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Terzani scambiato per un santone guru di una
L’ECO DI BERGAMO [ L’unico vero maestro non è in nessuna foresta [...] È dentro di noi Tiziano Terzani GIOVEDÌ 17 AGOSTO 2006 ] [ Cultura Mi piacciono i gesuiti. Li ho sempre cercati per capire il paese in cui mi trovavo Tiziano Terzani 27 ] È stata coniata la parola «terzanismo» per indicare un diffuso stile di pensiero ispirato al giornalista fatto di pacifismo e anticonsumismo, di generosità nei confronti del prossimo e di riflessioni sul samsara, il nirvana come chiave d’accesso alla verità della nostra esistenza N on era un tipo presuntuoso, Tiziano Terzani: «Non sono mai stato un intellettuale – affermava –: mi accorgo che non sono mai stato terribilmente intelligente, anzi, sono stato in soggezione davanti a quelli che vedevo essere tanto più intelligenti di me. Dinanzi a un problema io ero capace di capirlo, di fare un salto mortale e poi magari di farne anche un secondo, ma altri ne sapevano fare cinque, sei». E anche negli ultimi tempi, benché vestisse «all’indiana», con la barba bianca da profeta a incorniciargli il volto, riconosceva di non essere mai riuscito a diventare un «maestro di meditazione»: «Riesco a star seduto per mezz’ora – diceva –, un’ora, a fare il piano della giornata, a fare un po’ di silenzio intorno a me, ad acquietare la mente. Ma non sono un meditatore». E tuttavia, a due anni dalla scomparsa del grande reporter della guerra in Vietnam e del crollo dell’impero sovietico, sembra che sia in atto una rapida trasformazione della sua figura in quella di un veggente, di un guru, in cui il decorso del cancro si sarebbe accompagnato a un nuovo sguardo, illuminato, sulle realtà di questo mondo e oltre. Lo scorso marzo, una puntata de L’infedele di Gad Lerner era stata dedicata a Tiziano Terzani, il nostro inviato nell’aldilà: e una fotografia di lui al termine dell’agonia, scattata «pochi minuti dopo che aveva lasciato il corpo», era stata accostata alla disneyana Bella addormentata, a suggerire che quell’uomo doveva aver scoperto il segreto di una morte senza affanni. Ci ha pensato poi Panorama a esplicitare il messaggio, in luglio, con una copertina francamente kitsch: sopra il titolo, un mezzo ritratto del giornalista fiorentino si contrapponeva a un teschio, mentre un reportage dall’India nelle pagine interne prometteva di rivelare ciò che Terzani aveva scoperto «lì, ai piedi dell’Himalaya», al termine della sua indagine sulla vita, la morte, il senso dell’umano soffrire. Di recente, qualcuno ha coniato anche una nuova parola – «terzanismo» – per indicare un diffuso stile di pensiero ispirato all’autore di Buonanotte signor Lenin e di Lettere contro la guerra: uno stile fatto – in proporzioni variabili, secondo i casi – di pacifismo e anticonsumismo, di generosità nei confronti del prossimo e di riflessioni sul samsara, il nirvana e quant’altro come chiavi d’accesso alla verità della nostra esistenza (o delle nostre esistenze, perché tra i membri di questo ampio gruppo d’opinione ha un certo seguito, senza assurgere a dogma, l’idea della reincarnazione). Un esempio di terzanismo spinto? «Penso che amando Tiziano – scrive un suo fan in Internet –, assorbendo le mille sensazioni che suggerisce, spontaneamente ci sentiamo di fare cose che non facevamo prima, di pensare in modo diverso»: dove il ricordo di Terzani in quanto personaggio reale sfuma, a favore di un Terzani-icona pop, quasi l’oggetto di culto una nuova religione fai-di-te. Alla diffusione della «visione terzanista» hanno contribuito, da un paio d’anni in qua, la pellicola del regista Mario Zanot Anam il Senzanome (un film-intervista girato due mesi prima della scomparsa di Terzani nel suo «eremo» toscano di Orsigna) e, più recentemente, un libro materialmente scritto dal figlio di Tiziano, Folco, che ha raccolto gli ultimi suoi dialoghi con il padre morente sotto il titolo La fine è il mio inizio (pubblicato da Longanesi, e più volte ristampato nel giro di pochi mesi; pp. 466, euro 18,60). Negli ultimi tempi, però, sulla stampa nazionale sono emerse delle voci discordanti circa queste ed altre testimonianze postume sul con- Giuliano Amato Antonio Socci Furio Colombo Non faremmo un buon servizio a Tiziano, né a quello che ci ha lasciato, se ora trasformassimo lui in un santone Terzani è come ogni altro prodotto che fa tendenza. Che tira. Che l’industria mediatica e culturale cavalca Tiziano è stato “padre” nel senso grande della Bibbia, un Abramo che passa al figlio l’arma contro la morte il profilo ANIMA ORIENTALE TIZIANO TERZANI (Firenze, 14 settembre 1938 - Orsigna, 28 luglio 2004) dopo qualche collaborazione giornalistica ebbe l’opportunità, grazie al settimanale tedesco Der Spiegel di recarsi in Asia come corrispondente. Inizia la sua carriera. Nel 1971 si trasferì a Singapore seguendo da molto vicino la guerra del Vietnam. Divenne poi, con il CorSera e La Repubblica, uno dei più importanti giornalisti. Una delle ultime immagini di Tiziano Terzani. Qui è al Festival di letteratura di Mantova nel 2002 È STATO UN PROFONDO conoscitore dell’Asia (sia a livello politico sia a livello filosofico e culturale). Ha vissuto a Pechino, Tokyo, Singapore, Hong Kong, Bangkok e Nuova Delhi, che negli ultimi anni aveva eletto come sua seconda casa. Il suo soggiorno a Pechino si concluse quando venne arrestato e «rieducato» per un mese prima di essere espulso dalle autorità cinesi per «attività controrivoluzionarie». Ha pubblicato numerosi libri-reportage e autobiografie. Terzani scambiato per un santone guru di una nuova religione light È nato il «terzanismo» che ha trasformato lo scrittore in un vecchio saggio Ma il lavoro del cronista fiorentino resta una testimonianza preziosa to di TT – come viene abbreviato dai suoi «intimi». Particolarmente duri i giudizi espressi su Libero da Alessandro Gnocchi e da Antonio Socci: per quest’ultimo i seguaci di Terzani «probabilmente manifestano un’ansia sincera, una vera domanda di “spiritualità”», ma finirebbero per abbeverarsi dalla fonte sbagliata, da un autore che è «negli autogrill, a fianco delle riviste di gossip. [...] Un prodotto che fa tendenza. Che tira. Che l’industria mediatica e culturale cavalca». Tra gli altri interventi, notevole quello del ministro degli Interni Giuliano Amato, che, in un articolo già pubblicato sulla newsletter dell’associazione ex-allievi della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e ripreso negli scorsi giorni dal Corriere della Sera, ha ricordato con affetto la figura di Terzani, suo compagno di studi alla «Normale», aggiungendo però: «Non faremmo un buon servizio a Tiziano, né a quello che ci ha lasciato, se ora trasformassimo lui in un santone e sua moglie e i suoi figli in chierici addetti al suo altare». Infine, su Avve- La morte s’inchina a Terzani in un fotomontaggio di Panorama nire, Alessandro Zaccuri, recensendo severamente il volume Dentro di noi (curato da Antonio Bortolotti e Massimo De Martino: vedi l’intervista a piè pagina), ha concentrato la sua attenzione sul «popolo terzanista»: «Quello che i lettori di TT cercano – ha scritto – è [...] un’autorità alla quale appellarsi, qualcuno che li pre- La copertina di Panorama ceda nell’esplorazione dell’esistenza. Richieste legittime, sia ben chiaro, che però rischiano di declinarsi in un consolatorio sincretismo à la page, dove tutte le tradizioni sono buone fuorché quella alla quale si appartiene». Ma fino a che punto il «terzanismo» è figlio legittimo dell’opera di Terzani? È no- tevole, intanto, che i suoi volumi maggiormente citati nella community del sito canonico www.tizianoterzani.com siano i più recenti, come Un indovino mi disse (1995), e Un altro giro di giostra (2004). Più raramente si ricordano i libri precedenti, nati dalle peregrinazioni di Terzani come corrispondente di Der Spiegel in diversi Paesi asiatici, e da cui meglio emergono – a noi sembra – il daimon, la vocazione e la tempra di un uomo che, dopo la laurea in giurisprudenza, si era ritrovato a vendere porta a porta le macchine da scrivere Olivetti, senza però rinunciare al sogno di «fare il giornalista il Cina», in un’epoca in cui le frontiere di quello Stato erano pressoché sbarrate per gli occidentali. Non subito in Cina, ma in Oriente Terzani riuscì a trasferirsi, e da laggiù – dall’ex Indocina francese, in un primo tempo – inviò dei memorabili reportage, corredati di solito dalle foto che lui stesso scattava. Narrò grandi eventi, come la conquista di Saigon da parte delle truppe nordvietnamite nell’aprile 1975, ma fu sempre attento alla particolarità delle si- tuazioni umane, agli interstizi e ai cigolii nello sferragliante apparato della Storia. Dell’India, ad esempio, lo affascinò il fatto che la gente di quel Paese «vivesse nella stessa geografia, ma in una storia che varia», che «lo spazio fosse lo stesso per tutti, ma il tempo diverso”: così, mentre gli