Acidificazione degli oceani: passato, presente, e futuro
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Acidificazione degli oceani: passato, presente, e futuro
Acidificazione degli oceani: passato, presente, e futuro Sandy Antonicelli Riassunto Le emissioni antropogeniche di CO2 in atmosfera stanno causando il decremento del valore del pH degli oceani. Per velocità ed intensità, questo fenomeno sembra non avere eguali nella storia del pianeta degli ultimi 20 milioni di anni. Le conseguenze in atto sono osservabili nell'alterazione della fisiologia di un ampio numero di organismi; di conseguenza, l'ecologia dell'intero biota marino sta andando incontro a importanti cambiamenti. In questo lavoro andremo in primo luogo ad osservare le variazioni del pH oceanico verificatesi nel passato, in cerca di situazioni simili a quelle attuali; successivamente analizzeremo il caso specifico di due differenti ecosistemi terrestri soggetti a questo fenomeno, cercando di valutare sia i danni già avvenuti che quelli futuri. Introduzione Negli ultimi 250 anni, la concentrazione atmosferica di CO 2 è cresciuta di circa il 40%, passando da 278 ppm dell'età pre-industriale a 390 ppm nel 2011 (IPCC 2013). Le cause principali di questo incremento sono da ricercarsi nell'utilizzo dei combustibili fossili, nella deforestazione, e nella produzione di cemento da parte dell'uomo. Questo tasso di crescita è di almeno un orgine di grandezza più veloce di qualsiasi altro registrato nella storia del pianeta degli ultimi milioni di anni (Doney et Schimel 2007), e l'attuale concentrazione di CO 2 in atmosfera è la più alta riscontrata negli ultimi 800000 anni (Lüthi et al. 2008). Le molteplici conseguenze di questo fenomeno sono osservabili a scala globale, e fino ad'ora gli scenziati si sono concentrati principalmente su quella riguardante il riscaldamento globale, il cui impatto sui sistemi biologici terrestri si fa sempre più accentuato. Tuttavia, un altro effetto ha recentemente attirato l'attenzione della Comunità scientifica, per via delle implicazioni che potrebbe avere su numerosi ecosistemi, ovvero la costante diminuzione del pH delle acque oceaniche, fenomeno noto come “acidificazione degli oceani”. Coprendo circa due terzi della superficie del pianeta, gli oceani giocano un ruolo centrale nei processi biogeochimici globali, e contribuiscono enormemente all'equilibrio ecologico della Terra e alla vita dell'uomo. Essi sono inoltre il nodo fondamentale del ciclo del carbonio, e rappresentano la più grande riserva di questo elemento del pianeta. La CO2 disciolta in acqua innesca una serie di reazioni che portano ad una diminuzione del pH oceanico (Box 1). Quasi la metà della CO2 prodotta dall'uomo negli ultimi due secoli è stata assorbita dagli oceani innescando tale processo; senza questa funzione tampone i livelli atmosferici di CO2 attuali equivarrebbero a circa 450 ppm (Sabine et al. 2004). Dall'età preindustriale ad oggi, il pH medio della superficie degli oceani è diminuito di circa 0.1 unità, passando da 8.21 a 8.10, e, secondo proiezioni basate su diversi scenari, ci si aspetta un'ulteriore diminuzione di 0.5 unità per la fine del ventunesimo secolo (Royal Society 2005). In concomitanza con la diminuzione del pH, le reazioni provocate dall'aumento di CO 2 negli oceani portano anche ad una diminuzione della disponibilità di ioni carbonato e ad un innalzamento delle profondità di compensazione dei carbonati e dell'aragonite (Box 1), rendendo difficoltosa la calcificazione da parte degli organismi marini. Inoltre, una variazione nel chimismo delle acque oceaniche può avere effetti diretti (fisiologici) e indiretti (disponibilità e composizione dei nutrienti) sugli