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Iron Condor - Domenico Dall`Olio

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Iron Condor - Domenico Dall`Olio
DENTRO GLI IRON CONDOR: LA VERITA’ SU
UNA DELLE PIU’ DIFFUSE STRATEGIE
NON DIREZIONALI SULLE OPZIONI
UNA ANALISI STATISTICA DI LUNGO PERIODO SU TRE
MERCATI EUROPEI SVELA LA LORO REALE PROFITTABILITA’
E-BOOK A CURA DI:
DOTT. DOMENICO DALL’OLIO
CULTORE DI FINANZA AZIENDALE, DIPARTIMENTO DI
SCIENZE DELL’INFORMAZIONE, UNIVERSITA’ DI BOLOGNA
INDICE DEI CONTENUTI
INTRODUZIONE
3
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
4
L’ABC DELLE OPZIONI
5
LO STRIKE PRICE E LA MONEYNESS
6
SCADENZA, ESERCIZIO E STILE DELLE OPZIONI
7
LA DIMENSIONE DEL CONTRATTO E IL PREMIO
9
VALORE INTRINSECO E VALORE TEMPORALE
10
SOTTOSTANTE
13
STRIKE
14
VOLATILITA'
14
VITA RESIDUA
14
TASSO DI INTERESSE PRIVO DI RISCHIO
15
DIVIDENDI
15
UNO SGUARDO GLOBALE AI PARAMETRI QUANTIFICABILI
16
VALORE E PAYOFF A SCADENZA DELLE OPZIONI CALL
16
VALORE E PAYOFF A SCADENZA DELLE OPZIONI PUT
19
COMBINARE LE OPZIONI PER PRODURRE STRATEGIE COMPLESSE
24
L'IRON CONDOR
34
DISTRIBUZIONE DI PROBABILITA' DEI RENDIMENTI
36
2
METODO DI LAVORO
40
DAI RENDIMENTI GIORNALIERI ALLE PROBABILITA' DI SUCCESSO DI UN IRON CONDOR
43
GLI IRON CONDOR NELLA PRATICA
48
IL MOMENTO GIUSTO PER APRIRE LA STRATEGIA
50
GESTIONE DELL'IRON CONDOR
51
UNA DIVERSA METODOLOGIA DI APERTURA DELLA POSIZIONE
53
CONCLUSIONI
54
INTRODUZIONE
Uno dei tanti detti famosi nel mondo della Borsa è che per circa il 70% del tempo i mercati non si
muovono in modo sensibile dai valori precedenti; in altre parole è diffusa l’idea che per circa due
terzi abbondanti delle sedute di contrattazioni il mercato non faccia movimenti rilevanti rispetto alla
sessione precedente, sia essa della durata di un giorno, una settimana, o anche un’ora o cinque
minuti.
Mentre, in simili situazioni, gli investimenti tradizionali come le azioni, gli ETF e i fondi non
producono reddito per gli investitori (nemmeno perdite, a voler essere fiscali), vi sono strategie in
opzioni che permettono di trarre beneficio proprio da questo ‘dolce far niente’ dei mercati.
Una delle più diffuse è l’iron condor, che, come vedremo, è una semplice combinazione di due
spread verticali, a loro volta semplici combinazioni di due opzioni. Ciò che mi accingo a fare è
verificare - dati alla mano - la bontà di questa strategia nel tempo, ossia della sua applicazione
costante, mese dopo mese, anno dopo anno, come strategia di investimento di medio e lungo
termine.
Premesso che un grandissimo lavoro in questo senso è stato fatto – sul mercato statunitense - da
alcuni colleghi trader americani (si veda ad esempio Serenner E. & Phillips M., “Iron condor.
Neutral strategy for uncommon profit”, Marketplace Books, Glenelg, Maryland, 2010), è mia
intenzione ripercorrere studi simili su alcuni indici europei, onde verificare la bontà della strategia in
esame anche sul mercato italiano (indice FTSE Mib) e quelli europei (indici Eurostoxx e Dax).
La prima parte di questo lavoro è dedicata alla teoria sottostante l’iron condor; parlerò quindi
brevemente di opzioni call e put, di cosa significa comprarle piuttosto che venderle allo scoperto e
di come possano essere combinate per costruire alcune semplici strategie strutturate (gli spread
verticali); successivamente vedremo come combinare più strategie semplici per arrivare all’iron
condor e alle sue varianti più comuni (la butterfly, per esempio).
3
Consiglio di leggere la prima parte anche a coloro che ritengono di avere già sufficiente
conoscenza delle basi delle opzioni, perchè, ne sono convinto, troveranno interessanti spunti di
riflessione; e riprendere brevemente concetti noti non fa comunque mai male!
