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IL CERVELLO CHE INVECCHIA - ARD

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IL CERVELLO CHE INVECCHIA - ARD
IL CERVELLO
CHE INVECCHIA
Conoscere per
affrontare al meglio
il declino cognitivo
i quaderni della salute 2
a cura dell’Assessorato alla Salute
INDICE
il cervello che invecchia
pag 02
Quali norme comportamentali è opportuno seguire? pag 18
COME COMPORTARSI IN ALCUNE SITUAZIONI DIFFICILI
pag 24
A chi rivolgersi
pag 32
IL CERVELLO
CHE INVECCHIA
Il secondo Quaderno della Salute, dedicato al “Cervello che invecchia”, sarà
certamente un valido strumento sia per chi, in forma preventiva, desidera
approfondire e conoscere sia per anziani e familiari che si trovano ad affrontare
un insospettato carico di responsabilità create dal “bisogno di cura” della
demenza.
L’aumento di questa malattia degenerativa associata all’invecchiamento,
è naturalmente legata all’allungarsi della vita media, conseguente sia
all’evoluzione tecnologica, all’avanzamento della ricerca scientifica e della medicina
preventiva, sia al miglioramento delle condizioni igieniche e alimentari e ad un livello di
istruzione più elevato.
Tutto ciò però non basta a definire il problema, è necessario fare chiarezza. Infatti, se da un lato
molti sottovalutano ancora il problema, attribuendo solo alla senilità (alla “pigrizia”, al lasciarsi
andare propri dell’anziano) quei mutamenti cognitivi e comportamentali che possono, invece
sottendere gravi affezioni del sistema nervoso, altri sopravvalutano il problema confondendo il
normale indebolimento di alcune funzioni cognitive con i sintomi propri della demenza.
Occorre dunque mettere ordine e distinguere, con riferimento ai processi cognitivi,
l’invecchiamento fisiologico da quello patologico.
In queste pagine si è cercato si spiegare brevemente cosa succede quando si alterano alcune
funzioni del cervello, che cosa sono le demenze ed in particolare la malattia di Alzheimer di
cui oggi si parla tanto; quali sono i sintomi che devono far sospettare la malattia e soprattutto
a chi rivolgersi quando si manifestano i primi segni.
La necessità di far “conoscere per affrontare al meglio il declino cognitivo” è accentuata
dal fatto che il nostro paese è considerato il più vecchio al mondo, con una presenza di
popolazione anziana pari al 24,5%.
Molti sono i quesiti cui è necessario rispondere.
Come si fa la diagnosi della malattia e quali sono le cure possibili oggi? E ancora, come
comportarsi con le persone colpite da demenza, soprattutto all’inizio della malattia?
Come organizzare l’assistenza a casa?
Quali le Strutture esistenti per l’assistenza, il ricovero e la cura?
Questo Quaderno, di cui ho sostenuto la stampa e la diffusione, sarà per voi una guida in
grado di darvi tutte quelle risposte operative mirate a migliorare la conoscenza e l’utilizzo
dei Servizi presenti sul territorio utili ad alleviare le problematiche che una patologia così
invalidante procura.
Un ulteriore contributo è dato dall’evidenziare dei fattori di rischio che concorrono a rendere più
probabile la trasformazione dell’invecchiamento normale in quello patologico, introducendo a
fianco del tradizionale concetto di “terapia” dei disturbi cognitivi dell’anziano, il più moderno
concetto di “prevenzione”.
L'Assessore alla Salute
Giampaolo Landi di Chiavenna
il cervello che invecchia
Con il progressivo allungamento della vita media stanno assumendo sempre
maggiore importanza le problematiche correlate all’invecchiamento e, tra
queste, i disturbi intellettivi e del comportamento.
Vi è a tutt’oggi nell’opinione pubblica una grande confusione: da un lato molti
sottovalutano ancora il problema, attribuendo alla senilità quei mutamenti che,
invece, dovrebbero allarmare perché espressione di malattia. Dall’altro, alcuni
cominciano a sopravvalutare il problema: cresce infatti nella popolazione
anziana il timore di andare incontro alla demenza, confondendo il normale
indebolimento di alcune funzioni mentali con i sintomi propri di questa
malattia.
In queste pagine cercheremo di illustrare cosa sono il normale invecchiamento
del cervello e quello anormale (cioè associato alla comparsa di decadimento
intellettivo), richiamando l’attenzione del lettore sul fatto che senilità non è
sinonimo di demenza e che invecchiare non costituisce di per sé una malattia.
Ci soffermeremo, inoltre, sui fattori di rischio che concorrono a rendere più
probabile la trasformazione dell’invecchiamento normale in demenza e su
alcuni stili di vita che contribuiscono a rallentare il declino delle funzioni
intellettive.
Chi sono gli anziani?
Gli anziani sono coloro che hanno più di 65 anni.
In Italia negli ultimi 100 anni la percentuale di ultrasessantacinquenni si è
quasi triplicata (da 6.1% a 17.7%) e nell’arco di 50 anni arriverà presumibilmente
a rappresentare circa il 34% della popolazione totale, una percentuale quasi
doppia rispetto a quella attuale.
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Come e perché invecchia il cervello?
Per un processo denominato apoptosi (cioè morte
cellulare programmata) le cellule del cervello (neuroni),
a partire dai 30 anni circa, cominciano a degenerare
(ovvero morire): ecco perché dai 30 ai 75 anni il cervello
arriva a perdere fino al 10% del suo peso e fino al 20% del suo rifornimento di
sangue.
Non solo, ma con l’invecchiamento si osserva anche una riduzione delle sinapsi
(cioè delle connessioni tra i neuroni) e la comparsa di alcune alterazioni della
struttura cerebrale: le placche senili e i grovigli neurofibrillari.
Come sono le funzioni mentali dell’anziano sano?
A partire dalla settima e ottava decade di vita e in maniera più accentuata
dopo la nona, si verifica un progressivo e graduale indebolimento di alcune
funzioni mentali. Un esempio è rappresentato dal declino della memoria,
disturbo spesso accusato dalle persone anziane, anche in condizioni di
normale efficienza funzionale.
L’invecchiamento si accompagna anche ad una riduzione nella velocità di
elaborare le informazioni e ad una diminuita efficienza dell’intelligenza fluida
(la capacità di risolvere nuovi problemi) risparmiando, invece, l’intelligenza
cristallizzata (l’esperienza).
Compaiono infine alcuni cambiamenti nel comportamento quali, ad esempio,
l’“irrigidimento” del carattere e l’eccessiva preoccupazione per fatti di relativa
poca importanza, espressioni di una diminuita capacità di adattamento
all’ambiente.
In sintesi, con l’avanzare dell’età è normale non ricordare un numero di telefono
o il nome di una persona nota e non avere più i riflessi pronti come in passato:
sebbene questi effetti dell’età possano impensierire, tuttavia essi esprimono
un processo naturale e sono compatibili con una vita autonoma e normale.
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Invecchiamo tutti allo stesso modo?
E’ esperienza comune constatare che non tutti invecchiamo allo stesso modo:
in alcuni soggetti, infatti, con l’avanzare dell’età compaiono disturbi intellettivi
(a carico di linguaggio, memoria, orientamento) e comportamentali di gravità
tale da determinare la perdita di autonomia anche negli atti più semplici della
vita quotidiana. In questi casi non si tratta più di invecchiamento normale, ma
di malattie del cervello, denominate demenze, che colpiscono il 6 % circa della
popolazione mondiale ultrasessantacinquenne (circa 25 milioni di persone).
Nella forma più comune di demenza, la malattia di Alzheimer, si verificano
le stesse alterazioni della struttura cerebrale dell’invecchiamento normale (le
placche senili e i grovigli neurofibrillari) ma in numero maggiore.
Che cos’è la demenza?
Il termine “demenza” indica una “sindrome”, ovvero un’insieme di disturbi che
si manifestano contemporaneamente, e non una singola malattia. La sindrome
demenziale è caratterizzata da:
disturbi cognitivi
a carico cioè di funzioni quali la memoria, il ragionamento, il linguaggio,
l’orientamento
disturbi comportamentali
a carico, cioè, della sfera emotiva e della capacità di rapportarsi correttamente
alla realtà e alle altre persone
disturbi somatici
a carico, cioè, di alcune funzioni dell’organismo (soma) quali i ritmi sonno veglia, fame-sazietà e la capacità di controllare l’emissione di urina.
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Molte sono le condizioni che causano la sindrome demenziale: ecco perché
è più corretto parlare di “demenze”. Esse hanno come denominatore comune
il progressivo declino delle facoltà mentali, la cui gravità deve essere tale
da rendere la persona malata incapace di svolgere come prima le proprie
occupazioni quotidiane. La riduzione di autonomia del malato e la sua
necessità di assistenza sono, dunque, requisiti indispensabili per la diagnosi
di qualunque forma di demenza.
Quali sono le demenze più comuni?
Si distinguono demenze degenerative, demenze vascolari e demenze miste.
Demenze degenerative:
sono caratterizzate da un anormale aumento, per cause non ancora note, del
processo di apoptosi neuronale (morte cellulare programmata), di cui abbiamo
già parlato nel capitolo dedicato all’invecchiamento fisiologico. Tra le
demenze degenerative la malattia di Alzheimer è la più frequente e rende
conto di più del 50% dei casi di demenza. La seconda forma, in ordine di
frequenza, è la demenza a corpi di Lewy; più rara, infine, è la demenza frontotemporale.
Demenze vascolari:
il meccanismo che le determina è il ripetersi di “ictus” cioè lesioni del cervello
conseguenti ad alterata circolazione del sangue. A differenza delle demenze
degenerative, alcune cause delle demenze vascolari sono note: aumento della
pressione arteriosa, diabete, aterosclerosi dei vasi del collo, alcune malattie
cardiache, alcune malattie del sangue.
Demenze miste:
scaturiscono dall’associazione (non infrequente!) delle due problematiche
sopra illustrate.
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Le demenze sono malattie ereditarie?
E’ opportuno distinguere il concetto di ereditarietà da quello di suscettibilità
genetica.
Con il primo si intende il fatto che una malattia sia causata da anomalie
(mutazioni) del DNA che vengono trasmesse di genitore in figlio secondo
regole (descritte per primo da Mendel) che comportano un rischio variabile di
trasmissione della mutazione (e quindi di insorgenza della malattia) a seconda
dei casi.
