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Zanclea nella villa dei misteri di Pompei antica
NICOLA GLIELMI ZANCLEA NELLA VILLA DEI MISTERI DI POMPEI ANTICA IL GRANDE DIPINTO DIONISIACO Prima edizione Nicola Glielmi – “Zanclea nella Villa dei Misteri di Pompei antica”, Tommaso Marotta Editore – Napoli, 2000 ZANCLEA NELLA CORRENTE di Valerio Evangelisti Uno scritto di Nicola Glielmi, si tratti di un saggio scientifico, di una memoria, di una creazione letteraria, è sempre per il lettore un'esperienza sorprendente. Lo è perché vi ritrova un flusso vitale che la società odierna ignora, condanna o nasconde. Qualcosa di estremamente scandaloso, e anche di inquietante, agli occhi dei fantocci irrigiditi che siamo divenuti, e che diveniamo ogni giorno di più. L'energia vitale è il segreto di Nicola Glielmi: come uomo, come scienziato, come scrittore. Difficile, per chi ha avuto la fortuna di incontrarlo, dimenticare la vivacità del suo sguardo, il vigore della parlata, la fluidità nel gestire, il tutto condito da una sorta di malizia infantile che nulla ha di cattivo e di ombroso. Semplici doti umane? Non solo questo. Nicola Glielmi ha avuto il privilegio di toccare, attraverso un'esperienza culturale, professionale e di vita assolutamente esemplare, le grandi correnti segrete a cui aveva avuto accesso il suo maestro, Wilhelm Reich. Quei torrenti impetuosi di energia che fanno di agglomerati di cellule creature di carne animata, e che reggono i meccanismi dell'affinità, dell'attrazione, della perpetuazione della specie. Freud, nella sua scontrosa genialità, aveva avuto l'intuizione dell'esistenza di quelle correnti, ma si era limitato ad immergervi il dito. Lo aveva ritratto subito, turbato, e alla sua scoperta aveva assegnato poco più di un nome: libido. Ma cos'era la libido? Reich non si accontentava di una definizione priva di contenuto. Scavò fino a trovare il fiume nascosto, ed ebbe la sorpresa di scoprire che si trattava di un oceano: tanto vasto da ricoprire per intero l'esistente, e tanto tumultuoso da agitarne le forme organiche in tutte le loro manifestazioni. La libido divenne, più appropriatamente, l'energia orgonica. I due termini ebbero sorte diversa, e tuttavia egualmente tragica. L'Orgone fu ignorato; la libido divenne una sorta di parolaccia, rimanendo confinata, nel lessico comune, a un aggettivo - "libidinoso" - carico di risonanze negative. Per fortuna, la grande scoperta di Reich non fu abbandonata, ed ebbe, e ha tuttora, appassionati cultori. Tra i primi in Italia vi fu Nicola Glielmi, psicoterapeuta, psichiatra, direttore di importanti servizi per l'igiene mentale. La sua carriera nell'ufficialità, sempre tormentata, finì con un odioso trabocchetto, che espulse dal grigio sistema psichiatrico italiano l'unica fiammella di pensiero reichiano che vi si era insediata. Ma, da un certo punto vi vista, fu meglio così. Libero da vincoli amministrativi e da impegni secondari, Nicola Glielmi può ora esporre come meglio gli aggrada i fermenti del proprio pensiero. Il libro che il lettore ha tra le mani è appunto una manifestazione di questa ritrovata libertà. Opera singolare, e tuttavia affascinante. Se la vitalità sessuale è negata o pervertita da tutto il modo di vivere attuale, Glielmi la va a ricercare nel mondo antico, quando minori erano i vincoli alla sua espressione. Si inizia così con l'esplorazione, in compagnia del più dotto dei maestri, della pompeiana Villa dei Misteri, in cui rintracciamo, sugli affreschi raffiguranti l'iniziazione di una fanciulla, costanti universali dei processi di vita, inquadrati in rigorose proporzioni geometriche altrettanto universali: due forme di eternità, anzi, una sola. Poi la descrizione si fa poema, ed è qui che la vita balza davvero in primo piano. Ciò che Glielmi era costretto a "raffreddare" nelle sue pubblicazioni scientifiche, per obbedire a canoni accademici, diviene impressione, profumo, colore: diviene la verità che solo la letteratura può cogliere nella sua pienezza. Le pagine poetiche di Glielmi sono di una evidenza e di una ricchezza che stupisce. Di ogni immagine è fornita l'intera gamma delle sensazioni: tutti e cinque i sensi sono all'opera, e sono sollecitati nel lettore. Non vi è mai una descrizione abborracciata, epidermica, incompleta. Ogni atmosfera è descritta nella completezza dei suoi ‐ 6 ‐ elementi, in modo che chi legge la possa fare interamente sua, la possa vivere. Vivere, appunto. Perché è questo il tema che Glielmi tratta: la vita, colta nella ricchezza più profonda. Così un frutto, un cibo, un rito qualunque cosa egli descriva - ha una profondità di dimensioni che l'immerge nel flusso energetico vitale. In ciò l'autore è coerentissimo con la visione scientifica che ha sempre coltivato; solo, la modella in modo che acquisti immediata evidenza, tangibile concretezza. Così la poesia si fa tesi, e la tesi poesia. Emisfero sinistro ed emisfero destro - razionalità ed emozione - operano congiuntamente. Pian piano, ci si accorge di avere a che fare con una vera e propria cosmogonia, cui l'autore aggiunge, senza soluzione di continuità, riflessioni sulla propria visione del mondo. Alla fine, non è troppo difficile scoprire che Nicola Glielmi ed energia vitale fanno tutt'uno, che il primo è una scintilla della seconda. Ora, il movente di ogni scintilla è palese: attizzare un incendio. Non per fare fuoco, ma per fare luce. Braccato da grumi di carne morta e malata, Nicola Glielmi non ha rinunciato alla propria missione. L'iniziazione di Zanclea, dolorosa sì ma anche fonte di vita e di piacere, è il rimedio che egli vede al dilagare della peste emozionale, di cui soffrono coloro che vorrebbero seppellire per sempre le correnti eterne e universali dell'energia vitale. Non ci riusciranno. Confido - e Glielmi confida - che altre giovani Zanclee siano condotte, emozionate e titubanti, alla scoperta inebriante della vita e che, varcata quella soglia, continuino ad assaporarne i frutti. Un tempo era cerimonia pubblica; oggi è lavorio da iniziati. Ma finché vi saranno maestri intelligenti e profondi come Nicola Glielmi, il fiume sotterraneo scoperto da Wilhelm Reich troverà coraggiosi disposti a immergersi nelle sue acque, così fresche e corroboranti. Fino a quando il suo corso non sfocerà alla luce del sole, e sarà ricchezza per tutti. ‐ 7 ‐ Fig. 1 - Scultura di Dioniso dell’ateniese Fidia, dal frontone orientale del Partenone 447-433 a.C., British Museum, Londra. ‐ 8 ‐ PROLOGO Esiste Dio? Non ho nessuna prova della sua esistenza. Ma se proprio debbo credere che esista, penso che Dio sia l’AZZURRO dei cieli e dei mari come qualità infinita, impalpabile e tuttavia reale e forse eterna che sta lì a darti la vita senza la volontà di darti qualcosa, altrimenti non sarebbe più Dio; senza chiederti in cambio preghiere, odori d’incenso e d’interiora bruciate; senza alcuna pretesa di averti dato la vita e senza gloriarsene; senza neppure sapere di averti dato la vita, perché altrimenti non sarebbe più Dio. Pertanto, solo l’Energia Orgonica che ha formato le galassie, le stelle, il sole, la luna, la terra e la Vita su di essa, potrebbe essere Dio. E solo Dioniso, l’ambiguo dio greco, il dio dell’energia vitale, della vegetazione, del vino e dell’amore potrebbe essere la manifestazione di Dio, un Dio che è Vita, la Vita che è Amore. Se poi Dio dovesse essere come Michelangelo lo ha raffigurato nella cappella Sistina, penso che non avrebbe potuto non mandare sulla terra altri che suo figlio, nella più alta funzione dell’Energia Vitale, così come l’umanità lo ha sempre desiderato ed agognato, in tutto simile e uguale a Dioniso, dispensatore di gioia, unico fra tutti gli Dei della Grecia ad essere figlio di un Dio e di una vergine donna. Ma il Liberatore, come lo fu già Dioniso, ogni giorno è fatto a pezzi e mangiato. Ciò aumenta nell’uomo a dismisura quella colpa per la quale era salito sulla croce, promettendo vanamente una vita eterna in cambio di quella terrena. Da qui il dolore per l’olocausto che è, invece, godimento, chiamato pietà, nell’attesa del prossimo olocausto per espiare la colpa nel vile corpo del disgraziato. La vita sessuale, repressa perché rende liberi sovvertendo l’ordine e le gerarchie, predicata come colpa, aggrava la disfunzione dei fenomeni vitali in tutte le persone credenti nel peccato di Eva. La colpa non risparmia le persone, giunte a considerare, in età matura, la creazione di Eva dalla costola di Adamo come un complesso edipico rovesciato, perché non se trovasse più traccia. Gli atei non hanno potuto evitare, bambini e puberi, che il germe nefasto della colpa crescesse in loro 9 rigogliosamente come negli altri. Caratterialmente non sono diversi dai credenti. La trasfigurazione di Gesù presentata come un fatto reale al bimbo, cresce nella sua mente come un virus che si mostrerà resistente alle terapie iniziate da Flemming, anche quando si scoprirà che Raffaello, ha rappresentato, senza saperlo, l’allucinazione dell’epilettico. I Greci per i furti pregavano Ermes, il dio dei ladri, ma per la fede in Teti, che presiedeva alla Giustizia, scuoiavano vivo il giudice corrotto e della sua pelle rivestivano lo scranno sul quale sedeva il figlio che gli succedeva nell’ufficio. Questi pensieri hanno guidato il mio lavoro e stimolato l’interesse per Villa dei Misteri in Pompei antica. Ho fissato nella dimensione di un presente perenne fatti e personaggi di epoche diverse, sembrandomi che l’uomo caratterialmente fosse cambiato poco. Ha cambiato in peggio la sua Vita per la massiccia e potente idea del peccato, sulla quale hanno prosperato da sempre le religioni. Dopo questo prologo affido “Zanclea nella Villa dei Misteri” con più fiducia al lettore perché saprà fin dall’inizio che cosa potrà trovarvi. Mi auguro che egli riviva il piacere che io ho provato nello scrivere questo libro e nel modo in cui è stato realizzato per esprimere emozioni, descrivere ambienti, esporre concetti scientifici. 10 SOTTO LA TORRE SARACENA (Arenzano, Luglio 1976) Se avessi tempo per dolcissimi giorni sibariti, vorrei abbandonarmi, per mio sommo diletto, a vivere gli amori di Dafne e Cloe. Ma dovrò accontentarmi di un weekend arenzanese, standomene in jeans sdraiato sul muretto della Chiesa del primo o secondo vero Bambin Gesù di Praga, a godermi, noiosamente, la brezza marina, mentre in qualche parte della penisola, il termometro segna trentotto gradi centigradi e le pecore e le vacche muoiono di sete. O dovrò starmene cento metri più sopra, coricato sull’erba, ai piedi della torre saracena abbracciato alla mia donna. Per gli evoé del Ditirambo! Sono sotto la torre saracena e mi trovo fra le mani l’immagine di una pittura pompeiana della casa dei misteri. Questo dio della follia! Comincia proprio a infastidirmi. Eppure, non gli sono molto devoto, essendo io piuttosto astemio. Ma sarà meglio accontentarlo, o mi si farà innanzi racchiuso in una bottiglia d’Aglianico del Vulture o di Amarone color granato della Valpolexèla, e in quelle vesti mi farà paura, risultandomi, poi, assai sgradito… Preferisco che venga a me vestito da pastore con una pelle di capro, o da mietitore. Ringraziamo il dio per il suo ventilabro e rimandiamo altre fantasie. Da Lui ispirati chiudiamo gli occhi, tendendo l’orecchio al linguaggio dell’immaginazione: li apriremo a Villa dei Misteri in Pompei. 11 Fig. 2 - Thiasos dionisiaco (Dioniso e Arianna tra due satiri). Anfora attica a figure nere Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Roma 12 LA SAGGEZZA DI ZEUS Paura e terrore tra le genti! I cristiani annunziavano prossima la fine del mondo per i peccati degli uomini. Segni premonitori erano stati un terremoto che aveva colpito le città intorno a Monte Somma e la distruzione di Gerusalemme per mano di Tito. Poi di nuovo era toccato a Pompei, Ercolano e Stabia nelle quali il vizio e la lussuria da gran tempo avevano il sopravvento sulla castità e la verginità delle fanciulle: città peccatrici nelle quali gli uomini, come in tutto l’Impero, avevano alzato templi agli Dei bugiardi. Non s’era trovato, nelle tre città, un solo uomo giusto da salvare. Jahvé aveva fatto traboccare il Vesuvio. La prova più significativa dell’ira di Jahvé era costituita non tanto dal male oscuro col suo virus sinciziale che a Napoli falcidiava bambini a decine, a causa della legge sull’ aborto e sul divorzio, e non tanto dall’AIDS il cui virus incontrollabile poteva essere una chiara prova dell’epifania del dio fra gli uomini per la incipiente rivoluzione sessuale reichiana contrastata perfino dai comunisti, quanto dal fatto che era stato colpito a distanza, sulla spiaggia di Stabia, quel ficcanaso di Plinio, il vecchio, scienziato ateo che voleva vederci chiaro in quella faccenda e si era portato per mare da Miseno in quella apocalisse di fuoco, macigni incandescenti, fumo, lapilli e fiumi di lava. Era stato punito, come già Empedocle sull’Etna, per la sua incredulità e per il suo orgoglio, l’antico peccato di Adamo: il desiderio della conoscenza. Jahvé, disgustato dalle opere degli umani si era ritirato nel suo cielo del Silenzio. La verità, invece, è che Zeus, irritato per le nefandezze che gli uomini avrebbero commesso contro la VITA con milioni di aborti dentro e fuori i sacri recinti, per la pedofilia imperante, per i divorzi a pagamento, per le uccisioni dei bambini, per le stragi etniche e per tutti i delitti contro l’Umanità e contro la Natura, pregò suo figlio Vulcano di coprire con una coltre di cenere Pompei, Ercolano e Stabia affinché gli uomini, nel momento del maggior bisogno, riscoprissero il mondo vivo e razionale governato dalle sue sante leggi. Zeus, sentite le Parche, aveva appreso che i suoi massimi sacerdoti, i FILOSOFI, sarebbero stati ridicolizzati e scherniti e che il pensiero 13 funzionale e razionale sarebbe stato sostituito con quello mistico e meccanicistico. I masturbatori dialettici, quelli che spingono il seme in vescica, o quelli che praticano l’amplesso con eiaculazione retrograda in vescica, o il coitus interruptus, fanno per ogni avvenimento un esercizio di frivola e sterile retorica, secondo la doppia morale derivata dalla loro pratica sessuale nella convinzione, inviando il seme in vescica, di non peccare come Onan che spargeva il suo seme per terra per non ingravidare la moglie di suo fratello. Costoro incapaci di un pensiero onesto, così come d’un appagante orgasmo naturale, definiscono “epicureo”, con dispregio, ogni seguace del grande Maestro, iniziatore di un pensiero funzionale naturale, austero, che si cibava di pane e cacio ricevuto dalla madre. Cosi chiamano “reichiano”, con dissacrazione del suo lavoro, lo studioso affascinato da Wilhelm Reich per avere Egli detto che “l’Amore, il Lavoro e la Conoscenza sono le fonti della nostra vita e dovrebbero anche governarla”, come da tempo ordinava Zeus dall’Olimpo. Alla sapienza di Zeus si deve il fatto che Villa dei Misteri fosse scoperta soltanto nel secolo della bomba atomica e non prima, altrimenti gli uomini malvagi, bugiardi e ladri, che contaminano la Medea di Euripide con l’apparizione della Vergine Maria, e che a Siracusa, la città di Zanclea, avevano derubato il tempio a Minerva, avrebbero trasformato il tirso di Dioniso nella Croce del Buon Pastore; da Arianna e Dioniso avrebbero ricavato la deposizione del Cristo e dopo d’aver contaminato e deturpato il tutto, come nelle tombe etrusche di Tarquinia, cancellando i peccaminosi membri virili, avrebbero preteso di dire che le pitture pompeiane rappresentano le tentazioni di Santo Antonio abate d’Eracleopoli, con donne, animali e demoni emergenti dalle rosse fiamme dello inferno. Zeus per la terza volta ha salvato suo figlio Dioniso. Gloria alla saggezza di Zeus per aver conservato sotto una coltre di cenere gli affreschi pompeiani quale esempio pittorico del pensiero funzionale razionale 14 DIONISO Le pitture e gli oggetti rinvenuti a Pompei attestano una larga diffusione del culto misterico di Dioniso. Alle severe scene di iniziazione dipinte sulle pareti di Villa dei Misteri, fanno da contrappunto rappresentazioni di incontri amorosi, di orge e di baccanali che si svolgono nei boschi. Un mito racconta che Dioniso fosse figlio di Zeus e di Demetra, sua sorella. Un altro che fosse figlio di Zeus e di Persefone. Zeus, innamoratosi di sua figlia, che era stata nascosta in una grotta da Demetra, si tramutò in serpente e la raggiunse mentre era intenta a tessere. La fecondò, e la fanciulla partorì due bambini, Zagreo e Dioniso. Nel mito dove Dioniso era figlio di Zeus e Demetra, il Dio venne fatto a pezzi dai Titani istigati dalla gelosa Hera, moglie di Zeus. Ma, Demetra riattaccò insieme le membra del figlio e portò il cuore a Zeus che lo ingoiò. Esiodo racconta che Zeus dopo aver mangiato il suo cuore si accoppiò con Semele e nacque Dioniso, il “nato due volte”. “Semele figlia di Cadmo, generò un fulgido figlio congiunta a Zeus in amore, Dioniso datore di gioia, figlio immortale di madre mortale”. (Esiodo, Teogonia, vv. 904, trad. E. Romagnoli, Zanichelli Edit., Bologna) Hera scoperta la relazione dei due amanti e appreso che Semele avrebbe avuto un figlio, colpita dalla gelosia decise di vendicarsi e ispirò nelle tre sorelle di Semele invidia perché, nonostante questa fosse nubile, poteva vantare di avere un amante e di essere gravida, al confronto delle sorelle maggiori, ancora nubili. Evidentemente erano brutte. Semele subì le beffe di Agave, Ino e Autonoe, le quali criticavano non solo che fosse incinta, ma anche che il padre del bambino non si fosse ancora dichiarato. La stessa Hera si trasformò in Beroe, nutrice di Semele, e la convinse a chiedere a Zeus di apparirle come Dio e non come mortale. Zeus non voleva, ma Semele insistette e il Dio, che le aveva promesso di accontentare ogni sua richiesta, si trasformò e Semele morì folgorata dal fulmine. 