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www.ildirittoamministrativo.it La labile linea di demarcazione tra dolo eventuale e colpa con previsione. Il caso Thissenkrupp a cura di Giuseppe Miceli Abstract Il seguente lavoro si propone quale obiettivo quello di ricostruire il lungo ed annoso dibattito sul reale confine tra dolo eventuale e colpa cosciente. Trattasi di una tematica tradizionale del diritto penale che ha rivestito un’importanza centrale all’interno del panorama giuridico presente e passato, dando vita ad una copiosa letteratura1 in materia, e che, ad oggi, non ha trovato ancora una soluzione univoca. Si cercherà, in particolare, attraverso l’analisi della letteratura de qua e la ricostruzione delle molteplici tesi dottrinali e giurisprudenziali, ponendo in luce gli stilemi argomentativi maggiormente utilizzati, di fornire un valido criterio discretivo tra i due diversi elementi soggettivi, non trascurando di porre in evidenza i limiti e le critiche che alle stesse sono stati individuati. 1 A titolo esemplificativo si veda: PULITANÒ D., I confini del dolo. Una riflessione sulla moralità del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 1, 22 ss.; VIGANÒ F., Il dolo eventuale nella giurisprudenza recente, in AA.VV., Treccani. Il libro dell’anno del diritto 2013, Roma, 2013, 118 ss.; CANESTRARI S., La distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente nei contesti a rischio base «consentito», in Dir. pen. cont., 6 febbraio 2013; PIERDONATI M., Dolo e accertamento nelle fattispecie penali c.d. “pregnanti”, Napoli, 2012; DE VERO G., Dolo eventuale, colpa cosciente e costruzione «separata» dei tipi criminosi, in AA.VV., Studi in onore di Mario Romano, Milano, 2011, II, 883 ss.; EUSEBI L., La prevenzione dell’evento non voluto. Elementi per una rivisitazione dogmatica dell’illecito colposo e del dolo eventuale, in Studi in onore di Mario Romano, Milano, 2011, II, 963 ss.; ID., Il dolo come volontà, Brescia, 1993; CERQUETTI G., La rappresentazione e la volontà dell’evento nel dolo, Torino, 2004; VENEZIANI P., Dolo eventuale e colpa cosciente, in St. iuris, 2001, 1, 70 ss.; ID., Motivi e colpevolezza, Torino, 2000; PROSDOCIMI S., Dolus eventualis. Il dolo eventuale nella struttura delle fattispecie penali, Milano, 1993; GROSSO C.F., voce Dolo (diritto penale), in Enc. giur. Treccani, XII, Roma, 1989; DELITALA G., Dolo eventuale e colpa cosciente, ora in DELITALA G., Diritto penale. Raccolta degli scritti, I, Milano, 1976, 431 ss.; GALLO M., voce Dolo (dir. pen.), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 750 ss.; PECORARO-ALBANI A., Il dolo, Napoli, 1955. 1 www.ildirittoamministrativo.it Non si tralascerà, ovviamente, di analizzare i casi che più di recente hanno portato nuovamente all’attenzione degli interpreti l’annosa questione dando prova che la stessa non ha mai trovato un’effettiva soluzione, ma continua ad essere tema al centro di un forte dibattito. Invero, sono le situazione a rischio particolarmente elevato, quali incidenti stradali causati da condotte di guida temeraria2 ed infortuni sul lavoro3 e/o malattie professionali4 ( tra i quali vanno annoverati gli emblematici casi Eternit e Thyssenkrupp) quelle che più di altre hanno, non di rado, dato prova della non agevole individuazione di un valido criterio atto a segnare una linea di demarcazione tra dolo eventuale e colpa cosciente. Per tale ragione ci si auspica un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, capace non soltanto di mettere definitivamente ordine alle tante (e troppe) tesi elaborate in materia, ma anche in grado di fornire un criterio univoco ancorato a parametri che il più possibile forniscano una guida comune agli interpreti. SOMMARIO: 1. Il dolo e le diverse questioni applicative. - 2. Dolo eventuale e colpa con previsione: la ricostruzione delle tesi dottrinali e giurisprudenziali.– 3. Il caso Thyssenkrupp: i giudici di prime cure propendono per il dolo eventuale – 4. Thyssenkrupp: la tesi del dolo eventuale non regge al vaglio della Corte d’Appello 1. IL DOLO E LE DIVERSE QUESTIONI APPLICATIVE Per una trattazione completa dell’argomento, che lungi dall’essere esaustiva, a causa della complessità dello stesso, occorre prendere le mosse dall’analisi dell’elemento soggettivo nella forma del dolo. Il delitto doloso costituisce il modello fondamentale di illecito penale ed il dolo rappresenta il normale criterio di imputazione soggettiva5. 2 In tal senso Cass. pen., sez. V, 25 marzo 2009, n. 13083; Cass. pen., sez. IV, 24 marzo 2010, n. 11222; Cass. pen., sez. I, 15 marzo 2011, n. 10411. 3 In tal senso Corte d’assise di Torino 14 novembre 2011 caso Thyssenkrupp 4 In tal senso anche Cass. pen., sez. V, n. 3222 del 2012 5 FIANDACA G. - MUSCO E., in Diritto penale, parte generale, 6° ed., Bologna. 