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Rapporto ISTISAN 2012 - Annegamento e pericoli

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Rapporto ISTISAN 2012 - Annegamento e pericoli
ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ
Annegamento e pericoli della balneazione
A cura di
Enzo Funari (a), Marco Giustini (a) e Dario Giorgio Pezzini (b)
(a) Dipartimento di Ambiente e Connessa Prevenzione Primaria,
Istituto Superiore di Sanità, Roma
(b) Società Nazionale di Salvamento, Genova
ISSN 1123-3117
Rapporti ISTISAN
12/23
Istituto Superiore di Sanità
Annegamento e pericoli della balneazione.
A cura di Enzo Funari, Marco Giustini e Dario Giorgio Pezzini
2012, 81 p. Rapporti ISTISAN 12/23
Gli incidenti di annegamento colpiscono in Italia circa 400 persone l’anno. I dati evidenziano una forte
diminuzione della mortalità a partire dagli anni ’70 che tuttavia sembra aver raggiunto una soglia negli ultimi 10 anni.
Sembra pertanto che gli strumenti che hanno permesso di ottenere importanti risultati nella prevenzione degli
annegamenti (maggiore consapevolezza dei rischi, capacità di nuotare, cambiamenti di abitudini, educazione nelle
scuole, ruolo degli organi di stampa, sorveglianza nelle spiagge, ecc.) non siano più in grado di produrre ulteriori
miglioramenti. Poiché questi eventi si concentrano principalmente nei tre mesi estivi, l’effettivo impatto del
fenomeno rapportato al periodo “efficace” è molto più alto di quanto non ne riveli il numero complessivo degli
annegati. È dunque necessario trovare strumenti nuovi e fare in modo di rendere ancora più efficaci quelli già noti.
Molti incidenti accadono in acque con determinate caratteristiche e in condizioni tali da rappresentare un rischio
elevato per i bagnanti. I dati scientifici e le informazioni di questo documento possono aiutare i policy maker
nell’attuazione di azioni di prevenzione di comprovata efficacia.
Parole chiave: Annegamento; Prevenzione; Epidemiologia
Istituto Superiore di Sanità
Drownings and risks of bathing.
Edited by Enzo Funari, Marco Giustini and Dario Giorgio Pezzini
2012, 81 p. Rapporti ISTISAN 12/23 (in Italian)
Drowning strike about 400 people per year in Italy. Data show a strong decrease in mortality since the early 70s,
however, it seems to have reached a threshold in the last 10 years. It therefore appears that what has yielded
important results in drowning prevention (greater awareness of risks, ability to swim, change of habits, education in
schools, role of the media, lifeguard service, etc.) is no longer able to produce further improvements. Because these
events are mainly concentrated in the three summer months, the actual impact of the phenomenon is much higher
than what revealed by the total number of drowning. It is therefore necessary to find new tools and make even more
effective those already known. Many accidents occur in waters with specific characteristics and conditions with high
risk to bathers. Scientific data and information in this document can help the policy makers to make all the effective
actions to contain the phenomenon.
Key words: Drowning; Prevention; Epidemiology
Si ringrazia la dottoressa Silvia Bruzzone dell’ISTAT per la preziosa collaborazione nell’elaborazione del capitolo
sui dati di mortalità.
Per informazioni su questo documento scrivere a: [email protected].
Il rapporto è accessibile online dal sito di questo Istituto: www.iss.it.
Citare questo documento come segue:
Funari E, Giustini M, Pezzini DG (Ed.). Annegamento e pericoli della balneazione. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2012.
(Rapporti ISTISAN 12/23).
Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità e Direttore responsabile: Enrico Garaci
Registro della Stampa - Tribunale di Roma n. 131/88 del 1° marzo 1988
Redazione: Paola De Castro, Sara Modigliani e Sandra Salinetti
La responsabilità dei dati scientifici e tecnici è dei singoli autori.
© Istituto Superiore di Sanità 2012
viale Regina Elena, 299 – 00161 Roma
Rapporti ISTISAN 12/23
INDICE
Introduzione........................................................................................................................................
1
Tipologie di annegamento............................................................................................................
4
Annegamento di non nuotatori............................................................................................................ 4
Annegamento improvviso ................................................................................................................... 7
Ritorno impedito: annegamento di nuotatori ...................................................................................... 7
Stadi dell’annegamento nel ritorno impedito ................................................................................ 9
Pericoli per la balneazione: una tipologia delle spiagge ....................................................................... 12
Frangenti: correnti di ritorno e risacca di fondo.................................................................................. 14
Correnti di deriva e correnti di ritorno ................................................................................................ 16
Buche e spiagge di buche.................................................................................................................... 18
Correnti di ritorno sulle spiagge ripide ............................................................................................... 19
Pericolo dei salti o dei dislivelli improvvisi ........................................................................................ 21
Frangenti di battigia: onde giganti e risacca ....................................................................................... 22
Vento di terra e uso dei galleggianti ................................................................................................... 25
Pericoli delle spiagge artificializzate .................................................................................................. 26
Pennelli.......................................................................................................................................... 26
Barriere parallele ........................................................................................................................... 27
Vasche (strutture multiple) ............................................................................................................ 28
Segnaletica sulle spiagge............................................................................................................. 30
Struttura organizzativa delle Capitanerie di Porto
e regolamentazione della balneazione.................................................................................... 33
Annegamento: fisiopatologia e primo intervento .............................................................. 36
Fisiopatologia ..................................................................................................................................... 36
Linee guida dell’International Liaison Committee on Resuscitation (ILCOR) .................................. 37
Utilizzo dei dati di soccorso dei bagnini per la costruzione
di un indice di pericolosità delle spiagge .............................................................................. 38
La cooperativa di Ravenna.................................................................................................................. 38
La cooperativa Mare Sicuro (Carrara) ................................................................................................ 39
La cooperativa Mareva (S. Severo, FG) ............................................................................................. 40
Dati di mortalità 2008 ...................................................................................................................... 42
Analisi di mortalità geografica a livello comunale ............................................................................. 47
Annegamenti riportati negli organi di stampa ..................................................................... 53
Annegamenti complessivi riportati nel 2011 ...................................................................................... 53
Conclusioni e raccomandazioni ................................................................................................ 60
Raccomandazioni sul comportamento soggettivo ...............................................................................
Raccomandazioni per la promozione di strategie di prevenzione a livello locale...............................
Raccomandazioni per gli interventi di primo soccorso .......................................................................
Raccomandazioni per un corretto utilizzo delle piscine private..........................................................
60
61
62
63
Appendice A - Descrizione di onda e di spiaggia .............................................................................. 64
Appendice B - Attività di soccorso di alcune cooperative in Emilia Romagna, Toscana e Puglia .... 67
Bibliografia essenziale ................................................................................................................... 81
1
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Rapporti ISTISAN 12/23
INTRODUZIONE
Il presente Rapporto fornisce un contributo per ridurre il numero di incidenti nelle acque di
balneazione, in termini soprattutto di prevenzione primaria. Il Rapporto è rivolto a tutti coloro
che a vario titolo si occupano delle attività ricreative in acque di balneazione e della sicurezza
delle spiagge, dunque da un lato agli operatori turistici, ai gestori di stabilimenti, alberghi,
campeggi, ristoranti, ecc., dall’altro lato ai medici e al personale impegnato in attività di
prevenzione e di primo intervento. Si auspica che il Rapporto venga preso in considerazione
dalle autorità sanitarie, amministrative e politiche a livello nazionale e territoriale perché
vengano avviate le azioni necessarie per il contenimento di questi incidenti.
Il problema della necessità di prevenire, comunque contenere, gli effetti degli incidenti in
acque di balneazione viene affrontato in modo molto eterogeneo nelle diverse aree del territorio
nazionale. In alcune spiagge, spesso a seguito del ripetersi di questi incidenti, sono state
promosse misure di prevenzione e di assistenza ai bagnanti che hanno consentito di ottenere
risultati importantissimi nel giro di pochi anni. Praticamente sono stati azzerati gli annegamenti.
Ma queste spiagge sono pochissime. In gran parte delle aree del territorio nazionale e soprattutto
nelle spiagge libere ai bagnanti non viene nei fatti riconosciuto il diritto ad essere informati dei
pericoli che possono essere presenti e non viene fornito alcun servizio di sorveglianza. Si tratta
in queste ultime situazioni di un ritardo soprattutto culturale dovuto al persistere di una
mentalità secondo la quale gli annegamenti sono inevitabili fatalità, un prezzo da pagare a fronte
del grande numero di persone che in estate si godono il refrigerio delle fresche acque.
Che invece sia possibile prevenire questi incidenti è dimostrato dai dati disponibili. Quelli
relativi alla mortalità per annegamento in Italia permettono di osservare un trend in forte
diminuzione a partire dagli inizi degli anni ’70, sia in valori assoluti, sia in termini di tassi.
Questo dimostra che almeno in alcune aree del territorio nazionale una serie di misure
preventive ha agito in modo efficace. Alcuni strumenti in qualche modo hanno permesso di
ottenere importanti risultati nella prevenzione degli annegamenti (maggiore consapevolezza dei
rischi, capacità di nuotare, cambiamenti di abitudini, educazione nelle scuole, ruolo degli organi
di stampa, sorveglianza nelle spiagge, ecc.). Tuttavia negli ultimi 10 anni la situazione sembra
essersi stabilizzata, con circa 400 annegamenti per anno. Si tratta di una cifra non certo
trascurabile anche considerando che si riferisce ad un periodo limitato di 4 mesi e che gran parte
degli incidenti si verifica tra luglio e agosto. Quindi è necessario trovare strumenti nuovi e fare
in modo da rendere ancora più efficaci quelli già noti.
Molti incidenti si verificano in acque di balneazione con determinate caratteristiche e in
condizioni tali da rappresentare un rischio elevato per i bagnanti. È pertanto necessario che i
cittadini siano messi a conoscenza dei pericoli presenti nelle diverse acque di balneazione e che
siano predisposte adeguate misure di prevenzione e di primo intervento.
Di sicuro un ruolo fondamentale nella prevenzione degli annegamenti è svolto dai servizi di
sorveglianza. È sufficiente considerare il numero enorme di salvataggi che vengono effettuati
ogni anno. Non esistono dati ufficiali al riguardo in Italia ma è possibile farsi un’idea. In questo
Rapporto vengono riportati i dati riguardanti tre tratti del litorale italiano, nei quali cooperative
di bagnini hanno garantito un efficacissimo servizio di sorveglianza. In questi tratti nell’estate
del 2011 sono state soccorse, cioè salvate, 180 persone, molte delle quali senza il soccorso
sarebbero andate incontro ad una morte certa. Questi tratti hanno un’estensione di alcune decine
di km, mentre soltanto il litorale marino nazionale ha una lunghezza di oltre 7.000 km. Quindi il
ruolo dei bagnini è indubbiamente enorme. Dove sono presenti i bagnini, soprattutto in forma
organizzata, è difficile che si verifichino incidenti tali da comportare annegamenti. Per lo più le
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Rapporti ISTISAN 12/23
persone vengono soccorse e salvate. Ancora di più la presenza di un bagnino induce ad un
comportamento corretto e rappresenta un ulteriore valore aggiunto per i fruitori della spiaggia.
Nelle spiagge dove non è garantita la presenza dei bagnini e soprattutto nelle spiagge libere,
sprovviste in generale di qualsiasi forma di sorveglianza e assistenza, i bagnanti dovrebbero
essere informati dei pericoli presenti. Ad esempio, dovrebbero essere messi a conoscenza della
presenza di insidiose buche in condizione di mare calmo, delle correnti che possono trasportare
in mare aperto con mare mosso o poco mosso e via dicendo.
È doveroso fornire queste informazioni ai fruitori delle spiagge. Ovviamente i bagnanti non
devono essere scoraggiati nel frequentare le acque di balneazione perché i benefici che si
traggono dalle attività ricreative sono importantissimi, in termini di salute psicofisica. È giusto
pertanto fornire queste informazioni in modo equilibrato, in termini non allarmistici che
scoraggiano la pratica di queste attività. Si tratta dunque di promuovere una nuova gestione
delle spiagge, anche affidandosi alla competenza di esperti di sorveglianza e di comunicazione.
Ad esempio, in acque con buche queste ultime possono essere individuate e segnalate. In acque
di balneazione interessate da correnti di deriva è giusto fornire informazioni circa i pericoli ai
quali può andare incontro un nuotatore nel caso decida di fare comunque il bagno. Il nuotatore
che ha fatto tale scelta dovrebbe anche essere informato sui comportamenti migliori da adottare
nel caso si ritrovi nel mezzo di una di queste correnti. E via dicendo.
Il presente Rapporto, rispetto a quello dell’anno precedente (Rapporti ISTISAN 11/13), è più
orientato sugli aspetti connessi ai pericoli della balneazione in relazione alle differenti tipologie
di spiagge presenti sul territorio nazionale.
Questo Rapporto è centrato su aspetti squisitamente preventivi, lasciando il dato statistico in
un certo senso in secondo piano. In ragione di ciò, il contributo degli esperti della Società
Nazionale di Salvamento (SNS) che operano su tutto il territorio italiano è stato particolarmente
prezioso, grazie all’esperienza sul campo che hanno accumulato in molti anni di attività. L’SNS
è una ONLUS dal 1997 iscritta nell’elenco delle Organizzazioni Nazionali di Volontariato del
Dipartimento della Protezione Civile. Il contributo e le ricerche dell’SNS sono coordinati dal
Presidente dott. Giuseppe Marino.
Il primo capitolo è curato da Dario Giorgio Pezzini, Direttore dell’SNS. Il capitolo si occupa
di descrivere gli incidenti di annegamento e ambienti e condizioni nei quali più probabilmente si
verificano.
I capitoli dedicati alla segnalazione dei pericoli della balneazione e al ruolo del Corpo delle
Capitanerie di Porto nella prevenzione, curati dall’ammiraglio Romano Grandi, hanno la
finalità, di elaborare, come accade in molti Paesi europei, un sistema di segnalazione dei
pericoli per la balneazione (segnalandoli con apposita cartellonistica) e di organizzare i servizi
di sorveglianza e di salvataggio. Nell’opera di prevenzione degli infortuni in acqua un ruolo
estremamente importante è rappresentato dal Corpo delle Capitanerie di Porto che svolge
compiti e funzioni di vigilanza e soccorso, connessi con l’utilizzo del mare. Il Rapporto ne offre
un succinto spaccato nel capitolo dedicato alla struttura organizzativa delle Capitanerie di Porto
e la regolamentazione della balneazione.
Il contributo del dott. Riccardo Ristori, Direttore Sanitario dell’SNS, affronta in termini
sintetici la fisiopatologia dell’annegamento e le regole per un primo soccorso efficace, secondo
le più recenti linee guida internazionali. Mira inoltre a definire i contorni di un fenomeno che è
spesso oggetto di fraintendimenti e di grossolani pregiudizi.
La ricerca sui dati dei salvataggi curata dal dott. Angelo Simonini ha invece lo scopo di
mettere in giusta evidenza il ruolo insostituibile dei bagnini nell’opera di prevenzione e di
salvataggio. Sottolinea però la correttezza nei confronti dei cittadini e la lungimiranza di
amministrazioni locali e operatori turistici che sostengono le spese di questi servizi nei tratti di
costa di loro pertinenza, senza distinguere tra spiagge libere e private.
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Rapporti ISTISAN 12/23
Questo Rapporto si conclude con due capitoli per molti aspetti più convenzionali rispetto al
precedente rapporto. Il primo, curato da Marco Giustini e Stefania Trinca, espone il quadro
epidemiologico degli annegamenti. Si tratta, anche alla luce della stabilità sostanziale del
fenomeno, come estensione e integrazione di quanto rappresentato nell’analogo capitolo del
rapporto dell’anno precedente, di cui non è però un mero aggiornamento ma un ulteriore passo
verso una più approfondita conoscenza del fenomeno. Il capitolo mette in evidenza come siano
presenti nel territorio nazionale spiagge nelle quali gli incidenti di annegamento si ripresentano
negli anni con triste puntualità. Il capitolo conclusivo, curato da Funari, Mazzola e Paolangeli,
esamina le cause degli annegamenti individuandole negli articoli degli organi di stampa.
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Rapporti ISTISAN 12/23
TIPOLOGIE DI ANNEGAMENTO
Dario Giorgio Pezzini
Società Nazionale di Salvamento, Genova
Le cause di un annegamento possono essere le più varie. In pratica, tuttavia, possono essere
raccolte in gruppi che identificano tre tipi di annegamento:
1. annegamento di non nuotatori
perché la vittima non sa nuotare e si trova improvvisamente in acqua profonda;
2. annegamento improvviso
per la perdita di coscienza, dovuta ad un malore o in seguito ad un incidente acquatico,
che provoca la sommersione e il conseguente annegamento della vittima;
3. annegamento di nuotatori
la vittima, pur sapendo nuotare e in buona salute, non riesce a tornare a riva perché è
trascinata via da una corrente o perché un altro ostacolo le impedisce di tornare sulla riva.
Distingueremo, infine, tra “annegamento” (con cui si indica la morte, per soffocamento o
asfissia, di una persona sommersa) e “semi annegamento” (o “quasi annegamento”): un
principio di annegamento dal quale si è stati comunque tratti in salvo.
Annegamento di non nuotatori
L’annegamento di persone che non sanno nuotare rende conto di circa la metà del totale
degli annegamenti con un dato che accomuna i paesi occidentali (Europa occidentale, America
del nord, Australia). In zone meno sviluppate (Africa, Asia, la stessa Europa orientale) questa
percentuale cresce a detrimento degli altri tipi di annegamento.
Il primo gradino della sicurezza in acqua è saper nuotare. Il numero degli annegamenti in
Italia si è sensibilmente ridotto dai primi anni ‘70 a oggi soprattutto per l’effetto congiunto della
costruzione delle piscine pubbliche da parte dei Comuni e una maggiore disponibilità
economica delle famiglie perché il nuoto è diventato parte integrante dell’educazione di un
bambino. Molti ragazzi hanno avuto l’opportunità di imparare a nuotare in modo tecnicamente
corretto e, taluni, in modo eccellente. Con “saper nuotare”, tuttavia, quando si parla di
annegamento, si indica semplicemente la capacità di stare a galla, cioè di essere in grado di stare
in equilibrio tenendo le vie aeree al di sopra della superficie dell’acqua. È una capacità natatoria
minima, ma salva la vita. Conseguentemente indicheremo come non nuotatore la persona al di
sotto di questa soglia minima di abilità acquatica.
In questo tipo di incidente chi annega è una vittima che non sa nuotare e crede di fare il
bagno o di tuffarsi in una zona sicura: salta da una imbarcazione valutando male la profondità
dell’acqua; fa il bagno vicino alla riva ignorando la presenza di un buca o di un dislivello
improvviso nel fondale, ecc. Nella grande maggioranza dei casi si trova a brevissima distanza –
talvolta a meno di un metro – dalla linea di sicurezza, ovvero da quel punto raggiunto il quale
una persona cessa di annegare (si osservi che questa non sempre coincide, in mare, con la riva o,
in piscina, col bordo vasca), L’annegamento di un non nuotatore, inoltre, è caratteristico
dell’acqua ferma: sulla spiaggia è normalmente un incidente di mare calmo oppure di laghi,
fiumi, canali o piscine. Una persona che annega a mare calmo – in assenza di un malore o di un
incidente acquatico – è, per esclusione di altre cause, un non nuotatore che si trova
improvvisamente in acqua fonda.
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Rapporti ISTISAN 12/23
Si tratta di vittime prudenti che, solo per errore, si trovano in una situazione per loro fatale. A
mare mosso, il pericolo più evidente e la loro giustificata prudenza, gli suggeriscono di stare
sicuramente sulla riva o vicinissimo alla battigia, riducendo drasticamente la probabilità di
commettere errori.
La zona in cui questo tipo di incidente si verifica normalmente è la zona del bagno, vicino
alla riva (solo eccezionalmente se, per esempio, la vittima cade o scende da un imbarcazione o
l’imbarcazione si rovescia, può trovarsi in un punto lontano dalla battigia). Nella fascia di mare
adibita alla balneazione esistono due zone distinte. La prima zona è frequentata da “bagnanti
che fanno il bagno”. Il bagno indica una continuazione della vita terrestre in acqua: il bagnante
sta in verticale nell’acqua, coi piedi che toccano; inoltre, fare il bagno è un’attività sociale: “il
bagnante è insieme ad altri bagnanti” (genitori e figli, nonni e nipoti, coppie, amici, ecc). La
zona del bagno si estende fin dove i bagnanti toccano (per convenzione, in mare, la profondità
indicativa per un adulto è di 1,60 m, mentre per un bambino è di 0,90 m) e ospita la stragrande
maggioranza delle persone che entrano in acqua (normalmente più del 90%). L’estensione di
questa zona dipende, come vedremo, dalla pendenza del fondale: su spiagge piatte può
estendersi anche per qualche centinaio di metri, laddove su una spiaggia ripida è di qualche
metro soltanto (Figura 1).
Una seconda zona è la zona dei nuotatori dove l’acqua è profonda (superiore a 1,60 m) ed è
frequentata solo da persone che nuotano con sicurezza. Sono frequenti i casi di nuotatori isolati.
Questa zona si estende normalmente fino alle “boe” (i gavitelli rossi che segnalano in tutta Italia
la zona riservata alla balneazione, normalmente dai 100 ai 300 m dalla battigia).
Figura 1. Due zone del bagno di diversa profondità ed estensione.
Si noti la posizione delle due persone indicate che rivelano un fondale ben diverso
Che la vittima di questo incidente appartenga con maggiore probabilità alla classe di età dei
bambini non deve trarre in inganno: la vittima è un non nuotatore. Inoltre, in questo tipo di
annegamento, il contributo dato dagli immigrati (di prima e seconda generazione),
indipendentemente dall’età, può essere stimato in circa un terzo, ed è un dato probabilmente
crescente. Ciò che accomuna queste vittime è la stessa proprietà: non sanno nuotare.
È importante sottolineare questo punto perché un non nuotatore, in acqua (di qualsiasi età,
razza, lingua o religione), è facilmente riconoscibile da un occhio esperto, in grado di
sorvegliarlo. L’SNS dedica molto tempo nella formazione dei bagnini perché imparino a
riconoscere, a colpo sicuro, questa specialissima categoria di bagnanti.
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Rapporti ISTISAN 12/23
La difficoltà nel riconoscere una vittima che annega è, infatti, uno dei motivi che rende conto
del grande numero di annegamenti di questo tipo. Sono incidenti ad altissima letalità: se non è
soccorso, la probabilità di annegare di un non nuotatore che si trova improvvisamente in acqua
alta è il 100%. Per quale ragione è così difficile il riconoscimento di qualcuno che annega
perché non sa nuotare?
In primo luogo, la vittima non può gridare aiuto. Ad una persona che non riesce a stare a
galla le vie aeree servono per respirare. La funzione primaria delle vie aeree non è la fonazione
(emettere voce), ma la respirazione. Si dice in questo caso, infatti, che l’annegamento è
silenzioso.
La vittima, in secondo luogo, non è nemmeno in grado di agitare un braccio o una mano per
segnalare la sua situazione perché non ha il controllo cosciente del movimento delle braccia e,
inoltre, sollevare dall’acqua un braccio o anche solo una mano è un gesto che non è in grado di
fare. Da parte della vittima, quindi, non c’è alcuna esplicita richiesta d’aiuto!