organismi marini e sugli habitat in cui vivono. In questa relazione andremo in primo luogo ad indagare la chimica degli oceani del passato, sia per trovare similitudini con la situazione attuale, sia per analizzare la composizione delle acque in periodi critici della storia del pianeta; in seguito esamineremo due esempi specifici dell'impatto dell'acidificazione oceanica su ecosistemi attuali, valutando le conseguenze che questo fenomeno potrebbe portare in futuro. Box 1. La chimica del carbonio degli oceani Una volta dissolta negli oceani, la CO 2 reagisce con le molecole d'acqua andando a formare acido carbonico (H2CO2); questo tende a dissociarsi perdendo ioni H+ e formando ioni bicarbonato (HCO3-) e ioni carbonato (CO32-). Gli ioni H+ reagiscono con alcuni ioni carbonato, prodotti dalla dissociazione di molecole di carbonato di calcio (CaCO3), formando altri ioni bicarbonato (Figura 1). Queste reazioni sono reversibili e vicine all'equilibrio. Nello strato superficiale degli oceani, con un pH di circa 8.1, approssimativamente il 90% del carbonio inorganico è presente sotto forma di ioni bicarbonati, il 9% sono ioni carbonato, e solo l'1% è rappresentato da CO2 dissolta. La proporzione relativa di queste tre forme di carbonio riflette il pH dell'acqua e lo mantiene entro limiti ristretti grazie all'effetto tampone che costituisce: se viene aggiunta CO2 in acqua, gli ioni H+ aggiunti reagiscono con gli ioni carbonato per formare ioni bicarbonato, questo riduce la concentrazione degli ioni H + (l'acidità) così che il cambiamento di pH sia molto minore di quanto ci si aspetterebbe altrimenti. Nel corso dei secoli e su scale temporali maggiori, l'abilità degli oceani di assorbire CO2 atmosferica dipende dall'estensione della dissoluzione di CaCO3 Figura 1. Visione schematica della perturbazione antropogenica del ciclo del carbonio in cui parte della CO 2 emessa dai combustibili fossili e dalla deforestazione è assorbita dagli oceani. (1) Reazioni di equilibrio chimico in cui la CO 2 interviene dissolvendosi nell'acqua di mare, dove K 1 e K2 sono, rispettivamente, le costanti di dissociazione dell'acido carbonico e dello ione bicarbonato. (2) Definizione dell'orizzonte di saturazione (Ω), dove Ksp è la costante di solubilità di ogni fase mineralogica. (3) Reazione di equilibrio di precipitazione e dissoluzione del carbonato di calcio. nella colonna d'acqua o nei sedimenti: CaCO3 ↔ CO32- + Ca2+ Il carbonato di calcio deriva dai gusci e dagli scheletri di organismi marini, compreso il plancton, coralli e alghe coralline, e molti alti invertebrati. Nell'ambiente pelagico, i carbonati cadono attraverso la colonna d'acqua e vengono dissolti oppure depositati nel sedimenti superficiali o profondi. I tassi di formazione e di dissoluzione di CaCO 3 variano con l'orizzonte di saturazione (Ω), definito come il prodotto delle concentrazioni degli ioni calcio e degli ioni bicarbonato diviso per la costante di solubilità dalla fase mineralogica in questione: Ω = [Ca2+]CO32-/Ksp Essendo che la [Ca2+] è strettamente proporzionale alla salinità, l'orizzonte di saturazione è per lo più determinato dalle variazioni della concentrazione di CO32-. In generale la formazione delle strutture di carbonato di calcio avviene quando Ω > 1.0 mentre quando Ω < 1.0 prevale la dissoluzione. Gli orizzonti di saturazione sono più alti in acque basse e calde, e più bassi nelle regioni fredde delle alte latitudini e in profondità, il chè riflette l'aumento della solubilità di CaCO 3 con il diminuire delle temperature e l'aumentare della pressione. (Royal Society 2005; Doney et al. 2009) Paleo-prospettive sull'acidificazione degli oceani (Pelejero et al. 2010) Proxies utilizzati