La seconda parte del lavoro sarà dedicata all'analisi della concreta applicabilità dell'iron condor
come strategia primaria sugli indici europei di cui sopra.
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
Fare analisi a posteriori sulle opzioni non è agevole per una serie di ragioni, prima fra tutte la
difficoltà di determinare prezzi di opzioni con diversi strike e scadenze nel passato (a meno di non
disporre dei dati storici ovviamente, ma parliamo di database di dimensioni enormi, date le molte
scadenze e i molti strike quotati in ogni istante); questa difficoltà è rappresentata soprattutto dal
problema della volatilità implicita che concorreva al prezzo di una qualsiasi opzione con un
qualsiasi strike price ad una qualsiasi data passata; vi è inoltre un problema che può verificarsi
nell’utilizzo di dati storici, laddove i prezzi rilevati non sono riferiti a reali scambi, bensì a
imputazioni basate sui prezzi denaro e lettera dei market maker in assenza di scambi effettivi.
In considerazione di tutto ciò la colonna portante dell’analisi qui riportata non sarà quella della
profittabilità monetaria delle strategie presentate, quanto più della loro profittabilità statistica
teorica. L’obiettivo di questo lavoro è dunque semplice: assegnare delle probabilità statistiche alla
profittabilità degli spread verticali e loro combinazioni, verificando, nel contempo, se sia possibile
portare tali probabilità a proprio vantaggio in qualche maniera.
La profittabilità statistica a prescindere da qualsiasi considerazione di carattere tecnico sul grafico
del titolo su cui si costruisce la strategia, come vedremo, è solo in parte legata alla distribuzione
probabilistica dei rendimenti del sottostante, poiché tale distribuzione non assume una forma fissa
nel tempo, bensì una forma variabile. Posto infatti che l’aspetto di massima di una curva dei
rendimenti di uno strumento finanziario sul lungo periodo è abbastanza simile alla Normale
(seppure con alcune evidenti differenze che analizzeremo), l’ampiezza della campana
probabilistica è variabile, in funzione della volatilità.
Ciò porta ad una assai maggiore probabilità delle cosiddette code, ossia degli eventi estremi a
probabilità solitamente molto ridotta, quando la volatilità è più alta della media; viceversa si verifica
una maggiore concentrazione dei rendimenti intorno alla media quando la volatilità è molto bassa,
con una conseguente forte riduzione della probabilità degli eventi estremi.
4
Un elemento che complica però l’analisi è che la forma distributiva dei rendimenti passati non è un
indice delle reali probabilità di successo di una strategia nel futuro, poiché la campana dei
rendimenti alla scadenza di tale strategia potrà differire anche sensibilmente dalla campana nota al
momento dell’apertura della posizione.
Questo comporta un’aura di incertezza che va tenuta in conto in qualsiasi analisi che abbia per
oggetto le opzioni finanziarie. Tutto ciò non è altro che un invito alla prudenza e a non considerare
i risultati riportati in questo lavoro come numeri immutabili nel tempo e quindi totalmente affidabili.
Come vedremo, l’iron condor ha mediamente alte probabilità di successo, ma le perdite che
derivano dalle seppur poche situazioni sfavorevoli, se non gestite al meglio possibile, possono
distruggere il lavoro di mesi, e portare a perdite molto elevate. Tutto ciò ne fa una strategia sì
perseguibile, ma non consigliabile a chiunque.
L’ABC DELLE OPZIONI
Le opzioni sono contratti finanziari che possono essere di due tipi: call o put. Un investitore che
acquista una opzione call acquista – dietro pagamento di un certo prezzo – il diritto di comprare
uno strumento finanziario (detto sottostante) definito dal contratto, ad una o entro una certa data
definita dal contratto e ad un certo prezzo (detto strike), definito anch’esso dal contratto.
Se, per esempio, il titolo xyz quota 10€ e io voglio acquistarlo a 10€ non oggi, ma entro i prossimi
tre mesi, allora posso comprare una opzione call strike 10€ sul titolo xyz con scadenza a 90 giorni,
pagando un prezzo per avere il diritto di fare ciò ad una qualsiasi data compresa tra oggi e i
prossimi 90 giorni, solo se per me sarà conveniente.
Il vantaggio principale dell’opzione è proprio quello appena visto: la facoltà per chi detiene il
contratto di scegliere se esercitare o meno il suo diritto, a seconda della convenienza di tale
esercizio.
Nel caso precedente, se il titolo xyz dovesse salire entro la scadenza dell’opzione, il possessore
dell’opzione call potrebbe decidere di esercitare il suo diritto acquistato, facendosi consegnare le
azioni xyz a 10€, quando magari valgono 11 o anche di più sul mercato.
