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7. Ruolo dell`ozono al livello del suolo e nella - DIMA
7. Ruolo dell’ozono al livello del
suolo e nella stratosfera
___________________________
Dispense del Corso di
Interazione Macchine e Ambiente
D. Lentini
A.A. 2015‐2016
Capitolo 7
Ruolo dell’ozono al livello del suolo e
nella stratosfera
Al livello del suolo l’ozono è un inquinante (a causa del suo fortissimo potere ossidante, risulta
irritante per le mucose, in particolare le vie respiratorie e gli occhi). Esso può provocare lesioni nelle
mucose, entro le quali si possono annidarsi germi patogeni. Inoltre, l’ozono induce fessurazione dei
pneumatici di non più recente concezione, contrastata nelle gomme moderne mediante l’aggiunta di
antiossidanti alla mescola.
Si stimano circa 470 000 morti premature annue dovute all’ozono a livello del suolo [1]; questo dato
può essere comparato alle circa 2 100 000 morti premature annue dovute al particolato. Le stime per
l’effetto del riscaldamento globale vanno da 300 000 a 5 000 000 morti premature all’anno.
A quote alte (nella stratosfera) l’ozono risulta invece prezioso per bloccare la radiazione solare ultravioletta (UV), essendo l’unico gas in grado di assorbire la radiazione con lunghezza d’onda λ < 0, 28
µm, vedi fig. 7.1 (seconda fascia dall’alto)1. Questa radiazione, se raggiungesse la superficie terrestre,
causerebbe tumori alla pelle, danni alle colture ed ucciderebbe il plancton (con tutte le conseguenze
sulla catena alimentare che si basa su di esso).
7.1
Formazione di ozono al livello del suolo
I COV (Composti Organici Volatili) promuovono la formazione di ozono, che abbiano detto essere
nocivo al livello del suolo. Vediamo ora i meccanismi attraverso i quali i COV fanno aumentare la
concentrazione di ozono nell’atmosfera. Le reazioni che avvengono naturalmente per la presenza di
biossido di azoto N2O nell’atmosfera sono:
1
La figura riporta il coefficiente di assorbimento αi (rapporto tra energia radiante assorbita dalla specie chimica i
ed energia incidente), per diverse specie chimiche. Il coefficiente di assorbimento dell’atmosfera nel suo complesso è
dato dalla sommatoria dei coefficienti dei singoli componenti, pesati con le rispettive concentrazioni.
1
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Interazione Macchine Ambiente 2015/16, D. Lentini, Sapienza Università di Roma
Figure 7.1: Frazione dell’energia radiante assorbita da alcuni componenti atmosferici, e dall’atmosfera
nel suo complesso, in funzione della lunghezza d’onda, da [2].
NO2
O2
NO
+ hν
+ O
+ O3
+
→
M →
→
NO
O3
NO2
+
+
+
O
M
O2
(1)
(2)
(3)
Il biossido di azoto derivante dall’ossidazione atmosferica del monossido di azoto emesso dai processi
di combustione, subisce dapprima una reazione fotochimica sotto l’effetto della luce (indicata nella
prima reazione come un fotone di frequenza ν, e quindi energia h ν, essendo h = 6,626 · 10−34
J · s la costante di Planck), scindendosi in monossido di azoto ed ossigeno atomico; quest’ultimo
si combina con ossigeno molecolare per formare ozono. L’ozono viene infine rimosso ancora dal
monossido di azoto. Si noti che la reazione di ricombinazione (2) avviene tramite l’intervento di un
terzo corpo indicato come M (che sta per molecola), cioè di una molecola la cui presenza è necessaria
per far avvenire la reazione, pur non prendendovi essa parte direttamente2, mentre nella reazione di
2
Prendendo come esempio la dissociazione dell’ossigeno molecolare in due atomi di ossigeno, supponendo di assumere un sistema di riferimento in cui la molecola di O2 prima della reazione sia in quiete, per cui tanto la quantità
di moto che l’energia cinetica sono nulle, si avrà che dopo la scissione della molecola in due atomi di O, i quali pertanto
si allontaneranno l’uno dall’altro in direzioni opposte, mentre è possibile soddisfare la conservazione della quantità di
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dissociazione (1) l’energia necessaria a far avvenire la reazione è fornita dal fotone, il quale secondo
la meccanica quantistica ha energia pari al prodotto della costante di Planck per la frequenza della