15 Zeus riuscì a salvare il bambino che Semele aveva in grembo e nascose il piccolo Dioniso nella sua coscia. “Bromio Dioniso nume e figlio di nume … Bromio cui fra l’angoscia fatal del parto, al guizzo della folgore, anche immaturo Semele diè a luce; e lei strusse la fiamma in cenere, ed esalò lo spirito. Ed in novello genitale talamo Zeus l’accolse, e nella propria scapola lo chiuse, ove con fibule d’oro lo assicurava per nasconderlo ad Era; il dì che volle, un nume nacque”. (Euripide, Le baccanti vv. 88 e segg., trad. E. Romagnoli, Zanichelli, Bologna). Fig. 3 – Particolare di vaso attico con la nascita di Dioniso dalla coscia di Zeus Dopo la nascita Dioniso è affidato ai nonni, Armonia e Cadmo, e allattato dalla zia Ino, detta anche Leucotea. Intanto Agave, sorella di Ino, dà alla luce Penteo, che sarà re di Tebe. 16 Hera, furente, fece impazzire Armonia e Cadmo e il piccolo venne affidato prima ad Ermete e quindi a Sileno. Diventato adulto e resosi conto che nessuno credeva alle sue origini divine, lasciò la Grecia e vagabondò per l'Asia dove imparò ad affinare i suoi poteri alla scuola di Sileno. Euripde ne “Le Baccanti” racconta che Dioniso rientrato a Tebe non fu riconosciuto come Dio da Penteo, che per tale colpa fu fatto a pezzi e sbranato dalla madre Agave e dalla zia Ino. Fatte impazzire da Dioniso, si recarono come baccanti nei boschi e scambiarono Penteo per una fiera. Agave si presenta a Tebe con le testa del figlio infilzata su un bastone, convinta di portare come trofeo la testa di un leone. Fig. 4 - Penteo viene squartato dalle Baccanti. Casa dei Vettii, Pompei, I secolo d. C. .Dioniso e Arianna Arianna figlia di Minosse, re di Creta, si innamorò di Teseo quando egli giunse nell’isola per uccidere il Minotauro, rinchiuso nel labirinto di Cnosso costruito da Dedalo. Arianna diede a Teseo un gomitolo di lana per poter segnare la strada percorsa nel labirinto e quindi uscirne agevolmente. Concepì dall’eroe alcuni figli. Fuggì con lui, ma Teseo la 17 fece addormentare per poi abbandonarla sull'isola di Nasso. Il dolore per l’abbandono di Teseo fu di breve durata perché giunse Dioniso su un carro tirato da pantere. Se ne innamorò e la sposò. La religione dionisiaca Tra le religioni misteriche greche l’orfismo fu il più importante. Prese il nome da Orfeo, mitico cantore tracio che avrebbe importato i misteri orfici in Grecia. L’orfismo era una particolare forma della religione dionisiaca, religione orgastica ed estatica incentrata sul culto di Dioniso. Il mistero orfico consisteva nella palingenesi attuata rivivendo la vita, cioè il mito, di Dioniso Gli uomini - nati dalle ceneri dei Titani fulminati da Zeus in punizione della colpa commessa - sono gravati dalla colpa titanica. Ma avendo i Titani divorato Zagreo, l’uomo porta in sé anche la natura dionisiaca: da qui il conflitto nell’uomo tra la natura titanica insita nel corpo e la natura dionisiaca insita nell’anima. L’uomo, pertanto, deve liberarsi dalla colpa titanica e ricongiungersi con la natura dionisiaca mediante il mistero. La palingenesi consisteva nel rivivere questo mito, cioè nel morire e nel rinascere in Zagreo. Al di fuori della religione misterica, che si svolgeva con grande segretezza per gli adepti, il Dio dell'estasi e dell'ebbrezza, il Dio ambiguo, androgino e femmineo, ricoperto con la pelle di un di capro o di pantera, era festeggiato in primavera e in autunno, alle grandi e alle piccole Dionisiache con processioni e baccanali. Durante le feste si facevano anche spettacoli teatrali con la rappresentazione sacra dei miti degli eroi greci, alla quale presiedeva un sacerdote di Dioniso. Il nome di tragedia deriva da tragos (capro), la pelle di capretto che indossava il Dio per sfuggire alla collera di Hera. L'origine del termine per la prima parte della parola, va messa in rapporto con “tràgos” (“capro”) e per la seconda con “oidè” (“canto”). Probabilmente la tragedia è così chiamata, o perché il vincitore della gara otteneva un capro, come ricompensa (canto per il capro), oppure perché i coreuti indossavano delle maschere con sembianze caprine (canto dei capri). In ogni caso la tragedia era legata al culto di Dioniso ed era un pontificale solenne dionisiaco che facilitava la catarsi nello spettatore. La concezione dell’uomo diviso in anima e corpo, durerà fino a Sigmund Freud con i suoi Eros e Tanatos. Wilhelm Reich dopo secoli di lotte e di guerre nella falsa concezione del bene contrapposto al male, scoprirà che il corpo e l’anima sono manifestazione di una medesima energia, l’Orgone. Il Bene e il Male non sono due Entità metafisiche estranee all’uomo, ma sono manifestazioni dell’Orgone (Energia vitale - Bene) che se ristagna, soprattutto per una vigorosa repressione sessuale, nei muscoli, con la formazione di corazze muscolari, si trasforma in energia letale detta DOR (il Male). 18 V VILLA D MIST DEI TERI OG GGI La Villla è colloccata fuori dell’antica d Pompei, a occidente, e guarda Napoli e il golfo. Un viaale acciotttolato all’iinterno dellla città anntica, devastata dai turisti, tagliando peer via Hercculanense, porta nellla Villa, peer l’uscita dalla citttà, milionii di turistii attraversso una bruutta scala metallica sospesa sulla rigoglliosa campaagna. Fig. 5 - Plannimetria della regione suburrbana fuori Po orta Ercolano tratta da Ameedeo Maiuri, La Villa dei Misteri, Istituuto Poligraficoo della Stato – libreria delloo Stato, MCM MLXVII (quarta ediziione, esemplaare numero CC CCLXIV) La stannza di coloore nero, contrassegn c nata da Am medeo Maaiuri come tablino, con c rappreesentazionii egizie dii valore pittorico p e religioso, 19 forse, anche superiore a quello del grande dipinto della stanza di Dioniso, è stata trasformata in una strada di passaggio. Come uscita dalla città, è esposta agli insulti della massa dei visitatori che terminano qui la loro escursione. Ciò che ha conservato il Vesuvio, l’uomo distrugge! Un tempo, le persone interessate a visitare la Villa potevano accedervi percorrendo il moderno viale che dagli antichi misteri prende il nome e che costeggia le mura della città. I colori delle immagini del grande dipinto sono rovinate dai flash dei visitatori che ne vogliono tenere il ricordo. Fig. 6 – Pianta della Villa d’età augustea e postaugustea tratta da Amedeo Maiuri. Il triclinium è collocato nella sala di Dioniso (n.5). Il tablinum nella stanza nera ( N. 2). Dal peristilio si accede con un corridoio (N. 7) ad una grande stanza (oecus N..6). 20 Molte sono, ad opera dei vari proprietari, le trasformazioni subite dalla Villa via via che nel tempo s’ingrandiva ed i locali assumevano funzioni diverse. E varie sono le interpretazioni che hanno dato i vari autori che con passione e competenza hanno studiato la Villa. Fig. 7 – Pianta della Villa preromana. Amedeo Maiuri in questa colloca il tablinun nella stanza oscura, e la sala triclinare nell’angolo superiore a sinistra. Per l’epoca successiva (augustea e postaugustea) colloca il triclinium nella sala di Dioniso (N. 5). Certamente la stanza del grande dipinto dionisiaco non poteva essere adibita a triclinium, come scrive Amedeo Maiuri, perché, posta all’estremo sud-ovest della casa, è troppo distante dalle cucine. Dagli scavi nessun reperto testimonia la presenza di utensili per un banchetto nella stanza di Dioniso e in quella attigua, dove Roxani ha inciso il nome, come segno del suo passaggio (v n.3-4 della Fig.7 di Maiuri). 21 Né il tablinum, poteva essere collocato nella stanza dipinta in nero con immagini della mitologia egizia (N.2 della fig. 7). Le ipotesi della sala di Dioniso come triclinium e quella della stanza nera come tablinum sono da rigettare, per una collocazione dei locali più funzionale, tanto più che al momento dell’eruzione la Villa era stata svuotata di mobili e suppellettili per la ristrutturazione. Le due stanze (N. 2 e N.5 della fig.7) insieme con quella intermedia rosso scura di Roxani (N. 3-4 della fig.7), dovevano costituire un complesso di tre stanze adibite alla devozione del Dio Dioniso, così come vedremo, nei secoli a seguire, cappelle private in palazzi patrizi e ville signorili, per officiare i riti della religione cristiana. Vittorio Macchioro colloca il tablino nella grande stanza (oecus 6 delle piante di Maiuri), che da una parte si affaccia sull’atrium tuscanicum a Nord, da una parte sul piccolo atrio quadrato ad Est, mentre un corridoio unisce questa stanza con il peristilio (Fig.8). Fig. 8 - Planimetria tratta da Vittorio Macchioro - La villa dei Misteri in Pompei, Richter & C. Editori, Napoli. – Il tablino è collocato nell’ oecus 6 della pianta di A. Maiuri. Credo che si debba rigettare anche l’ipotesi di Vittorio Macchioro. Nella stanza, oecus 6, non può essere collocato il tablinum ma piuttosto la sala triclinare. 22 Il triclinium Credo che il triclinium vada collocato nell’oecus 6 (Fig. 6 e 7 di Maiuri) perché permette al dominus, alla domina e ai figli, che trovano alloggio nei cubicoli della parte settentrionale (n.12,13,14,15, 16, 18, 19, 20,21,22, delle fig. 6 e 7), di accedervi facilmente con una porta dall’atrium tusculanum. Fig. 9 – Particolare della fig. 7 di Maiuri - Zona notte padronale a settentrione dell’Atrium - sala triclinare (oecus 6) - quartiere degli ospiti (atriolum tetrastilon) nella parte alta a destra della figura. Al triclinium qui collocato si può accedere anche dal perystilium attraverso un corridoio (Fig. 6 di Maiuri). Il corridoio doveva essere usato dalla servitù che portava le pietanze dalle cucine al triclinium attraversando il peryistilium e le bevande fresche dalla cripta sistemata nel peristilio. Anche il dominus, accompagnato da un eventuale ospite, poteva accedere, attraverso il medesimo corridoio, dal perystilium al triclinium, e non attraverso l’atrium tuscanicum, (la parte più intima e riservata della casa destinata alla notte, per non esporre alla vista dell’ospite i familiari che nell’atrium potevano trattenersi a prendere il sole e i bimbi a giocare rincorrendosi sotto il porticato. Gli ospiti che si fossero trattenuti per la notte nella villa occupando le stanze che si affacciano sul piccolo atrio quadrato (atriolum tetrastilon), potevano facilmente accedere al triclinium dal piccolo atriolo dove si affacciano tre cubicoli e il balneum. Potevano godere della libertà di trattenersi, a loro piacimento, prima o dopo il pranzo vuoi sotto il perystilium, vuoi nella terrazza coverta (Fig. 8 di Macchioro). 23 Il tablinun Nel momento in cui il Vesuvio ha coperto di cenere la Villa, il tablinum non poteva essere collocato nella stanza nera, come scrive il Maiuri, e neppure nell’oecus n. 6, come afferma Vittorio Macchioro, Credo che dovesse trovare la sua migliore sistemazione nella stanza collocata tra il turcularum e tra la stanza absidata ( n. 48 e 49 della fig. 10), da Maiuri contrassegnata come stanza triclinare del periodo del tufo, che si affaccia nel perystilium, di fronte alle cucine con larario, forno e focolare. Fig. 10 – Particolare della Fig. 7 di Maiuri - Il tablinum va collocato tra la stanza absidata e il turcularum. In alto a destra il vestibulum. Il tablinum collocato in questa stanza offre la possibilità di accedervi per il vestibolo, cioè l’ingresso principale della Villa, passando per il peristilium, oppure dalla campagna attraverso l’ingresso secondario, accanto alla cella vinaria. Inoltre da questa stanza si può accedere facilmente al turcularum per la premitura delle uve e ai depositi del grano e dei cereali. L’ingresso secondario dalla campagna, a settentrione della Villa, conduceva nel tablinum gli uomini politici, i clientes, gli amici e i commercianti, che per vari motivi non desideravano esporsi ad occhi indiscreti, entrando per il vestibolo della casa, intorno al quale ruotava il quartiere degli schiavi. 24 Il dominus riceveva nella stanza n. 48 e 49 (Fig. 10), provvista di anticamera per l’attesa, i commercianti che, entrando dal vestibolo o dall’ingresso secondario aperto sulla campagna, desideravano acquistare i prodotti della sua terra. Il dominus li guidava, agevolmente, nella cella vinaria, per far sentire, prima di offrirlo da bere, il suono del vino, che versato nel calice di vetro dalla lagona a collo stretto, o dall’ampolla, annunciava, con la diversa sonorità del gorgoglio, le sue specifiche ed uniche caratteristiche, segnalando il rosso o il bianco, il secco o il liquoroso, la densità e la gradazione, l’invecchiamento e il terreno di provenienza. Altrettanto agevolmente li accompagnava nel torcularum e nei depositi, per mostrare l’olio, far odorare le frutta e far sentire il fruscio dei cereali, che cadendo nell’aria da una mano posta in alto a quella più in basso erano in codesta accolti con la stesso rispetto col quale si accoglie una persona cara e con la stessa tenerezza con la quale si tocca il seno di una donna. La statua di Livia Nell’angolo del peristilio, immediatamente prima dell’ingresso al tablinum è stata ritrovata una scultura che rappresenta una donna ammantata da sacerdotessa. Si pensa che la statua rappresentasse l’imperatrice Livia moglie di Augusto e madre di Tiberio per la ricchezza dell’abbigliamento, e per il diadema mancante e non recuperato, che doveva inserirsi nel solco profondo della capigliatura. “Quel che agli occhi degli scavatori ravvivava l’aspetto della scultura erano le tracce di policromia che si notarono al momento della scoperta e che andarono man mano attenuandosi: in biondo cupreo la capigliatura, le sopracciglia e le ciglia; brune le pupille e nero il cerchio dell’iride, si da animare la immota fissità dello sguardo; di carminio le labbra; e, segno di particolare distinzione, tinta di porpora la balza inferiore del manto” (Amedeo Maiuri, La Villa dei Misteri, pag. 108.) Pare che fosse collocata provvisoriamente nell’angolo del peristilio, in attesa d’essere sistemata, dopo aver ultimati i lavori di restauro, nella stanza absidata destinata a larario e al culto di Livia. 25 Fig. 11 - Statua dell’ imperatrice Livia moglie di Augusto, da Amedeo Maiuri. Attualmente collocata all’ ’Antiquarium di Boscoreale. 26 La cripta del peristilio Nel centro del perystilium è collocata la cripta per mantenere al fresco le vivande da consumare durante la giornata, da portare nelle cucine, o da servire in tavola nel triclinium. Fig. 12 - Cripta nel peristilio Il cubicolo a due alcove Il piccolo ambiente situato tra la stanza nera e quella di Dioniso (N.4 della fig. 13), non era un cubicolo a due alcove, come scrive Maiuri. La stanza è fornita di quattro ingressi: Una porta la mette in comunicazione con un piccolo locale (il N.3 della fig. 13), che introduce, attraverso un corridoio, allo oecus 6, nel quale, credo, sia da collocare il triclinium. Una porta comunica con la stanza nera di Osiride, la cui funzione doveva essere quella di un gabinetto di riflessione, ovvero la Stanza della Verità, nella quale si intrattenevano gli officianti del rito. (N. 2 della fig. 13). Una porta introduce nella sala di Dioniso nell’angolo estremo della parete, tra la donna assisa sul seggio e la donna in cammino. Una porta apre in una stanza rettangolare dalla quale si accede alla all’esedra e, con un ampio portale, alla sala del grande dipinto. L’Esedra (N.1 della fig.13), è un incavo semicircolare sovrastato da una semicupola. Si apre sul portico che circonda la Villa. E’ un ambiente all’aperto destinato a luogo di ritrovo e conversazione, che 27 doveva essere guarnito di banchi di pietra alti e ricurvi. Capita ancora oggi di osservare “pisoli”, o sedili all’esterno della porta di un edificio o di una capanna, ove si può sedere per conversare, o ci si può anche sdraiare per fare un pisolino. Fig. 13 . Particolare della Fig. 7 di Maiuri. La sala nera (2) – il “cubicolo a due alcove” (4) – La stanza rettangolare antistante la sala di Dioniso (P) – l’Esedra (1). La stanza N.4 non era un cubicolo per dormirvi, non tanto perché, dotato di quattro ingressi, se avesse contenuto due alcove avrebbe creato una notevole difficoltà di movimento per l’accesso nelle quattro stanze adiacenti; quanto piuttosto per il contenuto delle immagini affrescate sulle pareti che lasciano intuire un uso diverso. Il fondo rosso scuro, infatti, delle pareti nell’ambiente angusto e poco illuminato richiama il fondo delle pareti della stanza nera e preannuncia il rosso acceso della stanza di Dioniso e Arianna. Nelle pareti della piccola stanza sono dipinti un satiro danzante…. una sacerdotessa?… Dioniso con un Satiro!….. Sileno ubriaco con un satiro… una donna barbuta con giovinetti… un ermafrodito ….. 28 Pan dietro una siepe… disordinatamente preannunciano e introducono all’ordinato affresco che si svolge nella stanza di Dioniso e di Arianna. Stanza di passaggio, dunque, da quella nera che richiama gli antichi riti egizi in onore di Osiride, Dio della vita e della morte, a quella di Dioniso. Nel “cubicolo a due alcove”, un armadio incassato nel muro, come nei cubicoli da letto, doveva contenere gli arnesi sacri, le vestimenta per il rito e gli infiammabili unguenti che al momento dell’eruzione hanno preso fuoco per l’alto calore, prima ancora che la Villa fosse coperta dalla cenere e dai lapilli. In breve, nelle tre stanze è scritta la storia di almeno tremila anni a partire indietro dall’eruzione del Vesuvio, avvenuta nel 79 dell’era volgare. Dalla stanza nera attraverso il cubicolo “a due alcove” di Pan e della donna barbuta alla stanza di Dioniso. Dal mito e dalla religione dell’egizio Osiride attraverso la disordinata religione di Pan che esprime la precarietà e il disordine propri del trapasso da un’epoca all’altra, al mito e alla religione del tracio Dioniso, il forestiero, che esprime l’ordine sociale e civile, e ricapitola la storia osiridea. E come mito, queste pitture pompeiane vanno reinterpretate e rivissute secondo l’esperienza di ciascuno, perché in esse c’è qualcosa, se non molto, che tocca profondamente la nostra stessa storia individuale, quale ricapitolazione della storia qui scritta. Ho animato le figure dando loro un nome, facendole parlare e parlando io stesso con loro e chiedendo: “Perché stai seduta così?.. a che cosa pensi?.. perché cammini in quel modo?.. che cosa stai leggendo?.. quali erbe stai lavando?… perché canti dirimpetto alla finestra?… fai il guardiano?… di che cosa hai paura?.. quanti anni hai?.. donde vieni?... perché hai gli occhi semichiusi pieni di dolore e perché non piangi?… perché danzi?… perché guardi estasiato la donna allo specchio?… perché porti il capo coperto?… sei una maestra?… e tu sei compagna, o sei una apprendista?… come ti chiami?…” E’ un gioco interessante quanto divertente perché alle mere espressioni estetiche e formali tenterò di dare un contenuto, una filosofia di vita. 29 LA STANZA DI DIONISO Il tempio dionisiaco nella villa pompeiana va riscoperto nel momento stesso in cui vi si celebravano i misteri, né prima né dopo. E in quel preciso momento, come già ricordato, la sala non Hera adibita a triclinio, troppo lontana dalle cucine. Una sala di circa sette metri di lunghezza e cinque di larghezza accoglie un grandioso monumento pittorico, la rappresentazione scenica dei misteri dionisiaci. Fig. 14 - La sala di Dioniso - Sulla parete di Nord la porta che mette in comunicazione il cubicolo a due alcove. A sud il finestrone tra la donna che danza e la donna allo specchio che si affaccia sul porticato. Il pavimento della sala è composto da un grande rettangolo al centro, formato da piastrelle bianche di 14,5 centimetri e ciascuna è contornata da un listello nero di 2 centimetri. Il rettangolo centrale è contornato da un listello nero di 3 centimetri , e da uno viola di 5,5. Segue una fascia di 82 centimetri di larghezza, formata da piastrelle bianche e da piastrelle nere di 14,5 centimetri, disposte in diagonale in numero di quattro per ogni fila. Una bordatura perimetrale, fatta da un listello bianco di 3 centimetri all’interno, seguito da uno nero di 5,5 nel mezzo, e da uno marrone di 4 all’esterno, chiude l’elegante composizione del pavimento, e lo stacca dalla zoccolatura. 