2 www.ildirittoamministrativo.it Secondo un archetipo giuridico esso rappresenta l’unica ed autentica manifestazione di volontà colpevole6. A tenore dell’art. 42, co. 2, c.p., infatti, nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente previsti dalla legge. Con tale disposizione di parte generale il legislatore ha voluto sottolineare come la responsabilità dolosa costituisca, nei crimini maggiormente significativi del panorama penalistico (i delitti), la regola; mentre, la responsabilità colposa e la preterintenzione costituiscano l’eccezione. Ne discende che, in materia di delitti, l’imputazione a titolo colposo o preterintenzionale deve essere necessariamente giustificata da un espresso richiamo legislativo o quanto meno dal contesto concreto della fattispecie, presumendosi, in assenza, la sola incriminabilità dolosa7. A livello di legislazione codicistica8 la definizione di dolo è fornita dall’art 43 c.p. il quale, statuendo che: “il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’ azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”, identifica gli elementi strutturali del dolo, ovvero la rappresentazione (intesa come momento conoscitivo) e la volontà (inteso come momento volitivo) del fatto di reato. Invero, la definizione normativa del dolo è stata oggetto di molteplici critiche che hanno posto in evidenza la parzialità e l’imprecisione della stessa. Ciò si spiega, in quanto la predetta definizione rappresenta un compromesso tra le due teorie (della rappresentazione e della volontà) che si contendevano il campo al momento della redazione del codice Rocco9. Entrambe le teorie, singolarmente considerate, offrivano una visione circoscritta ed errata dell’essenza della volontà dolosa e per tale motivo sono state oggetto, ad opera della dottrina più avveduta, di aspre critiche. 6 Così GROSSO C.F., Dolo, cit.; GALLO M., Il dolo. Oggetto e accertamento, Milano, 1953; ROMANO M., Commentario sistematico del codice penale, I, Milano, 1995; SANTAMARIA D., Interpretazione e dogmatica nella dottrina del dolo, Napoli, 1961 7 GAROFOLI R., Manuale di diritto penale, pt. gen., Roma, 2010 8 Il dettato dell’art 43 c.p. è, però, lacunoso e parziale perché restringe l’oggetto del dolo alla sola volontà e previsione dell’evento. Pertanto ai fini dell’individuazione dell’oggetto del dolo occorre fare riferimento, in combinato disposto, alla definizione fornita dall’art. 43 c.p. ed alle norme ( artt. 5 - 44 - 47 e 59 c.p.) che disciplinano la rilevanza o irrilevanza della rappresentazione e volizione degli elementi costitutivi del reato e che concorrono a determinare gli elementi che debbono essere o che non occorre che siano conosciuti e voluti affinché si abbia il dolo. E’ questa la c.d. tesi estensiva, la quale pone rimedio alle lacune dell’art 43 c.p. estendendo l’oggetto del dolo a tutti gli elementi costitutivi del reato. 9 In tal senso DE MARSICO A., Coscienza e volontà nella nozione del dolo, Napoli, 1930; MORSELLI E., Coscienza e volontà nella teoria del dolo, in Arch. Pen., 1966, I, 406. 3 www.ildirittoamministrativo.it La teoria della rappresentazione concepiva la volontà e la rappresentazione come fenomeni psichici distinti e come tali riferibili a dati diversi, ovvero riteneva che la volontà potesse avere ad oggetto soltanto il movimento corporeo (la condotta) e non anche il risultato esteriore (l’evento) che poteva essere solo oggetto di rappresentazione mentale. A tale teoria è stata mossa la critica di dilatare oltre misura l’ambito del dolo fino a ricomprendervi anche i casi di colpa cosciente o con previsione10. La teoria della volontà, invece, privilegiava l’evento volitivo del dolo, nel convincimento che potessero costituire oggetto di volontà anche i risultati esterni della condotta umana. Tale teoria non rinunciava al requisito della previsione/rappresentazione, ma la considerava un presupposto intrinseco della volontà. La tesi de qua, però, individuando il dolo nel tendere della volontà ad uno specifico risultato criminoso (dolo intenzionale), finiva per escludere dal suo novero l’ipotesi più attenuata, ma pur sempre esistente, di adesione volontaristica all’evento (dolo diretto ed eventuale). Per superare l’impasse derivante dalla formulazione delle tesi ut supra enunciate è stata elaborata una concezione, ormai consolidata, che trova riscontro anche nella formulazione legislativa, in base alla quale il dolo consta di due componenti psicologiche: la rappresentazione e la volontà11. Queste due componenti sono concettualmente distinguibili, ma vanno considerate in stretto rapporto. Detto in altri termini, la sola rappresentazione dell’evento non basta, occorrendo, altresì, che alla rappresentazione segua la volontà di attuarlo. Il dolo è volontà consapevole di realizzare il fatto tipico antigiuridico che il soggetto si era preventivamente rappresentato. Locuzione quest’ultima che può essere espressa per mezzo del brocardo latino nihil volitum nisi praecognitum. Circa poi il contenuto del dolo, cioè l’individuazione di “cosa” il soggetto deve rappresentarsi e volere12, l’art. 43 c.p., cercando di individuare l’oggetto del dolo, fa riferimento al requisito dello “evento”. 10 MANTOVANI F., Manuale di Diritto penale, pt. gen., VII edizione, 2011, Cedam Occorre evidenziare, però, che il dibattito tra i sostenitori della teoria della rappresentazione e i sostenitori della teoria della volontà, che aveva animato il panorama giuridico antecedentemente alla promulgazione del codice Rocco, non è completamente sopito. Con ciò si allude a quella parte della dottrina tedesca che, accogliendo una concezione funzionalistica della colpevolezza asservita ad esigenze preventive, individua il punto focale del dolo nel momento rappresentativo. 