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Veggiano, 25 ottobre ’12 SALVIAMOGLI LA PELLE (segue l’intervista al dott. Simone Pavesi, responsabile nazionale LAV – settore pellicce) Fino a non molti anni fa, gli indumenti in pelliccia erano oggetto di enorme desiderio, e la pelliccia di Visone regalata alla consorte, per Natale, suscitava grande emozione: è vero amore! Pur tuttavia, sebbene questo fenomeno, in Italia, si sia ridotto significativamente negli ultimi anni, è, ancora, necessario parlarne. L’allevamento di animali da pelliccia, la loro cattura in natura e la loro uccisione, costituiscono pratiche divenute inaccettabili da un punto di vista etico, ambientale e sociale. Che gli animali siano esseri senzienti, e quindi considerati soggetti di diritto, è un fatto riconosciuto e sancito anche dall’Unione europea con il Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007: “l'Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti”. È’ assodato, da tempo, che gli animali siano capaci di provare dolore ed emozioni, e di elaborare la realtà circostante. Tutti questi aspetti rientrano in quella che è corretto chiamare “coscienza animale”. Gli allevamenti di animali da pelliccia non tengono conto di etologia, biologia ed ecologia dell’animale, e non potranno mai, per ragioni intrinseche e perciò ineliminabili, soddisfare le esigenze e i diritti degli animali. Infatti, in un allevamento, gli animali, detenuti in gabbie anguste, non possono espletare le proprie esigenze naturali, sono sottoposti a continuo stress, non viene rispettata la loro territorialità (con inevitabile aumento dell’aggressività), poggiano su pavimenti in rete metallica per facilitare la pulizia degli escrementi, sono esposti al gelo e a correnti d’aria per infoltire il pelo e le femmine vengono trasformate in instancabili fattrici obbligate. La pellicce, oltre a non essere etiche, sono insostenibili dal punto di vista ambientale. L’allevamento, lo smaltimento delle deiezioni e dei cadaveri degli animali costituisce di per sé un grosso problema ecologico, e a ciò vanno aggiunti i trattamenti di concia. Altre implicazioni riguardano la scomparsa di specie dall’ambiente selvaggio, a causa della loro cattura, o l’introduzione, più o meno accidentale, di specie al di fuori del loro naturale areale di distribuzione. Un esempio spesso citato è quello della Nutria (Myocastor coypus), mammifero roditore originario del Sud America, utilizzato per la produzione della cosiddetta “pelliccia di castorino”, specie che si è trovata trapiantata nei nostri territori a causa dell’uomo. Molto altro si potrebbe dire, ma, tenendo conto anche solo di queste poche considerazioni, i capi in pelliccia si configurano come qualcosa di anacronistico e insostenibile. Nonostante l’opinione pubblica, perlomeno in Italia, dimostri di essere sempre più sensibile a questo tema, la nostra tolleranza è ancora molto alta. Le pellicce continuano ad essere utilizzate nell’industria dell’abbigliamento, magari inserite in colli di cappotti ed accessori. Consultando il sito internet del Comune di Cervarese S. Croce (PD), si scopre che il Comune si fregia del titolo autoattribuitosi di “centro internazionale della pellicceria” (e l’iscrizione posta sul cartello d’ingresso del Comune lo testimonia chiaramente). E’ arrivato il momento di abbracciare con coraggio una filosofia di vita che veda l’uomo non più come centro del Mondo, ma come parte integrante di un sistema complesso che richiede attenzione e rispetto per tutti gli organismi viventi. Michele Favaron Intervista al dott. Simone Pavesi, responsabile LAV – settore pellicce 1. In Italia il mercato della pelliccia è ancora florido o in crisi? In Italia il consumo di prodotti in pelliccia (dai classici cappotti ai capi con inserti, e accessori con pelliccia) è in piena crisi. Nonostante la produzione 2011 (in termini di volumi) sia aumentata del 2,5% rispetto al 2010, il valore del consumo di prodotti in pelliccia in Italia rispetto all’intero settore dell’abbigliamento si è assestato solamente al 2,8% (1.400 milioni di euro), mantenendo la quota del 2010. L’analisi economica del settore condotta dalla società Pambianco s.r.l. (resa pubblica da Associazione Italiana