30 Fig. 15 - Pianta della sala dionisiaca Tra tutti i rettangoli costruiti nel pavimento con i lati della bordatura, della fascia e dei listelli, soltanto quello centrale di metri 4,92 di lunghezza per 2,92 di larghezza ha un proporzione di 1 x 1,68 che è la più approssimata alla proporzione dorata del rettangolo magico. Tale proporzione aurea è gradevole all’occhio dello osservatore che la trova armonica con se stesso, perché risponde alle proporzioni del rettangolo scritte, probabilmente, nel codice genetico dell’uomo. 31 Il rettangolo aureo di 1 x 1,618 è scelto consciamente o inconsciamente in architettura, nelle arti applicate e persino negli oggetti comuni. Il rettangolo di proporzione dorata è il quadrilungo magico per le evocazioni del Dio e la sua presenza trasforma il più umile locale in un tempio più santo di uno famoso e ricco: certamente esso è degno della presenza della divinità. L’alternanza del bianco e del nero per il suo simbolismo di vita e di morte, il rituale e la fede dei devoti aumentano la potenza evocativa del rettangolo magico. La variegata umanità dei fedeli, rappresentata dai listelli nero e viola, dalla fascia a tessere bianche e nere e dalla bordura perimetrale bianca, Hera e marrone, sofferente e meno sofferente, gioiosa e meno gioiosa, degna e meno degna del Dio, sta secondo il grado, tutt’intorno al rettangolo magico, ove apparirà Dioniso, come sull’aia nel giorno della battitura del grano. La zoccolatura è formata da fasce che imitano il marmo e ricorrono lungo le pareti della sala: in basso una fascia rossa, su questa una Hera, poi una verde seguita da un’altra Hera e su questa una fascia gialla che si confonde con la cornice del podio. Su un palcoscenico dipinto lungo le pareti con un colore verde pisello, che si appoggia sul podio tagliato a mezzo e percorso da un festone giallo oro, si snodano le immagini e le azioni del rito dionisiaco: donne, caprioli, satiri e sileni. In alto tutta la scena è racchiusa da un festone a disegno geometrico, anch’esso di colore giallo oro, come quello che attraversa la zoccolatura. Intramezzate da un disegno di due quadrati, l’uno nell’altro, che racchiudono un punto, si rincorrono, lungo tutto il festone, svastiche che si muovono da ovest verso est, secondo il movimento della rotazione della terra, secondo il movimento dell’energia orgonica che va da ovest verso est, secondo i passi del fedele nel tempio che vanno da occidente a oriente, ove sta Dioniso. La svastica è il movimento: la vita. Il quadrato è la quiete: la morte. La lettura del fregio può iniziare indifferentemente dal quadrato, o dalla svastica, perché la vita è eterna, senza creato e senza creatore. Per qualsiasi motivo, infatti, spezzati i quadrati, il punto centrale, ossia il nucleo biologico orgonico riprende a vivere, o meglio, a svilupparsi perché per sua natura il punto è già la Vita. 32 Fig. 16 - Immagine tratta da A. Maiuri, La villa dei misteri, Libreria dello Stato. Al di sopra, come luci psichedeliche, le lastre rettangolari di alabastro racchiuse da pannelli verticali di marmo verde e una fascia a fondo nero decorata con viticci e foglie di acanto. Le azioni si svolgono sul palcoscenico l’una conseguente all’altra in senso spaziale e in senso psicologico. Nulla è lasciato al caso e tutto si svolge funzionalmente e razionalmente illuminato dalla luce dionisiaca. Le immagini sono quasi di grandezza naturale. L’uso appropriato dei volumi, dei colori, dei contrasti delle luci e delle ombre, produce immediate emozioni: il dubbio, il timore, lo spavento, l’angoscia, il dolore, il piacere, l’amore e la gioia. 33 La diversa grandezza delle figure e il fondo rosso carminio delle pareti incorniciate da un listello verde e intramezzate da festoni color marrone, come tante colonne di imitazione marmorea, danno profondità e movimento. I pompeiani non conoscono la prospettiva, scoperta quattrocentesca, ma sanno guardare la natura con i suoi stessi occhi e sanno trasporla come appare ai loro occhi liberi, non imbrigliati dalla weltauschaunng cristiana. Col cristianesimo la visione del mondo è cambiata e l’uomo ha perduto la facoltà di guardare e rappresentarsi la natura com’è nella sua realtà, perché, come materia, è peccaminosa e parto del diavolo. Per la medesima weltauschaunng tutti gli autori, insigni, che si sono occupati della interpretazione del mistero qui racchiuso, pur avendo conoscenze letterarie, artistiche, ed estetiche eccellentissime per l’alta loro preparazione accademica, sono caduti in grossolani errori. Scrivono, infatti, che il capriolo si trova lì per caso tra le rocce, mentre, invece fa da guardiano, perché non sia disturbato l’allattamento della sua compagna. La disputa millenaria, se gli animali possedessero l’anima, ha tolto loro l’istinto materno ed il senso di protezione del padre verso i piccoli. Gli uomini avrebbero molto da apprendere dagli animali sui sentimenti riferibili alla maternità e alla paternità. Il satiro offrirebbe da bere ad un suo compagno. Guarda, invece, nella coppa che Sileno gli mette sotto il naso per farlo specchiare nel liquido in essa contenuto. Ma non vede la sua faccia. Vede una maschera barbuta e canuta d’un vecchio satiro, deformata nel liquido, che un suo compagno tiene alle spalle per confonderlo, come fecero i Titani con Dioniso per farlo a pezzi e mangiarlo per ordine della gelosa Hera, moglie di Zeus. Dicono che la donna si ritrae atterrita davanti al “demone alato”, mentre, invece, alla visione del Dio nelle braccia d’Arianna, prende coscienza, con spavento, che dovrà congiungersi con un uomo e se per vaginismo non sarà capace di congiungersi col suo compagno, sarà condotta nel sacro tempio dell’amore per essere flagellata e deflorata, come nei postriboli romani. La concezione peccaminosa del sesso stravolge il significato del rito e della storia umana, e fa vedere un demone nella donna alata, che forse è Psiche, o forse Pandora portatrice di gioie e di affanni, o forse la stessa Afrodite. 34 Ma per i fanatici cristiani, Psiche, Pandora e Afrodite, espressioni delle varie fasi dell’esperienza amorosa della donna, sono terribili demoni. La donna flagellata terrebbe gli occhi chiusi, mentre, invece, li tiene aperti… Oppure raccontano la pietà che anima la donna che la conforta, mentre, invece, la trattiene perché le scudisciate vadano a segno. Così, la pietà invocata, senza motivo, sembra essere una costruzione mentale e non un sentimento. La donna sarebbe distratta dall’osservare la danza della compagna per guardare il demone alato, mentre, invece, non guarda il demone, ma è attenta allo scoprimento del sacro ventilabro. Della finestra sulla parete di mezzogiorno non v’è alcun cenno. Essa non è considerata come componente, a mio parere essenziale, nella rappresentazione simbolica e scenica. Sembra che la finestra preesistente all’esecuzione del dipinto, abbia assunto per l’artista un preciso significato nella successione degli eventi descritti. Tutto ruota, infatti, attorno alla finestra che volge a mezzogiorno e pare che, per tal motivo, l’artista abbia dipinto Dioniso sulla parete orientale della sala. La finestra si apre tra la donna che compie una danza - l’arte più eccelsa con la quale si offre il proprio corpo in un’ armonia dinamica e tra la donna assisa davanti allo specchio circondata, da amorini e assistita da una maestra. A dir di molti, si prepara a diventare sposa. A me sembra ch’ella chiuda il ciclo pittorico e con esso lo svolgersi dell’azione. Dalla sua sicurezza e da tutto il contesto pittorico si comprende che essa ha perduto il suo stato verginale dopo la prima notte di nozze e che, per l’allegoria della fustigazione, sia già prena. Anche in questa nuova condizione son graditi quanto necessari i suggerimenti di una maestra o di una madrina, già esperta nell’arte. Dicono che la donna ammantata e sfarzosamente abbigliata, seduta su un kline sulla parete occidentale a sinistra di chi entra nella sala, sia la “sposa e ministra del dio”. Essa è contrapposta simmetricamente all’amorino dipinto sulla stessa parete a destra di chi entra nella sala. Credo che le due raffigurazioni sulla parte occidentale della sala, una a sinistra (la donna sul kline) e una destra di chi entra (l’amorino), rappresentino l’inizio e la fine della storia qui raccontata, proprio per le posizioni spaziali occupate. 35 Secondo alcuni autori è il ritratto della domina della villa, ma questo non esclude ch’esso sia parte integrante della rappresentazione scenica. La padrona di casa, qui effigiata, potrebbe rappresentare la madre dell’inizianda, che presiede, preoccupata, alla iniziazione della figlia, ma potrebbe rappresentare la stessa inizianda pensierosa, come tutte le donne che si preparano a una cerimonia iniziatica, o al loro primo appuntamento d’amore o che stanno per avventurarsi, per la prima volta, in un incontro d’amore. Verosimilmente la donna seduta sul kline è Matuta, la dea protettrice delle partorienti perché sa come si fanno i figli, la Grande Madre, l’antica divinità italica, soppiantata prima dall’egiziana Iside che tiene in grembo il figlio Horus e poi dalla greca Leucotea, la sorella di Semele che potrebbe presiedere al rito e assistere serena e pensosa al trionfo di Dioniso che bambino ha tenuto al seno. Dicono…….ma…….. …qui è seriata la complessità della psicologia della donna con le sue fasi di crescita e i suoi passaggi da un vissuto all’altro, passaggi bene espressi dai festoni di colore marrone di imitazione marmorea, vere colonne scenografiche che separano una scena da un’altra e nel contempo permettono l’accesso da un episodio all’altro, da una emozione all’altra, da una tappa all’altra. Non è la storia di una singola donna, ma, attraverso le varie esperienze delle donne, la rappresentazione di un’ unica psicologia, comune a tutte le donne. La inizianda che si presentava al tempio di Dioniso per essere introdotta nel rito dionisiaco, o la partecipante al convivio per un’agape festante o commemorativa, apprendeva, attraverso la rappresentazione pittorica, i momenti che ella nel rito o nella vita avrebbe dovuto sperimentare o che aveva già sperimentato. 36 IL GRANDE DIPINTO DIONISIACO Nello sviluppo grafico del dipinto, Maiuri contrassegna col numero romano X la tavola che rappresenta la donna seduta sul kline significando ch’essa chiuda la scena mitologica. A me pare che la donna sul kline (da me numerata con I), apra il rito di iniziazione e che la donna allo specchio da Maiuri contrassegnata col numero romano IX (da me con X) chiuda il racconto iniziaticomitologico. Il Maiuri scrive che la donna allo specchio si prepara alle nozze. A me pare ch’essa si trovi nel giorno seguente alle nozze dopo una notte d’amore. La finestra situata a mezzogiorno tra le due donne, la danzante (dopo d’essere stata fustigata) e tra la donna allo specchio, esprime il passaggio dallo stato nubile-verginale a quello muliebre della donna che ha goduto del rapporto sessuale. L’amorino, alla sinistra della donna allo specchio è dipinto sulla parete ovest, a destra di chi entra nella sala, simmetricamente alla donna seduta sul kline, anch’essa raffigurata sulla parete ovest a sinistra di chi entra. Le loro posizioni spaziali dimostrano l’inizio (tavola I del grafico) e la fine (tavola X) del racconto mitologico, secondo la mia interpretazione. Fig. 17 - La domina seduta sul seggio apre la scena mitologica e la donna allo specchio la chiude. 37 Fig. 18 - Planimetria della sala di Dioniso secondo la mia interpretazione. 38 Fig. 19 - Ggrafico del grande dipinto. A colore è riportata la finestra tra le due donne o 39 Fig. 20 Fig. 21 Fig. 22 Fig. 23 Fig. 24 Fig. 25 La venerabile maestra della legge, siede con scioltezza sul kline. Ella è con il capo scoperto e non porta le insegne del suo grado. E’ maestra per leggi naturali. Le sue insegne sono lì presenti e ben visibili: il bellissimo fanciullo, la cui nudità significa il suo stato verginale, con stivaletti di cuoio giallo ai piedi, a simboleggiare la sua prossima potenza virile. La maestra poggia la mano destra sull’ omero del figlio. Nella mano sinistra il rotolo di un altro papiro. Dopo aver mostrato con la punta dello stilo i codici di lettura, ha lo sguardo assorto e le orecchie tese per l’ascolto delle regole. Le sue orecchie, dopo l’allattamento al figlio, sono diventate un po’ caprine. Il bimbo succhiando il latte della madre ne assume i caratteri, ma stimola in essa quelle strutture neurologiche che presiedono all’istinto materno. Il latte della capra organoletticamente è il più simile al latte umano. Le orecchie caprine nella maestra son, forse, il segnale dell’entrata in gioco dell’istinto materno? Il divino fanciullo, come “Eschine, assiste la madre nella cerimonia misterica”*, e legge il rituale all’inizianda che arresta di colpo il passo. Per non trovarsi sbilanciata porta la destra al fianco e la sinistra a sollevare lo scialle dal petto, dando una forma dinamica all’automatismo del pendolare trattenuto. Ascolta con grande attenzione la lettura delle regole. Una sorella, nel grado superiore di prima compagna, per le doppie armille alle braccia, il capo scoperto e inghirlandato da una corona di mirto, simbolo delle donne devote a Dioniso, trapassa agile recando nella destra un ramo di mirto, e nella sinistra un vassoio ricolmo di focacce per la cerimonia conviviale. Volge il capo per ascoltare la lettura del rituale alla nuova adepta perché l’iniziazione è, per tutte, il rito più solenne, tanto più solenne quanto più vi si partecipa. Una Venerabile Maestra, il capo coperto e inghirlandato di un corona di mirto siede sul suo trono di spalle. Prende da un cesto tenuto da una sorella apprendista rami di mirto che una sorella compagna di grado superiore, il capo inghirlandato, con un papiro nella cintola, lustra con acqua versata da una brocca di rame. * A. Maiuri, La villa dei misteri , Libreria dello Stato, 58, 1967 46 La potente! Ella sola può volgere le spalle alle sorelle, depositaria del segreto misterico della lustrazione del mirto, che porrà come corona sulla testa dell’inizianda proclamando: “Tu ora sei nostra sorella. Mangia con noi il pane che è lo stesso Dioniso: tu che ora sei affamata e povera non scordare mai questo tuo stato di povertà e dona sempre generosamente il tuo pane a chi ha fame. Bevi il nostro vino che è lo stesso Dioniso: dona ai sofferenti il nettare dalla vite stillato, che il dio ha dato agli uomini siano essi poveri o ricchi”. Per l’estasi d’amore di Dioniso, coronato d’ellera, languidamente abbandonato tra le braccia di Arianna, Satiro, di fronte alla finestra che volge a mezzogiorno, mentre un altro suona la siringa di Pan, canta accompagnandosi alla lira: Dio ti lodiamo per la meravigliosa finestra sul mondo posta sul meridione del corpo della donna: il verde, l’azzurro, il sole! Dio ti lodiamo per la meravigliosa finestra sul mondo posta sul meridione del corpo della donna: il caldo, la luce, il verde, l’azzurro dei cieli e dei mari, il sole! Dio ti lodiamo per la meravigliosa finestra calda, canora, allegra posta sul meridione del corpo della donna. Dio ti lodiamo per la meravigliosa finestra sul mondo della luce: la vita, la gioia, il verde dei boschi, l’acqua del fiume, 47 l’onda del mare, il sole! Zeus ti lodiamo Amore mio, grazie di avermi aperto la porta sul mondo della vita. Amore mio, grazie di avermi aperto la porta cosmica sul mondo della luce e delle galassie. Amore mio, grazie di avermi aperto la porta del Tutto Azzurro eterno e infinito concentrato nel tuo corpo. Amore mio, grazie del tuo amore. Zeus, ti lodiamo! Dio è qui, nel tuo ventre quando vi sboccia l’amore o quando vi sboccia la vita. Dio ti lodiamo per la finestra posta a meridione di questo tempio dionisiaco come la meravigliosa finestra posta sul corpo della donna. Zeus, ti lodiamo! Il giovane satiro interrompe l’accompagnamento al canto dell’anziano Satiro, smettendo di suonare melodiosi accordi con la siringa pastorale di Pan, per osservare la sua compagna che offre con amore il seno a una cerbiatta mentre il maschio sta minacciosamente in guardia affinché l’allattamento non sia disturbato. 48 Fig. 26 - da A. Maiuri 49 “E quante ancor fresche di parto, prive dei loro pargoli, gonfie avean le mamme, stringendo al seno, fra le braccia, un daino, od i selvaggi cuccioli d’un lupo, di bianco latte lo nutriano; e al capo ghirlande si ponean di quercia, d’ellera, di fiorito smilace. E in pugno stretto alcuna il tirso, percotea la rupe, e polle di fredda acqua ne sgorgavano: con la ferula un’altra il suol batteva e spicciar vino ne faceva il Dio, e quante brama avean di puro latte, graffiando il suol con le somme dita, ne attingevano; e giù dai tirsi d’ellera stillavan di miel rivoli dolci”. (Euripide, Le baccanti, vv. 706-20, trad. E. Romagnoli, Zanichelli Edit., Bologna). L’inizianda si avvia verso il compimento del mistero e retrocede atterrita alla vista di Arianna e di Dioniso. E’ il divino accoppiamento che mette terrore alla vergine. Nonostante l’insegnamento ricevuto, le norme rituali osservate, l’esaltazione dell’animo per il copioso banchetto e per il liquore di Bromio, trangugiato abbondantemente, nonostante lo stordimento della coscienza prodotto dal cibo, dal vino, dai canti d’amore di Sileno e dalle melodie di Pan, e nonostante la pubblica confessione di avere, bambina, allattato, oltre a un agnellino, un nero gattino, liberandosi dalla colpa……. è colta dal terrore e retrocede atterrita, innalzando la mano destra verso il cielo e la sinistra per allontanare da se la desiata visione. 50 Fig. 27 – da A. Maiuri 51 Sileno, il solo che ha il capo cinto come Dioniso, da una corona d’ellera perché crebbe il Dio come un figlio affidatogli da Zeus, porge da bere a un giovane Satiro mentre un altro solleva alle sue spalle una maschera che si riflette nel liquido contenuto nella ciotola. Per il compimento del mistero dell’amore è necessario ora l’inganno: “quando ti fai male dimmelo ed io mi fermerò”, e così la ragazza di Prenestino dopo due anni di intensa vita sessuale, dovendo partorire, credeva d’essere ancora vergine. Lo stesso inganno della maschera riflessa in una ciotola d’acqua usato dai Titani per distrarre Dioniso Zagreo allo scopo di ucciderlo e sbranarne le membra. Zeus irato incenerì con i suoi fulmini i Titani. La colpa era stata bruciata col fuoco e non ne era rimasta più traccia, donde l’innocenza delle donne e degli uomini, nati dalle ceneri dei Titani. La colpa non era stata lavata con l’acqua del Giordano, rimanendo intatta. Le cellule di un corpo umano mortificate dalla colpa, non potranno scendere in piazza alzando bandiere di libertà e reclamando il diritto alla Vita, ma potranno soltanto ribellarsi contro il singolo individuo conducendolo a morte. E’ atterrita alla vista di Dioniso e Arianna. Ha paura: “Come il grosso phallos può entrare nella sua vagina dove a stento può entrare il suo mignolo?”