Sasso Cavallo Doppia solitaria sui capolavori di "Det" Alippi
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Sasso Cavallo Doppia solitaria sui capolavori di "Det" Alippi
LA PROVINCIA 36 MERCOLEDÌ 6 LUGLIO 2011 [montagna] a cura di Giorgio Spreafico - [email protected] Forse lui stava sfalciando un prato, ripulendo un bosco, riordinando la baita o il fienile. Di sicuro, di qualunque cosa si stesse occupando, teneva anche d’occhio la montagna dalle parti dove un sentiero prende a salire: ognuno ha un bisogno dentro, del resto, e il suo ha da sempre il profilo frastagliato della Grigna. Neppure con lo sguardo più aguzzo dei tempi andati di gioventù, però, Giuseppe Alippi - 76 anni, spigolosa leggenda dell’alpinismo lecchese - in questi giorni avrebbe potuto leggere da lontano e fin nelle rughe più minute il Sasso Cavallo, e leggerlo con il livello di dettaglio necessario per mettere a fuoco in parete delle sagome di scalatori. Peccato. Peccato perché, se gli fosse riuscito, il "Det" - così lo chiamano da sempre - si sarebbe goduto in diretta l’omaggio riservatogli a una settimana di distanza, e senza alcuna strategia concordata, da due dei più forti alpinisti delle ultime generazioni di casa, due fuoriclasse di caratura internazionale che si esaltano nell’esercizio più estremo del verticale, cioè nelle solitarie, e che con questo stile hanno firmato imprese grandiose anche nella stagione invernale. Parliamo di Fabio Valseschini e di Marco Anghileri, parliamo del clamoroso botta e risposta che li ha appena visti protagonisti e che, oltre alla loro marcia in più, celebra e rilucida appunto anche il mito inossidabile e ruspante del "Det", un mito indissolubilmente legato (anche) alle placche e agli strapiombi del più vertiginoso tra i picchi del gruppo delle Grigne, bestione di calcare imponente e aereo che balza fuori spettacolare per 400 e rotti metri dalla testata della Val Meria. Proprio lì, ormai molti anni fa, Alippi ha consegnato alla pietra i due suoi capolavori - la "via dei Corvi" e la "via della Luna" - linee di classe superiore e di difficoltà classiche estreme, sesto superiore e terzo grado artificiale risolti con i "rigidoni", con gli scarponi di ieri e non con le scarpette di oggi, eppure salite con le quali da sempre solo in pochi hanno avuto il fegato e la voglia di confrontarsi. Tra quei pochi, appunto, Valseschini e Anghileri. Fabio, 41 anni, lo scorso febbraio alla ribalta con il clamoroso blitz sulla "via dei Cinque di Valmadrera" di Gianni Rusconi e compagni nel cuore della Nord-Ovest della Civetta, è stato il primo a muoversì, nell’ultimo weekend di giugno. E’ salito ai piedi della Sud del Sasso Cavallo di sabato, ha attaccato domenica e il suo sbarco sulla "Luna" - uno sbarco da astronauta degli appigli - è durato per tutta la giornata, seguito da un bivacco e da qualche altra ora di arrampicata l’indomani. Chiodatura complicata, da quelle parti, su una linea di fessure ripetutamente interrotta dagli strapiombi, con attacco e uscita in comune con la celebre e più battuta "Oppio". Era l’inverno del 1982 6 e 7 febbraio, per la precisione - quando Alippi tracciò la formidabile salita avendo come compagno di cordata un altro drago lecchese del verticale: Benigno Balatti, di una ventina d’anni più giovane. Nessuno prima di Valseschini era mai passato lassù senza compagni di cordata, e le impressioni di un solitario alle prese con quel mondo verticale avrebbero offerto una testimonianza importante, ma il protagonista, pur contattato, ha scelto il silenzio preferendo non rispondere alle domande