Pellicceria) rileva che nel consumo nazionale per canale distributivo, nel 2011 (a valori retail) è significativamente aumentata l’incidenza delle vendite degli specialisti di pellicceria (dal 33% al 41%). L’incidenza della vendita attraverso i negozi moda monomarca e plurimarca è invece ulteriormente calata (dal 50% al 47%). Contrariamente allo scorso anno, anche l’incidenza delle vendite attraverso la grande distribuzione è fortemente diminuita (dal 17% al 12%). Ciò significa che, laddove il consumatore ha avuto la possibilità di scegliere tra un prodotto in pelliccia animale e uno senza, nel 2011 ha preferito capi che non hanno causato l’uccisione di animali. Chi invece ha cercato abbigliamento con la volontà e la consapevolezza di comprare pelliccia animale si è recato direttamente presso il canale distributivo “specialisti di pellicceria”, dove si è distribuito il 41% (contro il 33% del 2010). Tra il 2006 e il 2009, il fatturato del consumo di prodotti in pelliccia è diminuito del 30% circa, dai 1.634Mln di euro ai 1.181Mln di euro. Ma nel 2010 si registra una ripresa del settore dovuta ad una maggiore veicolazione di pelliccia in abbigliamento uomo e bambino, sottoforma di inserti. A dare ossigeno al settore è l’export: in aumento le esportazioni del 35% (soprattutto verso Russia e Francia) e le importazioni del 7% (soprattutto dalla Cina). 2. Quanti animali si stima vengano uccisi ogni anno in Italia per la loro pelliccia? Di quali specie si tratta principalmente? Oggi in Italia si allevano solamente visoni. Non è possibile avere un dato certo sul numero di animali coinvolti e sugli allevamenti effettivamente attivi, perché non esiste un’ anagrafe zootecnica di animali “da pelliccia”. Secondo le risposte che la LAV ha ricevuto in seguito a specifiche istanze di accesso agli atti ai Dipartimenti di Prevenzione Veterinari delle ASL italiane, ad oggi sono attivi 11 allevamenti di visoni (nelle province di Ferrara, Forlì, Modena, Parma, Padova, Vicenza, Cremona, Mantova, Brescia, e L’Aquila). I visoni allevati sono indicativamente 150.000. 3. Qual è la situazione in Veneto in tema di pellicce? (Ci sono allevamenti? Ci sono produttori?) V. sopra. Il Veneto è anche una delle regioni maggiormente interessate dalla concia delle pelli. I distretti produttivi per le attività di trattamento di concia e tintura sono dislocati in Toscana, Lombardia, Veneto. Nel 2010 è cresciuta l’incidenza del fatturato del Veneto, mentre è diminuita quella di tutti gli altri distretti. 4. Le pellicce italiane derivano esclusivamente da allevamenti appositi o c’è dell’altro? Le “pellicce” derivano da animali appositamente allevati, oppure appositamente catturati. Le uniche specie allevate sono: visoni, volpi, chinchilla, cane-procione (detto Finnraccoon, Raccoon, oppure Procione), nutrie, conigli (specifici allevamenti). Queste specie sono, però, anche catturate, insieme a: coyote, linci, scoiattoli, martore, opossum, lontre, orsetto lavatore, puzzola, ghiottone, zibellino … In Italia si lavorano tutti i tipi di pellicce, così come se ne trovano in commercio nei capi finiti. 5. E’ vero che gli animali usati per la loro pelliccia sono trattati e uccisi umanamente? Per gli animali appositamente allevati, in teoria, ci sono disposizioni di legge che dovrebbero assicurare la minima sofferenza possibile; in realtà ciò non sempre accade. Le volpi e i cani-procioni per esempio sono soppressi per elettrocuzione (una scarica elettrica indotta da due elettrodi posti in bocca e nell’ano), pratica decisamente non indolore. I visoni (e solitamente anche le altre specie allevate) tramite gassazione per monossido di carbonio (l’animale dovrebbe essere introdotto in una vera e propria camera a gas, non in gruppo, e con determinate condizioni di temperatura e concentrazione del gas tossico). Le operazioni di abbattimento degli animali da pelliccia sono praticate direttamente in allevamento, e non per mano di un medico veterinario; non c’è, quindi, la possibilità di verificare se tutti gli accorgimenti necessari ad arrecare minore sofferenza possibile siano rispettati. Per gli animali appositamente catturati invece, prima dell’uccisione occorre tenere presente che l’operazione di cattura è di per sé cruenta. Solitamente si utilizzano tagliole (vietate in Europa, ma è anche vero che le “wild fur” arrivano da paesi extra-ue). Inoltre non vi è alcun tipo di controllo su come vengano uccisi questi animali, nel momento in cui il “trappolatore” li va a recuperare. 