L’ereditarietà è diversa nei differenti tipi di demenza: la demenza
frontotemporale, di tutte, è quella in cui l’ereditarietà gioca un ruolo maggiore,
per la presenza di mutazioni a livello del cromosoma 17. Non sono invece
note mutazioni genetiche responsabili dell’insorgenza della malattia a corpi
di Lewy.
La malattia di Alzheimer è assai raramente ereditaria. Una percentuale
inferiore all’1% dei casi è dovuto a mutazione dei geni della Presenilina 1 sul
cromosoma 14, della Presenilina 2 sul cromosoma 1 e della proteina precursore
dell’amiloide sul cromosoma 21.
La ricerca genetica rivolge attualmente grande attenzione allo studio dei geni
di suscettibilità. Con questo termine si intende che esistono dei geni che
regolano la probabilità di insorgenza delle malattie. L’essere portatore di un
determinato assetto genetico, piuttosto che di un altro, comporta un diverso
rischio di ammalarsi. Ciò che si eredita in questo caso dai propri genitori, non è
la causa di una malattia (com’è invece nel caso delle mutazioni sopra descritte)
ma il rischio di sviluppare la malattia. Per ammalarsi non è tuttavia sufficiente
la predisposizione genetica: è infatti necessaria l’interazione tra questa e i
fattori ambientali, di cui si parlerà in seguito. I geni di suscettibilità spiegano
il concetto di “familiarità” comune a molte malattie, quali l’ipertensione, le
malattie cardiovascolari, i tumori e anche le demenze: ciascuno di noi ha più
probabilità di sviluppare le malattie di cui si sono ammalati i nostri genitori o
i nostri nonni.
Nel caso della malattia di Alzheimer è stato individuato un gene di suscettibilità:
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il gene della apolipoproteina E (sul cromosoma 19), di cui esistono 3 forme (E2,
E3, E4). I soggetti portatori di E4 hanno un rischio maggiore di sviluppare la
malattia di Alzheimer, benché questo rischio non sia assoluto, poiché vi sono
portatori di E4 che non sviluppano mai la malattia. E’ opportuno sottolineare,
tuttavia, che il rischio non è quantificabile e che, al momento attuale, non è
possibile predire, mediante l’analisi del DNA, chi si ammalerà di demenza.
L’analisi dei geni di suscettibilità è dunque confinata nel settore della ricerca
scientifica e non viene impiegata nella pratica clinica.
A quale età ci si può ammalare ? Quanto dura la malattia?
L’esordio della demenza avviene ad un’età variabile: si suole distinguere forme più
rare ad esordio precoce (prima dei 65 anni) e forme più comuni ad esordio tardivo
(dopo i 65 anni). Le due forme presentano i medesimi disturbi, benché quelle ad
esordio precoce sviluppino spesso un andamento più rapido e tumultuoso. Le
demenze geneticamente determinate, hanno spesso un esordio precoce. Il decorso
complessivo della malattia si svolge in un arco di tempo variabile da soggetto a
soggetto e in base alla tipologia di demenza, compreso generalmente tra 2 e 20
anni: la durata più frequente si aggira tra i 10 e i 12 anni.
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Quali sono i primi sintomi ?
L’esordio è frequentemente subdolo: i familiari notano dei cambiamenti
nel proprio congiunto, ma spesso non li attribuiscono ad un problema di
salute, bensì a “stress” o agli effetti dell’età. Altre volte i disturbi sembrano
presentarsi all’improvviso in concomitanza di un evento stressante (un
intervento chirurgico, un lutto familiare), cui i familiari tendono ad attribuire
la causa della malattia. In realtà queste evenienze costituiscono solo il fattore
precipitante di una condizione cerebrale preesistente.
Il malato, dal canto suo, non sembra essere consapevole di tali cambiamenti e
ciò costituisce di per sé una manifestazione della malattia.
Ecco gli indicatori più comuni dell’inizio della malattia:
formulare ripetutamente le stesse domande
dimenticare eventi avvenuti di recente
perdere il “filo del discorso”
essere incapaci di portare a termine compiti abituali
(quali seguire una ricetta di cucina)
perdere la capacità di pensare in modo astratto
sbagliare nel riporre gli oggetti (ad esempio mettere un indumento
nel frigorifero)
essere incapaci a mantenere la concentrazione
sbagliare la data
essere incapaci a ritrovare la strada su un percorso noto
essere irrispettosi delle regole sociali, mettendo in difficoltà i presenti
perdere interessi ed iniziativa
presentare improvvisi e immotivati cambiamenti d’umore
apparire “giù di morale”.
In questa fase il paziente può essere ancora autonomo: potrebbe continuare a
lavorare, guidare e occuparsi delle proprie mansioni abituali, ma egli tende a
compiere alcuni errori, che dovrebbero rappresentare il “campanello d’allarme”.
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…e poi come progredisce ?
I disturbi progressivamente si aggravano, configurando un quadro di evidente
malattia che induce i familiari a consultare un medico. Elenchiamo i disturbi
più frequenti:
presentare gravi dimenticanze, quali la pentola sul fuoco o il gas acceso
presentare disturbi del linguaggio quali incapacità a trovare le parole,
che vengono sostituite da perifrasi (ad esempio “quella che serve per
scrivere” al posto di “matita”) o da parole passe-par-tout (“il coso”, “la cosa”)
perdere la capacità di leggere e di scrivere
divenire incapace di comprendere ciò che viene detto
divenire aggressivo verbalmente o fisicamente
divenire disinibito, manifestando comportamenti inadeguati in pubblico
manifestare ansia ed agitazione
presentare allucinazioni visive ( cioè vedere cose che non esistono)
o uditive (cioè udire voci o suoni inesistenti)
presentare deliri (cioè pensare cose che non corrispondono al vero)
essere continuamente “affaccendato” senza una precisa finalità (ad esempio
spostando continuamente un oggetto da un luogo ad un altro senza appa
rente motivo)
divenire insonne la notte o, viceversa, dormire durante il giorno in orari
non abituali.
Sul piano funzionale, in questa fase il paziente non è più indipendente e
necessita di continua supervisione, mantenendo, tuttavia, un’autonomia nelle
attività di base (igiene personale, alimentazione, abbigliamento…)
Infine, la fase terminale è caratterizzata da gravi disturbi: eccone alcuni
esempi:
perdita completa della memoria
incapacità ad esprimersi e comprendere ciò che viene detto
difficoltà nel riconoscere i propri familiari
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difficoltà nel riconoscere il proprio volto allo specchio
difficoltà di movimento
disturbi di equilibrio, che causa cadute a terra
incapacità a vestirsi, a lavarsi, ad utilizzare il gabinetto
incapacità a controllare l’emissione di urina e di feci (incontinenza)
difficoltà a deglutire e ad alimentarsi.
Sul piano funzionale il malato è completamente dipendente.
La malattia, da ultimo, confina il malato a letto e la morte sopraggiunge per le
complicanze dell’allettamento, la più comune delle quali è la polmonite.
Ci sono malattie che possono essere confuse con la demenza?
Ci sono due condizioni (la depressione e il delirium) che, pur manifestandosi
con disturbi molti simili a quelli demenziali, vanno riconosciute come malattie
a sé stanti, che richiedono un trattamento farmacologico specifico.
Depressione
È una malattia caratterizzata da tristezza dell’umore, incapacità a gioire di
ciò che un tempo era solito piacere e da perdita di interessi e di iniziativa;
spesso causa disturbi del sonno, dell’appetito e può associarsi a difficoltà
di memoria e di concentrazione, simulando una condizione demenziale. In
realtà, quello della depressione è un problema assi controverso: infatti, se da
un lato è vero che, soprattutto nei soggetti giovani, essa è una malattia a sé
stante, dall’altro è altrettanto vero che nell’anziano essa può preludere ad
una successiva evoluzione verso la demenza.
Delirium
è uno stato di confusione mentale causato da gravi malattie, quali meningiti
o altre infezioni, disturbi ormonali, malattie polmonari o cardiache, oppure
da intossicazioni farmacologiche. Si differenzia dalla demenza perché non si
manifesta gradualmente, come quest’ultima, ma all’improvviso.
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Ci si può accorgere che sta per venire la demenza?
Nella grande maggioranza dei casi, e in particolare nelle forme degenerative,
la sindrome demenziale insorge gradualmente; un'eccezione può essere
rappresentata dalle demenze vascolari che, talvolta, si manifestano
repentinamente.
Poiché l’insorgenza è spesso molto graduale, i medici tentano di individuare
e definirne la fase iniziale di malattia in cui alcuni sintomi (quali i disturbi di
memoria) sono già presenti, ma in forma lieve ed il soggetto è ancora autonomo
nella vita di tutti i giorni. Il termine più utilizzato per definire questa condizione
è deterioramento cognitivo lieve ( MCI dalle iniziali inglesi di Mild Cognitive
Impairment): esso in alcuni casi (ma non in tutti) può essere considerato uno
stadio di pre-demenza.
Quali possono essere i “campanelli d’allarme” di tale condizione?
Vediamo alcuni esempi:
il ricorso a “strategie” non utilizzate in passato (biglietti, suonerie,
calendari) per ricordare scadenze o elenchi (quali la spesa)
la comparsa di ansia o inusuale preoccupazione in occasione di
“cambiamenti di programma” o di situazioni che si discostano dalle abitudini
la riduzione di impegno nello svolgimento di tutte quelle attività che
erano solite interessare in passato
l’atteggiamento rinunciatario di fronte a compiti impegnativi normalmente
svolti in passato
la comparsa di immotivata tristezza.
Alcuni studi hanno dimostrato che i soggetti affetti da MCI hanno un rischio
maggiore, rispetto a quelli non affetti da tale condizione, di sviluppare demenza
negli anni successivi. In particolare è stato dimostrato che i soggetti affetti da
MCI amnestico (cioè con compromissione selettiva della memoria) hanno il
50% di probabilità di sviluppare, entro 4 anni, la demenza di Alzheimer.
E’ tuttavia ancora controverso se considerare l’MCI un vero e proprio stadio di
pre-demenza oppure solo una condizione di “rischio” per demenza.
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Infatti, i dati ad oggi disponibili dimostrano che non tutti i soggetti con MCI
diventano dementi: alcuni possono rimanere stabili, altri addirittura ritornare
ad una condizione di normalità cognitiva.