. Ha desiderio, ma la paura e la colpa sono più grandi del desiderio. La colpa per la fantasia di accoppiarsi col proprio padre. La colpa di aver fatto “le schifezze” con i propri fratelli e sorelle. Il terrore che dopo l’accoppiamento un essere vivente, un alieno, cresca nel suo ventre per distruggerla. Non sa che la paura nella quale è cresciuta ha reso le sue ovaia sterili, fredde, prive di energia orgonica. Non sa che, secondo il costume dei romani, le donne sterili per divenire feconde subiscono nei postriboli la flagellazione con nerbate. Ignora che nei templi dionisiaci le vergini donne che non hanno potuto accoppiarsi, la prima notte, con il loro sposo, per la potente strictura della vagina, oltre alla fustigazione purificante, devono subire 52 l’introduzione in vagina del divino phallos, di ciliegio rosato, contenuto nel sacro ventilabro insieme a una grande varietà di frutti freschi: il consolatore contenente latte caldo, il bello arnese di gomma vibratile usato dalle monache. Zeus aveva mandato, di nuovo, per la felicità degli uomini, il suo prediletto figlio, Emmanuele, il novello Dioniso, più sublime dell’ultimo, il Bromio. Ma gli uomini malvagi, assetati di dracme e sesterzi, lo avevano tradito per trenta danari predicando falsamente che fossero destinati ai poveri. Lo avevano condannato al palo come un criminale. Predicavano che Emmanuele usava il phallos solo per orinare, affinché non rinascesse, uccidendo per sempre il piacere, la gioia e la speranza sulla faccia della terra. Per la predicazione della castità del nuovo Dioniso, la donna è atterrita al pensiero di dover fornicare e per la difesa della propria castità stringe le cosce aumentando la contrattura dei muscoli difensori della verginità. Ma qui non basta dire con Cesare: “alea iacta est” per attraversare il Rubicone. Per la colpa inculcata dalla madre che ha punito severamente la figlia perché si toccava la vagina con l’indice, è necessario sperimentare, con la vegetoterapia carattero-analitica di Reich, l’attraversamento del Rubicone e gridare con dolore: “Ero con Cesare, il cielo era plumbeo, l’acqua del fiume gelata, caddi su una roccia, mi ruppi la caviglia …ahi! Sento il freddo dell’acqua sulla pelle e il dolore alla caviglia che si gonfia, non posso muovermi, chiedo aiuto, nessuno mi soccorre, sono travolta dal fiume in piena, approdo trascinata dalle onde sulla riva limacciosa piena di canne, di fronte i pini ove regna Dioniso: che mi accolga e mi consoli”. La compagna scopritrice, in ginocchio per terra, il tirso sulla spalla sinistra, la testa coperta di un copricapo di stoffa giallo dorata, i piedi nudi sta per scoprire il phallos contenuto nel sacro ventilabro sotto gli occhi attenti della maestra infigitrix, mentre una sua compagna porge su un piatto steli di lavanda per strofinare e profumare il divino arnese e per pulire e medicare le ferite. 53 Accanto, Psiche alza un lungo staffile per colpire ancora una volta. Sul dorso nudo della donna, piegata sul grembo di una maestra, vi sono i segni delle staffilate. Fig. 28 - Immagine tratta da Maiuri 54 La maestra consolatrice guarda Psiche e lo staffile nell’attesa di un altro colpo; trattiene con la destra l’inizianda e nel contempo ne lenisce il dolore. Ma l’alata Psiche, come Pandora, è discesa dal cielo per portare la gioia e il dolore, il bene e il male: il nascituro potrà essere un mostro, ma potrà nascere anche un re. Aperta la vagina con il phallos è ora necessaria la fustigazione per scuotere le ovaia addormentate e l’utero per poter accogliere il caldo seme, liberandoli, con la pena, dalle colpe. La donna è prona senza forze, le lacrime congelate dal terrore nelle orbite semiaperte. Una devota senza curarsi della compagna che danza, con il tirso di traverso, il capo reclinato sulla spalla è girato verso il phallos alla sua destra, intenta a guardare, gli occhi curiosi e vogliosi, il sacro ventilabro nell’attesa di vedere il phallos, già goduto e posseduto, ma sempre bello da mirare come la prima volta. La danzante si muove armoniosamente, il corpo vorticoso, le braccia alzate al cielo, le mani battenti le nacchere di bosso per accompagnare i passi, il torace forte, il bacino possente, i glutei rotondi, le cosce ben tornite, le gambe levigate, i muscoli gemelli tutt’uno coi gastrocnemi, non scolpiti su questi, come nelle saltatrici nelle quali i gemelli sono molto pronunziati o come in quelle donne che hanno la tendenza a saltare da un phallos all’altro; i piedi sollevati sulle punte. Il velo variegato, svolazzante dal seno dell’altra apprendista alle sue cosce, racchiude in un semicerchio la splendida donna di cui si intravede la bellezza del volto e si indovina l’alterigia del portamento dal collo eretto e dai capelli raccolti a tupè, non scomposti dal movimento della danza, che se troppo scompigliati mostrano sfrenato desiderio. La donna seduta su uno sgabello, assistita dall’esperta, si pettina guardandosi allo specchio tenuto da Eros mentre un altro, con l’arco privo di frecce, avendola già colpito, la rimira estasiato. Tra la giovane danzante e quella alla toletta la FINESTRA che guarda Monte Faito. Apre alla luce, all’azzurro del cielo di Napoli, al verde-blu del mare nostro, al sole brillante. La finestra è parte del mistero dionisiaco non a caso posta a mezzogiorno. 55 Nel mezzo di queste scene, a ORIENTE, di fronte all’ ingresso della sala, sta Dioniso, il capo incoronato d’ellera, “ha negli occhi i lampi scuri del vino e le grazie languide di Afrodite”*, luminoso, gioioso, mezzo briaco, discinto e mollemente abbandonato sulle ginocchia di Arianna, il tirso infiocchettato d’ellera. *Euripide, Baccanti, trad. Romagnoli, Zanichelli, Bologna 56 ZANCLEA Fig. 30 - Immagine tratta da A. Maiuri 57 Sta seduta sul suo seggio. Il suo corpo è spezzato in due alla vita, come i suoi pensieri. Dal bacino ai piedi è diritta e sicura sopra il soffice divano. Ma sotto tanta sicurezza c’è il tumulto viscerale fremente di desiderio e di vita. All’altezza dell’ombelico curva il suo corpo a destra sinuosamente come spira di serpe. Si appoggia col gomito sul bracciolo reso più alto da un morbido cuscino. L’antibraccio destro, con le nocche della mano alla mandibola, fa un arco a sorreggere il capo dubbioso e confuso. Il braccio sinistro circonda l’attaccatura lungo le costole del potente muscolo interno che separa come diaframma i visceri del ventre dalla cavità polmonare a frenare le sensazioni e i vitali movimenti viscerali che se troppo forti e intensi scatenano la paura di impazzire e lo spavento per i tuoni dell’irato Zeus. Deterso il corpo con acque limpide e profumatolo con olio di sandalo 58 aveva indossato il chitone bianco. Le ancelle le avevano racchiuso i piedi in calzature di cuoio, le avevano acconciato i capelli, ornato i polsi d’armille, il collo di un monile e l’anulare di un anello gemmato. Un mantello giallo dorato, variegato a balze di porpora viola le copre le spalle e le ammanta il capo lasciando scoperta la fronte e l’acconciatura dei capelli castani. Ma lo sfarzoso e pesante mantello, una volta indossato, come per incanto, aveva fermato i suoi passi e l’aveva inchiodata al suo seggio, nel dubbio se andare o restare. Senza porre a fuoco lo sguardo su nulla, vede sua madre e suo padre partire oltre le Gallie a cercare lavoro, per le inique leggi patrie che non tengono in alcun conto il bisogno di affetto dei bimbi. Vede gli anni del collegio, per l’assenza della genitrice, e sente ancora sulla pelle la differenza di classe 59 elevata a metodo educativo dalle figlie di Maria, le donne dal capo pieno di stracci: con gli orecchi coperti dalle bende nel timore di restare ingravidate come la vergine Maria, attraverso l’orecchio. Le mutandine bagnate di urina sulla testa davanti alle compagne in girotondo intorno a lei. Nel buio della notte la trepidante fiammella di una candela davanti al viso della monaca che gioca a fare lo spettro. Il nero mantello della superiora che nei sotterranei scopre le avvizzite mammelle e il puzzolente sesso davanti alle atterrite bambine. Si vede nascosta dietro i fichi d’India ricercata per un’intera giornata dai parenti affranti: donde lo stile di vita nel farsi paravento di parole pungeolate come le foglie che la nascondevano. Vede il liceo e i compagni che predicano la liberazione del sesso senza amore. Le lotte del sessantotto e gli impulsi sani 60 dei giovani intrappolati dagli uomini di destra, di centro e di sinistra, tutti cresciuti nelle scuole che educano alla sincerità … dei bugiardi! Lo studio dei cento filosofi, uno più bugiardo dell’altro perché la Verità è una sola: la legge naturale degli esseri viventi. L’uso della droga, nel tentativo di riappropriarsi del proprio corpo, spogliati di tutto: del misero jeans come dei capelli lunghi. La droga pesante che uccide i compagni, la droga leggera che libera dalle repressioni e modifica i comportamenti e li cambia: in meglio o in peggio ? Sarà da vedere !… Le filosofie orientali, i tentativi di salvezza con Krisna, ed altre pratiche assurde per gli occidentali. In questi il brainframe alfabetico delle lingue greca e latina che vanno, nella scrittura, da destra a sinistra, privilegia e sollecita l’emisfero sinistro della razionalità. Negli orientali 61 il brainfame alfabetico privilegia e sollecita l’emisfero destro e l’ emotività. IL MESSO PER ZANCLEA Fig. 31 - Cilento - Rupe della Noce Giunge da Velia ove scorre l’Alento un messo per Zanclea e senza indugio, rapido così parla: “Nobile siracusana, Policastro, colui, a cui obbedisco, è sulla Rupe Della Noce. Non ti dirò come ci sta perché ciò m’è proibito. 62 Ma ti manda a dire di non rifugiarti “sull’isoletta che a Plemmirio ondoso è posta incontro, e dagli antichi è detta per nome Ortigia.”. (Virgilio, Eneide, libro III- v.1096 sgg.) Così fece la divina Aretusa per sfuggire alle voglie amorose del Dio Alfeo, figlio di Oceano. Fig. 32 - Siracusa - Fonte Aretusa: Aretusa e Alfeo. 63 E se Artemide ti trasformerà in fonte come fece per la bella Aretusa per sottrarla ad Alfeo, sappi che il mio signore, Policastro, non chiederà a Zeus d’essere trasformato in fiume sotterraneo per giungere dalla patria di Parmenide alla terra di Archimede per un incontro d’amore, mescolando le sue acque con le tue, come “il greco Alfeo che per vie sotto il mare vien, da Doride intatto, infin d'Arcadia per bocca d'Aretusa a mescolarsi con l'onde di Sicilia…” (Virgilio, Eneide, libro III- v.1102 sgg.) Né indosserà come Ercole o Deianira, la tunica tinta del velenoso sangue di Nesso. Egli si porrà in viaggio per le falde del Vesuvio mentre tu struggi il tuo petto e con esso un amore tutto azzurro. Con Wolfango Goethe o con Federico Nietzsche resterai, Zanclea, spezzata in due finché siederai sul tuo kline.” 64 Sobbalza la donna alle dure parole e raddrizza il suo corpo. Soffia forte più volte l’aria dal naso mostrando i denti come un gatto minaccioso. Le dita delle mani si tendono ad artiglio, i muscoli del ventre si scuotono fremendo. Indietreggia il messo come il cane sicuro davanti al gatto e dice: “Tali parole mi ordinò di riferirti e non altro !” Le mani sono calde, sente nel petto il desiderio e lo soffoca con un convulso accesso di tosse. S’aggrappa al ricordo della marijuana e all’immagine di una maschera riflessa nello specchio. Ma per misterioso sortilegio vede Policastro sulla vetta della Rupe della Noce che stana velenosi serpenti, iene, lonze, lupi, le feroci tigri e l’astuta volpe anche se per affanno d’amore, chiede al cielo pietà. Zanclea ha paura di lui più delle fiere ch’ella si porta dentro. 65 Fig. 33 - Immagine tratta da A. Maiuri Vuole fuggire, ma la nave è già pronta per veleggiare verso Stabia. Indossa una tunica gialla fasciata di risvolti in viola pallido ricadente a doppia balza sul corpo. Copre il capo con uno scialle e s’incammina spedita nella notte profonda del vicolo deserto, senza voci. 66 Inquieta si volge indietro a guardare i suoi passi: o chi? O quale altro fantasma? Ormai hai bevuto, andiamo, prendi le redini e scuotile, portami a Pompei dove si trova il mio dolce amore. (Graffiti d’amore a Pompei) Quattro servitori portano a spalle la lettiga dai variopinti colori. Le tendine abbassate riparano Zanclea dalla polvere e dal calore. Entrano a Pompei per la Porta Marina che si affaccia sul porto. Attraversano il foro. Usciti fuori città per la Porta di Ercolano, volgono a destra per la Via Superiore che conduce alla casa dei misteri dionisiaci. Fig. 34- Planimetria degli scavi di Pompei - In basso Porta Marina 67 La domus è su un magnifico poggio, circondata di luce e di verde. Alle spalle il Vesuvio e monte Somma, a occidente Ercolano e Napoli, a oriente l’alto Faito, di fronte, quasi a toccarlo con le mani, il mare azzurro del golfo che lambisce le dirimpettaie Stabia e Capri. Fig. 35 - Villa dei Misteri Entrano nella domus attraverso il vestibolo. Trapassano il popoloso quartiere degli schiavi, dai cento cubicoli, aggregati alla splendida costruzione, così come i luridi vicoli dei quartieri napoletani a via dei Mille, sporcata con feci e urine dai cani tenuti a guinzaglio. Tre giovani donne dalle carni sode e la pelle eburnea, accolgono nel peristilio 68 con fasci di piccoli fiori gialli la nobile ospite, che abbandona la lettiga con un balzo. Soddisfatta d’esser giunta ammira con occhi profondi i fiori e le piante del giardino rettangolare, gli stessi della sua terra calda e lontana. Fig. 36 - Il giardino del peristilio Il colonnato e il porticato, tutto intorno al variopinto giardino danno frescura e rendono più piacevole il clima pompeiano già mite. Si intravedono sulla parete orientale del peristilio gli attrezzi per la campagna, nella penombra dei cubicoli rustici del quartiere dei servitori. 69 Il peristilio separa i servi dai padroni che hanno gli alloggi nell’atrio tusculano. Dalle cucine sistemate a sud del peristilio filtrano odori di carni bruciate e di salse alla cipolla. Di lato alle cucine i servizi igienici, dall’altro lato il laconicum e il quartiere degli ospiti. Sulla destra a settentrione del peristilio un corridoio porta ai depositi, al torcularum e all’aperto in campagna: ingresso secondario della villa riservato ai procuratori, agli intimi della casa e agli uomini politici che non desiderano passare sotto gli occhi di gente capace di creare scandalo per nulla, massa canaglia di moralisti fatta non coll’argillosa creta, ricca dello spirito della terra, ma con escrementi carichi di vapori mistici, il cui lezzo è mal coperto dal profumo dei gigli. Accanto all’ingresso riservato, di buon servizio, il salotto d’attesa, antistante il tablino ove il Dominus conduce gli affari e accompagna, a richiesta, i clienti al torcularum e ai depositi per la stima del vino, del grano, delle fave e dei ceci. La vita di giorno si svolge intorno al peristilio. 70 In terra di lavoro, dalla benigna sorte assegnata al divino e augusto Ottaviano, da tre giorni son cominciati i preparativi per festeggiare il solstizio d’estate. Il convulso affaccendarsi di uomini e donne per le pulizie generali perfino nei depositi per il gran giorno, dei misteri dionisiaci, ha trasformato l’ameno luogo in un rumoroso mercato. Pare la piazza greca di San Gaetano con la basilica di Gregorio Armeno con presepi e librerie, ove sembra regnare la confusione e, invece, la gente si muove agevolmente. Qui Emmanuele, detto il Ditirambo, perché aveva passato due volte le porte degli inferi, se ne starebbe mollemente sdraiato a terra a mangiare “melone, trippa, pere ‘e musso”, tra un amplesso e l’altro, avendo per tetto il cielo stellato e non obelischi di marmo. Zanclea guidata dalle tre ancelle che hanno tratto dalla lettiga i suoi bagagli, entra nell’accogliente e gradito silenzio del quartiere riservato agli ospiti. I cubicoli, gioiosamente decorati, si affacciano 71 con un piccolo porticato in un giardinetto interno quadrato ricco di multicolori fiori e verdi piante che tengono lontani, con il loro profumo, moscerini e mosconi, tranne le farfalle e le operose api. Deposti i bagagli nel cubicolo, a lei destinato, è accompagnata nel balneum per togliersi di dosso la polvere e rinfrescarsi. Un’ancella spoglia Zanclea e un’altra getta una manciata di semi nell’ardente braciere del laconicum nel quale si sprigionano fumi odorosi e inebrianti. Il braciere di bronzo viene tirato fuori dal laconico e dolcemente vi è sospinta Zanclea. Sente le pareti del laconico calde come quelle di un forno. Respira l’aria calda e fumosa, si sente soffocare, poi respira meglio, il sudore gronda a gocce da tutto il corpo. Con gridi di gioia esce dal laconicum. Limpide e tiepide acque l’accolgono in una capace vasca, panni di lino bianco avvolgono la sua morbida pelle e dita vibratili e veloci la spalmano di olio di rose. Dal quartiere degli ospiti è condotta nella sala triclinare adiacente al piccolo atrio quadrato. Spilluzica le vivande servite dalle ancelle: focacce calde, uova di pernici, galletti allo spiedo, uccelletti e fagiani, proboscide di elefante alla salsa pompeiana famosa in tutto il mondo, fave, lattuga, sedano, finocchi, 72 albicocche, fragole ciliegie, nespole, pere, susine gialle, rosate e brune, Gusta le bevande prelevate fresche dalla cripta al centro del peristilio: latte di capre che hanno brucato le profumate erbe esistenti solo alle pendici del Vesuvio, acqua acetosella di madonna Semele proveniente da Stabia, leggerissimo vino bianco dei colli Aminei di Napoli, robusto vino rosso di Bromio dei vigneti della casa. Fig. 37 - Tratta da Maiuri 73 Dopo il pranzo è riaccompagnata nel suo cubicolo dove le ancelle la denudano. Si corica, il ventre schiacciato contro il materasso coperto da bianche lenzuola. Una bambolina del Guatemala sotto il cuscino induce sogni felici. L aere sottile dalla porta aperta le massaggia la pelle. La vigilia del grande giorno, Zanclea, accompagnata da due ancelle, attraversa il rumoroso peristilio fino alla porta dell’impluvarium. Qui la domina della casa, incoronata con foglie di alloro, accoglie la giovane siracusana. Fig. 38 - Atrium tusculanum o Impluviarium - Foto:VMisteri012.JPG di Giovanni Lattanzi 74 I bambini giocano rincorrendosi e le loro voci si confondono con i cinguettii delle rondini e dei passeri che hanno nidificato sotto la tettoia. L’impluvarium è un patio chiuso, più intimo e raccolto. Raccoglie le acque piovane, ma la sua miglior funzione è quella di aerare i cubicoli della notte. Bellamente decorati, a uno o a due alcove, si affacciano con un’alta porta sotto il porticato dell’impluviarium. Fig. 38 - Villa dei Misteri, cubicolo: decorazione in secondo stile evoluto 75 I romani desiderano fare sonni tranquilli e chi vi dorme, sbarrata la porta d’ingresso, trae come dal grembo materno la sicurezza del civis e la forza del miles. Fig. 39 – Immagine tratta da Maiuri – Porta del cubicolo n. 16 (parete sud che dà sull’atrio) 76 Le pareti dell’impluviarium sono affrescate con scene quotidiane. Con bei colori luminosi v’è dipinto il fiume Sarno e la vita che si svolge su di esso. Lo zoccolo è affrescato con disegni geometrici. Un commensale, uscendo mezzo briaco dal triclinium nell’impluviarium, ha inciso, con uno stilo, sulla parete la caricatura di Rufus, la testa calva, incoronata con una ghirlanda, gli occhi aguzzi, un grosso naso che si fa vermiglio dopo una bevuta, il mento sporgente, per il piacere della parola e quello di masticare cibi prelibati come un quarto di bue. Fig. 40 - “Rufus est” - da A. Maiuri 77 La domina lascia Zanclea sulla soglia del tempio di Osiride. La siracusana entra nella sala e alle sue spalle la porta si chiude con un sinistro cigolio. E’ una stanza con eleganti disegni su fondo nero. Fig. 41 - Decorazione della sala a parete nera) contrassegnata da Maiuri come tablinum Foto VMisteri010.JPG – di Giovanni Lattanzi 78 Fig. 42 - Immagine tratta da Amedeo Maiuri, gentilmente concessa dalla Sopraintendenza di Pompei. 