti appoggi e sostegni dell’allora Presidente del Circolo CV (GN) Rudy Guastadisegni, ebbe a disposizione a cavallo tra il 2005 ed il 2006 l'ospitalità presso il Circolo (di cui è comunque socio) nonché i materiali necessari al compimento dell'opera. Un successivo progetto, sempre concordato col Presidente, prevedeva il completamento dell’opera mediante il decoro delle rimanenti dieci ante delle porte a soffietto che separano la sala da pranzo dalla c.d. sala delle cupole. Correva l'anno 2008 ed il Maestro si rese disponibile per portare a termine l'opera. Il nuovo Presidente, successo al CV Guastadisegni il 1° gennaio 2008, dopo l'acquisto di circa 1.000 euro di foglia d'oro necessaria all'opera, per scrupolo decise di chiedere l'approvazione formale e scritta della Direzione Ente Circoli di Roma, approvazione che, ovviamente fu negata perché non esistevano le premesse normative per concedere all’artista vitto e alloggio gratuiti (il valore dell’opera offerta gratuitamente sarebbe stato dieci volte superiore). Il suo predecessore aveva operato differentemente: comunicava semplicemente all'Ente Circoli l'avvenuto compimento dei decori assumendosi la responsabilità delle modalità dell’impresa (concessione gratuita di vitto e alloggio). L’Ente Circoli si è sempre compiaciuto dell'alto livello artistico, grato per non essere stato messo in imbarazzo da una richiesta di autorizzazione scritta, accettava con piacere la presa in carico dell'opera eseguita praticamente no-cost. Nel 2009 subentrava un nuovo Presidente la cui opinione artistica era che le porte in questione stavano meglio se lasciate al bianco naturale, tipo ospedale. Intanto, a causa della crisi economica mondiale, il prezzo dell'oro in cassaforte a Venezia cresce del 20%, un investimento, in ogni caso, comunque fruttuoso per la Marina Militare. Accadde quasi per caso che l'Ammiraglio Comandante del Dipartimento Militare Marittimo di Ancona, persona di raffinati gusti artistici, si trovasse a Venezia nel 2008 in occasione del Simposio delle Marine del Mediterraneo e del Mar Nero. L’alto ufficiale si meravigliò per la bellezza di tali decori e si complimentò con l’artista sia per la qualità dell’opera che per le motivazioni profonde che l’avevano spinto a donarla alla Marina. Nell'anno 2010 l'Ammiraglio di cui sopra si trasferì a Roma con l’incarico di Presidente del CASD (Centro Alti Studi della Difesa) presso il Palazzo Salviati e, 7 ricordandosi del Maestro Masserini lo convoca per esplorare la sua disponibilità ad eseguire a Roma un ‘opera simile a quella di Venezia. Si trattava di decorare le porte del Corridoio della Direzione del Palazzo ed il Maestro, nonostante l'immensità dell'opera (54 pannelli da decorare contro i 24 di Venezia) accettò di buon grado l’incarico con l’entusiasmo di chi sa di lasciare un’opera che sarà ammirata per decenni dai vertici delle nostre Forze Armate. Nel frattempo, a Venezia, si svolge nuovamente il Simposio delle Marine del mediterraneo e del Mar Nero e per l'occasione si trovano nella capitale veneta il Presidente dell'Ente Circoli ed il Capo di Stato Maggiore della Marina oltre all’ammiraglio Direttore del CASD. Tutti si compiacciono per le porte decorate ma quando il presidente dell'Ente Circoli viene a sapere dell'occasione sfumata del 2008 e nel 2010, vuoi per inerzia vuoi per eccesso di scrupolo, vuoi per mancanza di coraggio, si dispiace che la Marina abbia perso l'occasione per ottenere ulteriore lustro. Siamo nel novembre 2010 quando, finalmente, l’opera di palazzo Salviati giunge a compimento e vengono ufficialmente inaugurate le porte del Corridoio della Presidenza del CASD. La presentazione ufficiale viene fatta ad un gruppo rappresentativo di personalità delle Forze Armate, personalità non solo sorprese dall'altissima qualità artistica dei lavori ma anche compiaciuti dalla sagacia e lungimiranza dell’ammiraglio Direttore il quale, proprio per via del suo intuito, è stato omaggiato dal Maestro con una di lui raffigurazione in veste mecenatesca su uno dei pannelli della porta dell’Ufficio di Direzione. Il Maestro ha voluto ringraziare, nell’opera di Roma, anche l’ammiraglio Guastadisegni, riportando in uno dei pannelli lo stemma dei sommergibilisti, specialità di cui ha fatto parte per quasi tutta la carriera, ma non si