del cronista. APERTO NEL CASTELLO DI BRUNICO, IN VAL PUSTERIA I popoli delle montagne nell’ultimo museo di Reinhold Messner E cinque. Sono i musei dedicati alla montagna progettati e aperti da Reinhold Messner, il re degli ottomila che proprio in questi giorni ha presentato la sua ultima (lo sarà per davvero: non ne seguiranno altre) struttura ricavata nel Castello di Brunico, in Val Pusteria. Si chiama Ripa, è dedicato ai popoli dei monti («Ri- pa» riunisce i termini tibetani «ri» montagna e «pa» uomo) e si propone come un luogo d’incontro e di scambio culturale tra la popolazione rurale autoctona e gli ospiti provenienti dalle altre terre alte del mondo. Vi sono esposti oggetti dei Damara del del Brandberg in Namibia, dei Masai dell’Africa orientale; dei Tuareg delle montagne dell’Air, dei Dani della Nuova Guinea; dei Walser e delle genti degli Alti Tatra e dei Monti Rodopi; e via via testimonianze che vanno dagli Indios delle Ande, fino ai Naga e i Nepali dell’Himalaya, ai Kalash e Kafir dell’Hindukush, agli Hunza e Balti del Karakorum, ai Mustangi, agli Sherpa e ai Tibetani delle regioni tra Himalaya e la Transhimalaya. Sasso Cavallo Doppia solitaria sui capolavori di "Det" Alippi A distanza di una settimana, senza strategia concordata, l’omaggio e gli exploit di Fabio Valseschini e Marco Anghileri che ripetono rispettivamente la "via della Luna" e la "via dei Corvi" aperte dal grande e defilato alpinista lecchese GRIGNA IERI E OGGI Il vertiginoso Sasso Cavallo, nelle Grigne (foto di Giorgio Redaelli). Qui accanto, da sinistra Giuseppe "Det" Alippi (foto Carlo Caccia), Marco Anghileri e Fabio Valseschini Marco Anghileri, dal canto suo, è andato non più tardi di venerdì a vedersela con la più storica e incredibile via di Giuseppe Alippi al Sasso Cavallo: quella "dei Corvi" appunto (in realtà da tutti chiamata "la via del Det") aperta dal 5 al 7 aprile del 1974 ancora con Balatti, ma anche con altri due compagni di cordata soci del club alpinistico di Mandello il cui nome si rifà a quei volatili: Gianfranco Tantardini ed Ezio Molteni. Marco, 39 anni, ci pensava da un po’ e aveva già attaccato due settimane fa, ritrovandosi però costretto a un rientro pre- «Grandi salite così non sono più di moda, ed è un peccato: che sfida per i migliori interpreti della libera» L’ARRAMPICATA VERSO I MONDIALI DI ARCO Fischhuber ancora re del boulder in Coppa Ha vinto la sua quinta Coppa del Mondo in sei anni, un’impresa che si commenta da sola. Kilian Fischhuber, austriaco di Innsbruck, 27 anni, continua a dominare la scena internazionale dell’arrampicata agonistica senza corda. Si è ripreso il titolo con una gara d’anticipo, vincendo nel fine settimana a Sheffield davanti al francese Cédric Lachat, e si candi- da come grande favorito nel campionato del mondo che si disputerà da venerdì 15 ad Arco. Tra le donne invece resta tutto da decidere: la lotta è tra la giapponese Akiyo Noguchi (vincitrice anche in Inghilterra) e l’austriaca Anna Stohr che la precede ormai di soli 5 punti. Lontani gli italiani: solo quindicesimi di gironata sia Jenny Lavarda sia Christian Core: cipitoso per una chiamata telefonica... di lavoro. Ci aveva scherzato su, senza scendere in dettagli sul luogo, ospite l’altra domenica del festival LetterAltura a Verbania. Aveva spiegato il suo bisogno vitale di «prendere e andare», di tanto in tanto, per ritrovarsi in montagna dove semplicemente - «sta bene», in situazioni nelle quali tutto finalmente dipende soltanto da lui, dalle sue decisioni e dalla gioia che alimenta i suoi gesti. Una libertà che solo