Ci sono farmaci per la demenza
ed il deterioramento cognitivo lieve?
Al momento non vi sono farmaci in grado di intervenire sulle cause della
demenza, ma solo farmaci capaci, in alcuni casi, di rallentare l’aggravamento dei
sintomi: ciò significa che nessuno di essi è in grado di modificare la progressione
della malattia. I trattamenti attualmente disponibili (ovvero gli inibitori
dell’acetilcolinesterasi - donepezil (Aricept® e Memac®), galantamina (Reminyl®)
e rivastigmina (Exelon® e Prometax®) - e i modulatori dei recettori NMDA memantina (Ebixa®) agiscono modificando la concentrazione nel cervello di alcune
sostanze chimiche (acetilcolina e glutammato) che agiscono da neurotrasmettitori.
Essi sono registrati per la Malattia di Alzheimer (rivastigmina è registrata anche per
la demenza associata a Malattia di Parkinson) e non per le altre forme di demenza.
Gli inibitori dell’acetilcolinesterasi sono indicati nella fase iniziale ed intermedia
di malattia di Alzheimer e sono rimborsati dal Sistema Sanitario Nazionale.
Memantina, invece, è indicata nella fase intermedio-grave di malattia di Alzheimer
e non è rimborsata. Per quanto concerne, invece, il deterioramento cognitivo
lieve, purtroppo al momento non vi sono terapie farmacologiche efficaci: infatti
le sperimentazioni effettuate con gli inibitori dell’acetilcolinesterasi non hanno
dimostrato un rallentamento della conversione a demenza.
Per la gestione dei sintomi comportamentali della demenza è possibile ricorrere
in taluni casi a trattamenti farmacologici registrati per altre malattie.
E’ il caso ad esempio degli antipsicotici (utilizzati per il trattamento di sintomi
quali deliri, allucinazioni ed aggressività), degli ipnotici (per trattare i disturbi
del sonno) e degli antidepressivi .
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La riabilitazione è utile ?
La questione è controversa: non vi sono solide evidenze scientifiche che
dimostrino che la riabilitazione sia in grado di migliorare i disturbi cognitivi
della demenza, tuttavia si ritiene che essa possa contenere in alcuni casi
i sintomi comportamentali e ridurre l’impatto della malattia sul grado di
autonomia del paziente.
Tra gli interventi riabilitativi più diffusi ricordiamo la terapia occupazionale e
la terapia di orientamento alla realtà.
La prima consiste nello svolgimento di una serie di attività di tipo creativo e
domestico (lavori artigianali, laboratori d’arte, lavori domestici) utilizzate come
veicolo di espressione e aventi la duplice finalità di allenamento della memoria
procedurale e di rinforzo dell’autostima. La seconda, invece, consiste nella
stimolazione continua da parte di operatori e caregivers, che nel corso delle
24 ore forniscono al paziente ripetute informazioni di riorientamento rispetto
alle principali coordinate temporali (ora, giorno, mese, anno), spaziali (luogo
dove il paziente si trova, percorsi abituali) e alla storia personale (nome dei
familiari, rispettivi ruoli parentali). La continua ripetizione delle informazioni
aiuta il malato a conservarle maggiormente nel tempo.
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Quali progressi sta facendo la ricerca?
Sono in fase di sviluppo molte molecole, appartenenti a classi farmacologiche
diverse, che hanno i presupposti scientifici per intervenire sui meccanismi
molecolari della malattia e che potrebbero modificarne la velocità di progressione.
Tra gli approcci più convincenti e in fase più avanzata di sviluppo ricordiamo:
trattamenti antiamiloide
hanno come obiettivo la riduzione della deposizione cerebrale di amiloide
(una sostanza coinvolta nello sviluppo della malattia di Alzheimer) mediante
diversi meccanismi quali la riduzione della sua produzione (per esempio
attraverso la modulazione degli enzimi α- β- γ- secretasi) oppure l’aumento
della sua eliminazione (è il caso dell’immunoterapia, ovvero dei vaccini)
trattamenti neuroprotettivi
si ritiene che alcuni processi quali ad esempio lo stress ossidativo (da cui
deriva la produzione dei radicali liberi dell’ossigeno che hanno un’azione
tossica sulle cellule nervose) e l’infiammazione svolgano un ruolo importante
nella patogenesi della malattia. Sono in via di sviluppo molecole in grado di
interferire con i meccanismi dell’ossidazione e dell’infiammazione.
trattamenti neuroriparativi
è dimostrato che alcune sostanze sono in grado di stimolare la proliferazione
neuronale e promuovere la formazione dei circuiti nervosi. Sono allo studio
alcuni fattori di crescita, il più noto dei quali è il nerve growth factor (NGF).
Alcuni di questi trattamenti sono già in fase di sperimentazione con l’obiettivo di
valutare se sia possibile rallentare la progressione della malattia e la conversione
dalle fasi lievi alle fasi avanzate di malattia. Questo approccio terapeutico prende
il nome di prevenzione secondaria.
Per ipotizzare, infatti, un impiego di tali farmaci nella prevenzione primaria (cioè
nei soggetti sani a rischio di sviluppare la malattia) occorrerà attendere i risultati
dei primi studi che ci consentiranno di valutare se tali trattamenti, ancorché
efficaci, siano anche sicuri e ben tollerati.
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Oggi è possibile parlare di prevenzione ?
Il cervello ha a disposizione alcuni strumenti per difendersi dalle malattie
associate all’invecchiamento.
La ridondanza:
il numero delle cellule cerebrali è di gran lunga superiore a quello necessario
allo svolgimento delle sue diverse funzioni. Molte cellule sono “di riserva”
e possono prendere il posto di quelle che muoiono, lasciando immodificata
la funzione. Maggiori sono le cellule di scorta, maggiore è il danno che il
cervello riesce a sopportare senza che compaiano manifestazioni cliniche.
In altre parole: maggiori sono le dimensioni del cervello e la quantità di neuroni
e di sinapsi, maggiore è la riserva cerebrale.
La plasticità:
fino a tempi relativamente recenti si riteneva che alla fine dell’età dello
sviluppo il cervello diventasse una struttura rigida e immodificabile. Oggi,
al contrario, sappiamo che gli stimoli ambientali sono determinanti nel
continuare a modellare il cervello, che conserva la capacità di modificarsi.
Pertanto, a qualsiasi età, l’esercizio e gli stimoli cognitivi, come una vera
e propria ginnastica, possono “rimodellare” il cervello creando nuovi circuiti
grazie alla possibilità di stabilire nuove connessioni tra di essi (sinaptogenesi).
Questo continuo rimodellamento consente di ottimizzare le prestazioni del
cervello con un processo attivo che prende il nome di riserva cognitiva.
La neurogenesi:
è il 1999 quando due scienziati dell’Università di Princeton (USA) pubblicano
sulla rivista “Science” la loro rivoluzionaria scoperta: anche se in misura
limitata, il cervello continua a rigenerarsi anche nella vita adulta. Alcune
cellule “neonate” vengono generate in zone profonde del cervello e migrano
verso la superficie, cioè verso la corteccia sede delle funzioni intellettive.
Nel viaggio maturano e, giunte a destinazione, creano nuove connessioni.
La scoperta smentisce la convinzione che il cervello si sviluppi solo nell’infanzia
e fornisce un ulteriore supporto ai concetti di riserva cognitiva e cerebrale.
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riserva cerebrale e riserva cognitiva sono
dunque le risorse che il cervello ha a
disposizione per fronteggiare le malattie
legate all’invecchiamento. la prevenzione
del decadimento cognitivo è mediata dal
potenziamento delle due riserve.
INVECCHIAMENTO CEREBRALE NORMALE
FATTORI DI RISCHIO
DANNO CEREBRALE
la riserva cerebrale
(dimensioni del cervello e numero di
neuroni e collegamenti tra neuroni) è influenzata soprattutto da fattori
genetici e da fattori ambientali che intervengono prima della nascita,
durante lo sviluppo del cervello nel grembo materno.
la riserva cognitiva
invece, è un processo attivo che può accrescersi grazie a stimoli ambientali
favorevoli (fattori protettivi) che intervengono durante tutto l’arco della vita.
FATTORI PROTETTIVI
RISERVA COGNITIVA
Come un buon sistema immunitario ci protegge dalle infezioni, così un cervello
ricco di neuroni e connessioni è in grado di reagire in maniera più efficiente alla
perdita di cellule nervose dovuta al normale invecchiamento o alle aggressioni
esterne. tra queste vi sono molte diverse fonti di danno cerebrale (traumatiche,
degenerative, vascolari); per alcune di queste si conoscono le condizioni che
ne aumentano la probabilità di insorgenza: si parla allora di fattori di rischio.
Nasce dunque l’idea di invecchiamento cerebrale non come un processo a senso
unico, ma come il risultato di un delicato
equilibrio: su un piatto della bilancia la
riserva cognitiva e i fattori protettivi che
la possono potenziare, sull’altro piatto le
fonti di danno cerebrale e i relativi fattori di
rischio. l’invecchiamento normale deriva da
una favorevole interazione tra questi fattori;
quello associato a decadimento cognitivo da
una sfavorevole interazione tra i medesimi.
INVECCHIAMENTO CEREBRALE CON DECADIMENTO COGNITIVO
FATTORI PROTETTIVI
RISERVA COGNITIVA
FATTORI DI RISCHIO
DANNO CEREBRALE
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Lo stile di vita può influire sul rischio di demenza?
Alcuni fattori di rischio del decadimento mentale, purtroppo, non sono
modificabili. Ad esempio, non si può influire sul principale fattore di rischio
di demenza: l’invecchiamento. Come dimostra il grafico, maggiore è l’età,
maggiore è il rischio: nella fascia compresa tra 65 e 69 anni lo 0,8 % dei soggetti
è demente e la percentuale sale al 28.5% nella popolazione ultranovantenne.
Anche la predisposizione genetica a sviluppare demenza costituisce un fattore
di rischio non modificabile. Nel caso della malattia di Alzheimer, ad esempio,
il gene della apolipoproteina E (cromosoma 19), di cui esistono 3 forme (E2,
E3, E4), influenza notevolmente il rischio di sviluppare la malattia. I soggetti
portatori di E4 hanno un rischio maggiore, ma non assoluto: vi sono infatti
portatori di E4 che, pur raggiungendo età anche avanzate, non sviluppano la
malattia. Ciò significa che invecchiamento e fattori genetici sono condizioni
importanti ma non sufficienti: essi interagiscono con altri fattori che sono
invece modificabili con lo stile di vita.