Se invece alla scadenza il prezzo fosse inferiore allo strike, poniamo 9€, il possessore dell’opzione
call non avrebbe alcun vantaggio nel farsi consegnare le azioni a 10€; potrebbe quindi lasciar
scadere il contratto senza fare nulla e acquistare poi le azioni sul mercato a 9€ l’una, avendo perso
in questa operazione il solo costo del diritto acquistato all’inizio del periodo.
Stiamo dunque parlando di diritti. Diritti che il compratore dell’opzione acquisisce dietro
pagamento di una contropartita monetaria.
Un investitore che acquista una opzione put, invece, acquista, dietro pagamento di un prezzo, il
diritto di vendere un certo bene finanziario definito dal contratto, ad una o entro una certa data
5
definita dal contratto e ad un prezzo (detto strike) definito dal contratto al momento della stipula
dello stesso.
L’opzione put è tipicamente un contratto assicurativo che può essere impiegato, ad esempio, per
proteggersi dal rischio di discesa di un titolo che si possiede. Si supponga infatti di possedere le
azioni xyz a 10€ e che si desideri prefissare il rischio massimo di perdita a 1€ per azione. Con
l’acquisto di una put 9€ l’investitore acquisisce il diritto di cedere a terzi le sue azioni xyz al prezzo
di 9€ ciascuna entro una certa data futura, assicurandosi dunque dall’eventualità di crolli dei
prezzi.
Se alla scadenza dell’opzione il prezzo delle azioni xyz fosse, ad esempio, 5€ - cioè se le azioni
avessero perso la metà del loro valore – l’acquirente della put strike 9€ avrebbe il diritto di vendere
le sue azioni a 9€, limitando così al 10% (più il costo di questa assicurazione, pagato nel momento
dell’acquisto della opzione put) la sua perdita effettiva.
Tutto ciò vale per il compratore delle opzioni. E se il compratore di una opzione paga un prezzo
per avere dei diritti, allora il venditore di quella opzione incassa il prezzo e assume dei doveri…
Se infatti, da un lato, il compratore di una opzione, sia essa call o put, acquisisce, dietro
pagamento di una certa somma di denaro, il diritto di fare qualcosa entro una certa data futura, per
converso il venditore dell’opzione incassa il pagamento del compratore, ma acquisisce l’obbligo di
sottostare al volere di quest’ultimo.
Come vedremo, tuttavia, essere compratori di opzioni non è necessariamente meglio dell’essere
venditori, poiché ci sono vantaggi e svantaggi in entrambe le situazioni.
La posizione del compratore di opzioni è l’espressione di una aspettativa di movimento del titolo
sottostante in una specifica direzione entro una certa data futura. Il compratore di call si attende
un movimento rialzista da parte del titolo sottostante, il compratore di put si attende un movimento
ribassista (o magari lo teme, e desidera proteggersi da esso, vedi il caso dell’acquisto di put per
limitare il rischio di una posizione in azioni).
Sono dunque due le ipotesi implicite nel comportamento del compratore di opzioni: direzionalità del
prezzo, e tempo necessario e sufficiente perché tale direzionalità si verifichi.
Questa doppia ipotesi operativa implicita, come vedremo, è il nocciolo di tutta la disputa in materia
dell’opportunità di essere compratori piuttosto che venditori di opzioni.
Una gran parte della teoria delle opzioni si basa su una assunzione ben precisa: che le posizioni
vengano mantenute aperte fino alla scadenza; ciò non sempre avviene, poiché uno dei vantaggi di
questi strumenti è quello di essere fungibili, esattamente come le azioni e i futures, cioè le opzioni
possono essere comprate e rivendute – o vendute allo scoperto e ricoperte - in qualsiasi momento
prima della scadenza, senza dover aspettare di avere diritti da riscuotere o doveri da assolvere.
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Tuttavia, per comprendere almeno le basi di funzionamento del contratto di opzione è necessario
ragionare avanti nel tempo, alla data di scadenza del contratto stesso, alla quale, come vedremo, il
risultato della posizione del compratore e del venditore sarà un fatto certo e ben definito, mentre
ad una qualsiasi data precedente la scadenza tale risultato può soltanto essere stimato.
LO STRIKE PRICE E LA MONEYNESS
Lo strike price è il primo tratto distintivo delle opzioni rispetto a qualsiasi altro strumento finanziario;
detto anche base o prezzo d’esercizio, è il prezzo - indicato nel contratto – al quale il compratore
dell’opzione può esercitare il suo diritto sul sottostante. Il compratore di opzioni call può quindi
esercitare il suo diritto di acquisto al prezzo d’esercizio, il compratore di opzioni put può esercitare
il suo diritto di vendita al prezzo d’esercizio.