è dimenticato di Venezia: ha già pronti, nel cassetto, nuovi bozzetti di decorazioni, sempre di argomento prettamente marino e che richiamano oggetti e particolari propri della Marina Militare e, con la solita santa pazienza, rimane in attesa che qualcuno si ricordi della sua (gratuita) disponibilità e rispolveri le lettere di intenti con le quali gli si voleva affidare la nuova opera rimasta sospesa nel limbo delle intenzioni. Ed intanto il valore delle foglie d'oro nella cassaforte del Circolo di Venezia, cresce, cresce, cresce ... Mircea Masserini N.d.R. Per chi volesse saperne di più si consiglia di leggere il n.14bis di “GENTILUOMINI DI MARE” dal titolo “Loris Masserini, marinaio e pittore”. 8 PICCOLE PERLE L’INNOMINABILE Nel “71 il sommergibile Mocenigo si trovava di stanza ad Augusta e, quando non era per mare (molto raramente) sonnecchiava ormeggiato alle banchine sommergibili. A breve distanza si trovavano le banchine delle navi grigie o navi di superficie da cui la definizione di superficiali data dai sommergibilisti ad i loro equipaggi. Una delle navi all’ormeggio era famosa perché di essa non si poteva pronunciare il nome e quindi da tutti (specialmente dai Sommergibilisti) chiamata "Innominabile". L'equipaggio del Mocenigo e del Dandolo che avevano l'ormeggio in fondo alla banchina, nella zona "Ufficio Porto" dovevano passare tutte le mattine davanti a quella nave per andare a fare l'assemblea perchè gli alloggi dei sommergibilisti si trovavano dalla parte opposta dell’Arsenale. Era spontaneo e quasi istintivo toccarsi tutte le volte che si passava di poppa a quella nave e , vi assicuro, questo avveniva parecchie volte al giorno. Una mattina un T.V., molto nervoso, quasi alterato appare dentro la baracca (sì, proprio baracca) dove il Mocenigo aveva la segreteria ed urla davanti al T.V. Carrieri, il nostro Ufficiale in 2^: "basta , non se ne può più, non è possibile che tutti quelli che passano di poppa alla mia nave..." Calmati “ dice il signor Carrieri, “si può sapere che succede?”. "Succede che tutti i tuoi, ogni volta che passano di poppa alla mia nave si toccano. E' una vergogna devi dire loro che la devono smettere!!" Calmo e serafico il buon Michele Carrieri gli chiede: "ma tu...chi sei?" “Sono il Secondo di Nave ... “ e nomina la Nave. Non l'avesse mai fatto!!! A quel punto tutti quelli che erano in segreteria si toccarono contemporaneamente con gesti smaccatamente teatrali per dare più forza al significato della loro reazione di fronte al malcapitato ufficiale; tutti compreso naturalmente il nostro buon Ufficiale in Seconda. Quel poverino uscì ancora più paonazzo di come era entrato e noi dopo esserci guardati in faccia non potemmo evitare di sbellicarci dalle risate. Nessuno venne mai più a reclamare e noi continuammo a passare a poppa di quella nave facendo il consueto istintivo gesto. Enzo Arena (adattamento di Rudy Guastadisegni) 9 I SALAMI DI TORE Nel periodo dell’allestimento del sommergibile Sauro, (“78-80) noi dell’equipaggio alloggiavamo al secondo piano dell'ex “albergo impiegati”, una struttura piuttosto vecchiotta ma solida e massiccia che in passato era servita da stabile dimora per gli impiegati dei cantieri navali che si trovavano a poche centinaia di metri di distanza. Io ero in camera con l'amico e collega Francesco Russo; nella camera adiacente alloggiava Salvatore Sechi, giovane sergente elettricista che, fresco di licenza, aveva appeso al di fuori della finestra, al fresco, le prelibatezze appena portate dalla sua Sardegna. Si fece sera e mentre ci rilassavamo nella nostra stanza, all'esterno della nostra finestra passò, aderente al muro strisciando sul cornicione, una figura sinistra con un coltello stretto tra i denti. Per nostra e sua fortuna, lo riconoscemmo subito come uno dei nostri. Vistosi scoperto l’amico ci fece segno con un dito di stare zitti. Era il mitico Giacetti, un elettricista V3 di Mestre noto per le sue vulcaniche mattane; poco dopo ripassò a ritroso per la stessa via con salamini e formaggi appesi al collo con cordicelle Aveva fatto man bassa delle leccornie del Tore (Sechi) che il mattino seguente accortosi della sparizione si aggirava disperato per il palazzo chiedendosi cosa potesse essere successo e se qualcuno fosse al corrente dell’accaduto. Quando finalmente