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Enucleazione della bad company

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Enucleazione della bad company
Crisi d’impresa
Enucleazione
della bad company:
quale strada intraprendere?
Finanza Aziendale
di Roberto Moro Visconti (*)
Nelle crisi d’impresa, l’enucleazione e la successiva liquidazione della bad company, attuabile
mediante modalità operative diverse (conferimento, cessione, scissione …), costituisce spesso
l’unico rimedio per salvare il ramo profittevole di una società. L’identificazione del ramo non
profittevole deve essere effettuata sulla base delle strategie e prospettive aziendali e nel rispetto
dei vincoli civilistici.
Il principio della continuità
aziendale
L’art. 2423-bis, 1° comma, n. 1., c.c., in tema
di principi di redazione del bilancio (in condizioni ordinarie), rileva che la valutazione
delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione
dell’attività (going concern) (1).
Secondo il Principio Contabile OIC n. 11,
par. «Postulati del bilancio d’esercizio», «la
formazione del bilancio di esercizio inteso
come strumento d’informazione patrimoniale, finanziaria ed economica dell’impresa in
funzionamento, cioè di un’impresa caratterizzata da una continuità operativa, si fonda
su principi contabili» (2).
Al principio della continuità aziendale è anche dedicato il principio di revisione 570 dei
Dottori Commercialisti e Ragionieri. In particolare, nel par. 6 del citato principio n. 570,
si rileva che la verifica del presupposto della
continuità aziendale può avvenire attraverso
indicatori finanziari (perdite ingenti, difficoltà a rimborsare i debiti …), indicatori gestionali (perdita di personale …) e altri indicatori (capitale ridotto sotto i limiti legali,
iniziative legislative sfavorevoli …), desumibili dal bilancio o da altre fonti.
Il venir meno della validità del postulato del
going concern può verificarsi in un momento
qualunque dell’esercizio, senza che vi sia alcuna relazione con la messa in liquidazione
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della società, che non è neanche prevista,
non essendosi verificata alcuna delle cause
di scioglimento (3).
Pertanto, occorre distinguere due distinte
ipotesi:
– che in conseguenza del verificarsi di un
evento interno o esterno all’impresa si produca una cessazione pressoché immediata
dell’attività produttiva;
– che l’evento in questione consenta pur
sempre uno svolgimento ridotto dell’attività
per qualche mese e l’avvio di una normale
procedura liquidatoria.
Note:
(*) Docente di Finanza Aziendale nell’Università Cattolica Dottore commercialista in Milano
(1) Si veda anche CAROLA G., (2008), «I bilanci dell’azienda in liquidazione: dal going concern al dying concern»,
in Il fisco, 39, 6957.
(2) Il principio contabile OIC 25 (Il trattamento contabile
delle imposte sul reddito), al par. «Richiamo dei principi
contabili generali», rileva che «il rispetto dei principi di
competenza e di rappresentazione veritiera e corretta
della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato
d’impresa nella prospettiva di continuità aziendale, comporta che il trattamento delle imposte sul reddito sia il medesimo di quello dei costi sostenuti dall’impresa nella produzione del reddito».
(3) Infatti, come precisa il citato principio contabile OIC 5,
par. 7.2., la rilevanza degli eventi o delle circostanze che
possono far sorgere dubbi sulla sussistenza della continuità
aziendale possono essere attenuati da altri fattori (nuovi finanziamenti, chiusura di un’attività, piani industriali …).