79 Zanclea è presa da smarrimento e sconforto. Non sono i pompeiani gente amante della luce? La stanza nera le mette addosso un brivido di freddo. A sinistra una porta chiusa: l’uscita dalla misteriosa stanza? Di rimpetto un balcone semichiuso muove, con la sua poca luce, misteriose figure in penombra. Fig. 43 – La sfinge. Foto: VMisteri031.jpg di Giovanni Lattanzi Un mostruoso animale, la testa e il petto di una donna, il dorso maculato, il corpo e le zampe di un leone, un serpente per coda, un grosso organo genitale. 80 E quello chi è? Un sacerdote, il guardiano del tempio, o un Dio? Ha sul capo il geroglifico che rappresenta il trono, nella sinistra uno scettro fiammeggiante e nella destra una chiave. E’ Osiride fratello e sposo di Iside? Fig. 44 - Osiride – Foto: VMisteri018.JPG – Giovanni Lattanzi 81 E quell’altro chi è? Zanclea è sempre più spaventata. E’ un uccello, un uomo, o un Dio? E’ un offerente, o un penitente? Sta in ginocchio, ha sul capo il segno trilobato della regale divinità, il becco di Ibis, il grande uccello del Nilo, nella mano sinistra il bastone ricurvo dei pastori e nella destra la chiave della conoscenza. Fig. 45 – Il dio Toth - Foto VMisteri021.JPG 82 La curiosità può più della paura e Zanclea con flebile voce chiede: “Chi sei? Perché sei in ginocchio? “Che ci fai tra uccelli e coccodrilli? Risponde il Dio: “Non aver paura, Zanclea, “Io sono Thot, Dio della sapienza “e della matematica, “consigliere della grande Iside, “davanti alla quale sono in ginocchio. “Il perverso Seth, dio dei morti, “fratello di Iside e di Osiride “geloso della felicità dei suoi due “fratelli che, per divino amore “si erano accoppiati “sessualmente fin da quando “erano nell’utero della madre, “rinchiuse, con l’inganno, suo fratello Osiride, “Dio delle acque, in un sarcofago tutto d’oro “e lapislazzuli, e lo gettò nel Nilo. “Iside consumata dal dolore “chiede il mio aiuto per ritrovare “il corpo dell’amato. Ed ecco Iside, bellissima. S’avanza sicura, ma leggera e sembra volare. Ha una tunica trasparente, una cintura con teste di serpente e un nodo sul petto, lo scialle ricopre le spalle e il busto. I lunghi capelli sono divisi sulla fronte e scendono lisci sul dorso. Ha sul capo il geroglifico che rappresenta il seggio regale, il disco lunare tra due corna bovine. Tiene ai polsi braccialetti a forma di serpente. 83 Fig. 46 - Iside alata - VMisteri019.JPG – Giovanni Lattanzi Nella mano destra l’ankh, il simbolo della vita, che nella parte aperta ha la forma dell’utero. Nella sinistra il sistro, lo strumento musicale da lei inventato. 84 Anch’esso a forma di utero, agitato nell’aria stimola, per il fremito argenteo del suo eccitante sibilo, i visceri della pancia e l’intimo dialogare del pene e della vagina che intrecciano il loro umido chiacchiericcio in una gioiosa danza d’amore. Ha già le ali, consigliate da Thot, perché come uno sparviere volerà sulle acque del Nilo fino alla fenicia Biblos, dove troverà il sarcofago in cui Osiride giace senza vita. Volando sul corpo dell’amato si impregnerà del suo sperma e ingravidandosi, partorirà Horus. - O Iside Dea dalle molte facoltà, onore del sesso femminile. - Amabile, che fa regnare la dolcezza nelle assemblee, - Nemica dell'odio - Tu regni nel Sublime e nell'Infinito. Tu trionfi facilmente sui despoti con i tuoi consigli leali. - Sei tu che, da sola, hai ritrovato tuo fratello (Osiri), che hai ben governato la barca, e gli hai dato una sepoltura degna di lui. - Tu vuoi che le donne (in età di procreare) si uniscano agli uomini. - Sei tu la Signora della Terra Tu hai reso il potere delle donne uguale a quello degli uomini! ( Inno a Iside - Tratto dal Papiro di Ossirinico n.1380,1, 214-216, II secolo a. C.) 85 Iside, la Dea dell’Amore, riporta il corpo di Osiride in Egitto. Ma il malvagio Seth, colto dall’antica invidia, profittando della sua assenza, spezza Osiride in quattordici parti, spargendole sulla terra d’Egitto e sul Nilo. La sposa, infelice, come solo possono essere le donne dei soldati morti a Nassiria e in Afganistan, vola ancora una volta come lo sparviero sulla terra d’Egitto e sulle acque del Nilo. Ritrova le parti dell’amato e ne ricompone il corpo. Ma non trova il suo organo genitale perché un coccodrillo l’aveva mangiato. La dea fa all’amato un pene di legno. Ed ecco di fronte l’animale sacro del Nilo! Immobile, pronto a ghermirti, la pelle verdastra, gli occhi fermi, le narici nella parte alta del muso, i denti robusti, le zampe con artigli rosati, la coda potente. 86 Ha divorato il pene di Osiride ed egli stesso è un Dio. Porta sul capo la divina corona trilobata. Fig. 47 - La stanza nera – Il coccodrillo – Foto: VMisteri020.JPG – Giovanni Lattanzi L’organo genitale di Osiride sarà sostituito dal phallos di Dioniso oggetto di devozione nel culto, e simbolo del rito, affinché mai più abbia a perdersi ed essere divorato da un coccodrillo. Le grandi madri Ishtar e Iside, dee della terra e dell’amore sensuale 87 sono vinte da Dioniso e dal matriarcato sessuale di Iside e Isthar si giungerà al patriarcato fallico di Dioniso. Le donne colte dalla follia del Dio si ribellarono alla schiavitù degli uomini, desiderose di tornare libere, com’erano un tempo. Conquistarono perfino il parlamento di Aristofane. Ma il loro potere ebbe la durata di un giorno, passò di nuovo agli uomini e la schiavitù delle donne ricominciò con il matri-patriarcato che è tale perché è asessuato. Fig. 48 – Fregio nella stanza a pareti nere - foto: VMisteri029.JPG di Giovanni Lattanzi Gli ibis…., gli uccelli, i draghi e i coccodrilli insieme a frutta e foglie verdi. 88 Una figura in nero ha le chiavi in mano. E’ custode della porta verde sulla sinistra? Seth col volto di sciacallo. Osiride il dio della vita e della morte. Horus con la testa di falco, E’ un sogno? E’ un incubo? E’ realtà? Questo è il tenebroso regno di Osiride. Zanclea è pervasa da una vaga paura di un sacrificio di sangue mista a un’estasi d’amore. La fronte s’imperla di un freddo sudore, le cosce si bagnano di caldi umori vaginali. Un drago alato, col divino emblema trilobato, erompe minaccioso dalle lucide profondità del nero sfondo, che la luce, proiettata dall’esterno, accende di inquietanti bagliori. Fig. 49 - Drago alato – Foto: VMisteri017.JPG di Giovanni Lattanzi. 89 Zanclea atterrita scappa attraverso la porta verde che si spalanca in una atmosfera infuocata e passionale dal colore rosso cupo. E’ il cubicolo di Roxani. Fig. 50 - Cubicolo 4 della pianta di Maiuri (v. fig. 13) Pan, il Dio che incute terrore alle vergini, sta nascosto dietro un cespuglio, pronto a ghermire la preda. 90 Un satiro possiede Dioniso. Fig. 51 - Cubicolo 3-4 della pianta di Maiuri (v. fig. 50) Il dio è bello come una fanciulla, “…e tale “da piacere alle femmine…. 91 “ i voluttuosi riccioli effusi per le guance “non cresciuti nella palestra. E bianco “per far di sua beltà preda di amore, “si serba all’ombra, e i rai, del sole schiva… (Euripide, Le baccanti , v v. 453–59, trad. Romagnoli) Non osa guardare il satiro in faccia. Reggendosi col braccio sinistro sul corpo di lui e colla destra tenendosi il capo, si fa possedere alzando la coscia. Come la vergine è solo, faccia a faccia con la gioia e con l’estasi, in una esperienza non comunicabile. 92 Lungo il fiume un porco bianco. Sileno ubriaco gioca con un satiro. Fig. 52 - Cubicolo 3-4 (v. fig. 50) - Immagine tratta da Maiuri 93 Un altro danza e un terzo versa il vino. Fig. 53 - Cubicolo 3-4 (v. fig. 50) - Immagine tratta da Maiuri Una donna barbuta porta una cesta sul capo….. è in compagnia di giovanetti e giovanette… capace di dar gioia agli uni e alle altre… 94 Una gentildonna elegante con ricco abbigliamento, vestita da sacerdotessa racconta la sua storia… Fig. 54 - Cubicolo 3-4 (v. fig. 50) - Immagine tratta da Maiuri 95 Il perbenismo è impresso sul suo volto tirato come una maschera… timorata di Dio ha vissuto la sua vita senza amore. Non ha mai amato ed ha prostituito la figlia mentalmente presentando il sesso sporco e peccaminoso… Ma è la madre di…Roxani, la fanciulla che ha immortalato il suo passaggio scrivendo il nome sulla pietra e lasciando un messaggio d’amore. Zanclea attraversa il cubicolo di Roxani e si ritrova in una grande stanza rettangolare. Fig. 55 – Particolare della pianta di Maiuri La porta di rimpetto apre nell’Esedra, che comunica 96 a destra e a sinistra con il porticato che circonda la villa. Tre finestre grandi e due più piccole si aprono sulla campagna e sul golfo. Fig. 56 - Porticato meridionale Zanclea si affaccia alla finestra di mezzo, respira profondamente. L’aria fresca la risveglia dal terribile incubo. Finalmente la luce, che offre alla vista il verde della campagna, il golfo che va da Posillipo a Sorrento da Ischia a Capri e nel mezzo Napule, per la cui pronunzia non v’è città al mondo dal suono più dolce. 97 Rianimata dalla splendida visione, rientra nella stanza rettangolare che per le iniziande serve all’incubazione onirica. Di fronte, alla sua destra, la porta di bronzo del tempio di Dioniso. Su pannelli d’argento sono incise magiche parole e in bassorilievo gli attrezzi dell’arte. Fig. 57 - Non v’è traccia del portale della stanza di Dioniso. 98 Due colonne corinzie, una in rosso di Levanto e l’altra in nero bardiglio ondulato. Ai lati il simulacro di Jaccos e quello di Persefone, scolpiti in marmo bianco dallo stesso Fidia, trafugati ai Greci. Accanto alla colonna di Jaccos un abaco di marmo rosso a tre piedi, offre un calice d’oro col nettare di Bacco. Accanto alla colonna di Persefone un abaco di marmo nero con un solo piede offre un calice d’argento con il liquore stillato dal granato. Sulla porta la scritta: O TU CHE GIUNTA A QUESTA PORTA BRAMI VEDERE QUANTO A MORTALE NON CONVIENE, BEVI AL CALICE DI JACCOS E POI A QUELLO DI PERSEFONE E TI SI APRIRA’ IL TEMPIO DI DIONISSO Zanclea, lette le oscure e minacciose parole, trepidante si avvicina all’abaco di Jaccos e beve dalla coppa d’oro, tempestata di perle bianche, il rosso liquore, il vino della forza, dell’impeto d’amore, della poesia, dell’arte e della vita. Come d’incanto inebriata, si sente più forte e con coraggio si accosta all’abaco di Persefone. Afferra la coppa d’argento, tempestata di perle nere, ed avidamente trangugia il rosato e scintillante liquore, il vino della dolcezza e dell’amarezza, 99 che facilita la fecondazione, il vino dell’oblio e della morte. Il tempo di riporre la coppa sull’abaco ed è già notte. Il buio profondo e il freddo l’avvolgono tutta. SI ABBATTE PER TERRA 100 LA VISIONE ONIRICA All’orizzonte l’incendio di un grande fuoco spinge l’azzurro contro il nero fondo della notte senza stelle e i primi bagliori bianchi guizzano nell’aria e si fanno più persistenti. La terra beve le ultime gocce della umidità della notte. L’uomo in silenzio sta sull’aia a mirare la formidabile visione: il rosso rapidamente si dilegua e il subentrante giallo illumina i covoni di grano ammucchiati presso l’aia. La divina Leucotea, protettrice degli agricoltori, "soffonde con la rosea luce dell'aurora le rive dell'etere e spande la luce...” (Lucrezio - De rerum natura) Il sole, atteso, si manifesta a oriente e con la sua corona d’oro illumina la terra. E’ il momento. 101 Mani veloci di donne e di fanciulli sparpagliano le fascine sull’aia fino a colmarla. Uomini e fanciulli disposti circolarmente intorno all’aia formano il primo coro del ditirambo del nascente giorno. L’ultimo sarà drammatico, disposto in forma rettangolare. Uno stormo di tortore s’innalza e fugge al suono dei primi colpi dei battitori. Questi, a fronte sull’aia, immobili nel tronco, con movimenti precisi e sicuri delle mani e delle braccia, a tempi alterni, con forza misurata battono le vette dei correggiati contro le spighe, quasi carezzandole e producendo un ritmo a due tempi sotteso dal fruscio delle spighe chi si sgranano. L’esperienza e la prudenza consigliano dolcezza per non affaticare i corpi freschi del notturno riposo, perché la giornata sarà lunga. Colpi sibilanti di flessibili e leggere canne dei piccoli battitori ancora inesperti, sistemati negli archi dell’aia, contrapposti agli uomini, 102 fustigano con violenza le piante di grano, sollevandolo e smuovendolo finché non ottengono anche loro una ritmica battuta a due tempi che si alterna a quella dei correggiati. La musicalità delle battute si diffonde nell’aria e le colline circostanti fanno ad esse eco. Nelle stasi le donne continuano a portare sull’aia fascine di grano. Il sole rapidamente sembra alzarsi nel cielo e con raggi infuocati dardeggia la terra. I corpi dei battitori grondano sudore. I possenti muscoli del torace e delle braccia ricoperti da una pelle umida e brunita, rilucente al sole, sprigionano forza e calore. Le mille pagliuzze dorate, attaccate ai corpi degli uomini proiettano aurei riflessi in tutte le direzioni e le vergini donne sono incantate da quei corpi irraggianti la vita, come lo stesso radioso Dioniso. Questi sono i divini figli di Dioniso. Il sole ha superato il punto più alto del suo percorso. Le pupille dilatate delle vergini 103 bevono le ultime immagini del Dio che le scuote, contro la loro stessa volontà, nel più profondo dell’essere. L’immagine del Dio è già impressa nelle loro menti quando i battitori abbandonano le canne e i correggiati. La battitura è terminata. Lui ha battuto l’ultimo colpo ed è proclamato lo Spirito del Grano. I battitori sono sotto l’ombra della grande quercia presso l’aia. Il provvido Dio, che inebria di felicità ricchi e poveri, ha racchiuso l’acqua, per i periodi di siccità, in panciuti frutti verdi: le bocche dei mietitori affondano nella polpa rossa e i neri semi cadono uno a uno, o a gruppo ad arricchire la già feconda terra. Col bianco della scorze si rinfrescano la fronte detergendo le fastidiose ariste. Una donna attraversa l’arsa campagna di colore giallo riparandosi di tanto in tanto alla scarsa ombra di un solitario pero, o di un olivo. Cammina sciolta e veloce tra gli sterpi. E il fruscio del suo agile passo si insinua nello stridulo richiamo delle cicale che col loro canto 104 producono uno straordinario e ritmato concento di suoni. E’ tutt’uno il capo con il pesante recipiente di creta, pieno di acqua viva attinta alla sorgente di Semele. I raggi solari colpiscono l’anfora che rimanda luminosi bagliori che segnalano agli uomini l’avvicinarsi della donna. L’acqua trasudando dalle pareti di terracotta respira, acquista sapore e diventa più fresca. Altre donne abbandonano l’aia per preparare l’agape della sera. Tre uomini appoggiati sui forconi di olmo bianco scrutano pensosi il cielo. Da ponente, finalmente, si alza la carezzevole brezza. Contenti fanno un cenno del capo. Due di loro, l’uno di fronte all’altro, sollevano cumuli di paglia spingendola verso il cielo. Il terzo uomo scruta e misura la forza del vento che trasporta la paglia verso oriente ai bordi dell’aia; quindi stabilisce il limite che separa il grano dalla paglia e lo percorre rapidamente da un capo all’altro. 105 Il forcone nelle sue mani esperte, ora è magico tridente che ruota e afferra la paglia ancora al volo, ora è gigantesca cazzuola che liscia e ammassa il crescente muro di paglia, diritto e a piombo sull’arco dell’aia, come un palcoscenico, circolare e degradante all’esterno verso la campagna circostante. Dioniso transustanziato in chicchi di grano comincia a mostrare i suoi riccioli d’oro. E’ sporco di pula e di ariste come è sporco un neonato. I tre uomini si ritirano a spagliarsi volgendo i passi a occidente. La vergine della mietitura, colei che aveva legato l'ultimo covone, s’avanza sull’ aia dal Sud, recando sulle braccia protese il sacro ventilabro. Una ghirlanda di grano le adorna il collo e dà riflessi dorati al suo viso ben modellato. Lo spirito del grano, l’uomo che aveva dato l’ultimo colpo di correggiato, incoronato di foglie d’ellera, procede con il crivello, dal Nord. 106 Sono pari in altezza ed entrambi belli. scelti dalla sorte, lei alla mietitura, lui alla battitura del grano. Sanno che a loro saranno riservate le danze più pericolose. Sanno che potranno fecondare con il proprio sangue i germi di grano destinati alla semina. Tutto dipenderà dalla perfetta sincronia dei tempi e dei movimenti. L’errore di uno potrà costare la vita anche all’altro. La caduta dell’uno sarà la caduta dell'altro, e a quel punto i battitori non seguiranno più il ritmo e le regole, ma si abbandoneranno convulsamente e disordinatamente con i correggiati fino al massacro. Novelli Persefone e Lityerse potranno fecondare con il loro sangue la terra. Lui afferra dalle mani della vergine formosa come un giovenca il ventilabro lanciando sguardi di fuoco e a lei consegna il crivello. E’ il primo scambio d’amore. L’uomo scaglia con il ventilabro i semi di grano contro il cielo: ricadono sul crivello, agitato dalla donna, come il dorato seme di Zeus sul grembo di Danae. La pula, le ariste e i germi secchi, portati dalla brezza di ponente, 107 sciamano, in una striscia argentea, sul muro di paglia e più oltre. Meraviglioso e divino arnese, coronatore del lavoro dell’uomo! Separa ora la vita dalla morte, il germe vitale da quello secco: il sacro ventilabro! Cesta a racchetta, slabbrata come una vagina aperta, contenente lo stesso Dioniso: il suo divino phallos! Maschio e femmina insieme, phallos di fuori e vagina di dentro. Il sacro ventilabro, simbolo della germinità: la tua forza è il vento! Fig. 58 – Il sacro ventilabro 108 Le ceste di vimini disposte in fila, sull’orlo dell’aia, a occidente, dirimpetto al muro di paglia, accolgono il grano nei capaci ventri. Un panno verde le ricopre. Si va delineando, col muro di paglia, lo spazio in forma rettangolare per trescare il ditirambo della notte. Le donne camminano una dietro l’altra recando sul capo le ceste delle vivande. Le lunghe ombre proiettate sul terreno, al calar del sole, disegnano un mobile colonnato simile a quello del pestano tempio di Hera. Il bosco di querce frastagliato a picchi, a vallate, e a cupole sta per accogliere nel nero grembo il grande disco rosso. Sovrastano strisce rosate in uno smagliante e perlato azzurro. La luna splende a giorno nel cielo stellato. I fuochi accesi tutto intorno muovono variabili ombre sui volti dei banchettanti seduti per terra nello spiazzo sotto la grande quercia. Le donne porgono le ceste con le vivande. I giovani tacciono dardeggiandosi con gli occhi. 