si convinse che non poteva essere opera dei fantasmi ormai era troppo tardi....del corpo del reato rimasero solo le cordicelle in un angolo della mensa e le facce beate e soddisfatte del malfattore e dei suoi complici che stavano ancora leccandosi i baffi per la bontà del materiale appena consumato e, soprattutto, per il modo così rocambolesco di come fu procurato. Da buon sommergibilista e compagnone, il Tore sdrammatizzò il fatto con una rassegnata risata e, le volte successive conservò i salami in cassaforte. Renzo Ferrari (adattamento di Rudy Guastadisegni) 10 VITA DI COMMISSARIO Ho partecipato recentemente al Quarantennale della Maturità del Corso Orsa Minore del Collegio Navale Francesco Morosini a Venezia e, al ritorno, sono affiorati in me ricordi di ben quaranta anni fa del mio servizio militare in Marina. La mia storia inizia nel lontano 1967 quando, militare di leva in Marina, presento domanda per partecipare al 62°corso AUCD. Quindi visite mediche, test attitudinali e, dopo tre mesi, con mia grande sorpresa, proprio non ci speravo, ricevo il telegramma di presentarmi a Marinaccad Livorno il giorno 1° novembre assegnato al 62° Corso AUCD. Da buon ragioniere sono assegnato alla sezione Commissari e per sette mesi le lezioni sono improntate su amministrazione, contabilità, diritto militare unite ad altre, in misura molto superficiale, su nautica, genio navale, armi. Al termine del corso esami di rito e prima destinazione con il grado di Aspirante: Maricommi Messina. La destinazione è un po’ una sorpresa, vivendo in una cittadina vicino ad Ancona avevo scelto tre destinazioni: Ancona, Venezia, Roma ma l’alto Comando decide che un po’ di Sicilia non poteva che farmi bene per cui, al motto: “una destinazione vale l’altra” prendo il treno alla volta della città dello Stretto. Presentazione alla locale Maricommi, arriviamo in tre e subito veniamo destinati a tre uffici diversi nell’ambito della stessa sede. Già mi sto preparando ad applicare quanto studiato in Accademia quando, dopo solo due giorni dall’arrivo, convocazione dal Colonnello responsabile che ci informa che due di noi sono trasferiti a Marisicilia Messina e di presentarci all’indomani presso il suddetto Comando. L’indomani mattina nuova presentazione, questa volta presso l’Ammiraglio Comandante che ci fa presente di avere due destinazioni e, su nostra scelta, destinati io presso l’Aiutante di Bandiera come supporto all’Ufficio addetto stampa il cui responsabile era lo stesso Aiutante di Bandiera e l’altro presso l’Ufficio del Genio Marina per i fabbricati civili e militari ricadenti nella giurisdizione del Comando. Per quattro mesi mi occupo di recensioni di giornali nazionali e locali, di comunicati stampa emessi dal Comando di Marisicilia da portare alle sedi o alle agenzie dei giornali; unico lavoro, se così si può dire, da Commissario, la preparazione della tesina per la promozione a Sottotenente con argomento da trattare: la contabilità di stato in generale con particolare riferimento alle forze armate. Non faccio in tempo a presentare la mia ricerca che sono convocato dall’Ammiraglio Comandante che mi comunica che, con decorrenza due giorni dopo, sono trasferito a Maricollegio Venezia. Venezia era una delle destinazioni richieste, mi informo e vengo a sapere che c’è un piccolo Ufficio di Commissariato per cui riprendo a sperare di fare il vero Commissario. 11 Non faccio in tempo a presentarmi al Morosini che sono assegnato al Corso Orsa Minore come Sottordine al Comandante al Corso. Quindi ancora una volta addio lavoro da Commissario e nuovo incarico, per me difficile non avendo alcuna esperienza in materia, di addetto agli allievi che avevano quasi la mia età. A quei tempi non avevo ancora 22 anni e qualcuno degli anzianissimi del Corso Poseidon volevano addirittura “spivolarmi”. Incarico difficile dicevo ma sotto la guida del Comandante GB Falletti e la collaborazione di due Capi come Lenarduzzi e Fabrello ho imparato a sapermi destreggiare per bene cercando di far capire ai ragazzi che purtroppo dovevo fare una certa parte che mi era imposta e che il mio primo scopo era quello di dialogare, capire i loro problemi e di utilizzare lo strumento delle punizioni come ultima ratio. Penso di essere riuscito in tutto ciò e le punizioni da me inflitte sono