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Resta incerto il recupero delle imposte pagate all`estero

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Resta incerto il recupero delle imposte pagate all`estero
Voluntary disclosure. Gli aspetti da chiarire
Resta incerto il recupero delle imposte pagate all’estero
Tra i tanti temi non risolti che riguardano la procedura di collaborazione volontaria figura quello del
possibile recupero delle imposte pagate all’estero sui redditi oggetto di sanatoria. Su questo punto la
circolare 10/E del 13 marzo non ha preso posizione, per cui sono attesi chiarimenti ulteriori. Vediamo come
possono essere riassunti i principali punti critici.
Il problema che tutti i contribuenti hanno è quello relativo ai rendimenti delle attività finanziarie detenute
all’estero. La domanda di disclosure dovrà contenere l’indicazione della totalità dei redditi, mentre la
relazione di accompagnamento potrà dettagliare la loro provenienza e la tipologia di tassazione. Ci saranno
infatti alcuni proventi che scontano le imposte sostitutive (ad esempio le cedole dei titoli di stato), altri
assoggettati alle aliquote delle ritenute di imposta (interessi di conto corrente), altri ancora che concorrono
(in tutto o in parte) al reddito imponibile del periodo (ad esempio i dividendi qualificati). In ogni caso, è
possibile che questi proventi abbiano già subito una tassazione nel paese estero di detenzione.
Le imposte assolte all’estero possono essere documentate e ricostruite nella relazione che accompagna
l’istanza di disclosure, per cui l’amministrazione finanziaria ne è a conoscenza. Ci si chiede se, nel calcolo
degli importi dovuti per il perfezionamento della collaborazione volontaria, l’Agenzia terrà conto di questi
importi. La sensazione è che su questo aspetto la risposta sarà negativa: bisogna ricordare che la disclosure
rappresenta giuridicamente una auto denuncia di informazioni utili al fisco per la formulazione di un atto di
accertamento. In questo senso, le ritenute e le imposte assolte all’estero continuano a non risultare
esposte in una dichiarazione del contribuente, circostanza che le rende irrecuperabili. A supporto di questa
interpretazione, la circolare 9/E del 2015 ha evidenziato che:
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per beneficiare del credito d’imposta previsto dall’articolo 165 TUIR è necessario che i redditi
prodotti all’estero concorrano alla formazione del reddito complessivo del residente (paragrafo
2.2). L’istituto non è quindi applicabile in presenza di redditi assoggettati a ritenuta a titolo di
imposta, a imposta sostitutiva o a imposizione sostitutiva operata dallo stesso contribuente in sede
di presentazione della dichiarazione dei redditi ) articolo 18 TUIR;
il riconoscimento del credito d’imposta estero in ipotesi di una dichiarazione integrativa a sfavore
appare coerente anche alla luce dei recenti interventi normativi volti ad agevolare l’adempimento
spontaneo (paragrafo 3.4). Sembra così emergere la possibilità di integrare il ravvedimento operoso
con la successiva voluntary per ottenere il riconoscimento della ritenuta estera (sul punto sarebbe
auspicabile un chiarimento dell’Agenzia).
Si potrebbe arrivare ad una conclusione diversa per quanto riguarda in modo specifico l’euroritenuta subita
all’estero (in alcuni paesi). Poiché in questo caso si tratta di imposte già pagate allo Stato italiano, e visto
che sono state ad esso riversate, si potrebbe arrivare alla conclusione che il relativo importo possa essere
scomputato da quanto dovuto per la disclosure. Sarebbe utile, oltre che corretto, conoscere fin da subito
come si comporterà l’amministrazione sul punto: sapere in anticipo che l’euroritenuta è recuperabile
consentirebbe di recuperare in tempo utile la documentazione che andrà poi allegata alla relazione di
accompagnamento. Ricordiamo tuttavia che la Dre Lombardia in risposta a un quesito dell’Ordine dei
commercialisti di Monza non ha fatto differenza e ha trattato l’euroritenuta come le altre imposte
prelevate all’estero, subordinandone il riconoscimento alla presentazione della dichiarazione.
Un’altra situazione che potrebbe emergere riguarda i soggetti che negli anni rilevanti hanno lavorato
all’estero come dipendenti. In alcune situazioni, sbagliando nell’applicazione delle regole delle convenzioni
internazionali, contribuenti fiscalmente residenti in Italia non hanno presentato la dichiarazione, ritenendo
che la tassazione nel paese in cui veniva svolta l’attività fosse esaustiva. In questi casi la disclosure rischia di
essere particolarmente costosa: se si dovesse concludere che le ritenute subite all’estero non sono
recuperabili, si arriverebbe nei fatti ad una doppia imposizione, dato che siamo in presenza di redditi e di
aliquote estere significative. Per evitare questo aspetto, per ora, esiste solo una possibilità: ricorrere al
ravvedimento operoso lungo invece che alla disclosure. Il ravvedimento, infatti, è considerato
ripresentazione della dichiarazione, per cui dà il diritto di esporre le imposte estere già pagate e quindi ne
garantisce il recupero. Ovviamente il ravvedimento ha caratteristiche diverse dalla disclosure, e questo può
rappresentare un vantaggio, dato che non è obbligatorio considerare tutti i periodi ancora accertabile. Ma
presenta anche aspetti più critici: ad esempio la copertura ai fini penali che dovrà essere considerata alla
luce del nuovo decreto legislativo sulle sanzioni e soprattutto il fatto che non disapplica il raddoppio dei
termini di accertamento per le attività detenute in paesi black list.
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