L’assetto di annegamento è verticale perché la vittima manca delle cognizioni minime
dell’equilibrio in acqua. Spesso ha raggiunto l’acqua profonda “nuotando” per qualche metro:
quando cerca di rimettere i piedi in terra, e si accorge di non toccare, non riesce più a recuperare
la posizione orizzontale (che gli permetterebbe di tornare indietro). Il recupero della posizione
orizzontale da verticale (o viceversa) non è una capacità innata, ma un gesto appreso (che deve
essere insegnato fin dalle primissime lezioni di nuoto da un istruttore, attento all’educazione
della sicurezza in acqua).
Le gambe sono immediatamente irrigidite, bloccate dal panico. Il panico, una forma estrema
di paura provocata dall’improvvisa consapevolezza di dover morire, non è solo un fatto
emotivo, mentale, ma anche fisiologico: la paura provoca rigidità muscolare. In casi estremi la
rigidità può essere tetanica.
La vittima risponde ad una situazione di imminente pericolo di vita con un comportamento
riflesso, indipendente dalla sua volontà, i cui tratti osservabili sono invariabilmente i seguenti:
− la testa è all’indietro
− la bocca è aperta
− le braccia si muovono ritmicamente – spesso con notevole violenza – verso il basso e
verso l’alto “scalando l’acqua” in un gesto che contribuisce a farla affondare
− la testa torna improvvisamente a galla, quando le braccia scalano verso il basso, e
improvvisamente, risucchiata dal movimento delle braccia verso l’alto, torna giù con un
comportamento caratteristico che in inglese si chiama bobbing.
Una vittima non è in grado di avanzare in acqua, nemmeno di coprire quella distanza
minima, talvolta meno di un metro, che la separa dalla linea di sicurezza e gli altri bagnanti,
normalmente, non si accorgono del suo stato perché il suo comportamento è molto simile a
quello di uno che scherza o gioca in acqua;
Il tempo di sommersione è un dato molto importante dei tipi di annegamento e indica la
durata della lotta di superficie: si tratta del tempo trascorso dal momento in cui la vittima è in
difficoltà a quello in cui scompare sott’acqua. Nel caso di un non nuotatore il tempo di
sommersione va dai 20 ai 60 secondi circa. Il minuto è l’approssimativo tempo di un adulto,
mentre un bambino impiega circa 20 secondi per scomparire sott’acqua. L’annegamento di un
bambino è tanto rapido quanto silenzioso!
La scomparsa sott’acqua – senza che nessuno se ne sia accorto – significa la quasi certezza
della morte della vittima. Le ordinanze di sicurezza balneare delle Capitanerie di porto
impongono ai bagnini, proprio a questo scopo, una sorveglianza continua e assidua. Una breve
assenza di qualche minuto può significare più “occasioni di annegamento” anche su una
spiaggia poco affollata.
6
Rapporti ISTISAN 12/23
I tempi di sommersione stabiliscono altresì i tempi di intervento da parte dei soccorritori: la
persona che annega perché non sa nuotare deve essere soccorsa, quindi, immediatamente. Una
vittima sommersa è difficile da individuare sott’acqua e, se l’acqua è torbida, come in molti
tratti costieri del nostro mare, è praticamente impossibile da ritrovare in tempo utile. I tempi di
ricerca di una vittima scomparsa non possono eccedere i 10 minuti: una vittima recuperata oltre
questo tempo è quasi sicuramente morta. Inoltre col passare del tempo si riduce
progressivamente la probabilità di poterla riportare in vita, se recuperata (si riduce di 1/10 per
ogni minuto trascorso). I bambini hanno tempi di sopravvivenza più lunghi, e anche l’acqua
molto fredda ha l’effetto di allungare questi tempi.
Annegamento improvviso
La perdita di coscienza (sincope) in acqua è la causa di un secondo tipo di annegamento
chiamato annegamento improvviso. Anche in questo caso, l’incidente si presenta con un insieme
di segni e comportamenti ricorrenti, capaci di identificarne una specie di quadro clinico, “una
sindrome”. Le cause, come vedremo brevemente, possono essere le più varie e con questo tipo
di annegamento si indicano in realtà situazioni clinicamente molto diverse tra loro. Questo tipo
di incidente rende conto di circa il 10% del totale degli annegamenti.
Talvolta la perdita di coscienza è indipendente dall’acqua, ma è provocata dall’insorgenza di
una crisi della malattia di cui la vittima è affetta (cardiopatie, ictus, ecc.). La letteratura
scientifica riporta come vi sia una fortissima correlazione tra epilessia e annegamento. Altre
volte l’annegamento si verifica come morte improvvisa e il decesso è dovuto unicamente ad una
malattia della vittima. Anche in tal caso, se non si può parlare di in senso stretto di
“annegamento” – perché la vittima è morta, per esempio, di infarto – l’acqua potrebbe aver
giocato un ruolo comunque determinante: sarebbe deceduta lo stesso se la crisi fosse insorta in
terra ed essa fosse stata tempestivamente soccorsa? Qualunque sia la risposta, questo decesso
appartiene comunque al novero delle morti in acqua.
Altre volte, invece, la sincope è provocata da un comportamento imprudente della vittima e
si parla, in tal caso, di incidente acquatico.
Gli incidenti acquatici sono provocati da 4 tipi di comportamento (che configurano altrettanti
tipi di incidenti). La vittima perde conoscenza perché imprudentemente:
− si tuffa in acqua bassa e impatta violentemente il fondo con la testa
− accaldato entra bruscamente in acqua, molto più fredda della temperatura ambiente
(sincope d’acqua per sbalzo termico)
− sott’acqua, non recepisce o sopprime i segnali di riemersione (sincope da apnea
prolungata) ;
− resta in acqua fredda per un tempo eccessivo (ipotermia)
Con l’esclusione dell’ultimo, sono casi tipici anche in Italia. L’ipotermia gioca un ruolo
essenziale, invece, nei mari del Nord Europa dove mette lo zampino nel 50% dei casi di
annegamento. I casi di ipotermia in Italia riguardano quasi esclusivamente i laghi.
In questi quattro casi, caratteristici di un ambiente balneare, la vittima è una persona sana che
annega perché ha perso coscienza in seguito ad un incidente acquatico causato da se stesso: in
un incidente acquatico è determinante il comportamento della vittima che ignora (o decide di
ignorare) una regola di prudenza.
Ciò che accomuna le situazioni esaminate in questo paragrafo, indipendentemente dalla
causa che le ha prodotte (per malattia o per un incidente) è comunque la sommersione
immediata di una vittima improvvisamente incosciente.
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Rapporti ISTISAN 12/23
Figura 2. Un anziano che passeggia sotto il sole, i piedi nell’acqua,
deve essere oggetto di una attenta sorveglianza
Anche in questo caso l’annegamento è silenzioso: la vittima non fa in tempo a chiedere aiuto
o a segnalare il suo stato agitando un braccio o una mano. A differenza dell’annegamento di chi
non sa nuotare, però, non lotta in superficie e il tempo di sommersione è ancora più breve: pochi
secondi. Differenziandolo da quello precedente, si dice in questo caso che l’annegamento è
passivo. Per di più, non c’è una zona in cui questo incidente si verifichi con maggiore
frequenza: qualsiasi tratto dello specchio acqueo è idoneo a produrlo perché anche un velo
d’acqua può soffocare una persona svenuta a faccia in giù. Una situazione tipica di questo
incidente è quello di un anziano che si accascia passeggiando sulla battigia in pochi cm. d’acqua
(è un incidente caratteristico delle spiagge piatte, tipiche dell’Adriatico). Con l’eccezione
dell’ultimo, questi aspetti rendono un annegamento improvviso ancora più difficile da
individuare di quello precedente.
Ritorno impedito: annegamento di nuotatori
Una terza situazione è data da quei casi in cui la vittima – che sa nuotare ed è in buona salute
– non riesce a tornare a riva perché è trascinata via da una corrente o un altro ostacolo (il vento
di terra, gli scogli, una struttura artificiale) gli impedisce di tornare a riva. Questi incidenti sono
tipici della zona dei frangenti e, per lo più, si verificano col mare mosso.
Questo tipo di incidente rende conto del 40% circa dei casi di annegamento. Il caso del
ritorno impedito, tuttavia, quando è un nuotatore a trovarsi in difficoltà, è di gran lunga la causa
dei più frequenti salvataggi. Approssimativamente in Italia l’85% circa dei salvataggi viene
effettuato perché un pericolante, pur sapendo nuotare, non riesce a recuperare da sé la linea di
sicurezza. Ciò significa che è di gran lunga la causa prevalente dei semi-annegamenti.
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Rapporti ISTISAN 12/23
Mentre nei primi due casi discussi la probabilità di morte è del 100%, se la vittima non è
soccorsa, in questo tipo di annegamento la probabilità varia da caso a caso (a seconda del
pericolo) e solo in casi eccezionali la probabilità di morte supera il 50%.
Le cause più frequenti di questo tipo di annegamento, come abbiamo fatto cenno, sono le
seguenti:
− a mare mosso la vittima è trascinata via dalla corrente alla quale non sa opporre né una
resistenza efficace né una tattica di fuga;
− la via di ritorno gli è impedita dalla presenza di scogli o da strutture artificiali;
− è stata trascinata in acqua da una onda anomala;
− allontanata da un forte vento di terra, il ritorno a riva rappresenta una distanza eccessiva
per le sue forze (nella maggior parte dei casi la vittima è stata allontanata perché usava un
galleggiante);
− la vittima è colpita da crampi.
Sebbene questo elenco non abbia pretese di esaustività, sono questi i casi più tipici e
frequenti ai quali si possono assimilare quasi tutti gli altri anche se, come faremo notare, sono le
correnti di ritorno che fanno la parte del leone e, nella distribuzione dei casi, spiegano più
dell’80% dei salvataggi (mentre il caso di crampi è ben difficilmente la causa di un
annegamento, anche se può richiedere un salvataggio).
Nel caso di nuotatori che annegano l’incidente ha un decorso caratteristico con una serie di
stadi successivi attraverso i quali persone che sanno nuotare si trasformano gradualmente in
non-nuotatori: la vittima perde progressivamente la sua capacità di stare a galla.
Anche nei casi più critici il tempo di sommersione – il tempo che intercorre dal momento in
cui la vittima è in difficoltà a quello in cui scompare sott’acqua – eccede ampiamente il minuto,
ma normalmente ci vogliono alcuni minuti prima che una vittima sommerga (tra i 2 e i 5 minuti
in media). L’individuazione della vittima è, inoltre, facilitata dal fatto che è finita in una zona
pericolosa dalla quale gli altri bagnanti sono tenuti o si tengono prudentemente lontani. Può
inoltre segnalare a terra il suo stato di difficoltà facendo emergere una mano e, sebbene accada
raramente, può gridare. Tutte queste ragioni spiegano il fatto che, pur essendo causa dei
salvataggi più frequenti, rende conto di una percentuale proporzionalmente molto inferiore dei
casi di morte per annegamento: sono incidenti che presentano una letalità assai più bassa.
Stadi dell’annegamento nel ritorno impedito
Nel caso dell’annegamento di un nuotatore gli stadi attraverso i quali una vittima giunge ad
annegare presentano una successione tipica:
1. Stato di ignoranza del pericolo
2. Disorientamento
3. Stato di difficoltà
4. Panico-annegamento
5. Sommersione
Stadio di ignoranza del pericolo
In questa prima fase la vittima può ignorare di trovarsi in una situazione di pericolo. Nuota,
per esempio, con la corrente a favore o è sospinta da un vento di terra favorevole alla nuotata;
rivolta verso l’orizzonte ha scarse possibilità di accorgersi di essersi allontanata troppo o non sa
che il ritorno gli è impedito da un festone di scogli che non ha preso, per inesperienza, in
considerazione. Altre volte questo stadio coincide con l’inizio del bagno: entra in acqua col
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mare mosso o si getta nel mare in tempesta ignorandone i pericoli o sottovalutandoli. Questo
caso, a differenza degli altri, può essere prevenuto con maggior successo.
Sebbene queste situazioni possano essere pericolose per chiunque, non è detto che siano
egualmente pericolose per tutti. Talvolta si tratta di una persona che sa cavarsela o che, sebbene
imprudente, se la caverà. Come detto, ha un’incidenza di letalità più bassa.
Disorientamento
In questo secondo stadio la vittima non capisce bene che cosa succeda. Decide di tornare a
riva ma, controcorrente o controvento, per esempio, avverte una riduzione di efficacia della
propria nuotata che, spesso, addebita a se stesso.
Indicatore di questo stadio è il comportamento stesso della vittima che rivela un errore nel
tentativo di tornare a terra affrontandolo in modo maldestro (per esempio, controcorrente). In
genere la vittima si comporta anche in questa fase come se il pericolo non esistesse, anche se
avverte la difficoltà della situazione o quei segnali che ancora non sa interpretare correttamente.
Comincia a diventare ansioso, una forma di paura lieve causata dalla situazione di incertezza:
non sa che cosa le succede. Il fatto che accada in acqua, tuttavia, spesso a qualche decina di
metri dalla linea di sicurezza, farà precipitare la situazione in brevissimo tempo (30-40 metri
dalla battigia, in mare, sono una bella distanza: si stima che circa il 90% degli incidenti e dei
salvataggi si verifica entro i 30 m dalla linea di sicurezza).
Stato di difficoltà
La vittima capisce, in questa nuova fase, di trovarsi in una situazione di pericolo che non sa
fronteggiare (perché la riva, pur nuotando, non si avvicina) e, con la paura, inizia lo stato di
difficoltà: si rende conto, per esempio, di essere trascinato via da una corrente più forte di lui o
che, per il forte vento contrario, non può raggiungere la riva. Segnala, allora, a terra il suo stato
di pericolo chiedendo aiuto esplicitamente o, più frequentemente, lo manifesta con un
comportamento implicito che, caratteristico di questa fase, rivela il suo stato emotivo:
− comincia a gridare aiuto (talvolta in modo impercettibile dalla battigia o solo aprendo la
bocca nel tentativo di farlo)
− segnala alzando un braccio o una mano;
− comincia a nuotare freneticamente e convulsamente nel tentativo di raggiungere la
salvezza;
− si lascia andare rinunciando alla lotta per qualche secondo, poi tenta di nuovo…
La rigidità muscolare, provocata dalla paura, produce i primi effetti alterando l’esecuzione di
movimenti corretti ed efficaci. La nuotata comincia a diventare frenetica e scadente anche in
buoni nuotatori.
Panico: inizio dell’annegamento
La vittima, sfinita, rallenta l’andatura o cessa di nuotare rinunciando definitivamente alla
lotta; se intrappolato dalla corrente che lo allontana da riva, percepisce improvvisamente la
realtà drammatica in cui si trova. Questo forte stato emotivo che si impadronisce totalmente di
lui gli impedisce di respirare con un ritmo regolare; comincia ad avere un peso specifico sempre
meno favorevole al galleggiamento. La capacità di galleggiare che padroneggiava con sicurezza
si deteriora e la vittima abbandona progressivamente la posizione di assetto orizzontale, tirato
giù dai pesanti arti inferiori, bloccati dalla paura (che si è sostituita adesso, in tempi brevissimi,
all’ansia per la chiara percezione del pericolo). Talvolta rinuncia a lottare o decide di morire pur
di abbandonare una situazione di angoscia insopportabile o perde i sensi per non vivere la
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propria morte: la situazione di panico, la forma ultima della paura, sopraggiunge, infatti, col
pensiero di morire.
È soltanto una situazione psicologica estrema che può spiegare il comportamento irrazionale
di persone che sanno nuotare (talvolta, ottimi nuotatori!) e che annegano o rischiano di annegare
solo perché cedono psicologicamente.
La rigidità che attanaglia le gambe si estende ai muscoli addominali e, poi, a quelli
respiratori. La vittima ha fame d’aria e comincia ad introitare anche qualche sorsata d’acqua nel
tentativo di tenersi a galla e di respirare. Contrariamente a quello che si può pensare, non è
necessariamente una vittima sommersa quella che annega: l’annegamento, come processo
fisiologico che si concluderà con la morte della vittima, inizia proprio in questa fase. È in questa
fase, infatti, che la vittima non riesce più a tenere le vie respiratorie fuori dell’acqua (anche se la
testa è fuori, ma a stretto contatto con l’acqua); la schiuma e l’agitazione del mare interpongono
un sottile strato impermeabile a contatto con le labbra o le narici, sufficiente per impedire il
passaggio dell’aria. Si altera definitivamente il suo peso specifico che, con i polmoni sempre più
vuoti, diventa negativo. L’intensa rigidità muscolare provocata dal panico impedisce
l’esecuzione di movimenti natatori. I movimenti, diventano sempre più rigidi, impacciati,
faticosissimi. Infine, il panico inibisce al cervello razionale di funzionare, disattivando quei
centri corticali che sono la sede del ragionamento e fa scattare alcuni meccanismi di difesa
istintivi; il riflesso di raddrizzamento per esempio, con cui la vittima spinge le braccia in avanti
e la testa indietro: un meccanismo efficace sulla terra per proteggere la testa da un pericolo
improvviso (adattato probabilmente al tentativo di tenere la bocca fuori dell’acqua), ma che, in
acqua, la predispone in posizione verticale che, per un corpo di peso negativo, è l’assetto
migliore per colare a picco. Il nuotatore ha disimparato a nuotare: la trasformazione di un
nuotatore in un non nuotatore che annega si è, così, completata.
Sommersione
La durata della fase di panico è molto breve: qualche decina di secondi prima che la vittima
coli a picco.
La vittima ormai sommersa non riesce a trattenere più di tanto, una volta sott’acqua, il
proprio respiro e dopo un breve periodo, con uno spasmo involontario, comincia ad ingurgitare
acqua. A causa dell’ipossia, cioè della ridotta quantità di ossigeno che affluisce al cervello, essa
perde conoscenza. I muscoli attorno al collo, nella parte alta della trachea, si contraggono
violentemente al passaggio dell’acqua in un laringospasmo (uno spasmo della laringe), che
impedisce momentaneamente il passaggio dell’acqua nelle vie aeree e nei polmoni. Si dice, in
questo caso – quando la vittima è recuperata morta ma in questo stato – che l’annegamento è a
polmoni asciutti (dry drowning) perché lo spasmo della laringe impedisce che essi siano
inondati dall’acqua. Il rilasciamento successivo dei muscoli, poi, nella maggior parte dei casi,
permette il passaggio del liquido che inonda i polmoni e si dice allora che l’annegamento è a
polmoni bagnati (wet drowning). Sebbene la questione sia controversa anche a livello medico,
sembra che una percentuale compresa tra il 10 e il 15% degli annegati vengano recuperati a
polmoni asciutti (e muoiano quindi per soffocamento).
La successione di queste fasi (ignoranza del pericolo, disorientamento, difficoltà, panico,
sommersione), anche se è caratteristica, nelle sue linee e tempi, dell’annegamento di chi sa
nuotare, può non essere rispettata per filo e per segno e qualche fase può essere saltata,
accelerata o prolungata. Ciò dipende anche dalla “situazione di partenza” o dal tipo di incidente
(la vittima di una buca che ha deciso di andare comunque in acqua nonostante i segnali di
pericolo non è la stessa che è stata trascinata in mare da un’onda standosene comodamente al
sole), dalla capacità di reazione di fronte al pericolo o dalle capacità natatorie che variano da
soggetto a soggetto. Si tratta, in ogni caso, di un processo che dura complessivamente alcuni
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minuti: il tempo di sommersione è compreso tra i 2 e i 5 minuti (anche se bambini e anziani
hanno, di regola, tempi di reazione più brevi offrendo una minore resistenza psicologica
all’escalation della paura).
Pericoli per la balneazione: una tipologia delle spiagge
Cercheremo adesso di associare ai tipi di annegamento i pericoli per la balneazione delle
spiagge italiane. Le spiagge delle nostre coste appartengono a 6 tipi diversi, ciascuno dei quali
presenta pericoli caratteristici. Le nostre spiagge – cioè le spiagge del Mar Mediterraneo, un
mare chiuso – sono spiagge dominate dalle onde: la loro morfologia dipende principalmente dal
modo in cui le onde interagiscono coi fondali emergenti. È possibile suddividerle e descriverle
in altri modi: nella classificazione che proponiamo abbiamo utilizzato come criterio che
discrimina tra una spiaggia e l’altra i pericoli che esse presentano per la balneazione.
Le 6 spiagge (le cui sezioni sono raffigurate in Figura 3) si distinguono tra loro perché
presentano, a cominciare dalla 1 (le spiagge “piatte”) fino al tipo 6 (le spiagge “ripidissime”) una
granulometria crescente dei sedimenti: le spiagge piatte sono costituite da sabbia fine o finissima,
quelle ripide di granuli (sedimenti di diametro compreso tra 2 e 4 mm), ghiaia o ciottoli.
Figura 3. Tipologie di spiagge in funzione del fondale
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Questa variabile, apparentemente trascurabile per i nostri interessi, determina il gradiente del
fondale, cioè la sua pendenza in direzione del mare aperto, e questo, a sua volta, determina
l’ampiezza della zona dei frangenti. Più ripido è il fondale, più stretta è questa zona.
Quest’ultima variabile riveste per noi un grande interesse. La sua ampiezza può essere
quantificata abbastanza agevolmente, anche senza strumenti o scandagli, perché è sufficiente
contare, a mare molto mosso, il numero dei frangenti (linee di schiuma) che
contemporaneamente battono una spiaggia (Tabella 1).
Tabella 1. Numero di frangenti per tipologia di spiaggia
Tipo di spiaggia
1.
2.
3.
4.
5.
6.
n. linee di schiuma
Spiagge piatte
Spiagge di buche
Spiagge dominate dalle correnti
Spiagge fonde
Spiagge ripide
Spiagge ripidissime
> 20
10 - 20
10 - 20
5 - 10
3 -4
1-2
A questi sei tipi fondamentali si deve aggiungerne un settimo: le spiagge artificializzate.
Esse sono il prodotto di opere umane, costruzioni in massi e cemento (moli, barriere parallele,
pennelli ecc.) che hanno modificato i naturali meccanismi idraulici delle spiagge. L’intento
degli ingegneri che le hanno costruite era quello di difendere dall’erosione la spiaggia o la costa
(o, più spesso ancora, le costruzioni troppo vicine al litorale) modificando il sistema delle
correnti e altri meccanismi circolatori. Quanto al primo scopo – proteggere la spiaggia e il
litorale – non sempre queste costruzioni hanno dato risultati apprezzabili (spesso hanno
provocato proprio il contrario), ma quanto a quello di modificare i meccanismi circolatori vicino
alla battigia – provocando micidiali pericoli per i bagnanti – ci sono riusciti perfettamente. Se si
pensa che la maggior parte delle spiagge italiane (alcune fonti danno il 55% della costa
balneabile) sono artificializzate, ci si renderà conto dell’importanza che, in un’analisi della
pericolosità di una spiaggia, si deve prestare a questa componente.
Tutti e 6 i tipi di spiaggia possono essere “artificializzati” e sono presenti, quindi, su tutte le
coste (anche se è sul Mare Adriatico che troviamo le teorie di barriere e pennelli più imponenti e
lunghe, anche per decine di km). Le spiagge naturali dell’Adriatico sono le spiagge piatte. Le
spiagge 2 e 3 (“spiagge dominate dalle correnti”) sono caratteristiche invece del Mar Tirreno; le
spiagge fonde, invece, più rare, possono essere caratteristiche della costa ionica della Calabria o
della Liguria di ponente. Questi primi quattro tipi di spiaggia sono caratteristici della costa
sabbiosa. Le coste a struttura rocciosa presentano invece i tipi di spiaggia 5 e 6. Le isole
maggiori (la Sicilia, la Sardegna, ma anche, seppure in miniatura, l’isola d’Elba) hanno questo
di caratteristico: le hanno tutte. Questa distribuzione è, in realtà, una caratterizzazione
geografica basata su un criterio di dominanza: è possibile che su un litorale compaiano spiagge
dell’uno o l’altro tipo, anche se, per esempio, sul litorale ligure di levante, le spiagge sono
prevalentemente ripide (dell’uno o l’altro tipo), vi sono eccezionalmente spiagge piatte o fonde,
ma non spiagge dominate dalle correnti (3 e 4). Le spiagge fonde sono caratteristiche delle zone
di confine tra la costa sabbiosa e quella rocciosa e, almeno in Italia, sono più rare delle altre.