In questa prospettiva si colloca la sfida della medicina preventiva: educare ad
uno stile di vita che riduca il rischio di malattia, intervenendo sui fattori di
rischio e potenziando i fattori protettivi.
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Quali norme comportamentali è opportuno seguire?
Non sottovalutare i fattori di rischio vascolare
E’ noto da tempo che l’ipertensione arteriosa, l’elevato tasso di colesterolo
nel sangue, l’obesità, il diabete, alcune malattie cardiache sono responsabili
delle malattie vascolari come l’ictus e l’infarto cardiaco. Tali condizioni sono
denominate fattori di rischio vascolare poichè predispongono all’ischemia,
ovvero alla graduale chiusura delle arterie che portano sangue ed ossigeno
ai tessuti. In questo modo le cellule, incluse quelle del cervello, vengono
irreparabilmente danneggiate.
E’ stato dimostrato che tali condizioni si associano anche ad un aumentato
rischio di sviluppare demenza, soprattutto di tipo vascolare, ma anche di tipo
degenerativo come la malattia di Alzheimer. Tali condizioni, molto frequenti
nella popolazione, sono curabili e spesso prevenibili con un adeguato stile di
vita. Purtroppo questo non sempre avviene: ad esempio nel nostro paese oltre
un terzo degli anziani ipertesi non è trattato e circa la metà dei pazienti trattati
non ha un controllo soddisfacente della pressione arteriosa.
Il consiglio:
mantenere controllati i fattori di rischio vascolare rivolgendosi al proprio
medico e adottare uno stile di vita sano, con particolare riguardo alla condotta
alimentare e alla regolare attività fisica.
Dieta bilanciata senza eccedere con le calorie
L’eccessivo apporto calorico con la dieta aumenta il rischio di malattie
croniche. Studi sperimentali hanno dimostrato che la restrizione calorica
riduce la concentrazione nel sangue di un ormone della tiroide (T3) implicato
nel metabolismo cellulare e di una molecola infiammatoria (il tumor
necrosis factor alpha): la riduzione del metabolismo energetico e dello stato
infiammatorio, potrebbe giocare un ruolo fondamentale nel rallentare i processi
di invecchiamento.
18
Si ritiene, inoltre, che alcuni componenti della nostra alimentazione ci
proteggano ed altri, invece, ci espongano ad un rischio maggiore di andare
incontro a decadimento cognitivo.
Vediamo quali.
Il colesterolo” buono” e quello “cattivo”
Spesso si sente parlare di colesterolo “buono” (HDL) e “cattivo” (LDL). In realtà
il colesterolo è uno solo, quello che cambia è chi lo trasporta nel sangue e il
fatto che lo depositi o meno sulle pareti delle arterie. Il colesterolo legato alle
lipoproteine LDL è dannoso, poichè tende a depositarsi sulle arterie, mentre
quello legato alle HDL non lo è, poiché queste lipoproteine rimuovono il
colesterolo dalla parete arteriosa.
Il livello di colesterolo totale nel sangue è la somma di quello legato alle
lipoproteine LDL e alle HDL e, quindi, non è un dato che determina in modo
assoluto il rischio vascolare; quello che conta è il rapporto tra colesterolo totale
e HDL, il cui valore deve essere inferiore a 5 per l’uomo e a 4,5 per la donna.
L’eccesso di colesterolo nel sangue ( in particolare LDL) è dannoso per la salute,
essendo associato ad un aumentato rischio di malattie vascolari, di demenza
e, nelle donne, di decadimento cognitivo associato all’invecchiamento.
Come controllarlo, dunque?
Innanzitutto limitandone l’assunzione con la dieta; sono infatti ricchi di colesterolo il tuorlo d’uovo, il burro, i frutti di mare, i salumi e formaggi grassi, tutti
alimenti che dovrebbero essere assunti con molta moderazione nell’età adulta.
Tale provvedimento potrebbe però non essere sufficiente poiché solo il 20%
del colesterolo deriva dalla dieta, mentre l’80% viene prodotto dall’organismo.
E’ allora bene ricordare che anche l’esercizio fisico può svolgere un ruolo
importante, poiché aumenta il colesterolo “buono” HDL.
19
Il pesce
Studi interessanti hanno dimostrato che l’alimentazione
ricca in pesce è associata ad un rischio minore di
sviluppare malattia di Alzheimer e declino cognitivo:
ciò probabilmente è dovuto al suo elevato contenuto
di grassi essenziali omega 3. Questi ultimi ( contenuti
nell’olio di seme di lino, nell’olio di noci e nell’olio di pesce) sono migliori degli
omega 6 poiché contribuiscono a mantenere l’elasticità delle arterie e svolgono
un ruolo importante nel metabolismo cerebrale.
L’alcol
L’alcolismo è associato a demenza. Le bevande
alcoliche, assunte in quantità eccessiva, sono tossiche
per le cellule cerebrali e ne causano la degenerazione,
riducendo la riserva cerebrale. Uno-due bicchieri di
vino rosso al giorno potrebbero, invece, proteggere dal decadimento cognitivo;
il vino rosso contiene, infatti, sostanze antiossidanti, che si ritiene rallentino
l’invecchiamento cellulare e migliorino la funzionalità vascolare.
La verdura
Uno studio pubblicato nel 2006 sulla rivista Neurology evidenzia un’associazione tra consumo di verdura e rallentamento della progressione di declino
cognitivo associato all’invecchiamento. I vegetali hanno un elevato contenuto
di vitamina E (presente anche nella frutta secca) che ha proprietà antiossidanti
e svolge probabilmente un ruolo protettivo. Le
verdure contengono, inoltre, vitamine del gruppo
B (presenti anche nei cereali e nella carne), che
potrebbero anch’esse svolgere un ruolo protettivo;
infatti, la loro carenza (soprattutto di vitamina B12
e di acido folico) si associa all’aumento nel sangue
di omocisteina, una sostanza dalle elevate proprietà
ossidative e responsabile di danno vascolare.
20
esercizio fisico
Si stanno accumulando evidenze riguardo al ruolo protettivo sul declino
intellettivo nella popolazione anziana e sul rischio di demenza da parte
dell’esercizio fisico, come ad esempio camminare a passo sostenuto per
almeno 30 minuti al giorno (non necessariamente continuativi), per almeno 3
volte alla settimana.
L’esercizio fisico svolge probabilmente un ruolo protettivo con una duplice
modalità, agendo su entrambi i piatti della bilancia. Da un lato esso ha un
noto effetto benefico sui fattori di rischio vascolare (ipertensione arteriosa,
diabete, obesità, aumento del colesterolo HDL), prevenendo così l’insorgenza
dei danni cerebrali che ne possono conseguire. Dall’altro è probabile che
l’esercizio fisico stimoli la proliferazione cellulare (come dimostrano recenti
studi che hanno riscontrato aumento
della vascolarizzazione e della
perfusione cerebrale e aumento di
fattori importanti per la crescita e
la sopravvivenza dei neuroni) oltre
a ridurre la neurodegenerazione
e l’infiammazione. In altre parole,
è verosimile che l’esercizio fisico
potenzi la riserva cognitiva.
E’ dunque preoccupante che nella
popolazione italiana il 34% degli
uomini e il 46% delle donne non
svolga alcuna attività fisica durante
il tempo libero.
21
esercizio mentale
Si è già parlato della riserva cognitiva
come di un processo attivo di
rimodellamento cerebrale che può
accrescersi grazie a stimoli ambientali
favorevoli che intervengono durante
tutto l’arco della vita, proteggendo
il cervello dal rischio di declino
cognitivo.
Molte sono le variabili che possono
influenzare la riserva cognitiva agendo
come fattori protettivi.
La prima, e forse la più importante, è la stimolazione cognitiva cui veniamo
sottoposti durante la prima infanzia. Anche il livello di scolarizzazione svolge
un ruolo importante: i soggetti più istruiti hanno infatti una maggiore protezione
nei confronti della malattia di Alzheimer, probabilmente anche in relazione
al fatto che l’elevata scolarizzazione spesso si associa successivamente a
occupazioni professionali e non professionali culturalmente più stimolanti,
che concorrono a potenziare ulteriormente la riserva cognitiva.
Non esiste un’età oltre la quale l’esercizio mentale cessa di svolgere il
proprio ruolo protettivo. Studi recenti hanno dimostrato che negli anziani la
partecipazione durante il tempo libero ad attività ricreative, sociali e culturali
stimolanti, come leggere, giocare, praticare hobbies e suonare uno strumento
musicale preserva le funzioni cognitive e si
associa ad un ridotto rischio di demenza.
Anche la partecipazione attiva ad attività
religiose si associa ad un ridotto rischio di
demenza.
Globalmente si può affermare che uno stile
di vita particolarmente attivo e socialmente
integrato protegge dalla demenza.
22
Ridurre lo stress
Stress e malattia di Alzheimer potrebbero essere correlati: questo suggeriscono
alcuni studi sperimentali ed uno studio condotto negli Stati Uniti su un gruppo
di anziani. Le ragioni di una simile connessione ancora sfuggono, anche se
l’ipotesi della cascata dei glucocorticoidi (gli ormoni che l’organismo produce
in risposta a condizioni stressanti) con i suoi effetti dannosi sulle cellule
cerebrali, resta la principale candidata. Ipotesi alternative (o complementari)
andrebbero ricercate nell’associazione tra stress e fattori di rischio vascolare
(come l’ipertensione arteriosa) o tra stress e stili di vita non salutari (scarso
esercizio fisico, scorretta alimentazione, assunzione di sostanze tossiche).
Astenersi dalle sostanze tossiche…
Il fumo di sigaretta è uno dei principali fattori di rischio
vascolare ed è nocivo per la salute; esso si associa, inoltre, ad
un aumentato rischio di demenza.
Per quanto concerne le sostanze stupefacenti esse sono
dannose per il cervello: alcune sono direttamente neurotossiche,
producendo degenerazione cellulare, altre invece agiscono indirettamente sui
fattori di rischio vascolare, quali l’ipertensione arteriosa.
