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CON-CORRERE PER COMPETERE
CON-CORRERE PER COMPETERE Le reti d’impresa tra territorio e globalizzazione a cura di Paolo Preti e Raffaello Vignali Da un’indagine della Fondazione Costruiamo il Futuro La Fondazione Costruiamo il Futuro nasce nel 2009 su iniziativa di Maurizio Lupi, già vicepresidente della Camera dei Deputati e oggi ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. La fondazione si prefigge come obiettivo «lo studio e lo sviluppo di una cultura politica che si fondi sul principio di sussidiarietà» (art. 3 dello Statuto). Per il raggiungimento del proprio scopo, la Fondazione esercita attività di studio e ricerca, informazione, formazione e divulgazione, contribuendo al dibattito politico-amministrativo e ponendosi come punto di raccolta del contributo delle realtà locali per l’elaborazione di proposte specifiche da sottoporre nelle sedi istituzionali più opportune. Costruiamo il Futuro è una fondazione con una spiccata attenzione al territorio; recupera e sviluppa infatti la presenza e le attività delle associazioni Costruiamo il Futuro a Merate e a Seregno. La peculiarità della Fondazione Costruiamo il Futuro è riscontrabile sin dal momento costitutivo. Essa infatti ha come soci fondatori oltre cento esponenti del mondo imprenditoriale, artigianale, culturale, liberi professionisti e amministratori estremamente legati e innamorati del proprio territorio. La Fondazione gode del Riconoscimento Nazionale previsto dal Codice Civile a testimonianza di una vocazione nazionale e rivolge la propria attività a tutti quei cittadini che a livello locale e nazionale, sociale e politico, con il proprio studio e la propria intrapresa, intendono impegnarsi nello studio e nell’applicazione di modelli di sussidiarietà, impegnandosi anche nella raccolta fondi e nel sostegno di esperienze sociali che studiano o realizzano il principio di sussidiarietà. CON-CORRERE PER COMPETERE Le reti d’impresa tra territorio e globalizzazione a cura di Paolo Preti e Raffaello Vignali da un’indagine della Fondazione Costruiamo il Futuro Introduzione di Maurizio Lupi Interventi di Giovanni Azzone, Ferruccio Dardanello, Roberto Nicastro, Antonio Tajani, Roberto Snaidero, Giuseppe Tripoli, Vico Valassi, Carlo Edoardo Valli ISBN 978-88-6345-465-9 © 2013 Il Sole 24 ORE S.p.A. Sede legale e amministrazione: via Monte Rosa, 91 - 20149 Milano Redazione: via C. Pisacane, 1 - 20016 Pero (MI) Per informazioni: Servizio Clienti 02.3022.5680, 06.3022.5680 Fax 02.3022.5400 oppure 06.3022.5400 e-mail [email protected] Fotocomposizione: S.E.I. Italia S.r.l. - Rovello Porro (CO) Stampa: Rotolito Lombarda – Via Sondrio, 3 – 20096 Seggiano di Pioltello (Mi) Prima edizione: settembre 2013 Tutti i diritti sono riservati. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15 per cento di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto all’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da EDISER Srl, Società di servizi dell’Associazione Italiana Editori, attraverso il marchio CLEAREdi, Centro licenze e Autorizzazioni Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana n. 108 20122 Milano. Informazioni: www.clearedi.org. Sommario 9 Introduzione di Maurizio Lupi INTERVENTI INTRODUTTIVI 17 Sinergia e collaborazione di Vico Valassi 19 Una risposta efficace e moderna di Carlo Edoardo Valli 21 Un limite strutturale da superare di Antonio Tajani 25 Il ruolo delle associazioni di categoria di Roberto Snaidero 35 Sostenere un tessuto produttivo fragile di Giuseppe Tripoli 41 Reti di imprese e reti della ricerca di Giovanni Azzone 6 51 Sommario Reti d’impresa e reti del credito di Roberto Nicastro e Zeno Rotondi 61 Un’opzione credibile di Ferruccio Dardanello PARTE PRIMA 69 1. - IL CONTRATTO DI RETE IN ITALIA: LO STATO DELL’ARTE Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca di Paolo Preti e Marina Puricelli 69 79 1.1 Il motivo di un successo 1.2 Il contratto di rete e le altre forme di aggregazione: miglioramento o replica? 90 1.3 Agevolare la creazione di reti e gestirle al meglio: a lezione dalla realtà 106 113 1.4 Da possibili tipologie a un inquadramento più ampio 1.5 Conclusioni 117 2. L’approccio europeo alle organizzazioni reticolari di Antonio Cattaneo e Roberta Romano 117 121 129 132 138 2.1 Le strutture di rete 2.2 I punti di forza delle strutture reticolari 2.3 Le criticità delle reti 2.4 Le reti di imprese nel contesto europeo 2.5 Strumenti europei di networking e applicazioni PARTE SECONDA 171 3. - I CASI La rete CHP-NET e Crisalide Net di Paolo Preti 171 174 3.1 Due reti per un unico progetto 3.2 Le aziende partecipanti Sommario 177 179 181 4. 3.3 L’oggetto della collaborazione 3.4 Le modalità della collaborazione La rete Diconet di Marina Puricelli 181 184 184 187 191 194 195 197 199 5. 4.1 Una lunga storia 4.2 Il primo nodo: la DI.CO Service 4.3 L’allargamento: Diconet e le sue consociate 4.4 Le aziende partecipanti 4.5 Il funzionamento della rete 4.6 La rete come risposta ai grandi committenti 4.7 I vantaggi della rete 4.8 Gli snodi futuri La rete Infrabuild di Marina Puricelli 199 200 205 207 209 211 212 213 215 6. 5.1 All’origine della rete 5.2 Le dieci imprese aderenti 5.3 Gli obiettivi della rete 5.4 Il progetto Eco Village e le altre ricadute dell’alleanza 5.5 La governance e le regole di funzionamento 5.6 Le economie esterne derivanti dalla rete 5.7 Le aree di miglioramento 5.8 A lezione da Infrabuild La rete Progetto Innovazione per il Business (PIB) di Paolo Preti 215 218 223 227 6.1 Sette aziende per un progetto comune 6.2 Le aziende partecipanti 6.3 L’oggetto della collaborazione 6.4 Le modalità della collaborazione 7 8 229 Sommario 7. La Rete di Imprese Biomedicale (Ribes) di Paolo Preti 229 234 243 245 247 8. 7.1 Un’azienda e tredici fornitori per un progetto comune 7.2 Le aziende partecipanti 7.3 L’oggetto della collaborazione 7.4 Le modalità della collaborazione La rete Steel Net di Marina Puricelli 247 248 252 254 256 257 258 259 9. 8.1 La nascita 8.2 Le imprese partecipanti 8.3 Gli obiettivi 8.4 La portata degli investimenti 8.5 La governance e le regole di funzionamento 8.6 I vantaggi 8.7 Le possibili aree di miglioramento Le reti in sanità di Antonio Cattaneo e Roberta Romano 259 261 266 9.1 L’applicazione dei modelli reticolari in sanità 9.2 Le malattie rare nella Regione Lombardia 9.3 Case study: la rete delle malattie rare della Regione Lombardia CONCLUSIONI 291 Le reti di impresa: evoluzione della normativa e linee per una nuova politica industriale di Raffaello Vignali 303 Gli autori 305 Bibliografia 1. Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca di Paolo Preti e Marina Puricelli1 1.1 Il motivo di un successo Il contratto di rete, disciplinato dalle leggi 33/2009 e 122/2010, ha occupato con profitto uno spazio che, nonostante si parli da anni di cooperazione tra aziende, non era coperto da nessuna altra modalità interorganizzativa. A giugno 2013 sono infatti 707 i contratti sottoscritti e oltre 3.681 le imprese che stanno lavorando con il nuovo strumento. E non è secondario osservare la velocità con cui la sottoscrizione di questi contratti è avvenuta nel tempo: se al 31 dicembre 2010 le reti formalizzate erano 25 per un totale di 157 imprese, esattamente un anno dopo erano già 251 per 1.350 imprese coinvolte. Il fenomeno riguarda tutte le regioni italiane dalla Valle d’Aosta, con un solo contratto di rete, alla Lombardia, che con 514 aziende implicate in 134 reti è quella che registra la presenza più numerosa. Per quanto riguarda i settori, secondo un’elaborazione Retimpresa su dati Unioncamere, il numero di reti è maggiore nei servizi e nella consulenza (16% del totale), nella meccanica e automazione (11%), alimentare, edilizia-infrastrutture ed energia (ciascuno con l’8%) e i servizi informatici (6%). 1 Pur nell’unitarietà dell’intento comune, i paragrafi 1 e 4 sono da ascriversi a Paolo Preti, il 2 e il 3 a Marina Puricelli. 70 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte Anche solo per questi numeri è lecito parlare di un indubbio successo. Precedenti proposte in argomento, pur senza il sostegno di una legge, non avevano ottenuto fin dall’inizio gli stessi risultati: l’idea di risolvere il problema favorendo la creazione di una holding tra diverse imprese proprietarie delegandone la gestione a un manager indipendente non ha sortito grandi effetti; lo stesso dicasi del provvedimento governativo di qualche anno fa che prevedeva sgravi fiscali alle imprese che avessero iniziato un percorso di collaborazione. Le formule sono semplici, ma calate dall’alto e per questo non seguite. Questo successo, anche se per ora soprattutto quantitativo, impone una prima riflessione: sono gli accordi che devono servire alle imprese, non viceversa. È bene, sia chiaro, studiare e proporre modalità alternative che incentivino una terza via tra “l’uomo solo al comando” e il fallimento, ma sempre tenendo presente che, giusto o sbagliato lo si ritenga, il fare impresa è mosso da un insieme di energia e orgoglio personali, sentimenti troppo importanti perché l’imprenditore riesca a metterli facilmente da parte. Le imprese di minori dimensioni possono cogliere, nelle molteplici possibilità di realizzare accordi interaziendali, più o meno strutturati, di breve o di lungo periodo, l’occasione di aumentare le proprie dimensioni competitive restando piccole. Nel momento della difficoltà a stare da soli sul mercato, ma anche per andare più veloci e più lontano nel momento dello sviluppo, c’è sempre l’opportunità della collaborazione interaziendale: più o meno formalizzata, dai gruppi di impresa alla partecipazione in comune a una fiera, dalla rigenerazione del distretto alla fondazione di un consorzio, dalla partecipazione a una centrale acquisti alla rete in franchising, dalla messa in comune dei clienti per aziende che operano in mercati diversi alla promozione di una filiera tecnologica. La collaborazione dovrebbe essere realizzata per ottenere i benefici effetti della grande dimensione senza sopportarne i costi. Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 71 Una collaborazione che parte dal basso Fin qui la teoria, il giusto auspicio, la possibile evoluzione di mentalità. La realtà comunica invece una sostanziale refrattarietà da parte degli imprenditori alla stipula di tali accordi, almeno finché se ne può fare a meno. Più la collaborazione è strutturalmente stringente, e dunque tra poche aziende, con finalità fortemente gestionali e con ampio coinvolgimento organizzativo, e meno si registrano naturali disponibilità a tali accordi tra imprese competitive. Del resto, l’obiettivo di una collaborazione tra piccole e medie imprese non deve essere necessariamente quello della crescita dimensionale, del fatturato, dei metri quadri coperti, del numero di collaboratori, se non nel caso in cui ciò sia vincolante per la propria sopravvivenza nel mercato di riferimento: molto meglio piuttosto puntare all’aumento del profitto nel lungo periodo. Se questo è possibile operando da soli sembra legittimo il dubbio verso gli accordi interaziendali, con tutte le oggettive difficoltà dovute all’elevata identificazione di queste aziende con l’imprenditore. Nessuna remora, invece, verso quelle forme di collaborazione mirate all’ottenimento di un risultato comune con coinvolgimenti organizzativi limitati e durata temporale relativamente breve che garantiscono il mantenimento di una propria ampia autonomia decisionale. Così come, posto che ce ne siano le condizioni e le possibilità finanziarie, verso fusioni, acquisizioni, incorporazioni perché in questi casi alla fine del processo il soggetto decisionale rimane uno solo. Anzi, lasciando al mercato fare pulizia di cattiva gestione, obsolescenza strategica, scarse motivazioni personali, complessità successorie e difficoltà varie, si creano ottime occasioni per buoni affari. Certo, in questo modo gli accordi tra imprese, soprattutto quelli più impegnativi, rimangono confinati nell’area pre-agonica e spesso dunque delegati a risolvere problemi molto complessi e delicati. Il successo del contratto di rete può allora nascere dall’essere 72 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte risposta a un bisogno concreto e percepito, laddove fino a quel momento gli accordi troppo spesso sono stati spinti dall’alto. E allora può essere interessante rileggere, non solo con questa prospettiva, quanto successo molto tempo fa. Fino ai primi dell’Ottocento nelle remote valli del Cadore si viveva di agricoltura, pastorizia, lavorazione del ferro e produzione di carbone per alimentare le fucine. Poi il legname cominciò a scarseggiare e la concorrenza dei primi prodotti industriali, più economici, mise in crisi i fusinèle, i fabbri che lungo le rive dei torrenti costruivano chiodi e attrezzi di ottima qualità. La situazione venne ulteriormente aggravata da due enormi alluvioni e da una forte crescita demografica (noi oggi potremmo dire che ci fu una crisi epocale – ndr), tanto che nella seconda metà dell’Ottocento dal Cadore partirono i primi emigranti in cerca di fortuna. Ma il Cadore era anche un’area dove le materie prime per preparare il gelato, il quale conobbe la sua grande fortuna proprio nell’Ottocento, non mancavano ed erano di ottima qualità. Lo spirito imprenditoriale, insito nei veneti, portò quindi molte persone, soprattutto nella Val di Zoldo, a intraprendere l’arte della fabbricazione del gelato per poi spingersi a venderlo al di là delle Alpi, in Austria, Germania, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia. Un fenomeno che, seppur stagionale, assunse dimensioni sempre maggiori, per raggiungere il suo apice tra la fine della seconda guerra mondiale e la metà degli anni Settanta. Dall’esigenza di mantenere un contatto con gli emigrati nasce nel 1966 l’associazione Bellunesi nel mondo, che ancora oggi conta diecimila soci e le cui prime azioni furono quelle di cercare di mantenere un contatto con gli emigranti sparsi in tutto il mondo e difenderne i principali diritti civili (previdenza, assistenza, istruzione dei figli, casa, doppia cittadinanza)2. La rete nasce dal bisogno e si fa risposta al bisogno connettendo imprese poste a competere in un mercato sempre più vasto e complesso dove, nonostante le loro ridotte dimensioni, queste hanno 2 Montagne, Domus Editore, n. 50, maggio 2011, p. 20. Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 73 saputo/dovuto affacciarsi per sopravvivere. Il problema allora non è “fare rete”, ma il riscoprire dentro l’agire imprenditoriale i tratti comuni di questa azione e, dunque, “sentirsi rete”, “essere rete”. Alla base di questo successo ci sono sicuramente anche altri fattori che saranno indagati nelle pagine successive, ma il punto di svolta rispetto a tanti tentativi del passato sembra essere quello appena descritto: non si tratta di un disegno, anche perfetto, calato dall’alto, ma di una proposta che nasce dal riconoscimento delle oggettive caratteristiche dell’agire imprenditoriale e che, tenendo conto di queste, intercetta un bisogno. In particolare, quello di mantenere un’elevata autonomia imprenditoriale, fattore tuttora fondamentale per molti piccoli e medi imprenditori: la rete è un soggetto che non paga tasse, che non ha partita iva, ha solo un codice fiscale ed è la cosa meno burocratica che c’è nel nostro paese, permettendo a ciascun imprenditore coinvolto di rimanere padrone a casa propria senza veder diminuite in nulla le proprie prerogative. Nello stesso tempo la rete permette di formalizzare rapporti, di avviare collaborazioni, di ottenere risultati. Del resto anche la precedente forma di collaborazione interaziendale di grande successo che il paese ha conosciuto, i distretti industriali, e che oggi, a distanza di tanti anni, vive una naturale fase di ripensamento, è nata con modalità analoghe: addirittura dal basso, non da una legge che arrivò solo molti anni dopo, e comunque riconoscendo il diffuso bisogno, e la conseguente motivazione, a mettersi in proprio, ad assumersi rischio imprenditoriale. Può essere utile ripercorrere, sia pure molto sinteticamente, quel passaggio storico. La rivoluzione culturale del ’68 e “l’autunno caldo” dell’anno successivo provocarono un’ondata di manifestazioni e di scioperi sconosciuta fin lì dal dopoguerra; lo shock petrolifero del 1973, dovuto alla guerra tra israeliani e arabi e alla solidarietà dei paesi produttori con quest’ultimi, ci costrinse a girare a piedi da poveri 74 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte per centellinare la benzina e non da ricchi come capita talvolta oggi per salvaguardare la salute. La situazione economica e politica era oggettivamente difficile. Gli scudi fiscali degli ultimi anni sono serviti a far rientrare in Italia capitali che iniziarono a “fuggire” allora, in parte anche in reazione al contesto istituzionale. Il terrorismo mosse in quel periodo i primi passi. L’inflazione galoppava, il debito pubblico pure e ce lo portiamo ancora oggi sulle spalle. Anni difficili dopo il boom economico del decennio precedente, prima vera industrializzazione del paese con la nascita di decine di migliaia di piccole e medie imprese. Lo Statuto dei lavoratori, legge del maggio 1970, e in particolare il suo articolo 18, che permetteva l’assenza del sindacato nelle aziende con meno di 15 dipendenti, fecero il miracolo e, con la ripresa di un ciclo economico positivo nella seconda metà di quella decade, suscitarono, più in difesa e per paura di quanto era successo negli anni precedenti che per altro, il moltiplicarsi di imprese di piccola dimensione: laddove per esempio operava un’impresa di 90 persone, con un processo di disintegrazione verticale ne nacquero, nello stesso territorio della prima, sei da 15. Prese così forma e si consolidò rapidamente il cosiddetto made in Italy, l’Italia dei distretti e dell’imprenditorialità diffusa. Il territorio in cui pochi anni prima ci si era rifugiati per sentirsi protetti da vincoli fiduciari diventa distretto e la fiducia di prossimità, da paravento, si trasforma in facilitatore economico. Si maturano economie di specializzazione e imprenditorialità diffusa con alcune imprese-guida che tirano le fila. Non una fuga, dunque, come era sicuramente stato all’inizio, ma una strategia di attacco: non si fugge più dalla competizione, anzi la si affronta insieme con ritrovata fiducia nei propri mezzi. Quella dei distretti, dunque, è stata ed è tuttora una forma di collaborazione interaziendale che, lungi dal comprimerla, ha favorito l’imprenditorialità perché, per continuare nell’esempio, laddove c’era un imprenditore ne sono spuntati altri cinque. Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 75 Sembra dunque di poter affermare, e l’argomento sarà approfondito nel secondo paragrafo, che tra le diverse forme di accordi proposte e/o realizzate nel corso degli ultimi cinquant’anni nel nostro paese quelle che hanno prodotto i migliori risultati, sia sul piano quantitativo della diffusione che su quello qualitativo dell’effettiva utilità, siano le modalità che più hanno concretamente saputo ispirarsi ai valori alla base di quel modello originale di sviluppo che, anche se poco riconosciuto e difeso, ha caratterizzato nello stesso periodo temporale il nostro agire economico3. Con la sottolineatura dell’esistenza di uno specifico modello di sviluppo non si vuole valorizzare solo la piccola dimensione tipica delle nostre imprese, ma estendere il riconoscimento ad altri fattori quali la vocazione imprenditoriale, la proprietà familiare e l’attività prevalentemente manifatturiera. Queste quattro caratteristiche, integrate fra di loro, costituiscono un unicum nel panorama economico internazionale per contributo alla creazione del prodotto interno lordo, per capacità di export, per numero di posti di lavoro e di imprese. Nel nostro paese, il contributo sul totale, in queste come in altre grandezze economiche, di imprese di piccola e media dimensione, di proprietà familiare, a vocazione imprenditoriale e con attività prevalentemente manifatturiera è tra i più alti in percentuale, ma spesso anche in valore assoluto, rispetto a quello realizzato da imprese a queste confrontabili in altre economie nazionali sviluppate, anche oggi nel pieno della crisi che stiamo attraversando. Il contratto di rete ben si inserisce in questo contesto perché considera e valorizza molte, se non tutte, queste quattro caratteristiche tanto da potersi proporre come evoluzione migliorativa delle più efficaci tra le precedenti modalità collaborative tra imprese. 3 Per un approfondimento si veda P. Preti, Il meglio del piccolo. L’Italia delle PMI: un modello originale di sviluppo, Egea, Milano, 2011. 76 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte C’è un’ultima considerazione preliminare da fare. La crisi economica strutturale che caratterizza il passaggio storico che stiamo vivendo obbliga le imprese a realizzare profondi cambiamenti per cercare di continuare a concorrere con possibilità di successo nei mercati di riferimento: ciò interessa ovviamente sia la strategia che l’organizzazione aziendale. In sintesi, per molte imprese, sicuramente per quelle più competitive, questo sembra concretizzarsi rispettivamente nella necessità di passare da una strategia fondata sulla riduzione dei costi a una tesa a realizzare innovazione, qualità e servizio e, contemporaneamente, nel progettare i confini aziendali in maniera flessibile sapendosi muovere tra esternalizzazione e internalizzazione4. Così come è difficile, infatti, fare qualità ricorrendo in larga parte ad aziende terze e a rapporti mercatistici, risulta di evidenza poco efficiente perseguire una politica di semplice contenimento dei costi internalizzando gran parte delle attività aziendali. L’azienda che vorrà vivere attivamente questo cambiamento dovrà dunque principalmente: perseguire laddove possibile una politica di nicchia attorno a prodotti e servizi di qualità, ri-internalizzare alcune funzioni aziendali, presidiare direttamente quelle fasi che sono tornate a essere critiche, andare all’estero con la funzione commerciale più che con quella produttiva, stabilire accordi con aziende innovative che permettano di sperimentare e non solo fatturare, investire in formazione e non solo in impianti. In particolare, queste aziende presidieranno con grande attenzione e in maniera flessibile i confini aziendali consci dell’elevato contenuto strategico delle scelte di make or buy. Ciò porterà a politiche di acquisizione di terzisti o, alternativamente, di internalizzazione di attività fino a quel momento acquistate all’esterno, ma 4 Per un approfondimento si veda P. Preti, M. Puricelli, L’impresa forte, Egea, Milano, 2007. Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 77 anche a una via di mezzo che, per ridurre i rischi di irrigidimento strutturale e i costi legati alle prime due alternative, preveda di continuare a comprare sul mercato le stesse attività ma da un numero selezionato, e dunque inferiore, di terzisti vincolati però da relazioni di lungo periodo costruite attorno a favorevoli modalità di pagamento per tempi e valori, coinvolgimento nella fase progettuale, supporto in termini di servizi e know-how ecc. Nel prossimo futuro si crede di assistere dunque, nel paese del modello originale di sviluppo, alla proliferazione di forme di comakership o, à la Ouchi, di mercati B o C, scambi cioè fra imprese in cui le caratteristiche di base della relazione sono quelle tipiche dei rapporti di mercato ma pensate per proseguire nel lungo periodo nell’interesse di tutti i partner per merito di iniezioni di gerarchia, e quindi di controllo, e/o di clan, e dunque di stima e fiducia reciproca. Così descritta una tendenza in atto, come non vedere nel contratto di rete una sua possibile modalità di concreta realizzazione: in particolare in quei contratti di rete denominati normalmente verticali, costruiti cioè da terzisti attorno a un general contractor e di cui troviamo ampia traccia anche nei casi più oltre descritti. Ecco dunque un’altra dimostrazione di come questa forma di collaborazione interaziendale si presti in maniera assai duttile a intercettare e dare risposta a bisogni provenienti dalla realtà. La ricerca Dopo aver registrato l’indubbio successo quantitativo ottenuto dal contratto di rete e avanzato possibili spiegazioni, occorre delineare il lavoro fatto. La ricerca, di cui si presentano qui i risultati, si è posta l’obiettivo di analizzare, attraverso l’approfondimento di sette casi aziendali, il funzionamento di alcune reti di imprese nel primo periodo della loro attività: si tratta, vista la vicinanza dell’entrata in vigore della legge, di un periodo temporale molto ristretto, alcuni 78 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte mesi perlopiù, al massimo un anno. Ciò inevitabilmente ha condizionato l’osservazione della realtà che si è dunque concentrata soprattutto sulle modalità che hanno condotto all’aggregazione e sulle tematiche di governance formale della rete: pochi sono i risultati concreti già prodotti infatti dalle reti. Quelle osservate sono ciononostante, e lo si afferma con forza per evitare fraintendimenti, reti funzionanti e attive, dalla cui analisi è possibile dunque ricavare insegnamenti utili e generalizzabili. Si tratta di reti che hanno coinvolto aziende di dimensioni diverse, con particolare incidenza però di piccole e medie, sia manifatturiere che di servizi, con sede sull’intero territorio nazionale, ma per comodità nel condurre le interviste concentrate soprattutto in Italia settentrionale, e operanti in diversi settori merceologici. Il numero medio delle imprese aderenti alle reti coinvolte nella ricerca è pari a 8 unità e solo in tre casi è uguale o superiore a 10. In particolare: CHP-NET (2), Crisalide (3), Diconet (17), Infrabuild (10), Progetto Innovazione Business (7), Rete Imprese Biomedicale (14), Steel Net (4). Ciò testimonia un dato generale: sono relativamente pochi i contratti di rete che raggruppino un numero elevato di imprese, anche in settori, come il commercio elettronico o la grande distribuzione, in cui sarebbe stato legittimo aspettarsi il contrario. È stata, inoltre, analizzata una rete non ancora formalizzata in contratto, ma che potrebbe esserlo in un prossimo futuro: la Rete delle Malattie Rare della Regione Lombardia che comprende 31 organizzazioni sanitarie (aziende ospedaliere, fondazioni ospedaliere, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, aziende ospedaliero-universitarie ecc.), 15 ASL e un centro di coordinamento. Per ciascuna rete si è proceduto con l’intervistare l’ideatore/promotore ricostruendo innanzitutto la storia dell’impresa o dell’ente che ha promosso l’alleanza e il suo posizionamento strategico e organizzativo. Si è poi proseguito con la ricostruzione delle storie Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 79 delle altre aziende associate e delle loro caratteristiche. I temi investigati hanno normalmente riguardato: ne della rete; ne della storia con tempi e stadi); ganizzativo assunto dalle parti); ed economici raggiunti; (resistenze al cambiamento); Non tutte le informazioni raccolte sono state poi utilizzate nella scrittura dei casi aziendali, ma tutte sono servite per elaborare questo capitolo introduttivo. 