tra le più basse del periodo 1968/70. Ho passato 18 mesi veramente stupendi, a proposito mi sono pure raffermato per un anno altrimenti i conti non tornano. Partecipo, nel frattempo, a vari concorsi Statali, sto già pensando alla futura vita da borghese, anche se non accantono l’ipotesi della vita militare quando il Comandante in 2° mi comunica che l’Incrociatore Vittorio Veneto, appena uscito dall’allestimento a Castellammare di Stabia, è in partenza per una campagna addestrativa in Nord America di quattro mesi e necessita di un Sottordine al Servizio Amministrativo da scegliere tra i tre sottordini ai Corsi Allievi. Rapida consultazione tra i tre designati ed alla fine viene comunicato il mio nominativo. Passa del tempo ed io del Vittorio Veneto addirittura me ne dimentico. Verso la metà di aprile del 1970 partecipo alla prova orale di un concorso nelle Ferrovie quando improvvisamente il giorno 20 ricevo una telefonata di rientrare immediatamente perché, pagato 23 aprile sono imbarcato sul Vittorio Veneto in partenza il giorno 25 dello stesso mese. Come vedete mi hanno trasferito sempre dandomi un paio di giorni. Questa volta, visti i precedenti, ho pensato: che cosa mi faranno fare?; è vero, imbarco come Sottordine al Servizio Amministrativo ma quali saranno i miei compiti, le mie mansioni? E’ con queste idee in testa che la sera del 23, attorno alle 22 imbarco su Nave Veneto. La mattina successiva non faccio in tempo ad entrare nel quadrato Ufficiali che subito il Maggiore Commissario Crucillà mi chiama e mi accompagna in tutta fretta presso l’Ufficio Cassa. Devo subentrare all’Ufficiale alla Cassa Tenente Nicolò D’Amore che deve sbarcare per un corso di aggiornamento di qualche settimana, lo stesso ci avrebbe raggiunto direttamente in America. Immaginare la mia sorpresa è plausibile; non avevo mai ricoperto mansioni di Commissario e mi ritrovo, anche se temporaneamente, Ufficiale alla Cassa di una nave in partenza per una lunga crociera all’estero; valuta estera, pagamenti, prelievi in banca, ecc, ecc. E’ vero non ero solo, ma la responsabilità diretta del maneggio denaro era la mia. Dobbiamo fare il passaggio 12 delle consegne e ci siamo recati direttamente dal Comandante senza darmi il tempo per indossare l’uniforme con sciarpa e sciabola per la presentazione di rito. “La presentazione la farà successivamente, adesso sono importanti le consegne” ed effettivamente la mia presentazione è stata fatta alcuni giorni dopo in piena navigazione. E’ così la mattina del 25 aprile, in pratica il giorno dopo, il Veneto ha lasciato La Spezia per la sua prima campagna addestrativa. Immaginate il mio stato d’ansia, ero appena imbarcato ed ero entrato in piena attività in una attività a me sconosciuta, a bordo non c’erano precedenti per l’estero a cui fare riferimento; mi sono dovuto ambientare in fretta in tutti i sensi; sia per il lavoro che per la conoscenza della nave che per il piede marino. Fortunatamente tutto è andato nel migliore dei modi; ho imparato in fretta e all’arrivo nei porti ero uno degli Ufficiali di bordo più ricercati per la parte contabilità; prima il prelievo in banca di moneta locale, il pagamento all’equipaggio di quanto dovuto per ogni giorno di sosta, il pagamento ai fornitori e agli ormeggiatori, il pagamento delle retribuzioni all’equipaggio con tutti gli annessi e connessi. Unite pure il fatto che sul Veneto, a differenza di quanto avveniva allora su altre navi, il Commissario era anche, a seconda dei turni, Ufficiale di Guardia ai ponti coperti per cui in alcuni casi mi sono ritrovato a dover correre a saldare qualche creditore con la sciarpa addosso. Al rientro a bordo del Tenente D’Amore le mie incombenze per la Cassa sono finite, mi hanno incaricato di seguire le tre mense di bordo; il lavoro è diventato un po’ più “umano”. La crociera è così proseguita tra alti e bassi e siamo rientrati in Italia alla fine di Agosto. Nel frattempo ero stato convocato dalle Ferrovie, quale vincitore di Concorso, per la visita di assunzione. Mi sono congedato ad ottobre 1970 e subito ho iniziato una nuova vita legata in parte alla precedente; anche qui numeri, contabilità, partita doppia fino alla pensione ma mi rimane nel cuore quel meraviglioso periodo in cui mi hanno fatto fare quasi sempre cose molto lontane dalla