Ciascuna spiaggia deve essere valutata in se stessa e non perché appartiene ad un tratto costiero.
La Società Nazionale Salvamento ha in corso un progetto di catalogazione geografica delle
spiagge perché ciascun tipo, come abbiamo accennato, presenta pericoli propri con una propria
configurazione.
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Frangenti: correnti di ritorno e risacca di fondo
Le onde in mare aperto sono “oscillatorie”: quando si vede passare un treno di onde si ha
l’impressione che anche l’acqua venga trasportata nella direzione di propagazione dell’onda, ma
è solo un inganno visivo. L’acqua si alza e si abbassa ritmicamente al passaggio dell’onda, ma
non si sposta (è come quando si sbatte un lenzuolo: le ondulazioni si trasferiscono da un capo
all’altro, ma il lenzuolo resta fermo). Quando le onde frangono, invece, diventano “traslatorie”,
cioè trasportano acqua effettivamente. Se in acqua profonda (mare aperto) getto un galleggiante,
al passaggio di un’onda il galleggiante si alza e si abbassa senza spostarsi orizzontalmente, ma
se giocando butto il pallone tra i frangenti dalla riva, i frangenti me lo riportano indietro assieme
all’acqua che trasportano. Le onde frangono in acqua bassissima, ovvero quando la loro altezza,
misurata dalla cresta al cavo (la parte più bassa dell’onda) è in un rapporto approssimativo di
3:4 rispetto alla profondità del fondale (un’onda alta circa 75 cm frange in un metro d’acqua, in
media). Questa è la ragione per la quale – si può capire con un po’ di ragionamento – la ripidità
del fondale accorcia la zona dei frangenti (Figura 4). Sintetizzando: più il fondale è ripido, più le
onde frangono vicino alla riva.
Figura 4. Ripidità dei fondali e tipologia di frangenti
Perché i frangenti sono così importanti per i nostri interessi? Perché essendo “traslatori”
accumulano, trasportandola in prossimità della riva, enormi quantità d’acqua: formano “mucchi
d’acqua”. In termini tecnici provocano un “sovralzo d’onda” (o rialzo d’onda), cui corrisponde
“un ribasso d’onda” nella la zona del fondale da cui l’acqua viene tolta. La Figura 5 illustra la
situazione meglio di qualsiasi spiegazione:
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Figura 5. La base dell’onda (= 1/2 della lunghezza dell’onda) indica il punto in cui l’onda comincia
ad interagire col fondale sottostante; lmc indica il livello del mare calmo
È chiaro, a questo punto, che lo squilibrio tra una zona e l’altra deve esser e in qualche modo
aggiustato e i meccanismi circolatori capaci di pareggiare il conto tra le due zone sono due. In
primo luogo l’acqua accumulata dai frangenti può tornare indietro come risacca di fondo. La
risacca di fondo è un flusso d’acqua che scorre dentro la stessa onda incidente collocandosi
all’incirca a metà della sezione verticale dell’onda, come è indicato dalla Figura 6:
Figura 6. Zona di traslazione delle masse di acqua
La risacca di fondo è in pratica irrilevante per i bagnanti perché si distribuisce su tutto il fronte di
avanzamento dell’onda e la sua forza è, quindi dispersa. Diversi invece sono gli effetti delle correnti
di ritorno, il secondo dei meccanismi che dobbiamo descrivere: l’acqua trasportata a riva dai
frangenti ritorna indietro incanalandosi e concentrandosi in un unico flusso, largo non più di qualche
decina di metri (sulle spiagge sabbiose in grado di scavare anche un profondo solco nel fondale).
L’acqua trasportata in prossimità della battigia, torna via concentrandosi in un unico flusso
capace di trasportare con sé tutto ciò che galleggia (Figura 7). Anche bagnanti o nuotatori. Una
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Rapporti ISTISAN 12/23
corrente di ritorno può raggiungere i 9 km orari (in condizioni ideali), ma è sufficiente una velocità
di 2-3 km orari per mettere in difficoltà un buon nuotatore.
Le correnti di ritorno sono correnti provocate dal moto ondoso che scorrono verso il mare aperto
da zone prossime alla battigia e non hanno nulla a che fare con le correnti marine, che, invece, sono
provocate da stabili regimi di venti, dalla diversa massa, salinità o temperatura delle acque (sono
molto più lente, non dipendono dallo stato del mare e nulla hanno a che fare con i problemi legati
alla balneazione). Esse sono il pericolo numero uno per la balneazione, vere e proprie macchine di
annegamento per l’efficacia meccanica con la quale attirano i bagnanti, li sfiancano e li annegano.
Figura 7. Schema di flusso delle correnti di ritorno
Le spiagge 1 e 4 (piatte e fonde) ricorrono al primo meccanismo, la risacca di fondo, per
riequilibrare il fondale compromesso da frangenti; le spiagge 2 e 3, le spiagge dominate dalle
correnti, al secondo; le spiagge ripide (5 e 6), ad entrambi (ma in condizioni diverse dello stato del
mare). Le spiagge artificializzate, infine, devono essere valutate caso per caso perché le variabili
intervenienti sono troppe per tipicizzarle in un’unica classe. D’altra parte le spiagge artificializzate
provocano, per le correnti prodotte, pericoli che possono essere classificati tra i più gravi per la
balneazione.
Correnti di deriva e correnti di ritorno
Altri meccanismi idraulici legati al moto ondoso possono provocare correnti di deriva
(Figura 8), cioè correnti che scorrono lungo il litorale (si chiamano infatti anche correnti
litorali).
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Figura 8. Schema di flusso delle correnti di deriva
Ciò accade quando onde che colpiscono obliquamente la riva si scontrano con la risacca
delle onde. La risacca (da non confondersi con la risacca di fondo) è quella parte dell’onda che
torna indietro per gravità dopo aver percorso, come getto montante, una parte dell’arenile.
Quando la corrente di deriva incontra nel suo percorso lungo il litorale un ostacolo viene deviata
verso il mare aperto trasformandosi in una corrente di ritorno (Figura 9).
Figura 9. Schema di flusso delle correnti di ritorno
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Questo meccanismo è caratteristico delle spiagge di tipo 3. Anche queste, come le 2, sono
spiagge dominate dalle correnti (cioè le correnti sono il meccanismo dominante che determina
le caratteristiche del fondale), ma quella prevalente è una corrente che scorre lungo il litorale,
una corrente di deriva. Sono meno pericolose, sotto questo profilo, delle spiagge di tipo 2: le
spiagge di buche (come vengono chiamate in Toscana). In queste il meccanismo dominante
sono le correnti di ritorno che ristabiliscono l’equilibrio compromesso dai frangenti creando un
reticolato caratteristico, fatto da un intreccio di correnti litorali e correnti di ritorno (Figura 10).
Figura 10. Schema del reticolato composto da un intreccio di correnti litorali e correnti di ritorno
Le spiagge di tipo 2 vengono chiamate anche spiagge a conformazione estiva, laddove quelle
di tipo 3 sono spiagge a conformazione invernale perché in certe spiagge un fondale si
sostituisce all’altro al cambio di stagione (nei mesi di maggio e di ottobre); su altre invece
queste conformazioni sono stabili tutto l’anno. I due tipi di spiaggia appartengono allo stesso
“habitat” (la sabbia ha la stessa granulometria, il fondale lo stesso gradiente e la zona dei
frangenti la stessa estensione).
Buche e spiagge di buche
Il termine “buca” è un termine gergale, preso dal linguaggio dei bagnini del mar Tirreno,
dove esse hanno un carattere endemico. Le buche sono le più tipiche e famigerate correnti
di ritorno del nostro mare. Sono caratteristiche di spiagge sabbiose sui cui fondali si
protende, dalla riva, una secca di 70-100 m. Su questi banchi di sabbia, attaccati alla
battigia, la profondità dell’acqua degrada dai 20-30 cm allo scalino ad 1,60 m circa. È la
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Rapporti ISTISAN 12/23
zona delle “prime secche”, ma è anche la zona del bagno e, quel che più conta, è anche la
zona delle buche.
Il meccanismo di formazione di queste correnti dovrebbe ormai esser chiaro a chi legge:
attraverso le secche i frangenti trasportano acqua che rifluisce via verso il mare aperto scavando
un profondo solco sul fondale, il canale della buca (Figura 11).
Figura 11. Esempio di spiaggia di buche
La buca, quindi, ci appare come un tratto di mare di acqua profonda vicino alla riva,
circondato da banchi di sabbia.
La buca è, per la grande maggioranza dei bagnanti, una trappola perché è nascosta ai loro
occhi. Molte persone ne ignorano l’esistenza anche perché né gli stabilimenti balneari, né i
Comuni ne indicano la presenza, anche se i bagnini hanno l’obbligo di segnalarla.
A mare mosso, lo specchio di una buca è un tratto di mare più tranquillo perché più
profondo; ma soprattutto le buche sono macchine di annegamento perché attirano i bagnanti:
tutta l’acqua sopra il banco che alimenta coi suoi frangenti una buca si sposta lentamente verso
di essa e un bagnante che fa tranquillamente il bagno in una zona ancora sicura, ogni volta che
solleva i piedi da terra perché fa un tuffo o viene travolto da un onda, viene spostato verso il
canale della buca.
Correnti di ritorno sulle spiagge ripide
Anche sulle spiagge ripide le correnti di ritorno sono il pericolo più grande per la
balneazione. Il meccanismo che le forma può essere diverso. Normalmente sono provocate da
correnti di deriva che scorrono lungo una baia: la corrente litorale si trasforma in corrente di
ritorno alla fine della spiaggia oppure sono deviate verso il largo da un ostacolo che può
essere artificiale o naturale: uno sperone di roccia, per esempio, o un pennello artificiale
(Figura 12).
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Figura 12. La corrente di deriva continua oltre la spiaggia
assumendo gli aspetti di una corrente di ritorno
Poiché la zona dei frangenti è, su queste spiagge, meno estesa rispetto a quelle di una costa
sabbiosa (le linee di schiuma sono solo 3-4), le onde capaci di produrre corrente devono essere
molto alte, normalmente più alte di 2,50 m. In pratica, queste correnti si attivano solo con le
mareggiate. A differenza delle spiagge dei litorali sabbiosi, dove frangenti modesti sono in
grado di produrre poderose correnti di ritorno (questo tipo di frangente, caratteristico delle
spiagge di tipo 2. e 3. si chiama rullo, in inglese, roller o bore; in italiano è stato chiamato
anche onda a scalino per l’efficacia traslatoria con cui aggiunge allo specchio d’acqua uno
strato, appunto “uno scalino”, alto una decina di cm, ogni volta che ne arriva uno), su quelle
ripide è necessario uno stato del mare ben diverso per produrle e le giornate di mare mosso
capaci di attivarle sono assai meno frequenti. Su una spiaggia di buche le giornate di “bandiera
rossa” possono arrivare, nel periodo di giugno-agosto, fino a 40-50, mentre sulle spiagge ripide
non sono più di 10-15. È solo durante le rare mareggiate estive (2-4 per stagione) che queste
spiagge diventano pericolose ed è in questi giorni che si concentrano gli episodi di
annegamento.
Di grande interesse è il meccanismo con cui si formano correnti di deriva e correnti di
ritorno su spiagge ripidissime (ad un frangente, del tipo 6.), ben diverso dagli altri visti sopra. In
queste spiagge la zona dei frangenti coincide con la zona di battigia (le onde frangono solo sulla
battigia), ed è qui che queste correnti si formano.
Si chiama tempo di rincorsa (R) il tempo (run off) che un’onda impiega a percorrere l’arenile
risalendolo (come getto montante) e discendendolo (come risacca); il periodo di un onda (T)
indica invece il tempo che intercorre tra il passaggio di una cresta e quella successiva (o, sulla
battigia, tra l’arrivo di un’onda e l’altra). Il tempo di rincorsa cresce col crescere dell’altezza
delle onde perché onde più alte riescono a percorrere un tratto più grande dell’arenile. Quando il
tempo di rincorsa supera, col crescere del mare, il periodo di un’onda (R>T), la battigia non
riesce più a smaltire l’acqua in eccesso che, portata dal frangente precedente, sta ancora
scendendo giù per la china: quando arriva il nuovo frangente si forma un sovralzo d’onda sulla
battigia. L’acqua accumulata comincia poi a fluire in questa zona come una corrente di deriva
lungo la linea litorale e, oltre un certo limite, sfonda sul punto di minore resistenza il frangente
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in arrivo formando una poderosa corrente di ritorno, lunga soltanto qualche decina di metri.
(Figura 13).
Figura 13. Schema di formazione delle correnti di risacca e di battigia
La corrente che scorre lungo la linea di riva prende il nome di corrente di battigia e
quella di ritorno di corrente di risacca (perché è formata dalla risacca delle onde, o, più
precisamente, dalla incapacità della spiaggia di smaltire la risacca di frangenti troppo alti).
Sebbene vi siano altre variabili che intervengono in questo processo (la ripidità
dell’arenile e la sua larghezza, in particolare), l’altezza minima delle onde capaci di
produrre corrente su spiagge ripide ad un frangente è, sul nostro mare, di circa 2,50 m in
media. Anche su queste spiagge, quindi, la formazione di correnti è associata solo ad una
mareggiata.
Pericolo dei salti o dei dislivelli improvvisi
A mare calmo il pericolo delle correnti ovviamente non sussiste perché le correnti sono
provocate dal moto ondoso. Sulle spiagge sabbiose (2 e 3), tuttavia, anche a mare calmo, il
canale scavato dalla corrente (“la buca”) è un pericolo temibilissimo perché è acqua
improvvisamente profonda nella zona del bagno. Quando il tempo è bello, tutti vanno a
bagnarsi, nuotatori e non nuotatori, e su queste spiagge, il numero degli annegamenti a mare
calmo (annegamento di non nuotatori) eguaglia quelli di mare mosso! La buca è una
trappola micidiale anche quando è “soltanto” una tranquilla pozza di acqua più profonda.
Questo pericolo che, come abbiamo detto, non lascia scampo ad un non nuotatore, anche
se è più frequente e insidioso sulle spiagge dei litorali sabbiosi, è caratteristico di qualsiasi
fondale. Tecnicamente si chiamano salti o dislivelli improvvisi (in inglese: drop) e indicano
un tratto di acqua improvvisamente profonda nella zona del bagno (Figura 14).
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Rapporti ISTISAN 12/23
Figura 14. Salto all’interno di una vasca
Sulle spiagge piatte (di tipo 1.) i dislivelli possono sembrare esigui (l’acqua può diventare da
50 cm a poco più di 1m), ma sono cionondimeno pericolosissimi per i bambini che non sanno
nuotare. Il fondale di queste spiagge presenta, dalla battigia, una “terrazza” (normalmente di 4050 m, ma che può estendersi fino a 100 m) di acqua bassissima con una pendenza esigua, alla
fine della quale c’è una piccola scarpata dove l’acqua diventa più profonda di 30-40cm
improvvisamente. Su queste spiagge, infatti, il limite acque sicure (un limite fissato dalle
Capitanerie per indicare l’acqua fonda è di 0,90 m e non 1,60 m come sulle altre).
Frangenti di battigia: onde giganti e risacca
L’onda esaurisce la propria energia, quasi intatta dopo un viaggio in mare spesso
lunghissimo, quando frange. Sulle spiagge dei litorali sabbiosi le onde cominciano a frangere
molto lontane dalla riva: quando giungono nella zona del bagno hanno in pratica esaurito la loro
forza e la loro altezza è modesta. Su una spiaggia ripidissima (il tipo 6) non è raro, invece, che
un’onda alta 2,50 – 3 m franga proprio sulla riva.
Queste spiagge si chiamano “ad un frangente” perché il fondale è così ripido che l’onda può
frangere solo sulla battigia. È un frangente che ha una forza micidiale, come si può facilmente
capire, perché l’energia di un’onda di mare aperto è intatta e si esaurisce in un lasso di tempo
brevissimo con una forza esplosiva. Questi ambienti si chiamano infatti “ad alta energia” e le
onde che frangono “frangenti di battigia”. Sono di due tipi: frangenti frananti e frangenti
montanti.
I primi frangono perché si trovano improvvisamente all’asciutto: l’enorme cresta frana nel
cavo antistante crollando (Figura 15).
Possono essere pericolosi anche perché schiacciano su un fondale duro, normalmente fatto di
ghiaia o ciottoli, con una potenza d’attacco impressionante (la potenza d’attacco di un’onda
indica l’energia sviluppata per metro lineare del fronte d’onda), ovvero l’energia sviluppata per
metro lineare del fronte d’onda, impressionante. Non sono rari gli incidenti in cui qualcuno si
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Rapporti ISTISAN 12/23
rompe un braccio o una spalla schiacciato da tonnellate d’acqua o, nei casi più sfortunati (e rari,
per fortuna) l’osso del collo. I frangenti montanti, invece, sono caratteristici di un fondale
ancora più ripido: in realtà l’onda è così alta che, propriamente parlando, non riesce a frangere,
ma continua il suo moto scaraventando la cresta su per il pendio dell’arenile inondandolo e
trascinando indietro con un’enorme risacca tutto ciò che può strappare alla spiaggia.
Figura 15. Piccolo frangente frenante (<2m)
Su questi fondali (ma il pericolo può essere presente anche sulle spiagge ripide e,
soprattutto sulle scogliere, che in molte zone fanno le veci di una spiaggia) è presente il
pericolo delle onde giganti.
Le onde non sono tutte alte uguali e, come chiunque può avere sperimentato, alcune onde
sono molto più alte delle altre. È un fenomeno abbastanza normale e dipende dai fattori
casuali che formano le onde. Non è normale, invece, il fenomeno delle onde giganti
(chiamate anche onde anomale, megaonde o superonde). I meccanismi che le formano
possono essere diversi. Per semplicità ne descriveremo soltanto uno.
Quando le onde sono in acqua bassa (cioè viaggiano su un fondale più basso della base
dell’onda come accade in prossimità della riva, su una spiaggia), la loro velocità dipende da
un’unica variabile: la profondità dell’acqua. Più l’acqua è profonda, più veloce è la
propagazione dell’onda. Chi legge avrà visto sicuramente talvolta un’onda che ne rincorre
un’altra, la monta e la sorpassa. La sua maggiore velocità non dipende dal fatto che l’onda
dietro abbia gambe più lunghe, ma perché riesce, essendole molto vicina, a navigare “sulla sua
schiena”, cioè nell’acqua trasportata (“traslata”) dalla prima. Se le onde sono alte meno di 1 m
(come su una spiaggia piatta, nella zona del bagno), è poco male, ma se si tratta di onde di 2,503 m, la cosa è ben diversa, come si può facilmente immaginare. Guardando con attenzione la
Figura 16, si può scoprire che l’onda gigante è fatta in realtà da tre onde sovrapposte.
È un’onda di quasi 8 m (quando le onde della mareggiata sono normalmente alte circa un
terzo). Un’onda del genere si verifica per fortuna di rado, ma già un’onda gigante fatta da due
onde sovrapposte (5 – 6 m) è in grado di trascinare in acqua chiunque. In una giornata balneare
(di 10 ore) ne arrivano mediamente due (un’onda anomala ogni 5 ore circa in media). Il guaio è
che, essendo un fenomeno casuale, non si conosce l’orario e, quando arriva il treno delle due e
venti o quello delle quattro e un quarto, il bagnante che si è avvicinato troppo al mare in
burrasca, verrà trascinato via in un incidente che non dà scampo ed è quasi sempre letale.
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Rapporti ISTISAN 12/23
Figura 16. Onda gigante composta da 3 frangenti
Sui fondali ripidi (5 e 6) i frangenti vengono in parte riflessi verso il mare. L’ultimo tratto
del fondale emergente funziona come uno specchio che rimanda indietro una parte dell’onda
incidente: ciò ha l’effetto di allargare la zona della risacca, quel tratto di mare che coincide
normalmente con la zona della battigia dove le onde risalgono l’arenile per inerzia e lo
ridiscendono per gravità. In queste spiagge (soprattutto sulle spiagge ad un frangente) la zona
della risacca si estende per un tratto anche nel fondale antistante imprigionando talvolta qualche
bagnante che viene sospinto in avanti e indietro e non riesce più a recuperare la riva (Figura 17).
Figura 17. Gli effetti della risacca allargata
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Rapporti ISTISAN 12/23
Vento di terra e uso dei galleggianti
Il vento è la causa dello stato del mare (definito dall’altezza delle onde). Le caratteristiche del
vento da cui dipende lo stato del mare sono le seguenti:
− la forza del vento (un vento più forte provoca onde più alte)
− la durata del vento (un vento che spira per un tempo più lungo provoca onde più alte)
− il fetch (la zona di mare aperto su cui spira il vento: un fetch più esteso provoca onde più alte).
Quando il vento comincia a spirare sulla superficie del mare, nella zona generatrice delle onde,
cioè l’inizio del fetch, si formano dapprima solo increspature che si trasformano in maretta e poi in
cavalloni diventando sempre più alti. All’inizio del fetch il mare è solo increspato; è solo alla
estremità opposta che troveremo cavalloni o il mare in tempesta (Figura 18).
Figura 18. Il vento e lo stato del mare
Per tutto questo, quindi, quando il vento soffia da terra, sulla riva il mare è calmo. Sebbene siano
i venti che spirano dal mare a provocare i pericoli più grossi, anche il vento di terra può essere un
pericolo per la balneazione: genera infatti una corrente di superficie, capace di allontanare da riva
tutto ciò che galleggia. Questa corrente provocata dal vento interessa solo gli strati più superficiali
dello specchio acqueo. I nuotatori, immersi nell’acqua, sono in genere troppo pesanti per essere
trascinati via (anche se un nuotatore farà molta più fatica a tornare a riva che ad allontanarsene). Col
vento di terra il vero pericolo è provocato dai galleggianti. Materassini, braccioli, ciambelle, ecc.
sono particolarmente pericolosi in queste condizioni perché sono sensibilissimi a questa corrente di
superficie: il bagnante che li utilizza, galleggiando di più, naviga immerso negli strati più superficiali
dell’acqua sensibili al vento; il vento, inoltre, provoca un effetto vela sul galleggiante e sul corpo
stesso del bagnante che emerge dall’acqua grazie al galleggiante. Si accentua così l’effetto di
allontanamento del vento di terra e il rientro a terra non è più soltanto una questione di maggiore
fatica: un vento di terra moderatamente forte è in grado di trascinare via un bambino che soltanto usa
dei braccioli. In genere chi usa questi galleggianti sono bambini, nuotatori insicuri o non nuotatori,
categorie di bagnanti già a rischio, che cercano una apparente sicurezza in questi giocattoli. I
giocattoli galleggianti, proprio per questa ingannevole sensazione di sicurezza (soprattutto in genitori
e nonni), devono invece essere considerati come un fonte di pericolo. I giocattoli galleggianti hanno
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Rapporti ISTISAN 12/23
un effetto moltiplicatore sui rischi legati alla balneazione e non dovrebbero essere usati col vento di
terra, in presenza di correnti di ritorno (alle quali sono sensibilissimi) e in acqua profonda.
