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Definizione di dislessia

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Definizione di dislessia
o r i e n t a m e n t i
G. REID LYON, S.E. SHAYWITZ E B.A. SHAYWITZ – Una definizione di dislessia
d e l l a
r i c e r c a
Una definizione
di dislessia
G. Reid Lyon, Sally E. Shaywitz e Bennett A. Shaywitz
Questo articolo elabora gli aspetti di una definizione operativa di Dislessia
Evolutiva. Esso segue il formato generale di un articolo di Lyon pubblicato su
«Annals of Dyslexia» nel 1995, che rielaborava una definizione operativa proposta nel 1994 (Lyon, 1995). La definizione corrente su cui si è accordato il gruppo
di lavoro aggiorna ed estende la definizione del 1994.1
Definizione del 2003
La dislessia è una disabilità specifica dell’apprendimento di origine neurobiologica.
Essa è caratterizzata dalla difficoltà a effettuare una lettura accurata e/o fluente e da scarse abilità nella scrittura e nella decodifica. Queste difficoltà derivano tipicamente da un
deficit nella componente fonologica del linguaggio, che è spesso inattesa in rapporto alle
altre abilità cognitive e alla garanzia di un’adeguata istruzione scolastica. Conseguenze
secondarie possono includere i problemi di comprensione nella lettura e una ridotta pratica
della lettura, che può impedire la crescita del vocabolario e della conoscenza generale.
Definizione operativa del 1994
La Dislessia è una delle numerose disabilità dell’apprendimento. È un disturbo specifico su base linguistica di origine costituzionale, caratterizzato da difficoltà nella decodifica
1
In aggiunta agli autori, i membri del gruppo di lavoro dell’International Dyslexia Association includevano
Susan Brady, Hugh Catts, Emerson Dickman, Guinevere Eden, Jack Fletcher, Jeffrey Ginger, Robin Morris,
Harley Tomey e Thomas Viall.
Edizioni Erickson – Trento
Vol. 1, n. 3, ottobre 2004 (pp. 265-275)
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di singole parole, che di solito riflette un’insufficiente elaborazione fonologica. Queste
difficoltà nella decodifica di singole parole sono spesso inattese in rapporto all’età e ad altre
abilità cognitive e scolastiche; esse non derivano da una disabilità evolutiva generalizzata
o da una menomazione sensoriale. La dislessia si manifesta con una difficoltà variabile
in diverse forme di abilità linguistica, includendo spesso, in aggiunta ai problemi con la
lettura, un problema cospicuo nell’acquisizione dell’efficienza nella scrittura.
La dislessia è una disabilità specifica dell’apprendimento…
La frase di apertura identifica la dislessia come una disabilità specifica dell’apprendimento, in contrasto al termine più generale disabilità di apprendimento (DA). Sebbene
la categoria generale delle DA comprenda un’ampia gamma di disturbi nell’espressione e
nella comprensione orale, nella lettura, nella scrittura e nella matematica (USOE, 1977),
continuiamo a raccomandare (Fletcher et al., 2002; Lyon, 1995) che questo ambito interrompa l’uso del termine generico disabilità di apprendimento nel trattare delle disabilità
di lettura, e parli invece di disabilità specifiche definite in termini di domini coerenti e
operativi. Da una prospettiva epidemiologica, le disabilità di lettura riguardano almeno
l’80% della popolazione con DA e, quindi, costituiscono il tipo più prevalente di DA
(Lerner, 1989; Lyon, 1995).
Come osservato in precedenza (Lyon, 1995), è anche importante riconoscere che molti
soggetti con dislessia presentano deficit co-occorrenti o in comorbilità in altre aree cognitive
e scolastiche come l’attenzione (Shankweiler et al., 1995; B.A. Shaywitz, Fletcher e S.E.
Shaywitz, 1994), la matematica (Fletcher e Loveland, 1986), e/o la scrittura (Lindamood,
1986; Moats, 1994). Queste osservazioni di comorbilità non tolgono nulla alla definizione
operativa di specificità della dislessia qui proposta, dato che le caratteristiche cognitive
dei deficit nell’attenzione e nella matematica sono abbastanza diverse dalle caratteristiche
cognitive associate ai deficit nelle abilità basilari di lettura (Lyon, 1995; Lyon, Fletcher
e Barnes, 2003).