venivano commissionate inchieste sulla crescita dell’economia indiana, egli trovava più interessante descrivere il tempio di Kami Mata, nel Rajasthan, in cui si adorano dei ratti sacri. «Il tempio dei ratti – spiegherà poi – mi pareva la contraddizione più plateale della visione moderna di un’India che si avviava a diventare Silicon Valley. Eppure, il puzzo di quel tempio bellissimo [...] era il simbolo dell’India immortale, dell’India che aveva provato a esprimere nella maniera più provocatoria che l’esistenza di Dio è dovunque. Anche nei ratti puzzolenti». Ugualmente poetica è la descrizione di ciò che più lo colpì della sua meta originaria, la Cina, quando finalmente poté abitarvi, prima di essere arrestato ed espulso, nel 1984, con l’accusa di «attività controrivoluzionarie»: «Tu immagina – è il suo racconto, affidato al figlio Folco – una civiltà che è capace di pensare che se a un piccione gli leghi sulla coda un fischio che, come puoi capire, deve essere leggerissimo o il piccione non vola, quello emette un suono nell’aria. Se poi tu fai fischi di vario tipo e ogni fischio è di per sé uno strumento musicale con tanti buchi, con tanti suoni, e se tu hai tanti piccioni con tanti fischi tutti diversi, e lasci questi piccioni liberi per l’aria, senti allora la musica dei pianeti – wuuu! [...]. Io a tutta questa bellezza non resistevo. Era più forte di me». In conclusione: a noi pare che la grandezza di Tiziano Terzani non stia nel coraggio con cui ha saputo affrontare la malattia e la morte – pure riabilitando un discorso censurato dall’immaginario occidentale – e neppure nelle «digressioni mistiche» del suo ultimo periodo. Ciò che davvero è vitale, nelle sue pagine, è lo sforzo di rispettare l’effettività dei casi, delle esperienze, degli incontri, e al tempo stesso di non sparpagliare gli eventi sul piano della nuda «datità», dell’aneddoto insignificante. Vale, anche qui, forse, la regola aurea fissata da Sylvia Plath: «L’astratto uccide, il concreto salva». Da questo punto di vista, perfino le contraddizioni interne dell’opera di Terzani (con la revisione del suo giudizio di un tempo sulla politica cinese, o con l’onesta ammissione di aver capito solo in ritardo ciò che i khmer rossi stavano perpetrando in Cambogia ai danni del loro popolo) testimoniano di un itinerario umano ed etico di prima grandezza; così come il pathos con cui egli si mobilitò, dopo l’11 settembre, contro l’intervento americano in Afghanistan e in Iraq, fino a personificare agli occhi del grande pubblico una sorta di «kamikaze della pace» – o di «anti-Fallaci», per la nota polemica a cui diede vita, sulle pagine dei giornali, con la sua collega e concittadina. Giulio Brotti Parlano De Martino e Bortolotti, curatori di un libro che raccoglie i pareri online dei lettori del giornalista scomparso due anni fa L a recente pubblicazione di Dentro di noi. Parlano i lettori di Tiziano Terzani (Tea edizioni) ha suscitato grande dibattito sui giornali. I curatori dell’opera si chiamano Massimo De Martino e Antonio Bortolotti. Sono entrambi responsabili anche del sito tizianoterzani.com. Il loro libro nasce lì, tra le testimonianze dei lettori che hanno animato il forum nel corso degli ultimi anni. Si parla tanto di «terzanismo». Che ne pensate? De Martino: «Ammetto che la deriva in questo senso c’è stata e il rischio di santificare laicamente Terzani è altissimo. Non posso metterlo in dubbio; soprattutto se ci si limita a leggere soltanto gli ultimi due libri, quelli in cui profonda è la riflessione sulla morte, sulla vita passata. Ma ritengo che le polemiche suscitate dagli articoli di “Libero” non siano giuste. Socci, per esempio, parla del mercato editoriale che si è scatenato intorno alla figura di Tiziano; cita l’esempio di due suore clarisse che hanno scelto la clausura, per dire che quelle sono opposizioni forti al materialismo, ma che non fanno tendenza. Il ragionamento fin qui «Ma Tiziano non voleva insegnare niente a nessuno» andrebbe bene: ognuno nella vita fa le la di più”». sue scelte, ed io rispetto quelle di tutti. Com’è nato «Dentro di noi»? Tiziano, però – a chi gli chiedeva quale Bortolotti: «Ho scaricato da sito gli inposto dell’India consigliasse per ritrova- terventi dei forumisti che più mi piacere se stessi – rispondeva: “Sei proprio si- vano. Poi con De Martino si è pensato di curo che vuoi andare fino lì Guardati intorno, è pieno di posti dove cercare… chiese straordinarie… guarda