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Ripartizione tra good e bad branch
in funzione delle strategie aziendali
Secondo la figura riportata in Tavola 1 (4), le
imprese si potrebbero, sulla base delle combinazioni tra performance aziendali e situazione patrimoniale-finanziaria, ipoteticamente suddividere in quattro tipologie:
1) imprese sane, che presentano buone
performance economiche e situazioni patrimoniali-finanziarie equilibrate: per tali imprese l’obiettivo principale è il consolidamento di questa posizione e lo sviluppo ulteriore del business;
2) imprese attraversate da una crisi aziendale o che presentano performance economiche critiche e situazioni patrimoniali-finanziarie non equilibrate: in tali situazioni tipicamente occorre un turnaround ovvero una
ristrutturazione aziendale;
3) imprese con business in crisi, o che presentano performance economiche non soddisfacenti e in continuo peggioramento, ma
che, tuttavia, mantengono situazioni patrimoniali-finanziarie tendenzialmente equilibrate: per tali imprese, che spesso si trovano
in queste situazioni particolari per via della
raggiunta maturità o declino del settore di
appartenenza, l’obiettivo principale non può
che essere quello di una ristrutturazione
strategica del modello di business;
4) imprese in crisi finanziaria o che, pur presentando modelli di business sani, caratteTavola 1 - Ripartizione tra good e bad branch in
funzione dell’esito delle strategie di ristrutturazione
rizzati da performance economiche soddisfacenti, si trovano in situazioni patrimoniali-finanziarie critiche: per tali imprese (good
companies imprigionate) l’obiettivo principale è quello della ristrutturazione finanziaria.
I drivers strategici di creazione del valore
fanno tradizionalmente leva sui vantaggi derivanti da una competitività sui costi o da
plusvalori qualitativi differenziali (produco a
costi più bassi ovvero cose che gli altri non
sanno fare); in paesi occidentali ad alto costo del lavoro, i vantaggi competitivi sono di
norma differenziali e di ciò tengasi debitamente conto al fine di perseguire adeguate
strategie di recupero di valore.
In funzione delle strategie aziendali, può essere utilmente perseguita una politica di separazione del ramo sano da quello non solvibile, da realizzarsi con decisione e tempestività, evitando che la crisi degeneri sino a un
punto di non ritorno.
La separazione del ramo d’azienda
buono da quello non salvabile
Profili di criticità civilistica
L’individuazione del perimetro dell’azienda
oggetto di cessione (il ramo da salvare o specularmente - quello non più ristrutturabile) riveste notevole importanza nei rapporti
fra le parti e può avere rilevanti risvolti sia
dal punto di vista civilistico che degli aspetti
fiscali. L’identificazione delle attività e passività costituenti il perimetro del ramo d’azienda enucleando, assume un rilievo particolare per le delicate problematiche interdisciplinari che emergono sotto il profilo societario, giuslavoristico, di antitrust, fiscale,
finanziario, economico-patrimoniale, contabile, strategico …
L’identificazione delle attività e passività del
ramo d’azienda oggetto di cessione deve di
norma essere improntata al rispetto di principi di coerenza, avendo riguardo alle diverse tematiche interdisciplinari sopra richiamate, per le quali bisogna ricercare un’armonizzazione a livello di sintesi.
Si procederà ora a identificare alcuni dei
Nota:
(4) Tratta, con adattamenti, da Lazzari M., (2009), «Come
uscire dalle crisi finanziarie: le good companies in bad balance sheet», in Amministrazione & Finanza, 2, 81.
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principi chiave che devono tendenzialmente
essere rispettati, nell’identificazione del perimetro del ramo d’azienda oggetto di cessione:
– il ramo d’azienda oggetto di cessione deve
essere almeno idealmente riferibile al concetto civilistico di «azienda», la quale identifica,
ex art. 2555 cod. civ., «il complesso dei beni
organizzati dall’imprenditore per l’esercizio
dell’impresa». Il frazionamento dell’unitaria
azienda in singoli rami deve tendenzialmente
rispettare il principio del mantenimento, in
capo a ciascun ramo, di un «complesso di beni [sinergicamente] organizzati». Va verificata, considerando anche l’evoluzione del mercato in cui l’azienda opera, la dinamica individuazione di sinergie tra singoli assets, con
riferimento sia alla situazione originaria della società alienante (in cui singoli rami, inizialmente complementari, possono gradualmente perdere il valore aggiunto derivante