6. I pellicciai usano degli escamotage per continuare a sostenere il mercato della pelliccia? L’industria della pellicceria sta cercando di promuovere una immagine animal e eco-friendly. Presentano la pelliccia come un prodotto “naturale” e dicono che gli animali vivono “bene” nei loro allevamenti. Ovviamente la pelliccia animale non è un prodotto “green” (poco mesi fa il Garante della Pubblicità inglese ha giudicato “Ingannevole” una simile pubblicità della European Fur Breeders Association). La LAV ha pubblicato nel 2011 uno studio di Ciclo di Vita della pelliccia di visone, che attesta il grave impatto ambientale di questo prodotto, decisamente maggiore rispetto a prodotti alternativi anche di sintesi (http://www.lav.it/index.php?id=1728 ). Inoltre, le modalità di contenimento degli animali negli allevamenti intensivi, non sono rispettose del loro benessere (come già dichiarato nel 2001 da una apposito comitato scientifico della Commissione Europea che ha indagato le condizioni di detenzione degli animali negli allevamenti europei http://ec.europa.eu/food/animal/welfare/international/out67_en.pdf ). 7. L’obiezione secondo la quale si utilizzino solo pellicce di animali già morti, allevati per la loro carne, è corretta? E chi è che mangia carne di visone, di procione, coyote o di chinchillà? Se ci si riferisce invece al “coniglio”, bisogna distinguere una cosa: la pelliccia dei conigli uccisi nella filiera dell’industria della carne, è una pelliccia di scarsa qualità che comunque può essere utilizzata. Si tratta di un sottoprodotto di questa industria. Il ciclo di allevamento del coniglio “da carne” è infatti breve, e l’animale non è in grado di produrre un pelo di “qualità” in pochi giorni. In realtà, esistono veri e propri allevamenti di conigli appositamente selezionati per la sola produzione di pelliccia. Per es. l’Orylag è una razza brevettata e allevata in Francia, appositamente per produrre pelliccia. Questi conigli, così come per alcuni allevamenti di conigli Rex, hanno un ciclo di allevamento più lungo per consentire lo sviluppo di un adeguato sottopelo. La carne è di scarsa qualità, ma la pelliccia, purtroppo, è ben venduta. 8. La contestazione secondo la quale le pellicce, in quanto organiche, sarebbero ecologiche e non inquinanti, è fondata? Vedi sopra. La pelliccia animale, in quanto materiale organico, nel momento in cui viene tolta all’animale è soggetta ad un processo di degradazione che si chiama “putrefazione”. Per inibire questo processo, che è sì “naturale”, e per rendere così la pelliccia animale un prodotto commercializzabile, occorre praticare trattamenti di concia che prevedono l’uso di formaldeide e altre sostanze classificate come tossiche e cancerogene. Il processo di allevamento di animali “da pelliccia”, nonché le fasi di lavorazione della pelliccia sono attività ad alto impatto ambientale. 9. Cosa dice la legislazione italiana in tema di pellicce? Grazie all’impegno della LAV oggi in Italia (ma anche in Europa) è vietato l’uso di pellicce di cani e gatti, ma anche di foche. Può sembrare una cosa scontata, ma in realtà sino a quando nel 2002 la LAV non rese nota questa vergogna dell’industria della pellicceria, sul mercato italiano arrivavano sistematicamente lotti di pelli di questi animali. La legge 189/2004 (art.2) prima, e poi il Regolamento europeo CE 1523/2007 hanno messo al bando il commercio di pelli di cani e gatti. Il Reg. CE 1007/2009 ha messo al bando il commercio di prodotti di foca (pellicce, ma non solo). Inoltre da quest’anno tutti i prodotti tessili devono essere etichettati con la dicitura “contiene parti non tessili di origine animale”, qualora nel prodotto vi siano pelliccia, piume o pelle, a prescindere dal quantitativo (Reg. UE 1007/2011). Oggi la LAV è impegnata ad ottenere una legge che vieti definitivamente l’allevamento di animali “da pelliccia”; un primo fondamentale obiettivo, per poi spingersi verso l’attacco al commercio di prodotti in pelliccia.