Pericoli delle spiagge artificializzate
Le spiagge artificializzate sono quelle spiagge caraterizzate da manufatti umani, in massi o
cemento. Queste costruzioni, che alterano radicalmente la dinamica di un fondale, presentano
pericoli che possono essere classificati tra i più gravi per la balneazione. Ciascuna struttura richiede,
tuttavia, un esame specifico e le brevi osservazioni che seguono hanno quindi solo un carattere
generale.
Queste strutture possono essere:
− radenti, costruite lungo il litorale (terrapieni, bastioni, ecc.). Le strutture radenti, come per
esempio i bastioni a protezione di una ferrovia, sono nel nostro mare in pratica irrilevanti per
la balneazione.
− aggettanti, protese verso il mare ad angolo retto (pennelli, moli, pontili, ecc.)
− parallele alla linea di costa, distaccate da terra (barriere parallele, scogliere, frangiflutti, ecc.)
− suffolte, cioè sommerse, appena sotto il livello del mare o emergenti a bassa marea
− a carattere multiplo (vasche), quando strutture di vario tipo vengono congiunte tra loro
Pennelli
I pennelli sono, con le barriere parallele, i più diffusi. Per capire come funzioni una cellula
circolatoria provocata da un pennello bisogna prendere in considerazione il tipo di spiaggia, le
caratteristiche del moto ondoso dominante (in particolare, altezza dei frangenti e l’angolo di
incidenza con cui le onde colpiscono la spiaggia). Tutte queste variabili danno nella realtà soluzioni
molto diverse. I pochi casi esaminati hanno solo il valore di un esempio perché le stesse strutture
possono provocare effetti diversissimi a seconda del tipo di fondale in cui sono inseriti.
Uno degli effetti più diffusi è che, costruiti per impedire l’erosione del litorale, intercettano
la corrente di deriva proiettandola verso il mare aperto e trasformandola in una corrente di
ritorno (Figura 19).
Figura 19. Il pennello
26
Rapporti ISTISAN 12/23
Su spiagge piatte (tipo 1.) anche la debole corrente dovuta ad un moto ondoso che non
supera il metro d’altezza provoca attorno al pennello un fossato caratteristico che può essere
anche profondo più di 2 m , cioè un micidiale salto, soprattutto su fondali dove l’acqua
torbida impedisce ad un bagnante di valutare la profondità dell’acqua (Figura 20).
Figura 20. Il fossato formatosi attorno al pennello
Su spiagge piatte, con una forza congiunta, il vento che soffia in tralice sul litorale, una
debole corrente di deriva e le stesse onde spingono i bagnanti verso il pennello che può avere un
fossato intorno e, soprattutto, una corrente di ritorno.
Barriere parallele
Barriere parallele alla linea di costa, ma distaccate, sono in Italia quasi altrettanto
consuete dei pennelli. Gli effetti proposti sono quelli di proteggere la linea di riva da onde
troppo impetuose capaci di portare via la sabbia dalla spiaggia (queste barriere possono
essere anche suffolte, cioè sommerse, a pelo d’acqua). I pericoli più grandi sono quelli
provocati in prossimità dei varchi dove le correnti in uscita possono trascinare via i
bagnanti in mare aperto (Figura 21).
Creando una cellula circolatoria tra la barriera e la riva, possono alterare il fondale
creando salti improvvisi, non solo in prossimità dei varchi, dove sono fisiologici, ma in
qualsiasi punto del fondale protetto dalla barriera.
27
Rapporti ISTISAN 12/23
Figura 21. Barriere parallele e correndi di uscita
Vasche (strutture multiple)
Cellule circolatorie pericolosissime per la balneazione vengono prodotte da strutture
multiple, cioè da barriere, pennelli, isole di massi, ecc. congiunte tra loro, capaci di creare un
effetto vasca a mare mosso: ovvero l’innalzamento artificiale del livello del mare dentro il
bacino. Dentro la vasca, contenuta dalla spiaggia e le strutture che la chiudono dagli altri tre lati,
i frangenti, scavalcando le barriere, provocano un sopralzo d’onda eccezionale (in certe vasche
raggiunge il metro d’altezza sopra il livello del mare). L’acqua, portata dentro la vasca da onde
spesso imponenti, fluisce via verso il mare aperto attraverso i varchi con una corrente di uscita
che ha la forza di un fiume in piena. Le vasche semichiuse, brevemente descritte sono il
prototipo di quelle che in gergo si chiamano spiagge di non ritorno: sparati fuori, la probabilità
di recuperare una linea di sicurezza è praticamente zero (Figura 22).
Figura 22. Esempio di vasca semichiusa
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Rapporti ISTISAN 12/23
Di seguito (Tabella 2) si rappresenta lo schema riassuntivo dei pericoli in funzione della
tipologia di spiaggia e delle condizioni del mare.
Tabella 2. Quadro sinottico dei pericoli per la balneazione
Tipo di spiaggia
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Spiaggia piatta
Spiagga di buche
Configurazione invernale
Fonda
Ripida
Ripidissima
Artificializzata
Correnti
di ritorno
Correnti
di deriva
Salti
Onde
giganti
Risacca
Vento
di terra
xxx
xx
xx
xx
xxx
x
x
xx
xx
x
x
x
xx
xxx
xxx
x
xxx
x
x
xxx
-
x
xxx
-
x
x
x
x
x
x
x
x = pericolo basso; xx = pericolo medio; xxx = pericolo alto
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Rapporti ISTISAN 12/23
SEGNALETICA SULLE SPIAGGE
Ammiraglio Romano Grandi
Vicepresidente Società Nazionale di Salvamento (SNS), Genova
Per contrastare i rischi connessi alla balneazione e tutelare l’incolumità degli utenti è stato
progettato dall’SNS un apposito sistema di segnaletica sui rischi e i pericoli con appropriati
indicazioni e consigli per evitarli per le spiagge marine e le acque interne (fiumi, laghi, canali,
bacini artificiali, ecc.). Propedeutica all’istituzione del sistema di segnaletica era ovviamente
l’individuazione delle fonti di pericolo.
I rischi sulle spiagge, infatti, non sono portati a conoscenza degli utenti, salvo l’indicazione
di spiaggia non provvista di servizio di sorveglianza balneare (in pratica l’unico onere a carico
dei Comuni, quasi tutti, che si esentano dal servizio di sorveglianza) ovvero la possibilità che gli
utenti delle spiagge in concessione vengano informati dai bagnini di salvataggio sulle situazioni
di pericolo che possono presentare le acque prospicienti le rispettive concessioni demaniali.
L’SNS ha perciò sviluppato un progetto sulla base di informazioni raccolte anche da altri paesi
dell’Unione europea in modo da conferire al lavoro un respiro europeo visto che, attese le molte
migliaia di turisti che ogni anno si affiancano ai nostri cittadini, le indicazioni e i simboli devono
essere chiaramente compresi anche da loro (con eventuali scritte almeno in due lingue oltre
l’italiano: inglese, francese o tedesco). Alla base del progetto c’è la consapevolezza che, purtroppo,
solo una parte minima dei frequentatori di una spiaggia (secondo una ricerca inglese di qualche anno
fa, poco più del 4%, e in Italia possiamo supporre anche una percentuale inferiore) conosce e
considera alcuni dei fattori di sicurezza oggettivi nella scelta di una spiaggia. Per fattori oggettivi di
sicurezza di una spiaggia si intende l’assenza di quei rischi che la spiaggia e i fondali antistanti
presentano di per sé, quali correnti o buche, scogli sommersi, dislivelli improvvisi nella zona del
bagno, strutture sommerse o affioranti, ecc. Un progetto, a più lunga scadenza ma già in atto, della
nostra associazione è quello di catalogare le spiagge di tutta l’Italia, pubblicando i risultati sul sito
dell’SNS, www.salvamento.it, perché un utente possa scegliere in sicurezza una spiaggia adatta a lui.
Un ente nazionale di certificazione controllerà poi la corrispondenza tra le misure da noi indicate e
quelle effettivamente implementate dai Comuni.
Un’adeguata segnaletica come quella raffigurata in Figura 1 può, perciò, rappresentare una
delle vie più efficaci nella comunicazione con gli utenti, una sorgente d’informazioni,
suscettibili di avere anche risvolti soggettivi di tipo comportamentale, venendo, in tal modo, a
costituire implicitamente anche un veicolo per l’educazione alla sicurezza in acqua dei bagnanti.
Figura 1. Esempio di cartellonistica corretta
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Rapporti ISTISAN 12/23
Poiché tutti siamo abituati alla forma e ai colori dei segnali stradali, avremo meno difficoltà
nell’interpretare e riconoscere i messaggi inviati che provengano da segnali analoghi a quelli
(ovviamente diversi per il contenuto trasmesso).
I segnali di pericolo devono avere perciò forma triangolare, quelli di divieto circolari, quelli
di informazione quadrangolari, con contorni e sfondi come quelli stradali, con simbologia
interna di colore nero tratta dagli standard ISO 20712 (Segnali per la sicurezza in acqua e
bandiere per la sicurezza sulla spiaggia) per quelli di pericolo e divieto (o anche di altro colore
e forma per quelli di informazione).
I segnali di pericolo (triangoli equilateri con sfondo bianco, bordi rossi e simbolo grafico di
colore nero) conterranno simboli che indicano rischi per l’incolumità delle persone nel caso di
bagno in acque profonde, o in acque basse (il pericolo dei tuffi), o la presenza di correnti, buche,
scogliere, scogli o oggetti sommersi (relitti), scali di alaggio, zone riservate alla circolazione di
imbarcazioni a motore o riservate ad uno sport acquatico (surf o kite surf, per esempio) ecc. Se
sono necessarie integrazioni scritte, è bene che queste siano precedute dalla parola
“Attenzione”.
I segnali di divieto (circolari con sfondo bianco, bordati di rosso, con barra di divieto
diagonale parimenti in rosso e simbolo grafico in nero) conterranno invece simboli che indicano
il divieto di certi comportamenti – come l’attività subacquea, navigare a motore, la stessa
balneazione, la pesca o altre attività proibite con apposita ordinanza del Capo del Circondario
marittimo (CP), ecc. – come anche eventuali limitazioni all’esercizio dello sci nautico, del
paracadutismo ascensionale, delle moto d’acqua o altre disposizioni che regolano aspetti relativi
alla sicurezza della navigazione, quella dei bagnanti o degli utenti degli arenili in genere.
I segnali di informazione devono essere usati per fornire agli utenti indicazioni sulla
presenza in spiaggia di determinati servizi, presidi di primo soccorso, ecc. che gli appropriati
simboli riportati su di essi rappresenteranno. Saranno normalmente quadrangolari, con sfondo
azzurro e simbologia in bianco (salvo casi specifici: ad esempio il simbolo “croce rossa” per
indicare un presidio di pronto soccorso). I segnali di informazione potranno contenere scritte
come, ad esempio, numeri di telefono di pubblica utilità/emergenza (numero BLU/Guardia
Costiera 1530, il 118, ecc.) o altre notizie ancora.
Le bandiere, a parte la bandiera rossa che segnala univocamente in tutta Italia condizioni del
mare pericolose per fare il bagno, sono di solito bandiere “di zona” e vengono usate talora in
coppia con un’altra (la gialla e la rossa assieme, per esempio) per segnalare un tratto di spiaggia
interessata da situazioni di pericolo temporaneo (un divieto temporaneo di balneazione, per
esempio, per inquinamento). Le bandiere più utilizzate attualmente sono la bianca (segnala:
buone condizioni per fare il bagno e presenza di bagnini di salvataggio), la gialla (riduzione
della sorveglianza nelle ore del pasto; presenza di forti venti e il conseguente divieto di aprire
gli ombrelloni), la rossa e la gialla insieme (segnalano, in orari prestabiliti, l’assenza del servizio
di sorveglianza su spiagge sorvegliate). Il significato delle bandiere (a parte quella rossa, come
detto) varia da zona a zona ed è indicato su un apposito cartello all’ingresso di una concessione
balneare. Sulle spiagge libere non sorvegliate non vengono ovviamente utilizzate. Chi dovrebbe
metterle se, nella quasi totalità dei casi, tutto ciò che fa il Comune è di piantare un cartello in cui
indica che non sussiste il servizio di sorveglianza e salvataggio?
Tutti i segnali di pericolo, divieto, informazione, ovviamente appropriati per il sito a seconda
di quanto scaturisca dalla preventiva “analisi dei rischi” condotta da ciascuna spiaggia,
dovranno essere riprodotti su tabelloni o pannelli che riportano il nome e la mappa della
spiaggia, da posizionarsi:
− alle entrate principali delle spiagge dei centri turistici
− sulle vie di accesso alle spiagge libere
− alle entrate degli stabilimenti balneari o delle spiagge libere attrezzate
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Rapporti ISTISAN 12/23
Vorremmo far notare, tra parentesi, che l’SNS copre per intero, con le sue 230 sezioni
territoriali, l’intero territorio nazionale ed è in grado ed è disposta a redigere le apposite analisi
dei rischi per conto dei Comuni come un’attività di protezione civile.
Sulle mappe delle spiagge gli utenti troveranno indicazioni della presenza e della ubicazione
delle postazioni dei bagnini di salvataggio, ma anche dei parcheggi, bar, servizi vari, presidi di
pronto soccorso, fissi o mobili (postazione di ambulanza, per esempio, o presidio dotato di
defibrillatore) e, localizzati in acqua, l’indicazione dei corridoi di lancio (per le imbarcazioni a
vela o motore che vogliano prendere il mare), zone vietate alla balneazione, ecc..
Tutta la segnaletica avrà un’importanza particolare per le spiagge libere, zone critiche della
sicurezza, oggi quasi abbandonate a se stesse (dove avviene, sia detto per inciso, la quasi totalità
degli incidenti di annegamento). Su queste spiagge nessuno informa o richiama gli utenti sui
pericoli del sito, sulla disciplina della balneazione o delle altre attività acquatiche disposte dalle
Ordinanze di sicurezza balneare delle Capitanerie di porto o delle Ordinanze balneari dei
Comuni. Per la nostra associazione è inammissibile la distinzione tra l’utente che paga, ed è
perciò tutelato, e quello che frequenta una spiaggia libera, libero di annegare. Anche la spiaggia
libera è una fonte di guadagno per l’intera comunità balneare: non sono soltanto gli stabilimenti
balneari che traggono un profitto dal turismo balneare, ma tutti gli operatori commerciali
(campeggi, alberghi, cinema e ritrovi, negozi, ecc.) e il Comune stesso ricavano da una
popolazione che triplica (in molti siti balneari decuplica) una preziosa fonte di guadagno
durante la stagione estiva. Sarebbe l’ora che i Comuni ne prendessero atto.
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Rapporti ISTISAN 12/23
STRUTTURA ORGANIZZATIVA
DELLE CAPITANERIE DI PORTO
E REGOLAMENTAZIONE DELLA BALNEAZIONE
Ammiraglio Romano Grandi
Vicepresidente Società Nazionale di Salvamento, Genova
Le Capitanerie di porto hanno una duplice dipendenza: per i compiti in materia di
navigazione e trasporto marittimo, vigilanza nei porti, demanio marittimo e sicurezza della
navigazione dipendono dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti; dipendono, invece, dal
Ministero della Difesa, in quanto Corpo della Forza Armata Marina Militare, per i servizi propri
di quel Dicastero. Inoltre, si avvalgono dell’opera delle capitanerie di porto altri Dicasteri e
Organi dello Stato quali:
− Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio, per la difesa dell’ambiente marino, la
vigilanza e la gestione delle riserve marine e delle aree protette.
− Ministero delle politiche agricole e forestali, in materia di pesca marittima e acquacoltura;
− Ministero dell’interno, per la vigilanza dei flussi migratori.
− Ministero per i beni e le attività culturali, per quanto attiene la tutela delle aree marine di
interesse archeologico.
− Dipartimento della Protezione civile, per la gestione delle emergenze in mare (calamità
naturali, inquinamenti, ecc.).
− Regioni ed Enti locali.
Le principali linee di attività del Corpo sono:
− ricerca e soccorso in mare con tutta l’organizzazione di coordinamento, controllo,
scoperta e comunicazioni attiva nelle 24 ore che tale attività comporta
− sicurezza della navigazione;
− protezione dell’ambiente marino;
− controllo sulla pesca marittima e acquacoltura;
− polizia marittima (cioè polizia tecnico-amministrativa marittima) comprendente la
disciplina della navigazione marittima e la regolamentazione di eventi che si svolgono
negli spazi marittimi soggetti alla sovranità nazionale, il controllo del traffico marittimo,
la manovra delle navi e la sicurezza nei porti, le inchieste sui sinistri marittimi, il
controllo del demanio marittimo, i collaudi e le ispezioni periodiche ai depositi costieri e
di altri impianti pericolosi;
− amministrazione periferica;
− supporto alla Protezione civile.
L’insieme variegato e complesso dei compiti affidati al Corpo si svolge a favore dell’utenza
del mare negli spazi marittimi di interesse nazionale che comprendono 155.000 km2 di acque
marittime, interne e territoriali, che sono a tutti gli effetti parte del territorio dello Stato, e altri
350.000 km2 di acque sulle quali l’Italia ha diritti esclusivi (sfruttamento di risorse dei fondali) o
doveri (soccorso in mare e protezione dell’ambiente marino): un complesso di aree marine di
estensione quasi doppia dell’intero territorio nazionale (301.000 km2).
L’organizzazione è articolata su una struttura centrale e una periferica. A livello centrale fa
capo al Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, responsabile del
coordinamento e del controllo di tutte le attività svolte dalle Capitanerie di porto, e del
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Rapporti ISTISAN 12/23
coordinamento generale delle attività di ricerca e di soccorso, per le quali si avvale della
dipendente Centrale Operativa.
A livello periferico il Corpo è presente lungo i circa 8000 chilometri di coste nazionali
attraverso i seguenti Comandi periferici (le Autorità Marittime periferiche):
− 15 Direzioni marittime (ciascuna con giurisdizione territoriale corrispondente alla
rispettiva Regione marittima italiana: Liguria, Toscana, ecc.., eccetto Sicilia e Sardegna
che hanno due Direzioni marittime ciascuna – Palermo e Catania, Cagliari e Olbia)
− 54 Capitanerie di porto
− 48 Uffici Circondariali Marittimi
− 126 Uffici Locali Marittimi
− 38 Delegazioni di Spiaggia
− 1 Autorità Marittima dello Stretto di Messina.
Inoltre fanno parte del Corpo:
− la componente aeronavale;
− la stazione satellitare COSPAS/SARSAT di Bari per la ricerca e il soccorso in mare (in
sinergia con la Protezione Civile)
− 5 Nuclei Operatori Subacquei
− il R.A.M. (Reparto Ambientale Marino) presso il Ministero dell’ambiente e della tutela
del territorio)
− il Reparto Pesca presso la Direzione generale della Pesca del Ministero per le Politiche
agricole e del territorio)
− il Nucleo Unità Navali Lago di Garda e il Nucleo Unità Navali Lago Maggiore.
Fra le principali linee di attività che interessano più da vicino il nostro studio, riveste
particolare evidenza, nel settore della polizia tecnico – amministrativa marittima, la disciplina
della sicurezza della navigazione, della balneazione e in genere delle attività ad esse connesse
che si svolgono sul demanio marittimo e lungo i litorali marini.
Tale attività sotto il profilo normativo si esplica attraverso l’emanazione dell’Ordinanza di
sicurezza balneare redatta a cura dei Capi degli Uffici Circondariali Marittimi, cui compete exart. 59 del Regolamento di esecuzione del Codice della Navigazione il potere di ordinanza, unita
all’attività di sorveglianza e controllo del puntuale adempimento di quanto da essa previsto.
In linea generale, l’ordinanza si applica a chiunque gestisca, o abbia in uso a qualunque
titolo, strutture o attività destinate alla balneazione e spiagge libere frequentate da bagnanti,
compresi i rispettivi specchi acquei antistanti. Alcune prescrizioni di sicurezza si applicano
direttamente anche ai bagnanti.
A titolo esemplificativo, l’ordinanza individua e definisce le zone di mare riservate ai
bagnanti (di solito 300 metri dalla spiaggia e 200 metri dalle coste alte o a picco sul mare),
compreso il limite entro il quale possono effettuare la balneazione in sicurezza le persone non
esperte nel nuoto (m 1,60 di profondità) e anche quelle vietate ai bagnanti, e definisce
compiutamente l’operatività dei Servizi di salvataggio che debbono obbligatoriamente essere
organizzati a cura del gestore sulle spiagge gestite in concessione ai privati (normalmente un
bagnino di salvataggio ogni 80 metri di litorale o frazione di esso, limite esteso su certe spiagge
a 200) negli orari e nel periodo ricompreso fra le date indicate dall’ordinanza per l’inizio e la
fine della stagione balneare. Per le spiagge libere in cui non vige l’obbligo della presenza del
bagnino di salvataggio, i Comuni rivieraschi, qualora non provvedano autonomamente (la quasi
totalità) debbono apporre sulla spiaggia adeguata segnaletica in più lingue, recante la dicitura
Balneazione non sicura per mancanza di apposito servizio di salvataggio. L’ordinanza indica
altresì in maniera dettagliata le modalità di svolgimento del servizio, nonché le attrezzature e le
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Rapporti ISTISAN 12/23
dotazioni obbligatorie a corredo di ogni postazione di salvataggio, sia di tipo tecnico
marinaresco, sia del materiale di primo soccorso sanitario.
Di solito, l’ordinanza contiene inoltre le norme che disciplinano:
− le immersioni subacquee
− lo sci nautico, il paracadutismo ascensionale, il traino di banana boat e di piccoli
gommoni
− il kite-surf
− la navigazione con moto d’acqua e similari
− la navigazione con tavola a vela (windsurf) e con natanti a vela con deriva mobile
− i corridoi di lancio riservati alle unità a motore, a vela o a vela con motore ausiliario
− l’attività delle scuole di vela e delle scuole di tavola a vela
− eventuali prescrizioni particolari proprie di particolari esigenze/attività che si svolgono
nell’ambito della giurisdizione marittima dell’Ufficio Circondariale Marittimo che ha
emanato l’ordinanza.
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Rapporti ISTISAN 12/23
ANNEGAMENTO:
FISIOPATOLOGIA E PRIMO INTERVENTO
Riccardo Ristori
Direttore Sanitario Società Nazionale di Salvamento, Genova
Come stabilito dalla Conferenza Mondiale sulla Prevenzione dell’Annegamento (WCDP) del
2002, si definisce sindrome da sommersione o semiannegamento la disfunzione respiratoria
primaria che deriva dalla sommersione/immersione in un mezzo liquido, mentre l’annegamento
è un termine post mortem usato per indicare le vittime decedute in seguito a
sommersione/immersione in un mezzo liquido.
Fisiopatologia
Durante la sommersione l’acqua può essere ingerita o inalata; in entrambi i casi, a secondo
della quantità di acqua entrata nel corpo, l’alterazione fisiopatologica più significativa che si
può determinare è l’ipossia (la riduzione del livello di ossigeno nel sangue).
L’ingestione di acqua determina innalzamento del diaframma che provoca difficoltà
respiratoria e aumento del riflesso del vomito; quindi aumenta la possibilità d’inalazione di
vomito nelle vie respiratorie, con conseguenti potenziali serie ostruzioni e danni gravi.