12 FIANDACA G. - MUSCO E., pt. gen., cit. 11 4 www.ildirittoamministrativo.it La scelta legislativa, oltreché inidonea ad individuare l’oggetto del dolo, ( l’art. 43, infatti, fa riferimento al solo evento, al nucleo del dolo, e non anche agli altri elementi del fatto) è infelice, in quanto questa polarizzazione normativa ripropone il tradizionale contrasto sulla nozione di evento tra concezione naturalistica, che intende l’evento come l’effetto naturale della condotta umana, vale a dire una entità esteriore alla condotta, diversa e distinta da quest’ultima e ad essa legata da un nesso di causalità (dalla quale esulano i reati di pura condotta) e concezione giuridica, secondo cui l’evento consiste nell’offesa del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice ( tale concezione, però, dimentica che vi sono reati senza offesa o di mero scopo che non hanno un evento giuridico13). Il profilo rappresentativo ed, ancor di più, quello volitivo consentono di distinguere, da un lato, il dolo dall’atteggiamento colposo, e dall’altro di individuare tre diversi livelli decrescenti di intensità dolosa. Al livello più alto, di massima intensità, si colloca il dolo intenzionale che si configura quando il soggetto agisce allo scopo di realizzare la condotta criminosa, ovvero la sua volontà è diretta al perseguimento dell’evento, che costituisce l’obiettivo finalistico della condotta14. Ad un livello intermedio si colloca il dolo diretto che si configura, invece, quando il soggetto agente non persegue la realizzazione del fatto, nel senso che l’evento non è direttamente preso di mira, ma si rappresenta con certezza15 gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice, ovvero il verificarsi dell’evento come conseguenza dell’azione16. Il grado più basso della scala dell’intensità dolosa è occupato dalla controversa figura del dolo eventuale. In esso l’evento lesivo ulteriore non è perseguito direttamente dal soggetto agente ( tratto comune, questo, al dolo diretto), ma è previsto dallo stesso come conseguenza possibile (non come certa) della sua condotta; e nonostante ciò, l’autore, perseverando nella sua azione, accetta il rischio che il fatto possa verificarsi17. 13 MANTOVANI F., pt. gen., cit. Esempio di scuola è quello di Caio che spara e uccide Tizio avendo la sua azione come scopo la morte della vittima. 15 Alcuni autori parlano anche di alta probabilità o probabilità al limite della certezza. 16 Esempio classico è quello dell’antiquario che ha assoluta certezza che un determinato quadro è stato sottratto da una collezione – ne hanno parlato i giornali ed ha anche ricevuto il bollettino ufficiale delle opere trafugate – e con questa piena consapevolezza decide di acquistare il quadro. 17 I tratti caratteristici del dolo eventuale sono ben sintetizzati in una celebre locuzione proposta da un autore tedesco: il soggetto agente deve essersi detto: “sia presente o meno quella circostanza, avvenga questo o quest’altro, io agisco comunque. 14 5 www.ildirittoamministrativo.it 2. DOLO EVENTUALE E COLPA CON PREVISIONE : LA RICOSTRUZIONE DELLE TESI DOTTRINALI E GIURISPRUDENZIALI Come già anticipato la struttura del dolo eventuale è controversa anche per il suo collocarsi in una zona limite con la colpa cosciente. Mentre la linea di demarcazione tra dolo diretto e dolo eventuale è di più facile e pronta individuazione, consistendo la stessa nel diverso grado di certezza o possibilità di verificazione dell’evento (criterio c.d. quantitativo-probabilistico), più sottile e di più difficile comprensione risulta la dicotomia tra dolo eventuale e colpa con previsione o cosciente. Occorre, infatti, rilevare che i due criteri di imputazione della responsabilità hanno in comune l’elemento della previsione dell’evento, ma presentano tratti ulteriori profondamente diversi 18. Sul tema sono state prospettate numerose tesi dottrinali e giurisprudenziali tra le quali vanno annoverate: le teorie intellettualistiche, le teorie volontaristiche, le teorie miste, le teorie oggettivistiche19. Tra le teorie intellettualistiche meritano segnalazione: la teoria della probabilità, la teoria della possibilità, la teoria dell’ operosa volontà di evitare l’evento e la teoria dell’approvazione o dell’indifferenza In base a quanto previsto dalla teoria della probabilità, il soggetto agente versa in dolo eventuale se si rappresenta come probabile la verificazione dell’evento ed in colpa cosciente allorché consideri l’evento soltanto possibile. Secondo i sostenitori di tale tesi la distinzione tra le due figure in oggetto andrebbe effettuata sulla base di un criterio meramente statistico-probabilistico. Per alcuni autori tale tesi risulta incompatibile con la struttura del dolo, e quindi inaccettabile , poiché non considera assolutamente l’elemento volitivo. La teoria della possibilità, invece, ritiene sussistente la punibilità a titolo di dolo eventuale se il soggetto agente si rappresenta la sola possibilità di verificazione dell’evento. 18 MARINUCCI G.