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Tassazione
dei redditi
“Foreign Tax Credit”:
tempestività e omessa
dichiarazione
di Claudio Quartana e Domenico Antonacci
L’approfondimento
L’adozione del criterio di tassazione dei redditi
su base mondiale per i soggetti residenti
(“world wide principle”) e quello della
territorialità (“source principle”) per i non residenti può generare fenomeni di doppia imposizione internazionale per i contribuenti che
producono redditi in più Stati. La normativa
italiana, con l’art. 165 del T.U.I.R. contempla
il metodo del credito d’imposta quale “istituto”
per eliminare o almeno “mitigare” il peso della
doppia imposizione del reddito. Permangono,
tuttavia, una serie di tematiche che, nella prassi
professionale, rendono incerto ed a volte problematico l’effettivo utilizzo di tale strumento.
Difficoltà ed incertezze che sono venute alla
ribalta anche recentemente nell’ambito delle
procedure di “voluntary disclosure” dei capitali detenuti all’estero.
Credito d’imposta per le imposte pagate
all’estero: limiti e definitività
La disciplina del credito di imposta per i redditi
prodotti all’estero contenuta nell’art. 165 del
T.U.I.R., è stata oggetto di importanti modifiche
nel corso degli ultimi anni oltre che di numerosi
chiarimenti da parte dell’Agenzia delle entrate,
intervenuta anche recentemente con la circolare
n. 9/E del 5 marzo 2015. L’obiettivo comune del
legislatore e dell’Amministrazione finanziaria è
stato quello di rendere tale strumento più efficace
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nel contrastare, o comunque ridurre, la doppia
imposizione concedendo una detrazione dall’imposta dei redditi italiana delle imposte pagate
all’estero in via definitiva.
Il riconoscimento di tale credito al contribuente
è tuttavia subordinato a particolari condizioni e
limiti inderogabili; in particolare, la detrazione
delle imposte pagate all’estero non può eccedere:
a) “la quota d’imposta corrispondente al rapporto
tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti
periodi d’imposta ammesse in deduzione”;
b) “l’imposta netta dovuta in Italia per il periodo
d’imposta in cui il reddito estero ha concorso a
formare il reddito imponibile complessivo”.
In pratica, ai fini dello scomputo del credito, una
volta determinato il risultato del predetto rapporto, nei limiti dell’imposta netta dovuta in
Italia, si deve assumere il minore tra l’ammontare
dell’imposta pagata all’estero e la quota di imposta italiana riferibile al reddito estero.
L’ulteriore condizione è rappresentata dalla circostanza che le imposte estere siano state pagate
a titolo definitivo. Come si precisa nella circolare n. 9/E del 5 marzo 2015, la definitività
dell’imposta pagata all’estero coincide con la
sua “irripetibilità”, ossia con la necessità che
Claudio Quartana - Esperto di fiscalità internazionale, Studio
Legale Tributario EY
Domenico Antonacci - Esperto di fiscalità internazionale, Studio
Legale Tributario EY
Tassazione
dei redditi
l’imposta estera non sia più suscettibile di modificazioni. Irrilevante, secondo l’Agenzia delle
entrate, è che l’imposta possa essere modificata
in peius a sfavore del contribuente. Non possono,
invece, considerarsi definitive le imposte pagate
in acconto o in via provvisoria e quelle per le
quali è prevista, sin dal momento del pagamento,
la possibilità di rimborso totale o parziale, anche
mediante compensazione con altre imposte
dovute nello Stato estero.
Da ultimo, le imposte estere devono considerarsi
“pagate a titolo definitivo” nel periodo d’imposta in cui le stesse sono state versate al Fisco estero,
a nulla rilevando il periodo d’imposta in cui il
beneficiario del reddito estero è venuto in possesso della relativa certificazione. La certificazione, infatti, ha valenza meramente probatoria
e, pertanto, non determina la definitività del
pagamento del tributo1.
Credito d’imposta per le imposte pagate
all’estero: tempestività
Un ulteriore aspetto critico della normativa
domestica riguardante la detrazione del credito per le imposte pagate all’estero riguarda la
“tempistica”. Sulla base dell’esperienza professionale di chi scrive, in molti casi l’Agenzia delle
entrate, dopo aver, in sede di controllo formale
ex art. 36-ter, richiesto la documentazione circa il
metodo di calcolo e la definitività delle imposte
pagate all’estero, ha disconosciuto la detrazione
“causa tardiva tempestività”.