L’inalazione di piccole quantità di liquido porta a tosse e raramente, a laringospasmo (spesso
breve), che provoca aumento dell’ipossia. Inalazioni di maggiori quantità di acqua determinano
laringospasmo di durata variabile, distruzione del surfattante, ipossiemia grave, edema
polmonare, apnea, perdita di coscienza, arresto cardiaco. I disturbi respiratori dipendono quindi
dalla quantità di acqua inalata e non dalla sua qualità; indipendentemente dal fatto che sia dolce
o salata, l’acqua nei polmoni produce edema polmonare non cardiogeno e distruzione del
surfattante.
L’edema polmonare non cardiogeno insorge a seguito dell’ingresso di acqua negli alveoli;
l’accumulo di liquido al loro interno impedisce lo scambio gassoso e genera ipossia già nei
primissimi minuti dell’inalazione. La permanenza di acqua negli alveoli distrugge il surfattante;
questa proteina consente agli alveoli di mantenere la loro forma sferica propria a garantire gli
scambi respiratori, l’ingresso di acqua nel polmone lo distrugge e provoca il graduale collasso
dell’alveolo, nel quale quindi non avviene più lo scambio respiratorio, contribuendo a
peggiorare l’ipossia. Normalmente il contenuto di ossigeno nel sangue arterioso ha una
pressione (PaO2) di almeno 80 mmHg, ma in conseguenza a piccole inalazioni di liquido la
PaO2 diminuisce a circa 60 mmHg già entro 3 minuti e il polmone riduce la sua funzionalità
anche del 40%, determinando ulteriore caduta dei livelli di PaO2.
Se non interrotta, l’ipossia in corso di annegamento produce una ben stabilita sequenza di
deterioramento cardiaco.
− Tachicardia: iniziale aumento della frequenza cardiaca dovuto anche allo stato di
agitazione.
− Bradicardia: esaurimento cardiaco con progressiva diminuzione della frequenza cardiaca,
accompagnata da insorgenza d’ipotermia e perdita di coscienza.
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Rapporti ISTISAN 12/23
− Attività elettrica senza polso: fase di arresto cardiaco in cui l’attività elettrica delle cellule
cardiache è ancora presente ma non riesce a generare contrazioni cardiache efficaci.
− Asistolia: perdita completa del ritmo cardiaco e dell’attività elettrica.
Linee guida dell’International Liaison Committee on
Resuscitation (ILCOR)
Le linee guida dell’ILCOR 2010 danno alcune importanti informazioni, di seguito riportate e
commentate, in merito alla rianimazione nel caso di infortunato vittima di sommersione.
1. Una rilevante novità introdotta dall’ILCOR 2010 è che la sequenza di Basic Life Support
(BLS), a distanza di 40 anni, non è più “ABC” (Apertura delle vie aeree, Respirazione,
Circolazione) ma “CAB” (Circolazione, Apertura delle vie aeree, Respirazione). Tuttavia,
le linee guida raccomandano di individuare la presunta causa dell’arresto e di regolarne
l’adeguata sequenza rianimatoria. Per questo motivo nell’infortunato da sommersione il
BLS deve essere eseguito con il tradizionale approccio “ABC” in considerazione della
natura ipossica dell’arresto. La conseguenza più grave della sommersione è, infatti,
l’ipossia; il compito del soccorritore è di ripristinare il più rapidamente possibile
l’ossigenazione e la ventilazione.
2. Rianimazioni prolungate con pieno recupero neurologico si sono verificate a volte dopo
immersione prolungata in acqua fredda e, in alcuni casi, in acqua calda. Per questo
motivo, la rianimazione deve essere iniziata sulla scena e l’infortunato trasportato al
pronto soccorso, sempre che non ci siano segni evidenti di morte (rigor mortis,
decomposizione, decapitazione, emisezione, ecc.). Molto spesso dinanzi all’infortunato
da sommersione si assiste a rianimazioni di breve durata, dando l’infortunato per morto o
privo di speranza; è da tenere però in considerazione che nell’arresto cardiaco da
sommersione il cuore è anossico, acidotico e ipotermico: queste particolarità, proprie
della sommersione e non dell’arresto cardiaco primario, hanno fatto sì che rianimazioni
prolungate abbiano consentito la ripresa del battito cardiaco e, nel tempo, un pieno
recupero neurologico.
3. Durante la rianimazione i tentativi di drenaggio dell’acqua dai polmoni eseguiti ponendo
la testa dell’infortunato verso il basso o praticando la manovra di Heimlich aumentano di
5 volte il rischio di vomito e inalazione, con significativo aumento della mortalità (19%)
rispetto al posizionamento dell’infortunato in allineamento orizzontale. Cominciare la
rianimazione con 2-5 ventilazioni artificiali aumenta di 3 volte la possibilità di
sopravvivenza.
4. Il trattamento prioritario dell’infortunato da sommersione è l’immediata ventilazione e
ossigenazione. La rianimazione in acqua (solo ventilazione) fornisce all’infortunato una
possibilità di sopravvivenza 3,15 volte maggiore. In acqua la ventilazione bocca-naso può
essere utilizzata come alternativa al bocca a bocca, essendo più semplice da eseguire.
5. Il massaggio cardiaco di alta qualità deve essere eseguito facendo compressioni al centro
del torace che determinino una deflessione di almeno 5 cm di profondità e alla velocità di
almeno 100 compressioni al minuto; il rapporto ottimale è 30 compressioni/2
ventilazioni.
6. Se dopo le 2 ventilazioni di soccorso, l’infortunato non riprende coscienza o respiro,
anche se difficilmente il sommerso presenterà un ritmo defibrillabile, i soccorritori
devono collegare il defibrillatore semiautomatico, asciugando il torace prima di collegare
gli elettrodi.
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Rapporti ISTISAN 12/23
UTILIZZO DEI DATI DI SOCCORSO DEI BAGNINI
PER LA COSTRUZIONE DI UN INDICE
DI PERICOLOSITÀ DELLE SPIAGGE
Dario Giorgio Pezzini, Pierangelo Simonini
Società Nazionale di Salvamento, Genova
La Società Nazionale di Salvamento ha incaricato alcune cooperative di bagnini di
raccogliere su apposite schede di rilevazione i dati relativi ai salvataggi effettuati durante la
stagione estiva 2011. I dati raccolti fanno riferimento esclusivo ai salvataggi in mare. Sono stati
esclusi i dati relativi ad altri incidenti (quelli avvenuti sulla spiaggia o quelli in cui la vittima
dell’incidente non correva il serio pericolo di annegare). La raccolta di questi dati si inserisce in
una ricerca iniziata ormai da vari anni e che durerà ancora qualche anno che presentiamo,
comunque, per la significatività in se stessa dei dati raccolti. Vale, inoltre, la pena di evidenziare
alcuni accorgimenti organizzativi utilizzati dalle varie cooperative che possono indicare a molte
altre spiagge il cammino da intraprendere.
Le cooperative sono state scelte con due criteri, il primo dei quali è stata l’affidabilità delle
organizzazioni preposte. Come sa chiunque si occupi dell’argomento, è difficilissimo reperire
questi dati direttamente dai bagnini, spesso attentissimi nelle loro mansioni operative, ma restii
a tradurre “in forma burocratica” il risultato del loro lavoro. Semplicemente, il rapporto di un
salvataggio, che è in molti Paesi la registrazione più normale di un intervento, non fa parte della
nostra tradizione o della nostra mentalità di operatori del soccorso in spiaggia. Ciò comporta
purtroppo la perdita di dati preziosissimi.
Il secondo criterio utilizzato nella scelta delle cooperative di bagnini è stata la tipologia delle
spiagge sulle quali queste sono operative. La ricerca, nella quale l’SNS è impegnata ormai da
vari anni, mira infatti alla costruzione di un indice di pericolosità delle spiagge.
In base ai criteri sopra menzionati sono state selezionate le seguenti cooperative:
Cooperativa Spiagge Ravenna, operativa in Romagna sul litorale ravennate; Cooperativa
Maresicuro (Carrara) operativa in Liguria e Toscana; Coop Mareva (S. Severo, Foggia),
operativa in Puglia-Abruzzo. I responsabili della raccolta dei dati sono, rispettivamente: Simona
Tarlazzi e Corrado Riva, coordinatori della cooperativa di Ravenna; Matteo Baccei e Bruno
Nicoli, direzione di Mare sicuro; Alberto Tricarico e Ettore Ariano (presidente e coordinatore,
rispettivamente, di Mareva), cui tutti va il nostro più sentito ringraziamento. In appendice 2 del
presente volume vi è un’ampia elaborazione dei dati relativi ai soccorsi effettuati dalle tre
cooperative, curata dal dott. Pierangelo Simonini dell’SNS.
La cooperativa di Ravenna
Quella di Ravenna è una cooperativa organizzata dagli stessi stabilimenti balneari. Il litorale
ravennate è lungo circa 37 km ed è diviso in 8 “lidi”, con ampi tratti di spiagge libere (tra cui
quella, molto nota, di Bassona, lunga 8 km); i bagnini sono in totale 80, ciascuno dei quali copre
un fronte di 220 m. Il fronte di sorveglianza, molto ampio (il massimo previsto dall’ordinanza
balneare della Regione Emilia Romagna è di 200 m, con un 10% di lasco), si giustifica col fatto
che, in tal modo, vengono unificate le spiagge più importanti dei vari lidi, coprendo,
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Rapporti ISTISAN 12/23
indifferentemente, anche i tratti di spiaggia libera compresi tra uno stabilimento balneare e
l’altro. Ciò comporta, evidentemente, dei costi. A differenza delle altre cooperative, nelle quali
gioca un ruolo rilevante l’organizzazione di squadra e la vicinanza dei bagnini tra loro, qui
ciascun bagnino è un’unità operativa a sé, raccordato agli altri da un caposquadra per ogni lido.
Una conseguenza indiretta positiva è l’eccellente livello di professionalizzazione dei bagnini
impiegati (i bagnini hanno un’età media più alta di quella delle altre cooperative e un periodo
più lungo di anzianità di servizio); inoltre vengono ben allenati e preparati dalla stessa
cooperativa. Non potrebbe essere diversamente perché quello ravennate è uno dei tratti più
impegnativi dell’intero Adriatico (si confronti del resto con l’alto tasso di annegamenti riportato
nei dati elaborati dal Rapporto ISTISAN 11/13).
Le spiagge sorvegliate – suddivise in “lidi” (con cui si indicano i paesi che insistono sulla
costa e che possono essere considerati come unità balneari, “spiagge”) – sono quelle di: Casal
Borsetti; Marina Romea; Porto Corsini - Marina di Ravenna; Punta Marina; Lido Adriano; Lido
di Dante; Lido di Classe; Lido di Savio.
La caratteristica prevalente, sotto l’ovvio profilo di nostro interesse (il pericolo che
presentano per la balneazione) è che le spiagge sono, quasi tutte, artificializzate e presentano
una vasta gamma di soluzioni ingegneristiche (pennelli, barriere, suffolte, vasche). I dati
vengono presentati suddivisi tra i vari lidi proprio perché registrano pericoli diversi (che, in una
presentazione diretta “al pubblico” abbiamo preferito non evidenziare per le complicazioni
tecniche implicate). Il litorale ravennate è esposto a tre fetch (da N-NE, E, SE) con una bassa
altezza d’onda (normalmente inferiore al metro nella zona dei frangenti) il che permette un’alta
operatività col pattino.
La cooperativa Mare Sicuro (Carrara)
La cooperativa Mare sicuro opera a cavallo tra la Liguria e la Toscana. Le spiagge
sorvegliate, da cui sono tratti i dati, sono quelle di Levanto e Bonassola in Liguria, Marina di
Carrara, Donoratico, la spiaggia della Partaccia e un breve tratto di Marina di Massa in Toscana.
Le spiagge sono accorpate nei dati perché le prime sono spiagge ripide (quella di Bonassola è
una spiaggia ripidissima, “ad un frangente”), le seconde, spiagge dominate dalle correnti
(buche), e le altre artificializzate. Uno degli scopi della ricerca è appunto quello di raccordare i
dati relativi ai salvataggi con i pericoli caratteristici delle varie spiagge. I bagnini sono circa 100
e operano su fronti di sorveglianza di 80 m (con esclusione di Donoratico, dove il fronte è più
ampio).
Anche su queste spiagge sono coperte dalla sorveglianza della cooperativa,
indifferentemente, le spiagge libere e quelle in concessione a privati. Forse è questo il dato più
importante da sottolineare (che nella scelta delle cooperative abbiamo tenuto ben presente), ma,
quanto alle spiagge di Levanto, Bonassola e, soprattutto di Donoratico, vale la pena di fare
qualche precisazione. Mentre sulle altre spiagge i tratti di spiaggia libera coperti sono brevi tratti
interstiziali tra spiagge in concessione a privati, su Bonassola e Levanto l’intera spiaggia,
suddivisa equamente tra quella pubblica e quella privata, è sottoposta allo stesso servizio. Il
Comune di Bonassola e l’Azienda Speciale del Comune di Levanto si fanno carico dei costi.
Sono esempi, in un panorama desolante, di Comuni virtuosi.
Il caso di Donoratico è un po’ a sé e vale la pena di descriverlo più nei particolari perché, a
differenza di Levanto e Bonassola, si tratta di una grande, lunga spiaggia sabbiosa. La spiaggia
di Donoratico è la marina del Comune di Castagneto Carducci, un Comune di 8.500 abitanti in
provincia di Livorno che presenta un litorale di 13,5 km, molto pericoloso per la balneazione
perché è una spiaggia dominata dalle correnti (buche), in gran parte spiaggia libera. Le spiagge
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Rapporti ISTISAN 12/23
in concessione a privati coprono infatti solo 2.180 m. Nel 2005 si sono verificati 6 casi di
annegamento, un dato eclatante che ha obbligato il Comune a cercare una soluzione. A tal fine
viene chiamata la Cooperativa Mare Sicuro che, col Comune e la Capitaneria di porto di
Piombino, appronta un piano collettivo di salvataggio, e in un pool di attori formato dal Comune
stesso, gli stabilimenti balneari e gli operatori turistici della zona (che si tassano per l’occasione,
caso unico in Italia) si decide di sorvegliare un tratto di circa 4 km con 17-18 postazioni. Dal
2006 al 2011, nel tratto sorvegliato durante la stagione balneare, non si verificano altri casi di
annegamento.
I punti da sottolineare in questa operazione sono tre. Il primo è l’idea che, non solo il
Comune e gli stabilimenti balneari, ma tutti gli operatori turistici (campeggi, agriturismi,
alberghi, ecc., cioè l’intera comunità balneare) che ricavano dalla stagione balneare e la spiaggia
una fonte di reddito si devono rendere responsabili della incolumità dei loro ospiti (anche
quando vanno a fare il bagno). La seconda è una serie di accorgimenti che vengono utilizzati
nella preparazione del piano collettivo di salvataggio. A differenza delle altre spiagge
esaminate, che presentano comunque un piano di sorveglianza collettivo e organizzano il
servizio con squadre di bagnini, quella di Donoratico ha una spiaggia libera con una grande
estensione, più di 11 km (una situazione simile a quella di molti Comuni dell’Italia centro
meridionale). Gli accorgimenti tecnici del piano collettivo sono soprattutto due. In primo luogo
viene deciso di sorvegliare un ampio tratto di spiaggia (in concessione o libera) dove vengono
dirottati gli utenti scrupolosamente avvertiti (tramite cartelli e una segnalazione efficace); in
secondo luogo, col mare mosso, la bandiera rossa indica la non balneabilità di ampi tratti,
particolarmente pericolosi (presenza di buche): i bagnanti possono fare il bagno solo su tratti
sicuri, delimitati con attenzione. Sono provvedimenti semplici, che azzerano però la mortalità di
annegamento.
Un altro punto che il caso di Donoratico mette in evidenza è, come sulle altre spiagge, il
ruolo di un beach manager, un operatore che è in grado di fare una valutazione dei rischi di una
spiaggia nella sua totalità, suggerendo e approntando le soluzioni tecniche per farvi fronte
mediante un piano collettivo. Spesso chi fa il piano, cooperando con le autorità (Comune,
Capitaneria di porto e gli operatori privati) è lo stesso, ma non necessariamente, che deve poi
curarne la realizzazione durante l’estate.
La nostra associazione ha da anni dedicato grande attenzione nella preparazione di strumenti
per la formazione dei beach manager, una figura professionale che sta emergendo anche in
Italia. In un panorama europeo ben diverso (dove le spiagge sono viste nella loro totalità e
organizzate di conseguenza con squadre di bagnini che operano, indipendentemente dalle
istanze “private” e commerciali, secondo le regole di un piano collettivo finalizzato alla
sicurezza dei bagnanti), il sistema italiano, è stato quello di associare il servizio di salvataggio
ad una concessione privata (nella maggior parte dei casi uno stabilimento balneare) con un
bagnino che si occupa quasi esclusivamente del proprio, limitatissimo tratto di spiaggia e che è
adibito a tutta una serie di compiti che col salvataggio spesso non hanno niente a che fare .
La cooperativa Mareva (S. Severo, FG)
Descrivere questa cooperativa è abbastanza semplice perché molte delle cose dette delle altre
valgono anche per questa. La cooperativa controlla due spiagge, quella di Marina di Lesina (FG)
e quella di Vasto (CH) con 69 bagnini, e utilizza le stesse tecniche organizzative con la
preparazione di piani collettivi molto accurati (e la copertura di brevi interstizi di spiagge
libere). Le due spiagge appartengono allo stesso habitat, ovvero sono spiagge “piatte” (vengono
indicate entrambe come “Lesina”, nei dati), diverse tra loro solo per il differente orientamento
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Rapporti ISTISAN 12/23
rispetto al moto ondoso dominante: le due spiagge infatti sono poste quasi ad angolo tra loro.
Ciò modifica l’orientamento dei banchi di sabbia lungo la spiaggia, ma non ne altera il rischio
complessivo. Sono spiagge probabilmente meno pericolose delle altre viste sopra, ma
soprattutto il controllo effettuato da bagnini (con postazioni, rispettivamente, ogni 80 e 150 m)
gode di un’ottima organizzazione di squadra che rende conto, grazie ad una maggiore capacità
di prevenzione, del numero più basso degli interventi effettuati.
Le risposte che vogliamo ottenere da questa ricerca sul campo riguardano, in primo luogo,
l’utilità sociale dei bagnini. È nostra opinione che l’immagine sociale del bagnino di salvataggio
non renda pienamente merito del ruolo esercitato sulle spiagge. Sebbene siano presentati anche
altri dati interessanti (che indicano l’età delle persone salvate, per esempio, o il rapporto tra i
salvataggi e la richiesta di intervento del 118), che confermano i dati che raccogliamo da anni,
l’elemento davvero significativo riguarda il numero complessivo dei salvataggi effettuati. I dati
raccolti indicano, come detto, salvataggi nei quali la probabilità di morte per le persone soccorse
è alta. Complessivamente sono, per 250 bagnini impiegati dalle tre cooperative, 180 persone
soccorse, cioè “salvate”, molte delle quali da morte certa.
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Rapporti ISTISAN 12/23
DATI DI MORTALITÀ 2008
Marco Giustini, Stefania Trinca
Dipartimento di Ambiente e Connessa Prevenzione Primaria, Istituto Superiore di Sanità, Roma
Sono stati considerati come casi di annegamento mortale tutti quei decessi ricompresi
nella classificazione ICD10 nel codice T751, ovvero che abbiano presentato una causa
violenta ricompresa tra i codici W650 e W749.
I casi così identificati risultano essere 426, con un incremento di 39 casi rispetto all’anno
precedente (+9,0%) ma sostanzialmente in linea con gli analoghi dati degli ultimi anni 12
anni ove la mortalità è in una forbice compresa tra i 361 casi del 1999 e i 443 dell’anno
successivo. Questa naturale oscillazione del fenomeno attorno ad un valore medio di poco
inferiore ai 400 casi/anno ci induce ad essere molto cauti nel dare eccessivo peso
all’incremento osservato nel 2008. Purtroppo dobbiamo segnalare come ancora una volta
nei fatti mancano indicazioni affidabili e precise su dove si sia verificato l’evento in quanto
nel 77,2% dei casi non si dispone delle informazioni circa la dinamica dell’incidente (nel
2007 era 78,3%) e anche laddove si fa riferimento a cause specifiche (essenzialmente ci
riferiamo al codice W69 Annegamento e sommersione in acque naturali) non si hanno
informazioni sulla tipologia di corpo idrico nel quale il soggetto è annegato (mare, fiume,
lago, ecc...), che invece sarebbero oltremodo importanti per le considerazioni da fare in
merito alle possibili strategie efficaci di prevenzione.
I dati mostrano come il fenomeno sia concentrato essenzialmente tra il genere maschile
(81%). L’età media alla morte è risultata di 48,6 anni (sd±22,98), mentre l’età mediana è
risultata essere di 50 anni, con il primo e terzo quartile rispettivamente collocati a 29 e 68
anni. La distribuzione dei casi di annegamento per età al momento del decesso presenta un
indice di asimmetria prossimo allo 0 (skewness = -0,12) in ragione del fatto che i casi
risultano essere simmetricamente distribuiti al valore mediano, che a sua volta è anche
vicino al valore della media. Suddividendo i casi per classi di età e sesso (Tabella 1),
osserviamo come nei bambini, che contano 25 casi, maschi e femmine sono equamente
distribuiti, il che lascia presupporre che ancora a questa età non sia così marcata una
differenza di genere per quanto attiene l’aspetto comportamentale, cosa che puntualmente
comincia a verificarsi a partire dall’adolescenza quando i maschi tendono ad avere
comportamenti più inclini all’audacia e quindi anche all’acquisizione di rischio. Le
femmine, invece, continuano a presentare un basso numero di casi mortali tanto da contare,
da 0 fino ai 49 anni, appena 27 eventi, ovvero quasi ¼ dei decessi che si verificano soltanto
tra i maschi di età compresa tra i 30 e i 49 anni.
Tabella 1. Mortalità per annegamento per genere e classi di età (Italia 2008)
Classe di età
0-13 anni
14-29
30-49
50-69
70 e oltre
Totale
Maschi
Femmine
Totale
13
76
94
93
65
341
12
9
6
22
32
81
25
85
100
115
97
422
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Rapporti ISTISAN 12/23
A tal proposito si considerino i dati riportati in Tabella 2 che mostrano il rapporto di
mortalità tra maschi e femmine nelle diverse classi di età. Risulta del tutto evidente come si
possano ravvisare 3 tipologie di situazione differenti. Nei bambini fino a 13 anni il rapporto
M/F è molto vicino ad 1, il che significa che per ogni femmina che muore annegata si conta
circa 1 maschio. Nei giovani (14-29 anni) questo rapporto si impenna repentinamente (8,4) ed
esplode letteralmente tra i giovani-adulti ove per ogni persona di sesso femminile che muore se
ne contano quasi 16 di sesso maschile. Poi il rapporto torna a scendere tra gli adulti-maturi, per
poi dimezzarsi ulteriormente negli anziani ove si tornano a contare solo 2 maschi per una
femmina che annega.
Tabella 2. Rapporto maschi/femmine per classi di età (Italia 2008)
Classe di età
Rapporto M/F
0-13 anni
14-29
30-49
50-69
70 e oltre
Totale
1,1
8,4
15,7
4,2
2,0
4,2
Questa diversa distribuzione del rapporto di mortalità mette in evidenza come le dinamiche
sottese a questi eventi sono differenti per classe di età. Per i bambini si tratta evidentemente di
un problema connesso alla mancanza di attenzione da parte degli adulti il che colpisce
indistintamente tanto i maschi quanto le femmine. Nei ragazzi, le strade tra maschi e femmine si
dividono. Mentre le femmine continuano a presentare pochi casi e tassi estremamente contenuti,
nei maschi il fenomeno aumenta repentinamente, tanto nel numero dei casi quanto nel tasso
corrispondente. La Tabella 3 mostra il valore dei tassi grezzi di mortalità per annegamento nelle
varie classi di età. Analizzando il fenomeno dal punto di vista del tasso di mortalità, le cose
cambiano un poco perché in questo caso per entrambi i generi sono gli anziani a presentare i
tassi più elevati.