…e dall’uso eccessivo di farmaci
Alcuni farmaci riducono le prestazioni cognitive,
soprattutto nella popolazione anziana. E’ il caso di
molti psicofarmaci, come ad esempio quelli utilizzati
per curare l’ansia e l’insonnia.
Anche l’uso eccessivo di farmaci contro l’ipertensione arteriosa è stato
associato ad un aumento di declino cognitivo nella popolazione anziana, per
la riduzione dell’afflusso di sangue al cervello.
E’ quindi buona norma attenersi alle indicazioni del proprio medico, evitando
l’assunzione di farmaci inutili e l’automedicazione.
23
COME COMPORTARSI IN ALCUNE SITUAZIONI DIFFICILI
Cosa devo fare se il mio familiare non è più in grado
di decidere da solo?
Quando alcune scelte importanti non possono più essere prese in modo
consapevole da un malato è consigliabile nominare un amministratore
di sostegno (si veda oltre) scelto tra i componenti del nucleo familiare.
L’amministratore di sostegno ha il compito di affiancare il malato nelle scelte
importanti come quelle che riguardano le terapie (qualora sia necessaria la
sottoscrizione di un consenso informato) o alcune scelte patrimoniali.
Devo informarlo della diagnosi?
La questione è assai controversa. A favore della comunicazione della diagnosi vi
sono, da un lato, il diritto del malato a conoscere gli aspetti della malattia che lo
riguardano e, dall’altro, la possibilità di prendere importanti decisioni in modo
diretto. Un esempio sono le “direttive anticipate” mediante le quali un soggetto
può esprimere, quando è ancora in grado di farlo, le proprie volontà in merito a chi
potrà prendere decisioni in vece sua (ovvero chi ricoprirà il ruolo di amministratore
di sostegno) o in merito alle future modalità di gestione della sua malattia.
Contro la scelta dell’informazione vi sono la consapevolezza da parte del
medico e dei familiari di comunicare la diagnosi di una malattia spesso fatale
ed incurabile e il rischio di possibili reazioni depressive e catastrofiche da
parte del malato.
Qualora si optasse per la comunicazione della diagnosi, parrebbe ragionevole
farlo nelle fasi iniziali di malattia, quando il paziente è ancora capace di attuare
scelte consapevoli.
Va, infine, sottolineato che ogni persona ha il diritto di scegliere se e quando
essere informata: qualora il malato, non avendo consapevolezza della propria
malattia, non richieda esplicitamente una diagnosi, il fornirgliela può risultare
una dolorosa forzatura.
24
Può ancora guidare?
La nostra opinione è che fin dagli stadi iniziali di malattia sia opportuno smettere
di guidare per motivi di sicurezza del paziente e della comunità. La guida, infatti,
è un’attività assai complessa che richiede riflessi pronti, memoria delle regole e
capacità di giudizio. Nella nostra esperienza l’interessato prende raramente di
propria iniziativa la decisione di astenersi dalla guida; essa pertanto spetta ai
familiari, con il supporto del medico di famiglia o dello specialista. La decisione
di sospendere la guida va comunicata con pazienza, ma anche con fermezza.
Talvolta può risultare più semplice procedere con gradualità, consentendo ogni
tanto piccoli tragitti sotto la supervisione dei familiari.
Può ancora gestire il suo patrimonio?
Poiché il deterioramento cognitivo lieve e la demenza possono causare disturbi
a carico della memoria e della capacità di giudizio, i soggetti sono vulnerabili
sotto il profilo patrimoniale: essi possono compiere scelte svantaggiose oppure
non accorgersi di eventuali raggiri.
Ecco alcuni suggerimenti:
controllate periodicamente l’estratto conto bancario e il libretto degli
assegni
verificate gli acquisti (che potrebbero eccedere le reali necessità)
lasciate a disposizione del malato solo piccole somme di danaro in contanti
quando necessario, attivate l’amministrazione di sostegno.
Posso lasciarlo vivere da solo?
Come valutare quando il proprio congiunto non è più in grado di vivere da
solo? Vi consigliamo di porre attenzione ad alcuni indicatori nella condotta
del paziente che possono fungere da utili “campanelli d’allarme”:
dimostra di essere preoccupato, ansioso o spaventato quando rimane da solo?
non saprebbe cosa fare in caso di emergenza?
25
ha lasciato il gas di cucina acceso?
dimentica di prendere regolarmente le medicine?
si veste in modo inadeguato alle condizioni climatiche?
non conserva adeguatamente i cibi oppure non controlla che siano scaduti?
non è in grado di mantenere un’adeguata igiene personale;
ad esempio notate segni di incontinenza urinaria?
Se la risposta a queste domande è “si” probabilmente è venuto il momento di
ripensare ad una nuova soluzione abitativa per il paziente.
Se non può più vivere da solo come posso organizzarmi?
Le soluzioni abitative più comunemente riscontrate nella nostra esperienza
sono le seguenti:
permanenza del malato al proprio domicilio con assistenza di uno
o più familiari
permanenza del malato al proprio domicilio con assistenza di una badante
trasferimento del malato presso il domicilio di un familiare che lo assiste
frequentazione nei giorni feriali e negli orari di lavoro di un centro diurno;
gestione notturna e festiva come nei tre punti precedenti
ricovero del paziente in una struttura protetta.
Nell’operare una scelta si dovrà tenere conto di alcune variabili:
esigenze del paziente che dipendono, a loro volta, dallo stadio di malattia
(ad esempio, negli stadi iniziali le necessità del malato sono più di carattere
psicologico e affettivo, mentre nelle fasi avanzate emergono pressanti
esigenze di carattere assistenziale-sanitario)
disponibilità di soluzioni abitative idonee (psicologicamente confortevoli,
facilmente accessibili, sicure)
disponibilità dei familiari, in termini di tempo e di risorse energetiche
fisiche e psicologiche
26
relazioni interpersonali tra paziente e familiari (alcune relazioni conflittuali
possono avere effetti controproducenti sui sintomi della malattia)
risorse economiche (alcune soluzioni sono più dispendiose di altre).
Non esiste, ovviamente, una risposta univoca ad una problematica così
complessa. Tuttavia, in linea perlomeno teorica, riteniamo auspicabile
la permanenza più a lungo possibile del malato in un luogo a lui familiare
(meglio se il proprio domicilio), con l’assistenza di uno o più congiunti coi
quali siano in atto relazioni interpersonali positive e con il supporto esterno di
una persona (ad esempio una badante) in grado di sollevare transitoriamente
i familiari dal carico fisico e psicologico, che l’assistenza quotidiana di questi
malati comporta.
Il ricorso a strutture protette può divenire una valida alternativa in alcune
circostanze:
quando le condizioni di malattia si aggravano al punto tale da condurre
all’allettamento o alla necessità di frequenti interventi infermieristici
(frequenti iniezioni intramuscolari, gestione del catetere vescicale, ossige noterapia)
quando la persona che usualmente assiste il malato diviene fisicamente o
psicologicamente incapace di gestirlo.
27
Cosa fare quando arrivano le vacanze e le ricorrenze?
La prima riflessione di carattere generale è la seguente: il paziente demente ha
scarse capacità di adattamento. Pertanto, tutte le situazioni che si discostano
dalla routine quotidiana vengono mal tollerate. Egli non sa adeguarsi a
luoghi o a volti o a voci sconosciute. La perdita dei “punti di riferimento” può
comportare la comparsa di angoscia, irrequietudine, o franca agitazione psicomotoria.
D’altro canto gli spostamenti durante le vacanze o le celebrazioni festive
sono un’esigenza comune a tutte le famiglie. E allora, bisogna rinunciare alle
vacanze e alle tradizioni?
Ecco alcuni consigli:
come eventuali luoghi di villeggiatura sono da evitare quelli completa-
mente sconosciuti al paziente. I luoghi noti (ad esempio la “casa di fami glia”), invece, comportando uno sforzo adattativo minore, potrebbero
rappresentare un ragionevole compromesso
non è comunque da scartare a priori l’ipotesi della permanenza del malato
durante i tradizionali periodi di vacanza nella propria abitazione, anche se
cittadina, in compagnia di un caregiver esterno alla famiglia. Ciò risparmia
al malato eccessivi sforzi di adattamento e consente ai familiari di alleviare
lo stress psicologico e fisico
nelle occasioni festive il coinvolgimento del malato non è strettamente
necessario, anche in relazione al fatto che, nella maggior parte dei casi,
egli è ignaro della ricorrenza. Qualora, tuttavia, si decidesse di coinvolgerlo,
è indicato ridurre il più possibile le stimolazioni, soprattutto quelle
acustiche, derivanti dalla contemporanea presenza di molte persone,
che sono spesso fonte di agitazione.
28
Come mi devo comportare quando il malato crede cose che non sono vere o vede cose che non esistono?
Può accadere che il paziente demente manifesti deliri (cioè pensi cose che non
corrispondono al vero: che qualcuno lo voglia derubare, oppure abbia cattive
intenzioni nei suoi confronti), allucinazioni (cioè veda cose che non esistono
oppure senta voci inesistenti) o misidentificazioni (cioè scambi una persona per
un’altra, oppure non si riconosca allo specchio). Cosa fare? Bisogna assecondarlo
oppure contraddirlo? E’ opportuno sottolineare che tali disturbi, appartenenti alla
sfera comportamentale, possono essere fonte di grande angoscia per il malato
e spesso determinano un grave impatto sulla sua vita quotidiana, essendo la
causa più comune di ricorso al ricovero definitivo. Essi vanno segnalati sempre al
medico, poiché possono essere gestiti con opportune terapie. Per quanto concerne
l’atteggiamento del caregiver, è bene che egli mantenga un atteggiamento
rassicurante: talvolta per arginare il disturbo è sufficiente distrarre il paziente,
coinvolgendolo in una attività a lui gradita.
Cosa fare quando diventa agitato o lamenta dolore?