dalla coesione), sia alla compenetrazione con
altri rami presenti in società cessionarie
preesistenti (al fine di valutare le auspicabili
sinergie della cessione, in assenza delle quali
risulta difficile individuare nell’operazione
delle valide ragioni economiche, aventi valenza antielusiva sotto il profilo fiscale) sia all’autonoma attribuzione a società cessionarie
costituende di singoli rami, al solo fine di
spezzare legami non sinergici in capo alla società alienante (la fattispecie è frequentemente applicabile ad aziende che raggiungono
elevati profili dimensionali e in cui la conseguente complessità organizzativa tende a generare costi impliciti più che proporzionali
rispetto alle ipotetiche sinergie iniziali);
– la suddivisione dell’azienda in due o più rami consente di identificare, con riferimento
a ciascun ramo, un netto contabile di riferimento che assume rilevanza a livello ragioneristico ed economico-patrimoniale (manifestando un impatto contabile sugli stati patrimoniali e sui conti economici delle società
che partecipano alla cessione d’azienda), a
livello fiscale e in ambito civilistico;
– esistono passività che sono direttamente
imputabili a specifiche attività e pertanto il
ramo d’azienda deve coerentemente ricomprenderle entrambe: si pensi ad esempio al
trasferimento di immobili, sui quali gravano
mutui ipotecari, o al trasferimento di crediti
(che implica un trasferimento del portafoglio
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di clientela da essi rappresentato) e di relativi
fondi rischi o ancora al trasferimento di rami
produttivi che implicano il passaggio diretto
di personale e dei debiti ad esso inequivocabilmente riferibili (per TFR maturato, passività previdenziali, ferie non godute …).
Salvataggio della good company
attraverso l’enucleazione
della bad company
Nella prassi applicativa non sono infrequenti
i casi in cui in una società coesistano rami
d’azienda profittevoli e rami d’azienda in
perdita. Tipicamente, per salvare il ramo
profittevole, è possibile conferirlo in altra società (ad hoc ovvero preesistente) (5) ovvero
scinderlo (a favore di una beneficiaria neocostituita o preesistente) e poi mettere in liquidazione la società svuotata dei rami profittevoli; in alternativa una società conferisce
(o scinde) il ramo non profittevole a una società partecipata (bad company), preesistente o da costituire ad hoc, e poi liquida la
conferitaria (beneficiaria).
Si rammenta che, in ogni caso, l’enucleazione
della good company, mediante conferimento,
scissione o cessione di ramo d’azienda, potrebbe soggiacere a revocatoria fallimentare
(ex art. 67 l.fall.), qualora successivamente la
bad company sia dichiarata fallita.
In Tavola 2 è riportato il caso di conferimento di ramo d’azienda non profittevole e successiva liquidazione della società conferitaria (bad company).
Si rammenta che il conferimento d’azienda
(così come la cessione d’azienda, di cui si
dirà in seguito) comporta, in capo al conferente (cedente) che abbia trasferito i debiti
relativi all’azienda conferita (ceduta) al cessionario, il persistere di un rischio potenziale: egli, infatti, pur non evidenziando più nel
proprio bilancio le posizione conferite (cedute) insieme all’azienda, ne mantiene comunque la responsabilità.
Parimenti, in capo al conferitario (cessionaNota:
(5) Il conferimento in società neocostituita è per certi versi
preferibile, consentendo di evitare il calcolo dell’avviamento pregresso di competenza di eventuali soci storici
diversi dal conferente ed evitando una confusione di attività e passività preesistenti e conferite, con potenziali problemi in caso di insolvenza della conferente.
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cessionario, il persistere del rischio potenziale già evidenziato nel corso del conferimento.
Cessione o affitto della good
company e soluzioni concorsuali o
stragiudiziali (fallimento chirurgico)
per la bad company
Le aziende in crisi possono evitare un’eventuale procedura concorsuale attraverso la
cessione del ramo d’azienda profittevole anche mediante l’affitto del medesimo, e la
successiva richiesta di concordato o procedure stragiudiziali della parte residua della
società non in bonis ovvero attraverso l’enucleazione e la successiva messa in liquidazione del ramo non profittevole (bad company) ovvero ancora mediante la predisposizione e realizzazione di adeguati piani di risanamento, asseverati da un esperto o di accordi di ristrutturazione dei debiti (6).