mia preparazione tecnica ma piene di grande soddisfazione perchè così è la Marina: chiede tanto ma altrettanto concede, e il ritrovarmi, dopo quaranta anni in mezzo a tanti sinceri amici di gioventù come se ci fossimo lasciati il giorno prima, non è stato altro che la conferma di questo concetto Cesarino Graziosi 13 IL TENENTE DELLA LUFTWAFFE (Dal mio diario) - omissis Eccomi dunque all’8 Settembre del 1943 a bordo della R.N. Littorio, che chiamo ancora col suo glorioso nome perché così mi accolse, così la conobbi, così la amai e così mi piace ricordarla. Riporto integralmente quanto scrissi nel mio diario di quei giorni. “Erano le venti circa quando, dopo aver cenato alla mensa della Guardia, discorrevo del più e del meno con Caleca passeggiando davanti al Quadrato Ufficiali. Anche se i momenti che vivevamo erano altamente drammatici ed anche se avevamo la quasi certezza che nel cuore della notte avremmo preso il largo, insieme alle altre Unità delle Forze Navali da Battaglia, per andare a contrastare lo sbarco alleato in corso a Salerno, eravamo tuttavia lontanissimi dal pensare alla bufera di altro genere che si stava per scatenare su di noi. Eravamo tutti, a bordo, eccitati e pieni di entusiasmo anche se ben consapevoli che per noi sarebbe stato “il canto del cigno”, ma almeno avremmo concluso la nostra avventura con onore. Ricordo che stavo appunto parlando con Caleca della epopea dell’ammiraglio russo Roždesvienskij e della sua flotta che nel 1905 andava ad immolarsi a Tsushima, consapevole dello stato in cui si trovavano le sue navi dopo mesi di navigazione e della efficienza delle navi giapponesi dell’ammiraglio Togo, quando, d’improvviso, vedemmo un marinaio precipitarsi sulla plancetta proiettori del torrioncino facendo gesti da esaltato e gridando. Le sue parole concitate ci giunsero come un fulmine a ciel sereno: “l’armistizio, gridava, è finita la guerra, è la pace, è la pace”. E’, quello, un ricordo che resterà sempre nella mia mente, sento ancora la voce di quell’uomo sconosciuto nelle mie orecchie, vedo ancora quella figura piena di giubilo per un evento che, invece, doveva segnare per la nostra Italia l’inizio di una epoca di innumerevoli sciagure. Tutti siamo come colpiti da una mazzata e non afferriamo sul momento la vera drammaticità della cosa. Non riesco a farmi capace che ormai tutto è finito, sia pure così miseramente. Intanto vicino a me tanti uomini dell’equipaggio, provati per oltre 40 mesi da una durissima lotta e con la speranza di essere arrivati sul punto di rivedere le famiglie lontane, danno ora segni di grande gioia. E’ come se tutti si fossero tolti un peso da dosso. In realtà è la lotta fra il sentimento di italiani che fa piangere sulla rovina della Patria e quello di uomini che fa sorridere il cuore al pensiero di tornare in famiglia. Non tutti però esultano: vedo molti Ufficiali e Sottufficiali, specialmente fra i più anziani, come folgorati, ma non mancano fra essi anche dei giovani e fra questi ero sicuramente io. Il mio pensiero correva ai tantissimi che erano caduti combattendo, ai tantissimi che avevano sopportato pesanti sacrifici al fronte come nelle città. Pensavo al mio babbo che da tre anni rischiava quotidianamente la vita volando sul mare in condizioni tanto pericolose e che due volte era tornato dalla missione ferito e con morti a bordo del 14 suo aereo sforacchiato dalla contraerea e dai caccia nemici. A che valevano ora le ferite che aveva riportato in combattimento? E quei poveri aviatori morti? Il diario prosegue e, dopo molte pagine, affiora un altro mio ricordo legato a quei momenti in cui tanti, all’annuncio dell’Armistizio, si sentirono traditi. Ecco cosa allora scrissi: “Non dirò come mi sentii io stesso, che pure ero solo un giovanissimo Guardiamarina, quando quella stessa sera a bordo della Littorio vidi negli occhi del giovane Oberleutnant (Tenente) della Luftwaffe Erwin Mayer, camerata di ogni giorno, lo sconforto, l’amarezza, lo stupore resi ancor più forti da quello che Badoglio aveva quella sera stessa fatto capire per radio: che ora il nemico sarebbe stato il tedesco, cioè l’alleato, il camerata di qualche minuto prima. Il povero tenentino Mayer si era affezionato alla Nave, ai camerati italiani al fianco dei quali, con i suoi disciplinati uomini, aveva sempre