- DOLCINI E., Manuale di diritto penale ,pt gen., II ed., Milano, 2006. Così GAROFOLI R., pt. gen., cit. 19 6 www.ildirittoamministrativo.it La versione più evoluta di tale orientamento adotta come parametro di riferimento la consapevolezza, astratta o concreta, della pericolosità della condotta, posta in essere dal soggetto agente, rispetto alla lesione del bene giuridico. Anche tale teoria non è andata esente da critiche. Si è, infatti, evidenziato che sussistono delle ipotesi di colpa cosciente in cui la consapevolezza della pericolosità della condotta rispetto alla verificazione dell’evento è analoga a quella del dolo eventuale. I sostenitori della tesi della possibilità, al fine di superare le critiche ut supra evidenziate, hanno sostenuto che per la sussistenza del dolo eventuale non è sufficiente che il soggetto agente si rappresenti la concreta possibilità dell’evento, ma è necessario che lo stesso non abbia allontanato dalla sua mente la rappresentazione dello stesso nel momento in cui agisce. La teoria dell’operosa volontà di evitare l’evento, afferma che il soggetto agente non versa in dolo eventuale laddove abbia approntato tutte le misure idonee ad evitare il prodursi dell’evento. Last but not least, la teoria dell’approvazione o dell’indifferenza che, ponendo lo sguardo unicamente all’atteggiamento interiore del soggetto agente rispetto all’evento, afferma la sussistenza del dolo eventuale quando chi agisce si è posto in una posizione di indifferenza rispetto all’evento; la sussistenza della colpa cosciente, invece, quando il soggetto agente pur prevedendo l’evento, non desidera la sua realizzazione, anzi si auspica che lo stesso non si verifichi. Anche tale orientamento è stato oggetto di critiche. All’uopo la giurisprudenza, di merito e di legittimità, ha evidenziato che la distinzione de qua non può basarsi, come afferma la seguente teoria, sulla rilevazione di entità psichiche non coincidenti con la nozione di volontà. Dalle teorie sopramenzionate devono essere distinte le teorie volontaristiche, che valorizzano il profilo volitivo del soggetto, sulla scorta del presupposto in base a cui il dolo si connota maggiormente per l’elemento volitivo che per il semplice momento rappresentativo. Secondo i fautori di tale teoria, è attribuito al giudice il compito di verificare quale sarebbe stato il comportamento del soggetto agente ove fosse stata certa la verificazione dell’evento da lui non desiderato, affermando la sussistenza del dolo eventuale allorché si constati che questi avrebbe agito egualmente. 7 www.ildirittoamministrativo.it In risposta alla monca teoria volontaristica viene elaborata la teoria mista20, nella quale rappresentazione e volontà trovano coeva contemplazione e che fonda il discrimen (dolo eventualecolpa con previsione) sulla c.d. accettazione del rischio21. Secondo tale teoria risponderà a titolo di dolo eventuale l’agente che, pur non avendo preso di mira l’evento, accetta il rischio che esso si verifichi ed agisca anche a costo di determinarlo; risponderà, invece, a titolo di colpa cosciente il soggetto che, pur rappresentandosi la possibilità dell’evento lesivo, agisca confidando nella convinzione che esso non si verificherà. Benché tra tutte le teorie menzionate quella testé riportata è la più accreditata, anche tale tesi non è andata esente da critiche ed è stata oggetto di numerose rimeditazioni dottrinali22. In particolare, è stato evidenziato che non è possibile ridurre la volontà dolosa a pura e semplice accettazione del rischio ma è necessario cercare un quid pluris. Al fine di superare la suesposta critica, a sostegno e come correttivo della teoria dell’accettazione del rischio, è stata richiamata, da taluni, la c.d. formula di Frank in base alla quale si ha dolo eventuale se il soggetto agisce anche davanti la certezza del verificarsi dell’evento; colpa cosciente, invece, se tale certezza trattiene l’agente. Applicando tale formula, però, si andrebbe incontro ad una difficoltà di tipo probatorio: si sostituirebbe, infatti, quale oggetto di prova, uno stato psicologico effettivo con uno ipotetico (non facilmente dimostrabile in sede giudiziale) e poiché il dolo consta di fenomeni psicologici reali non è consentito sostituire dati effettivi con elementi ipotetici. Giova per completezza dare atto di un ulteriore fronte interpretativo, si tratta delle c.d. teorie oggettive, in base alle quali sarebbe già la natura del rischio assunto a far sì che si versi nell’ambito di una fattispecie dolosa o colposa, senza che sia necessario indagare sull’effettivo atteggiamento interiore del soggetto agente. 20 A tale teoria ha aderito la più recente giurisprudenza in relazione ad un’ampia casistica ed in particolare è stato fatto ricorso a tale tesi per accertare l’elemento soggettivo nelle fattispecie di sinistri stradali con esito letale e nei casi di contagio sessuale da HIV in cui il soggetto consapevolmente affetto dal virus dell’Aids, intrattiene rapporti sessuali non protetti con un partner sano. 21 In tal senso Cass., 15 aprile 1998, in Cass. pen., 1999, n. 3423; Cass., 23 ottobre 1997, in Riv. pen.,1998, n. 342; Cass., 3 giugno 1993, in Cass. pen., 1994, n. 2992; Cass., 5ottobre 1982, in Cass. pen. Mass. ann.,1983, 1978; Cass. 30 luglio 1981, ivi 1982 n. 1535; Cass. 7 maggio 1978, n. 5796. 22 Una giurisprudenza minoritaria, pur non escludendo del tutto l’aspetto del rischio privilegia, tuttavia, il criterio della prevedibilità in astratto o in concreto dell’evento. In tal senso Cass. sez. I, 21 aprile 1994, n. 4583 e Cass. sez. I, 8 novembre 1995, n. 832. Altra giurisprudenza, sulla falsariga della dottrina, ritiene indispensabile per la sussistenza del dolo eventuale l’accertamento della effettiva adesione volontaristica all’evento. Detto in altri termini non è sufficiente la mera accettazione del rischio, ma occorre verificare se questa derivi da una scelta consapevole o sia frutto dell’imprudente o negligente valutazione delle circostanze di fatto. In tal senso vedi anche Cass. sez I, 15 luglio 1988, n. 6581. 