radiazione. La concentrazione di ozono nell’atmosfera sarà quindi il risultato della competizione fra
queste tre reazioni. In presenza di un COV si aggiungono alle reazioni citate sopra altre reazioni (che
non possiamo riportare tutte in dettaglio sia perché comportano numerosi passi, sia perché con il
termine COV intendiamo in realtà centinaia di specie chimiche), ma denotiamo solo sinteticamente
come
OH
NO
+ COV
+ HO2
→
→
HO2
NO2
+
+
... (4)
OH (5)
Possiamo dire che l’effetto complessivo di queste reazioni è quello di portare alla formazione di
idroperossido HO2, il quale a sua volta può rimuovere NO ossidandolo a NO2; quest’ultima reazione
avviene senza intervento dell’ozono (a differenza della reazione (3)), la cui concentrazione perciò sale
rispetto al caso di assenza di COV nell’atmosfera. Se infatti in prima approssimazione supponiamo
che la reazione (3) sia in equilibrio, l’espressione della sua costante di equilibrio (ricordando che per
la legge di Dalton la pressione parziale di una specie i risulta data dal prodotto della sua concentrazione in termini di frazione molare – o di volume – Xi per la pressione totale), funzione della sola
temperatura
Kp,3 (T ) =
pN O2 pO2
XN O2 XO2
=
pN O pO3
XN O XO3
(7.1)
ci mostra che al diminuire della frazione molare di NO per effetto della reazione (5), e del conseguente
aumento di quella di NO2 , deve necessariamente corrispondere un aumento della frazione molare
dell’ozono nell’atmosfera:
XO3 =
XO2 XN O2
Kp,3(T ) XN O
(7.2)
Si noti che nella relazione di equilibrio la concentrazione di ossigeno molecolare nell’atmosfera si può
moto (se i due atomi si allontanano in direzione opposta con uguale velocità – in modulo), non risulta invece soddisfatta l’equazione dell’energia (perché l’energia cinetica dei due atomi di O è comunque positiva). Si impone quindi la
necessità di una collisione con un terzo corpo il quale fornisca l’energia necessaria a soddisfare i bilanci in questione.
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assumere costante, essendo ben poco influenzata dalla presenza di inquinanti a livello di tracce.
7.2
Impoverimento dello strato d’ozono stratosferico
Alcuni gas come i CFC (clorofluorocarburi) e gli ossidi di azoto sono in grado di distruggere le
molecole di ozono stratosferico (sono quindi classificati come Ozone Depleting Gases, ODG’s).
Figure 7.2: (Sinistra) Concentrazioni tipiche, invernali ed estive, di ozono in funzione della quota,
ad una latitudine media, da [3]; (destra) confronto con la quota tipica di volo degli aerei di linea.
Lo strato d’ozono stratosferico si forma per effetto dell’irraggiamento UV con 0, 18 < λ < 0, 243 µm,
che causa la fotodissociazione dell’ossigeno molecolare secondo la reazione
O2 + h ν → O + O
(7.3)
dove h ν indica l’energia del fotone incidente, essendo ancora h la costante di Planck, e ν la frequenza
della luce (= c/λ, con c velocità della luce). L’ossigeno atomico in tal modo formato reagisce poi con
ossigeno molecolare per dare appunto ozono:
O2 + O + M → O3 + M
(7.4)
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dove M indica un qualsiasi terzo corpo. Poiché a sua volta l’ozono formatosi ad alta quota assorbe
radiazione UV con 0,22 < λ < 0,32 µm, vedi fig. 7.1, il processo di formazione (7.3,7.4) è inibito
negli strati sottostanti dell’atmosfera, per cui mentre la concentrazione di ozono al livello del suolo
è relativamente bassa (intorno alle 50 ppb), si osserva un picco nella concentrazione di O3 intorno
ai 25 km di quota. La fig. 7.2 riporta (a sinistra) la concentrazione molecolare di ozono (espressa
cioè in numero di molecole per unità di volume, che è quella rilevante ai fini dell’assorbimento della
radiazione UV) al variare della quota, ad una latitudine media, evidenziando gli andamenti tipici
estivo ed invernale (al primo corrisponde una maggiore concentrazione di ozono, per il maggiore
irraggiamento per unità di superficie terrestre). La figura a destra (in cui però la concentrazione di
ozono è espressa in termini di pressione parziale3) mostra la quota tipica di volo degli aviogetti, e
permette inoltre di apprezzare l’aumento della concentrazione di ozono in prossimità del livello del
suolo dovuta a meccanismi indicati nel par. 7.1.