A parere di chi scrive, questa motivazione è figlia
di una lettura “sintetica e rigida”, del comma 4
dell’art 165 del T.U.I.R. In base a tale comma la
detrazione deve essere calcolata nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta cui appartiene
il reddito prodotto all’estero, a condizione che il
pagamento a titolo definitivo avvenga prima
della sua presentazione.
Tale comma è stato inserito dal legislatore al fine
di dare un ordine e uno schema agli operatori in
sede di predisposizione della dichiarazione. La
ratio di questo comma è quella di creare una
“regola procedurale” per il timing della richiesta
del credito per le imposte pagate all’estero.
Sempre a giudizio di chi scrive, la locuzione
“deve essere calcolata nella dichiarazione relativa
al periodo d’imposta cui appartiene il reddito
prodotto all’estero al quale si riferisce l’imposta”
non può, di per sé, determinare il disconoscimento del credito per le imposte pagate all’estero. Per dare una risposta a questa domanda,
potrebbe essere utile la circolare n. 50 del 12
giugno 2002 ove si afferma che “se sono suscettibili di rimborso, le imposte pagate all’estero si
possono detrarre nell’anno in corso, al netto del
rimborso, solo se questo è già stato richiesto ed
ottenuto prima di effettuare la dichiarazione in
Italia e si possa considerare certo nel suo
ammontare”.
In questo caso, l’Agenzia pare aver letto la norma
stabilendo un die a quo, sancito dalla definitività, a
partire dal quale il credito si può detrarre. In
nessun caso, né il legislatore né tanto meno
l’Agenzia si è espressa in una circolare o risoluzione affermando che il credito si deve richiedere
a pena di decadenza. Questo, a parere dello
scrivente, sarebbe in contrasto con l’art. 53
della Costituzione, che istituisce il principio
della capacità contributiva. Principio per il
quale, ogni contribuente deve essere tassato in
base alle proprie capacità di reddito e dunque, il
mancato riconoscimento di un credito d’imposta
con conseguente doppia imposizione non può
che ledere tale principio, generando un pregiudizio economico per il cittadino.
La normativa sul credito d’imposta è stata recentemente oggetto di importanti modifiche
contenute nel D.Lgs. n. 147/2015, Decreto
“crescita e internazionalizzazione”. Il legislatore ha apportato alcuni ritocchi all’art. 165
del T.U.I.R., estendendo a tutti i contribuenti le disposizioni attualmente riservate ai
Nota:
1 G. Salvi “In credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero:
chiarimenti applicativi” in Bilancio e reddito, n. 6/2015, pag. 32.
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redditi d’impresa prodotti all’estero tramite una
stabile organizzazione. Viene quindi ampliato
l’ambito applicativo delle norme concernenti la
detraibilità delle imposte estere nel periodo in
cui il reddito estero concorre al reddito complessivo in Italia e la possibilità di riporto in
avanti ed indietro delle eccedenze di imposta
estera rispetto all’imposta italiana2. Questa
modifica, è stata apportata con il fine di evitare
in ogni caso la doppia tassazione. In tale ottica,
si è del parere di confermare che una mancata
indicazione tempestiva del credito d’imposta
pagata all’estero non possa comportare la perdita del diritto al credito. Su questo punto, si
ritiene che, sebbene le recenti modifiche al
comma 5 rappresentino un buon punto di inizio, è opportuno che il legislatore intervenga in
maniera decisiva sul comma 4 dell’art. 165,
norma, tra l’altro, dichiarata incostituzionale,
secondo la Comm. trib. prov. di Milano n. 2944
del 27 marzo 2015, in quanto in aperto contrasto con i principi sanciti dalla Corte costituzionale, di uguaglianza (art. 3) e di capacità
contributiva (art. 53).
Credito d’imposta per le imposte pagate
all’estero: disciplina convenzionale
Con riguardo alla nozione di “redditi prodotti
all’estero” l’ordinamento nazionale accoglie il c.d.
criterio della lettura “a specchio”, secondo cui
i redditi si considerano prodotti all’estero sulla
base dei medesimi criteri di collegamento enunciati dall’art. 23 del T.U.I.R. per individuare
quelli prodotti nel territorio dello Stato.
