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L`art. 42 c.p. dispone che “nessuno può essere punito per un`azione

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L`art. 42 c.p. dispone che “nessuno può essere punito per un`azione
L’art. 42 c.p. dispone che “nessuno può essere punito per un’azione od omissione
preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà”,
specificando poi, al secondo comma, che “nessuno può essere punito per un fatto
preveduto dalla legge come delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvi i casi di
delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge”.
Ai fini dell’attribuzione di una responsabilità penale è quindi di primaria importanza
l’esatta qualificazione dell’elemento soggettivo. Al riguardo, l’art. 43 c.p. specifica
che il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento è preveduto e voluto
dall’agente come conseguenza della propria azione od omissione; mentre è colposo,
o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto
dall’agente, ma è conseguenza di un suo comportamento negligente, imprudente o
imperito – si parlerà in tal caso di colpa generica –, ovvero derivante
dall’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline – parlandosi qui di colpa
specifica.
La distinzione tra i due elementi non risulta, però, essere in ogni caso così netta. In
particolare, la difficile linea di confine tra dolo e colpa è individuabile nella sottile
differenza tra il c.d. dolo eventuale e la c.d. colpa cosciente: il primo si determina
quando l'agente ha previsto la possibilità del verificarsi dell'evento e ha accettato il
rischio di una sua verificazione, mentre la seconda sussiste quando l'agente, pur
prevedendo la possibilità di verificazione dell'evento, ha agito con la convinzione
che l'evento medesimo non si sarebbe prodotto, facendo ad esempio affidamento
alle proprie capacità.
Come confermato di recente dalla Cassazione penale (sent. 15.03.2011 n. 10411) è
punibile a titolo di dolo eventuale colui che pone in essere un'azione accettando il
rischio di verificazione dell'evento che, anche se non direttamente voluto, appare
comunque probabile. L'agente, cioè, pur non volendo quel determinato
accadimento, tuttavia agisce anche a costo che questo si realizzi, sicché lo stesso
non può non considerarsi riferibile alla determinazione volitiva.
Al contrario, nell’ipotesi di colpa cosciente, il soggetto agente pone in essere la
condotta, ma, pur rappresentandosi l'evento, ne esclude la possibilità di
realizzazione, non volendo e non accettando il rischio che quel risultato si verifichi,
nella convinzione, o nella ragionevole speranza, di poterlo evitare per abilità
personale o per intervento di altri fattori.
Non si può quindi affermare che nel reato colposo si possa prescindere dall’evento
(beninteso, in senso giuridico): il reato colposo, infatti, si caratterizza per la
violazione di una regola di diligenza o di una regola precauzionale. E tali regole
hanno proprio la finalità di evitare la concretizzazione di un rischio non tollerato
dall’ordinamento: la violazione della regola precauzionale, infatti, non ha di per sé
rilevanza penalistica, ma l’acquista nel momento in cui si realizza l’evento che quella
regola tendeva ad evitare.
Tali nozioni non sono però sempre di facile applicazione nei casi concreti. Prendiamo
ad esempio la fattispecie di omicidio, ed in particolare quella realizzata in occasione
di incidenti stradali.
Premettendo che nel nostro ordinamento sono previsti, rispettivamente agli artt.
575 e 589, l’omicidio doloso e colposo, come può qualificarsi la morte di un uomo
avvenuta in seguito ad un incidente stradale?
Al di là di casi in cui sia ravvisabile un dolo diretto, probabilmente bisogna partire da
un’ipotesi di colpa con previsione: l’evento astrattamente previsto in concreto, che
la regola precauzionale vuole evitare, secondo l’automobilista non si verificherà. Si
escluderebbe così un’azione di tipo doloso, posto che viene escluso, nella psiche
dell’agente, il verificarsi dell’evento o perché si confida nelle proprie abilità di guida
o per altre circostanze. Seguendo tale ragionamento, dunque, nel momento in cui si
viola una regola di guida, si agisce con colpa, anche se con previsione (circostanza
aggravante comune ex art. 61, n.3, c.p.).
Tuttavia, se si considera che nel momento in cui la violazione di una regola
precauzionale comporti che l’agente non possa più effettuare una contromanovra di
emergenza, passando così all’imponderabile, forse si dovrebbe più propriamente
parlare di dolo eventuale: l’evento, infatti, non sarebbe più evitabile e, quindi, nella
psiche dell’agente, l’evento resta destinato al caso. Si parla in tal caso di
accettazione del rischio dell’evento.