1.2 Il contratto di rete e le altre forme di aggregazione: miglioramento o replica? L’obiettivo di questo paragrafo è di mettere a confronto il contratto di rete con le altre forme di collaborazione tra imprese, per valutarlo in termini relativi e provare a spiegare le ragioni di quel successo, almeno quantitativo, di cui si è detto in apertura. Il contratto di rete rappresenta realmente un miglioramento rispetto al 80 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte passato oppure, come spesso capita, ci si è limitati a replicare con una nuova etichetta e qualche complicazione aggiuntiva vecchie e già sperimentate formule? Questa, in sintesi, la domanda a cui, anche sulla base di quanto emerge dai casi analizzati, si cercherà di rispondere nelle pagine che seguono. Il contratto di rete è, infatti, solo la più recente di una serie di modalità di aggregazione che le imprese italiane hanno praticato negli ultimi cinquant’anni. Nulla nasce per caso e così vale anche per questa nuova disciplina contrattuale: si arriva al contratto di rete passando attraverso l’evoluzione di altre forme. Le soluzioni sperimentate nel tempo, tra alti e bassi, sono molteplici e assai diversificate: conoscerle, nelle loro peculiarità, consente di capire meglio “l’ultimo arrivato”. Il termine “rete” è per giunta inflazionato e usato genericamente per descrivere qualsiasi modalità di collaborazione tra imprese5. In ragione di ciò sembra utile provare a far chiarezza e sgombrare il campo dalla confusione terminologica che in parte regna sull’argomento. A tal fine può essere utile partire da una prima e un po’ scolastica classificazione delle forme di collaborazione “storiche”, per poi analizzare una per una quelle che appaiono vicine al contratto di rete, valutandole in termini comparati. Per avere una panoramica abbastanza completa e ordinata si può ragionare per insiemi di aggregazioni informali, formali e patrimoniali, distinzione che pone il discrimine sulla natura della relazione tra imprese: può essere solo fiduciaria nel primo tipo, contrattuale nel secondo e proprietaria nel terzo. Alle unioni informali appartengono storicamente i rapporti di subfornitura e i distretti industriali. Nelle ag5 Per un approfondimento del tema si veda: AIP (a cura di), Modelli di crescita delle Il Sole 24 Ore, Milano, 2007; AIP (a cura di), Reti d’impresa oltre i distretti, Il Sole 24 Ore, Milano, 2008; AIP (a cura di), Fare reti d’impresa, Il Sole 24 Ore, Milano, 2009; AIP (a cura di), Reti d’impresa profili giuridici, finanziamento e rating, Il Sole 24 Ore, Milano, 2011. PMI, Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 81 gregazioni formali, cui si è aggiunto il contratto di rete, rientrano da molti anni i consorzi e le associazioni temporanee di impresa. Infine, sono inquadrabili come reti proprietarie le joint venture e le holding. Contratto di rete vs aggregazioni informali Una prima e fondamentale differenza tra il contratto di rete e le principali aggregazioni informali (subfornitura e distretto) attiene proprio alla natura del legame che si instaura tra i partecipanti: il contratto rappresenta una formalizzazione, una messa “nero su bianco” di un’intesa che in tutti gli altri casi resta tacita. L’informalità dell’accordo impegna le parti sul piano della fiducia e della parola data, ma senza alcun vincolo contrattuale. Entrando nel dettaglio di queste forme alternative, si può facilmente comprendere che il contratto di rete rappresenta un superamento delle relazioni di subfornitura. In questo caso, il rapporto si gioca tipicamente tra un’impresa guida e una serie di aziende terziste che s’impegnano a effettuare lavorazioni parziali o fornire componenti che saranno poi incorporati nell’attività economica del committente. La relazione che s’instaura, almeno all’inizio, è di mercato e di breve periodo, regolata da prezzi di compravendita e, come tale, può essere teoricamente da ambo le parti facilmente interrotta. La crisi recente ha mostrato però che, nella pratica, a soccombere è stato il versante strutturalmente più debole di questa relazione, ossia quello rappresentato dal terzista (tipicamente di piccole dimensioni), che può essere facilmente estromesso dall’impresa committente (quasi sempre più grande) in funzione di una logica di pura convenienza economica. Il contratto di rete, diversamente da quanto accade nella subfornitura, attraverso il rafforzamento formale della relazione, consente una maggior tutela e un maggior coinvolgimento del 82 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte terzista e, al tempo stesso, garantisce all’impresa leader il mantenimento nel tempo e il controllo più stretto delle competenze specialistiche del fornitore. Il fornitore diventa partner di rete, il committente ne riconosce il valore, l’orizzonte temporale del rapporto nell’interesse di entrambi i contraenti s’innalza al medio termine, aumenta il tempo per scambiarsi conoscenze e per fare innovazione. Si passa da un legame che può essere reversibile a una relazione più stretta che diventa interessante per entrambi i contraenti e come tale viene riconosciuta e protetta. Il contratto di rete può anche essere visto come un superamento, almeno in parte, del fenomeno dei distretti industriali. Proviamo, in estrema sintesi, ad argomentare quest’affermazione pur nella consapevolezza che i distretti, nonostante le difficoltà mostrate di recente, hanno avuto un ruolo fondamentale nella genesi del made in Italy, mentre il contratto di rete deve ancora dimostrare una pari statura. Il distretto è stato riconosciuto dalla comunità degli studiosi, a partire dagli anni Ottanta, come: Un’entità caratterizzata dalla compresenza attiva in un’area territoriale circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata di una comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali, ciascuna delle quali specializzata in una singola fase del processo produttivo tipico di quella zona6. Questa forma di aggregazione tra imprese, come già si ricordava nel primo paragrafo, nasce e si sviluppa nei primi anni Settanta, in modo assolutamente spontaneo, come risposta alla crisi del modello fordista dell’azienda totalmente integrata di grandi dimensioni e come reazione al già ricordato articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Il suo riconoscimento giuridico arriva molto dopo la sua 6 Definizione di Giacomo Beccattini, uno dei primi economisti italiani che lavorò sul tema del distretto dalla metà degli anni Ottanta in avanti. Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 83 diffusione solo con la legge 317/1991 (“Interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese”) e poi con la norma 140/1999 (“Norme in materia di attività produttive”). Il legislatore prende atto del fenomeno dei distretti solo a valle del loro manifesto sviluppo, dagli anni Settanta ai Novanta. Il periodo successivo all’inquadramento giuridico del sistema distrettuale, dal 2000 in avanti, sarà invece quello in cui, per la prima volta, esso inizia a mostrare, in certe aree più che in altre, segni di cedimento. Una serie di fattori esogeni tra cui principalmente l’avvento dell’euro e l’apertura dei mercati internazionali, con l’affacciarsi sulla scena italiana di nuovi concorrenti provenienti dai paesi in via di sviluppo, mandano in sofferenza il modello distrettuale. I due pilastri del distrettualismo, la concentrazione territoriale e la specializzazione su singole fasi del processo produttivo, che avevano determinato il successo economico di molte aree periferiche del paese fino alla fine agli anni Novanta, sembrano non avere più la forza portante rispetto al mutato contesto competitivo. L’ambito di azione locale e la specializzazione produttiva alla ricerca delle economie di scala non agevolano certo, anzi rischiano quasi di ostacolare, l’auspicato cambiamento delle imprese con l’adozione di strategie tese a realizzare innovazione, qualità e servizio e la loro necessaria apertura commerciale verso mercati sempre più lontani e diversi. Là dove iniziano a sentirsi i limiti del distretto, ancora una volta dal “basso” e per reagire alla crisi di questi ultimi anni, gli imprenditori sperimentano per loro iniziativa forme reticolari per fare innovazione, per rafforzarsi nell’area commerciale, per internazionalizzarsi, per stringere i legami con i grandi committenti, per raggiungere la scala dimensionale giusta per competere in un mondo diventato globale, andando oltre se necessario ai confini del territorio in cui sono insediati. Il contratto di rete, per via della duttilità che lo connota e per le diverse forme che può assumere, riesce a 84 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte rispondere a una o più di queste finalità. Mettendo insieme tipicamente imprese operanti su aree di business diverse, potrebbe allora rappresentare un parziale superamento del modello distrettuale poiché più in linea con la metamorfosi richiesta, da qualche tempo, a molte imprese italiane. Contratto di rete vs aggregazioni formali Significative differenze emergono anche nel caso in cui si mette a confronto il contratto di rete con le aggregazioni formali che, in teoria, per loro natura dovrebbero essergli più vicine. Una prima modalità consolidata che merita di essere analizzata in parallelo è quella del consorzio. Con tale contratto, regolamentato dagli artt. 2602 ss. del codice civile, «gli imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese». Normalmente i consorzi nascono con fini mutualistici e non lucrativi e sono di scopo, cioè hanno una funzione definita: gli acquisti, lo sviluppo di un prodotto, la tutela del marchio, l’internazionalizzazione dei mercati. Nel consorzio si associano imprese dello stesso tipo per raggiungere un obiettivo specifico che nessuno dei membri potrebbe – per dimensioni, competenze e capacità economica – realizzare da solo. Fuori dal consorzio i soci continuano a essere alla guida di aziende giuridicamente e gestionalmente autonome, spesso concorrenti. Già da questa breve descrizione emergono i punti di contatto ma soprattutto le differenze tra i due istituti, differenze che consentono di capire le possibilità d’impiego e le potenzialità future del contratto di rete rispetto al consorzio. Entrambi sono formali e disciplinati ex legem, entrambi prendono avvio intorno a un obiettivo che attiene al miglioramento della competitività dei partecipanti, entrambi preservano il mantenimento dell’indipendenza Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 85 giuridica delle aziende. A differenza del contratto di rete, però, il consorzio assume una propria identità istituzionale, con un’organizzazione continuativa e permanente, con funzionari dedicati. Può capitare, per esempio, che il segretario generale, a capo dello staff consortile, abbia più voce in capitolo del presidente, tipicamente un imprenditore scelto in rappresentanza dei soci. In molti casi, il consorzio diventa un centro di potere con un suo apparato burocratico. Il pericolo, non solo teorico, come nel caso dei consorzi di tutela del marchio, è quello di creare una sudditanza degli associati. I soci conferiscono i loro prodotti in esclusiva secondo le procedure stabilite, la loro qualità si allinea inevitabilmente sugli standard medi del consorzio e, così facendo, a lungo andare, gli associati rischiano di perdere parte della loro capacità imprenditoriale. L’autonomia delle aziende socie resta solo sulla carta, mentre, nei fatti, il consorzio, nella forma di azienda consortile o cooperativa, tende a “imprigionare” i suoi membri che, al di fuori di esso, faticano a stare sul mercato. Il piccolo produttore fuori dal consorzio rischia di sparire. L’esproprio d’imprenditorialità, che appare forse come il limite maggiore delle forme consortili, non si manifesta