La definizione interna di “reddito prodotto all’estero” si rende applicabile solo nei casi in cui non
sia in vigore una Convenzione contro le doppie
imposizioni tra l’Italia e lo Stato della fonte del
reddito.
Secondo l’art. 23B del Modello di Convenzione
OCSE, il credito d’imposta è riconosciuto “se un
residente di uno Stato contraente possiede redditi (…) che, in conformità alle disposizioni della
presente Convenzione, sono imponibili
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nell’altro Stato contraente”. Come è agevole
rilevare, la norma convenzionale non è riferita
ai redditi “prodotti all’estero”, bensì ai redditi
che nell’altro Stato contraente sono imponibili
“in conformità alle disposizioni della presente
Convenzione”, con la conseguenza che l’eventuale prelievo di imposte incompatibili con la
Convenzione non comporta alcun obbligo per
lo Stato di residenza. Per contro, lo Stato di
residenza è tenuto a riconoscere il credito
“anche nei casi in cui un determinato reddito,
pur essendo stato assoggettato ad imposta all’estero, non sia considerato ‘prodotto all’estero’ in
base alla normativa interna”3.
Anche le Convenzioni prevedono un limite
quantitativo al riconoscimento di un credito,
che “non può eccedere la quota dell’imposta
sul reddito (…), calcolata prima che venga concessa la deduzione, attribuibile al reddito (…)
imponibile in detto altro Stato” e che conduce,
in principio, agli stessi risultati cui conduce l’analogo calcolo effettuato secondo le modalità di cui
all’art. 165 comma 1, del T.U.I.R.4. L’aspetto
cruciale della normativa internazionale, è che
essa non prevede alcun adempimento formale per beneficiare della detrazione. La normativa convenzionale pone lo stesso limite
quantitativo previsto dall’art. 165, comma 1,
del T.U.I.R. in quanto la ratio della norma è
quella di evitare la doppia tassazione.
Il credito d’imposta per le imposte pagate
all’estero nel caso di omessa dichiarazione
Altro aspetto fondamentale e di grande dibattito
è il requisito previsto dal comma 8 dell’art 165,
per cui “la detrazione non spetta in caso di omessa
Note:
2 G. Molinaro, “Ampliato l’ambito di applicazione dei crediti
d’imposta per i redditi prodotti all’estero”, in Corr. Trib., n. 38/
2015, pag. 3887.
3 M. Piazza, Guida alla fiscalità internazionale, Milano, 2004,
pag. 1077.
4 G. Rolle e V. Stecca, “Credito d’imposta e lavoro prestato
all’estero: le interferenze tra testo unico e convenzioni”, in il
fisco, n. 48/2014.
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dei redditi
presentazione della dichiarazione o di omessa
indicazione dei redditi prodotti all’estero nella
dichiarazione presentata”. Da una prima lettura
di tale comma, si evince che nel caso in cui il
contribuente non presentasse la dichiarazione
dei redditi ovvero non indicasse i redditi prodotti
all’estero, perderebbe il diritto alla detrazione
d’imposta. A parere di chi scrive, tale lettura
non sembrerebbe corretta in quanto non coerente con lo spirito della norma e con la volontà
del legislatore.
L’obiettivo del legislatore non era quello di prevedere una condizione di tipo sostanziale, la cui
inosservanza comporti ope legis la decadenza del
diritto del contribuente alla detrazione del credito, bensì quello di voler disciplinare il comportamento del contribuente.
La stessa Agenzia delle entrate, nella risoluzione
n. 10/1429 del 5 novembre 1976, seppur con
riferimento alla riportabilità delle perdite d’impresa non indicate dal contribuente nella dichiarazione dei redditi, sancisce che “(…) la
compensazione non opera ope legis bensì deve
essere richiesta dal contribuente in sede di dichiarazione. Questa norma ha chiara valenza operativa ma non può, in ogni caso, comportare, in
caso di inosservanza, il mancato riconoscimento
del riporto che sarebbe dovuto essere esplicitamente previsto dal legislatore. Nel citato intervento l’Agenzia ha affermato che l’omessa
indicazione in dichiarazione o un’omessa dichiarazione non possono di per sé comportare la
decadenza di una detrazione, in questo caso
una perdita se ciò non è stato espressamente
previsto dal legislatore. Nella stessa risoluzione
l’Agenzia ha in aggiunta affermato che: né si può
pervenire al diniego del diritto di cui trattasi in
conseguenza della norma generale sul contenuto
della dichiarazione atteso che tale norma disciplina gli effetti procedurali connessi al comportamento del contribuente senza interferire negli
aspetti sostanziali della determinazione del
“quantum debeatur”. In aggiunta a quanto citato
è utile segnalare la sentenza n. 58/2012 della
Comm. trib. prov. di Firenze nella quale è
stato affermato che “nel caso in cui il contribuente abbia omesso l’invio della dichiarazione
dei redditi, (….) il credito d’imposta che emerge
dalla dichiarazione stessa non può essere disconosciuto. Ciò acquista maggior rilievo se, come
nella specie, il credito risulta documentato.