L’acquisto di opzioni call strike 10€ sul titolo xyz dà il diritto di farsi consegnare (dunque di
acquistare) le azioni xyz a 10€ alla data di esercizio o entro la stessa; l’acquisto di opzioni put
strike 10€ sul titolo xyz dà il diritto di consegnare (dunque vendere) le azioni xyz a 10€ alla data di
esercizio o entro la stessa.
In base alla reciproca posizione tra prezzo strike e prezzo del sottostante le opzioni vengono
classificate in tre tipologie: in the money, at the money e out of the money.
Le opzioni sono in the money quando il loro obiettivo – lo strike price – è stato raggiunto e
superato; le call sono quindi in the money (o ITM) quando il prezzo del sottostante è maggiore
dello strike, at the money (o ATM) quando il prezzo del sottostante è in prossimità dello strike
(poco sopra, pari o poco sotto), out of the money (o OTM) quando il prezzo del sottostante è
inferiore allo strike price.
Il discorso va invertito per le put. Esse sono cioè in the money quando il sottostante è inferiore allo
strike, at the money quando il sottostante è circa uguale allo strike (di nuovo poco sopra, pari o
poco sotto), out of the money quando il sottostante è superiore allo strike.
In parole semplici, posto che una opzione call rappresenta una scommessa rialzista, allora se tale
scommessa è già vinta (nel senso che la condizione di successo è stata raggiunta), allora
l’opzione è in the money, se il prezzo è molto prossimo alla condizione di successo l’opzione è at
the money, altrimenti si dice che è out of the money, cioè deve ancora raggiungere il suo scopo.
Stesso discorso, mutatis mutandis, per le opzioni put.
SCADENZA, ESERCIZIO E STILE DELLE OPZIONI
7
Se ad un certo punto il prezzo del sottostante raggiunge e supera lo strike price il possessore
dell’opzione potrebbe trovare conveniente esercitare il diritto incorporato nell’opzione stessa e farsi
consegnare il sottostante al prezzo strike. Questo esercizio anticipato, come viene definito, può
avere luogo soltanto con alcune opzioni, mentre con altre è necessario attendere la scadenza per
poter godere del diritto incorporato.
L’esercitabilità di una opzione alla, o entro la, scadenza è solitamente legata alla possibilità fisica di
trasferire il bene controllato dal contratto. In questo ambito si inserisce il cosiddetto stile
dell’opzione, che può essere europeo o americano.
Le opzioni di stile americano possono essere esercitate in qualsiasi momento precedente la
scadenza, oppure alla scadenza stessa; le opzioni di stile europeo sono invece esercitabili soltanto
nel giorno di scadenza. Ciò che si rileva è che su sottostanti che possono essere effettivamente
scambiati tra soggetti (azioni, futures, merci, valute) si hanno opzioni di stile americano e a volte
anche europeo; su sottostanti che invece non possono essere fisicamente scambiati (ad esempio
gli indici di Borsa), si hanno invece opzioni di stile soltanto europeo.
Laddove vi è una consegna fisica il contratto si risolve con uno scambio effettivo del bene oggetto
del contratto; il compratore ha pagato un prezzo per assumere il diritto di esercizio e di ricevere
quindi il bene oggetto del contratto, il venditore ha incassato il prezzo pagato dal venditore e ha
assunto l’obbligo di consegnare ad esso il bene oggetto del contratto.
Laddove non vi è una consegna fisica di un bene, alla scadenza dei contratti vi è un regolamento
monetario dei saldi di debito/credito relativi alle due controparti del contratto, in funzione della
posizione relativa del prezzo del bene sottostante alla scadenza rispetto allo strike.
Volendo riassumere le posizioni del compratore e del venditore di una opzione call o put in uno
schema immediatamente consultabile si può costruire una tabella come la seguente:
CALL
PUT
LONG
Diritto di acquisto, cioè di farsi
consegnare il sottostante
Diritto di consegna (vendita)
del sottostante
SHORT
Obbligo di consegna (vendita)
del sottostante
Obbligo di acquisto del
sottostante
A proposito di esercizio anticipato - ove consentito - il possessore di una call strike 10€ sul titolo
xyz, ad esempio, potrebbe pensare che se il prezzo del titolo supera i 10€ portandosi, per dire, a
11€, allora potrebbe essere conveniente farsi consegnare le azioni xyz a 10€ così da avere in
portafoglio azioni acquistate a sconto sul loro vero valore corrente sul mercato.