I gas che distruggono l’ozono sono:
a) specie chimiche di lunga vita media (cioè sostanzialmente inerti), che hanno quindi la possibilità
di diffondere dal livello del suolo, ove sono emesse, fino alla stratosfera, attraverso lenti processi
di diffusione molecolare (la diffusione turbolenta non è efficace oltre la cosidetta altezza di
miscelamento, una quota che può variare dai 200 ai 4000 m). Si tratta di CFC (come il freon
CFC–11, con vita media di 50 anni, ed il CFC–12, di vita media 102 anni) e del protossido
d’azoto N2O (vita media 120 anni);
b) a queste si aggiungono specie che sono invece direttamente immesse nella stratosfera dalla
combustione nei motori degli aviogetti, in particolare gli ossidi di azoto, tra questi anche il
monossido d’azoto NO, pur di vita media relativamente breve (in questo caso la vita media
non risulta influente perché emesso direttamente nella stratosfera, o comunque in prossimità di
essa).
Può essere definito, in modo simile al GWP4 , un indice della capacità di un gas di distruggere l’ozono,
detto Ozone Depletion Potential, prendendo questa volta come riferimento il gas CFC–11. La fig. 7.3
riporta indicazioni in merito.
Analizziamo ora i meccanismi chimico–fisici attraverso i quali gli ODGs distruggono l’ozono stratosferico. Esaminiamo dapprima l’effetto dei clorofluorocarburi (CFC, o freon), che, come dice il termine
3
La pressione parziale dell’ozono è legata alla pressione totale attraverso la legge di Dalton, pO3 = XO3 p, che può
essere riscritta come nO3 R0 T /NA dove nO3 rappresenta appunto il numero di molecole di ozono per unità di volume,
NA è la costante di Avogadro ed R0 la costante universale dei gas, quindi pO3 ∝ nO3 .
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Global Warming Potential, che indica l’efficacia di un dato gas come agente di serra, rispetto a quella della CO2 .
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Figure 7.3: Vita media, emissioni globali annue, ODP e GWP di vari gas.
stesso, contengono molecole di cloro, fluoro e carbonio. Nella stratosfera, la radiazione ultravioletta
scinde i CFC, liberando cloro atomico. La distruzione dell’ozono avviene allora attraverso i seguenti
due passi di reazione
Cl + O3 → ClO + O2
(7.5)
ClO + O3 → Cl + 2 O2
(7.6)
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I CFC sono estremamente efficaci nel distruggere l’ozono, perché nelle due reazioni successive indicate
non si ha globalmente consumo dell’atomo di cloro, per cui il processo può ripetersi innumerevoli volte
finché un qualche altro diverso processo non cattura tale atomo; in tal modo un singolo atomo di cloro
può distruggere da 10 000 a 1 000 000 di molecole di ozono. I CFC contenenti bromo (Halon, usato in
passato per spegnere gli incendi) risultano poi ancora circa molte volte più dannosi. I CFC, banditi
dal protocollo di Montreal del 1987, sono stati dapprima sostituiti da idroclorofluorocarburi (HCFC),
nei quali la presenza dell’atomo di idrogeno contribuisce a diminuirne la vita media nell’atmosfera, per
cui essi vengono in gran parte distrutti da processi naturali prima di avere il tempo di diffondere fino
alla stratosfera, con impatto quindi molto ridotto sulla strato di ozono. Gli idrofluorocarburi (HFC)
sono stati poi adottati perché risultano del tutto innocui sotto questo punto di vista, non contenendo
cloro. Tuttavia sia HCFC che HFC sono anche potentissimi gas di serra, vedi ultima colonna di fig.
7.3, per cui sono in fase di ulteriore sostituzione con idrocarburi leggeri come il pentano, che però è
un COV; per questo motivo, si punta ad utilizzare nel prossimo futuro ammoniaca oppure anidride
carbonica.
Il cloro gioca un ruolo particolare nel determinarsi del cosidetto ‘buco dell’ozono’ sull’Antartide,
dovuto alla formazione di nubi stratosferiche di anidride carbonica (causa la bassissima temperatura;
la CO2 sublima a -78 o C) che adsorbono acido cloridrico, il quale attraverso una successiva reazione
libera cloro molecolare; quest’ultimo sotto l’azione della luce (in particolare all’inizio della primavera
australe) si spezza in cloro atomico, attivando in tal modo la reazione (7.5) ed altre [5].
Passiamo ora ad esaminare i meccanismi di distruzione dell’ozono dovuti agli ossidi di azoto. Il
monossido d’azoto emesso direttamente dai motori degli aerei distrugge l’ozono attraverso la reazione
NO + O3 → NO2 + O2
(7.7)
Tale reazione è praticamente irreversibile. Si osservi che in questa reazione una molecola di monossido
di azoto distrugge una singola molecola di ozono, per cui esso è molto meno efficace dei CFC come
ODG.