Attualmente sono utilizzabili diversi proxies per la ricostruzione di diversi parametri del ciclo del carbonio negli oceani: il pH delle acque può essere ricavato dall'analisi deli isotopi del boro (δ11B) Figura 2. Esempi di cambiamento del pH in diverse scale temporali. (a) Serie temporali di variazioni del pH in scala inter-annuale nell'Oceano Nord Atlantico (curva verde), nell'Oceano subtropicale del Nord Pacifico (curva arancione), nel gyre subtropicale del nordest Atlantico (curva blu). (b) Variazioni giornaliere del pH in aree costiere poco profonde: Anse des Cuivres, Mediterraneo nordoccidentale (curva rosa) e Molokai Reef (curva azzurra). (c) Variazioni interdecennali del pH delle acque delle barriere coralline derivato dagli isotopi der boro in coralli di Flinders Reef, Mar dei Coralli occidentale (curva rossa), e Arlington Reef, nella Grande Barriera Corallina (curva gialla). La curva grigia corrisponde ad una gaussiana filtrante i record del pH di Flinders Reef ad una frequenza di 0.02 ± 0.01 che ne sottolinea la ciclicità corrispondente a circa 50 anni. (d) Variazioni nel periodi glaciali e interglaciali del pH delle acque superficiali, ricostruite da isotopi del boro in foraminiferi (pallini blu pieni), sovrapposte ai record delle concentrazioni di CO2 durante gli ultimi 800000 anni derivati dalla composizione delle bolle d'aria nelle carote di ghiaccio Antartiche (curva magenta). in carbonati biogenici, la pCO2 da isotopi del carbonio di biomarkers molecolari marini, oppure dai carbonati in minerali pedogenici, o ancora dalla densità stomatica delle foglie, mentre la concentrazione di CO32- può essere ottenuta dal peso dei gusci dei foraminiferi o dai rapporti boro/calcio nei foraminiferi. Variazioni stagionali e decennali Analisi degli isotopi del boro in coralli di diverse barriere coralline hanno mostrato ampie fluttuazioni del pH oceanico negli ultimi tre secoli (Figura 2c). Queste variazioni risultano molto più accentuate rispetto a ciò che accade in pieno oceano (Figura 2b), e ciò avviene perchè in questi luoghi la concentrazione di CO2 varia in maniera più spinta e in brevi lassi di tempo a causa dei processi metabolici dei coralli. Variazioni del pH dovute all'acidificazione degli oceani potrebbero alterare il delicato equilibrio di questi organismi, e addirittura portarli all'estinzione. Cicli dei periodi glaciali e interglaciali (ultimi 2 milioni di anni circa) Le ricostruzioni derivate dalle analisi delle bolle d'aria custodite dalle carote di ghiaccio antartiche hanno mostrato un'associazione tra la temperatura del pianeta e la concentrazione di CO 2 atmosferica degli ultimi 800000 anni, con alte concentrazioni durante i periodi interglaciali, e basse concentrazione nei glaciali. Unendo i dati provenienti dai rapporti B/Ca in foraminiferi a queste ricostruzioni è emerso che anche il pH oceanico seguiva queste fluttuazioni, con pH delle acque Figura 3. Andamenti del pH passati, presenti e futuri. I dati provengono da un modello del ciclo del carbonio del periodo tra 550 Ma e 30 Ma (curva verde) e da due paleo-ricostruzioni derivate da isotopi del boro in foraminiferi (curva blu punteggiata per il periodo tra 23 Ma e 3 Ma e curva blu continua per gli ultimi 2.1 Ma). La curva rossa mostra dati del pH superficiale dell'acqua e la nuvola di punti grigia mostra i valori del pH negli oceani tratti da dati sul carbonio totale e sull'alcalinità. superficiali maggiore (circa 8.3 unità) nei periodi glaciali, e più basso (circa 8.1) negli interglaciali (Figura 3). A causa della CO2 atmosferica emessa indirettamente dall'uomo dall'età pre-industriale ad oggi, è stato stimato che il pH degli oceani sia già diminuito di 0.1 unità, proprio