nel contratto di rete che, al contrario, incentiva l’autonomia dei partecipanti e li responsabilizza nella conduzione delle loro imprese. Alle aziende che costituiscono i nodi di rete, come esplicitamente previsto dalla legge, è chiesto di continuare a misurarsi all’esterno, per non correre il rischio di entrare in una logica di relazione e di mercato captive. Un secondo tipo di aggregazione formale che può essere confrontata con il contratto di rete è l’associazione temporanea d’impresa (ATI), che si configura come una collaborazione transitoria tra imprese che mantengono la loro indipendenza giuridica ed economica e sono direttamente responsabili, ciascuna per la parte di propria competenza, nella realizzazione di un progetto comune. L’ambito in cui si fa più spesso ricorso a questa modalità è quello 86 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte della partecipazione alle gare di appalto. L’aggregazione consente alle aziende aderenti di raggiungere una massa critica (associazione in orizzontale tra aziende concorrenti) o una pluralità di competenze (associazione in verticale tra aziende complementari) tali da permettere la partecipazione alle gare e, in caso di aggiudicazione, la realizzazione di opere che le singole partecipanti non sarebbero in grado di portare a compimento da sole. Come nel contratto di rete, le imprese associate mantengono nella forma e nella sostanza una piena autonomia giuridica. Anche le ATI presuppongono un impegno su uno specifico progetto che però, a differenza di quanto avviene nel contratto di rete, è sempre delimitato nel contenuto e nei tempi. La temporaneità dell’unione, che porta inevitabilmente con sé una prospettiva di breve periodo, un minor coinvolgimento dei partecipanti, una riduzione delle occasioni di confronto e di conoscenza reciproca e dunque anche un più corto respiro progettuale, rappresenta la più rilevante peculiarità di questo istituto. Un ulteriore connotato riguarda l’investimento organizzativo, praticamente inesistente nelle ATI, prive di struttura gerarchica e coordinamento. Infine, manca ancora una specifica regolamentazione giuridica: le indicazioni legislative sono al momento assai limitate. Queste caratteristiche, considerate congiuntamente, rendono l’ATI uno strumento simile al contratto di rete, ma molto più limitato e parziale, adatto solo in certi comparti – l’edile per esempio – per cogliere opportunità di breve periodo. È presumibile dunque che, data la vicinanza delle due forme, nei prossimi anni, si tenderà a ricorrere con più frequenza al contratto di rete per via della sua maggiore elasticità e chiarezza normativa rispetto all’ATI. Contratto di rete vs aggregazioni proprietarie Le aggregazioni proprietarie, va anticipato, si riferiscono a modelli di matrice anglosassone ampiamente sperimentati in contesti eco- Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 87 nomici che hanno strutture e regole molto diverse da quello italiano. Tra le varie modalità, che pur sempre muovono da operazioni del tipo acquisizioni e fusioni, due sono quelle più frequentemente citate come alternative agli schemi reticolari: le joint venture proprietarie e le holding. La joint venture è un tipo di collaborazione tra due società (coventurer) che promuovono la creazione di un nuovo soggetto giuridicamente indipendente (newco) da loro controllato a livello proprietario. Con la newco si dà vita, di frequente in un mercato o in un’area geografica diversa da quella delle due imprese alleate, alla realizzazione di un progetto di business specifico e autonomo che si fonda sul mix delle loro competenze originarie. La holding è, invece, una società che possiede azioni o quote di altre società in quantità sufficiente per esercitare un’influenza dominante sulla loro amministrazione. Può essere operativa o solo finanziaria a seconda che svolga o meno attività di produzione o scambio di beni o servizi. Bastano queste poche righe di descrizione per affermare che si è lontanissimi dal modello sottostante il contratto di rete. La natura proprietaria del legame tra le imprese implica un atteggiamento completamente diverso in capo ai partecipanti. Si tratta, infatti, di entrare in società con un socio per lanciare una nuova impresa che godrà di vita propria o di conferire le azioni della propria azienda a una capogruppo. In entrambi i casi, cosa che non avviene con il contratto di rete, è chiesto di non essere più completamente “padroni a casa propria”. L’imprenditore può anche restare nel nuovo aggregato ma ne perde il controllo esclusivo. Un secondo aspetto di diversità riguarda la consistenza dell’investimento interorganizzativo in risorse umane, tecniche e finanziarie: modesto per le reti di imprese e altissimo nella fattispecie dei legami proprietari, sia per la joint venture che deve necessariamente avere una sua struttura dedicata sia per la holding, che si presen- 88 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte ta con un livello di articolazione organizzativa tra capogruppo e consociate molto significativo. Un’ultima ma rilevante differenza riguarda la cultura manageriale: indispensabile per entrare con la giusta sensibilità e i corretti strumenti nei meccanismi di governo di una joint venture o di una holding, opzionale nella gestione di una rete di imprese. Questi tre caratteri, cioè la necessità di cedere in tutto o in parte la proprietà dell’azienda, il grande investimento interorganizzativo richiesto e la necessità di possedere una buona preparazione manageriale per garantire il funzionamento del nuovo aggregato, rendono le forme proprietarie molto distanti dal contratto di rete ma anche da alcuni dei caratteri tipici del fare impresa in Italia (di piccola dimensione, imprenditoriale, di proprietà familiare), anche se è doveroso sottolineare la presenza diffusa nel nostro paese di gruppi di imprese di piccola e media dimensione. Questa lontananza, per la proprietà transitiva, potrebbe diventare vicinanza del contratto di rete alle imprese del modello originale di sviluppo italiano, e consentirebbe di spiegare le ragioni di una diffusione così repentina. Il successo delle forme dal basso Il successo di questi primi tre anni del contratto di rete dovrebbe servire, una volta di più, a segnalare l’inutilità del trapianto di modelli, come le holding o le joint venture, che provengono da sistemi economici quasi opposti al nostro, fondati sulle grandi dimensioni, sulla managerialità e su un azionariato diffuso. Sembra che, e sarebbe un’ulteriore conferma dell’ipotesi di lavoro presentata nel primo paragrafo, il contratto di rete stia funzionando anche perché rappresenta la regolamentazione post factum di collaborazioni sorte spontaneamente e perché sa rispondere ai bisogni reali delle imprese italiane. Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 89 L’analisi comparata permette, al fondo, di affermare che, negli anni, hanno funzionato meglio le forme nate dal basso, come i distretti, piuttosto che quelle calate dall’alto usando modelli d’importazione. Il confronto fatto non consente di asserire che il contratto di rete sia in assoluto migliore delle altre modalità ma nemmeno che sia solo una nuova etichetta trovata per rilanciare forme di aggregazione che già erano state disciplinate. La legge che lo regola non è perfetta, però segnala una fondamentale inversione di tendenza e, per questo, una grande novità rispetto al passato: è una normativa che almeno fa il tentativo di avvicinarsi alle aziende che abbiamo, non a quelle che si potrebbero avere se fossimo americani, inglesi o tedeschi. Le legge sul contratto di rete, come anche lo Statuto delle imprese, che s’inserisce in questo filone normativo a sostegno delle piccole imprese, ossatura portante del tessuto economico italiano, prende atto della realtà, dimostra di conoscerla, non tende a imporre regole proponendo astrazioni che rischiano di essere utopistiche. È una norma che cerca di disciplinare un comportamento manifesto invece di pretendere di orientare “dall’alto” la volontà e l’iniziativa degli operatori. Forse anche e soprattutto per questa sua genesi sta avendo il successo che solo poche altre forme in precedenza hanno avuto. Per il futuro, inoltre, è plausibile immaginare che, data l’estrema elasticità in termini di obiettivi e programmi da perseguire, di tempi, di numero dei soggetti che si possono coinvolgere e di investimenti da prevedere, il contratto di rete porterà a una semplificazione rispetto al passato. Sembrerebbe sensato pensare che, d’ora innanzi, tutte le imprese che vorranno fare qualcosa insieme utilizzeranno questa modalità, declinandola poi a seconda del bisogno, senza più avere la necessità di vagliare o ricorrere alle forme pre-esistenti. 90 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte 1.3 Agevolare la creazione di reti e gestirle al meglio: a lezione dalla realtà Terminata l’analisi comparata con le altre forme di aggregazione e maturata l’ipotesi che il contratto di rete rappresenti, non privo di imperfezioni, qualcosa di nuovo (per la logica che gli sta dietro) e di buono (perché può essere una risposta alle esigenze attuali delle imprese), vale la pena misurarsi con la realtà. La ricerca, come già ribadito nella sezione introduttiva, racconta di un quadro molto composito e articolato. Per questo motivo la classificazione delle reti tra imprese, che sarà argomento del quarto paragrafo, diventa estremamente difficoltosa, facilmente inesatta ma utile per districarsi nella complessità del tema. La diversità dei casi di rete studiati, che potrebbe apparire come un limite di questa ricerca, diventa un’opportunità dal momento che offre un ambito ricco e interessante per approfondire le modalità di avvio, le scelte di governance attuate e le difficoltà incontrate e superate. Conoscere e discutere queste evidenze empiriche consente di capire “come fare” le reti d’impresa, acquisendo informazioni che una prospettiva solo macroeconomica e demografica del fenomeno – che è l’opposto del metodo dei casi – non può offrire. I casi, che come detto presentano molteplici differenze, permettono di individuare una serie di fattori, di circostanze e di linee di comportamento comuni che, senza avere pretese di generalizzazione, possono, in positivo, indicare alcuni punti fermi da seguire per arrivare alla costituzione di reti ben funzionanti. Dalle esperienze, approfondite attraverso un confronto diretto con chi le ha pensate prima e realizzate poi, emergono una serie di fattori agevolanti l’avvio delle reti e alcune aree di governance importanti per il loro funzionamento. Avere in mente, a priori, quali sono queste condizioni può essere utile per chi, essendo a vario titolo interessato al fenomeno delle reti, voglia evitare di cadere in errore. Ciascuna di queste condizioni, elencate e poi spiegate nelle due parti in cui si Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 91 articola questo paragrafo, ricorre nei casi esaminati assumendo però nelle varie situazioni un peso e una rilevanza differenti. I fattori che agevolano la creazione di un contratto di rete Gli elementi agevolanti la creazione di un contratto di rete sembrano essere i seguenti: 1. 2. 3. 