Nota:
(6) Per approfondimenti, si veda: Fimmanò F., (2007), «La
circolazione dell’azienda nel fallimento», in Notariato, 3,
537; QUATRARO B., (1989), «La liquidazione del concordato preventivo con cessione dei beni», in Giurisprudenza
commerciale, I, 61.
Tavola 2 - Conferimento di ramo d’azienda non profittevole e successiva liquidazione della conferitaria
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rio), nel caso in cui quest’ultimo non si accolli la situazione debitoria aziendale a decurtazione dell’aumento di capitale a servizio del conferimento (del prezzo, nel caso di
cessione), graverà la responsabilità per i debiti rimasti in capo al conferente (cedente).
Infatti, secondo l’art. 2560 c.c., «l’alienante
non è liberato dai debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, se non risulta che i
creditori vi hanno consentito. Nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde
dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili
obbligatori».
In Tavola 3 è illustrato invece il caso di scissione di ramo d’azienda non profittevole e
successiva liquidazione della società beneficiaria (bad company).
Nella figura riportata in Tavola 4 si illustra il
caso di cessione di ramo d’azienda a una società partecipata non profittevole e successiva liquidazione della società cessionaria
(bad company).
Si rammenta che anche la cessione d’azienda
comporta, in capo al cedente che abbia trasferito i debiti relativi all’azienda ceduta al
Crisi d’impresa
Tavola 3 - Scissione di ramo d’azienda non profittevole e successiva liquidazione della beneficiaria
neocostituita
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Tavola 4 - Cessione di ramo d’azienda non profittevole e successiva liquidazione della cessionaria
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Trattasi, per la bad company, di un «fallimento chirurgico», da attuarsi «amputando»
dall’azienda sana l’arto malato per sottoporlo alla procedura più idonea, all’insegna di
un sano realismo.
Nella prassi, tuttavia, gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.fall. (7), e i
piani di risanamento previsti dalla lett. d)
del 3° comma dell’art. 67 l.fall. (8), introdotti
nel nostro ordinamento dalla riforma fallimentare del 2005, hanno sino ad ora trovato
scarso utilizzo.
Il mezzo ad oggi più largamente utilizzato
nella prassi è quello, già descritto, della cessione a terzi, anche mediante affitto d’azienda, del ramo profittevole e della richiesta di
concordato preventivo per la parte residua.
Il concordato preventivo, disciplinato dagli
artt. 160-186 l.fall., consente all’imprenditore in stato di crisi di evitare la procedura fallimentare attraverso un accordo con i creditori. Tale accordo consente, attraverso una
soddisfazione parziale dei creditori, la possibilità che l’imprenditore prosegua la propria
attività, in modo da evitare la cessazione dell’impresa (9).
Nel corso della procedura fallimentare è possibile, ai sensi dell’art. 104 l.fall., intraprendere l’esercizio provvisorio, al fine di massimizzare il valore dell’azienda o di suoi rami,
anche in vista di un’eventuale sua cessione,
Tavola 5 - Cessione di ramo d’azienda profittevole
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ovvero, come spesso capita nella prassi, ricorrere all’affitto d’azienda.
Nell’ambito di gruppi di società in crisi ovvero nelle holding di partecipazioni, non sono
infrequenti anche accordi e trattative stragiudiziali fra la società in crisi e i creditori,
attraverso i quali si cerca di alienare i cespiti
dell’attivo, al fine di cristallizare le posizioni
creditorie e senza che i creditori procedano
a soddisfarsi singolarmente sulla società con
esecuzioni coattive, istanze di fallimento o
strumenti similari.
Nella Tavola 5 viene riportato il caso di cessione di ramo d’azienda profittevole (good
company) a una società partecipata. Per la
cedente (bad company) si cercheranno soluzioni concorsuali o stragiudiziali.
Se Alfa riesce a liquidare in bonis la bad
branch, rimane una holding pura (e poi a regime può anche fondersi con la partecipata
profittevole, incorporandola o essendo incorporata con una fusione inversa); se Alfa diventa insolvente, anche la good company enucleata e partecipata viene riassorbita nell’insolvenza, costituendo un asset di tale società.