Con l’aggravarsi della demenza il malato diviene sempre più incapace di comunicare
qualunque forma di disagio. Ciò rappresenta “un’arma a doppio taglio”: da un lato,
infatti, può percepire dolore, ma essere incapace di spiegarsi e di indicare dove lo
avverte, dall’altro, invece, può riferire come “dolorosa” un’esperienza che ha invece
altri connotati, di più generico disagio (ad esempio di affaticamento). E’ buona
norma, quando il paziente demente diviene più irritabile o agitato chiedersi se vi
sia qualcosa che lo disturba (frequente ad esempio è il bruciore nell’urinare che
contraddistingue le infezioni delle vie urinarie) e consultare il medico di medicina
generale. La visita medica ed alcuni semplici esami del sangue e delle urine possono
aiutare a capire la natura del problema. Salvo in casi estremi, di reale urgenza,
è sconsigliabile rivolgersi ad un Pronto Soccorso, poiché questo rappresenta un
luogo dove i soggetti affetti da disturbi intellettivi possono scompensarsi andando
incontro a disturbi comportamentali.
29
Rischia spesso di cadere: come posso aiutarlo?
Nelle fasi avanzate, tutte le forme di demenza comportano un’instabilità della
marcia che espone il malato al rischio di cadute e, di conseguenza, di fratture.
Quest’ultime, soprattutto se a carico del femore o del bacino, possono confinare
il malato a letto esponendolo a tutte le complicanze dell’allettamento (inclusa la
comparsa di piaghe da decubito e di infezioni) che aumentano il rischio di morte.
Ecco alcuni semplici accorgimenti che possono migliorare l’autonomia motoria
del malato: evitare scarpe scomode (quali ad esempio le pantofole che non
calzano il tallone), ricorrendo alle scarpe da ginnastica o alle calze antiscivolo,
eliminare i tappeti e gli altri ostacoli in cui il paziente può inciampare, lasciare
accesa una luce notturna se il malato deve alzarsi di notte.
Cosa fare quando subentra una nuova malattia?
La scelta di come affrontare nuove malattie, soprattutto quelle che richiedono
un intervento chirurgico, può risultare molto difficile. Il primo consiglio è quello
di parlarne con il medico di medicina generale e con lo specialista dell’UVA
per avere un confronto su “i pro e i contro” del provvedimento terapeutico e
sulle sue eventuali modalità di attuazione.
Ecco alcune riflessioni che possono essere utili nel percorso decisionale:
l’ospedalizzazione è da considerarsi una condizione rischiosa per il
30
demente, soprattutto nelle fasi avanzate di malattia. Essa infatti, oltre a
comportare immancabilmente un peggioramento dei disturbi cognitivi
e comportamentali, aumenta enormemente il rischio di complicanze
infettive; per qualunque provvedimento diagnostico o terapeutico sono
preferibili, quando possibili, i regimi ambulatoriale e di day-hospital
l’anestesia generale, richiesta per molti interventi chirurgici, abitualmente
comporta un peggioramento dei sintomi cognitivi e comportamentali;
sono pertanto preferibili (quando possibili) altre forme di anestesia
(spinale oppure locale)
molti atti terapeutici (soprattutto quelli chirurgici) richiedono la
sottoscrizione di un consenso informato: se il paziente non è più in
grado di effettuare scelte consapevoli è necessario che egli venga
affiancato dall’amministratore di sostegno
alcuni atti terapeutici (ad esempio la chemioterapia o gli interventi
chirurgici) a fronte di un possibile allungamento della sopravvivenza
del malato, comportano un peggioramento della sua qualità di vita
(per l’insorgenza di dolore o di altre problematiche che perturbano il delicato
equilibrio del paziente)
per converso alcuni semplici gesti terapeutici finalizzati a migliorare
i disturbi sensoriali del paziente (quali il ricorso a protesi acustiche
per i disturbi dell’udito o all’intervento di cataratta per i disturbi
della vista) possono comportare dei miglioramenti anche sul versante
cognitivo-comportamentale.
31
A chi rivolgersi
le figure professionali coinvolte
Nella fase diagnostica le figure maggiormente coinvolte sono il medico di
medicina generale (o “di famiglia”) e lo specialista (geriatra, neurologo o
psichiatra) delle Unità Valutazione Alzheimer (UVA).
Il primo interlocutore di qualunque problema di salute, inclusi i disturbi
cognitivi, è il medico di medicina generale o di famiglia, il quale, sulla base
anche di una conoscenza del malato consolidata nel tempo, è in grado di
valutare se siano in atto dei cambiamenti che configurano il sospetto di
declino cognitivo. Se così fosse, il medico curante invierà il suo assistito,
meglio se accompagnato da un familiare, presso una delle tante U.V.A. (Unità
Valutazione Alzheimer), ovvero strutture pubbliche, spesso inserite in un
contesto ospedaliero, in cui è possibile fruire della consulenza di medici
competenti e di tutti i servizi diagnostici necessari. In questo ambito, infatti,
vengono effettuati tutti gli accertamenti che consentono di pervenire ad una
definizione diagnostica (quali ad esempio gli esami del sangue, i test della
memoria e delle altre funzioni intellettive, la TAC cerebrale) e viene impostato
il percorso terapeutico con i farmaci precedentemente illustrati.
Conclusa la fase diagnostica, il malato viene riaffidato alle cure del medico
di famiglia, che periodicamente si consulta con gli specialisti dell’UVA per la
messa a punto della terapia.
La rete dei servizi dedicati
Riconoscimento di invalidità
L’invalidità civile si articola nelle seguenti categorie:
invalidi civili: minori; adulti tra 18 e 65 anni; ultra 65enni
ciechi: ciechi assoluti; ciechi parziali (ventesimista)
sordi.
Il riconoscimento delle provvidenze economiche dipende dal grado di invali-
32
dità accertato dalla ASL, (Distretti Territorialmente Competenti) e dalle condizioni socio-reddituali del richiedente verificate dagli Uffici Comunali, secondo
la normativa vigente (o dalla stessa ASL per tutto il resto del territorio della
Regione Lombardia).
Le istanze per il riconoscimento dello stato di invalido civile vanno presentate
alle ASL competenti per territorio:
ZONE COMUNALI
DISTRETTO N.1
DISTRETTO N. 2
zona 1 - centro storico
zona 8 e 9
INDIRIZZO
TEL. E FAX
GIORNI
ORARI
C.so Italia, 52
20122 - Milano
02 8578.3012
Dal Lunedì al Venerdì
h. 8.30 -12,00
Via Ojetti, 20
20151 - Milano
02 8578.4044
Dal Lunedì al Venerdì
h. 9,00 - 12,00
DISTRETTO N. 3
zona 2 e 3 - stazione centrale bicocca - città studi - lambrate
Via Pecchio, 19
20131 - Milano
02 8578.5032
Dal Lunedì al Venerdì
h. 9,00 - 12,00
DISTRETTO N. 4
zone 4 e 5 - vittoria - forlanini Via Darwin, 20
vigentino - chiaravalle - gratosoglio 20100 - Milano
02 8578.6015
Dal Lunedì al Giovedì
h. 9,00 - 12,00
DISTRETTO N. 5
zone 6 e 7- barona - lorenteggio san siro - baggio - trenno
02 8578.7024
Dal Lunedì al Venerdì
h. 9,00 - 12,00
P.za G. Bande Nere, 3
20146 - Milano
Le provvidenze economiche potranno variare a seconda del grado d’invalidità
accertato dalla Commissione di prima istanza che redige il Verbale d’invalidità.
Il Comune di Milano e nello specifico - Direzione Centrale Famiglia, Scuola
e Politiche Sociali - Settore Servizi per Anziani è competente in materia di
concessione economica a favore di invalidi civili per i cittadini residenti nel
territorio del Comune dal febbraio 2001.
A seguito del riconoscimento dello stato di invalido civile, l’ASL trasmette
una copia del verbale al Comune e una copia, unitamente ad apposita modulistica, all’invalido presso il proprio domicilio. Detta modulistica compilata, o
altre comunicazioni scritte, devono essere trasmesse, solo ed esclusivamente
mediante invio postale, al seguente indirizzo:
Comune di Milano - Settore Servizi per Anziani - Ufficio Invalidi Civili
via Statuto 17 - 20121 Milano.
33
Per eventuali informazioni sullo stato del procedimento amministrativo è possibile:
telefonare al Contact Center, al numero 800 777 888, dal lunedì al venerdì
dalle 8.00 alle 20.00, il sabato dalle 8.00 alle 14.00.
Le provvidenze economiche potranno variare a seconda del grado d’invalidità
accertato dalla Commissione di prima istanza che redige il Verbale d’invalidità .
L’erogazione della relativa provvidenza economica è effettuata a cura dell’INPS,
a seguito di trasmissione del provvedimento di concessione da parte del Comune (o dalla stessa ASL per tutto il resto del territorio della Regione Lombardia).
Voucher socio-sanitario:
E’ un contributo economico non in denaro, sottoforma di “titolo di acquisto”,
erogato dalla Regione Lombardia, attraverso le ASL, che può essere utilizzato esclusivamente per comprare prestazioni di assistenza domiciliare sociosanitaria integrata da soggetti accreditati, pubblici o privati, “profit” e “non
profit”, erogate da personale professionalmente qualificato.
Per richiede il Voucher socio-sanitario bisogna rivolgersi ai distretti sociosanitari della propria ASL.
Buono SOCIALE del Comune di Milano
I Buoni Sociali sono degli aiuti economici erogati ogni due mesi alle famiglie
che si impegnano ad assistere a casa l’anziano, in modo da evitare, o almeno
ritardare, il più possibile, il ricovero.
L’accesso all’intervento avviene tramite il Centro Multiservizi Anziani (C.M.A.)
della zona di residenza.
Presso i C.M.A. è disponibile il modulo per presentare la domanda, contenente
tutte le autocertificazioni richieste.