Tabella 3. Tassi di mortalità per annegamento per genere e classi di età (Italia 2008)
Classe di età
0-13 anni
14-29
30-49
50-69
70 e oltre
Totale
Maschi
3,21
14,60
10,05
13,27
18,36
11,70
Femmine
Totale
3,14
1,80
0,65
2,94
6,04
2,62
3,18
8,32
5,36
7,94
10,98
7,03
Prendendo come baseline il valore del tasso di mortalità per annegamento età-sesso specifico
più basso (ovvero quello delle femmine di età compresa tra i 30 e i 49 anni ove si verificano
0,65 casi su un milione di donne di questa fascia di età) è possibile ricostruire una tabella con i
rischi relativi di mortalità per annegamento dati dal rapporto tra i veri tassi di mortalità età-sesso
specifici e il valore target scelto. In Tabella 4 sono riportati i valori dei diversi Rischi Relativi
(RR). Si osservi come il RR è particolarmente elevato nei maschi, soprattutto tra i 15 e 29 anni e
oltre i 70 anni di età.
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Rapporti ISTISAN 12/23
Tabella 4. Rischio Relativo di mortalità per annegamento per genere e classi di età (Italia 2008)
Classe di età
Maschi
Femmine
4,98
22,61
15,57
20,55
28,44
4,86
2,78
1,00
4,56
9,36
0-13 anni
14-29
30-49
50-69
70 e oltre
Essendo l’annegamento un fenomeno collegato con le attività di balneazione (ma non solo), i
dati nella Figura 1 mostrano una concentrazione di casi nei tre mesi estivi (giugno/agosto)
quando si verificano la metà dei casi (50,5%). Vi è, comunque, una sorta di “rumore” di fondo,
stimabile in 15-20 casi/mese presente durante il periodo invernale (novembre/marzo).
90
77
80
80
70
58
60
50
40
30
20
35
32
28
20
17
15
feb
mar
29
16
19
10
0
gen
apr
mag
giu
lug
ago
set
ott
nov
dic
Figura 1. Mortalità per annegamento in Italia per mese di decesso
Più di un soggetto su 5 (20,9%) tra coloro che sono annegati è risultato essere non residente
in Italia, ma principalmente in Romania (18 decessi su 89 residenti stranieri, pari al 20,2%),
Germania (12,4%), Marocco (11,2%) e Francia (7,9%), mentre nel 16,9% dei casi la
cittadinanza è risultata essere non nota. Come è intuibile differenti sono le tipologie di rischio
sottese a questi gruppi e di ciò ne possiamo avere una idea osservando le caratteristiche
geografiche dei luoghi degli incidenti e quelle socio-anagrafiche dei soggetti annegati. In
relazione al luogo e al periodo dell’incidente, i casi attribuiti a tedeschi e francesi si sono
verificati chiaramente durante periodi di vacanza balneare, tutti in luoghi tipicamente frequentati
dal turismo estivo, mentre i soggetti residenti in Romania e Marocco hanno riportato eventi
maggiormente distribuiti da un punto di vista territoriale, nella metà dei casi accaduti in Comuni
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Rapporti ISTISAN 12/23
ove non sono presenti aree balneabili. Peraltro, in quest’ultimo caso, si tratta di soggetti
particolarmente giovani (età media 29,1 anni, DS 11,3 anni), molto più giovani, sia del gruppo
franco/tedesco (età media 49,3 anni, deviazione standard (DS) 24,1 anni), sia dei soggetti
residenti in Italia (età media 52,0 anni, DS 22,9 anni).
Sempre rimanendo in tema di distribuzione territoriale degli eventi, un certo numero di casi è
concentrato in Comuni ove è ben noto il rischio di annegamento, in ragione di molteplici fattori,
dalla numerosità della popolazione comunque residente anche in assenza di sbocchi al mare
(Torino, Milano, Firenze), al sommarsi a questo fattore anche il fatto di avere uno sbocco sul
mare (Roma, Napoli, Palermo, Catania), al volume dei flussi turistici estivi (Rimini, Cesenatico,
Grado, Caorle, Cavallino-Treporti), ad altri fattori forse legati alle caratteristiche
geomorfologiche del territorio (fiumi, spiagge pericolose). Nella Tabella 5 vengono elencati in
ordine decrescente quei Comuni ove si è verificato il maggior numero di annegamenti.
Escludendo le aree metropolitane di Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo e Catania, la cui
popolazione residente fa sì che, inevitabilmente, si produrranno casi di annegamento non perché
vi siano particolari rischi legati al territorio, vi sono 2 Comuni che si affacciano sul mar Tirreno
(Pisa e Castel Volturno), ben 12 nel mar Adriatico (da Grado, ad Otranto, passando per
Cavallino-Treporti, Caorle, Comacchio, Ravenna, Cesenatico, Rimini, Pesaro, Pescara, Lesina e
Vieste). Un caso a parte sono i 6 decessi nel Comune siciliano di Mineo, che non ha affacci al
mare, né laghi e solo un piccolo corso d’acqua: si tratta, in questo caso, di sei operai deceduti
tutti – come riportava la cronaca – verosimilmente per asfissia da annegamento in un incidente
sul lavoro nel depuratore del luogo.
Tabella 5. Comuni ove si sono verificati almeno 3 casi di annegamento (Italia 2008)
Casi
Comune
Provincia
6
6
6
5
5
5
5
5
4
4
4
4
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
Palermo
Mineo
Rimini
Torino
Grado
Ravenna
Pisa
Castel Volturno
Cavallino-Treporti
Cesenatico
Roma
Napoli
Milano
Caorle
Comacchio
Ferrara
Pesaro
Firenze
Pescara
Lesina
Vieste
Otranto
Catania
Ragusa
Siracusa
Alghero
(PA)
(CT)
(RN)
(TO)
(GO)
(RA)
(PI)
(CE)
(VE)
(FC)
(RM)
(NA)
(MI)
(VE)
(FE)
(FE)
(PU)
(FI)
(PE)
(FG)
(FG)
(LE)
(CT)
(RG)
(SR)
(SS)
45
Rapporti ISTISAN 12/23
È interessante notare come l’annegamento sia un fenomeno che è, si, legato alle attività di
balneazione a loro volta strettamente connesse con i periodi di ferie caratterizzati spesso da
grandi esodi estivi e masse di popolazione che si spostano, tuttavia una analisi più approfondita
rivela come questo genere di eventi sia meno caratterizzato dalla “migrazione” delle persone di
quello che verrebbe da pensare e, invece, molto ancorato alla “stanzialità” o al luogo ove si
risiede. Nella Tabella 6 è riportato l’indice di migrazione (IM), costruito sulla base delle
informazioni desunte dal Comune di residenza e quello di decesso. In dettaglio si ha:
− IM=0 (annegamento verificatosi nello stesso Comune di residenza);
− IM=1 (annegamento verificatosi in un Comune diverso da quello di residenza, ma nella
stessa provincia)
− IM=2 (annegamento verificatosi in una provincia diversa da quella di residenza, ma nella
stessa Regione);
− IM=3 (annegamento verificatosi in una Regione diversa da quella di residenza).
Tabella 6. Distribuzione dei casi di annegamento in base all’Indice di Migrazione IM (Italia 2008)
IM
Casi
%
0
1
2
3
134
102
49
52
39,8
30,3
14,5
15,4
Dai dati della Tabella 6 (dalla quale sono esclusi i soggetti che risiedono all’estero) risulta
evidente come l’annegamento che spesso nell’immaginario collettivo accade durante le vacanze,
quando si parte e si va via, lontano da casa in realtà si verifica solo nel 15,4% dei casi (IM=3) o,
tuttalpiù, nel 29,9% dei casi se si considerano anche quei casi verificatisi nella stessa Regione,
seppur in province diverse da quelle ove si risiede (IM=2 o 3). Comunque, in ogni caso, si tratta
sempre di un numero minore di eventi rispetto a quanti si verificano con IM=0 (39,8%). E
quanto sia forte come attrattore del fenomeno il luogo di residenza emerge dalla considerazione
che si più trarre osservando la distribuzione dell’IM relativa ai soli mesi di luglio e agosto,
ovvero quelli tipici degli esodi estivi (Tabella 7) .
Tabella 7. Distribuzione dei casi di annegamento in base all’Indice di Migrazione IM durante i mesi
di luglio e agosto (Italia 2008)
IM
Casi
%
0
1
2
3
38
34
24
25
31,4
28,1
19,8
20,7
Anche se aumentano percentualmente i casi con IM=2 o 3, passando, complessivamente dal
29,9% al 40,5%, l’indice di massima stanzialità (IM=0) rimane sempre la modalità più
frequente con il 31,4% dei casi nel periodo estivo, contro il 39,8% di tutto l’anno.
46
Rapporti ISTISAN 12/23
Analisi di mortalità geografica a livello comunale
Analogamente a quanto è stato fatto nei Rapporti ISTISAN 11/13, in questo paragrafo
intendiamo dare un contributo finalizzato alla mappatura dei casi di annegamento sul
territorio italiano, per meglio comprendere, anche e solo da un punto di vista “visivo” dove
si colloca la maggior parte dei casi.
Per caratterizzare geograficamente i casi di annegamento è stata condotta un’analisi
basata sui dati desunti dalle statistiche delle Cause di morte, rese disponibili dall’ISTAT
che riguardano i decessi registrati nei singoli Comuni nell’arco di tempo che va dal 2000 al
2008, con la nota eccezione degli anni 2004 e 2005 per i quali l’Istituto Nazionale di
Statistica non ha prodotto queste informazioni.
I dati di mortalità acquisiti sono stati caricati su un Sistema Informativo Geografico
(GIS) realizzato con ArchGis 9.2, con il quale è stato implementato uno specifico
geodatabase che permette di corredare il dato relativo al decesso con una serie di numerose
altre informazioni presenti nelle varie cartografie digitalizzate del territorio italiano
previamente acquisite dal sistema GIS riguardanti i confini amministrativi, i dati idrologici
(laghi, fiumi, canali e corsi d’acqua), i dati geomorfologici (la tipologia delle coste,
l’altimetria) come pure dati alfanumerici di tipo demografico e socio-sanitario.
L’opportunità di caratterizzare dal punto di vista ambientale e soprattutto idrogeologico i
territori comunali interessati può contribuire a definire le aree geografiche a maggior rischio
e, se necessario, ad impostare in modo più approfondito il lavoro di ricerca di informazioni
sui singoli eventi, andando, quindi a colmare la ben nota lacuna informativa dei dati di
mortalità per annegamento che sono carenti di informazioni legate al luogo e alle modalità
in cui è avvenuto l’evento. In questo contesto il Database Geografico sugli Annegamenti
finora implementato è stato utilizzato sia per delineare, per ogni singolo anno, un quadro
della distribuzione geografica del fenomeno allo studio, caratterizzando i Comuni interessati
da tali eventi in base alla presenza di probabili fonti di rischio di tipo naturale quali: coste
marine, laghi, specchi d’acqua, fiumi, torrenti e canali, sia per proporre nuovi indicatori di
rischio derivanti dall’analisi dei dati sanitari relativi a più anni.
Lo studio di mortalità geografica a livello comunale ha come obiettivo principale quello
di indicare le aree nelle quali si è manifestato maggiormente il fenomeno degli annegamenti
al fine di individuare eventuali fattori di rischio per questa tipologia di incidenti.
Le zone geografiche interessate possono riguardare sia singoli Comuni, anche di grandi
dimensioni, sia aggregati di Comuni. L’associazione dei dati di mortalità con informazioni
di tipo geomorfologico, ambientale e socioeconomico di tali aree potrà consentire di
approfondire il quadro della distribuzione geografica del fenomeno allo studio,
caratterizzando i Comuni interessati da tali eventi in base alla presenza di probabili fonti di
rischio di tipo naturale quali: coste marine, laghi, specchi d’acqua, fiumi, torrenti e canali,
sia per proporre nuovi indicatori di rischio derivanti dall’analisi dei dati sanitari relativi a
più anni.
Sulla base dei dati di mortalità ISTAT nel 2008 sono stati registrati in Italia 426 casi di
mortalità per annegamento che hanno interessato 305 Comuni distribuiti in tutte le Regioni;
in altre parole, prendendo come riferimento tutti i Comuni presenti sul territorio nazionale,
ogni 27 Comuni ce n’è uno che nel 2008 ha registrato almeno 1 caso di annegamento. Come
illustrato in Tabella 8, che rappresenta il numero di decessi e il numero di Comuni
interessati per Regione, tra le Regioni con il maggior numero di eventi registrati e Comuni
interessati compaiono, oltre a Regioni che si affacciano sul mare, anche Regioni non
costiere – ma densamente popolate – come la Lombardia (47 Comuni e 55 casi) e il
Piemonte (20 Comuni e 25 decessi).
47
Rapporti ISTISAN 12/23
Tabella 8. Comuni interessati e numero di decessi per annegamento verificatisi nel 2008 per Regione
Regione
Lombardia
Veneto
Emilia Romagna
Sicilia
Puglia
Toscana
Piemonte
Campania
Sardegna
Calabria
Lazio
Marche
Liguria
Abruzzo
Friuli
Trentino Alto Adige
Umbria
Molise
Valle d’Aosta
Basilicata
N. Comuni
Decessi totali
47
41
23
20
21
20
20
13
14
17
13
10
9
9
7
9
5
4
2
1
55
55
41
36
31
27
25
22
21
20
18
16
13
12
12
10
5
4
2
1
Approfondendo l’analisi dei dati sulla base dei decessi avvenuti risulta che in 233 Comuni
(pari al 76,7 % dei territori in cui si è verificato almeno 1 caso di annegamento) si è registrato
un solo caso di annegamento, in 64 Comuni (pari al 20,7%) si sono registrati da 2 a 4 casi di
annegamento, mentre in 8 Comuni (pari al 2,6%) sono avvenuti da 5 a 6 annegamenti, come
indicato in Tabella 9 nella quale i Comuni sono raggruppati anche sulla base delle loro
caratteristiche ambientali.
Tabella 9.
Comuni che hanno registrato casi di mortalità per annegamento nel 2008 in base alle
caratteristiche ambientali prevalenti
Numero di casi
x Comune
1 caso
da 2 a 4 casi
da 5 a 6 casi
Totali
Numero
totale di Comuni
Comuni
litoranei
Comuni con laghi
e/o fiumi
Comuni privi
di acque di
balneazione
233
64
8
305
94
46
6
146
109
18
2
129
30
0
0
30
La classificazione dei Comuni interessati in base alle loro caratteristiche geo-idrologiche
evidenzia che le località marine litoranee sono 146 (47,9%), in 129 casi (42,3 %) si tratta invece
di Comuni interni interessati dalla presenza di laghi e/o corsi d’acqua superficiali. Nei rimanenti
30 Comuni (9,8 %) non si registra la presenza di corpi idrici utilizzabili per attività di
balneazione. Va inoltre sottolineato che in ciascuno di questi 30 Comuni, situati
prevalentemente in Lombardia, Veneto, Emilia e Toscana, è stato registrato un solo caso di
annegamento. Anche se, come è stato già sottolineato e come mette bene in evidenza la tabella
11, gli annegamenti non riguardano necessariamente il mare o le acque di balneazione, i
Comuni che hanno registrato eventi multipli più numerosi (5-6 casi) sono concentrati
essenzialmente nei territori litoranei. Infatti, degli 8 Comuni che hanno registrato nel corso del
48
Rapporti ISTISAN 12/23
2008 cinque o più casi di annegamento, ben 6 sono Comuni litoranei e rappresentano il 4,1% di
tutti i Comuni che hanno un affaccio al mare, percentuale che scende all’1,5% nei Comuni con
fiumi o laghi.
Ovviamente anche negli annegamenti esistono, come per la circolazione stradale, i cosiddetti
“punti neri”, ovvero luoghi in cui si addensano in maniera particolare questi eventi. Spesso si
tratta di territori conosciuti, in cui “si sa” che li ogni anno o quasi “ci scappa il morto”. Tuttavia,
va sottolineato che tra i 305 Comuni allo studio per il 2008, ve ne sono ben 123 (ovvero il
40,3% dei casi) che non hanno mai registrato annegamenti negli anni precedenti (dal 2000 al
2007) mentre 182 Comuni compaiono anche negli anni precedentemente studiati.
La Figura 2 rappresenta la distribuzione geografica del fenomeno sull’intero territorio
nazionale, anche in questo caso i Comuni interessati sono stati classificati sulla base del numero
di decessi registrati (1 caso, da 2 a 4 casi, ad 5 a 6 casi).
Figura 2. Distribuzione geografica dei Comuni italiani per numero di annegamenti - 2008
Dall’analisi congiunta della mappa e delle tabelle su descritte si evince come numerosi
Comuni interni appartengano prevalentemente alle Regioni del Nord Italia (Lombardia,
49
Rapporti ISTISAN 12/23
Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Trentino Alto Adige), mentre al Centro compare un certo
numero di Comuni interni in Toscana e nel Lazio.
Per quanto riguarda i Comuni costieri il fenomeno interessa prevalentemente le Regioni del
Sud come la Sicilia, la Puglia, la Campania la Calabria e la Sardegna; tuttavia anche a Nord_Est
compare un tratto di costa particolarmente interessato dal fenomeno, si tratta della costa del
Nord Adriatico da Ancona a Trieste. Vanno evidenziati anche altri tratti di costa dove più
Comuni registrano il fenomeno: il tratto di costa che comprende il Sud del Lazio e il Nord della
Campania; la costa della Puglia; la costa Nord-Orientale e quella Sud-Occidentale della
Sardegna e la costa Sud della Sicilia.
I Comuni che hanno registrato il maggior numero di casi nel 2008 sono descritti in Tabella
10; tra di essi vi sono Palermo (6 casi) e Torino (5 casi) che comparivano anche nel 2007. Si
tratta, nel caso di Torino di una città interna ma bagnata dal fiume Po.
Tabella 10. Comuni che nel 2007 hanno registrato il maggior numero di casi di mortalità
per annegamento
Provincia
Comune
PA
CT
RN
TO
GO
RA
PI
CE
VE
RN
RM
NA
Palermo
Mineo
Rimini
Torino
Grado
Ravenna
Pisa
Castel Volturno
Cavallino-Treporti
Cesenatico
Roma
Napoli
Casi 2008 Fiumi
6
6
6
5
5
5
5
5
4
4
4
4
No
Si
Si
Si
Si
Si
Si
Si
Si
No
Si
No
Laghi
No
No
No
No
Si
Si
No
No
Si
No
Si
No
Litoraneo
Si
No
Si
No
Si
Si
Si
Si
Si
Si
Si
Si
La Figura 3 consente di mettere visivamente a confronto i casi registrati nel 2007 con quelli che
si sono verificati nel 2008. In generale, le differenze a “favore” (purtroppo) del 2008 sembrano
soprattutto concentrarsi in Lombardia, nel litorale romagnolo-marchigiano fino ad Ancona e in parte
nel ponente ligure. Al contrario, il Lazio, la Sicilia e in parte anche la Sardegna hanno mostrato, nei
due anni, una tendenza alla diminuzione del numero e della concentrazione dei casi.
Nel periodo 2000-2008 sono stati in totale 1195 i Comuni che hanno registrato decessi per
annegamento, pari al 14,8% dei Comuni italiani: in 2/3 si tratta di Comuni in cui l’annegamento nel
periodo considerato è stato un unico tragico evento occasionale, mentre nel rimanente terzo dei
Comuni, l’annegamento si è presentato con frequenze comprese tra 2 fino a 17 casi. Tra questi,
ovviamente, vi sono Comuni che hanno registrato decessi per più anni. Proseguendo sulla scia di
quanto fatto nel precedente rapporto (Rapporti ISTISAN 11/13), è stato calcolato per ciascuno di
essi l’Indice di Rischio per Annegamenti (IRA) al fine di evidenziare le zone geografiche, composte
da uno o più Comuni, maggiormente colpite dal fenomeno.
Anche in questo caso per il calcolo dell’IRA i Comuni sono stati selezionati sia in base al numero
totale dei decessi registrati sia in base alla frequenza con cui si sono manifestati gli annegamenti
negli anni (ossia per quanti anni si è verificato almeno 1 caso di annegamento). Questa ripartizione
dei casi in base alla frequenza e all’intensità, genera 4 possibili situazioni: A) Comuni che nel
periodo 2000-2008 hanno presentato bassa mortalità per annegamento (<7 decessi in totale); B)
Comuni che nel periodo 2000-2008 hanno presentato alta mortalità per annegamento( ≥ 7 decessi in
totale); C) Comuni che nel periodo 2000-2008 hanno presentato bassa frequenza di anni con almeno
50
Rapporti ISTISAN 12/23
1 annegamento (<4 anni in totale); D) Comuni che nel periodo 2000-2008 hanno presentato
frequenza di anni con almeno 1 annegamento (≥ 4 anni in totale).
2007
2008
Figura 3. Distribuzione geografica dei Comuni italiani nel 2007 e nel 2008
in base al numero di annegamenti registrati
La combinazione di queste 2 variabili, ciascuna avente 2 modalità, ci fornisce 4 scenari ipotetici:
− nel primo, che interessa tutti quei Comuni caratterizzati sia da un basso numero di casi,
sia da una bassa frequenza di anni, si ha una situazione di relativa tranquillità. Si tratta di
quei casi in cui l’annegamento è episodico e con un basso numero di eventi; a questi casi
è stato assegnato un indice IRA=1
− Il secondo scenario delinea una situazione legata ad eventi gravi ma occasionali. Si tratta
di quei casi in cui in un particolare anno si sono concentrati un gran numero di casi, legati
o a disastri naturali oppure a particolari circostanze contingenti. In questo caso si ha a che
fare con Comuni ove l’annegamento non rappresenta un fenomeno diffuso, ma che, sotto
certe condizioni, può assumere una rilevanza notevole; a questi casi è stato assegnato un
indice IRA=2
− il terzo scenario è caratterizzato da quei Comuni in cui, pur presentandosi un numero di
casi cumulativo nei 6 anni non particolarmente elevato, in ogni anno o quasi si verifica
almeno 1 caso di annegamento. Si tratta di situazioni di media pericolosità in cui
l’annegamento appare un fenomeno endemico e cronico; a questi casi è stato assegnato un
indice IRA=3
− L’ultimo scenario è quello, probabilmente, più interessante ai fini della nostra analisi. Si
tratta dei Comuni in cui in ogni anno si verifica un numero talvolta anche consistente di
casi di annegamento mortali. Ovviamente questa è la situazione in cui l’annegamento
rappresenta un fenomeno in qualche misura cronico e grave. A questi casi è stato
assegnato un indice IRA=4
Alla luce di quanto detto, il territorio italiano può essere caratterizzato in base a 4 profili di
rischio più un livello (laddove si è presentato 1 solo caso mortale in 7 anni) che possiamo
considerare una sorta di rumore di fondo:
51
Rapporti ISTISAN 12/23
− IRA≤1: rischio molto basso
− IRA=2: rischio basso
− IRA=3: rischio medio
− IRA=4: rischio elevato
Dall’analisi della mappa in Figura 4 che rappresenta la distribuzione dell’indice IRA sul
territorio italiano nel periodo 2000-2008, appare evidente come la maggior parte dei Comuni a
medio e alto rischio di annegamento insiste su territori che presentano un affaccio sul mare.