8 www.ildirittoamministrativo.it All’interno di queste andrebbero distinte le ipotesi di rischio schermato, ossia controllabili oggettivamente in virtù di determinati fattori (colpa cosciente) e quelle di rischio non schermato, in cui l’agente non è in grado in alcun modo di controllare il decorso causale da lui avviato (dolo eventuale). In altri termini, la distinzione tra dolo eventuale e colpa con previsione andrebbe affrontata anche sul piano oggettivo, in virtù del quale è lecito ravvisare il dolo non solo nell’elemento cognitivovolitivo, ma anche in una condotta particolarmente qualificata sul piano del rischio. Attenta dottrina23 ha, però, evidenziato come: da un lato, una ricostruzione teorica che prescinda in toto dalla valutazione dell’effettivo atteggiamento interiore mal si concili con la previsione normativa in materia di dolo; dall’altro che non di rado le circostanze di fatto non si appalesano come univoche, ma assolutamente ambivalenti. 3. IL CASO THYSSENKRUPP : I GIUDICI DI PRIME CURE PROPENDONO PER IL DOLO EVENTUALE Ciò detto occorre spostare la nostra indagine sull’accertamento dell’elemento soggettivo nelle situazioni a rischio particolarmente elevato, soffermandoci sulla fattispecie di infortuni sul lavoro con esito letale. All’uopo non può prescindersi dall’analisi di una sentenza dal verdetto epocale: la sentenza Thissenkrupp. La sentenza in commento24 si segnala per avere, per la prima volta, applicato ad un omicidio in materia di responsabilità del datore di lavoro25, la categoria del dolo eventuale. 23 Così GAROFOLI R., pt. gen., cit. Corte d'Assise di Torino, 15 aprile 2011, (dep. 14 novembre 2011), Pres. Iannibelli, Est. Dezani, imp. Espenhahn e altri 25 Non constano precedenti editi di affermazione di una responsabilità a titolo di dolo eventuale del datore di lavoro per incidenti letali ai danni di lavoratori: sul carattere innovativo di tale scelta qualificatoria in una vicenda come quella oggetto della sentenza in commento Cfr. MONTUSCHI L. e SGUBBI F., Ai confini tra dolo e colpa. Il caso Thyssenkrupp, in ius17unibo.it, n. 2/2009, 183 s.; BELFIORE E. R., La responsabilità del datore di lavoro e dell’impresa per infortuni sul lavoro: i profili di colpevolezza, in Arch. pen., 2011, 5 ss.. 24 9 www.ildirittoamministrativo.it Tale risposta punitiva, a detta di alcuni molto rigorosa, è ispirata ad un fine generalpreventivo 26 ed è volta a diffondere un messaggio dissuasivo-responsabilizzante27. Nella ricostruzione dell’elemento soggettivo del reato la Corte d’Assise di Torino assume come “modello teorico” e punto di riferimento l’orientamento espresso da un recente arresto della Corte di Cassazione28 con il quale i giudici di legittimità, per la prima volta in assoluto, rivolgendo la propria attenzione contemporaneamente al versante sostanziale e a quello probatorio, ammettono la configurabilità del dolo eventuale nell’ambito dei sinistri stradali con esito letale. Occorre, inoltre, dare atto che le conclusioni contenute in questa sentenza della Suprema Corte si inseriscono in un recente trend giurisprudenziale, di cui è la più significativa espressione la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite del 26 novembre 2009 n. 12433, sul dolo eventuale nella ricettazione. Con la sentenza in commento la Corte d’Assise di Torino ha condannato alcuni manager della Thyssenkrupp e riconosciuto, altresì, la responsabilità amministrativa da reato della multinazionale tedesca, ai sensi dell’art 25- septies d.lgs. 231/2001, in relazione alla morte di sette operai rimasti coinvolti nell’incendio “flash fire” sviluppatosi all’interno degli stabilimenti torinesi. Il collegio giudicante, più nello specifico, attribuisce i medesimi eventi lesivi - ossia l'incendio e le morti che ne sono derivate - agli imputati sulla base di diversi coefficienti psicologici. Ritenendo l’Amministratore delegato di ThyssenKrupp Terni S.p.A. - Herald Espenhahn - colpevole di omicidio volontario, commesso con dolo eventuale e dichiarando gli altri cinque manager responsabili a titolo di omicidio colposo. La condanna del principale imputato, l’amministratore delegato della ThyssenKrupp, trova origine in una complessa condotta con profili attivi e omissivi, dei quali alcuni significativi del momento rappresentativo e altri del momento volitivo. Un orientamento giurisprudenziale favorevole alla configurabilità del dolo eventuale, in controtendenza rispetto al tradizionale riconoscimento della colpa con previsione, è andato di recente emergendo nel settore della circolazione stradale con riferimento ad incidenti mortali provocati da condotte di guida particolarmente spericolate. E’ da segnalare che la possibilità di configurare in punto di diritto il dolo eventuale, in casi di incidenti mortali cagionati da guida sconsiderata, comincia ad essere riconosciuta in alcune sentenze di annullamento con rinvio da parte della giurisprudenza di legittimità, censuranti il modo col quale in sede di secondo giudizio di merito è stata argomentata la più tradizionale opzione qualificatoria in termini di colpa con previsione. 