Analogamente, il possessore di una put strike 10€ sul titolo xyz potrebbe pensare che se il prezzo
del titolo scende sotto i 10€ portandosi, per esempio, a 9€, allora potrebbe essere conveniente
esercitare il diritto, vendere allo scoperto le azioni (se non possedute, oppure consegnare alla
8
propria controparte le azioni possedute) a 10€ perché in questo momento valgono molto meno sul
mercato.
Sebbene sia possibile dimostrare matematicamente che l’esercizio di una opzione prima della sua
scadenza non è praticamente mai conveniente, esso è comunque una facoltà implicita nel
contratto, e a volte può avere luogo.
Va precisato, al riguardo, che l’esercizio delle opzioni in the money è facoltativo per il possessore
del diritto entro la scadenza del contratto, ma diviene una operazione automatica (se ne occupa il
proprio intermediario) quando si giunge alla scadenza del contratto: il possessore di opzioni call
strike 10€ sul titolo xyz, se alla scadenza il titolo quota oltre i 10€, si troverà le azioni xyz in
portafoglio, caricate a 10€ ciascuna, in quantità pari a quanto stabilito dal contratto.
Se non si desidera trovarsi le azioni in tasca alla scadenza della opzione call che finisce in the
money è necessario chiudere la posizione sull’opzione prima della scadenza stessa (anche un
minuto prima della scadenza, per intendersi), rivendendola sul mercato sul quale era stata
precedentemente acquistata.
Discorso analogo per il possessore di opzioni put che si trovano in the money alla scadenza: se
non intende cedere le proprie azioni sulle quali è scritta l’opzione o trovarsi con una posizione di
vendita allo scoperto sulle azioni stesse deve chiudere il contratto entro la scadenza,
semplicemente rivendendolo sul mercato sul quale lo aveva precedentemente acquistato.
LA DIMENSIONE DEL CONTRATTO E IL PREMIO
Abbiamo visto in precedenza che il compratore di una opzione, sia essa call o put, acquisisce un
diritto dietro pagamento di una contropartita.
Il prezzo di una opzione viene definito premio e può essere espresso in euro e frazioni di euro, in
misura correlata alla dimensione del contratto, oppure in punti, di valore variabile in funzione del
bene sottostante.
Sulle azioni italiane, ad esempio, le dimensioni contrattuali variano da titolo a titolo; su Eni il
numero di azioni controllate da una opzione è pari a 500 (cinquecento), su Generali è pari a 100
(cento), su Intesa San Paolo è pari a 1000 (mille), e così via; questi sono solo alcuni esempi
ovviamente.
Il valore totale dell’opzione su azioni è pari al prezzo che si rileva dal book moltiplicato per il lotto
minimo del contratto. Se quindi, per fare un esempio, una call su Eni quota un prezzo pari a 0,276
euro, allora il premio totale dell’opzione è 138 euro; se la stessa opzione fosse scritta su Generali
varrebbe 27,6 euro, mentre se fosse scritta su Intesa San Paolo varrebbe 276 euro.
9
La dimensione del contratto è pari alla dimensione che la posizione in opzioni avrebbe se venisse
trasformata in una posizione equivalente sul sottostante, esercitando il diritto incorporato
nell’opzione stessa, al prezzo strike. Se dunque, per esempio, il titolo abc quota 10€, le opzioni
hanno lotto 1000 azioni, e lo strike di una opzione è 12€, allora tale opzione controlla dodicimila
euro di controvalore, dietro pagamento del solo premio.
Le opzioni sugli indici hanno solitamente un prezzo espresso in punti indice; il nostro indice FTSE
Mib, ad esempio, ha un valore pari ai punti quotati moltiplicati per 5€ ciascuno; se quindi l’indice
quota, poniamo, 20mila punti, allora esso vale 100mila euro.
Le opzioni sull’indice FTSE Mib valgono 2,5 euro per punto, dunque la metà del valore dell’indice;
se dunque una opzione call quota, poniamo, 400 punti, allora il suo valore è pari a mille euro; se
quota 80 punti, allora vale 200 euro; e così via. La dimensione del contratto è invece pari a metà
del valore dell’indice.
Le opzioni sull’indice tedesco Dax30 valgono 5 euro a punto, un quinto del contratto futures (cioè
ci vogliono cinque opzioni per avere una dimensione equivalente a quella di un futures), mentre le
opzioni sull’indice Dow Jones Eurostoxx50 valgono 10 euro a punto, esattamente come il contratto
futures scritto sul medesimo sottostante. La dimensione contrattuale delle opzioni sul Dax è quindi
un quinto del valore dell’indice, valutato al prezzo strike dell’opzione considerata, mentre la
dimensione contrattuale delle opzioni sull’indice Eurostoxx50 è esattamente pari al valore
dell’indice sottostante, valutato allo strike dell’opzione considerata.