109 Il re del demo e sua moglie, la regina del grano sono seduti su un punto più alto nel mezzo dello spiazzo. E’ silenzio. Al colpo di maglio del re del demo, tutti sollevano i calici pieni di vino per brindare all’agape della mietitura. Zucchine in umido. Focacce cotte sulla pietra rovente. Capretti ancora avvolti in fascine di mirto, cotti sotto terra. Anatre allo spiedo. Ricotte fresche e ricotte salate. Prosciutto, pancetta, cacicavalli e manteche. Insalata di cetrioli. Ruchetta forte dal fresco sapore delle Cerrine, sedano e basilico. Ciliegie, perine e susine di Jaccos, pesche rosate, bianche e gialle, fiori di fichi di Hera, acqua della fonte di Semele. Vino bianco del Sabazio e quello rosso di Bromio. L’ultima uva passa di Bacco e miele di Arianna. Gli uomini e le donne sono seduti per terra in fila, sono gli uni di fronte alle altre, gli uomini sul lato di nord, le donne sul lato di sud. Tutti sono coperti da una maschera di paglia. Formano un quadrato con il muro di paglia a oriente e con le ceste ricolme di grano a occidente. 110 La vergine del grano legata e fasciata con steli di grano è condotta sull’aia I fanciulli la spingono, la urtano, la percuotono finché non è libera del suo involucro. E’ nuda. Il pube nero sulle cosce brunite, l’ombelico ben centrato segna la vita sui fianchi rotondi, le mammelle sode, i capezzoli neri, il collo eretto, la bocca rosata con turgide labbra, gli occhi luminosi, tutti i muscoli tesi e frementi. Si sente presa in trappola in quel quadrato. Sente sul suo corpo gli sguardi che la trafiggono. Attraverso le maschere di paglia uomini e donne possono godere a guardare, non visti, il suo splendido corpo. Le due file di uomini e donne poste l’una di fronte all’altra si alzano in piedi e cominciano a battere la terra con le canne. Ella passando con maestria tra le due file evita di essere percossa. Il movimento delle canne si chiude e si dispiega come un ventaglio da un capo all’altro raccogliendo tra le sue pieghe la mobile figura della vergine, visibile accento, a scandire il tempo tra una battuta e l’altra. 111 Lo spirito del grano appare all’improvviso sul muro di paglia, nudo e raggiante, illuminato dalle fiaccole di ferule e dalla luna splendente nel cielo. Davanti alle ceste di grano, Arianna circondata, a destra e a sinistra dalle donne mascherate fa un passo indietro all’apparizione di Dioniso e con le mani protese in avanti allontana da se la bramata visione. Il Dio con un salto è sull’aia. Le donne sorreggono la vergine per l’improvviso smarrimento. Fig. 59- Epifania di Dioniso ad Arianna a Nasso - Pittura Pompeiana Napoli, Museo Nazionale, Fot. Alinari. 112 La spingono verso il Dio che s’avanza da oriente a occidente, maestoso, come il principe di Cnosso in mezzo ai gigli. Una donna e un uomo si prendono per le mani e le sollevano facendo un arco con le braccia. Una seconda coppia fino alla decima passa sotto l’arco allineandosi alla prima sollevando le mani, per costituire un corridoio umano, dalle ceste di grano al muro di paglia. Fig. 60 - Michele Calocero – reportage Cilento rural festival 113 Il coreuta batte un colpo di maglio. Dioniso e Arianna s’infilano nel corridoio di archi umani. Con le mani si riparano il capo dalle percosse che ricevono al loro passaggio dalle donne e dagli uomini invidiosi e scatenati mentre i fanciulli percuotono, disordinatamente, la terra con le mazze di canna. Le donne si ritirano e siedono per terra in tre file a sud dell’aia. I battitori dal nord si alzano e si dispongono sull’aia in due file contrapposte. Impugnano i correggiati e con movimento circolare delle braccia muovono l’agreste arnese. Ogni coppia di correggiati descrive i movimenti di due serpenti in amore che drizzano le spire in sinuose volute. Tutti i correggiati battendo in tempi diversi e successivi, sembrano cavalloni marini che si rincorrono senza mai raggiungersi. 114 Al suono dei colpi fanno eco le montagne e le colline circostanti: tutta la natura è musica dionisiaca. Arianna e Dioniso danzano tenendosi per mano nel mezzo delle battute dei correggiati. Sono rimasti illesi alla danza dei correggiati. Arianna, frastornata, è stesa per terra, sotto il muro di paglia: i muscoli delle cosce e delle gambe fibrillano in un lievissimo tremito. E’ stanca e sembra vinta. Dioniso, a terra di lato, le è sopra e col gomito tra i seni duri la inchioda sull’aia togliendole il respiro. E’ attraversata da un brivido e con un improvviso scatto si libera dalla stretta. Con un balzo salta il muro di paglia e fugge. Dioniso la insegue. Il suono di cembali e liuti annuncia l’ingresso sulla scena del re del demo e di sua moglie, regina del rito. Il re e la regina si accoppiano in un amplesso sacrale nel mezzo dell’aia. La vecchia Hera gode un altro anno confermando assoluto il suo dominio sulle messi. Arianna avrebbe potuto diventare la nuova regina del rito… Ma per la sua paura il partito dei giovani è vinto 115 e la nuova idea è sconfitta. Le emozioni avevano squassato Arianna tutto il giorno, come fragile canna al vento. La corsa, nella quale è presa e non presa, la snerva. L’alito caldo di Dioniso, alle sue spalle, la spinge verso il bosco di querce. Ripara, quale estrema difesa, nel capanno sacro a Diana cacciatrice. Esausta si abbatte al suolo. Lui le è subito sopra. Un dolore acuto e lancinante accompagnato dalla prima goccia di sangue la ridesta dal sogno. Emette un urlo e come una belva ferita repentinamente si libera e fugge. Dioniso la insegue giù per il clivo e la inonda di sperma come Poseidone alla fuggitiva Atena. Al caldo fiotto del seme è travolta come da una ondata di piena che rovinando giù per un pendio la trascina verso un invisibile abisso. Ma, nel rovinio e nell’oscurità, una luce brilla sinistra, quella di una vendetta che si è venuta compiendo nel tempo: è necessario essere all’altezza di Hera, sua madre, per poter accogliere 116 nel proprio grembo il vitale e caldo seme. Giace sulla terra umida, tra l’erba bagnata. Grida sentendosi lacerare come la terra alla spinta di un germoglio, urla disperata chiamando a raccolta tutte le sue forze. Lotta contro un muro in cerca di uno spiraglio che non trova. Le sue urla cadono come fuochi fatui nel mezzo dei suoni della tirbasia che colmano la notte. Uno stillicidio di sangue si mescola alla rugiada di cui è pregna la terra. Dioniso è gioioso, gli occhi dolcissimi. Arianna si copre il volto e piange. Dioniso la prende fra le braccia e le riporta su nel bosco ai piedi dell’albero a lui sacro. Le mani di Arianna abbandonate scivolano lungo il corpo di Dioniso. Al contatto del suo divino phallos scatta spaventata e si alza riparandosi a ridosso dell’albero che abbraccia con le spalle e con le braccia. Invoca pietà! La sua vagina si apre tutta ad accogliere tra le sue soffici 117 pieghe il phallos, come il panno verde sopra al ventilabro. Arianna non sente più dolore. Scivolano entrambi per terra intrecciati: i due corpi sono uno solo. Dioniso, Dio dell’amore, giace per terra vinto da amore, abbandonato languidamente, in un sonno profondo. Arianna va verso la fonte di Semele per ristorare il suo corpo alle limpide acque, fiera come una leonessa vincitrice, che si lecca le ferite. TUTTO TACE. IL CIELO E’ STELLATO. VENERE SPLENDENTE E PALPITANTE TRIONFA NEL CIELO 118 IL TRESCONE DIONISIACO DELLA NOTTE Come lo spermatozoo, circondato da migliaia di compagni, gira intorno all’ovulo per pungerlo e penetrarlo, cosi il maschio, per sollevare la veste e scoprire il suo pube, ruota intorno alla femmina che volteggia sinuosamente per sfuggire ai suoi attacchi ai quali infine cederà con un caldo abbraccio. Fig. 61 - Menadi e Satiri in “Dioniso”, spettacolo di Cinzia Maccagnano e Dario Garofalo al teatro antico di Velia-Elea (Fot. Michele Calocero) 119 IL CANTO DI DIONISO Per far quadrato contro il figlio di Zeus bisogna usare ferro e fuoco e non steccato di cannucce che il Dio irritato tutto travolge, infrange e abbatte e piega l’alto pino come il misero mortale la canna. I CANTI DI DIONISO E DI ARIANNA - Io sono il vento e tu sei l’acqua - Io sono il bosco e tu sei l’albero - io sono il cielo sopra di te, terra - io sono il mare e accolgo nella mia profondità te sole - tu sei il mare e io sono…… - tu sei il fiume e io sono il mare. - Sensazione del mare spumeggiante che invade furiosamente la foce del grande fiume, le acque salate si mescolano alle dolci e insieme rovistano nelle vecchie anfrattuose grotte e ne scavano di nuove. Il mare si ritira. Il fiume rientra nel suo letto - E sotto le acque serene riprendono con dolcezza lievi e allegre le danze sottomarine. 120 …..Toccarsi le mani, toccarsi i piedi, odorarsi, sentire il tuo profumo ..…guardarsi negli occhi, toccarsi col ventre, sentire i tuoi visceri, toccarsi col petto, sentire il tuo cuore .. …guardarsi negli occhi, toccarsi le braccia, prendersi per il capo, carezzare i tuoi capelli, carezzarsi il viso, il collo, il petto, le spalle ..…guardarsi negli occhi, toccarsi il sesso, scoprire che è bello, come i giocattoli di peluche per il bambino. Se chiudi gli occhi il sesso è peccato: i giocattoli di peluche diventano mostri nel buio ..…guardarsi negli occhi, compenetrarsi con gli occhi, compenetrarsi con la bocca, compenetrasi col sesso .….guardarsi negli occhi, abbracciarsi ..…guardarsi negli occhi, vedere il mio volto nel tuo come in uno specchio ..…guardarsi negli occhi, amare te stesso nell’altro: scoprire l’amore ..…guardarsi negli occhi, tu sei IO, io sono TU ..…guardarsi negli occhi, 121 siamo il mare e il fiume il cielo e la terra. …..Noi siamo Dio. Fig. 62 - Pompei - Villa dei Vettii. Affresco erotico. 122 IL CANTO DI SILENO Fig. 63 - Immagine tratta da Maiuri 123 Per il sacro cuore di Zagreo ! ho appreso dai vati greci il gusto per il sacrilegio. Codesto travestito, figlio di madonna Semele non sai mai quando fai l’uomo e quando la femminetta ! Approdato dalle falangi franchiste al manicomio di Capodichino sai tenere alto soltanto il mento barbuto come il capro quando canta alla luna ma non l’onore, non la dignità. Ti vendi per pochi soldi o per una bagascia a Monte di Procida Sotto lo sguardo vigile di mio padre me ne sto sdraiato, nella stanza del forno, sulla panca, coll’alta spalliera, vicino al grande focolare colmo di fuoco per l’affumicatura delle castagne bianche; e mio padre, nel pieno silenzio, rotto soltanto dallo scoppiettio della legna bruciante ancora verde mi versa di tanto in tanto, con amore, fino nettare di Dioniso distillato a Bruxelles come a un vecchio compagno d’armi, mentre la fantesca ci porge scottanti castagne dal forno. 124 La figlioletta adorata mi chiedeva angosciata, piangendo: ”perché, perché il terremoto a Napoli, perché proprio a Napoli ?” ed io non sapevo che cosa rispondere e con un sorriso fatuo nascondevo le mie lacrime stringendola al petto; la sua domanda nascondeva il germe nefasto della colpa ed io, padre e psichiatra, mi schizofrenizzavo. I miei figli sono orfani e mia moglie è vedova ed io, nume, dalla terra di Trinacria, come dal cielo, le assisto e le proteggo. Fig. 64 - Dioniso bambino su pantera, con le Ninfe di Nisa, in un cammeo di epoca romana. Museo Archeologico Nazionale - Napoli 125 CANTI DI AMORE DI DOLORE E DI ODIO Perché non mi vuoi stasera ? perché ti sembro troppo giulivo anche senza il nettare stillato dalla vite a Bacco sacra ? Io, seppure figlio di Zeus, non sono niente di più di quel che tu non sia. Guardami negli occhi stasera e vi scoprirai tutta la tua tristezza. Con gli occhi del mare la coscienza del fiume l’onda del mare. Non stroncare il volo del gabbiano prima del tempo. Dai al gabbiano - a te e a me Il tempo di volare. Il tempo di imparare a morire. Un giorno, se ciò è scritto nei nostri destini, i gabbiani si sfracelleranno contro la roccia ma non moriranno perché sapranno volare attraverso la roccia: un volo più alto e veloce. Ma adesso non mi uccidere, non sono ancora pronto. Non aver paura di volare: uccideresti, e inutilmente, te stessa e me. 126 Chiudo gli occhi nel tuo nome nel tuo volto, nei tuoi occhi, e non desidero più aprirli perché non ti trovo. Vorrei chiedere a mio fratello il sole che mi presti il suo carro per rapirti, e a tutti gli Dei dello sterminato Azzurro che ti prendano e ti portino qui da me. Ma so che la mia preghiera è inesaudibile se tu non vorrai farti rapire come Proserpina sul tuo lago di Pergusa. Tu eri sul lago di Pergusa autodromato e inaccessibile come roccaforte. Aperta un breccia nella rete di metallo ti ho rapita sul mio carro tirato da cento destrieri dal cuore d’acciaio delle Ardenne, le frogie ardenti nero fumo scalpitanti veloci per lande assolate e tempeste di vento. Ti ho amato in ogni anfratto su ogni cima di monte, in ogni valle e sui pianori giallo-dorati alzati al cielo come altari. Ti ho amato sotto ogni colonna del tempio di Segesta. Pazzo d’amore ho cantato e ballato per te col mio tiaso nel teatro di Segesta. 127 Con spada di Damasco, per te ho combattuto sulle fortezze di Erice. Ti ho amato nelle saline tra le buttane e le ruffiane. A Motya tra le secche agavi e le verdi yucca sacre al Bromio Con la innocente e felice ignoranza della prima volta come Dafni e Cloe. Schiuma di sandalo tenero scivolamento ombelicale di visceri contro visceri modellato dalle tue mani con creta bianca creato dal tuo alito. Fig. 65 - Dioniso con Satiro e due Menadi. Cratere attico (fine del V secolo a.C.) 128 Tu non puoi tenermi qui, prigioniero nel tuo grembo. Io debbo nascere! Ecco il biglietto di viaggio. Il culmine della mia passione per l’uscita è durato dalle cinque e trenta alle sei del mattino. E voi dite d’essere stati presenti al mio travaglio. Avete fatto come quei ginecologi, che anticipano o posticipano il parto per ragioni personali e non secondo il bisogno del bambino che, poi, viene massacrato! Fig. 66 - Leucotea allatta Dioniso. Pittura parietale, I sec., dalla "Casa della Farnesina". Roma Museo Nazionale Romano. 129 Mammina, come ragioni? Ti rechi dalla vicina senza dirmi dove vai, lasciandomi solo al buio nella cullina? Mi sono svegliato, impaurito e incollerito. E tu non sei una traditrice? E non credi, mammina, che per questo tradimento mi faccia male la schiena? Tutti dicono: “ti voglio bene”. E tutti vogliono dare consigli, per colpirti alle spalle. Mammina, papà, siete due……. Mi avete lasciato solo. Sono insofferente, perché non so neppure dove stanno le forbicine per tagliare le mie piccole unghie. Mammina, ho fame. Prendo i tuoi biscotti: mi eccitano il vomito. Prendo il tuo pane, v’è un pelo: vomito. E’ un pelo del tuo pube o della mia piccola testa? E come fai a non capire che il tuo pane, duro, mi fa male alle gengive ancora senza denti? Mi arrabbio anche per questo e vorrei ucciderti e sbranarti proprio con i miei dentini…. ma sei mia madre! 130 Madre, il tuo seno lurido e puzzolente è vuoto e non mi dà niente. Il seno della mia donna mi fa schifo. Sento il bisogno di fumare un sigaro toscano per coprire con l’acre aroma il tuo sgradevole odore mentre soddisfo il mio antico bisogno del latte che tu non mi hai dato. E’ un odore, un sapore? Non lo so. E’ una sensazione indescrivibile. Mi prende il naso, tutta la bocca, il collo fino al petto, antiche sensazioni di dolore che non so descrivere. Mammà, come fai a non accorgerti che il vecchio contadino dal quale mi mandi a prendere le patate mi fa toccare il suo pene e me lo mette in bocca, obbligandomi a succhiarlo? E con le sue dita ruvide e schifose mi ha fatto uscire il sangue dalla vagina? Ma tu non hai visto il sangue sulle mie mutandine? Io avevo sei anni. Mammà …. mi hai mandato a prendere le patate dal contadino fino al compimento del mio dodicesimo anno di età. 131 Scoprire il proprio corpo Scoprire il piacere …è bello, lo voglio sentire ancora… Ma, tu mammina, minacciosa mi dici: “Che stai facendo…?!?!?” “Non si fanno queste cose !!!!” “Hai più fatto quelle cose ?” “Il piacere è “cattivo”, è una cosa brutta… “Non “si deve fare, “non si deve più provare”….. Non dormo… mi sento oppressa… sono rossa e furiosa… A letto mi sento più sicura, a letto posso fare tutto ciò che voglio senza che nessuno possa scoprirlo. A letto posso pensare a te, amore mio, senza che mio marito se ne accorga. Mi auguro che si faccia presto sera, così posso pensare a te liberamente… Le tue dita sono le mie dita che mi danno piacere La tua bocca, la tua lingua, il tuo corpo… …sono tutto ciò che desidero. Ti adoro, ti amo, ti voglio… …ma non riesco ad averti. Ti amo e ti odio. Mi opprimi, mi fai diventare rossa e furiosa… Non riesco ad amarti se non ti odio… …non riesco ad odiarti se non ti amo… …ma ti cerco e non posso fare a meno di te… Voglio essere toccata da te, e toccare il tuo bel phallos che rifiuto di accogliere nella mia vagina perché è peccato: Mammina, col tuo “Non si deve fare”, 132 questo è il bel regalo che mi hai fatto! Madre crudele, quando smetti di picchiarmi davanti al venditore di pane, o a quello della frutta, lasciandomi i lividi sul corpo? Laureata in filosofia? Non ti vergogni? Avevo dimenticato le tue percosse, ma ora mi è comparsa l’impronta, ancora rossa, della tua mano con cinque dita, sulla guancia sinistra del mio volto. Mamma, papà, dite di volermi bene. Quando smettete di litigare in mia presenza? Sono confuso Perché non so chi ha ragione. E tu, neurologo, mi chiudi nello sgabuzzino per punirmi perché ho sbagliato un nome? Sarai un ottimo medico, ma sei il peggiore dei padri! Signora maestra, come puoi dirmi d’essere buono e di amare il “prossimo tuo”, se mi riempi di botte e mi infliggi inenarrabili punizioni, fino a lasciarmi un bicchiere d’acqua e un tozzo di pane, mentre i compagni 133 mangiano la pasta al sugo? Fig. 67 - Dioniso raffigurato su un vaso greco Gente del Nord più di altri devoti al tracio alcool di Dioniso. Avvolta nei suoi fumi e nella nebbia puteolente dormi tranquilla e sicura come nella cloaca materna. Al mattino ti svegli per eseguire lavori precisi e ossessivi 134 Ma non rallegrarti per la tua precisione e per tua puntualità. Non hai alcun merito se non quello d’aver un carattere anale e d’essere schiava del lavoro. Gente del Sud, non rallegrarti per il sole cocente, con un cielo infuocato, ma non azzurro come quello di Napoli. Pirandello, Pietro Verga e Giuseppe di Lampedusa ti hanno fatto sentire simile agli Dei mentre strisci come verme “orgogliosa di essere invertebrata”, sempre sottomessa e schiava degli altri. L’orgoglio non ti fa vedere la tua triste condizione. Gente orale del Sud, Gente anale del Nord siete miserabile strumento nelle mani dei potenti. Quanti altri millenni dovranno passare perché possiate acquistare coscienza dei vostri diritti, dignità e autogoverno? Solo Dioniso col nettare della vite accomuna le genti del Nord e del Sud. 135 Fig. 68 - Dioniso Avidi, ingordi, avari, vi ho traghettato dalla palude e dopo che vi ho donato il fuoco avete organizzato il mio incatenamento sulla roccia, per beccarmi il fegato, dandovi il cambio, uno per ogni giorno 136 - vaso attico e tenendo tutti insieme consiglio, credendo d’esser gli Dei dell’Olimpo. Non avete riconosciuto il benigno Dioniso alla vostra porta…. Voi siete rozzi e volgari e per danaro fareste di vostro padre sgabello per salire. Vile prete contadino, potrai salvare centomila anime, secondo la tua fede, ma non la tua. Andrai agli Inferi perché hai fatto condannare un innocente. Il malato, colpito dalla follia da Dioniso, incapace di intendere e di volere, al tuo insulso ordine di smettere di fumare, ti ha sputato in faccia. Tu hai dichiarato al giudice che ti ha dato uno schiaffo: manicomio criminale! Non hai saputo porgere l’altra guancia al fratello più debole e ricevere lo schizzo di uno sputo, ma sei prono al volere dei potenti. La menzogna è tanto grave quanto l’omicidio, di cui ti sei reso colpevole nella tua comunità, per la tua incuria verso un malato febbricitante. 