durante un periodo nel quale i livelli di pH erano al minimo della fluttuazione glaciale-interglaciale; pertanto risulta chiaro quanto le condizioni attuali degli oceani abbiano già oltrepassato i minimi sperimentati durante il Quaternario. Gli attuali modelli prevedono una diminuzione di ulteriori 0.3-0.4 unità, se i ritmi di rilascio di CO2 in atmosfera rimarranno simili a quelli attuali. Date queste premesse, i cambiamenti del pH oceanico che si attueranno in questo secolo saranno probabilmente 100 volte più veloci di quelli avvenuti durante la fine dei periodi glaciali, che sono i periodi in cui il pH è variato più velocemente negli ultimi 2 milioni di anni. Esistono altri parametri del sistema della CO2 oceanico i cui cambiamenti sono relazionati alle variazioni del pH. Ad esempio si stima che nel 2100 la concentrazione di ioni carbonato risulterà dimezzata rispetto ai valori pre-industriali, con probabili gravi conseguenze per gli organismi biocostruttori. Inoltre la concentrazione di CO32- e il pH sono fortemente influenzati dalla profondità, e da diverse analisi è emerso che al di sopra dei 2.8-3.2 km di profondità i valori di questi parametri erano più alti nei periodi glaciali che negli interglaciali, mentre sotto questa quota avveniva il contrario. Ricostruire il sistema della CO 2 in acque profonde dei periodi glaciali e interglaciali è importante, ad esempio, per capire se lo stretto range di variabilità del pH degli oceani attuali è esistito anche in tempi non troppo lontani (geologicamente parlando). Questo potrebbe avere implicazioni sulla capacità di adattamento degli organismi bentonici. Cambiamenti durante l'era Cenozoica (ultimi 65 milioni di anni circa) Dalle ricostruzioni ottenute tramite gli isotopi del boro e i rapporti B/Ca in foraminiferi si è visto che le oscillazioni del livello del pH riscontrate nel ciclo glaciale-interglaciale si sono succedute per circa 20 milioni di anni. E solo andando ancora più indietro nel tempo, a circa 40 milioni di anni fa, si possono riscontrare le condizioni previste per la fine di questo secolo. Durante le prime due epoche del Cenozoico, precedentemente a questi periodi di relativa omogeneità, si sono succeduti numerosi brevi eventi di riscaldamento globale, probabilmente collegati ad un'acidificazione degli oceani. Brevi e intense emissioni di CO 2 in atmosfera, comparabili a quella in atto ai giorni nostri, sembrano essere state la causa principale di questi eventi. Conoscerne le cause e le effetti potrebbe fornire importanti indizi sulle possibili ripercussioni della perturbazione del ciclo del carbonio corrente. Le cinque grandi estinzioni (ultimi 500 milioni di anni circa) Recenti studi si sono spinti più in là nel tempo, andando ad analizzare il ruolo dell'acidificazione oceanica globale nei cinque eventi di estinzione più drammatici che la Terra ha vissuto durante il Fanerozoico. Considerando l'estensione della distruzione delle barriere coralline e la loro successiva ripresa come riportato nei record fossili, le sole cause plausibili sono quelle che coinvolgono grandi perturbazioni del ciclo del carbonio. In particolare vi è una forte correlazione tra gli eventi di grande estinzione delle barriere coralline, i seguenti “reef gaps” (assenza di barriere coralline per molti milioni di anni), e l'improvviso incremento o gli alti livelli di CO 2 atmosferica che hanno portato ad un acidificazione degli oceani. Diversi studi hanno confermato l'alterazione dei livelli di CO 2 atmosferica, e la conseguente diminuzione del pH oceanico, come una delle possibili cause, se non la principale per alcuni gruppi di organismi, di ognuno dei cinque eventi di estinzione. Tra i gruppi di