4. presenza di un agente promotore; orientamento al cambiamento dei partecipanti; propensione alla gratuità; volontà di innovare nell’area commerciale e/o nella ricerca e sviluppo; 5. appartenenza di settore, di territorio o di associazione; 6. complementarietà e non concorrenza; 7. possibilità di mantenere la propria identità. Presenza di un agente promotore. Dalle esperienze prese in esame, si evince come alla base della rete ci sia quasi sempre un agente, un protagonista che funge da promotore della collaborazione. I soggetti che assumono tale ruolo possono essere singole persone o istituzioni. Può trattarsi di un imprenditore, che tendenzialmente poi resta all’interno della rete con un ruolo di guida, ma anche di funzionari di un’associazione, di una banca o di un’istituzione locale che possono rimanere anche solo a latere del raggruppamento una volta che esso si sia costituito. Il ruolo di questi soggetti, siano essi titolari d’impresa o rappresentanti di istituzioni, non è standardizzato. Essi appaiono, di volta in volta, come strateghi o organizzatori dell’architettura di rete, come leader o mediatori per creare coinvolgimento tra gli imprenditori chiamati a unirsi. Al di là del ruolo assunto, sembra di poter affermare che, senza un primus inter pares che abbia un’idea chiara e una motivazione forte, sia davvero difficile attivare delle 92 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte reti tra imprese. Si potrebbe anche dire, e sarebbe solo una conferma per chi ha una certa visione degli accadimenti economici, che anche in un fatto contrattuale come quello delle reti la persona, con la sua storia e la sua particolare sensibilità, faccia la differenza e ne sia il motore principale. In alcuni casi a fare da promotore della rete sono funzionari o consulenti che, con un impegno che va anche un po’ oltre quanto strettamente richiesto dalla loro posizione, assumono il compito di facilitatori nell’ideazione prima, e nella realizzazione della collaborazione poi. Laddove infatti l’imprenditore, da solo, non coltivi una visione d’insieme sulle evoluzioni del settore o del mercato e non colga i vantaggi della collaborazione, può essere utile la presenza di una terza parte che porti alla luce le possibili ricadute strategiche positive e promuova l’aggregazione agli occhi dell’imprenditore. È un approccio diverso, di tipo top-down, ma può rivelarsi ugualmente efficace come dimostra il caso della rete PIB, nata nell’ambito di Confartigianato Lecco. Anche quando i soggetti esterni non svolgono una funzione di primo piano o di registi dell’iniziativa, come nel caso di Confindustria per la rete Infrabuild e per la rete Ribes, la loro presenza costituisce ugualmente un fattore di facilitazione per la creazione del contratto. L’intervento di un terzo super partes può agevolare l’incontro tra le parti, attraverso la creazione di momenti ad hoc per promuovere la nascita della rete. In secondo luogo, un soggetto esterno può costituire un punto di riferimento neutrale per tutte le parti coinvolte, per risolvere eventuali dubbi legati ad aspetti tecnici del contratto di rete. In generale, dunque, il supporto di un’entità esterna risulta essere di grande importanza per integrare la volontà degli imprenditori con una spinta all’iniziativa e alla concretezza anche sotto il profilo legale, organizzativo, finanziario e operativo, oltre che per un ruolo di mediatore e garante per il giusto contributo di ciascuno. Orientamento al cambiamento dei partecipanti. Con riferimento al profilo dei soggetti che si impegnano nel ruolo di promotori Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 93 appena descritto, senza avere alcuna presunzione di valenza statistica, è possibile affermare che la rete è avviata più facilmente da persone caratterizzate da una notevole propensione al cambiamento, pronte a modificare i mezzi per raggiungere il fine aziendale della massimizzazione del risultato economico nel lungo periodo. Il ruolo ricoperto può variare (imprenditore, manager, artigiano, funzionario, consulente), l’età anagrafica pure (a credere e creare reti ci sono giovani e meno giovani); diverso è anche il loro profilo scolastico e di competenze (gli imprenditori laureati di Infrabuild, i periti artigiani di Diconet, gli ingegneri e i ricercatori di Steel Net e di Crisalide Net e così via). Indipendentemente dal profilo professionale, che, come si può facilmente costatare, è quanto mai variabile, sono sempre persone dotate di una spiccata apertura mentale. In tutti i casi ricorrono soggetti predisposti a lavorare per l’azienda anche fuori dai cancelli dello stabilimento, imprenditori o amministratori che normalmente si fanno parte attiva nella propria associazione territoriale o di categoria, funzionari che vivono il loro ruolo con un forte orientamento al cambiamento, pronti a provare e sperimentare, ad affrontare le difficoltà di un nuovo modello come quello del contratto di rete. Sono persone del calibro di Vittorio Grandi (rete Diconet), Matteo Assolari e Matteo Castiglioni (rete Infrabuild), Nelso Antolotti e Alberto Ravagni (reti CHP-NET e Crisalide Net), Filippo Landi (rete Ribes), Ezio Colombo (rete Steel Net) e Riccardo Bongiovanni (rete PIB), abituate a vivere la loro esperienza imprenditoriale o professionale quasi più fuori che dentro l’azienda, che si sentono a proprio agio in una logica di mutamento e di confronto continuo, intuendo di poter conseguire risultati mediante un disegno organizzativo che va oltre il perimetro definito delle loro aziende. La costituzione di una rete sembra essere agevolata proprio da questo tipo di tratto personale e lo dimostra anche il fatto che in molti altri casi i titolari, dopo un iniziale interessamento per il processo aggregativo, non vi hanno poi partecipato, avvertendo nell’alleanza una mi- 94 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte naccia troppo forte al loro status quo. Una criticità risiede dunque nella mentalità dell’imprenditore, che deve essere attento e pronto al cambiamento, inteso sia come ricerca d’innovazione sia come mutamento dei confini aziendali. Nelle realtà analizzate, ricorre una certa lungimiranza nei partecipanti, che si sono dimostrati disponibili a cogliere l’istanza di trasformazione proveniente dall’ambiente esterno se non, addirittura, ad anticiparla. Propensione alla gratuità. La rete, come si comprende da una lettura “tra le righe” dei casi esaminati, non può essere la chiave di volta per imprese e imprenditori in grande sofferenza, in piena crisi e vicini alla chiusura. Il contratto di rete che, come già detto, nasce e prende piede in uno dei periodi più duri della storia recente dell’economia nazionale (2009-2012), è presentato come risposta alle difficoltà strutturali di questi anni ma non può essere promosso da chi si trova in una posizione di conclamata debolezza. Che senso ha cercare compagni di viaggio per mettere insieme una flottiglia diretta verso acque più calme, se la propria barca sta affondando? In quel caso conviene prima di tutto mettersi in salvo più che in rete. Fuor di metafora, la rete chiede anzitutto gratuità e disponibilità di tempi, mezzi ed energie: quanti viaggi, riunioni, telefonate, mail occorre fare per arrivare a siglare il contratto davanti al notaio? E dopo tutti quegli impegni si è di fatto solo alla linea di partenza. Per fare rete, prima, occorre avere in mente di dare e poi, solo in seguito, di ottenere vantaggi che non sempre si traducono immediatamente in incrementi di fatturato e di utile per le singole aziende partecipanti. Si tratta, come per il punto precedente, di una propensione, di un orientamento presente in alcune persone per un fatto naturale e/o educativo. Quando si ha questo atteggiamento si trasmette qualcosa in più che sostanzia e dà senso alla relazione, al legame, allo stare insieme. Questa “generosità” è diffusa nelle figure che popolano i casi studiati che, ancora una Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 95 volta “senza dovere niente”, si sono resi disponibili a raccontare la loro esperienza di rete. Per cedere parte delle proprie risorse ad altri occorre avere quella mentalità, oltre a una certa tranquillità derivante da un discreto posizionamento economico e competitivo della propria azienda. La gratuità, così intesa, diventa una delle molle per far partire la rete e, subito dopo, un importante ingrediente per il buon funzionamento del contratto. Molti, infatti, oltre a quelli iniziali, saranno i momenti in cui, in rete, ci si spende e ci si prodiga senza alcun tornaconto nel breve periodo, confidando in risultati magari indiretti e di lungo periodo. Volontà di innovare in area commerciale e/o nella ricerca e sviluppo. La volontà di innovare rientra in tutti i casi di rete considerati ed è strettamente coerente con lo spirito della legge in materia: Con il Contratto di Rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora a esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa. Essa può tradursi nel desiderio di migliorare l’area commerciale o l’area della ricerca e sviluppo ovvero di rendere più visibile quello che si sa fare e di trovare nuove soluzioni di prodotto per competere meglio. Nel settore della subfornitura, come già accennato, il modello classico del terzista “monofase” privo di un apparato commerciale è da qualche anno in grande difficoltà: a queste imprese è richiesta una reazione per non soccombere. Ci sono quindi reti realizzate a scopo difensivo integrando competenze tecniche differenti ad attività di ricerca di nuovi clienti in mercati tradi- 96 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte zionali o nuovi. Sempre in area commerciale, anche se ciò non è testimoniato dai casi proposti, la rete può essere utile per imprese già operanti con un proprio prodotto sul mercato finale ma desiderose di allargare, insieme perché sinergiche, il raggio di attività. In presenza di una forte contrazione degli sbocchi commerciali locali, poter accedere a clienti o canali distribuitivi internazionali diventa una necessità. La ridotta dimensione media delle aziende, se da un lato favorisce un migliore presidio della qualità, dall’altro non consente di affrontare gli investimenti richiesti per un’attività di comunicazione, marketing e vendite oltre confine. La rete, che porta a mettere insieme e sommare gli sforzi economici, può rendere possibile l’avvio di processi d’internazionalizzazione altrimenti al di fuori della portata delle singole realtà. Senza immaginare soluzioni complesse, in molte reti, si ragiona semplicemente per selezionare alcune azioni di marketing rispetto alle quali condividere le spese: traduzioni delle brochure e dei siti internet, partecipazione a fiere e realizzazione di stand, spese di trasferta all’estero, costruzione di portali per l’e-commerce. A partire da questioni molto pratiche, in relazione alla fiducia e al clima che si crea attorno al tavolo di rete, possono nascere, in un secondo tempo, anche occasioni di scambio di clienti che portano a un oggettivo e misurabile allargamento del portafoglio dei singoli partecipanti. A tal fine diventano fondamentali, come si vedrà più avanti, la complementarietà e la non concorrenza degli aderenti. La rete può anche essere scelta per far collaborare imprese che vogliono impegnarsi, con diverse tecnologie, nella realizzazione di nuovi prodotti o servizi. È il caso, come esemplificato dalle diverse aziende di PIB, che si presenta quando un certo numero d’imprese mette insieme le forze per realizzare un progetto di coinnovazione a cui tutte contribuiscono in qualche misura. L’innovazione intesa come miglioramento a partire dalla ricerca e sviluppo diventa il vero driver della rete che aggrega, in questa fattispecie, soggetti Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 97 molto diversi gli uni dagli altri, portatori di conoscenze differenziate e altamente specifiche. Appartenenza di settore o di territorio o di associazione. Un altro elemento che facilita la costituzione di un contratto di rete e che agevola il “mettersi intorno a un tavolo” per iniziare a pensare a progetti da portare avanti insieme è la vicinanza tra le aziende partecipanti. Può trattarsi di una vicinanza derivante dall’appartenere al medesimo settore o alla medesima filiera, pur nella differenza delle aree di affari in cui le singole aziende partecipanti alla rete normalmente operano. Tale radice comune assicura, se non proprio di parlare la stessa lingua, quantomeno una maggiore unità d’intenti. Può trattarsi di vicinanza territoriale: senza fare confusione con il fenomeno del distretto, che abbiamo già chiarito essere diverso dalle reti, il fattore della prossimità tra le imprese può giocare un ruolo importante nelle fasi di start-up di questa forma di collaborazione. La localizzazione delle imprese all’interno di un ristretto ambito territoriale facilita l’incontro, il confronto, la messa a punto del progetto. Permette poi di vedere un risparmio in termini di costi, poiché abbatte le spese logistiche di stoccaggio e movimentazione dei prodotti che spesso transitano attraverso tutte le imprese della rete per le diverse fasi di lavorazione, come nel caso di Diconet, di Steel Net e di PIB. L’elemento territoriale non può però essere considerato l’unico fattore determinante: le nuove tecnologie e, in generale, la facilità di mobilitare informazioni, persone e merci, stanno rendendo possibili forme di aggregazione anche tra soggetti geograficamente distanti come nel caso della rete Ribes che spazia e coinvolge imprese lungo tutta la penisola. Infine, e in parte come conseguenza di quanto appena affermato, la vicinanza che facilita l’avvio di una rete può derivare anche dall’appartenenza alla medesima associazione, che può fare perno sulla categoria o sul territorio. Le frequentazioni degli imprendito- 98 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte ri in Confindustria Monza-Brianza piuttosto che in Confartigianato Lecco, per citare le associazioni coinvolte in alcuni dei contratti esaminati, portano con più facilità a ragionare su possibili collaborazioni per superare le difficoltà contingenti, della categoria o del territorio. Partecipare attivamente alla vita della propria associazione, anche per il forte impegno assunto negli ultimi anni da alcune di queste sul tema delle reti, può essere per molti imprenditori, artigiani e manager un modo per conoscere e avvicinarsi all’argomento. Complementarietà e non concorrenza. Tutti i casi esaminati che, vale la pena qui ricordare, coinvolgono poco meno di un centinaio di aziende, mostrano progetti di collaborazione siglati tra imprese che operano in aree di affari più o meno complementari ma mai direttamente concorrenti. Anche quando il settore è comune ciascuna impresa appare specializzata su una singola fase di prodotto, di servizio o di lavorazione