Non bisogna però dimenticare che l’agente non vuole l’evento morte e che
cercherà, quindi, anche se infruttuosamente, di evitarlo. Seguendo tale
ragionamento la giurisprudenza ha più volte ricondotto la fattispecie in esame
nell’ipotesi di colpa con previsione. Nel momento in cui l’automobilista attraversa
con il rosso un incrocio, o commette un’altra manovra stradale pericolosa, se si
rende conto che sta sopravvenendo un altro veicolo e che, quindi, si trova in
prossimità di un urto, di un impatto con un altro utente della strada, proprio perché
in quel momento non gli è più possibile effettuare alcuna contromanovra di
emergenza, non si può, secondo tale orientamento giurisprudenziale, neanche
affermare che agisca dolosamente, in quanto mancherebbe
la volontà di
realizzazione dell’evento. Verrebbe meno, cioè, quell’accettazione volontaria
dell’evento.
Tuttavia, una diversa giurisprudenza, favorevole invece alla configurabilità del dolo
eventuale rispetto alla tradizionale colpa con previsione, va di recente emergendo
proprio nel settore della circolazione stradale, con riferimento ad incidenti mortali
provocati da condotte di guida particolarmente spericolate (cfr. G.i.p. Tr. Milano
21/04/2004; G.u.p. Tr. Roma 26/11/2008; Cass. 01/02/2011).
Prendiamo, quindi, in esame il caso particolare di un soggetto che agisce in un
contesto di pregressa illiceità, azzardandosi ad una guida particolarmente
spericolata. È proprio in tale ambito che si manifestano le maggiori pronunce volte a
qualificare il fatto a titolo di dolo, seppur eventuale.
I giudici di legittimità (sent. Corte di Cassazione n. 10411/2011) si son trovati ancora
una volta ad affrontare il punto cruciale della distinzione tra dolo eventuale e colpa
cosciente, partendo dal notissimo criterio della volontaria accettazione del rischio,
prima accennato. Nel caso di specie un soggetto alla guida di un pesante furgone
rubato, per sfuggire ad una volante della polizia che lo inseguiva, oltrepassava ad
alta velocità una serie di semafori rossi in una zona centrale, ancora attraversata da
un traffico intenso, finendo con lo scontrarsi violentemente con un’automobile di
piccola cilindrata e cagionando così la morte di un passeggero che ne occupava il
sedile posteriore. Sono stati al riguardo individuati due elementi fondamentali:
l’estrema pericolosità oggettiva della condotta di guida da un lato, ed il pregresso
contesto illecito in cui versava la condotta, dall’altro. I giudici di primo grado hanno,
per tali ragioni, ravvisato gli estremi di un omicidio volontario, commesso con dolo
eventuale. Il giudice d’appello, però, riqualificava il fatto come colposo, sostenendo
la necessità di verificare, con un criterio di verifica ex ante, se l’agente avesse in
concreto previsto quel determinato evento poi verificatosi, e se l’avesse previsto in
tempo utile per potersi diversamente determinare. La Cassazione, ancora, tornava a
sostenere una forma dolosa di omicidio, criticando la mancata valorizzazione, da
parte dei giudici di secondo grado, della componente della volizione quale
discrimine tra colpa cosciente e dolo eventuale. In particolare ha precisato la Corte
che “poiché la rappresentazione dell’intero fatto tipico come probabile o possibile è
presente sia nel dolo eventuale che nella colpa cosciente, il criterio distintivo deve
essere ricercato sul piano della volizione (…) Mentre nel dolo eventuale occorre che
la realizzazione del fatto sia accettata psicologicamente dal soggetto, nel senso che
egli avrebbe agito anche se avesse avuto la certezza del verificarsi del fatto, nella
colpa con previsione la rappresentazione certa del determinarsi del fatto avrebbe
trattenuto l’agente”. Si continua poi argomentando che “nel dolo eventuale il rischio
deve essere accettato a seguito di una deliberazione con la quale l’agente subordina
consapevolmente un determinato bene ad un altro (…) L’obiettivo intenzionalmente
perseguito per il soddisfacimento dell’interesse preminente attrae l’evento
collaterale, che viene dall’agente posto coscientemente in relazione con il
conseguimento dello scopo perseguito. Non è, quindi, sufficiente la previsione della
concreta possibilità di verificazione dell’evento lesivo, ma è indispensabile
l’accettazione, sia pure in forma eventuale, del danno che costituisce il prezzo
(eventuale) da pagare per il conseguimento di un determinato risultato”.
Al contrario, colui che affronta una curva a velocità eccessiva, cioè ad una velocità
tale per cui con le sue capacità di guida non possa governare il veicolo, ma
rappresentandosi (erroneamente), con convinzione certa, che sarà in grado di
controllarlo, ancorché poi in concreto non vi riesca e quindi si verifichi l’evento
dannoso, non potrà dirsi aver agito con dolo, nemmeno eventuale. Ciò perché in un
simile caso, pur essendovi la previsione dell’evento, essa è neutralizzata dalla
certezza che l’evento stesso sarà evitato con la capacità di guida, attraverso una
contromanovra di emergenza o per effetto di altre condizioni che l’agente si è
rappresentato come realmente esistenti al momento del fatto.