26 In tal senso MONTUSCHI L. e SGUBBI F., cit.; BELFIORE E.R., cit. 27 G.u.p. Trib. Roma 26 novembre 2008, Lucidi (fattispecie di guida spericolata da parte di un giovane assuefatto all’uso di stupefacenti, e in condizioni psicologiche alterate, il quale, attraversando due incroci con semaforo rosso in una zona centrale di una grande città, investiva un motorino con due giovani a bordo e ne provocava la morte, in Foro it., 2009, II, 414 con nota di FIANDACA G., Sfrecciare col “rosso” e provocare un incidente stradale: omicidio con dolo eventuale? 28 Cass sez. I, 15 marzo 2011, n. 10411. 10 www.ildirittoamministrativo.it Tale esito decisionale si fonda su una precisa ricostruzione teorica dei confini tra dolo eventuale e colpa cosciente, prendendo le mosse dalla elaborazione giurisprudenziale ancorata al criterio della volontaria accettazione del rischio. Nel richiamare detto criterio il Supremo Consesso nomofilattico ha, peraltro, cura di precisare che, poiché il dolo eventuale e la colpa cosciente hanno in comune sia l’elemento della rappresentazione dell’evento non direttamente perseguito che l’elemento consistente nell’accettazione del rischio, il criterio distintivo deve essere ricercato sul piano della volizione. Mentre, infatti, nel dolo eventuale occorre che la realizzazione del fatto sia accettata psicologicamente dal soggetto, nel senso che egli avrebbe agito anche se avesse avuto la certezza del verificarsi del fatto, nella colpa con previsione la rappresentazione certa del determinarsi del fatto avrebbe trattenuto l’agente. Si ripropone, così, la teoria della volontaria accettazione del rischio combinandola con la prima “formula di Frank”, la quale nella originaria versione recitava : “se, dall’esame del carattere del reo, ma soprattutto dal modo come egli ha perseguito il suo fine concreto, risulta che egli avrebbe agito egualmente anche se avesse previsto l’evento come necessariamente connesso alla sua azione, sussiste il dolo; mentre si ha colpa con previsione, qualora nella suddetta ipotesi si sarebbe astenuto dal compiere l’azione29”. La Corte continua affermando che nel dolo eventuale il rischio deve essere accettato a seguito di una deliberazione con la quale l’agente subordina consapevolmente un determinato bene (quello della incolumità dei lavoratori) ad un altro (gli interessi economici aziendali). La prova processuale della riconducibilità alla categoria del dolo eventuale dell’atteggiamento soggettivo dell’agente, quindi, lungi dal poter essere raggiunta con la sola dimostrazione che il soggetto attivo ha accettato il rischio di cagionare un determinato evento, necessita, anche, che l’accettazione sia il frutto di un consapevole bilanciamento tra l’interesse perseguito ed il bene giuridico eventualmente leso, conclusosi con la scelta di sacrificare quest’ultimo sull’altare degli interessi dell’agente. Così facendo, la Cassazione riecheggia, come parametro distintivo del dolo eventuale, quel criterio lato sensu economico, sostenuto nell’ambito della più recente dottrina italiana,30 integrandolo con una valutazione sulla personalità del soggetto agente. 29 FRANK R., Das Strafgesetzbuch fuer deutsche Reich, 17 ed., Tuebingen, 1926, 182. PROSDOCIMI S., Dolus eventualis, Milano, 1993, 31 ss. 30 11 www.ildirittoamministrativo.it Proprio il perseguimento di questo duplice vantaggio economico-imprenditoriale, a detta dei giudici torinesi, avrebbe indotto l’amministratore delegato ad assumere la decisione di condurre una “chiusura a scalare”, continuando la produzione e contemporaneamente trasferendo gli impianti presso un altro polo produttivo, procedendo, così, al completo azzeramento degli investimenti previsti e degli interventi necessari e conseguentemente all’azzeramento delle condizioni minime di sicurezza. Sempre secondo l’ipotesi ricostruttiva dei giudici, non potrebbe che essersi trattato di una scelta razionale e ben ponderata, e ciò specie considerando le caratteristiche, di elevata preparazione e competenza professionale specifica, anche sotto il profilo di una adeguata conoscenza tecnica del rischio-incendi, di personalità dell’imputato. Sulla scorta di tali premesse la Corte d’Assise giunge ad affermare la sussistenza del dolo eventuale in capo all'imputato, ritenendo che egli abbia consapevolmente subordinato l’interesse alla tutela della vita dei lavoratori a quello degli obiettivi economici aziendali accettando, così, il rischio che il primo venisse irrimediabilmente sacrificato. 4. THYSSENKRUPP: LA TESI DEL DOLO EVENTUALE NON REGGE AL VAGLIO DELLA CORTE D’APPELLO A distanza di quasi due anni dalla sentenza dei giudici di prime cure, la Corte d’Assise d’appello di Torino31 apporta un ulteriore contributo all’annosa quaestio, evidentemente mai sopita, del confine tra dolo eventuale e colpa con previsione. La Corte d'Assise d'Appello conferma, nel complesso, l 'impianto accusatorio della pronuncia di primo grado. Al contempo, tuttavia, riduce significativamente le pene a carico di tutti gli imputati e, soprattutto, rovescia il verdetto dei giudici di prime cure quanto alla sussistenza del dolo eventuale in capo all'amministratore delegato Espenhahn. La tesi del dolo eventuale, infatti, non ha retto al vaglio della Corte d'Appello, la quale ha derubricato le imputazioni a carico dell'amministratore delegato nelle corrispondenti fattispecie colpose contro la persona e contro l'incolumità pubblica, applicando al contempo l'aggravante della previsione dell'evento ex art. 61 n. 3 c.p.. 31 Corte d'Assise d'Appello di Torino, 28 febbraio 2013, n. 6 (dep. 23 maggio 2013), Pres. Sandrelli, Est. Perrone, imp. Espenhahn e altri. 