L’omessa dichiarazione è una violazione fiscale
che deve essere di per sé sanzionata, ma non può
causare la perdita di crediti d’imposta spettanti
(…) l’omessa dichiarazione è sanzionabile in
quanto tale, ma nessuna norma dispone la decadenza del diritto al credito d’imposta quando
effettivamente sussiste, e quindi non si determina
alcun danno all’erario”. In questo caso si trattava
di un credito derivate da ritenute d’acconto, ma
possiamo affermare che questi principi esposti
dalla Commissione di Firenze si possono benissimo applicare al credito per le imposte pagate
all’estero. Stesso principio lo ritroviamo anche
nella sentenza n. 47/05/2008 della Comm. trib.
prov. di Livorno, con la quale, in riferimento a
un credito d’imposta per il comparto del commercio e del turismo ha affermato che “l’omessa
tempestiva indicazione, nella dichiarazione di
competenza, del credito di imposta, nonostante
la legge che concede il credito di imposta di
cui si tratta espressamente prescriva che il
predetto credito debba essere indicato nella
dichiarazione dei redditi relativa al periodo di
imposta nel corso del quale il beneficio è concesso, non comporta la decadenza e la perdita del
credito”.
Tali principi non sono stati sempre accolti dalla
Suprema Corte la quale, ha espresso che: “sebbene le denunce dei redditi costituiscano di
norma delle dichiarazioni di scienza, e possano
quindi essere modificate ed emendate in presenza di errori che espongano il contribuente al
pagamento di tributi maggiori di quelli effettivamente dovuti, nondimeno quando il legislatore subordina la concessione di un beneficio
fiscale ad una precisa manifestazione di volontà
del contribuente, da compiersi direttamente
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nella dichiarazione attraverso la compilazione di
un modulo predisposto dall’erario, la dichiarazione assume per questa parte il valore di un atto
negoziale, come tale irretrattabile anche in caso
di errore, salvo che il contribuente dimostri che
questo fosse conosciuto o conoscibile
dall’amministrazione5.
Questo approccio della Cassazione, a giudizio
dello scrivente, dovrebbe essere oggetto di rivisitazione alla luce di più recenti sentenze, tra cui
la n. 2944 del 27 marzo 2015 della Comm. trib.
prov. di Milano dove si è affermato che l’art. 165
comma 8 del T.U.I.R. è una norma incostituzionale in quanto si pone in aperto contrasto con
i principi sanciti dalla Corte costituzionale, di
uguaglianza (art. 3) e di capacità contributiva (art.
53). Questo concetto può essere confermato
anche dal fatto che le Convenzioni contro le
doppie imposizioni, che sono istituite con lo
scopo prevalente di eliminare la doppia imposizione non prevedono alcun adempimento formale in capo al contribuente per beneficiare della
detrazione. Gli unici requisiti previsti sono la
definitività delle imposte estere e il limite quantitativo (la deduzione non può eccedere la quota
di imposta italiana proporzionalmente attribuibile ai predetti elementi di reddito). Pertanto, da
un combinato disposto delle normative convenzionali e dell’art. 169 del T.U.I.R., il quale
afferma che in caso di contrasto tra normativa
domestica e quella internazionale6 si dovrebbe
applicare la normativa più favorevole al contribuente, si può affermare che l’omessa dichiarazione o l’omessa indicazione dei redditi non
comporta di per sé perdita del diritto del credito
per le imposte pagate all’estero.
Alla luce di quanto sopra esposto, lo scrivente è
del parere che l’omessa presentazione dei redditi
o l’eventuale mancata compilazione del quadro
della dichiarazione italiana è sanzionata esclusivamente in maniera amministrativa, ma questo
non comporta il disconoscimento del credito per
le imposte pagate all’estero, in quanto se così
fosse il contribuente non verrebbe tassato sulla
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propria capacità contributiva e ci sarebbe un
indebito arricchimento da parte dell’erario.