organismi planctonici aventi gusci o scheletri carbonatici, molti si sono estinti, altri invece si sono adattati e sono sopravvissuti. Lo studio di queste diverse risposte biologiche potrebbe dare indizi sul possibile cambiamento nella composizione del fitoplancton che potrebbe derivare dall'aumento di CO 2 causato dall'uomo. E' di fondamentale importanza capire l'entità dei danni che questo fenomeno potrebbe provocare, in quanto i diversi gruppi di fitoplancton sono la base della piramide trofica di tutti gli ecosistemi marini, e un cambiamento nella struttura, nella densità o nella presenza di questi organismi potrebbe causare gravissimi danni all'intero biota oceanico, che andrebbero poi a ripercuotersi su quello terrestre. Conclusioni La crescente conoscenza sui cambiamenti del passato, ottenuta grazie ai paleo-proxies e ai dati sperimentali, sta fornendo importanti informazioni con le quali poter stimare l'ampiezza dell'attuale fenomeno dell'acidificazione degli oceani. Grazie ai recenti studi oggi si sa che negli ecosistemi delle barriere coralline esiste una naturale oscillazione inter-decennale dei livelli del pH, e un'alterazione di queste fluttuazioni dovuta all'acidificazione potrebbe aggravare i già pesanti danni dovuti al riscaldamento globale. Dati sui livelli di pH degli ultimi 20 milioni di anni mostrano anch'essi delle oscillazioni naturali di questo parametro, in particolare in concomitanza coi periodi glaciali ed interglaciali. Ricostruzioni eseguite su queste informazioni hanno permesso di stimare l'intensità dell'attuale decremento del pH marino: esso è circa 100 volte più rapido di quello riscontrato durante le transizioni glacialeinterglaciale. Inoltre si ritiene che entro la fine del secolo il pH oceanico raggiungerà livelli mai visti negli ultimi 40 milioni di anni. Infine, perturbazioni del ciclo del carbonio, associate all'acidificazione degli oceani, potrebbero esser state una delle cause fondamentali dei danni associati alle cinque grandi estinzioni del passato. Da tutte queste ricostruzioni risulta evidente come studiare il passato degli oceani potrebbe essere di fondamentale importanza per prevenire delle potenziali catastrofi future. La dissoluzione dei gusci di Limacina helicina come indicatore della diminuzione della sostenibilità dell'habitat dovuta all'acidificazione degli oceani nell'ecosistema della Corrente della California (Bednarsek et al. 2014) California Current Ecosystem (CCE) L'ecosistema della Corrente Californiana sta attualmente sperimentando alterazioni nei livelli di CO2 correlate all'aumento delle emissioni antropogeniche. Lievi variazioni della concentrazione di CO2, e quindi del pH delle acque, sono naturalmente presenti in questo ecosistema per via del processo di upwelling, che porta acque ricche di CO 2 dell'oceano aperto fino agli ambienti della piattaforma continentale. La somma di questi due processi risulta in una maggior frequenza di condizioni termodinamiche sfavorevoli e ad un conseguente aumento della dissoluzione di CaCO 3 nella colonna d'acqua. Figura 4. (a) Profondità dell'orizzonte di saturazione dell'aragonite lungo la West Coast Americana nel 2011. (b) Percentuali dei primi 100 m della colonna d'acqua nel CCE stimati essere sottosaturi durante (b) l'età pre-industriale e (c) nel periodo Agosto-Settembre 2011. Il CCE è caratterizzato da gradienti dell'orizzonte di saturazione dell'aragonite (Ωar) molto variabili nello spazio e nel tempo; esso risale fin quasi in superficie durante la stagione estiva di upwelling nelle regioni costiere di Washington e Oregon e a nord della California. Recenti studi hanno mostrato un'aumento di 20 punti percentuali (dal 10% al 30%) del tempo di presenza