12 www.ildirittoamministrativo.it In questo modo la posizione di Espenhahn è stata completamente allineata a quella degli altri cinque imputati, accusati sin dal principio di omicidio colposo plurimo ed incendio colposo, entrambi commessi con colpa cosciente, nonché di omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, aggravata dalla verificazione di entrambi gli eventi di disastro e infortunio. In sostanza, la Corte d’Assise d’Appello, rammentando che la nozione di dolo eventuale, inesistente nel nostro codice, è frutto di elaborazioni giurisprudenziali e dottrinali che hanno interpretato in maniera estensiva32 l’art. 43 c.p., osserva che il dolo eventuale si caratterizza per la necessaria compresenza di entrambi gli elementi costitutivi indicati dall’ art. 43 c.p., vale a dire la rappresentazione e la volizione del fatto tipico. Il primo elemento si riscontra negli stessi termini anche in capo a chi agisce con colpa aggravata dalla previsione dell'evento; mentre il secondo, costituendo un requisito del dolo ed al contempo un elemento negativo della colpa, segna lo spartiacque tra i due istituti. Pertanto è chiaro e condiviso che l’elemento idoneo a distinguere tra dolo eventuale e colpa con previsione deve essere ricercato nell’esistenza o meno della volizione. I giudici di primo grado, pur accomunando la posizione di tutti gli imputati sotto il profilo della previsione degli eventi assistita dalla speranza che non si verificassero, avevano poi differenziato la posizione dei dirigenti da quella dell’amministratore delegato, facendo leva sulla tipologia di speranza nutrita: ragionevole, per i primi, in quanto fondata sulla convinzione che l'intervento dei superiori gerarchici avrebbe scongiurato i rischi; irragionevole, per l’amministratore delegato Espenhahn - essendo lui stesso il più alto soggetto in carica responsabile di quella linea di produzione. Sulla base di quanto detto i giudici hanno ritenuto sussistente la fattispecie dolosa, in capo al soggetto apicale, in ossequio al principio secondo cui nel dolo eventuale il rischio deve essere accettato a seguito di una deliberazione con la quale l’agente subordina consapevolmente un determinato bene ad un altro, pur rappresentandosi la concreta possibilità di verificazione di un evento lesivo33. 32 I lavori preparatori del codice penale confermano l’accoglimento della teoria della volontà. Il Guardasigilli si espresse così: “Circa il dolo, tra le due teorie dominanti, della previsione dell’evento (teoria della rappresentazione) e della volontà, si è scelta quest’ultima, come del resto fa l’art. 45 del Codice penale del 1889. Dolo si ha, quando l’evento, non solo è stato preveduto, ma è stato voluto. E ancora o l’evento dannoso è voluto, e c’è il dolo; o non è voluto, e non c’è il dolo”. Se l’evento è conforme all’intento, abbiamo il dolo; se l’evento è non fuori, ma oltre l’intento, abbiamo il delitto preterintenzionale; se invece l’evento va contro l’intento, abbiamo la colpa”. 33 Nel dolo eventuale il rischio deve essere accettato a seguito di una deliberazione con la quale 13 www.ildirittoamministrativo.it Diversa è, invece, la posizione adottata dai giudici d'Appello per almeno due ordini di ragioni. Anzitutto perché la ragionevolezza della speranza nutrita dall'agente non è l’unico criterio, ma uno dei tanti criteri, utili a dirimere i confini tra dolo eventuale e colpa cosciente. In secondo luogo, perché la Corte d'Appello ritiene ragionevole la convinzione di tutti gli imputati, compreso l'amministratore delegato, circa il fatto che gli eventi non si sarebbero verificati. I giudici di seconde cure ritengono, nell’iter logico-giuridico seguito, che sul piano della previsione, sussiste il dolo eventuale allorché l'agente “si rappresenta l'evento- e non il mero rischio di verificazione dell’evento- come non certo ma possibile, con gradi progressivi di possibilità da quella minima a quella significativamente concreta e probabile (ma mai certa)”. La volizione, invece, consiste in “una deliberazione con la quale l'agente, consapevolmente sceglie fra agire, accettando l'eventualità di commettere l'azione vietata, e il non agire”. Alla luce di quanto detto, il percorso che deve seguire il Giudice per accertare l’esistenza del dolo eventuale è quello, assai complesso, di verificare se l’agente avrebbe perseverato nella sua condotta, anche se si fosse prefigurata come certa la verificazione dell’evento di reato34. “Soltanto questa verifica ipotetica permette di dimostrare un'aliquota volitiva effettiva in capo all'agente ”. Premesso, dunque, che non è sufficiente l’accettazione del rischio e che nemmeno può bastare a configurare il dolo eventuale la concretezza e la probabilità del verificarsi dell’evento, occorre soffermarsi su altri indici rilevatori del dolo eventuale35. A tal proposito, la sentenza evidenzia - richiamando quanto già affermato dai giudici di prime cure, a loro volta allineatisi ad un recente insegnamento della Cassazione36 - come l'accettazione dell'evento che contraddistingue il dolo eventuale possa sostanziarsi nella «deliberazione con la quale l'agente subordina consapevolmente un determinato bene ad un altro». l’agente subordina consapevolmente un determinato bene ad un altro. Caso di scuola è quello in cui il rapinatore scappando spari alla guardia giurata pur di riuscire a darsi alla fuga: egli non vuole la morte della vittima (ed anzi in cuor suo spera che ciò non avvenga perché più grave potrà essere l’imputazione in caso di indagini a suo carico) ma avverte come prevalente, per potersi allontanare, l’esigenza di neutralizzare chi glielo possa impedire. L’interesse perseguito e il danno previsto non sono fra di loro confliggenti, seppur il secondo non sia sperato. La morte della guardia giurata diventa il prezzo da pagare per ottenere di realizzare l’obiettivo. 