specifica e diversa dalle altre partecipanti. Questa non coincidenza favorisce l’alleanza e crea valore aggiunto consentendo di offrire un pacchetto completo al cliente che di norma le singole aziende, soprattutto quando di minori dimensioni, non riescono a proporre. È il riconoscimento di una qualche forma di complementarietà tra committente e fornitore, tra terzisti o imprese appartenenti alla stessa filiera, tra grande e piccola azienda a incoraggiare l’adesione alla rete. Può essere, come osservato nei casi, una complementarietà strategica di prodotti o di servizi, ma anche di mercati serviti o di dimensioni (si parla comunemente di reti tra piccole imprese ma il contratto di rete è spesso un fenomeno che integra la grande e la piccola come nel caso Ribes o Steel Net). Pur riconoscendo le molte positività del contratto di rete, occorre ammettere che esso non risolve il tema della frammentazione tipica di molti comparti dell’economia italiana. L’essere concorrenti diretti allontana dall’adozione di questa forma, troppo Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 99 flessibile e troppo poco vincolante per le parti. L’unione tra concorrenti spinge, non senza rischi, verso soluzioni ancora più formali, come il consorzio, o al limite verso reti proprietarie come la holding o il gruppo d’imprese risultanti da un processo di acquisizione o di fusione tra competitor. Possibilità di mantenere la propria identità. Un elemento, specifico del contratto di rete, che sembra agevolarne l’adozione è la possibilità da parte dei soggetti aderenti di mantenere la propria identità aziendale. Sapere a priori e potere in itinere non rinunciare alla propria individualità e al proprio sviluppo è riconosciuto come uno dei fattori che incentivano gli imprenditori a fare rete. Accrescere la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato dovendo rinviare all’istituzione di un terzo soggetto, autonomo e diverso dai partecipanti all’accordo, come accade in altre forme di cooperazione, è stato ed è per l’imprenditore italiano, connotato storicamente e culturalmente da una forte dose d’individualismo, un elemento ostacolante. D’altra parte questo spiccato tratto della personalità, che gioca a sfavore della creazione di accordi più strutturati o di fusioni aziendali, è anche quello che facilita l’assunzione del rischio di avviare e gestire un’azienda, prendendo decisioni di peso, spesso senza l’appoggio e il sostegno di chi imprenditore non è. Dal momento che, come già affermato nel primo paragrafo, non si può chiedere agli imprenditori di mettere da parte questo tratto distintivo, conviene farsi una ragione del loro individualismo e comprendere il perché della loro maggiore propensione verso una forma come il contratto di rete che a priori garantisce di mantenere la propria identità e la propria indipendenza. Anche dopo la fase di avvio, questa condizione si rivela particolarmente utile. Poter continuare a essere imprenditori autonomi permette, indirettamente, di rafforzare il funzionamento della rete. Si può facilmente comprendere che, se vincolati a un impegno quotidiano nella 100 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte loro azienda per ottenere buoni risultati, i partecipanti alla rete non si adageranno su di essa, abdicando la loro capacità imprenditoriale a un soggetto terzo, come accaduto in altre forme di collaborazione quali i consorzi e le cooperative. Anche nei casi di rete, come Ribes o Steel Net, dove la grande impresa potrebbe assorbire tutto il fatturato dei partner di rete e trasformarli in appendici totalmente dipendenti dalla capofila, si preferisce lasciare ai partecipanti più piccoli la possibilità di continuare per una percentuale non irrisoria del proprio volume d’affari a confrontarsi con il mercato, per non perdere quella capacità imprenditoriale che, se diffusa tra i nodi di rete, indirettamente la rafforza. I fattori che favoriscono il funzionamento della rete Spiegati i fattori personali e aziendali che risultano importanti per la creazione di una rete, è utile proseguire illustrando quelle che, nei casi visti, emergono come le tre principali aree di governance da presidiare nella fase di attuazione: 1. chiarezza nella condivisione dell’obiettivo; 2. chiarezza nelle regole di funzionamento; 3. gradualità e costanza nel processo. Chiarezza nella condivisione dell’obiettivo. A maggior ragione per il contratto di rete, in quanto aggregato di più soggetti che lascia loro ampia discrezionalità, sembra appropriato il motto francescano, che può valere per orientare le scelte organizzative di una singola impresa: «Cammina bene l’uomo se sa dove andare». Non ha senso darsi una forma organizzativa e delle regole di funzionamento di un tipo piuttosto che di un altro se non si è determinata prima la strategia. Le esperienze di successo, non a caso, partono e si sviluppano attorno a obiettivi chiari, specifici e condivisi, dif- Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 101 ficili ma non irraggiungibili. Il riscontro di questa affermazione è rintracciabile più nei programmi di rete che nei contratti. Mentre nei contratti infatti lo scopo è spesso esplicitato, ma mantenuto su un piano piuttosto generico («La rete si pone l’obiettivo strategico di fare innovazione e di innalzare la capacità competitiva delle singole aziende partecipanti attraverso lo scambio di know-how per la realizzazione di progetti comuni»), nei programmi di rete i progetti che attraverso la collaborazione si intendono realizzare sono chiaramente definiti. Quando ciò è formalizzato con un buon grado di sintesi e con una certa chiarezza espressiva, che consente anche ai non addetti ai lavori di capire l’oggetto dell’unione, si può ipotizzare che i partecipanti, perlomeno idealmente, abbiano condiviso la meta. Quando, all’opposto, il programma non riesce a essere né sintetico né comprensibile il dubbio di una scarsa chiarezza a monte delle finalità di rete è spesso abbastanza fondato. In queste condizioni converrebbe non partire e provare a dedicare ancora un po’ di tempo alla convergenza d’intenti e di idee da tradurre in progetti fattibili. Chiarezza nelle regole di funzionamento. «La chiarezza dell’obiettivo aiuta a partire con il giusto passo nella realizzazione del programma di rete. Anche l’originalità dello scopo, come si è visto, porta a positive e inaspettate ricadute in termini di pubblicità e visibilità delle aziende aderenti. Tali benefici rischiano però di svanire rapidamente in presenza di regole poco chiare»7. In altri termini, è fondamentale che la “strategia” di rete sia definita ma è altrettanto importante che sia seguita da un’organizzazione coerente fatta di divisione del lavoro e gerarchia, di regole e di meccanismi operativi di funzionamento definiti. Vi è insomma una dotazione organizzativa minima di rete, in parte già prevista dalla 7 Affermazione emersa nelle interviste relative al caso della rete Infrabuild. 102 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte legge, dalla quale non si può prescindere pena il fallimento del progetto. A livello gerarchico è fondamentale il ruolo del manager di rete, una figura che indipendentemente dall’appellativo che gli viene riconosciuto (responsabile, presidente) faccia da vero referente. Poiché tale ruolo implica un impegno un po’ superiore rispetto a quello richiesto agli altri partecipanti, è probabile che esso ricada naturalmente su quelle figure che hanno fatto da promotori e da primus inter pares nell’avvio del progetto di rete e che sono particolarmente dotate di quel tratto di “generosità” cui si è accennato. Altrettanto importante è la funzione del comitato di gestione, un organo decisionale e di integrazione che coinvolge tutti i partecipanti alla rete. Il problema che si pone, nei casi di rete che coinvolgono un numero molto ampio di attori, riguarda la creazione di comitati troppo ampi, tavoli in cui si pensa e si pretende di decidere in venti o più soggetti. Il rischio, con organi collegiali così ampi, è quello di vedere di molto rallentato il processo decisionale e/o di discutere di questioni più operative che strategiche. Meglio prevedere, in presenza di una rete che coinvolge molti nodi, oltre al manager di rete, una sorta di consiglio di amministrazione più ristretto del comitato di gestione, focalizzato sulla presa di decisioni strategiche e di lungo periodo. Le problematiche operative e di breve termine saranno, con questa strutturazione, affrontate e risolte a livello di comitato. Anche questa soluzione, come il caso della rete Diconet sta mostrando, non è priva di lati deboli poiché inevitabilmente implica un minimo di burocratizzazione della rete evitando però il rischio, più grave, dell’empasse decisionale. Fondamentale poi è che vengano formalizzate nel contratto la sua durata, le modalità di recesso, la titolarità e le modalità d’uso del marchio di rete, la partecipazione a bandi, la gestione della proprietà industriale e intellettuale, i rapporti con i terzi, le clausole di riservatezza e le modalità di scioglimento della rete. Si tratta di punti che, a rischio Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 103 di eccesso di zelo, vanno necessariamente approfonditi e definiti, pena il buon funzionamento dell’accordo. Indispensabile è inoltre la definizione di un fondo patrimoniale di rete e dei meccanismi di conferimento e di utilizzo per far fronte agli impegni esplicitati nel programma. Altri meccanismi operativi di funzionamento della rete, non introdotti in ottemperanza alla legge, ma voluti dai contraenti – per esempio nella rete Infrabuild – a garanzia di una migliore gestione dell’accordo, riguardano infine la redazione di un documento di rendicontazione annuale, compilato secondo i principi contabili propri dei bilanci di esercizio delle società per azioni e di un bilancio previsionale per anticipare all’inizio dell’anno le attività che il vertice della rete intende svolgere. Gradualità e costanza nel processo. Un ultimo ingrediente per il buon funzionamento di una rete, per la sua tenuta nel tempo e, addirittura, per la sua evoluzione in qualche forma di accordo di natura proprietaria, è dato dalla gradualità e dalla costanza che dovrebbero caratterizzare il processo. La realtà mostra che i tempi della rete sono necessariamente un po’ lunghi: la rete non è infatti lo strumento ideale per chi pretende risultati immediati. La gradualità nella realizzazione non deve però sfociare nell’inefficienza di chi trascina o rimanda di continuo, non deve diventare stallo decisionale tipico di collettivi mal funzionanti. Per evitare che ciò accada la rete deve essere gestita con la massima costanza ovvero mantenendo una certa continuità nei momenti decisionali di gruppo (nel consiglio di amministrazione di rete o nei comitati di gestione). Dai casi, soprattutto quelli in cui la rete ha più storia come in Diconet o in PIB, emerge nei diversi stadi di vita della rete la positività di un approccio graduale ma anche il rischio che esso si trasformi in lentezza o addirittura in stasi. Tale pericolo va contrastato introducendo regolarità negli incontri e metodo nella presa di decisioni. Al 104 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte limite, come visto in certi casi, anche facendosi supportare da consulenti esterni che aiutano i partner a rispettare i tempi e le logiche dei processi decisionali di gruppo, piuttosto diverse da quelle che caratterizzano la presa di decisioni individuali cui l’imprenditore è di solito abituato. La gradualità, inoltre, permette di verificare la bontà dell’aggregazione, degli obiettivi fissati e dei meccanismi organizzativi scelti. Sulla base dei risultati ottenuti, nel rispetto della normativa e senza grossi impieghi di capitale, è possibile aggiustare il tiro favorendo l’ingresso o l’uscita di alcuni nodi di rete, rafforzando o meno i meccanismi di governance. Ancora più importante, dal punto di vista degli imprenditori, la gradualità facilita l’accettazione del percorso di aggregazione non rendendolo un evento definitivo fin da subito. In tal modo l’imprenditore ha la possibilità di cogliere i vantaggi della rete senza sentirsene prigioniero, ma considerando la possibilità di uscirne in qualsiasi momento con una certa facilità. Questa “via di fuga” agevola psicologicamente gli imprenditori che si trovano a poter valutare una proposta di aggregazione e verificarne le positive ricadute in termini di risultati, prima di impegnare il capitale dell’azienda e le proprie energie in un accordo più forte e stabile ma allo stesso tempo difficilmente reversibile. Da questo punto di vista il contratto di rete potrebbe anche rappresentare un momento di apprendimento e di sperimentazione per arrivare a delle aggregazioni di natura proprietaria. La costituzione di una forma proprietaria, per esempio di una holding, incrementa notevolmente la complessità di gestione rispetto alle singole realtà aziendali coinvolte e a fronte di questo è facile scontare una carenza di competenze necessarie per saperla