Tutte queste informazioni sono rintracciabili nei siti delle singole Borse, alle pagine relative alle
specifiche contrattuali dei contratti derivati.
VALORE INTRINSECO E VALORE TEMPORALE
Il premio di una opzione in ogni momento è l’espressione della somma di due componenti, una
legata a quello che dovrebbe essere il valore effettivo dell’opzione nel giorno della sua scadenza,
ossia come se fosse un diritto immediatamente fruibile, l’altra legata all’aspettativa che l’opzione
possa avere effettivamente un valore positivo alla scadenza stessa. Queste due componenti
vengono definite valore intrinseco e valore temporale.
Il valore intrinseco è positivo soltanto per le opzioni in the money, mentre viene arbitrariamente
fissato a zero per le opzioni at the money e out of the money.
Pertanto, per le opzioni call, il valore intrinseco è pari alla differenza tra il prezzo del sottostante e
lo strike price. Tale differenza è positiva soltanto quando il sottostante si trova oltre lo strike,
dunque soltanto quando l’opzione è appunto in the money. Quando il sottostante è pari allo strike
la differenza è nulla e tale è il valore intrinseco; quando invece il sottostante è inferiore allo strike la
differenza è negativa, ma come da specifiche contrattuali si pone pari a zero il suo valore.
10
Di nuovo, quindi, il valore intrinseco di una opzione può essere solo positivo o al limite nullo.
Per le opzioni put il discorso è speculare: posto che le put sono in the money quando il sottostante
è inferiore allo strike, il valore intrinseco di queste opzioni è pari alla differenza tra strike e
sottostante, dunque è positivo in tutti i casi in cui il sottostante è inferiore allo strike – i casi cioè in
cui la put è in the money – e nullo in tutti gli altri casi.
Volendo utilizzare una formula unica, facendo però attenzione ad applicarla alle sole opzioni in the
money, il valore intrinseco è pari al valore assoluto dello scarto tra sottostante e strike. In questo
modo si supera l’inversione dei due termini nel passaggio da una opzione call ad una opzione put
o viceversa. Ma di nuovo invito il lettore a ricordare che se si usa il valore assoluto è facile
confondersi e attribuire un premio maggiore di zero anche ad opzioni put out of the money; si
ricordi quindi che soltanto le opzioni in the money hanno un valore intrinseco positivo, mentre tutte
le altre hanno un valore intrinseco nullo per definizione.
Il valore intrinseco è la componente strettamente ‘logica’ del premio di una opzione. Supponiamo
ad esempio che il titolo xyz quoti 8€. La call strike 5 rappresenta un diritto di acquisto di azioni xyz
a 5 euro ciascuna, quando esse valgono molto di più sul mercato. Se io fossi un investitore
razionale quale prezzo minimo pretenderei dunque per cedere a terzi il diritto di acquistare - da me
- le azioni xyz a 5€ ciascuna? La risposta ovviamente è 3€ per azione! In questo modo infatti
azzererei il vantaggio dell’opzione rispetto all’acquisto diretto delle azioni sottostanti, e non correrei
il rischio di dover cedere le mie azioni a terzi ad un prezzo inferiore al loro valore corrente.
Un aspetto importante è che nell’esempio soprastante non si è parlato di scadenze: il valore
intrinseco non dipende infatti dall’orizzonte temporale dell’opzione, poiché il diritto di acquistare a
5€ un qualcosa che ne vale 8 ha un prezzo minimo logico di 3€ a prescindere da quando tale
diritto possa o intenda essere esercitato. Diciamo dunque che, a meno di casi particolari che
vedremo tra poco, il valore intrinseco di una opzione è invariante rispetto alla scadenza
dell’opzione stessa.
Supponiamo ora un caso inverso: il titolo abc quota 12€ sul mercato. La put strike 18 rappresenta
un diritto di vendere le azioni abc a 18€ ciascuna, quando sul mercato valgono molto meno. Quale
deve essere il prezzo minimo di quella put per azzerare un profitto ingiustificato per il compratore
di tale diritto? Ovviamente la risposta è 6€ per azione. Se infatti io esercito il diritto di vendere le
azioni abc a 18 euro ciascuna e per ottenere tale diritto ho speso 6 euro per azione, allora è come
se stessi vendendo le azioni a 12 euro ciascuna, proprio lo stesso prezzo che esse quotano ora
sul mercato.