La partecipata può essere venduta prima
dell’eventuale insolvenza della partecipante,
salvo il rischio di revocatoria o, nei casi più
gravi e penalmente rilevanti, di bancarotta
distrattiva.
Note:
(7) Secondo cui «l’imprenditore in stato di crisi può domandare, depositando la documentazione di cui all’articolo 161, l’omologazione di un accordo di ristrutturazione
dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il
sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professionista in possesso dei requisiti di
cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d) sull’attuabilità
dell’accordo stesso, con particolare riferimento alla sua
idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori
estranei. L’accordo è pubblicato nel registro delle imprese
e acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione».
(8) Che stabilisce una particolare esenzione dall’azione revocatoria per «gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse
sui beni del debitore purché posti in essere in esecuzione
di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare
il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili (…) ai sensi dell’art. 2501-bis,
quarto comma, del codice civile».
(9) Il concordato preventivo non va confuso con il concordato fallimentare, disciplinato dagli artt. 124-141 l.fall., che
può essere richiesto solo 6 mesi dopo la dichiarazione di
fallimento, al fine di chiudere la procedura.
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La caratteristica di trasferimento a titolo
non definitivo dell’azienda considerata può
risultare determinante nell’utilizzo dell’affitto d’azienda in operazioni di ristrutturazione
conseguenti a situazioni patologiche d’impresa: in tali fattispecie, l’affitto d’azienda è
impiegato in chiave propedeutica ad una
eventuale successiva cessione, allo scopo di
predisporne le condizioni formali e sostanziali di effettuazione. Infatti, nel caso di specie, l’affitto d’azienda consente all’imprenditore subentrante di proseguire la gestione
d’azienda, conservandone l’avviamento, senza peraltro assumere i rischi propri di un acquisto a titolo definitivo.
Il locatore, nella gestione dell’azienda affittata, viene sostituito dall’affittuario, che in tal
modo acquisisce lo status di imprenditore,
mentre quello del proprietario rimane in capo al locatore. Peraltro, il locatore che affitti
solo una delle aziende possedute - ovvero nel
caso in cui il locatore sia una società - conserva comunque la qualifica di imprenditore
commerciale; in ipotesi di affitto dell’unica
azienda da parte dell’imprenditore individuale, al contrario, il locatore perde la qualifica imprenditoriale.
Ai sensi dell’art. 10 l.fall., decorso un anno
dalla data certa del trasferimento in godimento, non può più essere pronunciata la dichiarazione di fallimento a seguito del manifestarsi dello stato d’insolvenza nei confronti
del locatore che abbia perso la qualifica di
imprenditore.
Ai sensi dell’art. 80-bis l.fall., introdotto ex
novo dalla riforma fallimentare del 2005, «il
fallimento non è causa di scioglimento del
contratto di affitto d’azienda, ma entrambe
le parti possono recedere entro sessanta
giorni corrispondendo alla controparte un
equo indennizzo per l’anticipato recesso».
Dalla norma sopra citata si evince pertanto
che il curatore può sciogliere il contratto di
affitto d’azienda solo pagando un equo prezzo (indennizzo) (10) all’affittuario; tale strada, già di per sé non particolarmente agevole, risulta peraltro ancora più difficilmente
percorribile in presenza di dipendenti.
spesso l’unico modo per evitare che il dissesto intacchi anche la parte sana che si può
salvare. La separazione tra good e bad branch può avvenire con diverse modalità operative, spesso articolate (conferimenti, scissioni, cessioni …), da porre in essere con la
massima tempestività possibile, nel rispetto
di delicati vincoli giuridici (tutela dei terzi
esercitabile anche con azioni revocatorie …),
da affrontare con un approccio interdisciplinare che consideri armonicamente gli aspetti aziendali, contabili, strategici e finanziari
accanto a quelli giuridici (societari, giuslavoristici, fallimentari, fiscali …).
Conclusioni
Nota:
(10) Per espressa disposizione della citata norma, il credito
per l’equo indennizzo, dovuto dalla curatela, è inserito tra
quelli prededucibili a norma dell’art. 111, n. 1, l.fall.
Nelle crisi d’impresa, l’amputazione della
bad company, ancorché dolorosa, costituisce
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