Il credito d’imposta per le imposte
pagate all’estero
e la “voluntary disclosure”
La circolare n. 30 dell’11 agosto 2015 non chiarisce se, in sede di voluntary disclosure, spetti o meno
il credito per le imposte pagate all’estero.
Probabilmente, l’Agenzia non si è espressa in
quanto, nella maggior parte dei casi, la questione
è palesemente risolvibile in favore del contribuente, basandosi su una semplice lettura
dei trattati contro le doppie imposizioni, della
Direttiva risparmio (2003/48/CE) e degli accordi
tra la UE, la Svizzera, Montecarlo, Andorra,
Liechtenstein e San Marino. Tuttavia, le
perplessità nascono proprio dal precedentemente
citato comma 8 dell’art 165 del T.U.I.R. che, a
parere dell’Amministrazione finanziaria, deve
essere interpretato nel senso che l’omessa presentazione della dichiarazione ovvero l’omessa indicazione del reddito estero, comportano, la perdita
della detrazione per il credito per le imposte
pagate all’estero.
Difatti, nella maggior parte delle fattispecie
oggetto di regolarizzazione mediante la procedura
di voluntary disclosure, il contribuente ha omesso di
dichiarare i redditi prodotti all’estero e, molto
spesso, ha perfino omesso di trasmettere la dichiarazione dei redditi. In aggiunta alle considerazioni
già esposte in precedenza sulla decadenza del
diritto al credito d’imposta, un ulteriore aspetto
di rilevanza è il coordinamento tra il comma
8 dell’art 165 e la normativa sul nuovo ravvedimento operoso. Alla luce della formulazione delle
norme sul ravvedimento, in vigore dal 1° gennaio
2015, viene chiarito come, integrando le dichiarazioni dei periodi d’imposta precedenti con
Note:
5 Ordinanza n. 454 del 13 gennaio 2014.
6 Sul punto si citano anche le sentenze nn. 248 e 349 del 2007 della
Corte costituzionale.
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dei redditi
l’indicazione del reddito originariamente omesso,
viene sanata la relativa violazione. Quindi il reddito, omesso, è da ritenersi dichiarato e la relativa
detrazione per le imposte pagate all’estero spettano al contribuente. Con la dichiarazione integrativa a sfavore, e dunque con il ravvedimento
operoso, la regolarizzazione della posizione dei
contribuenti consente di sanare le omissioni che
hanno generato la dichiarazione di un minor
reddito, di una minore imposta ovvero di un
maggior credito. Di conseguenza, il riconoscimento del credito di imposta estero nel caso di
presentazione di dichiarazione integrativa a
sfavore (e quindi effettuando un ravvedimento)
secondo l’Agenzia è coerente con le recenti modifiche normative7. L’Agenzia delle entrate non
affronta in maniera diretta e specifica il medesimo
tema nel caso in cui la dichiarazione del reddito
estero non dichiarato avvenga nel corso della
procedura di voluntary disclosure. A parere di chi
scrive, mediante la procedura di collaborazione
volontaria, nella sostanza si addiviene ad
una nuova liquidazione dell’imposta dovuta.
Questo, è simile a quello che avviene con il
ravvedimento operoso, anche se con una
modalità diversa (e maggiormente burocratica).
Pertanto, si è del parere che si dovrebbe riconoscere il credito per le imposte pagate all’estero
anche nell’ambito della procedura di disclosure.
Questo ragionamento viene confermato dallo
spirito della Legge n. 186 del 15 dicembre
20148 che si pone come obiettivo quello dell’emersione dei capitali detenuti all’estero e dei redditi non dichiarati, tassando il contribuente
sull’effettiva capacità contributiva e concedendo
significativi benefici sulle sanzioni. In senso analogo, l’Agenzia ha ammesso la possibilità di utilizzare in compensazione le minusvalenze
nel calcolo delle imposte dovute sui redditi
finanziari da regolarizzare in caso di adesione alla
procedura. La problematica nasceva dal fatto che
le predette minusvalenze sono subordinate alla
loro indicazione nella dichiarazione dei redditi
relativa al periodo d’imposta nel quale si sono
generate. Al riguardo la dottrina si è espressa
affermando che non si riviene alcun ostacolo al
riconoscimento delle minusvalenze eccedenti
non dichiarate all’epoca dal contribuente, considerato che con l’adesione alla stessa si viene di fatto
a dichiarare oggi, sotto forma dell’autodenuncia
spontanea, tutti gli accadimenti reddituali (sia
quelli positivi che quelli negativi) su cui
l’Amministrazione finanziaria determinerà in
modo puntuale le imposte all’epoca non corrisposte. La voluntary disclosure si atteggia nella sostanza
come una sorta di ravvedimento operoso “fuori
tempo massimo”, attraverso il quale il contribuente potrà regolarizzare la propria posizione
fiscale non attraverso sconti “ciechi” ed “indistinti”, ma per mezzo della ricostruzione “ora per
allora”, delle corrette imposte da pagare9.