fatto puntualmente il suo dovere per assicurare il collegamento fra la nostra Flotta e gli aerei della Luftwaffe che la difendevano dall’alto. Ora, nella notte, riunì i suoi trenta uomini, li lasciò inquadrati e silenziosi sul ponte di coperta della Nave a poppa (io bene li ricordo perché ero proprio lì in servizio di seconda comandata a poppa) e scese giù per il boccaporto che portava al ponte di secondo corridoio. Al piantone chiese di essere annunciato al Comandante della Nave che lo ricevette senza indugio, imbarazzatissimo anche lui e che poi ci raccontò cosa era avvenuto fra di loro. Mayer si irrigidì sull’attenti e fece il saluto militare, poi estrasse dal fodero la sua rivoltella d’ordinanza e la posò sulla scrivania del Comandante Bottiglieri, dicendogli in un discreto italiano che lui ed i suoi uomini si rimettevano al suo giudizio. Sabato Bottiglieri era un gentiluomo, un Ufficiale di Marina della vecchia generazione. Si alzò, prese la rivoltella dal piano della scrivania e, guardandolo dritto negli occhi, la restituì a Mayer dicendogli che quanto accadeva era una sorpresa ed un dolore anche per lui e che ciò non modificava i sentimenti di rispetto e di stima che nutriva per chi era stato al suo fianco in tante occasioni. Pertanto lo invitava ad agire come meglio riteneva per il suo onore militare e se avesse deciso di restare a bordo sarebbe stato, lui ed i suoi uomini, sempre trattato come nel passato. Mayer ringraziò ed i due uomini commossi si strinsero lungamente la mano senza altri commenti. Nella notte il gruppo dei tedeschi si presentò a poppa con i bagagli e si avviò mestamente lungo il barcarizzo salutando, ognuno, con il rispetto di sempre, nella mia persona, l’Ufficiale di Guardia che rappresentava la bandiera tricolore. Quando per ultimo si avviò a scendere Mayer lo vidi indugiare a lungo nel saluto militare, poi ci stringemmo a lungo la mano senza parole, ma i nostri sguardi si dicevano tutto. Li vidi allontanarsi ordinatamente nella notte lungo la banchina del molo Lagora. Fu un momento assai triste per tutti. Si chiudeva una epopea. Si apriva un futuro di incognite. - omissis Giuseppe Baldacci N.d.R. Sentimenti profondi di lealtà ed onore tra Uomini di Mare e di Guerra che le generazioni successive sembra abbiano perso di vista 15 LA GUERRA DEGLI OCCHIALI Nel 1978 ero destinato all’allestimento del sommergibile Sauro presso l’allora Italcantieri di Monfalcone. La nuova classe di sommergibili imponeva alla Marina Militare un più moderno approccio alla preparazione del personale destinato a formare gli equipaggi dei suoi moderni gioielli. Fra i vari programmi di addestramento ne esistevano due che prevedevano di inviare il personale in Inghilterra. Il primo consisteva in una settimana di addestramento alla condotta della navigazione con speciale riferimento a timonieri e ufficiali tecnici. Si svolgeva presso “Dolphin” (Gosport), la scuola sommergibili della Royal Navy che, unica per allora in Europa, possedeva un moderno ed efficace simulatore. Il secondo era dedicato alle tecniche di sopravvivenza e salvataggio e si svolgeva sempre a Dolphin dove esisteva un’imponente struttura che consentiva di operare con sommozzatori ed apneisti fino ad una profondità di 30 metri. Si trattava di un palazzo alto una quarantina di metri che conteneva una enorme vasca cilindrica di 7/8 metri di diametro dotata di strutture idonee a simulare la fuoriuscita di personale da un sommergibile sinistrato a diverse quote (profondità) a partire da 3 metri fino a 30. In questa vasca operava un team di istruttori inglesi composto da espertissimi sommergibilisti e sommozzatori militari che gestivano le esercitazioni con scrupolosa serietà ed efficienza. Purtroppo, per un banale incidente tecnico, a metà degli anni “70, durante un’esercitazione, morirono alcuni allievi (sommergibilisti di provata esperienza) per cui la vasca fu chiusa per diversi mesi per cercare di capire le cause dell’incidente e modificare di conseguenza le procedure. Nel “79 la vasca aveva ripreso le attività già da diverso tempo. Quando la nostra Marina decise che per imbarcare sui nuovi battelli classe Sauro fosse obbligatorio superare le prove di fuoriuscita dalla vasca di Dolphin, il personale interessato cominciò a preoccuparsi e molti meditavano di rinunciare alla destinazione pur di non essere sottoposti alla dura prova. Fu deciso allora di formare un gruppo di istruttori che, secondo le patenti e i brevetti rilasciati dagli inglesi, avrebbero dovuto condurre l’istruzione e le esercitazioni di fuoriuscita effettiva dai sommergibili, direttamente nei loro paesi e con i loro mezzi subacquei. Molto bene. Ma gli inglesi pretendevano che gli aspiranti istruttori sommergibilisti fossero anche in possesso di un brevetto subacqueo militare. E dove si poteva trovare, negli anni “70, un sommergibilista che fosse anche sommozzatore, disposto a partecipare a quel corso per pazzi ? 