di acque sottosature derivate dall'upwelling al limite della piattaforma continentale dall'era pre-industriale ai giorni nostri. Durante i periodi di upwelling, la componente antropogenica dell'aumento di carbonio inorganico disciolto contribuisce del 10-20% sul cambiamento totale di Ωar (Figura 4). Pteropodi Gli pteropodi sono organismi oloplanctonici ubiquitari calcificanti particolarmente importanti per il ruolo posseduto nel flusso del carbonio e nel trasferimento di energia negli ecosistemi pelagici. Essi costruiscono gusci aragonitici e contribuiscono per il 20-42% alla produzione globale di carbonato, con la maggior biomassa prodotta nelle regioni polari, nelle piattaforme continentali e in altre aree ad alta produttività. Il CCE è uno dei luoghi maggiormente produttivi del pianeta, e qui la specie di pteropodi più ubiquitaria tra tutte, Limacina helicina, rappresenta un gruppo chiave nella dieta di numerose altre specie marine. Nelle acque del CCE, che stanno già sperimentando condizioni di “acidificazione”, i gusci degli pteropodi sono vulnerabili alla dissoluzione anche se sottoposti ad esposizioni di breve periodo (414 giorni) e in acque quasi sature,; ciò li rende un ottimo indicatore per monitorare cambiamenti in piccola scala della chimica del carbonio. L'esistenza di gradienti verticali dell'orizzonte di saturazione dell'aragonite nei primi 100 m del CCE, accentuati dall'acidificazione antropogenica, forniscono un buon ambiente di studio per le relazioni tra la sottosaturazione e la dissoluzione dei gusci. Esperimento Nell'esperimento condotto da Bednarsek et al. nel 2011 sono stati presi dei campioni di L. helicina in numerose stazioni lungo la costa Ovest degli Stati Uniti (Washington-Oregon-California) e ne è stata valutata la densità e lo stato di conservazione dei gusci. Sono stati calcolati gli orizzonti di saturazione dell'aragonite nei primi 100 m della colonna d'acqua per ogni stazione, e sono stati ricavati sperimentalmente gli orizzonti dell'età pre-industriale. I dati trovati sono stati sovrapposti per individuare eventuali correlazioni tra il livello degli orizzonti di saturazione e il danneggiamento dei gusci, e per raffrontare le ricostruzioni attuali con quelle precedenti all'acidificazione. Dai dati è emerso che vi è una grande variabilità nell'orizzonte di saturazione dell'aragonite attraverso le diverse regioni comprese nel CCR (Figura 4a), e le variazioni maggiori sono presenti nella costa nord. Per quanto riguarda la dissoluzione dei gusci, osservazioni al microscopio elettronico a scansione hanno mostrato che il problema riguardava l'87% delle stazioni campionate. I segni della dissoluzione variavano da un'aumentata porosità ed erosione dello strato cristallino superiore a più severi livelli di degradazione inferiori. E' stata riguardanti inoltre gli strati trovata una correlazione positiva tra la proporzione di pteropodi con elevato grado di dissoluzione e habitat sottosaturi nei primi 100 m della Figura 5. Proporzione di pteropodi con alto grado di dissoluzione del guscio in funzione della percentuale della colonna d'acqua nei primi 100 m che è sottosatura rispetto all'aragonite. I numeri cerchiati indicano le diverse stazioni di campionamento, e corrispondono a quelli della figura 4. La curva continua rappresenta la curva di regressione con bande di confidenza al 95% (curve tratteggiate). colonna d'acqua (Figura 5). Comparando le stazioni al largo con quelle lungo la costa è emerso che il 53% degli individui al largo e il 24% dei rimanenti avevano alti gradi di dissoluzione. Relativamente alle concentrazioni di CO2 pre-industriali, l'estensione delle acque sottosature nei primi 100 m della colonna