… di origine neurobiologica
Questa frase riconosce i grandi progressi nella comprensione delle basi neurali della
dislessia negli otto anni successivi alla precedente definizione e va ben oltre la frase «di
origine costituzionale» presente nella definizione del 1994. L’origine neurobiologica della dislessia era sospettata già oltre un secolo fa. Così, già nel lontano 1891, il neurologo
francese Dejerine (Dejerine, 1891) suggerì che una parte della regione posteriore sinistra
del cervello svolgesse un ruolo critico nella lettura. A partire da Dejerine, una vasta mole
di dati sull’inabilità acquisita di leggere (Alessia) ha descritto le lesioni neuroanatomiche
principalmente localizzate nell’area parieto-temporale (inclusi il giro angolare, il giro sopramarginale e le porzioni posteriori del giro temporale superiore) come le regioni critiche
nella «mappatura» del percetto visivo della parola scritta nella sua struttura fonologica
(Damasio e Damasio, 1983; Friedman, Ween e Albert, 1993; Geschwind, 1965). Dejerine
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(1892) descrisse anche un’altra regione posteriore del cervello — questa più ventrale nell’area occipito-temporale — come critica per la lettura. Nell’era moderna, varie indagini
neurobiologiche condotte su campioni di cervello analizzati post mortem (Galaburda et al.,
1985), con la morfometria cerebrale (Brown et al., 2001; Eliez et al., 2000; Filipek, 1996),
e con la Risonanza Magnetica (MRI) (Klingberg et al., 2000) sostengono l’ipotesi che vi
siano differenze nelle regioni temporo-parieto-occipitali del cervello tra soggetti dislessici e normolettori. Forse, la prova più convincente di una base biologica della dislessia
proviene dai dati convergenti e ora preponderanti delle indagini con le neuroimmagini
funzionali. Superando i limiti dell’esame autoptico post-mortem del cervello o quelli della
misurazione delle dimensioni delle regioni cerebrali con indici morfometrici statici, le
neuroimmagini funzionali offrono la possibilità di esaminare il funzionamento cerebrale
durante l’esecuzione di un compito cognitivo. In linea di principio, le neuroimmagini
funzionali sono abbastanza semplici. Quando a un individuo viene richiesto di eseguire
un compito cognitivo identificabile, quel compito pone richieste di elaborazione a particolari sistemi neurali del cervello. Per soddisfare le richieste, è necessaria l’attivazione
di sistemi neurali in specifiche regioni cerebrali, e i cambiamenti nell’attività neurale
possono essere misurati da tecniche come la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e
la magnetoencefalografia (MEG). Dato che l’fMRI e la MEG sono tecniche sicure e non
invasive, possono essere usate ripetutamente, proprietà che le rendono ideali specialmente
nello studio dei bambini.
Diverse indagini neurobiologiche condotte da scienziati in varie parti del mondo hanno
documentato l’alterazione dei sistemi neurali dedicati alla lettura nella dislessia trasversalmente alle diverse lingue e culture. Evidenze convergenti ottenute con le neuroimmagini
funzionali in lettori adulti dislessici mostrano il mancato funzionamento delle parti posteriori
dell’emisfero sinistro durante la lettura (Brunswick et al., 1999; Helenius et al., 1999; Horwitz,
Rumsey e Donohue, 1998; Paulesu et al., 2001; Rumsey et al., 1992; 1997; Salmelin et al.,
1996; Shaywitz et al., 2003; Shaywitz et al., 1998; Simos et al., 2000), allo stesso modo
che in compiti di elaborazione visiva non di lettura (Demb, Boynton e Heeger, 1998; Eden
et al., 1996). Anche i sistemi anteriori, specialmente quelli riguardanti le regioni attorno al
giro frontale inferiore, sono stati coinvolti nella lettura, sia in studi di pazienti con lesioni
cerebrali (Benson, 1977), sia in studi di neuroimmagini (Brunswick et al., 1999; Corina et
al., 2001; Georgiewa et al., 1999; Gross-Glenn et al., 1991; Paulesu et al., 1996; Rumsey et
al., 1997; Shaywitz et al., 1998). Queste evidenze neurobiologiche di disfunzioni nei circuiti
posteriori della lettura dell’emisfero sinistro sono già presenti in bambini dislessici e non
possono essere semplicemente ascritte a una vita di lettura scadente (Seki et al., 2001; B.A.
Shaywitz et al., 2002; Simos et al., 2000; Temple et al., 2001).