16 Si presentarono solo tre volontari: il giovane sergente elettricista sardo Salvatore Sechi, appassionato di immersioni e di caccia subacquea (e forse l’unico dei tre che non aveva capito bene quali fossero i rischi), il capo di 3^Cl. Pietro D’Arpino da Montecassino, un simpaticissimo omaccione corpulento ed erculeo, una via di mezzo tra Bud Spencer e un missionario gesuita sempre in cerca di difficili avventure con cui misurarsi, ed io: un giovane tenente di vascello già patentato sommozzatore civile di terzo grado e in corsa per il brevetto di istruttore che vedevo nell’impresa una nuova esilarante avventura ed un modo per aggirare l’ostilità degli ufficiali di Stato Maggiore verso gli ingegneri che “pretendevano” di fare anche i sommozzatori. Già dai primi imbarchi sui sommergibili ex americani avevo condotto diverse operazioni come sommozzatore (volontario) di bordo che mi erano permesse solo grazie ai miei brevetti civili ed alla mia personale entusiastica disponibilità. Ma quando chiedevo di essere mandato a fare il corso al Varignano mi sentivo sarcasticamente rispondere “non puoi, voi ingegneri siete cecati, e comunque servi di più a bordo”. Non riuscivo a capire: un OSSALC deve spesso intervenire sottacqua per individuare e riparare avarie (e sui sommergibili capita frequentemente) e i comandanti insistevano a mandare giù radaristi, infermieri, TLC e segretari che non erano in grado nemmeno di riferire su problemi meccanici. Invece le professionalità più adatte (gli ufficiali ingegneri ed i meccanici/motoristi) venivano tenuti in disparte solo perche non avevano una vista perfetta. E poi i miei brevetti civili molto più avanzati dell’OSSALC non contavano ? E che dire del fatto che all’occorrenza comunque mi si chiedeva di intervenire ? Si, era proprio l’occasione perfetta per una rivalsa. Orbene, nell’ottobre del “78, vista la fretta dello Stato Maggiore per avere disponibili questi istruttori prima della consegna del battello alla Marina, i tre furono spediti rapidamente al Varignano, sede del gruppo subacquei ed incursori, per frequentare il corso OSSALC (Operatore del Servizio di Sicurezza Abilitato per Lavori in Carena), corrispondente a poco più del brevetto civile di primo grado. Appena arrivati i tre moschettieri furono subito sottoposti a visite mediche per accertarne l’idoneità. Nessun problema per i due sottufficiali mentre io, essendo del Genio Navale avevo già suscitato sospetti come se fossi un essere inferiore rispetto ai perfettissimi incursori. Infatti, la mia lieve miopia (non avevo nemmeno bisogno degli occhiali) determinò il rifiuto e il rinvio al mittente. A nulla valsero i concilianti discorsi circa la necessità dello Stato Maggiore di brevettare i tre aspiranti a tutti i costi per motivi di opportunità politica e di mancanza di altri volontari; fui invitato a tornarmene al mio Comando. 17 Stavo per varcare i cancelli del Varignano quando la sentinella mi intimò di tornare nell’ufficio del comandante della base. Seduto dietro la sua scrivania l’ufficiale superiore aveva appena finito di confabulare col medico. Ambedue avevano un’aria piuttosto contrariata e dopo il conciliabolo si rivolsero a me che attendevo sugli attenti: “Sig. Guastadisegni, da domani inizia per lei il corso OSSALC … ma le garantisco che non riuscirà a portarlo a termine”. Al momento non compresi cosa potesse essere successo e le parole del comandante mi suonavano come una minaccia nemmeno troppo velata, ma la sera l’intraprendente D’Arpino mi riferì di aver avvisato per telefono il Comando Sommergibili dell’esito delle visite mediche e, dopo una mezzora circa è arrivato al Comandante di Comsubin l’ordine