Poco sopra ho parlato di possibili casi particolari. Quando un titolo paga un dividendo, tutte le
opzioni che scadono ad una data successiva a quella del pagamento del dividendo stesso devono
tenere conto di tale dividendo.
Posto infatti che come da specifiche contrattuali il possessore di opzioni call (cioè di diritti di
acquisto delle azioni ad una certa data) non ha diritto ad incassare il dividendo pagato entro la
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scadenza delle opzioni stesse, e considerando il fatto che il dividendo comporta un deprezzamento
di pari valore del titolo nel giorno dello stacco, allora la presenza appunto di un dividendo si
traduce in un evidente svantaggio per il possessore di opzioni call, che quindi dovrebbe pagare un
prezzo ridotto per tali opzioni.
La riduzione applicata al prezzo delle opzioni call tiene effettivamente conto del valore del
dividendo che verrà pagato e della distanza temporale tra la data del calcolo e quella del
pagamento del dividendo stesso.
Per converso, in presenza di dividendi staccati ad una data precedente quella di scadenza delle
opzioni put, queste ultime hanno un prezzo maggiorato in funzione dell’entità del dividendo e del
tempo che separa la data del calcolo da quella del pagamento.
Riassumendo, in presenza di dividendi si hanno quindi premi maggiorati per le opzioni put e
decurtati per le opzioni call. Queste maggiorazioni e queste decurtazioni hanno effetto sul valore
intrinseco delle opzioni stesse.
La seconda componente che concorre al formarsi del premio totale di una opzione è quella
cosiddetta temporale. Questa componente è l’espressione numerica, in termini di costo, della
probabilità del verificarsi di un evento preciso: che il sottostante si trovi oltre lo strike dell’opzione
alla scadenza della stessa.
Questa quantificazione di una probabilità statistica è ovviamente una componente molto più
complessa di un semplice valore intrinseco, poiché può dipendere allo stesso tempo da fattori
oggettivi, immediatamente osservabili, e da fattori soggettivi: aspettative sul prossimo andamento
di alcuni parametri di controllo.
Gli elementi oggettivi, calcolabili, che incidono sul prezzo di una opzione sono sei: il prezzo del
sottostante, lo strike price, il tasso di interesse privo di rischio, il numero di giorni che mancano alla
scadenza, i dividendi (se presenti ovviamente), e la volatilità.
Ognuno di questi fattori incide sul prezzo di una opzione in modo diverso, e l’esperienza insegna
che è molto difficile isolare gli effetti delle variazioni di uno di essi dagli effetti concomitanti di tutti
gli altri.
Da quanto visto finora dunque emerge che in ogni istante il prezzo di una opzione è dato dalla
somma di due componenti. Il valore intrinseco non può assumere valori negativi, ma può essere
nullo anche molto tempo prima della scadenza. Anche il valore temporale non può assumere
valori negativi, ma per definizione esso può essere nullo solo ed esclusivamente alla scadenza,
quando non vi saranno più ipotesi formulabili sul prezzo del sottostante, né giorni o ore residui su
cui quantificare probabilità di eventi favorevoli alla posizione assunta.
Alla scadenza di una opzione dunque il prezzo, se positivo, è tutto e solo valore intrinseco. Prima
della scadenza invece il prezzo di una opzione può essere dovuto o alla somma di valore
intrinseco e valore temporale o esclusivamente a quest’ultimo. Ciò fa sì che anche opzioni con
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prezzi strike molto lontani dal valore corrente del sottostante quotino prezzi non nulli in ogni istante
precedente la scadenza.
Se alla scadenza una opzione ha un valore intrinseco maggiore di zero allora essa ha raggiunto il
suo scopo: è in the money, dunque si è rivelata un investimento corretto.
Esempio
Supponiamo che il titolo abc quoti 22€ e che la call strike 25 con scadenza a tre mesi valga 0,5€.
Si tratta di tutto e solo valore temporale, cioè aspettativa, poiché il valore intrinseco è nullo
(negativo in effetti, poiché 22 – 25 = -3, dunque nullo). Se il prezzo del titolo abc a scadenza è
pari a 28€, la call 25 vale 3€per azione, e si tratta di tutto e solo valore intrinseco, poiché il valore
temporale alla scadenza è nullo (non ci può essere ormai alcuna aspettativa).
Sei dunque sono, come abbiamo visto, i parametri che incidono sulla valutazione quantitiva
dell’aspettativa che viene inclusa nei prezzi delle opzioni. Ora vedremo uno ad uno questi sei
fattori quantificabili e i loro effetti isolati sui prezzi delle opzioni.