Alla luce di quanto sopra esposto, si ritiene che il
credito per le imposte pagate all’estero spetti anche
nel corso della procedura di voluntary disclosure.
Il credito d’imposta per le imposte pagate
all’estero: rapporti tra l’euroritenuta
e “voluntary disclosure”
In sede di regolarizzazione volontaria, gli operatori
hanno dovuto affrontare anche il problema relativo al riconoscimento o meno di quanto trattenuto al contribuente a titolo di euroritenuta. Tale
ritenuta è disciplinata dalla Direttiva 48/2203, la
c.d. European Union Savings Directive; l’art. 11 prevede una ritenuta alla fonte applicata dalle banche
sul riporto degli interessi pagati o accreditati da uno
Stato UE e da Stati che applicano misure equivalenti a beneficiari effettivi. L’obbligo di applicare in
automatico l’euroritenuta sussiste fintanto che
Note:
7 D. Liburdi, “Imposta pagate all’estero”, in Italia Oggi del 6
marzo 2015.
8 Pubblicata su G.U. n. 292 del 17 dicembre 2014, recante
“Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali
detenuti all’estero nonché del potenziamento della lotta
all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di auto riciclaggio”.
9 Si veda in tale senso quanto espresso dal Prof. Maurizio Leo nelle
Audizioni sul disegno di Legge n. 1642 (rientro capitali detenuti
all’estero e autoriciclaggio) - Commissioni Riunite 2° (Giustizia)
e 6° (Finanze e Tesoro) del Senato del 25 novembre 2014.
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l’investitore non autorizzi l’istituto pagatore a
comunicare gli interessi erogati all’ente di controllo fiscale di riferimento (e.g. l’Agenzia delle
entrate).
La Direttiva, per eliminare l’eventuale doppia
imposizione, prevede anche che nell’ipotesi in
cui il reddito assoggettato a suddetta ritenuta
subisca la tassazione nel Paese di residenza del
titolare effettivo, a quest’ultimo in tale Paese è
riconosciuto un credito d’imposta. Se l’importo
dell’euroritenuta eccede l’importo dell’imposta
prevista dalla normativa nazionale, lo Stato di
residenza rimborsa al percettore la differenza.
Riprendendo la normativa domestica, ricordiamo che la possibilità di compensare le imposte
pagate all’estero con quelle italiane sarebbe consentita solo nell’ipotesi in cui le stesse risultino
dalla dichiarazione del contribuente. Da una
prima lettura della norma si potrebbe pensare
che il credito da euroritenuta non possa essere
richiesto in sede di voluntary disclosure. In questo
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caso ci sarebbe una doppia imposizione in violazione alla Direttiva 2003/48/CE e degli
accordi tra l’UE e gli Stati aderenti.
In aggiunta ricordiamo che, come già espresso
sopra, l’art 169 del T.U.I.R. prevede che le disposizioni nazionali si applicano, se più favorevoli al
contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione. Pertanto,
il mancato riconoscimento dell’euroritenuta
sarebbe contrario sia alla normativa nazionale
che al diritto comunitario.
A giudizio dello scrivente, non si necessita di alcuna
circolare o risoluzione affinché sia riconosciuta la
detrazione delle imposte pagate all’estero nella
procedura di collaborazione volontaria, compreso
il credito per l’euroritenuta. Basterebbe applicare
con coerenza, logica e buon senso le normative
nazionali, comunitarie e gli accordi tra gli Stati che
sono dirette e finalizzate ad eliminare la doppia
imposizione, senza, come detto, richiedere ulteriori adempimenti amministrativi al contribuente.
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