dallo Stato Maggiore di considerare idoneo l’ufficiale malgrado la lieve carenza di vista. Ecco spiegato lo scorno soprattutto del medico, toccato nella sua professionalità ma anche dell’incursore, geloso delle preziose prerogative della sua casta ignorate per interessi superiori. Il corso durò 40 giorni durante i quali si tentò di tutto per mettermi in difficoltà. Per fortuna la preparazione fisica derivata dalla maniacale cura per corpo e salute e l’esperienza di centinaia di immersioni anche profonde mi consentirono di superare tutte le prove; non solo; la ferrea determinazione nata dal desiderio di rivalsa verso l’ingiustificato atteggiamento della scuola mi spinsero a strafare tanto da farmi uscire dal corso al primo posto nella graduatoria finale (e, per inciso, con D’Arpino e Sechi subito a ruota) con risultati eccellenti e con la gratitudine del sottufficiale conduttore della barca con la quale si usciva in mare per le esercitazioni che per lo più consistevano nella pesca industriale di frutti di mare, allora non proibita, e che finivano tutti nella sua borsa e, alla fine della giornata, sui tavoli dei ristoranti che li pagavano a peso d’oro (all’istruttore). Il gruppetto dei tre sommergibilisti fu soprannominato affettuosamente “corso tartufo 1°”. La Marina potè così ottemperare agli impegni internazionali mandando in Inghilterra i primi tre sommergibilisti da patentare HDSI (Hight Diver Submariner Instructor). Ma il giovane TV e il subacqueo che erano in me non dimenticarono la lezione e negli anni successivi, forte di grandi successi e soddisfazioni nell’attività subacquea professionale, iniziai una lunga battaglia per ottenere la maggior considerazione possibile per gli OSSALC, fino allora considerati sommozzatori di serie B. Primo obiettivo: l’abbassamento dei penalizzanti requisiti riguardanti la vista. Il sommozzatore di bordo deve lavorare in acque portuali, torbide e rimescolate, con una visuale limitata e costretto molte volte a lavorare a tentoni; non e necessario che abbia la vista di un’aquila (cosa invece necessaria per l’incursore che ha ben altri più 18 rischiosi e impegnativi compiti). Secondo: un giusto riconoscimento economico che andasse oltre i miseri compensi alimentari mensili (mezzo chilo di Parmigiano, mezzo di cioccolato e un po’ di scatolame) di allora. Terzo: l’acquisizione di materiali moderni che in campo civile erano ormai diffusissimi e che avrebbero migliorato enormemente il rendimento delle operazioni OSSALC (mute in neoprene, gav, bombolini di minimo ingombro, videocamere stagne, sistemi di comunicazione ecc.). Quarto ma non ultimo: un distintivo indicativo della specialità da portare sulla divisa per ufficiali e sottufficiali che li rendesse fieri del loro servizio e desse loro la soddisfazione di un riconoscimento morale. La battaglia lunga e silenziosa duro una quindicina di anni per i limiti visivi e si concluse con successo negli anni “90 con l’abbassamento dei limiti di “visus”. Poco dopo fu approvata la corresponsione di una lauta indennità (di cui io non ho fatto in tempo a godere). Per i restanti argomenti le carte vincenti risultarono alcuni documentari girati da me ed inviati a Maristat che dimostravano l’importanza degli OSSALC nel risolvere problemi ed avarie che altrimenti sarebbero costati un’enormità in termini economici e di perdita di tempo e, non ultimo, un circostanziato articolo comparso sulla Rivista Marittima di febbraio 1999 che metteva in chiaro i concetti e dimostrava con i fatti la necessita di provvedere a soddisfare i quattro punti di cui sopra. Poco dopo arrivarono i materiali speciali e, finalmente, il sospirato distintivo di brevetto che tutti gli OSSALC portano orgogliosamente sul petto. Lungi da me l’intenzione di attribuirmi il merito di queste conquiste (a parte il distintivo), che deve essere riconosciuto al silenzioso ed efficace lavoro di tutti gli OSSALC, tutto ciò si sarebbe potuto concludere molto prima e con soddisfazione di tutti se negli anni “70 non ci fossero stati alcuni ufficiali superiori ancora infarciti degli arcaici concetti legati alla presunta superiorità di alcuni solo per l’appartenenza ad un corpo di elite. La razionalità e lungimiranza dei grandi capi, alla lunga, ha sistemato ogni cosa … ma che fatica. Rudy Guastadisegni 19 20