Questi dati consentono ai neuroscienziati e ai clinici di utilizzare un modello di lavoro
dei sistemi neurali per la lettura basato sul lavoro storico di Dejerine e sulla più moderna
teoria di Gordon Logan. Logan (1988; 1997) ha proposto due sistemi critici per lo sviluppo
di una elaborazione automatica ed efficiente. Uno riguarda l’analisi della parola, che opera
su unità discrete della parola come i fonemi, e richiede risorse attentive e una processazione
relativamente lenta. Il secondo sistema che opera sulla parola come entità globale è un
sistema automatico e obbligatorio che non richiede attenzione ed elabora l’informazione
o
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o
molto rapidamente. Prove convergenti derivanti da diversi filoni di ricerca (vedi sopra)
indicano che il sistema di analisi della parola ipotizzato da Logan è localizzato nella regione parieto-temporale, mentre il sistema automatico, a elaborazione rapida, è localizzato
nell’area occipito-temporale, che funziona come un’area per la forma visiva delle parole
(Cohen et al., 2000; 2002; Dehaene et al., 2002; 2001; McCandliss, Cohen e Dehaene,
2003; Moore e Price, 1999). L’area della forma visiva delle parole sembra rispondere
preferenzialmente a stimoli presentati rapidamente (Price, Moore e Frackowiak, 1996) ed
è impegnata anche quando la parola non è stata percepita coscientemente (Dehaene et al.,
2001). È questo sistema occipito-temporale che sembra predominare quando il lettore è
diventato esperto, e ha collegato assieme, integrandoli, gli aspetti ortografici, fonologici
e semantici della parola.
La dislessia è caratterizzata da difficoltà a effettuare una lettura
accurata e fluente e da difficoltà nella scrittura e nella decodifica
Questa frase sostituisce la definizione del 1994 che si riferiva semplicemente a «difficoltà nella decodifica di parole singole». La nuova definizione estende questo concetto,
riferendosi specificamente a difficoltà nel riconoscimento accurato delle parole (identificazione di parole reali) e alle abilità di decodifica (pronuncia di non-parole). Essa riconosce
anche una scadente abilità ortografica di scrittura come caratteristica della dislessia.
La componente ortografica della scrittura è intimamente legata alla lettura non solo
perché i suoni sono collegati alle lettere, ma anche perché le parole vengono codificate — letteralmente messe in codice anziché essere soltanto decifrate o decodificate. (S. Shaywitz,
2003, p. 191)
Forse il cambiamento più importante in questa parte della definizione è il riconoscimento che ciò che caratterizza le persone dislessiche, particolarmente gli adolescenti e gli
adulti, è l’incapacità di leggere in modo fluente. La fluenza è la capacità di leggere un testo
rapidamente, accuratamente e con un buon livello di comprensione (Report of National
Reading Panel, 2000; Wolf, Bowers e Biddle, 2001) e costituisce il segno distintivo del
lettore abile.
I dati indicano che i lettori affetti da dislessia possono migliorare, con lo sviluppo,
l’accuratezza nella lettura delle parole, ma la loro lettura rimane disfluente e ciò risulta in
una lettura lenta e faticosa (Lefly e Pennington, 1991; S. Shaywitz, 2003).
Le difficoltà ravvisabili nei soggetti dislessici derivano tipicamente
da un deficit nella componente fonologica del linguaggio…
Anche se sono state proposte teorie sulla dislessia basate sul sistema visivo (Stein
e Walsh, 1997) e altri fattori come la processazione temporale degli stimoli entro questo
sistema (Talcott et al., 2000; Tallal, 2000), vi è ormai un forte consenso tra gli studiosi in
questo campo che la difficoltà centrale alla dislessia è il riflesso di un deficit entro il sistema
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linguistico (vedi Ramus et al., 2003, per una rassegna aggiornata delle teorie della dislessia).