gestire efficacemente. Arrivare a un’aggregazione proprietaria passando per un contratto di rete significa avere il tempo per collaudarne sia le finalità più strategiche che i meccanismi di funzionamento organizzativo, permettendo a chi si trova ai vertici delle aziende coinvolte di acquisi- Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 105 re progressivamente le capacità per poi riuscire a governare l’intero aggregato. Affrontare questo passo avendo già dei dati concreti sulla bontà della cooperazione può invece fornire una motivazione forte per ridurre le naturali resistenze verso una forma di accordo più strutturata. Volendo sintetizzare quanto emerso dalla realtà, si può concludere che ci sono una serie di fattori personali e aziendali che portano con più facilità all’adozione del contratto di rete, oltre ad alcuni punti fermi che ne garantiscono un buon funzionamento. Non si fa rete in assenza di un promotore e di partecipanti che abbiano uno spiccato orientamento al cambiamento e una forte propensione alla gratuità nei loro comportamenti. Si sta insieme per contratto con più facilità in virtù di una reale volontà di innovazione, di un’appartenenza sentita al proprio settore, al territorio o alla propria associazione, a partire dal riconoscimento di una complementarietà tra il proprio business e quello degli altri partner e con la consapevolezza di mantenere una propria autonomia aziendale. I contratti di rete funzionano se, chiarito dove si vuole arrivare, ci si dota con la massima gradualità e costanza di quel giusto mix di organizzazione e regole necessarie per giungere all’obiettivo nei tempi stabiliti. Così facendo è possibile che un accordo snello e flessibile possa anche evolvere nel tempo, se necessario, in una forma più strutturata, stabile e duratura. L’osservazione delle pratiche aziendali permette di avvalorare, da un’altra prospettiva, l’ipotesi di lavoro già più volte emersa: meglio divulgare e far conoscere i comportamenti e le azioni che permettono di creare e di essere una buona rete, che a sua volta potrebbe diventare palestra per successive fusioni, piuttosto che continuare a teorizzare accordi connotati da importanti scambi proprietari e da robuste architetture organizzative e manageriali che risultano troppo distanti dal modello imprenditoriale di partenza. 106 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte 1.4 Da possibili tipologie a un inquadramento più ampio Le principali finalità per cui le imprese italiane hanno finora siglato un contratto di rete sono: innovazione di prodotto e/o processo (51%); promozione rete/commercializzazione prodotti (30%); aumento del potere di mercato (29%); maggiore efficienza nella produzione (25%); condivisione di informazioni (21%) e sviluppo dei mercati esteri (18%)8. Al di là delle aree di collaborazione, in cui sembrerebbe prevalere quella commerciale in senso lato, tuttavia, è bene ribadire due principi generali. La rete non può servire a fare insieme ciò che non si è capaci di fare da soli, ma a fare meglio e prima ciò che, concettualmente, si potrebbe anche fare da soli. Con tutte le eccezioni che si possono facilmente trovare a questa affermazione, basti pensare alle reti costruite da terzisti attorno a un general contractor, si vuole qui sostenere l’opportunità che in qualunque rete ci sia un coinvolgimento attivo di tutti i partecipanti, fin dal momento ideativo dell’oggetto della collaborazione. È ovvio che l’esito della messa in comune di diverse competenze può permettere di raggiungere obiettivi sfidanti e anche fuori dalla portata del singolo, ma perché ciò avvenga realmente occorre che quegli obiettivi siano, almeno come ambizione, nella visione e/o nella possibilità di tutti. Ciò è particolarmente vero nelle reti tra pari dove i partner sono animati da una comune cultura imprenditoriale e tecnico-specialistica. Dove questa condizione non si verifica prima o poi qualcuno prevale su altri ponendo così fine all’esperienza di collaborazione, almeno su un piano teorico. In secondo luogo, come già detto in precedenza, troppa differenza non fa gioco. Come in un buon matrimonio ciascuno deve contribuire con qualcosa, e in questo la sinergia è essenziale, ma se le diversità, anche in positivo, sono eccessive si rischia, dopo l’iniziale innamoramento, la fine per 8 Fonte: Servizi studi e ricerche di Intesa Sanpaolo e Mediocredito Italiano. Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 107 incompatibilità caratteriale. È inoltre doveroso precisare che non ha grande respiro strategico, e dunque possibilità di proseguire nel tempo, dare vita a una rete per risolvere difficoltà strutturali di singole aziende o per raccogliere l’opportunità di incentivi pubblici. Per alcuni9 le reti possono essere di due tipi: piramidali o di servizio. Le prime, dette anche verticali perché costruite sostanzialmente attorno a un’impresa capofila con la quale le altre già collaborano da tempo, hanno l’obiettivo di migliorare le performance delle piccole imprese della filiera, e indirettamente anche la loro autonoma capacità competitiva sul mercato di riferimento, assicurando vantaggi economici al main contractor. Le seconde, identificate anche come orizzontali, riguardano quei casi in cui tante piccole imprese concorrenti scelgono di tentare unite la via dell’internazionalizzazione o della sfida dell’innovazione tecnologica affrontando insieme, e dunque con minori costi e maggiore facilità operativa, le problematiche conseguenti come addestramento del personale, studio delle leggi locali, approntamento di una rete vendita, investimenti in attrezzature, deposito di brevetti. C’è inoltre chi10 identifica una polarizzazione tra due modelli che fanno perno sulla governance: quello in cui tutte le imprese partecipanti alla rete siedono nell’organo di governo centrale e il modello “monocratico” in cui la realizzazione del programma di rete viene affidata a una sola impresa che così diventa leader del progetto. Come anche alcuni casi più avanti descritti dimostrano, non c’è alcuna correlazione, al contrario di quanto potrebbe sembrare in astratto, tra verticalità e monocrazia e dunque è possibile trovare reti ampiamente gerarchizzate perché costruite attorno a una consolidata collaborazione di terzisti con un main contractor che tuttavia hanno istituito un organo comune partecipato da tutti i partner. 9 Intervista a Fabrizio Landi, amministratore delegato Esaote SPA. Analisi comparativa dei contratti di rete realizzata dalla Fondazione “Bruno Visentini” con RetImpresa Confindustria e Unioncamere. 10 108 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte Per altri11, la tipologia, non riferita peraltro ai contratti di rete perché proposta prima dell’entrata in vigore della legge a essi dedicata, è più complessa. Alle reti baricentriche, sostanzialmente paragonabili a quelle piramidali o verticali, e a quelle orizzontali di condivisione, corrispondenti, anche se in una concezione più ampia, a quelle di servizio, si aggiungono quelle professionali, quelle associative, quelle distrettuali estese, quelle territoriali, quelle per l’innovazione, quelle generatrici di eventi e quelle epistemiche e culturali. Nelle reti professionali i soggetti non sono imprese ma professionisti e knowledge worker indipendenti, ma le motivazioni degli attori e la fonte delle economie che la collaborazione genera sono simili a quelle delle reti fra imprese. Le reti associative nascono su iniziativa di associazioni imprenditoriali, territoriali o di categoria, con l’obiettivo di creare e sviluppare servizi rivolti alle aziende iscritte. In questo caso il soggetto promotore è prevalentemente espresso dall’associazione, spesso con l’iniziativa e il supporto di qualche impresa associata particolarmente attiva. Le reti distrettuali estese rappresentano la naturale evoluzione, su base non territoriale, dei distretti alla ricerca di nuove modalità di approvvigionamento, soprattutto, ma anche di commercializzazione in una prospettiva di tipo globale. Le reti territoriali sono pensate e progettate per creare infrastrutture e organizzare servizi finalizzati allo sviluppo del territorio e alla competitività delle imprese in esse operanti: i soggetti promotori sono tipicamente gli enti pubblici territoriali e le camere di commercio. Le reti per l’innovazione sono normalmente costituite fra aziende e centri di ricerca e/o università e la collaborazione è naturalmente finalizzata al perseguimento dell’innovazione tecnologica. Le reti generatrici di eventi fanno riferimento a iniziative, più o meno continuative nel tempo, rivolte all’organizzazione di eventi di tipo culturale e/o di 11 AIP (a cura di), Reti d’impresa oltre i distretti, Il Sole 24 Ore, Milano, 2008. Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 109 business. La loro importanza non sta solo nell’organizzazione di un evento periodico, per esempio una fiera o un festival, che diventa occasione di incontro ed esperienza condivisa per molte persone e imprese, ma anche nella creazione di collegamenti e convergenze tra i numerosi operatori che contribuiscono a vario titolo alla realizzazione dell’iniziativa. Infine, le reti epistemiche e culturali sono quelle che si formano attorno a una proposta dotata di elevato potere di convinzione e di attrazione che genera a sua volta un circuito di persone che cominciano a propagarla e a esprimere una domanda corrispondente. Si tratta di tipologie utili a inquadrare una modalità d’azione, quella della collaborazione tra imprese, che nel contratto di rete ha trovato una formalizzazione quanto mai utile, pur perfettibile, ma che sicuramente non limita né costringe nel suo utilizzo la fantasia imprenditoriale. Si può anzi affermare, come già richiamato, che d’ora in poi chiunque voglia realizzare una qualsivoglia forma di accordo tra imprese sarà portato a porsi sotto l’ombrello del contratto di rete. E anche questo, se così sarà, sarà segno del successo maturato. In un contesto come quello appena delineato può essere dunque utile andare oltre la singola tipologia, di per sé classificatoria e statica, e inquadrare il contratto di rete in una prospettiva evolutiva. A questo fine può essere utile fare riferimento allo schema classificatorio riportato in figura 1.1. Esso si fonda sull’analisi di due variabili indipendenti: la natura degli obiettivi che spingono all’accordo – che possono essere direttamente gestionali o di altro tipo – e la consistenza dell’assetto interorganizzativo, cioè il livello di investimento in risorse umane, tecniche e finanziarie che si intende sostenere. Le attività congiunte che comportino un ritorno diretto e immediato sul “che cosa si produce, come e con chi, dove e a chi si vende” sono quelle aventi ricaduta diretta sulla gestione delle aziende che hanno originato il processo di collaborazione. La se- 110 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte Figura 1.1 Un modello di riferimento in termini di collaborazione interaziendale Alta Imprenditorialità di gruppo 1 Consistenza dell’investimento interorganizzativo 2 Bassa 3 Collaborazione di facciata Altri obiettivi Collaborazione destrutturata Obiettivi direttamente gestionali Obiettivi prioritari dell’accordo Fonte: Preti P., L’organizzazione dell’impresa minore, Egea, Milano, 1991 conda configurazione della variabile in esame vuole invece indicare la situazione in cui l’attività collaborativa tende a realizzare obiettivi che solo indirettamente si ricollegano alle finalità istituzionali delle singole imprese. Nella realtà è possibile incontrare, con una certa facilità, situazioni di collaborazioni interaziendali finalizzate all’ottenimento di vantaggi e benefici non connessi all’attuazione diretta di combinazioni economico-produttive: la ricerca di contributi e finanziamenti pubblici partecipando a iniziative consortili e la volontà di conseguire un miglioramento dell’immagine aziendale aderendo a un’iniziativa di promozione e certificazione del marchio del settore di appartenenza sono, dunque, esempi di obiettivi non direttamente gestionali. Naturalmente non si intende proporre la generalizzazione dell’uguaglianza tra finanziamento pubblico e collaborazioni fittizie: l’esperienza sul campo tuttavia dimostra l’esistenza di molti casi di questo tipo. L’altra variabile, la consistenza Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 111 dell’assetto interorganizzativo stabilito tra le imprese coinvolte, ha il compito di considerare le conseguenze dell’accordo stesso in termini di investimento nella struttura organizzativa, nei meccanismi operativi e nello stile di direzione. Si definiscono accordi con bassa consistenza dell’assetto interorganizzativo quelli caratterizzati dal mantenimento delle strutture organizzative preesistenti e in cui il funzionamento e il coordinamento sono assicurati da meccanismi operativi di tipo elementare, cioè non formalizzato. Nel caso opposto si hanno invece strutture organizzative poste in essere appositamente per gestire la collaborazione e spesso caratterizzate