È inoltre importante evidenziare i molti casi in cui si registra una contiguità tra Comuni con
valori medio alti dell’indice IRA. Il fenomeno appare particolarmente evidente lungo la costa
adriatica centro settentrionale (da San Benedetto del Tronto a Trieste) come in alcune aree della
costa sud della Puglia. Anche lungo la costa tirrenica si registrano alcuni aggregati di Comuni:
in Liguria (tra San Remo e Savona), in Toscana (tra Carrara e Piombino), nel Lazio (tra
Fiumicino e Terracina), in Campania (tra Castel Volturno e Acropoli), in Sicilia nella costa sudorientale e a Palermo), e in Sardegna (lungo la costa occidentale, nella zona di Cagliari e in
quella di Olbia).
Bisogna comunque tener presente che gran parte dei casi di annegamento sono stati
registrati in aree geografiche interne dove si registrano anche alcuni Comuni con valori elevati
di IRA, soprattutto nel Veneto, tra quelli situati lungo i fiumi Adige e Po, e in Lombardia, con
particolare riferimento ai laghi maggiori (lago di Como, lago Maggiore e lago di Garda).
Tuttavia la grande concentrazione di casi che è dato osservare nelle aree densamente popolate
della Lombardia (173 Comuni), del Veneto (136 Comuni) e del Piemonte (106 Comuni), ci
induce a ribadire che la probabilità di annegamento è anche fortemente correlata al numero di
persone che risiedono, vivono e si spostano all’interno di un determinato territorio e non solo
all’occasionale esposizione a determinati fattori di rischio.
Figura 4. Distribuzione geografica dell’indice di IRA nei Comuni italiani - 2000-2008
52
Rapporti ISTISAN 12/23
ANNEGAMENTI RIPORTATI NEGLI ORGANI DI STAMPA
Sandro Francesco Mazzola, Giuseppe Paolangeli, Enzo Funari
Dipartimento di Ambiente e Connessa Prevenzione Primaria, Istituto Superiore di Sanità, Roma
Sono stati raccolti i dati riguardanti gli annegamenti riportati negli articoli della stampa nel
2011. Questi articoli spesso descrivono il contesto nel quale si sono verificati gli incidenti e
attraverso il loro esame è stato possibile ricavare informazioni circa le cause, il periodo, la
regione, la tipologia del corpo idrico.
Anche per il 2011 il metodo di lavoro applicato è stato quello di scandagliare il web
utilizzando Google News, un servizio online che indicizza le notizie delle principali fonti
giornalistiche online del Paese dal quale si accede al servizio, raggruppandole in base al
contenuto, ordinandole sia per rilevanza dell’argomento sia per data di pubblicazione degli
articoli.
Questa attività ha ovvi limiti soprattutto in riferimento alla non obbligatorietà da parte della
stampa a riportare i casi di annegamento. Non esiste alcun obbligo di notifica. Dunque i casi
riportati dalla stampa rappresentano senza dubbio una sottostima del problema. Inoltre non
possiamo certo essere sicuri di aver raccolto tutti gli articoli pubblicati. I casi di annegamento
che siamo in grado di riportare attraverso l’esame degli articoli degli organi di stampa sono
pertanto ampiamente sottostimati. Tuttavia questa sottostima è poco importante per gli scopi che
ci siamo prefissi. La stima più precisa viene fornita in questo Rapporto attraverso il reperimento
dei dati ISTAT. L’utilità di questa indagine sugli articoli di stampa consiste nell’individuare le
cause e i fattori che hanno determinato i decessi per annegamento. L’analisi di cause e fattori
dovrebbe permettere di individuare dove poter intervenire per ridurre i casi di annegamento nel
nostro Paese.
Annegamenti complessivi riportati nel 2011
Nel 2011 sono stati riportati dalla stampa da noi consultata complessivamente 240 casi di
annegamento. Nel 2010 ne erano stati riportati 148. Poiché ad oggi non abbiamo ancora
disponibili i dati di mortalità relativi al 2011, essendo fermi ancora al 2008, l’aumento registrato
non è detto che rifletta un oggettivo incremento nel numero di decessi; piuttosto certamente nel
tempo aumenta la capacità della rete di catturare eventi per cui l’aumento osservato sicuramente
sarà influenzato dall’emersione di casi prima irrintracciabili.
I decessi per annegamento del 2011 hanno riguardato 40 femmine e 200 maschi (Figura 1a),
con un rapporto di 1/5. Le ragioni di questa differenza sono meglio comprensibili di seguito,
quando vengono analizzati i decessi per fasce d’età. Nel 2010 erano stati riportati decessi per
annegamento di 141 maschi e 7 femmine, con un rapporto molto più sfavorevole per i maschi.
Sono deceduti 152 italiani e 88 stranieri (Figura 1b) , con un rapporto inferiore a 2.
Nell’anno precedente risultavano deceduti 97 italiani e 51 stranieri.
In Figura 2 sono riportate le cause di mortalità individuate o dedotte dalla stampa.
Il malore è stata la causa principale con 65 decessi, dei quali 53 maschi e 12 femmine. Nel
37% dei casi si trattava di soggetti di età superiore ai 65 anni. Sono decedute 44 persone per
imperizia per i quali l’attribuzione a questa categoria è dedotta da quanto riportato dalla stampa
rispetto alle condizioni meteorologiche e del corpo idrico (mare mosso, correnti forti, ecc.). 29
53
Rapporti ISTISAN 12/23
sono i soggetti deceduti per cadute accidentali, dei quali 5 nei canali, 12 nei fiumi, 5 nei laghi, 7
in mare. Sono poi stati riportate 17 cadute da imbarcazione, 9 in mare, 5 in laghi, 3 in fiumi. Si è
trattato di cadute a seguito di rovesciamento o affondamento di natanti.
a
b
Femmine
40
Stranieri
88
Italiani
152
Maschi
200
Figura 1. Annegamenti riportati dalla stampa nel corso del 2011 per genere (a) e nazionalità (b)
Gli incidenti veicolari si sono verificati maggiormente nel primo periodo dell’anno, tra
gennaio e aprile, con 15 casi. Sono deceduti 17 cittadini italiani e 2 stranieri. Le Regioni
maggiormente interessate sono Veneto e Emilia Romagna con 5 casi ciascuna. I corpi idrici nei
quali sono accaduti questi incidenti sono i canali (5 casi), i fiumi (6 casi), i laghi (4 casi), il mare
(2 casi). Infine due annegamenti si sono verificati in sottopassi a causa di alluvioni e
inadeguatezza di azioni preventive.
L’attività subacquea (compresa la pesca) continua ad essere causa di un numero cospicuo di
decessi per annegamento, con 15 casi.
Un numero leggermente inferiore di decessi in acqua è dovuto ai suicidi (14 casi). Tuttavia
nel 2010 ne erano stati riportati solo 6.
Non noto
Ubriachezza
Alluvione
Mancata sorveglianza
Tentato salvataggio
Suicidio
Pesca subacquea
Imbarcazione
Incidente veicolare
Caduta accidentale
Imperizia
Malore
0
10
20
30
40
50
60
70
Figura 2. Annegamenti riportati dalla stampa nel corso del 2011 in base alla causa
54
Rapporti ISTISAN 12/23
Un problema che merita attenzione è quello degli annegamenti nei tentativi di salvataggio.
Nel 2011 sono stati riportati 12 casi, mentre nel 2010 erano 5. Si tratta ovviamente di un aspetto
delicato. Davanti ad una situazione che si profila come una possibile tragedia, soprattutto le
persone che hanno a cuore il destino della persona in difficoltà non esitano a prestare soccorso,
anche se prive di qualsiasi base di preparazione specifica. Paradossalmente, in alcuni casi,
riescono a portare in salvo la persona che era in seria difficoltà, ma ormai privi dell’energia
sufficiente per cavarsela a loro volta, finiscono per non riuscire a salvarsi. Questo problema si
può contenere ampliando le aree di balneazione sorvegliate da personale addestrato
specificamente (bagnini). Un altro importante contributo potrebbe essere fornito attraverso la
diffusione di informazioni sulle migliori modalità da adottare per il salvataggio.
Nel 2011, a causa del maltempo, in particolare delle alluvioni, sono stati registrati 7 decessi
per annegamento, dei quali 3 albanesi annegati in uno scantinato di Genova, 2 in sottopassi, 2 a
seguito di tracimazione di fiumi. È ovvio che dovrebbero essere messi a punto sistemi di allerta
o emergenza in occasione di fortissime piogge e alluvioni, individuate le aree di maggiore
criticità e di conseguenza predisposte le misure necessarie per contenere questo tipo di rischio.
Nel 2011 sono stati riportati decessi per annegamento di 13 bambini: 11 al disotto dei 7 anni,
2 di 10 anni. Le cause di questi decessi possono essere definite come mancata sorveglianza o
distrazione da parte dei genitori o delle persone che avrebbero dovuto seguirli.
Sono, infine, decedute 7 persone per annegamento associato ad abuso di alcol.
In Figura 3 sono riportati i decessi per annegamento nel 2011 suddivisi per Regione. Le
Regioni più colpite risultano essere Emilia Romagna (29 casi), Lombardia (27 casi), Veneto (24
casi), Toscana (23 casi), Sicilia (21 casi). Le Regioni meno colpite sono Umbria (3 casi),
Trentino (2 casi) e Basilicata (1 caso).
Piemonte
Piemonte
Valle
Valle d'Aosta
d'Aosta
Lombardia
Lombardia
Trentino
Trentino Alto
Alto Adige
Adige
Veneto
Veneto
Friuli
Friuli Venezia
Venezia Giulia
Giulia
Liguria
Liguria
Emilia Romagna
Romagna
Emilia
Toscana
Toscana
Umbria
Umbria
Marche
Marche
Lazio
Lazio
Abruzzo
Abruzzo
Molise
Molise
Campania
Campania
Puglia
Puglia
Basilicata
Basilicata
Calabria
Calabria
Sicilia
Sicilia
Sardegna
Sardegna
13
13
27
27
2
2
24
24
7
7
11
11
23
23
3
3
4
4
1
1
14
14
15
15
5
5
10
10
14
14
7
7
21
21
10
10
0
0
5
5
29
29
10
10
15
15
20
20
25
25
30
30
35
35
Figura 3. Decessi per annegamento riportati dalla stampa nel corso del 2011 per Regione
55
Rapporti ISTISAN 12/23
Nell’anno precedente sono stati riportati i seguenti decessi per annegamento per Regione: le
Regioni maggiormente interessate dal fenomeno sono risultate essere la Lombardia e Veneto
(con oltre 17 decessi), l’Emilia Romagna (15 casi) e la Sicilia (13 casi), mentre le Regioni meno
colpite sono state Abruzzo e Molise (2 casi), Friuli Umbria e Trentino (1 casi).
In Figura 4 è riportata la distribuzione dei decessi per annegamento per mese. Quasi la metà
dei casi (45%) avviene nel bimestre luglio-agosto, con un picco nel mese di agosto (59 casi).
70
59
60
48
50
40
30
26
20
0
21
13
12
11
10
22
10
5
gen
9
4
feb
mar
apr
mag
giu
lug
ago
set
ott
nov
dic
Figura 4. Decessi per annegamento riportati dalla stampa nel corso del 2011 per mese
Come mostrato in Figura 5 e atteso, il più alto numero di decessi è stato riportato nel corso
della stagione balneare, tra maggio e settembre (163). Nel periodo gennaio-aprile risultano 54
decessi. Di particolare rilievo è il mese di marzo, con 26 decessi, anomalo in quanto si sono
verificati 9 decessi per incidenti veicolari, 4 per suicidi, 4 per cadute accidentali, 3 associati a
pesca subacquea, 2 a cadute da imbarcazioni, 2 ad imperizia, 1 ad abuso di alcol, 1 a mancata
sorveglianza. Nel trimestre ottobre-dicembre si sono verificati 23 decessi e si è trattato in tutti i
casi di italiani, 5 femmine e 21 maschi.
post-stagionali;
23
pre-stagionali;
54
stagionali; 163
Figura 5. Annegamenti riportati dalla stampa nel corso del 2011 diviso in periodi
56
Rapporti ISTISAN 12/23
La ripartizione per fascia di età e mese dei decessi, esplicitata solamente in relazione ai 5
mesi che abbracciano per intero la stagione balneare, evidenzia come gli adulti siano i soggetti
maggiormente “rappresentati”, con percentuali comprese tra il 50% e il 67% degli eventi
(Figura 6). A settembre, tuttavia, sembra ravvisarsi una inversione di tendenza con la categoria
degli anziani che balza al primo posto con oltre la metà dei casi.
100%
14%
90%
10%
22%
23%
80%
54%
70%
50%
60%
Anziano
67%
50%
Adulto
56%
58%
Giovane
40%
Bambino
30%
38%
32%
20%
24%
10%
5%
0%
Mag
14%
15%
Giu
4%
8%
8%
Lug
Ago
Set
Figura 6. Annegamenti per fasce d’età nella stagione della balneazione.
Come mostrato in Figura 7, i maschi rappresentano il genere più colpito, per tutte le fasce
d’età. Il rapporto di decesso per annegamento maschi/femmine è di 6 per gli adulti, 5,2 per i
giovani, 3,5 per le persone anziane e 3,3 per i bambini. Il rapporto dei decessi è minimo, ma
ancora importante, nei bambini e negli anziani. Nei giovani e negli adulti un fattore importante è
la “spavalderia”, o comunque un sopravalutazione delle proprie possibilità.
100%
90%
23%
14%
16%
22%
80%
70%
60%
Femmine
50%
40%
77%
84%
86%
Giovane
Adulto
78%
Maschi
30%
20%
10%
0%
Bambino
Anziano
Figura 7. Annegamenti riportati dalla stampa nel corso del 2011 per classi di età e genere
57
Rapporti ISTISAN 12/23
In Figura 8 sono riportati i decessi per annegamento suddivisi per tipologia di corpo
idrico. Anche nel 2011 il maggior numero dei casi si è registrato in mare (115 casi), ma
numeri rilevanti hanno riguardato fiumi (46 casi) e laghi (35 casi). I decessi nei canali si
sono verificati a seguito di incidenti veicolari (21 casi). Risultano inoltre 9 decessi per
annegamento in piscine pubbliche (3 casi) e private (6 casi). Nelle piscine private sono
deceduti 1 anziano e 5 bambini al di sotto dei 7 anni. Nelle piscine pubbliche: 1 adulto e 2
bambini al disotto dei 7 anni.
Degli 88 stranieri deceduti nel 2011, sono risultati 11 tedeschi, tutti deceduti in mare, 8
dei quali con età oltre 60 anni. Nei laghetti privati sono stati riportati 7 casi di annegamento.
140
120
115
100
80
60
46
35
40
21
20
0
Mare
Fiume
Lago
Canale
7
6
4
3
3
Laghetto
privato
Piscina
privata
Sottopasso
Piscina
pubblica
Non noto
Figura 8. Annegamenti riportati dalla stampa nel 2011 per tipo di corpo idrico ove è avvenuto il decesso
In Tabella 1 vengono riportati i dati riguardanti gli annegamenti nei diversi corpi idrici
per dinamica dell’evento. Si osservi come i casi dovuti ad imperizia risultino concentrati
essenzialmente in due ambiti, mare e fiume, a proposito del quale risulta particolarmente
importante il problema della caduta accidentale. Appare, quindi evidente come in
particolare nei fiumi arginare il problema degli annegamenti risulti oltremodo complesso
perché si tratta essenzialmente di eventi totalmente imprevedibili e non riconducibili a
condizioni ambientali particolari.
Si osservi che 5 dei 7 casi di mancata sorveglianza accadono in piscine private in cui non
esiste una sorveglianza organizzata e, anzi, spesso non vengono messe in opera nemmeno le
più elementari precauzioni come la predisposizione di un recinto adeguatamente alto che
impedisca l’accesso indesiderato ai bambini, la rimozione dall’acqua di giochi che possono
incoraggiare il bambino ad entrare in piscina, o a sporgersi su di essa e potenzialmente a
caderci dentro
58
Rapporti ISTISAN 12/23
Tabella 1.Quadro sinottico degli annegamenti in base al corpo idrico e alla dinamica
Tipo di
annegamento
Incid. veicolare
imperizia
Imbarcazione
Tentato
salvataggio
Caduta
accidentale
Alluvione
Attività
subacquea
Suicidio
Mancata
sorveglianza
Non noto
Abuso alcol
Malore
Totale
Mare Canale
Piscina
pubblica
Piscina
privata
Fiume Lago
Lago
privato
Sotto
passo
Non Totale
noto
2
24
9
5
5
2
1
2
0
0
0
0
0
0
0
0
6
13
2
2
4
5
5
2
0
0
0
1
2
0
0
0
0
0
0
0
19
44
17
12
7
5
0
0
12
3
2
0
0
29
0
11
0
0
0
0
0
0
2
0
0
3
0
1
2
0
3
0
7
15
5
1
1
0
0
1
0
5
3
0
3
0
2
0
0
0
0
0
14
7
4
3
44
0
1
4
0
0
2
0
0
1
0
2
4
0
1
9
0
0
1
0
0
0
0
0
0
4
7
65
115
21
3
6
46
35
7
4
3
240
59
Rapporti ISTISAN 12/23
CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI
Da quanto esposto sugli annegamenti emergono alcune considerazioni conclusive e alcune
raccomandazioni. Dal punto di vista statistico-epidemiologico, si dovrebbero raccogliere
informazioni riguardanti la tipologia del corpo idrico dove è avvenuto l’incidente (fiume, lago,
mare, piscina, spiaggia controllata, ecc.) la causa (ambientale: correnti, acqua fredda, ecc.;
soggettiva: malessere o patologia) l’attività ricreativa svolta (attività subacquea, nuoto in
superficie, pesca da imbarcazioni, dalla spiaggia, da scogli, ecc). Tali informazioni potrebbero
risultare di grandissima utilità per indirizzare al meglio le azioni di prevenzione. Dal punto di
vista educativo, appare importante il ruolo che possono esercitare le scuole che devono svolgere
un ruolo centrale nell’educazione dei giovani, anche nei confronti dei pericoli che si possono
incontrare in aree di balneazione. Questa attività non può essere lasciata all’iniziativa più o
meno isolata di docenti motivati. Bisognerebbe occuparsene in modo più organico e
professionalmente adeguato. Si dovrebbero ad esempio, studiare i messaggi che possono essere
efficientemente recepiti dai giovani nelle diverse età (i più piccoli vanno messi al corrente del
pericolo al quale possono andare incontro se si allontanano in acqua senza la sorveglianza dei
genitori, i più grandi possono cominciare ad essere educati sui comportamenti) e attraverso quali
mezzi (film, dibattiti, documentari, ecc.). Anche i media dovrebbero svolgere un ruolo molto
importante nel fornire le informazioni necessarie per la prevenzione e per il primo soccorso.
In relazione alle attività di sorveglianza, è opportuno rilevare il ruolo particolarmente
importante del personale della spiaggia, che dovrà essere qualificato e addestrato. Per questo
personale dovranno essere organizzati periodicamente corsi di aggiornamento.
Infine, la delimitazione, nell’area di balneazione, di singole zone destinate ad usi diversi
incompatibili tra loro può essere un modo per evitare alcuni dei più comuni incidenti; in genere
le attività non natatorie, come la navigazione, il surf e lo sci acquatico, il kite-surf non devono
essere svolte nelle zone frequentate dai bagnanti. A questo scopo dovrebbero essere usati
cordoni galleggianti. Questi ultimi possono anche servire a delimitare zone particolarmente
pericolose per i bagnanti (per la profondità del fondale, le correnti, ecc).
Tutte queste considerazioni ci hanno spinto a tramutare il contenuto di questo rapporto in
una serie di raccomandazioni che vengono declinate in 4 livelli: raccomandazioni che
riguardano il comportamento personale; raccomandazioni che riguardano le strategie di
prevenzione a livello locale; raccomandazioni che riguardano gli interventi di primo soccorso e,
per concludere, quelle che interessano l’utilizzo di piscine private.
Raccomandazioni sul comportamento soggettivo
− Non entrare in acqua a stomaco pieno o durante la digestione (attendere almeno 3 ore da
un pasto).
− Non entrare in acqua quando non ci si sente bene o si accusano malesseri.
− Quando si sono consumate bevande alcoliche evitare di entrare in acqua, andare in barca
o fare altri sport acquatici; si ricordi che l’alcol può rendere meno vigili in circostanze in
cui si richiede capacità di controllo, anche nel prestare attenzione ai bambini.
− Non entrare in acqua bruscamente dopo una lunga esposizione al sole o se si è accaldati,
perché la notevole differenza di temperatura tra il corpo e l’acqua può determinare delle
alterazioni, anche gravi, della funzione cardiorespiratoria, con perdita della conoscenza e
arresto cardiaco.
60
Rapporti ISTISAN 12/23
− Addestrarsi a praticare la rianimazione cardiopolmonare (CPR), perché nel tempo in
attesa dell’arrivo del personale sanitario, le capacità di primo soccorso possono fare la
differenza per salvare la vita.
− Evitare, se possibile, di fare il bagno da soli e soprattutto allontanarsi dalla riva perché
anche un banale crampo potrebbe mettere in serie difficoltà; possibilmente scegliere per
nuotare luoghi sorvegliati da bagnini.
− Evitare di tuffarsi se non si conosce la profondità dell’acqua; si rischia di urtare contro il
fondo o contro gli scogli con conseguente morte per trauma cranico o postumi invalidanti
per lesioni alla testa e al collo. Non effettuare e scoraggiare i tuffi da riva sulla prima
onda: sono responsabili di un gran numero di traumi alla colonna vertebrale e cranici.
− Non improvvisarsi subacquei, in quanto l’immersione richiede una forma fisica adeguata,
raggiunta dopo una preparazione specifica.
− Preferire le spiagge nelle quali è garantito un servizio di salvataggio e vengono fornite
informazioni adeguate a coloro che le frequentano (possibilmente con specifica
cartellonistica), comprese quelle riguardanti correnti che spingono al largo, irregolarità
dei fondali, se sono presenti buche, ecc.
− Evitare di fare il bagno quando il mare è agitato, soprattutto nelle spiagge dove si possono
formare pericolose correnti che allontanano dalla riva.
− Fare attenzione alle bandiere colorate di avviso di pericolo in spiaggia.
− Fare attenzione alle onde pericolose e ai segni di corrente di riflusso (es. acqua che
cambia colore e stranamente mossa, schiumosa, o piena di detriti). Se si finisce in una
corrente che porta al largo, non cercare di contrastarla subito nel tentativo di guadagnare
immediatamente la riva. È meglio cercare piuttosto di uscire dal flusso della corrente,
nuotando parallelamente alla spiaggia. Una volta fuori dalla corrente, nuotare verso la
riva.
− Informarsi sulle condizioni del vento e del mare e le relative previsioni prima di andare in
acqua. Vento forte e temporali con fulmini possono costituire un serio pericolo.
− Indossare il giubbotto di salvataggio omologato quando si naviga, a prescindere dalla
distanza di viaggio, dal tipo di imbarcazione o dall’abilità a nuotare di coloro che vanno
in barca.
− Usare molta prudenza in acque dolci (fiumi e laghi) sia per le correnti presenti, sia per la
temperatura dell’acqua, spesso assai fredda;
− Prestare la massima attenzione ai bambini, raccomandazione che vale in generale ma
soprattutto nelle piscine, ambienti che apparentemente sembrano più sicuri e inducono a
minore prudenza.