bene.” Socci, inoltre, arriva a contestare il giornalista e l’uomo. E questo mi ha amareggiato molto. Cito testualmente: “Terzani Uscita anticipata in Germania per «Sfoglianmaestro di vita? No, grazie. Molto meglio do la cipolla», l’autobiografia giovanile del premio qualunque parroco di paese o qualunNobel Günter Grass, che doveva originariamente que umile suorina.” Chi ha conosciuto uscire il 1° settembre. In seguito al dibattito suTiziano sa invece che lui non voleva inscitato dalle dichiarazioni dello scrittore tedesco segnare niente a nessuno; cercava solche ha parlato del suo arruolamento nelle SS, antanto di dare degli stimoli». ticipando il racconto che ne fa in questo volume, Bortolotti: «Anch’io penso che c’è stala casa editrice Steidl ha deciso di mettere in comta un’esagerazione, ma di sicuro Terzamercio da subito le 150mila copie del nuovo lini l’avrebbe condannata. Subito. Lui non bro. Le librerie hanno fatto sapere che molte soè mai stato ambiguo: ricordo che egli dicno già state vendute. Per la Nobel Foundation, che ceva “Io non posso indicare la strada a ogni anno attribuisce i prestigiosi premi Nobel, il nessuno. Posso soltanto dirti che quella passato di Grass non è una ragione sufficiente per strada l’ho percorsa prima di te e quinrevocare allo scrittore il premio vinto nel ’99. di so che in quel punto c’è una buca, da quell’altra parte ce n’è ancora una. Nul- GRASS, IN COMMERCIO LIBRO DELLE POLEMICHE farne un “librino” (in questo modo lo definiamo ancora oggi) da stampare a nostre spese e magari mettere sul nostro sito. L’idea ci piace ma già sappiamo che i mezzi sono scarsi. E proprio qui arri- L’EMIGRAZIONE ALLA TIRABOSCHI Continuano gli incontri sull’emigrazione bergamasca in programma alla biblioteca Tiraboschi nell’ambito dell’iniziativa «Gente che va e gente che viene». L’incontro di questa sera si sofferma a illustrare il capitolo dell’emigrazione bergamasca in Svizzera attraverso la proiezione del film documento «Una vita altrove» di Alberto Cima. Gli incontri sono in collaborazione con il Centro Studi Valle Imagna. Il 24 agosto l’attenzione si sposterà sugli emigranti carbonai e boscaioli tra Francia e Svizzera: l’incontro sarà coordinato dal professor Enzo De Canio. L’ultimo incontro invece è il 31 agosto ancora con un docu-film di Alberto Cima: «Il giardino di Lucia». va il destino. Ero in aereo: stavo andando a Roma per assistere alla conferenza di presentazione de “La fine è il mio inizio”. Eravamo pochi passeggeri. Avevo portato con me una copia del “librino” e ne stavo parlando con una mia amica alla quale dicevo che forse non se ne sarebbe fatto nulla per via dei costi alti di stampa. Dopo qualche minuto, si alza un signore che aveva ascoltato la nostra conversazione, si avvicina e dice: “Scusi se la interrompo: sono l’editore di Terzani. Che ne direbbe se lo pubblicassimo?» Come avete scoperto Terzani? De Martino: «Sette anni fa, molto prima che Tiziano diventasse famoso, trovai su una bancarella un libro intitolato “Un indovino mi disse”. Incuriosito dalla quarta di copertina lo comprai. Passai tutta la notte a leggerlo. Pensai che questo signore meritava qualche pagina su Internet; lo contattai con una mail e gli proposi di creare un fan club. Lui mi disse con molta cortesia che non se ne parlava affatto. Poi mi venne un’idea. Gli dissi: “Perché allora non facciamo un fun (che in inglese si pronuncia come fan ma che significa divertimento) club?” Solo allora, da buon toscano, accettò». Bortolotti: «Per lavoro e altro ho frequentato e amato molto la Cina. Un mio collega mi diceva sempre che c’era un autore fiorentino come me a cui sembravo molto affine. Mi consigliò di leggerlo». L’avete mai conosciuto? De Martino: «Ci siamo visti una decina di volte e ho avuto modo di capire alcuni aspetti del suo carattere: persona solare, divertente, molto incuriosita da chi aveva di fronte. A questo proposito le racconto volentieri un aneddoto particolare. Qualche mese prima che morisse mi invitò a casa sua: voleva salutarmi perché quella era l’ultima volta che ci saremmo visti. Lui era sereno, pacifico. Mi disse: “Max, ascolta: tu che fai l’informatico (il mio mestiere di allora) mi faresti il piacere di spiegarmi cosa cavolo è la banda larga? Mi incuriosisce tanto”. Questo per me era Tiziano Terzani». Bortolotti: «Non ho avuto la fortuna di conoscerlo di persona. Però, senza voler fare troppo il fatalista, credo che Terzani fosse nella mia vita». Rocco Campagna