Lo NO, oltre che dalle emissioni dei motori a getto, deriva anche dalla dissociazione del protossido
d’azoto (che come detto, a causa della sua lunga vita media può diffondere dal livello del suolo, dove
viene emesso da processi di combustione e soprattutto biologici – agricoltura e allevamento, fino
alla stratosfera) per reazione con uno stato eccitato dell’ossigeno atomico [qui indicato per brevità
come O∗ , ma che più correttamente andrebbe designato come O(1D)], che si forma per effetto della
decomposizione di una molecola di ozono sotto l’effetto della luce solare:
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O3 + h ν → O∗ + O2
(7.8)
Tale stato eccitato dell’ossigeno reagisce poi con una molecola di protossido d’azoto secondo la
N2O + O∗ → 2 NO
(7.9)
per dare quindi ancora monossido d’azoto che può di conseguenza ancora attaccare l’ozono attraverso
la reazione (7.7). Altre reazioni si affiancano a quelle citate, contribuendo a convertire il protossido
d’azoto in agenti che attaccano direttamente l’ozono. Per il protossido d’azoto l’ODP è valutato
intorno a 0,017.
Va detto che, mentre per i CFC sono state prese iniziative, è difficile al momento individuare una
strategia per ridurre sostanzialmente le emissioni di NOx e N2O dai processi di combustione, e dai
motori degli aviogetti in particolare.
7.3
Ruolo del protossido d’azoto
Il protossido d’azoto, come detto, è prodotto principalmente da processi bioogici (agricoltura, allevamento), e solo per circa il 20% da processi di combustione, vedi tab. 2.1. Oltre a promuovere
la distruzione dello strato di ozono stratosferico, esso è un potente gas di serra, con un GWP di
circa 300, contribuendo per circa l’8% al riscaldamento globale, vedi fig. 7.4. Dalla stessa figura
si può tra l’altro anche osservare che i CFC contribuiscono per oltre l’1%, pur essendo presenti in
una concentrazione atmosferica bassissima (meno di 1 ppb, vedi tab. 2.1), a causa del loro altissimo
GWP, vedi ultima colonna di fig. 7.3.
Il protossido d’azoto gioca anche un ruolo in una delle possibili strategie proposte per contenere
le emissioni di anidride carbonica, che sostiene la sostituzione dei combustibili fossili con biocombustibili, ottenuti processando opportunamente prodotti agricoli. In tal modo il carbonio degli
idrocarburi generati sarebbe ottenuto a spese dell’anidride carbonica atmosferica tramite il processo
di fotosintesi; nel successivo processo di combustione, tale anidride carbonica verrebbe resituita
all’atmosfera, senza quindi immissione netta di CO2 nell’atmosfera. Questa strategia pone tuttavia
diversi problemi. Una certa quantità di combustibile potrebbe essere ottenuta processando scarti
agricoli, senza richiedere perciò coltivazioni dedicate. Volendo tuttavia incidere significativamente
sul riscaldamento globale, sarebbe inevitabile ricorrere a coltivazioni dedicate (p. es. di canna da zucchero, colza, jathropa – peraltro velenosa, etc.) che sottrarrebbero evidentemente terreno coltivabile
(ed acqua dolce) a colture a fini alimentari. Si pensi per esempio che se anche tutta la produzione di
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Figure 7.4: Contributo dei diversi agenti di serra al riscaldamento globale, da [4].
mais degli Stati Uniti fosse convertita in biocombustibile, esso coprirebbe solo il 15% del fabbisogno
relativo ai soli veicoli leggeri (autovetture) [6]. Recentemente è stata proposta la produzione di
biocombustibili a partire dalle alghe marine, che potrebbe superare i maggiori punti negativi sopra
citati. In ogni caso, l’aumentata produzione di protossido d’azoto (come detto, potente gas di serra)
dovuta alle colture indicate sopra potrebbe più che compensare, ai fini del riscaldamento globale,
l’effetto della riduzione della quantità di anidride carbonica immessa nell’atmosfera.
Bibliografia
1. Environmental Research Letters, news release, 11.07.2013.
2. Fleagle, R.G. e Businger, J.A., An introduction to atmospheric physics, Academic Press, New
York, 1963.
3. McDermid, S., Leblanc, T., Cageao, R. and Walsh, D., Stratospheric ozone climatology from
lidar measurements at Mauna Loa, 2000.
4. IPCC, Fourth assessment report, 2007.
5. Liley, J.B., voce ‘Ozone’, in Encyclopedia of world climatology, Oliver, J.E., ed., Springer,
Dordrecht, 2005.
6. Hunt, S.C., Sawin, J.L. e Stair, P., ‘Cultivating renewable alternatives to oil’, in State of the
world 2006, Worldwatch Institute, Earthscan, London, 2006.
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