137 Monsignore dei monsignori, offendi gli onesti difendendo i disonesti e i delinquenti costituzionali e istituzionali. E’ questa la tua pastorale? Sapiente imbroglione e azzeccagarbugli la tua omelia “chi è senza peccato scagli la prima pietra” legittima l’abuso, il sopruso e il furto di tutti i farabutti, in nome e per conto di Cristo. Per meglio imbrogliarti ti chiedono di fare voto di povertà, di castità e di obbedienza. E tu credendo d’essere un buon cristiano imponi sadicamente ai fanciulli l’insegnamento perverso al quale ti sei votato, offendendo Epicuro, Lucrezio e Gesù. Stupido neurologo, sulla tua fronte un qualsiasi mio paziente ballerebbe il tip-tap….. Per parlare male di Wilhelm Reich dichiari ch’egli morì pazzo in carcere. Ignori che Socrate fu condannato a bere la cicuta perché corrompeva i giovani. Ignori che Giordano Bruno di Nola fu arso vivo per l’eresia di credere 138 che ogni punto, e non solo la terra, fosse il centro dell’Universo infinito. Ignori che Gesù, anarchico, comunista e ribelle, portatore di amore, colpito dalla follia di Dioniso, fu messo alla croce per il suo peccato d’orgoglio di credersi Dio, figlio di una vergine come Dioniso e come Horus. Così ignori che Wilhelm Reich ha scoperto quell’ energia vitale che ti tiene in vita e che in te repressa ti fa tenere il collo contratto come Alfonso dei Liguori. Ma, il Santo combatteva, con la penitenza e l’amore per gli umili, il suo peccato d’orgoglio. Tu non ti poni neppure il problema e rimani nella tua augusta ignoranza, camuffata dalla tecnica della prescrizione di un farmaco. Dioniso, all’occorrenza, sapeva piegare il capo al volere di Zeus. 139 IL CANTO DEI SATIRI E DELLE MENADI Fig. 69 - Satiro e Menade Satiri: La melodia è la musica di Pan e del pastore, il ritmo è quello di Dioniso e dell’agricoltore. 140 Menadi: Il rock, il fox e il tip tap sono la musica dell’operaio, del suono del martello che batte sull’incudine. Satiri: Il tango tiene i corpi avvinghiati. Non danzare i passi argentini rende frigide e anemiche le vergini. Menadi: Rende gli uomini impotenti che si accoppiano, freddamente, senza passione. Satiri: La musica è preparazione, è speranza, è desiderio, è attesa, è nostalgia, è sublimazione, è coazione. La musica è arte incompiuta. Il canto è partecipazione alla speranza, al desiderio, all’amore, alla nostalgia, all’odio, alla sublimazione, alla coazione. Menadi: La danza è l’arte suprema. E’ l’arte compiuta. E’ la certezza dell’appagamento del bisogno dell’amore e della realizzazione degli impulsi aggressivi. Satiri: Il coro del ditirambo nato sull’aia, all’alba dell’uomo, in forma circolare, come i cerchi disegnati dal bambino, come i villaggi primitivi, come i trulli di Alberobello. Menadi: Il ditirambo drammatico alla sera dell’uomo disposto in forma rettangolare come le case, le città degli uomini adulti costruite in forma quadrata. 141 Satiri: La vergine del crivello è la figlia. Menadi: L’uomo del ventilabro è il padre. Satiri: Il rito di iniziazione è il superamento dell’incesto. E’ desiderio e repulsa, amore e odio. Il sacerdote è il padre sverginatore. Menadi: Dioniso è l’amore naturale e istintivo, senza peccato, come prima della cacciata dall’Eden. Satiri: La feconda Dea Ishtar si mostrava nuda ai suoi fedeli e alzava le gonne . per mostrare il sesso. Menadi: Le donne erano libere e non erano schiave dell’uomo. Fig. 70 - Ishtar 142 Satiri: Il cristianesimo sublima l’incesto perché la madre, nella Trinità, è lo Spirito Santo. Menadi: E condanna la donna ad essere monaca o prostituta nel matrimonio e fuori. Satiri: La chiusura dei postriboli ha rovinato la vita sessuale dei giovani che non possono bere con gli occhi l’immagine di un corpo nudo femminile nell’attesa dell’amplesso che, le prime volte, è sempre rimandato. Menadi: Non possono godere della vista di una vagina aperta e tutti sono condannati a rimanere impigliati al complesso di Edipo. Satiri: L’accoppiamento pubblico dell’arconte, re del demo, con sua moglie, regina del rito, ha la funzione sociale di far superare il complesso di Edipo. Menadi: Il cristianesimo ha condannato le feste dionisiache e noi, le devote, siamo chiamate con disprezzo “le Baccanti”. CORO: O Santo, o benedetto o divino fanciullo, ermafrodito figlio di Semele, femminello figlio di Maria, maschio figlio di Persefone, figlio del granato, del castagno e della vite, figlio del toro lidio e del lucifero serpente, guidaci alla luce. 143 TUTTI: Eu-hoè! Eu-hoè! Eu-hoè! Il lavoro, l’amore e la conoscenza sono le fonti della vita. Dovrebbero anche governarla! Viva Arianna! Viva Dioniso! Satiri: Oltre al secondo miracoloso bambino Gesù di Praga in Arenzano, si può scoprire un terzo divino fanciullo più antico: Dioniso, il figlio di Zeus e di Semele. Menadi: O un quarto bambino Gesù: Jaccos, il figlio di Persefone. Satiri: I grandi calici ripieni di vino all’ingresso dei templi di Dioniso sono stati svotati e riempiti di acqua santa verminosa. Menadi: Cibi sani ed acqua viva della fonte di Semele mentre siamo avvelenati dall’aria che respiriamo e dai tossici incorporati nella frutta. CORO: O Dioniso, fra i numi il più benigno e il più terribile, o Evio, o Sabazio, o Bromio, o Bacco, o Ditirambo, o Jaccos, o Emmanuele, o Libero quanto è bello a noi sempre è gradito. O toro, o leone, o capretto, o pesce, o asino, o agnello quanto è bello a noi sempre è gradito. TUTTI: Eu-hoè! Eu-hoè! Eu-hoè! Il lavoro, l’amore e la conoscenza sono le fonti della vita, dovrebbero anche governarla! Viva Arianna! Viva Dioniso! 144 Fig. 71 - Dioniso con Arianna a Nasso. Vetro a sbalzo del I sec., dalla Casa di Fabio Rufo Pompei. Napoli, Museo Archeologico Nazionale Satiri: Santa Sinforosa e La Speranza sono la vecchia Hera di Paestum. Menadi: Le feste di San Vito, San Mauro e San Pantaleo sono le feste della mietitura tra le montagne Satiri: La madonna del Granato in Capaccio è la leggiadra Proserpina di Paestum. Menadi: La festa di San Giovanni Battista, sulle coste del Mediterraneo, è la festa della mietitura nelle pianure. CORO: In una festa di gioia, di vittoria e di lavoro trovi sempre un santo pronto a contaminarle e reprimerne la passione. 145 Satiri: Il ferragosto è la festa della Luna, nel suo maggior splendore. Menadi: Le feste di San Marco e di San Giuseppe lavoratore sono una sconfitta umiliante per la libertà delle donne e per il lavoro degli uomini CORO: Tutta la sinistra è stata messa nel sacco dal gibbo bimillenario e dall’astuzia, da gran prete, di un solo uomo “regista freddo, imperscrutabile, senza dubbi e senza palpiti”. (dalle lettere di Aldo Moro) Satiri: Non han toccato l’Assunzione, tutti i Santi e la Concezione. Menadi: E han preparato la festa di San Giuseppe metalpetrolchimico per il primo maggio. TUTTI: Eu-hoè! Eu-hoè! Eu-hoè! Il lavoro, l’amore e la conoscenza sono le fonti della vita. Dovrebbero anche governarla! Viva Arianna! Viva Dioniso! Satiri: Abbasso il primo maggio. Menadi: Viva la festa dei fiori del vino, del grano. Satiri: Abbasso il lavoro operaio. Menadi: Viva le antesterie, le piccole e le grandi dionisiache, viva le lenee, viva Dioniso. Satiri: Abbasso la fondazione di Roma. Menadi: Viva la Bastiglia, viva il 14 luglio. Satiri: Abbasso la presa di Porta Pia. 146 Menadi: Viva le Termopili, viva Salamina. Satiri: Abbasso la festa della Vittoria. Menadi: Viva il 4 luglio, viva Little Italy. Satiri: Abbasso la festa della Resistenza. Menadi: Viva Trafalgar Square. Satiri: Abbasso la festa della Repubblica. Menadi: Viva la birra Mùnchen. Satiri: Abbasso tutte le feste accompagnate da santi e madonne. Menadi: Viva la samba, viva il carnevale di Rio, ove tutto è odore di seme e di orgasmi. Satiri: Basta con il cinema, basta con i soldi agli enti lirici… Menadi: Viva l’analfabetismo! Satiri: Abbasso la cultura! Con la cultura non si mangia… Menadi: E i nostri figli vanno alla guerra. Satiri: Chi legge troppo non lavora. Abbasso chi legge! Menadi: Chi non legge, può schiantarsi dall’alto di una torre metallica. Satiri: Basta con le speculazioni, abbasso la Domus dei Gladiatori. Menadi: Viva il sapere ambiguo del masturbatore coatto. Satiri: E’ una vergogna spendere i soldi per quei quattro rovinassi.di Pompei…. Abbasso i quattro sassi di Pompei! Menadi: Viva il farabuttismo dialettico. TUTTI: Eu-hoè! Eu-hoè! Eu-hoè! Il lavoro, l’amore e la conoscenza sono le fonti della vita, dovrebbero anche governarla! Viva Arianna! Viva Dioniso! 147 Satiri: Tutta l’Italia è un immenso seminario. Menadi: Una metà è fatta di preti l’altra metà di ex seminaristi. Satiri: A scuola t’insegnano che il 25 aprile è la festa di San Marco. Menadi: E il primo maggio la festa di San Giuseppe metallurgico. Satiri: L’insegnamento scolastico, non serve per forgiare cittadini e uomini liberi, ma sudditi e militari, che vanno in guerra per conquistare terre lontane e morire per la patria. Menadi: Lasciando le donne vedove e i loro figli orfani. Satiri: Dio, Patria, Famiglia, l’affascinante trinomio sul quale poggiano come su un trigono l’assolutismo religioso quello economico e la dittatura politica. Menadi: Che rendono le donne e gli uomini diseguali. CORO: O Dioniso, o divino fanciullo, salva noi e i nostri figli dagli appestati che preparano la guerra. Satiri: La suola è tutto un inganno. Gli intellettuali italiani hanno un cervello costruito con la grammatica, la sintassi e la logica della lingua di Cesare… 148 per vivere i tempi della Repubblica, cosa del popolo. Menadi: Vivono, invece, con il latino della Chiesa con la redditizia pratica dei mille vicoli e crocicchi CORO: La cultura nelle mani degli appestati non serve per l’elevazione dell’uomo e della donna, ma diventa solo strumento per delinquere! Satiri: Denunciano la loro imbecillità tifando per la Iuventus o per l’Atalanta, tralasciando gravi problemi economici…. Menadi: Sono fissati alla masturbazione coatta e strofinano l’organo genitale contro le lenzuola, senza toccarlo, nella falsa coscienza di non peccare. Satiri: Sono fermi all’età di quattordici anni quando più vivo è il bisogno di masturbarsi e di giocare al pallone. Menadi: Le ragazze per non toccarsi, camminando, si strofinano le cosce nella falsa illusione di provare piacere, senza peccare. Satiri: Non liberi sessualmente si accodano sempre al carro del vincitore. Menadi: Gravati fin dall’infanzia dalla colpa, possono essere solo gregari. CORO: O divino, o Dioniso, o dolce bambinello 149 salva noi e i nostri figli dagli appestati. Fig. 72 - Sileno tiene in braccio Dioniso bambino, marmo, copia Romana del II secolo a.C.da un originale greco di Lisippo ( 300 a.C.) Roma, Musei Vaticani. Satiri: I contadini tedeschi gettavano, per gioco, 150 la padrona dei campi sotto la mietitrice e armati di falce chiedevano birra al padrone. Menadi: Nella Germania cristiana e socialdemocratica i loro figli chiedono birra con il martello in pugno. Satiri: Fino a quando si batteranno per la birra e non per la libertà sessuale resteranno sempre un’orda facile preda di un qualsiasi capo. Menadi: Tanto fanciulli nella voglia di salvare la vita a una farfalla, tanto sanguinari nello sventrare colla baionetta la pancia a un bimbo TUTTI: Eu-hoè! Eu-hoè! Eu-hoè! Il lavoro, l’amore e la conoscenza sono le fonti della vita, dovrebbero anche governarla! Viva Arianna! Viva Dioniso! Satiri: Il miracoloso manto della Madonna de Pilar sul corpo martoriato de il Caudillo. Menadi: La gloriosa bandiera con falce e martello a coprire la merda del manicomio di Capodichino. Satiri: Kè mali! al manicomio di Capodichino! 151 Menadi: Maschere di becchi e di conigli giocano a scacchi sulla pelle degli ammalati. Satiri: Kè mali! alla psichiatria napoletana! Menadi: Gli ammalati sono abbandonati a se stessi. Satiri: Viva i pugni di merda in calze di seta. Viva i talleyrand. Menadi: Viva i gentiluomini del Papa, più manigoldi di Mazzarino. Satiri: Viva voi ti qua e noi ti là. Menadi: Viva noi ti qua e voi ti là! CORO: Scoprire con tristezza che schiavi e padroni, guerra, sangue, massacri e genocidi teosofie, religioni, cattedrali, moschee, scienza, arte, musica son tutti riconducibili a un’esperienza originaria: un peto ! Satiri: Viva Arianna! noi ce l’abbiamo duro. Menadi:Viva Dioniso! noi ce l’abbiamo morbida calda, umida, accogliente. 152 Fig. 73 - Bacco, Arianna, Sileno e Satiro, II sec. Museo del Bardo, Tunisi CORO: Essere liberi con Dioniso, amare Dioniso perché non v’è alcuna libertà se non v’è libertà sessuale. La vita di un uomo e di una donna è una ripetizione coatta del momento supremo della nascita che può essere protetta non con superstellari sale da parto, gelide, illuminate con lampade scialitiche, profumate con essenze mordaci ma con l’avvio di una sana politica di rivoluzione sessuale reichiana. TUTTI: Eu-hoè! Eu-hoè! Eu-hoè! Il lavoro, l’amore e la conoscenza sono le fonti della vita, dovrebbero anche governarla! Viva Arianna! Viva Dioniso! 153 SULLA TOMBA DI SEMELE In mezzo a un turbine di fiamme crepitanti appare Dioniso sulla tomba di Semele e decreta: Leucotea, signora della luce risplendente, figlia di Cadmo e di Armonia, e sorella di mia madre Semele, non potrà, come fece con Ulisse, salvare il tuo fratello dalla tempesta. Sospinto contro la roccia dall’infido vento della tua stessa menzogna perirà, il tuo fratello, perché tu abbia a pagare il torto fatto a un innocente, mio devoto, e seguace di Guglielmo Reich, con l’accusa di sequestro di persona, concepibile, soltanto dalla tua mente di criminale e non da quella di un medico. * *L’autore è stato accusato di “sequestro di persona con abuso d’ufficio” per il ricovero coatto di un ammalato che minacciava il suicidio. La vicenda giudiziaria si è conclusa con sentenza di assoluzione del Tribunale di Messina perché “il fatto non sussiste”. 154 …Tu, intrigante servo del potere, hai rovinato i tuoi figli adusti dall’eroina. …Sozzo sicofante, e squallido delatore, mal te ne coglierà dalle tue calunnie. …Prostituta della villa e trista calunniatrice, scacciata per la tua doppiezza dalle case chiuse, sei già pazza come Agave. …Tu, Rosa, sarai punita per la tua falsa testimonianza. Questo è il volere di Zeus, mio padre, Dio della Giustizia. . 155 Fig. 74 - Zeus di Smirne - Museo del Louvre, Parigi Zanclea, ora svegliati. Entra nel mio tempio e racconta la tua visione, perché nessuno abbia mai a dubitare che io, Dioniso, sono figlio di Zeus e di Semele. Con animo intemerato affronta i Misteri… 156 Comincerai con punto fisso e bocca aperta. Nascendo hai guardato in alto con la bocca spalancata alla ricerca del capezzolo di tua madre. Il padre mio Zeus, provvidente e benigno, lo ha fatto di colore nero perché tu possa orientarti, nella luce accecante del giorno, uscendo dal buio dell’utero. Il suo colore brunito è faro splendente perché tu possa orientarti e afferrarlo con sicurezza nella sua bocca, come tutte le cose della vita. Il tuo maestro, mio allievo, ti condurrà con dolcezza a modificare le corazze muscolari e caratteriali che ti impediscono di amare. TUTTI: Eu-hoè! Eu-hoè! Eu-hoè! Il lavoro, l’amore e la conoscenza sono le fonti della nostra vita. Dovrebbero anche governala. Viva Dioniso! Viva Arianna. 157 Fig. 75 - Statua di Dioniso del II secolo esposta al Louvre. Zanclea si sveglia dal sonno ristoratore ed apre gli occhi. E’ mezzogiorno in punto, le porte del tempio sono spalancate. Entra con umiltà nel sacro luogo per eseguire gli ordini del Dio. 158 PRESENTAZIONE ZANCLEA Sono Zanclea. La vostra amorevole accoglienza è per me tanto più gradita perché un grande dolore porto in fondo al mio cuore. Desiderosa d’amore, sono approdata a questo lido felice. Ho bussato alla porta di questo tempio, perché Dioniso lenisca un po’ del mio dolore dal profondo dei miei visceri e dai miei occhi. Ho tremila anni di età. Vengo dall’isola di Ortigia, ho bevuto la limpida acqua della fonte di Aretusa e mi sono bagnata nel divino Ciane. Ma ahimè! I falli metallici elevati dall’uomo verso il cielo hanno reso impraticabili le acque del divino Ciane. Aretusa piange sconsolata per la malattia di Ciane. La stessa Aretusa è moribonda. Non possiamo più abbeverarci alla sua fonte, non possiamo più abbandonare i nostri corpi liberi alle carezze delle liane; 159 non possiamo più avvinghiarci, in un abbraccio di piacere, ai papiri anch’essi moribondi. Per la millenaria predicazione contro le leggi della natura, il sesso della donna, giudicato sempre e comunque peccaminoso, è stimato solo in funzione della procreazione. Il corpo della donna come la terra, è colonizzato e seminato e il suo prodotto è oggetto di scambio per la guerra, come il raccolto delle bionde messi. Il pene è dominatore e colonizzatore, la vagina è dominata e colonizzata. Gli impotenti orgastici usano il pene per ferire trafiggere, umiliare e fottere senza amore. Per la loro disturbata potenza orgastica erigono falli metallici, lividi simulacri di quella, coi quali squarciano il roseo imene dell’alba, soffocando con fumi pestiferi il palpitante respiro della natura. Che si ribella con cataclismi, piogge, uragani ed alluvioni, allagando intere città e campagne, distruggendo Aretusa, Ciane, i suoi papiri e la Domus dei Gladiatori della vostra Pompei, più famosa di Paestum e di Agrigento con i loro templi rovinati dall’editto del cristiano Teodosio. 