I ricercatori sanno da tempo che il linguaggio consente a chi lo usa di creare un numero
pressoché indefinito di parole, combinando e permutando un piccolo numero di segmenti
fonologici, le consonanti e le vocali, che sono i costituenti naturali della specializzazione
biologica per il linguaggio. La trascrizione alfabetica (cioè, la lettura) consegna la stessa
abilità ai lettori, ma solo se essi connettono i suoi caratteri arbitrari (le lettere) ai segmenti
fonologici che esse rappresentano. Stabilire questa connessione richiede la consapevolezza
che tutte le parole possono essere scomposte in segmenti fonologici. È questa consapevolezza che consente al lettore di connettere le stringhe di lettere (l’ortografia) alle corrispondenti
unità linguistiche (i costituenti fonologici) che esse rappresentano. La consapevolezza che
tutte le parole possono essere scomposte nei loro elementi linguistici basilari (i fonemi)
consente al lettore di decifrare il codice della lettura. Per leggere, un bambino deve scoprire
che le parole nella loro forma verbale possono essere divise in fonemi e che le lettere di
una parola scritta rappresentano questi suoni. Come hanno dimostrato numerosi studi, comunque, questa consapevolezza è largamente assente nei bambini e negli adulti dislessici
(Bruck, 1992; Fletcher et al., 1994; Liberman e Shankweiler, 1991). I risultati condotti
su popolazioni ampie e ben studiate con disabilità di lettura confermano che, in bambini
delle prime classi elementari (Fletcher et al., 1994; Stanovich e Siegel, 1994) come anche
negli adolescenti (S.E. Shaywitz et al., 1999), un deficit nel sistema fonologico costituisce
il correlato più stabile e specifico (Morris et al., 1998) della disabilità di lettura. Questi
risultati formano la base degli interventi rieducativi più promettenti e basati sull’evidenza
(Report of the National Reading Panel, 2000).
o
… Che è spesso inattesa in rapporto ad altre abilità cognitive e
alla garanzia di un’adeguata istruzione scolastica
Questa affermazione ha provocato una grande quantità di discussioni all’interno del comitato. Da una parte, il comitato riconosceva che la nozione di difficoltà inattesa nell’apprendimento
della lettura è basilare in quasi tutte le definizioni di dislessia, inclusa quella del 1995 (Lyon,
1995; Orton, 1937). D’altra parte, conservando il concetto di insuccesso inatteso, il comitato
non voleva abbracciare l’idea che il deficit fondamentale nella decodifica e nel riconoscimento
delle parole dovesse essere significativamente peggiore del QI, come è specificato nelle tipiche
formule di discrepanza. Infatti, c’è un consenso emergente tra i ricercatori e tra i clinici che
la dipendenza dalla discrepanza tra QI e successo nella lettura per la diagnosi di dislessia sia
sopravvissuta alla sua utilità (S. Shaywitz, 2003, p. 137). I dati suggeriscono, piuttosto, che
il divario inatteso dovrebbe essere valutato attraverso il confronto dell’età di lettura con l’età
cronologica e/o comparando l’abilità di lettura al livello educativo e al livello professionale
raggiunto (ibidem, p. 133). La principale preoccupazione derivante dall’affidarsi alle formule
di discrepanza è che esse provocano troppo spesso un ritardo nell’identificazione del problema
di lettura, e questo ritardo nell’identificazione provoca un ritardo nell’intraprendere un efficace
insegnamento della lettura. Rimandiamo il lettore a Fletcher et al. (2002) e a Lyon et al. (2003)
per una discussione più dettagliata di questo punto.
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La novità in questa parte della definizione è il concetto che il bambino necessita di
un’istruzione scolastica efficace. Documentare la storia scolastica del bambino e l’insegnamento che ha ricevuto è fondamentale per comprendere la natura delle difficoltà di
lettura osservate. Per esempio, molti bambini a rischio di fallimento nell’acquisizione
della lettura provengono da ambienti svantaggiati in cui un’educazione precoce di buona
qualità ed esperienze prescolastiche sono meno garantite. Quindi, frequentemente, essi
iniziano la scolarizzazione formale senza molte delle abilità linguistiche essenziali e di
altri prerequisiti della lettura (cioè, la sensibilità fonologica, il vocabolario e la consapevolezza della scrittura), che sono critici per un efficiente sviluppo della lettura. Se
l’insegnamento della lettura che viene fornito al bambino in classe non tiene conto della
mancanza di queste abilità prerequisite e non viene adeguato per insegnarle, tipicamente
si va incontro a un insuccesso nell’acquisizione della lettura (Lyon et al., 2001). D’altra
parte, vari studi recenti (vedi Torgesen, 2000, per una rassegna) hanno mostrato come
molti bambini, identificati a rischio per un insuccesso nella lettura nell’ultimo anno di
scuola dell’infanzia o in prima elementare, a cui veniva fornita un’istruzione adeguata,
riuscivano a sviluppare buone abilità iniziali di lettura. Infatti, Torgesen (2000) ha riportato che interventi precoci efficaci riuscivano a ridurre l’incidenza attesa di insuccessi
nell’acquisizione della lettura dal 18% della popolazione scolastica a una percentuale
compresa tra l’1,4% e il 5,4%.