Nell’ipotesi in cui il guidatore ponga in essere consapevolmente una condotta di
guida tale che non vi sia più la possibilità di scongiurare l’evento dannoso, e quindi
affidi all’imponderabile la realizzazione o non dell’evento stesso, effettivamente
potrebbe ravvisarsi l’accettazione del rischio e, conseguentemente, ci si troverebbe
ancora di fronte ad una forma di dolo eventuale.
Compito del giudice è quindi quello di ravvisare il processo volitivo dell’agente: il
fatto potrà, perciò, essere qualificato come doloso solo se l’agente abbia realmente
percepito e si sia effettivamente rappresentato l’impossibilità di evitare l’evento,
pur di ottenere il risultato cui la sua condotta mirava.
Apparirebbe, dunque, più corretta l’impostazione di quei giudici che sottolineano
una misura oggettiva anche nel dolo: l’evento risulterebbe così ascritto a titolo di
dolo ogni qualvolta l’agente si sia posto (consapevolmente) in contrasto con norme
giuridiche precauzionali e abbia (consapevolmente) affidato all’imponderabile la
realizzazione dell’evento dannoso che quelle norme miravano a prevenire, con ciò
accettandone il rischio.
Certamente, potrà obiettarsi che il fatto di violare un semaforo cagionando incidenti
non integrerà sempre e comunque un’ipotesi di dolo eventuale: hanno, infatti, un
ruolo determinante le circostanze del caso concreto, incluse le capacità di guida e le
altre condizioni psichiche del conducente.
La giurisprudenza sarebbe quindi tendente al dolo eventuale, in luogo della colpa
cosciente con previsione, in presenza di contesti oggettivi di azione contraddistinti
da pregressa o intrinseca illiceità. È innegabile, però, che anche in sede
giurisprudenziale non vi sia un’unanime visione della situazione.
Tuttavia eventi particolarmente gravi, lesivi di beni di rilevanza costituzionale, la vita
e l’integrità fisica per l’appunto, non possono essere affidati ad ipotesi di reato “non
volontarie”, sebbene aggravate mediante la previsione di adeguate circostanze.
La situazione potrebbe forse essere risolta in sede legislativa. È, infatti, auspicabile
l’introduzione di un trattamento più adeguato, che possa magari disporre di più
efficaci e razionali strumenti di graduazione e differenziazione della responsabilità e
delle sanzioni.
Il legislatore è già intervenuto, in realtà, con alcune modifiche al Codice della Strada,
prevedendo ipotesi di ritiro, sospensione o addirittura revoca della patente di guida.
Ma non è tutto. È, infatti, stata avanzata una proposta di legge popolare ben più
incisiva, quale la previsione di un’autonoma fattispecie di reato: l’omicidio stradale,
al fine di introdurre una nuova ipotesi di omicidio.
La fattispecie, collocata all’art. 575bis c.p., disporrebbe che “chiunque ponendosi
consapevolmente alla guida in stato di ebbrezza alcolica o sotto l’influenza di
sostanze stupefacenti o psicotrope (…) cagioni la morte di un uomo è punito con la
reclusione da otto a dieci anni”. Il testo si riferirebbe, quindi, ad ipotesi di guida in
stato alterato da alcool o da sostanze stupefacenti; si richiederebbe, inoltre,
l’accertamento di una violazione del Codice della Strada, l’esclusione di caso fortuito
o forza maggiore, l’accertamento del nesso di causalità tra l’incidente e l’evento
mortale, ma anche del nesso tra eventuale stato alterato ed incidente mortale.
La previsione di una siffatta norma andrebbe ad introdurre una forma di
responsabilità che prescinderebbe dalla distinzione tra dolo eventuale e colpa
cosciente, in tal modo però sollevando problemi in ordine ad ipotesi di
responsabilità oggettiva. Inoltre, la previsione di una forma di responsabilità per
omicidio stradale ancorata a stati alterati del corpo e della mente non avrebbe
probabilmente un così forte impatto, in quanto andrebbe solo ad aumentare la pena
già prevista dall’art. 589, comma 3, c.p..
Tutto questo, inoltre, riproporrebbe le difficoltà interpretative già affrontate dalla
giurisprudenza per quanto riguarda le fattispecie di cui agli artt. 92 e 93 del codice,
concernenti l’attribuzione dell’evento lesivo commesso – in realtà- in stato di
incapacità. Tale formulazione, inoltre, sembrerebbe celare una classica ipotesi di ne
bis in idem sostanziale, laddove punirebbe una seconda volta – ma per un reato
diverso- il soggetto che si pone alla guida in stato di alterazione legata all’assunzione
di bevande alcoliche e/o di sostanze stupefacenti.
Non risulterebbe, quindi, neanche questa la soluzione adatta per offrire una tutela
meritevole a tante vittime della strada, per le quali l’evento lesivo è magari
conseguenza non di condotte di guida alterate ma di veri e propri pirati della strada.
Dott.ssa Carla Zuffiano’
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