d'acqua è cresciuta di sei volte nel CCE. L'incidenza di gravi danni di dissoluzione dei gusci degli pteropodi dovuti all'acidificazione oceanica antropogenica è raddoppiata negli habitat vicini alla costa, e potrebbe triplicare entro il 2050, compromettendo gravemente la loro sopravvivenza. Riduzione e ripresa della calcificazione in coralli Mediterranei autoctoni e alloctoni in risposta all'acidificazione degli oceani (Movilla et al. 2012) Mar Mediterraneo e acidificazione Nel Mar Mediterraneo gli alti livelli dell'alcalinità totale incrementano la sua capacità di assorbire grandi quantità di CO2 di origine antropogenica rispetto all'oceano aperto; d'altra parte il minor tempo di residenza delle acque profonde implica una più rapida penetrazione della stessa CO 2. E' stato stimato che il pH è diminuito di 0.14 unità dall'età pre-industriale ad oggi, una variazione maggiore rispetto alla diminuzione della media oceanica (0.10). Di conseguenza, il Mar Mediterraneo semba essere una delle regioni più soggette a tal fenomeno a livello globale. Studi sugli effetti dell'acidificazione oceanica sulla crescita di organismi calcificanti hanno rivelato un elevato gradiente di sensibilità interspecifico. In particolare, le comunità delle barriere coralline hanno ricevuto molte attenzioni in quanto le alterazioni del valore di pH può causar loro gravissimi danni. Tra le varie specie di zooxantelle dei coralli presenti nel Mediterraneo, Cladocora caespitosa e Oculina patagonica sono le sole in grado di costituire l'impalcatura principale della comunità infralitorale dei fondali bassi. La prima è una specie endemica molto diffusa che recentemente è stata soggetta a gravi eventi di mortalità di massa, mentre la seconda è una specie aliena che, al contrario di C. caespitosa, sta sperimentando un aumento in distribuzione ed abbondanza. Esperimento Dieci colonie separate per ognuna delle due specie sono state raccolte a 3-6 m di profondità a L'Ampolla, località in cui entrambe sono ampiamente distribuite nei bassi fondali del piano infralitorale. Giunte in laboratorio le colonie sono state sistemate in due vasche controllate, una il cui pH è stato mantenuto a livelli naturali (8.09) per tutta la durata dell'esperimento (circa sette mesi), ed una il cui livello è stato gradualmente diminuito fino a 7.83, ovvero il livello previsto per il 2100, e successivamente riportato ad 8.09. I risultati hanno messo in evidenza un decremento nel tasso di calcificazione rispetto alle condizioni di controllo del 32% per O. patagonica e del 35% per C. caespitosa (Figura 6A), mentre la sopravvivenza degli organismi in ogni vasca è stata del 100%. E' emersa inoltre un'elevata variabilità intraspecifica in risposta all'acidicazione tra le diverse colonie, in cui gli organismi con i tassi di crescita maggiori hanno mostrato una maggior sensibilità al decremento del pH. Per quanto riguarda la possibile dissoluzione delle strutture carbonatiche, non è stato riportato nessun segno evidente di deterioramento, probabilmente perchè gli organismi non sono mai stati Figura 6. Tassi di crescita degli scheletri in O. e C. caespitosa dopo i primi tre mesi sottoposti (durante l'esperimento) agli effetti corrosivi di patagonica sotto i due tipi di trattamenti del pH (A) e acque sottosature in aragonite. La densità delle durante i successivi quattro mesi quando il zooxantelle e la taglia delle cellule non è variata coi trattamenti, indicando che i bassi valori di pH non hanno trattamento di acidificazione è stato progressivamente basificato per raggiungere il pH del controllo (B). Le barre nere e grigie rappresentano, rispettivamente, i tassi di crescita dei controlli e dei trattamenti. causato danni