Ma gli studi sull’intervento precoce riassunti da Torgesen (2000) indicavano chiaramente che nessuno dei programmi di intervento era altrettanto efficace per tutti i bambini
a rischio studiati, anche quando venivano trattati intensivamente da insegnanti qualificati.
Nel discutere di questi risultati in seno al comitato, è emerso un consenso relativamente
al fatto che il ruolo della storia educativa deve essere preso in seria considerazione. Specificamente, la mancanza di risposta a un’istruzione fondata su basi scientifiche è uno dei
fattori che differenziano i deficit di lettura severi e intrattabili dagli insuccessi di lettura
derivanti da un’istruzione inadeguata. Pertanto, la definizione di dislessia evolutiva e
l’identificazione di soggetti dislessici dovrebbe prendere in esame e valutare la qualità
della risposta a una valida istruzione.
Le conseguenze secondarie possono includere problemi di comprensione in lettura e una ridotta pratica della lettura che può
impedire la crescita del vocabolario e della conoscenza generale
L’aggiunta di questa frase porta alle conseguenze negative delle difficoltà fonologiche. Questo aspetto è critico perché tutti comprendano quanto le difficoltà fonologiche
conducano a problemi di accuratezza e fluenza, che a loro volta possono portare a problemi nello sviluppo del vocabolario e nell’acquisizione di conoscenze generali. Nel loro
insieme, esse possono influire sulla lettura e sulla comprensione del testo. È importante
che ciò sia affermato in modo esplicito, per mettere a tacere l’argomento che l’accuratezza
e la fluenza nel riconoscimento delle parole scritte «non costituiscono una vera lettura».
Inoltre, l’inclusione di questi effetti negativi sul vocabolario e sulle conoscenze generali
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fornisce un modello causale che aiuta a mettere a punto una valutazione più complessiva del
problema di lettura, che comprende la consapevolezza fonologica, il principio alfabetico,
l’accuratezza, la fluenza e il vocabolario.
o
Considerazioni conclusive
Dalla definizione operativa iniziale di dislessia pubblicata dal nostro comitato nel
1995, si sono accumulate sostanziali e convergenti evidenze circa l’epidemiologia, il corso
evolutivo, la neurobiologia e le caratteristiche cognitivo-linguistiche della dislessia. Allo
stesso modo, dal 1995, la nostra comprensione della dislessia è stata influenzata da numerosi
studi sull’intervento e la rieducazione che, attualmente, offrono l’opportunità di integrare
le informazioni sulla natura e l’ampiezza della risposta all’insegnamento nelle nostre teorie correnti della dislessia evolutiva. La definizione proposta nel 2003, discussa in questo
articolo, riflette la nostra considerazione per la natura dinamica della ricerca scientifica e
della sua utilità nell’estendere la nostra comprensione della dislessia. Abbiamo rivisto la
definizione operativa del 1995 sulla base delle attuali evidenze convergenti circa l’acquisizione, le disabilità e l’insegnamento della lettura. Ma il nostro compito non è concluso...
La nostra comprensione della dislessia è ancora in corso e continuerà a esserlo in futuro.
Sicuramente, nei prossimi cinque anni, la nostra capacità di portare nuove e migliorate
metodologie di ricerca nello studio della dislessia garantirà l’acquisizione di nuove conoscenze che avranno l’effetto di apportare nuove modifiche alla definizione. La costante è
che sia questa che le nuove definizioni riflettono il meglio che la scienza ci offre.
TITOLO ORIGINALE
Defining Dyslexia, Comorbidity, Teachers’ Knowledge of Language and Reading: A definition of Dyslexia.
Tratto da «Annals of Dyslexia», vol. 53, 2003, pp. 1-14. © 2003 The International Dyslexia Association.
Pubblicato con il permesso dell’editore. Traduzione italiana di Enrico Savelli.
G. REID LYON, National Institute of Child Health and Human Development, National Institutes of Health,
Bethesda, Maryland.
SALLY E. SHAYWITZ E BENNETT A. SHAYWITZ, Yale University School of Medicine, New Haven, Connecticut.
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