34 E’ il verificarsi della morte che deve essere stato accettato e messo in conto dall'agente, pur di non rinunciare all'azione che, anche ai suoi occhi, aveva la seria possibilità di provocarlo, Così Cass. 4, n. 11222 del 2010 Rv. 249492, imp. Lucidi. 35 La Corte di Assise d’Appello fa ciò attingendo alla casistica che negli ultimi anni è stata più frequentemente interessata dalle contestazioni di dolo eventuale ovvero quella relativa ai reati contro l’incolumità fisica e quella riguardante la circolazione stradale. 36 Cass. pen.,sez. , 1 Febbraio 2011, n. 14011 14 www.ildirittoamministrativo.it Ciò accade, in particolare, «quando l'autore del reato, che si prospetta chiaramente il fine da raggiungere e coglie la correlazione che può sussistere tra il soddisfacimento dell'interesse perseguito e il sacrificio di un bene diverso, effettua in via preventiva una valutazione comparata tra tutti gli interessi in gioco - il suo e quelli altrui - e attribuisce prevalenza ad uno di essi”. Occorrerà, cioè, interrogarsi su quale fosse l’obiettivo perseguito dal soggetto agente e se egli volesse raggiungerlo ad ogni costo (costi quel che costi); ed infine, quale fosse, e su che cosa fosse fondata la speranza che l’evento non si verificasse. Proprio questo tipo di comparazione, fra obiettivo perseguito ed eventi dannosi (previsti e non sperati), consente di risolvere, nel processo de quo, in maniera negativa la verifica ipotetica. La Corte individua l’obiettivo che il soggetto agente, l’amministratore delegato, voleva raggiungere nel risparmio patrimoniale delle somme che sarebbero state necessarie per la realizzazione di opere prevenzionali (tra cui il sistema di rilevazione e spegnimento automatico degli incendi) somme quantificate in 800.000,00 Euro; ed individua, invece, il danno che sarebbe derivato (e che è derivato) dall’accadimento dell’evento in una misura che la sentenza indica in “vari milioni di euro”. Ora, sulla base di una semplice valutazione patrimoniale tra l’obiettivo prefissato e i danni prevedibili in caso di verificazione dell’evento stesso e di una valutazione delle capacità imprenditoriali di Espenhahn, definito “imprenditore esperto”, la Corte conclude, sul punto, affermando che “è impensabile che egli abbia agito in maniera tanto irrazionale”. Alla luce di tali considerazione, nel comparare l’obiettivo di risparmio perseguito con i danni previsti in caso di verificazione dell’evento, viene da sé concludere nel senso che, “accettando il verificarsi degli eventi, Espenhahn, non solo non avrebbe fatto prevalere l'obiettivo perseguito ma avrebbe provocato un danno tale da annullarlo e soverchiarlo totalmente. Qui non si tratta dunque di un caso in cui l'evento previsto è raffigurato come un prezzo da pagare per il raggiungimento dell'obiettivo, bensì di una vicenda in cui la verificazione dell'evento diventa la negazione dell'obiettivo perseguito”. Dunque, Espenhahn non ha agito costi quel che costi, ma in maniera ponderata, nella certezza che gli eventi prefigurati sarebbero stati evitati. Circa, poi, l’irragionevolezza della speranza di evitare gli eventi, speranza che, peraltro, nella sentenza qui in commento, si trasforma nella convinzione, la Corte afferma che tutti gli imputati, incluso l’amministratore delegato, si sono effettivamente rappresentati la possibile verificazione dell'evento, confidando però nel fatto che esso non si realizzasse. 15 www.ildirittoamministrativo.it Un confidare, altamente imprudente (e l’imprudenza è una forma di colpa) ma reso ragionevole dall'osservazione della realtà quotidiana dello stabilimento, all'interno del quale i lavoratori riuscivano sempre a controllare, pur in assenza di mezzi adeguati, i focolai che giornalmente si formavano. Era, dunque, su questo che tutti gli imputati confidavano, ritenendo che si sarebbero evitati incendi disastrosi. La posizione di Espenhahn è, quindi, assimilabile in tutto e per tutto a quella degli altri imputati, per i quali i giudici di prime cure hanno ritenuto configurata la colpa con previsione. E’ stato, infatti, sostenuto che egli aveva gli stessi elementi di conoscenza degli altri imputati, anzi, gli mancava una visione diretta, quotidiana, delle condizioni dello stabilimento. A conclusione di queste note non può non rilevarsi come il concetto di dolo eventuale sia, ancora, nonostante la sterminata letteratura in materia, un concetto ibrido ed evanescente e di difficile distinzione rispetto alla confinante figura della colpa cosciente. Non di rado, infatti, i criteri, prospettati negli anni dalla dottrina per tentare di individuare la labile linea di demarcazione fra i due istituti, finiscono col rispecchiare differenze più di ordine semantico o retorico che di natura sostanziale. 16