160 I fumi tossici dei falli metallici modificano il seme degli uomini e le ovaie delle donne che partoriscono mostri, bambini leucemici e cancerosi. Sono giunta a questo lido e chiedo il vostro aiuto perché non abbia a perire come la prostituta della villa. O come la fedifraga Fedra, figlia di Minosse e Pasifae, sorella di Arianna, e sposa di Teseo. Perdutamente innamorata di Ippolito, fece delle lenzuola cappio per impiccarsi al rifiuto d’amore dell’amato figliastro. . Fig. 76 - Baccanti con i loro attributi rituali (da sinistra) i crotali, il tirso (lungo bastone con una pigna in cima, coronato di edera e di pampini, portato da Dioniso e dal suo tiaso), la pelle di cerbiatto e il vaso sacro 161 IL VENERABILE MAESTRO Zanclea, stenditi sul kline, piega le ginocchia, apri la bocca e guarda la pigna in cima al tirso di Dioniso. Essa ti sembrerà ora un capezzolo, dal quale scorre nella tua bocca latte bianco, ora un pene dal quale sgorga a fiotti sperma bianco perlato. Rivedrai la tua vita sin dalle prime ore correggendo le storture prodotte nel tuo corpo. Non aver paura se ti prende il tremito, segno vitale delle corazze che si sciolgono. Al punto fisso con la bocca aperta seguiranno altri dolorosi compiti ordinati secondo le funzioni ontogenetiche che si sono sviluppate nella crescita naturale del tuo corpo. Quanto più soffrirai su questo kline tanto di più potrai godere dei piaceri che ti riserva la vita. Se prima non ti riappropri della parola e del pensiero, della capacità di succhiare, di mordere, masticare e tenere il capo eretto, non potrò dirti “alzati e cammina” come fece il nostro fratello Gesù con Lazzaro risvegliandolo dalla morte. 162 Infine ti riapproprierai del tuo clitoride, organo della potenziale e originaria espressività e creatività della donna, sede del piacere costantemente represso come hai appreso dalla madre di Roxani nel cubicolo a due alcove. TUTTI: Eu-hoè! Eu-hoè! Eu-hoè! Il lavoro, l’amore e la conoscenza sono le fonti della nostra vita. Dovrebbero anche governarla. Viva Dioniso! Viva Arianna. Fig. 77 - Dioniso, rivestito di pampini e il Vesuvio, con un serpente in primo piano, quale simbolo di fertilità. Affresco del I sec., dalla Casa del Centenario a Pompei. Museo Archeologico Nazionale - Napoli 163 IL RITO E’ COMPIUTO Zanclea è libera. E’sanata dai suoi mali e dal farabuttismo dialettico adolescenziale inconscio, generato dalla repressione della masturbazione giudicata sempre peccaminosa: “Mi titillo… ma smetto prima di raggiungere l’acme del piacere… e così non faccio peccato”…. “Mi tocco e provo piacere, ma non faccio peccato perché mi fermo al punto giusto e non getto, come Onan, il seme per terra”…. “Mi masturbo e provo piacere, ma non faccio peccato perché spingo il seme in vescica e non lo getto per terra. “Non faccio peccato quando fotto con la mia donna perché pratico l’amplesso riservato interrompendo il rapporto nell’imminenza dell’ orgasmo. La distorta logica “per non sentirsi in colpa” induce all’ipocrisia, alla doppia morale, al pensiero ambiguo e al farabuttismo dialettico che è inconscio, perché il soggetto non sa collegare la doppiezza del pensiero e del comportamento 164 alla distorta attività sessuale. Il farabuttismo spinge ad oltraggiare la verità per onorare, in sua vece, la menzogna come se fosse verità. Il farabuttismo dialettico inconscio fa intingere il calamo maligno della diffamazione nel nero inchiostro della propria coscienza perversa, per infangare e distruggere le persone oneste, le donne e gli uomini liberi nel pensiero e nelle azioni: son donne e uomini liberi perché nell’adolescenza si sono masturbati liberamente senza alcun senso di colpa non credendo che, con tale atto di autoconoscenza, si diventi ciechi o si finisca all’inferno. Il rito è compiuto. Zanclea può andare libera per le strade del mondo. Accompagnata da Policastro, il ritrovato amore, agile come Flora, va dalla Villa dei Misteri di Dioniso alla Villa di Arianna di Castellammare di Stabia, ove si disseta alla fonte dell’acqua acetosa di Madonna Semele. 165 Fig. 78 - Flora, affresco (9 x 31cm.) Villa di Arianna,Castellammare di Stabia - Napoli al Museo Archeologico Nazionale. 166 167 168 RECENSIONI LA ABBRACCIO’ E LA BACIO’ SULLA FRONTE di Valentino Sturiale Sempre con due vigili. Agitatissima, violenta, aggressiva, sporca. Erano necessari alcuni giorni e diverse "colluttazioni" per farle prendere i farmaci, per compensarla come allora si usava dire. Molti farmaci, molte fiale, molti giorni. Era tutto un nascondersi, un fuggi fuggi generale, la ricerca di chi tra il personale è responsabile, di servizio, di turno, confusione, grida, allarme e panico in tutto il reparto. Il Primario, il Dottore Nicola Glielmi era rientrato da uno dei suoi infarti, il suo nome campeggiava sul vetro della porta di ingresso dei locali vittoriosamente conquistati insieme con i "malati". Mi aveva dato il permesso di frequentare il "suo" reparto in un incontro nel suo studio assolato di miti greci, del suo teatro e dei miei filosofi nella Magna Grecia che ci accomunavano insieme alle lotte politiche di quei tempi socialiste, radicali e libertarie per la legge 180, per i locali del Servizio Psichiatrico dell`Ospedale di Milazzo. Nello scrivere la recensione dell`ultimo lavoro di Nicola Glielmi, “Zanclea nella Villa dei Misteri in Pompei antica”, Tommaso Marotta Editore, è tornata più prepotente alla mente una mattina di quando forse non avevo ancora cominciato il tirocinio ospedaliero. Non andava di moda il volontariato e bisognava avere un ruolo per stare lì in mezzo, per frequentare, per imparare: "Non insegno psichiatria devi stare con gli ammalati, sono loro i professori, non ti voglio in queste stanze". Guardavo. Il giovane dottorino era esentato dalle colluttazioni, troppo giovane e poco esperto come psichiatra soprattutto per queste cose, il lavoro sporco, la parte meno nobile e meno esposta di questo strano lavoro. Anche se esiste la alta psicologia delle nevrosi della borghesia vittoriana, è sempre esistita una psichiatria della violenza e della emarginazione, dei lebbrosari vuoti riempiti di pazzi, delle torri dalle visite a pagamento, dei manuali per mandare al rogo chi dissente. Guardavo, al riparo anche da oggetti volanti e dal marasma degli operatori, aspettando che tutto si calmasse, che costretta sul letto di Procuste dei farmaci si addormentasse e restituisse a tutto il reparto la pace ed il silenzio. Il libro piccolo compatto, scorre veloce nella prosa di Glielmi sempre elegante, ricercato nelle espressioni non barocco. Ho visto nascere sotto la sua penna molti scritti sempre riveduti, riscritti, affinati fino a rendere il più limpido possibile il pensiero da comunicare. Pure non è il solito Glielmi. Il libro sembra più leggero degli altri che lo hanno preceduto, più concentrato sulle cose che hanno da sempre affascinato l`Autore. Tranne che nelle ultime pagine, mancano gli spunti polemici 169 che sono il tessuto portante di altri lavori. Manca o è ridotto al minimo il Nicola Glielmi funzionario pubblico prima del Manicomio poi dei Servizi USL in perenne lotta contro i mulini a vento e i muri di gomma. Una benefica e salutare "crisi" forse la pensione - ha reso più leggera l`opera, più nitida la penna, ancora più libero l`Autore. I "misteri" ed i simboli (mai junghiani, per Glielmi l`inconscio è un libro aperto scolpito nell`apparato muscolo-scheletrico di ogni individuo) non nascondono, svelano: sono più sereni e più maturi e pronti ad essere esposti in modo solare esplicito naturale, più essoterici che esoterici. Guardavo. Ma mi sporgevo a spiare la porta del Primario. Che avrebbe fatto? Avrebbe autorizzato la contenzione? Che terapia avrebbe prescritto? Avrebbe fatto finta di niente? La porta della stanza dopo attimi interminabili finalmente si aprì rispondendo al clamore del corridoio. Il Primario uscì col fare indaffarato di chi riceve una visita gradita ma in un momento inopportuno. Deciso, le andò incontro, la aggredì - gli studi classici, pensai, aggredior cioè andare verso - la svincolò dai vigili e dagli infermieri, la abbracciò e la baciò sulla fronte: "Ciao - chiamandola per nome - vuoi (non devi) farti la doccia? Ti accompagno". La prese a braccetto e la scortò dolcemente a posare le sue misere cose nella stanza di degenza: "Poi ti vai a coricare, che sei un poco stanca" concluse a metà fra l`italiano ed il suo dialetto campano. Tutti erano lontani e silenziosi, ma io mi ero avvicinato troppo - la curiosità - e il Primario mi incaricò con gli occhi di seguire l`intera operazione. A mia volta la accompagnai fino alla doccia e dopo fino al suo letto nella stanzetta. Era passata si e no un`ora. Mi affacciai alla stanza del Primario ed attesi in silenzio i suoi occhi interrogativi. "Dorme come un angioletto" risposi. Quasi tutto il reparto si era intrufolato con me nella stanza e voleva sapere con insistenza la terapia, quante fiale, quante compresse, quante volte al dì. Come se tutto quello che era successo era stato un gioco. Un bel gioco ma ora, ora bisognava tornare alle cose serie, agli schemi consolidati, alle solite procedure, alla routine di sempre. Glielmi mi guardò: "Terapia?" - girandomi la pressante richiesta ambientale. "Dorme. Che dovrei fare, la sveglio per farla riaddormentare con una fiala?" - replicai, complice. La scena - "sceneggiata" dicevano i detrattori di Glielmi - era di quelle da ripensarci più volte in modo da identificare i contorni dei pensieri e delle parole anche le più sfumate. Avevo bisogno di respirare una sigaretta all`aria aperta, il freddo del bisòlo su cui ero seduto aiutava a raffreddare le emozioni. Sono passati quasi venti anni e forse ho confuso qualcosa nei ricordi ma sono ancora seduto sul quel fresco bisòlo e non penso di muovermi più. Credo troppo - più con Sciascia che con Pirandello - nella razionalità illuminata che vince tutte le follie di questo mondo, il nemico non è la follia né il diavolo né l`inconscio ma la stupidità di non usare creativamente il meraviglioso dono dell`intelligenza razionale. Delusione per Nicola Glielmi di non essere cresciuto Reichiano, ma una specie di psichiatra sociale, cognitivista e soprattutto individualista senza parrocchie ma con un ideale in comune con Glielmi: non c`è psichiatria senza libertà uguaglianza ed umana fraternità. Messina, maggio 2000. 170 LA PUREZZA SACRALE DEL SESSO E' UNA BATTERIA: LIBERA ENERGIE di Crisostomo Lo Presti Qui c'è il genio che scaccia la follia. O è sanità religiosa nell'iniziazione sessuale misterica e oscura di una vergine che nel tempio dell'Eros coniuga le paure di fronte alla regina, che ha versato il sangue dell'imene, già libera e pronta a spiccare il volo. Nicola Glielmi è uno psichiatra che naviga l'inconscio ed è uno psicologo che matura il sesso nella sua purezza sacrale. Opera anche a Messina dove molti lo conoscono per le sue coraggiose soluzioni terapeutiche: si rifà alle teorie di Wilhelm Reich (psicanalista austriaco che predicava la liberazione dell'energia attraverso l'esercizio sessuale) e ci vuole una certa dose di certezza per applicarle in una terra che ancora conosce il tabù e che non si è liberata dalla condizione inconscia del "terribile femminile", manifestando il bisticcio con la violenza di una società che si confronta con la quotidiana barbarie. E Arianna (quando sposa Dioniso) e la regina (quando si concede al rito di Afrodite) e Zanclea (quando attende l'iniziazione), in questo libro di grande fascino e di chiaro spessore poetico, sono un unicum a cui l'autore dà il segno della condizione primaria-genitrice, obbligata a transitare dalla villa romana di Pompei. Lui, Dioniso offre il suo fallo per il rituale che tramanderà il sangue sulle onde della "Grande madre terra", pronta a nutrirsi e a generare altre Arianne, altre regine, altre Zanclee nella purezza del desiderio che esplode dal ventre per divenire "energia orgonica". Il rito simboleggia il passaggio da una condizione inerme a quella dinamica e riflette l'angoscia della violenza, stemperata dalla consapevolezza dell'ineluttabile. Così, negli affreschi delle pareti, Zanclea donna di ieri (donna di oggi) attende, circondata dalle amorevoli carezze delle ancelle e dagli inviti dei fauni e dal sussurro della madre che non può non aver condotto all'ara anche il figlioletto per renderlo "uomo" nell'assaporare gli umori vaginali. "Così un frutto, un cibo, un rito - qualunque cosa egli descriva - ha una profondità di dimensioni che l'immerge nel flusso energetico vitale. In ciò, l'autore è coerentissimo con la visione scientifica che ha sempre coltivato, solo la modella in modo che acquisti immediata evidenza, tangibile concretezza", scrive Valerlo Evangelisti nella Prefazione. Il simbolo si coniuga con il rito e la magia con l'inconscio, tutto nella certezza scientifica di Glielmi e nella percezione del "Grande mistero" che si racchiude nelle viscere della femmina, vergine da sacrificare a Dioniso. E il sangue non è qui quello del cuore, ma il più ancestrale della vagina che si apre sotto il primo impulso per raggiungere la certezza del numero eletto. Donna di oggi, non più tifosa della Juventus (banalità); consapevole del ruolo di chi governa i destini del Paese (analisi); maledicente l'oscurità della veste del prete (ribellione), Zanclea finalmente sa e attende. 171 Dall'iniziazione sessuale passa il tutto, "La sessualità è della massima importanza come espressione dello spirito ctonio, poiché questo è l' altra faccia di Dio". (Carl Gustav Jung: sommo svizzero, scopritore dell'archetipo nella sua originale indagine dell'inconscio e creatore della corrente spirituale della moderna psicanalisi dai sempre più affascinanti riferimenti alchemici). Sacra e profana, mitologica e mercenaria la coniunctionon sempre rappresenta l'unione degli opposti per la creazione dell'Uno (ermafrodito divino) a cui il coraggioso Reich (e quindi Glielmi) dedica poco spazio, preferendo il rito della mietitura con la maschera della fertilità acquisita. Non so se Carl Gustav Jung abbia fatto in tempo a prestare attenzione alle teorie del grande psicanalista austriaco, ma conosco quanto lontano, proprio sul "nocciolo" della sessualità, si sia posto da Sigmund Freud (il padre della psicanalisi, anch'egli austriaco): "Considero gli istinti umani come manifestazioni diverse di processi energetici, come forze analoghe al calore, alla luce, e così via. Come al fisico moderno non verrebbe in mente di far derivare tutte le forze dal calore soltanto, così lo psicologo dovrebbe, guardarsi dal far derivare tutti gli istinti in blocco dal concetto di potenza o da quello della sessualità". E qui nasce l' archetipo, nascono l' anima e l' animus, nascono l' inconscio individuale e collettivo, nasce l'ombra. Materia mille miglia distante dall' energia orgonica di Wilhelm Reich. Mondi lontani come galassie che creano illusioni o verità. Gazzetta del Sud Martedì 25 settembre 2001 Nicola Glielmi: "Zanclea nella Villa dei Misteri in Pompei antica" LA PUREZZA SACRALE DEL SESSO E` UNA BATTERIA: LIBERA ENERGIE Crisostomo Lo Presti.. 172 INDICE ZANCLEA NELLA CORRENTE di Valerio Evangelisti INTRODUZIONE SOTTO LA TORRE SARACENA LA SAGGEZZA DI ZEUS DIONISO Dioniso e Arianna La religione dionisiaca 17 18 LA VILLA DEI MISTERI OGGI 19 Il triclinium Il tablinum La statua di Livia La cripta del peristilio Il cubicolo a due alcove LA STANZA DI DIONISO IL GRANDE DIPINTO ZANCLEA 23 24 25 27 27 30 37 57 Il messo per Zanclea 62 LA VISIONE ONIRICA IL TRESCONE DIONISIACO DELLA NOTTE SULLA TOMBA DI SEMELE LA PRESENTAZIONE 101 119 120 120 123 126 140 154 159 Zanclea Il maestro venerabile IL RITO E’ COMPIUTO 159 162 164 Il canto di Dioniso Il canto di Dioniso e Arianna Il canto di Sileno Canti di amore, di dolore e di odio Il canto dei satiri e delle menadi RECENSIONI La abbracciò e la baciò sulla fronte di Valentino Sturiale La purezza sacrale del sesso è una batteria: libera energie di Crisostomo Lo Presti 173 5 9 11 13 15 169 171 174 NOTE BIOGRAFICHE Nicola Glielmi è nato a Magliano Vetere (Salerno) nel 1932. Laureato in medicina e chirurgia. Specializzato in Clinica delle Malattie e Nervose e Mentali. Ha lavorato negli Ospedali Psichiatrici Provinciali di Napoli e Messina. A seguito della legge n. 180 (legge Basaglia) ha diretto, quale Primario Coordinatore, il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura dell’Ospedale Generale di Milazzo, caratterizzato dalle “porte aperte”. E quale Primario Coordinatore ha diretto i Servizi di Tutela della Salute Mentale a Taormina, ove organizzò un Centro Sperimentale di Psicoterapia Reichiana, gratuito per tutti gli ammalati che numerosi vi affluivano dal territorio, da Napoli e da Bologna. Primario Coordinatore di Messina Nord e Capo Settore della Salute Mentale e Tossicodipendenze della Asl N. 5 della Provincia di Messina dal marzo 1991 al 5 novembre 1997. Ha seguito un training personale di vegetoterapia carattero-analitica con medici orgonomisti, trainer della SIRTO (Società Italiana di Ricerche e Terapia Orgonica) e della SEOR (Scuola Europea di Orgonomia). Ha praticato un training personale di Gestalterapia. E’ autore di pubblicazioni scientifiche sulla psicoterapia degli psicotici e sui loro elaborati grafici e pittorici. In “Teatro e Psichiatria”, apparso sulla rivista Igiene Mentale, l’autore conduce uno studio psichiatrico sulla commedia e sulla tragedia dei Greci, mettendo a confronto gli eroi greci con moderni malati psichiatrici.. Ha pubblicato “La peste psichica” (Ed, Sintesi, Napoli), “Caratteri Passioni Mafia” (La Grafica Editoriale, Messina), “Psicopoli” (La Grafica Editoriale, Messina), “La peste istituzionale” (La Grafica Editoriale, Messina), “La nascita della parola e del pensiero “ (ilmiolibro), “La terapia reichiana delle epilessie” (ilmiolibro), “Vizi capitali e caratteri mafiosi” (ilmiolibro), “La psicologia dei vizi capitali e analisi dei caratteri mafiosi” (una riedizione su www.ilmiolibro.it, a colori, del precedente “Vizi capitali…”, illustrato con 50 opere del maestro, pittore, scultore Ranieri Wanderlingh), “Bruciare la Bibbia – parte prima”, (ilmiolibro), “Bruciare la Bibbia – parte seconda“ (ilmiolibro), “Il farabuttismo dialettico adolescenziale inconscio” (ilmiolibro). In collaborazione con l’ing. Roberto Maglione: “Wilhelm Reich” (ilmiolibro), “La distruttività post-encefalitica e il farabuttismo dialettico nelle strategie della comunicazione”(ilmiolibro), “L’arca di Mosè e l’accumulatore di Reich” (ilmiolibro), “Zanclea nella Villa dei Misteri in Pompei antica” ( I edizione, Tommaso Marotta, Napoli, 2000).