34
Elenco dei Centri Multiservizi Anziani-C.M.A. presenti sul territorio di Milano:
ZONA
ZONA 1
ZONA 2
ZONA 3
ZONA 4
ZONA 5
ZONA 6
INDIRIZZO
Via Monte Grappa , 8/A
Via Rugabella 4/6
Viale Zara, 100
anche Sportello Unico
Via Sant’Elembardo, 4
anche Sportello Unico
Via Ricordi, 1 (Venezia)
anche Sportello Unico
Via Ricordi, 1 (Città Studi)
anche Sportello Unico
Via Pini, 1 (Lambrate)
anche Sportello Unico
Viale Puglie, 33
Via dei Cinquecento, 7
Via Zante, 36
Via D. Carlo San Martino, 10
anche Sportello Unico
Viale Tibaldi, 41
Via Boifava, 17
Viale Tibaldi, 41
Via Di’ Rudini’, 3
Via Gonin, 28
TELEFONO
02/884.65.491
02/86.03.93
02/884.58.232
ZONA
INDIRIZZO
Via A. Da Baggio, 54
ZONA 7
02/884.65.493
02/20.24.04.17
ZONA 8
Piazzale Segesta, 11
Via A. Da Baggio, 54
(Ex Via Stromboli)
Piazzale Accursio, 5
Via Colleoni, 8
Via Lessona, 55
02/884.65.496
Via Ojetti, 20
02/884.65.497
02/884.65.504
02/56.93.720
02/884.65.502
02/884.65.498
02/884.62.901/2
02/884.58.553/4
02/884.62.905
02/884.65.506
02/89.18.90.05
02/884.65.507
02/41.51.319
Via Volturno, 32
ZONA 9
Via Brivio, 2/4
Via Giolli, 29
anche Sportello Unico
Via Sant’Arnaldo, 17
TELEFONO
02/884.65.874
02/884.65.172
02/884.65.882
02/48.91.08.85
02/884.64.294/5
02/884.65.513
02/884.65.515
02/35.71.941
02/30.84.364
02/884.65.514
02/884.65.875
02/884.65.516
02/884.65.517
02/884.65.519
02/64.31.342
02/884.65.518
02/64.54.595
Si ricorda che un servizio analogo è previsto anche dalla Regione Lombardia
tramite le ASL.
Sportello Unico Integrato
E’ un servizio istituito in alcune zone della città, svolto in collaborazione con
la A.S.L. Città di Milano, per offrire ai cittadini anziani un punto di riferimento
sociosanitario. Gli operatori del Comune e della A.S.L. ricevono il pubblico e forniscono informazioni e orientamento per l’accesso ai servizi sociali e/o sanitari
offerti dai Centri Multiservizi Anziani e dall’Assistenza Domiciliare Integrata.
L’accesso allo Sportello avviene direttamente da parte della persona interessata, oppure tramite i parenti, il medico di base o altri servizi territoriali.
35
In seguito, un operatore provvede a effettuare una visita domiciliare e a orientare l’anziano verso il servizio più rispondente alle sue esigenze.
Gli Sportelli Unici Integrati presenti sul territorio di Milano sono:
ZONA
INDIRIZZO
TELEFONO
Via Sant’Elembardo 4
02.88465493/4
V.le Zara 100
02.88462820
Via Ricordi 1 (Venezia)
02. 20240417 - 02. 20404706
Via Ricordi 1 (Città Studi)
02. 29525187 - 02. 88465496
Via Pini 1
02. 26410093 - 02. 88465497
4
Via Don Carlo S. Martino 10
02. 88465498 - 02. 88465499
9
Via Giolli 29
02. 6472320 - 02. 6431342
2
3
Assistenza Domiciliare Socio-sanitaria Integrata (ADI):
L’ADI si pone come servizio volto a soddisfare le esigenze di tutti i soggetti di qualsiasi età che necessitano di una assistenza continuativa ed è costituita da un complesso di prestazioni mediche, infermieristiche, riabilitative, socio-assistenziali rese
al domicilio dell’ammalato.
Per richiedere il servizio bisogna rivolgersi ai distretti socio-sanitari della propria ASL.
I Centri Diurni Integrati (CDI)
Sono servizi gestiti direttamente dall’Amministrazione Comunale o in convenzione,
che accolgono quotidianamente persone anziane parzialmente o totalmente non autosufficienti, oppure autosufficienti, ma con problemi di ordine psicologico o sociale.
Centri Diurni Integrati-C.D.I. comunali a gestione diretta
ZONA
36
STRUTTURA
INDIRIZZO
TELEFONO
6
C.D.I. - C/O R.S.A. Comunale Famagosta
via di Rudinì, 3
tel 02-88465531
4
C.D.I. - PRESSO R.S.A. Comunale
via dei Panigarola,14
tel 02-88465550
4
C.D.I. - PRESSO R.S.A. Comunale
via dei Cinquecento, 19
tel 02-88465540
9
C.D.I. Giolli
via Giolli, 29
tel 02.-66113868 - 02-66113847
C.D.I. comunali a gestione esterna
ZONA
STRUTTURA
INDIRIZZO
TELEFONO
4
C.D.I. - GEROSA BRICHETTO
via Mecenate, 96
tel: 02-58018008
9
C.D.I. - ALZHEIMER POLLINI (F. DON GNOCCHI)
via Pollini, 4
tel: 02-642241
C.D.I. privati convenzionati
ISTITUTO GERIATRICO MILANESE S.p.a.
per la struttura: C.D.I ISTITUTO GERIATRICO MILANESE PERUSINI - via Paravia, 63 - 20148 MILANO
tel: 02/487887 - fax : 02/40093456 - cf :04337840484 - P.I.VA 12192560154
A.S.P. “GOLGI - REDAELLI - via Olmetto 6 - 20123 MILANO
C.F. 80063990156 - P.Iva 04737420150
CENTRO DIURNO INTEGRATO - P.zza Bande Nere 3 - 20146 MILANO
ASSOCIAZIONE AMICI DEI DEBOLI - via Tracia, 2 - 20148 MILANO
tel: 02/4071661 - C.F. 97175190152
per il C.D.I.: CENTRO DIURNO INTEGRATO “I DELFINI” - via Tracia, 2 - 20148 MILANO
FOND. DON CARLO GNOCCHI ONLUS - sede legale: P.le R. Morandi, 6 - 20162 MILANO
tel: 02/642241 - fax: 02/64224510 - C.F. 04793650583 - P.IVA 12520870150
per il C.D.I: C. D. I. PER ANZIANI NAP “GIROLA” - via Girola, 30 - 20162 MILANO
tel: 02/64224702
FOND. SAN GIUSEPPE MOSCATI O.n.l.u.s.
per la struttura: C.D.I. FOND. SAN GIUSEPPE MOSCATI - Sede legale ed operativa: via Orti, 27 - 20122 MILANO
tel. 02/55187239 - fax. 02/5517754 - C.F. 97075530150 - P.IVA 09791060156
“C.D.I.S. GIULIA”
Ente gestore: Soc. Altea S.r.l.
Sede legale: via Camperio,14 - 20123 Milano - tel. 027294318 - fax 0272094310 - P.IVA 12823590158
Sede operativa - via Pitteri, 81 - 20130 MILANO - tel. 0221597288 - fax 022159597
FONDAZIONE “DON CARLO GNOCCHI “ ONLUS
CENTRO DIURNO INTEGRATO: via Don Luigi Palazzolo, 21 - 20139 MILANO
tel: 02/39.70.34.63 - fax: 02/23.92.16.658 - C.F.04793650583 - P.IVA 12520870150
37
CASA RELIGIOSA SOCIO EDUCATIVA MARINA VIDEMARI DELLE SUORE MARCELLINE
CENTRO DIURNO INTEGRATO MARINA VIDEMARI - via Gaetano Pini, 4 - 20122 MILANO
tel: 02/58300750 - fax: 02/58300857 - P. IVA 13077460155
FILI D’ARIANNA COOPERATIVA SOCIALE A R.L. ONLUS
Sede amministrativa: via Porpora 26 - 20131 MILANO
tel: 02/29537462 - fax: 02/89310133 - C.F. 02501930966 - P.IVA 1430750151
per la struttura:
CENTRO DIURNO INTEGRATO VODIA CREMONCINI - via Saponaro, 32 - 20100 MILANO
tel: 02/29.53.74.62
COOPERATIVA SOCIALE “SIMONE DE BEAUVOIR” S. c. a r.l. - sede Legale via C. Ravizza, 19 - 20149 MILANO
Sede Operativa: c/o CENTRO DIURNO INTEGRATO Demenze e malattie dio alzheimer”
via Bicetti de Buttinoni, 15 - 20156 MILANO
tel: 02 48008744 - fax: 02 48010390 - P. IVA 11072800151
FONDAZIONE ISTITUTO SACRA FAMIGLIA ONLUS
piazza Mons. L. Moneta 1 - 20090 CESANO BOSCONE (MI)
tel: 02/456771 - fax: 02/45677219
per la struttura: C.D.I. VILLA SORMANI - via Dante Alighieri - 20090 Cesano Boscone (MI)
tel: 02/456771 - fax: 02/48601612 - P.IVA 00795470152
Società Andrea s.r.l.
Sede Legale: Via Quadrio, 14/16 - 20131 MILANO
C.F. - P.IVA 04140620966
CENTRO DIURNO SACCARDO Via Massimiano, 19 - 20131 MILANO
tel: 02 2101049 - fax: 01 210104566
La Piccola casa del Rifugio Ente Morale - via Antonini, 3 - 20141 MILANO
C.F. 80070250156 - P.IVA 08634020153
CENTRO DIUTNO INTEGRATO “IL FAGGIO ROSSO” - via Antonini 3 - 20141 MILANO
tel. 02 8463080 - fax 02 8950080
IL NUOVO FOCOLARE S.M. LORETO
via Martini Padre Giovanni Battista - 20131 MILANO
tel: 02- 28040623 - fax: 02-28340988
38
Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA)
Le RSA sono strutture extraospedaliere finalizzate a fornire accoglimento, prestazioni sanitarie assistenziali e di recupero a persone anziane prevalentemente
in condizioni di non autosufficienza e privi di supporto famigliare che consenta
di erogare a domicilio gli interventi sanitari continui e l’assistenza necessaria.
Le RSA presenti sul territorio di Milano sono:
R.S.A.
Azienda Servizi Alla Persona Pio Albergo
Trivulzio
ZONA
INDIRIZZO
TELEFONO
7
Via Trivulzio 15
02 24029239
Altea S.R.L. R.S.A. “ S. Giulia”
3
Via Pitteri 81
02 21597288
Anni Azzurri S.R.L. - Rsa Casa Verde Mi
3
Via S. Faustino 21
02 21095200
Associazione Monte Tabor - S. Giuseppe
8
Via Delle Ande 11
02 38008727
Casa Beato Luigi Guanella
1
Via Cagnola 11
02 342375
Casa Di Riposo G. Gerosa Brichetto
4
Via Mecenate 96
02 58018008
Casa Famiglia Istituto Ciechi
1
Via Vivaio 7
02 77226.1
Comune Milano C. Rip. Famagosta
6
Via Di Rudini’ 3
02 88465531
Comune Milano C. Rip. V. Ferrari
4
Via Panigarola 14
02 88465550
Comune Milano Casa Rip. Coniugi
4
Via Dei Cinquecento 19
02 57409217-02 5392964
Comunità Ebraica Rsa Arzaga
8
Via Leone Xiii,1
02 4982604
Congr. Figlie Del Crocifisso
2
Via Agordat 50
02 2822713
Domus Patrizia S.R.L.