qualche volta gli era possibile, aveva raccontato Anghileri a un pubblico di innamorati delle pareti in riva a un altro lago, facendo quell’accenno alla schiavitù del cellulare e degli altri impegni della vita - diciamo - non verticale. Una libertà che l’alpinista lecchese si è ripreso a stretto giro di sentiero e che si è goduto fino in fondo su una salita che aveva già percorso in cordata nel 2000, nell’anno magico della prima solitaria invernale alla "Solleder" in Civetta. «E’ una roba incredibile, la "via del Det" - ci ha detto Marco, non solo membro dei Gamma di Lecco, ma anche vicepresidente del gruppo - Bella, bellissima, complicata. Alpinistica, ecco. Ho riportato già un vecchio cuneo e un vecchio chiodo, per me cimeli preziosi. Ho riordinato e ribattuto un po’ il materiale di assicurazione originale e ho usato 13 chiodi miei, lasciandone 10. Adesso la salita è anche ben messa, in ordine. Spero che qualcuno in più possa andare a ripeterla, perché lo merita davvero». Ci vuole testa, però, per cose così. Ci vuole lo spirito giusto. Ce l’aveva di sicuro Antonello Cardinale, indimenticabile giovane alpinista lecchese, portato via da un maledetto incidente in montagna, lui che è stato il solo a precedere lassù Anghileri come solitario. Erano gli anni Ottanta, e dunque era una vita che nessuno ci riprovava. «Basta questo a dire che straordinario personaggio era Antonello, e per chiedersi cosa ci avrebbe lasciato se avesse avuto la fortuna che gli è mancata. - dice Anghileri - Non si fanno più, ormai, salite così. Non si ripetono più. Sono passate di moda. Manca la testa, già. Eppure sarebbe fantastico se qualcuno di quelli forti di oggi, quelli che "si tengono" ovunque, la via del Det provasse a scalarla in arrampicata libera. Io dico che si può fare, che sarebbe un gran viaggio, un progetto fantastico. Non è più roba per me, purtroppo, e io mi sono goduto l’artificiale, le complicazioni, i trucchetti, il coraggio, la sapienza e le intuizioni dei primi salitori. Quegli strapiombi vanno presi con le molle, uno è anche un po’ troppo friabile. Ma venirne fuori ti lascia dentro una grande felicità». Per "venirne fuori", appunto, Anghileri ha avuto bisogno di una giornata intera di arrampicata venerdì, dopo essere salito giovedì sera a lasciare la corda nel primo degli undici tiri, prendendone le misure. A tre lunghezze dall’uscita, ormai un po’ tardi, nel tardo pomeriggio ha poi preferito non forzare l’uscita e si è goduto anche il bivacco, scendendo in doppia su una cengia più comoda. Salita conclusa dunque l’indomani mattina, sabato. Ecco fatto, uno-due completato. La festa dello «star bene» in montagna e della felicità di due specialisti delle solitarie, e insieme il loro omaggio a una parete senza tempo e a un (defilato) grande della scena alpinistica lecchese e italiana, nato e cresciuto in Grigna ma diventato protagonista anche in Himalaya, in Patagonia, al Monte Bianco così come sulle Dolomiti e sulle Alpi Centrali. Giuseppe Alippi, lui. Un montanaro e non solo uno scalatore, un personaggio capace di ispirare anche un’artista di talento come la lecchese Luisa Rota Sperti, autrice di una singolare biografia disegnata del vecchio alpinista, un lavoro delizioso e sorprendente incardinato a un’intervista di Carlo Caccia e presentato anche all’ultimo Filmfestival di Trento. A scriverne l’introduzione - pubblicata in forma autografa - è stato Reinhold Messner, già compagno del "Det" al Lhotse nella spedizione nazionale alla Sud guidata nel 1975 da Riccardo Cassin, e neanche cose così - credeteci - accadono per caso.