Raccomandazioni per la promozione
di strategie di prevenzione a livello locale
− Educazione nelle scuole: le scuole dovrebbero fornire ai bambini e ai ragazzi la
formazione necessaria per prevenire situazioni di rischio inaccettabili.
− I Comuni delle località nelle quali si svolgono attività di balneazione, soprattutto nelle
aree di maggiore criticità (indice di pericolosità e IRA 3 e 4), dovrebbero assicurare:
- la presenza di un adeguato servizio di salvataggio (le spiagge libere sono spesso
sprovviste di personale di salvataggio, che dovrebbe invece essere garantito almeno
nelle giornate di grande afflusso);
61
Rapporti ISTISAN 12/23
- la disponibilità in tempi rapidi di unità di rianimazione cardio-polmonare;
- le informazioni dettagliate ai fruitori delle spiagge circa:
o Pericoli che possono essere presenti associati alle attività di balneazione;
o Presenza e postazioni del personale di salvataggio;
o Presenza di unità di pronto soccorso sanitario e modalità di rapido contatto;
o Informazioni su come contattare la locale Capitaneria di porto per interventi di
emergenza.
Tutte queste informazioni dovrebbero essere divulgate in modo adeguato ed efficace ai
fruitori delle spiagge attraverso gli strumenti più appropriati e aggiornati (brochure informative
in alberghi, campeggi, ristoranti, bar, ecc.; cartellonistica nei luoghi di accesso alle spiagge, siti
web, software applicativi da scaricare su smartphone, ecc.) in italiano, inglese ed eventualmente
in altre lingue sulla base della frequentazione abituale della spiaggia.
I Comuni dovrebbero pianificare le proprie attività sulla base dell’analisi dei pericoli delle
proprie spiagge anche grazie al supporto tecnico di figure come quella del beach manager. Le
attività per promuovere standard adeguati di sicurezza e assistenza ai bagnanti dovrebbero
essere sostenute economicamente da coloro che traggono vantaggio dalle attività turistiche
(stabilimenti, hotel, campeggi, ristoranti, bar, ecc.). Gli esempi di alcune località balneari
potrebbero essere utili al riguardo. In Provincia di Carrara ad esempio, Comuni, stabilimenti
balneari e operatori turistici si fanno carico delle spese per garantire un’adeguata informazione
ai bagnanti circa i pericoli esistenti e della loro sicurezza con un servizio di sorveglianza che
comprende indistintamente spiagge in concessione a privati e libere.
Raccomandazioni per gli interventi di primo soccorso
Il personale impegnato in attività di pronto soccorso dovrebbe essere specificamente
addestrato e aggiornato sulle base delle più recenti linee guida pubblicate dall’ International
Liaison Committee on Resuscitation (ILCOR). L’ultima edizione disponibile, pubblicata nel
2010, è riassunta in questo Rapporto.
Come sopra riportato è particolarmente importante che la persona salvata dall’annegamento
venga rapidamente assistita in attesa dell’arrivo del personale sanitario.
Secondo le linee guida dell’ILCOR 2010 la conseguenza più grave della sommersione è
l’ipossia; il compito del soccorritore è dunque di ripristinare il più rapidamente possibile
l’ossigenazione e la ventilazione. Molto spesso dinanzi all’infortunato da sommersione si assiste
a rianimazioni di breve durata, dando l’infortunato per morto o privo di speranza; è da tenere
però in considerazione che nell’arresto cardiaco da sommersione il cuore è anossico, acidotico e
ipotermico: queste particolarità, proprie della sommersione e non dell’arresto cardiaco primario,
hanno fatto sì che rianimazioni prolungate abbiano consentito la ripresa del battito cardiaco e,
nel tempo, un pieno recupero neurologico.
È importante rilevare che durante la rianimazione i tentativi di drenaggio dell’acqua dai
polmoni eseguiti ponendo la testa dell’infortunato verso il basso o praticando la manovra di
Heimlich aumentano il rischio di vomito e inalazione, con significativo aumento della mortalità
rispetto al posizionamento dell’infortunato in allineamento orizzontale.
È consigliabile cominciare la rianimazione con 2-5 ventilazioni artificiali, poiché in questo
modo si aumenta la possibilità di sopravvivenza.
In acqua la ventilazione bocca-naso può essere utilizzata come alternativa al bocca a bocca,
essendo più semplice da eseguire.
62
Rapporti ISTISAN 12/23
Il massaggio cardiaco di alta qualità deve essere eseguito facendo compressioni al centro del
torace che determinino una deflessione di almeno 5 cm di profondità e alla velocità di almeno
100 compressioni al minuto; il rapporto ottimale è 30 compressioni/2 ventilazioni.
Se dopo le 2 ventilazioni di soccorso, l’infortunato non riprende coscienza o respiro, anche
se difficilmente il sommerso presenterà un ritmo defibrillabile, i soccorritori devono collegare il
defibrillatore semiautomatico, asciugando il torace prima di collegare gli elettrodi.
Raccomandazioni per un corretto utilizzo delle piscine
private
In considerazione del numero di bambini che sono annegati in piscine private, si raccomanda
quanto segue, se si possiede una piscina interrata:
− La piscina dovrebbe essere circondata da un recinto adeguatamente alto (almeno 120 cm).
− L’accesso alla piscina dovrebbe essere consentito tramite cancelli con chiusura con
dispositivo di richiamo e meccanismo di apertura fuori dalla portata dei bambini.
Considerare l’eventualità di dotare la piscina interrata di ulteriori protezioni aggiuntive
come sistemi di allarme perimetrale per prevenire l’accesso ai bambini piccoli.
− Tenere sempre a mente che, braccioli o ciambelle gonfiabili sono giocattoli e non sono
realizzati per salvare le persone in acqua. Per questo scopo esistono appositi giubbini di
salvataggio.
− I giochi dovrebbero essere rimossi dalla piscina subito dopo l’uso. Barchette, palle, e altri
giochi possono incoraggiare il bambino ad entrare in piscina, o a sporgersi su di essa e
potenzialmente a caderci dentro.
− Per quanto riguarda piccole piscine in particolare quelle gonfiabili, acquistabili anche nei
supermercati, è buona norma vuotarle dopo l’uso oppure dotarle di una copertura solida a
prova di bambino.
63
Rapporti ISTISAN 12/23
APPENDICE A
Descrizione di onda e di spiaggia
Dario Giorgio Pezzini
Società Nazionale di Salvamento, Genova
Come è fatta un’onda
Per descrivere le onde è necessario conoscerne alcuni parametri:
− la cresta indica la parte più alta dell’onda;
− il cavo la parte più bassa;
− l’altezza dell’onda (h) è data dalla distanza verticale dal cavo alla cresta;
− la lunghezza dell’onda (l) indica la distanza tra una cresta e l’altra;
− il periodo T indica, infine, il tempo intercorso tra il passaggio di una cresta e quella successiva su
uno stesso punto.
Nella Figura 1 indichiamo, inoltre, con due linee orizzontali il livello di mare calmo (lmc) e il fondo
marino. La profondità dell’acqua (f) corrisponde ovviamente alla distanza che separa queste due linee.
Tutte queste grandezze sono in reciproco rapporto tra loro.
Figura A1. Schema di struttura di un’onda
La zona dei frangenti è una zona di acqua bassa, vicino alla riva, dove le onde hanno un
comportamento particolare, ben diverso da quello che hanno in mare aperto, lontano dalla costa.
64
Rapporti ISTISAN 12/23
Onde in acqua bassa
Si dicono onde in acqua bassa le onde che si propagano in uno specchio d’acqua la cui profondità sia
inferiore alla metà della loro lunghezza d’onda: onde lunghe 10 metri (le cui creste sono, cioè, separate da
questa distanza) entrano in acqua bassa quando la profondità è inferiore a 5 metri. Questa profondità è
detta anche base dell’onda perché al di sotto di essa l’onda non è in grado di produrre effetti (l’acqua è
immobile).
Dal momento in cui un’onda comincia a viaggiare in acqua bassa cominciano a prodursi alcuni
cambiamenti importanti.
Gli effetti provocati da un fondale che gradualmente risale in superficie fanno sì che quei due o
trecento metri dalla riva costituiscano una realtà a parte, molto diversa dal mare aperto. Questa è la zona
in cui abitualmente i bagnanti fanno il bagno e i bagnini il loro mestiere.
Come è fatta una spiaggia
È il caso di precisare il significato di alcune parole che, usate promiscuamente nel linguaggio di tutti i
giorni, possono confondere un lettore:
− la costa indica la zona di reciproca influenza tra il mare e la terra. Si estende per vari km;
− il litorale indica il punto di contatto tra il mare e la terraferma;
− la spiaggia indica dei depositi di sabbia o di ghiaia in prossimità della riva del mare ed è delimitata
dagli effetti delle onde.
Chiarito questo, descriveremo adesso, brevemente, come è fatta una spiaggia facendo riferimento alla
Figura A1.
− lmc: indica il livello di mare calmo
− mare aperto: indica dove la profondità del fondale è superiore alla metà della lunghezza delle onde
di tempesta (le onde più alte nel corso dell’anno durante le mareggiate invernali)
− chiusura della spiaggia: è il limite della spiaggia sommersa; da questo punto, verso riva, le onde
interagiscono col fondale; la profondità dell’acqua coincide qui con la base dell’onda di tempesta;
− fondale antistante: è la parte sommersa della spiaggia.
− zona dei frangenti: è l’area dove le onde subiscono gli effetti del fondale, diventando più
acuminate, rifrangendo, rallentando, frangendo
− zona di traslazione: dove anche le onde più basse del mare appena mosso frangono ed hanno
effetti traslatori (ovvero, trasportano acqua);
− zona di battigia: è la zona di confine tra l’arenile e il fondale che le onde percorrono per inerzia in
avanti (getto montante) e per gravità all’indietro (risacca);
− i canali litoranei e i banchi di sabbia riguardano la configurazione del fondale, che varia da
spiaggia a spiaggia; (non sono presenti su tutte le spiagge, ma solo sui primi tre tipi descritti
sopra);
− arenile, la parte abitualmente emersa della spiaggia;
− berma è il gradino pianeggiante che forma l’arenile. Un arenile può presentare più di una berma; la
berma più lontana dalla battigia si chiama berma di tempesta (si forma durante le mareggiate
invernali);
− la cresta della berma indica lo spigolo che separa lo specchio di battigia dall’inizio della berma
− falesia o dune indicano la fine della spiaggia (oltre, nemmeno le onde di tempesta riescono ad
arrivare); una “falesia” indica una parete verticale di roccia; la fine della spiaggia può essere
costituita anche da costruzioni (case, stabilimenti balneari, bastioni, ecc.).
65
Rapporti ISTISAN 12/23
Figura A2. Schema di struttura di una spiaggia.
Contrariamente all’uso comune del termine, la spiaggia comprende quindi due zone, rappresentate in
Figura 2: la spiaggia emersa (arenile) e quella sommersa (fondale). Il termine “arenile” è di uso comune
nei testi di legge, ma viene qui usato in senso geomorfologico. Un’ultima osservazione riguarda la
collocazione della spiaggia. Se si vuole capire qualcosa del suo funzionamento, si deve tenere bene a
mente una cosa: la spiaggia è l’ultimo tratto del mare, non il primo tratto di terra.
66
Rapporti ISTISAN 12/23
APPENDICE B
Attività di soccorso di alcune cooperative in Emilia Romagna,
Toscana e Puglia
Pierangelo Simonini
Società Nazionale di Salvamento, Genova
Attività di soccorso della Cooperativa Maresicuro (MS)
nel periodo 1997-2011
Le Figure che seguono (Figure B1-B21) illustrano i dati relativi all’attività di soccorso effettuata dalla
cooperativa nel periodo 1997-2011.
25%
22,0%
19,2%
20%
15%
12,6%
10,5%
11,5%
12,4%
11,7%
10%
5%
0%
lunedì
martedì mercoledì giovedì
venerdì
sabato domenica
Figura B1. Distribuzione dei soccorsi per giorno della settimana (n. 1369)
45%
40,8%
40%
34,3%
35%
30%
25%
21,5%
20%
15%
10%
3,3%
5%
0%
gligno
luglio
agosto
settembre
Figura B2. Distribuzione dei soccorsi per mese (n. 1459)
67
Rapporti ISTISAN 12/23
9-10
1,7%
10-11
5,9%
18-19
11,1%
11-12
11,5%
17-18
14,7%
12-13
9,1%
13-14
7,0%
16-17
18,7%
14-15
8,0%
15-16
12,4%
Figura B3. Distribuzione dei soccorsi per orario (n. 1432)
femmine
39,0%
maschi
61,0%
Figura B4. Distribuzione dei soccorsi in base al genere dei pericolanti (n. 1880)
68
Rapporti ISTISAN 12/23
18%
17,1%
15,7%
16%
14%
12%
11,3%
11,0%
10%
8%
7,3%
6,7%
5,5%
6%
4%
6,0%
5,4%
4,1%
3,6%
3,3%
3,1%
2%
0%
0-5
5-10
10-15
15-20
20-25
25-30
30-35
35-40
40-45
45-50
50-55
55-60 60 e più
Figura B5. Distribuzione dei soccorsi in base al età dei pericolanti (n. 1661).
100%
90%
80%
70%
35%
50%
40%
45% 47%
35%
31%
42%
27%
39%
39%
44%
40%
60%
50%
Femmine
40%
30%
20%
65%
50%
60%
55% 53%
65%
69%
58%
Maschi
73%
61%
61%
56%
60%
10%
0%
Figura B6. Distribuzione dei soccorsi in base al genere dei pericolanti, per classi di età (n. 1661)
69
Rapporti ISTISAN 12/23
40%
35,1%
34,6%
35%
30%
25%
23,3%
20%
15%
10%
7,1%
5%
0%
CALMO
POCO MOSSO
MOSSO
AGITATO
Figura B7. Distribuzione dei soccorsi in base allo stato del mare (n. 1281)
70%
57,5%
60%
48,7%
50%
40%
43,6%
38,6%
36,1%
30,5%
30%
20%
19,2%
17,0%
20,2%
22,7%
17,5%
15,0%
16,8%
10,0%
10%
1,6%
0%
CALMO
POCO MOSSO
BUCHE
MOSSO
ARTIFICIALI
SICURE
5,2%
AGITATO
RIPIDE
Figura B8. Distribuzione dei soccorsi in base allo stato del mare e alla tipologia di spiaggia (n. 1281)
70
Rapporti ISTISAN 12/23
90%
80,1%
80%
70%
60%
50%
40%
30%
18,2%
20%
10%
1,8%
0%
BELLO
VARIABILE
BRUTTO
Figura B9. Distribuzione dei soccorsi in base alle condizioni meteorologiche (n. 1309)
100%
90%
80%
88,1%
81,1% 79,4%
67,9%
70%
60%
50%
40%
29,7%
30%
20%
11,0%
10%
0%
16,7% 15,9%
0,8% 2,1%
BELLO
VARIABILE
BUCHE
ARTIFICIALI
4,8%
BRUTTO
SICURE
RIPIDE
Figura B10. Distribuzione dei soccorsi in base alle condizioni meteorologiche
e alla tipologia di spiaggia (n. 1309)
71
2,4%
Rapporti ISTISAN 12/23
70%
60%
57,2%
50%
40%
30%
20%
14,5%
13,5%
14,8%
MALORE
ACQUA ALTA
ALTRO
10%
0%
CORRENTE
Figura B11. Distribuzione dei soccorsi in base cause degli incidenti (n. 1445)
80%
71,7%
70%
60%
53,5%
48,7%
50%
41,5%
36,8%
40%
30%
17,0%
20%
10%
0%
7,9%
CORRENTE
16,2%
Ù
9,8%
15,7%
14,6%
11,2%
6,6%
MALORE
BUCHE
22,0%
19,5%
7,3%
ACQUA ALTA
ARTIFICIALI
SICURE
ALTRO
RIPIDE
Figura B12. Distribuzione dei soccorsi in base alle cause degli incidenti
e alla tipologia di spiaggia (n. 1445)
72
Rapporti ISTISAN 12/23
50%
46,7%
45%
40%
35%
30%
25%
20,0%
20%
17,1%
16,2%
NESSUNO
ALTRO
15%
10%
5%
0%
BAY-WATCH RESCUE
TUBE
PATINO
Figura B13. Distribuzione dei soccorsi in base alle all’attrezzatura di soccorso (n. 1529)
70%
60%
59,6%
56,9%
50%
46,3%
40%
30%
27,1%
28,2%28,2%
22,7%
0%
22,0%
21,2%
17,0%
20%
10%
28,1%
12,8%
10,6%
9,2%
5,7%
4,4%
BAY-WATCH RESCUE
TUBE
PATINO
BUCHE
ALTRO
NESSUNO
ARTIFICIALI
SICURE
RIPIDE
Figura B14. Distribuzione dei soccorsi in base alle all’attrezzatura
di soccorso e alla tipologia di spiaggia (n. 1529)
73
Rapporti ISTISAN 12/23
50%
45%
43,4%
43,0%
40%
35%
30%
25%
20%
15%
9,7%
10%
3,9%
5%
0%
1
2
3
Più di 3
Figura B15. Distribuzione dei soccorsi in base al numero di bagnini impiegati (n. 1450)
60%
50%
49,3%
51,3%
47,1%
43,4%
40%
46,2%
43,8%
37,9%
33,9%
30%
20%
11,8%10,9%
10%
3,9%
0%
1
2
BUCHE
6,4%
4,1%
3
ARTIFICIALI
SICURE
5,8%
1,3%
Più di 3
RIPIDE
Figura B16. Distribuzione dei soccorsi in base al numero di bagnini impiegati
e alla tipologia di spiaggia (n. 1450)
74
2,6%
Rapporti ISTISAN 12/23
40%
35,1%
35%
30%
25%
18,5%
20%
17,6%
15%
10%
9,0%
5%
0%
BUCHE
ARTIFICIALI
SICURE
RIPIDE
Figura B17. Distribuzione degli interventi del 118 in base alla tipologia di spiaggia (n. 217)
Capitaneria
di porto; 2%
Altro; 2%
118;
15%
Nessuna;
82%
Figura B18. Distribuzione degli interventi in base all’organizzazione di soccorso allertata (n. 1484)
75
Rapporti ISTISAN 12/23
18-19
39,0%
17-18
22,0%
50,0%
5,0%
34,0%
18,6% 1,4%
16-17
53,7%
17,2% 3,4%
15-16
53,1%
19,2%
14-15
42,6%
20,9%
13-14
44,0%
17,0%
12-13
43,5%
16,8%
11-12
45,1%
10-11
9-10
0%
8,4%
40%
22,6%
ARTIFICIALI
SICURE
30,0%
RIPIDE
31,3%
27,4%
7,1%
28,6%
0,0%
60%
BUCHE
27,8%
6,1%
25,0%
20%
5,1%
9,0%
29,8%
45,8%
25,7%
8,7%
21,3%
34,5%
30,0%
29,2%
80%
100%
22,5%
23,3%
8,2%
13,6%
18,4%
10,7%
9,9%
9,6%
14,5%
13,7%
16,4%
11,6%
7,1%
15,1%
11,8%
12,5%
7,9%
10%
10,8%
14,2%
15,1%
13,9%
15%
8,5%
20%
13,4%
15,1%
10,9%
25%
18,9%
24,9%
30%
27,5%
Figura B19. Distribuzione dei soccorsi per orario e tipologia di spiaggia (n. 1432)
5%
0%
L
M
BUCHE
M
G
ARTIFICIALI
V
SICURE
S
D
RIPIDE
Figura B20. Distribuzione dei soccorsi per giorno della settimana e tipologia di spiaggia (n. 1432)
76
20,0%
26,7%
18,4%
25,0%
17,4%
30,0%
23,5%
35,0%
37,1%
40,8%
43,1%
30,8%
40,0%
37,3%
36,0%
45,0%
39,9%
50,0%
40,8%
Rapporti ISTISAN 12/23
0,0%
GIU
LUG
BUCHE
AGO
ARTIFICIALI
SICURE
1,4%
5,0%
0,0%
10,0%
1,1%
5,7%
15,0%
SET
RIPIDE
Figura B21. Distribuzione dei soccorsi per mese e tipologia di spiaggia (n. 1459)
10%
26,5%
8,0%
23,9%
37,9%
20,7% 0,0%
18,0%
9,8%
21,3%
27,9%
18,6% 4,7%
33,3%
13,0%3,7%
21,3%
23,4%
6,4%
20,8%
18,9% 7,5%
19,4% 2,8% 16,7%
1,5%16,9%
26,2%
17,8% 2,0% 20,8%
25,9%
16,5%2,4%
SICURE
41,6%
41,4%
50,8%
48,8%
48,9%
52,8%
61,1%
55,4%
BUCHE
50,0%
33,9%
33,3%
20%
33,3%
30%
RIPIDE
ARTIFICIALI
59,4%
40%
55,3%
50%
18,5%
60%
14,8%
70%
3,6%
80%
29,2%
90%
33,3%
100%
0%
Figura B22. Distribuzione dei soccorsi per età e tipologia di spiaggia (n. 1459)
77
Rapporti ISTISAN 12/23
Confronto tra attività di soccorso della cooperativa Maresicuro
(MS) e quelle delle cooperative Spiagge (RA), e Mareva (FG)
140
133
120
100
80
60
57
40
20
0
11
LIGURIA-TOSCANA
LESINA
RAVENNA
Figura B23. Numero di interventi per località
160
134
140
120
100
80
60
40
40
20
0
11
LIGURIA-TOSCANA
LESINA
RAVENNA
Figura B24. Numero di persone soccorse per località
78
Rapporti ISTISAN 12/23
35
33,0
30
26,3
25
20
18,2
15
10
5
0
LIGURIA-TOSCANA
LESINA
RAVENNA
Figura B25. Percentuale di interventi del 118 per località
45
41
40
35
30
25
30
25
18
20
15
10
5
14
11
15
13
8
11
5
0
Figura B26. Numero di interventi per spiaggia
79
4
6
Rapporti ISTISAN 12/23
80%
70,0%
70%
60%
50%
46,8%
LIGURIA-TOSCANA
42,3%
LESINA
40%
RAVENNA
30%
20%
19,2% 20,3%
19,6%
23,1%
20,0%
15,4%
13,3%
10,0%
10%
0%
0,0%
BAMBINI
GIOVANI
ADULTI
ANZIANI
Figura B27. Numero di interventi classe di età e località
80
Rapporti ISTISAN 12/23
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Bascom W. Onde e spiagge Bologna: Zanichelli; 1965.
Davidson-Arnott R. Introduction to Coastal Processes and Geomorphology Cambridge:
Cambridge Un. Press; 2010.
Fletemeyer JR, Freas SJ. Drowning Champaign: Human Kinetics; 2003.
Komar PD. Beach Processes and Sedimentation Englewood Cliffs: Prentice-Hall; 1976.
Pethick J. An Introduction to Coastal Geomorphology Baltimora: E. Arnold; 1984.
Pezzini DG. Manuale di salvamento per bagnini di salvataggio Genova: Società Nazionale di
Salvamento; nuova edizione, settembre 2012.
Pia F. On Drowning Larchmont, New York: Water Safety Films; 1970.
Pia F. Observations on the Drowning of NonSwimmers Journal of Physical Education, 1974.
Pranzini E. La forma delle coste Bologna: Zanichelli; 2004.
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Société de Sauvetage Canada Alerte, la pratique de la surveillance acquatique 1999.
The Open University, Waves, Tides and Shallow Water Processes Oxford: ButterworthHeinemann; 2002.
81
Stampato da Tipografia Facciotti srl
Vicolo Pian Due Torri 74, 00146 Roma
Roma, luglio-settembre 2012 (n. 3) 6° Suppl.
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