4
Via Pier Lombardo 20
02 55181486
Fond. Don C.Gnocchi Onlus - Palazzolo
8
Via Palazzolo 21
02 3272745
Fond.DOn Gnocchi Onlus Girola
9
Via Girola 30
02 642241
Fondazione Biffi Onlus
6
Via Dei Ciclamini 34
02 48302825
Fondazione Giuseppe Moscati
1
Via Orti 27
02 55187239
Hospita Coop. Soc. Rsa L. Porta
3
Via Boscovich 35
02 29536391
Icos Cooperativa Sociale - Rsa Mater Fid
8
Via Pascarella 19
02 39030911
Icos Gestioni S.R.L. - Rsa Mater Sapient
7
Via Varazze 7
02 4080151
Il Nuovo Focolare Di S.M. Di Loreto
3
Via G. Martini 29
02 28040623
Ist. Geriatrico Milanese Spa
7
Via P. Paravia 63
02 487887
Ist. Geriatrico Milanese Spa - Op. Pastor
Angelicus
8
Via Arsia 7
02 332772400
39
Ist. Geriatrico Redaelli Mi
1
Via Leopardi 3
02 250321
Istituto San Vincenzo
2
Via Copernico 5
02 67732101
La Piccola Casa Del Rifugio
5
Via Antonini 1-3
02 89500780
Piccolo Cottolengo Don Orione
6
Viale Caterina Da Forli’ 19
02 4231985
R.S.A. Maria Ausiliatrice S.R.L.
4
Via Rogoredo 31
02 513579
Res. Anni Azzurri Navigli
6
Via Darwin 17
02 8330501
Res. Anni Azzurri S. Luca
1
Via S. Luca 4
02 582871
Residenze Anni Azzurri - Rsa Sempione
1
P.zza Dei Volontari 3
02 31826001
Nuclei protetti Alzheimer
All’interno delle RSA, nell’ottica della diversificazione dell’offerta, sono state
create unità specifiche rivolte ai pazienti con disturbi cognitivi e comportamentali; questi sono piccoli reparti, dotati generalmente di 20 posti letto, che
dispongono di personale adeguatamente formato, ed offrono un servizio personalizzato sulle singole necessità dell’anziano.
Sono presenti in due strutture comunali:
RSA Famagosta - Via Di Rudinì 3
RSA Per Coniugi - Via Dei Cinquento 19
Ricovero temporaneo di sollievo
Un servizio offerto da alcune strutture residenziali è il “ricovero temporaneo di
sollievo”, finalizzato a “sollevare” dal carico assistenziale per un breve periodo
quei familiari che, per vari motivi, non possono temporaneamente prendersi
cura dei loro congiunti.
Per richiede il servizio bisogna rivolgersi ai distretti socio-sanitari della propria ASL.
40
Atti legali - tribunale di Milano (solo per i residenti)
La legislazione italiana prevede alcuni provvedimenti di tutela sia per il malato sia
per i familiari.
L’amministrazione di sostegno:
è una misura di protezione per la persone, che per menomazione fisica o psichica,
si trovino nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri
interessi. Per la città di Milano la domanda deve essere depositata presso la
SEZIONE IX CIVILE TUTELE, Stanza 261 (dal lunedì a sabato ore 8-12,30) e corredata
da certificazione medica e atto di nascita del beneficiario. Il Giudice Tutelare, entro
60 giorni dalla data di presentazione della richiesta, con decreto immediatamente
esecutivo provvede alla nomina dell’amministratore di sostegno (usualmente
prescelto tra i componenti del nucleo familiare). La procedura è snella, non prevede
il ricorso ad avvocati e l’unica spesa da affrontare è quella della marca da bollo.
Nel caso la persona seppur residente a Milano si trovi presso una struttura di
ricovero fuori Milano, ci si deve rivolgere al Tribunale competente per territorialità.
L’interdizione:
è uno strumento legale per tutelare il soggetto incapace di intendere e di volere. Il
Giudice nomina un Tutore per la cura della persona ed affinchè la rappresenti in tutti
gli atti civili e ne amministri i beni . Spesso per la nomina all'incarico di Tutore con
eccezione dei casi conflittuali, la scelta avviene nell'ambito familiare.
L’inabilitazione:
è una situazione di incapacità giuridica relativa, di minore importanza rispetto
all’interdizione. Essa può essere chiesta in alcune specifiche ipotesi, quando la
situazione del soggetto non è così grave da comportare la pronuncia di interdizione.
Solitamente l'inabilitato mantiene la capacità di compiere personalmente ed
autonomamente gli atti di ordinaria amministrazione. Ma in linea generale deve
essere assistito da un curatore per gli atti Straordinaria Amministrazione.
La procura:
è un atto legale attraverso il quale un soggetto, ancora in grado di prendere delle
decisioni, ma non più di seguire direttamente i suoi interessi, conferisce ad
un’altra persona il potere legale di rappresentanza. Per questo atto è necessario
rivolgersi ad un notaio.
41
Associazioni di volontariato:
Assistenziali
A. I. M. A. , Associazione Italiana Malati di Alzheimer
Via Ripa di Porta Ticinese 21 - 20143 Milano
tel: 02 89406254 - fax: 02 89404192 - Linea Verde Alzheimer 800371332
e-mail: [email protected] - web: www.alzheimer-aima.it
Federazione Alzheimer Italia
via T. Marino 7 - 20121 Milano
tel: 02 809767 - fax: 02 875781
e-mail: [email protected]
web: www.alzheimer.it
Fondazione Manuli
via Vittor Pisani 22 - 20124 Milano
tel: 02 6703140 - fax: 02 6702843
e-mail: [email protected]
web: www.fondazione-manuli.com
Finalizzate alla ricerca
Associazione per la Ricerca
sulle Demenze - ARD Onlus
Ospedale Luigi Sacco
Unità di Neurologia
via G.B. Grassi 74 - 20157 Milano
tel: 02 39042459 - fax: 02 50319867
e-mail: [email protected] - http://www.ard.it
42
Gruppo di Ricerca Geriatrica
via Romanino 1 - 25122 Brescia
tel: 030 3757538 - fax: 030 48508
e-mail: [email protected]
web: www.grg-bs.it
ASSOCIAZIONE PER LA RICERCA SULLE DEMENZE - ARD ONLUS
L’ A.R.D. ONLUS - Associazione per la Ricerca sulle Demenze è
un ente senza scopo di lucro, fondato a Milano il 2 febbraio 1994.
È iscritta al Registro Regionale del Volontariato con decreto
n. 813 del 24.02.1998 e all’anagrafe delle ONLUS (organizzazioni
non lucrative di utilità sociale).
L’A.R.D. ONLUS ha sede operativa presso l’Unità di Neurologia dell’Ospedale
Luigi Sacco, Università degli Studi di Milano.
Presidente: Prof. Claudio Mariani, Ordinario di Neurologia, Università degli
Studi di Milano, Primario di Neurologia, Ospedale Luigi Sacco di Milano.
Vicepresidente: Dott.ssa. Sylvie Azarya.
Comitato Scientifico:
Prof. Claudio Mariani, Università degli Studi di Milano
Prof. Ronald Petersen, Mayo Clinic, Rochester (MN, USA)
Prof. François Boller, INSERM, Paris
Prof. Carlo Caltagirone, Università Tor Vergata, Roma
Prof. Gianluigi Forloni, Istituto Mario Negri, Milano
Prof. Laura Fratiglioni, Karolinska Institutet, Stockholm (Sweden)
Finalità
L’A.R.D. Onlus è stata istituita per promuovere e sostenere la ricerca scientifica
nel settore delle demenze, mediante il conferimento di premi e borse di studio
a giovani ricercatori, il finanziamento di ricerche in collaborazione con Istituti
scientifici e Universitari, l’acquisto di apparecchiature per la ricerca e la
diagnostica fine.
Attività
L’A.R.D. Onlus svolge istituzionalmente attività di informazione e di
formazione.
43
L’informazione sulle cause, la diagnosi precoce e le nuove terapie delle demenze
è fornita alla collettività in genere, e in particolare ai pazienti e ai loro familiari,
attraverso un servizio di consulenza che si avvale dell’attività volontaria di
medici specialisti, psicologi, terapisti della riabilitazione. La formazione e
l’aggiornamento vengono attuati mediante la promozione di incontri, seminari,
conferenze, congressi scientifici diretti ad operatori impegnati nel settore.
Un ruolo importante in questo impegno informativo è svolto dal sito
dell’Associazione, www.ard.it, dove è presente una ricca sezione di “news”
con flash delle notizie più importanti sull’attività associativa e dal mondo
della ricerca sulle demenze.
L’A.R.D. Onlus trae le risorse da libere donazioni.
Indirizzo
A.R.D. ONLUS - Associazione per la Ricerca sulle Demenze
Ospedale Luigi Sacco, Unità di Neurologia
Via G.B. Grassi, 74 - 20157 Milano
Telefono: 02 3904 2459 – 348 6069477
Fax: 02 50319867
Per Informazioni e contatti
Dr.ssa Sylvie Azarya
e-mail: [email protected]
http://www.ard.it
44
comune di milano
Direzione Centrale Salute
Settore Politiche per la Salute
[email protected]
Testi a cura di:
Claudio Mariani
Direttore Clinica Neurologica dell’Ospedale Luigi Sacco
Università degli Studi di Milano
Presidente ARD ONLUS
Francesca Clerici
Responsabile del Centro per il Trattamento e lo Studio dei Disturbi
Cognitivi dell'Ospedale Luigi Sacco Milano
Consigliere ARD ONLUS
Sylvie Azarya
Vicepresidente ARD ONLUS
Si ringrazia per la collaborazione
Assessorato alla Famiglia, Scuola e Politiche Sociali
Settore Servizi per Anziani
Salute
Infoline 02.02.02
www.comune.milano.it
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