a questi organismi. Una volta riportato il pH a valori naturali (8.09), entrambe le specie hanno mostrato una rapida ripresa del tasso di calcificazione (Figura 6B), mettendo così in evidenza il potenziale di recupero di queste specie dopo un evento di acidificazione. Questa capacità è indice di un certo grado di acclimatazione che queste specie hanno probabilmente evoluto per le naturali oscillazioni periodiche del pH. Tuttavia, considerando che il progressivo aumento della temperatura dell'acqua previsto nei prossimi decenni potrebbe portare ad un innalzamento del tasso metabolico e ad una diminuzione della disponibilità di prede dovuta a periodi di stratificazione delle acque più lunghi, la soglia di sopravvivenza di queste specie di coralli potrebbe essere superata prima di quanto ci si possa aspettare per via dell'influenza di un singolo fattore di stress. Conclusioni Dall'analisi delle ricostruzioni del passato si è potuto osservare come un decremento del pH oceanico sia avvenuto in concomitanza della maggior parte degli eventi catastrofici della storia della Terra. Ancora non si conosce bene il ruolo di questo fenomeno nel contesto di questi avvenimenti; quello che è certo è che in seguito ad uno sconvolgimento di grande portata della chimica delle acque al pianeta occorrono decine di migliaia di anni per tornare allo stato di partenza. L'intensità dell'acidificazione delle acque in atto ai giorni nostri non ha similitudini con gli eventi naturali, sebbene catastrofici, del passato. Possiamo prevedere i livelli di concentrazione di CO2 atmosferica e di pH per la fine del secolo, possiamo valutare gli effetti già avvenuti nei diversi organismi ed ecosistemi e costruire modelli per il futuro, ma nessun calcolo o esperimento di laboratorio può veramente dirci se e quando raggiungeremo quella soglia oltre la quale i danni al biota marino si ripercuoteranno sull'intero pianeta. Per questo motivo, l'unica soluzione attuabile per la risoluzione di questo problema è la drastica ed immediata diminuzione delle emissioni. Bibliografia NB: in corsivo sono evidenziati i tre articoli fondamentali della relazione. Bednarsek N., Feely R.A., Reum J.C.P., Peterson B., Menkel J., Alin S.R., Hales B., 2014. Limacina helicina shell dissolution as an indicator of declining habitat suitability owing to ocean acidification in the California Current Ecosystem. Proc. R. Soc. B 281:20140123. Doney S.C., Fabry V.J., Feely R.A., Kleypas J.A., 2009. Ocean Acidification: The other CO 2 problem. Ann. Rev. Mar. Sci. 1:169–192 Doney S.C., Schimel D.S., 2007. Carbon and climate system coupling on timescales from the Precambrian to the Anthropocene. Annu. Rev. Environ. Resour. 32:31–66 IPCC, 2013. The Third assessment report of the Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). Cambridge University Press: Cambridge, UK, and New York, USA Juancho Movilla J., Calvo E., Pelejero C., Coma R., Serrano E., Fernández-Vallejo P., Ribes M., 2012. Calcification reduction and recovery in native and non-native Mediterranean corals in response to ocean acidification. Journal of Experimental Marine Biology and Ecology 438:144–153 Lüthi D., Le Floch M., Bereiter B., Blunier T., Barnola J-M., et al. 2008. High-resolution carbon dioxide concentration record 650,000-800,000 years before present. Nature 453:379–82 Pelejero, C., Calvo, E., Hoegh-Guldberg, O., 2010. Paleo-perspectives on ocean acidification. Trends in Ecology & Evolution 25, 332–344. Royal Society, 2005. Ocean acidification due to increasing atmospheric carbon dioxide. London: The Royal Society Sabine C.L., Feely R.A., Gruber N., Key R.M., Lee K., et al. 2004. The oceanic sink for anthropogenic CO2. Science 305:367–71