da una destinazione e un impegno esclusivi verso la relazione interaziendale. I meccanismi operativi sono formalizzati e il potere di comando e controllo è equamente suddiviso tra le parti coinvolte. Il venir meno di quest’ultima caratteristica, con lo squilibrio di potere a favore di una delle parti, indebolisce la consistenza dell’assetto organizzativo come avviene nel caso di certe joint venture che, razionalmente pensate a tavolino, finiscono poi, proprio per il motivo appena descritto, per fallire nella pratica la propria missione. L’incrocio delle due variabili consente di classificare tre tipologie di accordo: la collaborazione di facciata, la collaborazione destrutturata e l’imprenditorialità di gruppo. Nel quadrante 3 ricadono quegli accordi che sono costituiti principalmente per il conseguimento di finalità non economico-produttive: il connotato di impegno fittizio e apparente si scontra evidentemente con un elevato investimento interorganizzativo, il livello del quale, peraltro, non può essere preordinato ed è questo il senso della linea tratteggiata. Nel quadrante 2 il principale fattore determinante la collaborazione è la ricerca di economie di gestione, la “bassa consistenza organizzativa” è qualificata dall’utilizzo di strutture preesistenti, aventi destinazione non specifica e non esclusiva verso il rapporto collaborativo e con meccanismi operativi di tipo elementare. È possibile dunque utilizzare l’espressione di tangenza tra le imprese coinvolte 112 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte nella relazione interaziendale, al fine di evidenziare i rapporti diretti attivati tra gli organi aziendali già operativi. Questa modalità comprende una seconda situazione che non si discosta da quella appena esposta: oltre ai rapporti diretti fra le strutture delle singole aziende può anche esistere un nucleo centrale comune ai partner. Tale nucleo risulta tuttavia decisamente marginale lasciando alla relazione diretta tra le imprese la gestione delle problematiche di maggior rilievo. Nel quadrante 1, infine, opera l’imprenditorialità di gruppo: le imprese destinano strutture e risorse apposite ed esclusive alla conduzione della collaborazione e si può parlare di gestione congiunta della stessa intendendo che anche le modalità di attuazione delle attività collaborative sono congiunte. Le attività/funzioni esternalizzate, e svolte congiuntamente in specifiche strutture, si pongono come un prolungamento stabile e ben definito della sfera operativa aziendale. Ciò che qui si intende con imprenditorialità di gruppo comprende una molteplicità di contenuti che vanno dalla gestione congiunta di fasi che anticipano la trasformazione fisicotecnica (progettazione, design), di fasi inerenti la produzione in senso stretto e infine di fasi che la seguono (commercializzazione, distribuzione, pubblicità) fino alla realizzazione di una nuova combinazione economica risultante dalla fusione di singoli contributi. Il contratto di rete si può configurare, per la limitata consistenza dell’investimento e per la natura degli obiettivi perseguiti tra le aziende, prevalentemente gestionali, come una forma di collaborazione destrutturata che si presta a essere prodromo di accordi più strutturati nella forma di imprenditorialità di gruppo. Qualora il contratto di rete rispondesse invece solo a obiettivi legati alla convenienza fiscale e all’acquisizione di finanziamenti rientrerebbe in pieno nelle forme di collaborazione di facciata. Questa modalità di approccio al tema della collaborazione interaziendale permette, dunque, di valutare non tanto le intenzioni in partenza, con le conseguenti tipologie, quanto la realizzazione pratica e in itinere Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 113 dell’accordo stesso. Si pensa dunque che sarà quanto mai necessario monitorare l’evoluzione concreta dei tanti contratti di rete sin qui siglati per poter capire nei fatti e non solo nelle dichiarazioni di principio o nelle prime mosse operative la reale consistenza di ciascuno di essi. 1.5 Conclusioni Dopo aver descritto le motivazioni teoriche e le caratteristiche operative che sembrano essere alla base di quello che appare come un iniziale notevole successo del contratto di rete, si vogliono ora delineare i temi che restano ancora aperti e che dunque è auspicabile trovino risposta al più presto. Va subito detto che le proposte sono molte e provenienti da diverse parti a ulteriore testimonianza dell’interesse che questo strumento ha saputo creare fin dal suo primo apparire. Occorre innanzitutto dare attuazione pratica a quanto stabilito dallo Statuto delle imprese, legge dal novembre 2011, che ha introdotto anche in Italia quanto già previsto in Europa dallo Small Business Act. All’articolo 2 si afferma infatti: Sono principi generali della presente legge, che concorrono a definire lo Statuto delle imprese e dell’imprenditore: a) la libertà di iniziativa economica, di associazione, di stabilimento e di prestazioni di servizi, nonché di concorrenza, quali princìpi riconosciuti dall’Unione europea; b) la sussidiarietà orizzontale quale principio informatore delle politiche pubbliche, anche in riferimento alla creazione d’impresa, in particolare da parte dei giovani e delle donne, alla semplificazione, alla tassazione, allo stimolo del talento imprenditoriale, alla successione d’impresa e alla certificazione; c) il diritto dell’impresa di operare in un contesto normativo certo, dove la discrezionalità sia l’eccezione; d) la progressiva riduzione degli oneri amministrativi a carico delle imprese, in particolare delle piccole e medie imprese, ai sensi di quanto disciplinato in mate- 114 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte ria dalla normativa europea; e) l’innovazione, quale strumento per una maggiore trasparenza della pubblica amministrazione e per la garanzia della possibilità di partecipazione e di accesso delle imprese, in particolare delle micro, piccole e medie imprese, alle politiche pubbliche; f) la reciprocità dei diritti e dei doveri nei rapporti fra imprese e pubblica amministrazione; g) la tutela della capacità inventiva e tecnologica delle imprese per agevolarne l’accesso agli investimenti e agli strumenti di tutela della proprietà intellettuale; h) il diritto delle imprese all’accesso al credito informato, corretto e non vessatorio; i) la promozione nel sistema dell’istruzione scolastica di ogni ordine e grado e della formazione professionale della cultura imprenditoriale e del lavoro autonomo; l) la promozione di misure che favoriscano la trasmissione e la successione di impresa; m) il sostegno pubblico, attraverso misure di favore fiscale e di semplificazione amministrativa, alle micro, piccole e medie imprese, in particolare a quelle giovanili e femminili e ad alta tecnologia; n) la promozione dell’aggregazione nel sistema produttivo attraverso il sostegno dei distretti e delle reti di imprese. Il disegno di legge “semplificazioni bis” (ottobre 2012) prevede, e ciò è sicuramente molto positivo, la possibilità di includere le reti di imprese tra i soggetti abilitati a partecipare alle gare d’appalto pubbliche come già accade per le associazioni temporanee di imprese e i consorzi stabili. Tuttavia, restando in tema, occorre recepire quanto affermato in linea di principio dallo Statuto anche in termini di accordi di semplificazione amministrativa che dovrebbero estendere ai contratti di rete i relativi vantaggi in termini di avvio di nuove attività, in materia urbanistica, nella rendicontazione degli incentivi e per i sistemi di certificazione, nell’impiego dei macchinari. Altra decisione importante è quella contenuta nel decreto sviluppo convertito nella legge 134/2012 laddove si stabilisce il vincolo per i terzi di rivalersi solo sul fondo comune delle reti e non sulle singole imprese: ciò ovviamente incentiva a dotarsi di fondo patrimoniale e di organo comune e, di conseguenza, a partire con Il contratto di rete: riflessioni su una prima ricerca 115 un investimento interorganizzativo di buon livello. Contemporaneamente si stabilisce che i contratti possono essere redatti non solo come atto pubblico o scrittura privata autenticata, ma anche con firma digitale o elettronica autenticata. In materia di politiche attive per il lavoro, Confindustria, e segnatamente Aldo Bonomi che come vicepresidente dell’associazione e presidente di RetImpresa12 molto sta facendo in argomento, ha elaborato un pacchetto di proposte denominato Win-Work in network per utilizzare il contratto di rete anche in materia di gestione del personale favorendo l’impiego ottimale, e dunque flessibile, delle persone fra le aziende partecipanti alla rete. Il tetto di 48 milioni di sgravi fiscali, stabilito nel 2010, risulta ampiamente superato dai numeri di contratti stipulati nel frattempo e pare logico chiederne l’aumento proporzionale, per alcuni a 100 milioni, con un parallelo aumento dello sgravio previsto per ciascuna impresa da uno a due milioni nel caso di progetti di internazionalizzazione. Così come occorre favorire, facendo recepire il contratto di rete in sede europea, la possibilità di sviluppare collaborazioni imprenditoriali anche al di fuori dei confini nazionali. Una sensibilità in tal senso esiste già, come dimostra l’interesse manifestato dai governi tedesco e francese e come viene in parte descritto nel successivo capitolo. L’obiettivo è quello di inserire le reti d’impresa nella programmazione comunitaria 2014-2020 e accedere così ai fondi strutturali per la ricerca e l’innovazione. Di grande importanza, inoltre, è assicurare alle imprese una capillare assistenza tramite le diverse associazioni imprenditoriali, territoriali e di categoria, nella realizzazione pratica del contratto di 12 Nata nel 2009, subito dopo l’approvazione della legge sviluppo in cui è inserita la norma che regola il contratto di reti di imprese, a oggi tale ente associa 61 soci effettivi (40 associazioni territoriali, 10 Confindustrie regionali, 3 associazioni nazionali di categoria, 8 federazioni di settore) e 7 soci aggregati. L’associazione, nel quadro degli scopi istituzionali di Confindustria, si pone quale sede di coordinamento e sviluppo al servizio degli associati con particolare riferimento alle reti di imprese. 116 Il contratto di rete in Italia: lo stato dell’arte rete. Da questo punto di vista molto si sta facendo: dall’identificazione di un responsabile nazionale per le reti d’impresa da parte di CNA alla messa a punto di un progetto “Reti e alleanze tra imprese” fatto da alcune reti territoriali di Confindustria, in primis Lecco, che prevede l’offerta di un modello commentato di contratto di rete e di un pool di esperti a disposizione gratuitamente per un primo orientamento su aspetti giuridici, fiscali ed economici. Un’iniziativa analoga è stata promossa in Lombardia da Intesa Sanpaolo con Confapindustria, Confartigianato, Confcommercio, Confindustria, CNA e Unioncamere. Va inoltre segnalato che alcune reti, tra esse alcune qui raccontate, nascono all’interno delle associazioni stesse con il fattivo supporto di quegli uffici e di quelle infrastrutture. Infine, si può scorgere all’orizzonte il sorgere di un problema con l’Antitrust nel momento in cui alcune reti ottenessero così elevato successo da porsi nel proprio mercato, o nicchia di mercato, in posizione predominante. Ciò implica anche risolvere il problema delle eventuali richieste di entrata nella rete, una volta che questa sia già formata e funzionante, da parte di nuove aziende non beneaccette dai fondatori. I temi aperti sono dunque ancora molti, ma nessuno si sarebbe aspettato, appena due anni fa, un successo così importante. Almeno su un piano strettamente quantitativo. Eravamo un paese grande in un mondo piccolo e ci siamo trovati a essere un paese piccolo in un mondo grandissimo. Le nostre imprese – principalmente micro, piccole e medie – hanno quindi dovuto rielaborare la loro strategia per diventare grandi, restando piccole, per unirsi senza perdere la propria autonomia. Le molte modalità proposte nel corso degli anni non sempre hanno saputo incontrare i bisogni e le aspettative del mondo imprenditoriale: dopo i distretti quella del contratto di rete sembra una formula destinata ad avere successo perché tiene conto delle caratteristiche del mondo a cui è destinata. Il libro presenta i risultati di un’indagine sull’utilizzo dei contratti di rete da parte delle aziende italiane e quindi sette casi reali che possono essere considerati best practice di questo nuovo modo di fare impresa. Paolo Preti è professore associato di Organizzazione aziendale presso l’Università della Valle d’Aosta e professore incaricato di Organizzazione delle Piccole e Medie Imprese presso l’Università Bocconi. Raffaello Vignali già direttore generale dall’Irer e presidente della Compagnia delle Opere. Eletto deputato nel 2008, è attualmente vicepresidente della Commissione Attività produttive, Commercio e Turismo della Camera. Il libro è stato realizzato con la collaborazione di