Una premessa fondamentale: dipendendo da sei parametri, il prezzo di una opzione è descritto
graficamente da una cosiddetta ipercurva in uno spazio geometrico a sette dimensioni, che
ovviamente non può essere disegnato, bensì soltanto, e con fatica, immaginato.
Descrivere l’effetto di una singola variabile sul valore di tale curva immaginaria significa dunque
calcolare quella che matematicamente parlando viene definita una derivata prima parziale, ossia il
calcolo di quanto una piccola variazione in uno dei parametri indipendenti comporti in termini di
variazione sul valore della ipercurva, quando tutte le altre variabili indipendenti non si spostano di
una virgola.
In altri termini, isolare l’effetto di una piccola variazione di prezzo del sottostante sul valore di una
opzione è possibile soltanto immaginando che le altre cinque variabili non si muovano affatto.
Tutto quanto riportato nei paragrafi seguenti va dunque letto tenendo bene a mente tre concetti
fondamentali: il primo è che tutti gli altri parametri si considerano immobili; il secondo è che tale
ipotesi è una notevole distorsione della realtà del mercato, nel quale una variazione in uno dei
parametri fondamentali incide a volte anche in maniera rilevante su tutti gli altri.
Il terzo concetto, senza entrare troppo nel merito perché il discorso si complica notevolmente, è
che nel trading in opzioni solitamente non sono le piccole variazioni dei parametri che interessano
(o meglio preoccupano) il trader, bensì gli scostamenti di una certa entità, sui quali le derivate
parziali della ipercurva del prezzo sono ben più difficilmente valutabili, a causa della forte
interazione che si scatena tra le singole variabili a fronte di movimenti rilevanti in una di esse.
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SOTTOSTANTE
Posto che una opzione call rappresenta un diritto di acquisto su un dato sottostante ad un certo
prezzo, va da sé che più il sottostante sale, maggiore sarà il valore di tale diritto.
Maggiore prezzo del sottostante significa quindi maggiore prezzo per tutte le opzioni call.
Viceversa, posto che l’opzione put ha un valore protettivo a fronte delle discese dei prezzi, tanto
più i prezzi scendono tanto più diventa apprezzabile tale funzione assicurativa, e viceversa
trascurabile quando i prezzi salgono; maggiore valore del sottostante implica quindi minori prezzi
per le opzioni put, e viceversa.
STRIKE
Lo strike è un obiettivo al quale il sottostante deve tendere per dare un valore oggettivo all’opzione,
altrimenti il valore dell’esercizio di un diritto che non apporta alcun vantaggio tende ovviamente a
zero.
Più lo strike price è elevato, minore è la probabilità che il sottostante lo raggiunga entro una certa
data, quindi minore è il valore delle opzioni call; specularmente, tanto più basso è lo strike price,
tanto minore è la probabilità che il sottostante scenda così tanto da raggiungerlo entro la data di
scadenza, dunque minore è il valore del diritto sotteso all’opzione put.
Maggiore strike price significa quindi minori premi per le opzioni call e maggiori premi per le
opzioni put, e viceversa.
VOLATILITA’
La volatilità è una misura statistica dell’ampiezza delle oscillazioni del prezzo del sottostante; tanto
più alta è la volatilità, tanto maggiore è la probabilità che il prezzo del sottostante subisca
variazioni percentuali rilevanti, ossia che possano essere raggiunti prezzi molto elevati o anche
molto bassi.
Ciò si traduce in una maggiore probabilità di esercizio di opzioni put e call anche con strike molto
lontani dal prezzo corrente del sottostante, dunque in prezzi più elevati per tutte le opzioni.
VITA RESIDUA
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Più la scadenza si avvicina, minore è la probabilità che il sottostante effettui un movimento tale da
portare in the money opzioni che al momento corrente si trovano out of the money, e viceversa.
Ciò si traduce semplicemente in prezzi più alti per le opzioni, sia call che put, che hanno scadenze
lontane; viceversa, minore è la vita residua, minori sono i prezzi sia delle call che delle put, perché
minore è la probabilità che esse assumano un valore positivo alla scadenza.
TASSO DI INTERESSE PRIVO DI RISCHIO
Secondo la teoria economica, se i tassi di interesse aumentano i prezzi delle call crescono e quelli
delle put calano.
A dimostrazione di ciò è necessario formulare alcune ipotesi: che il denaro possa essere prestato e
preso a prestito senza vincoli e allo stesso tasso di interesse, che non vi siano limitazioni alle
vendite allo scoperto di derivati e titoli sottostanti e all’utilizzo dei proventi di tali vendite scoperte
(si rammenti che vendendo allo scoperto si incassa il controvalore, che tuttavia non può essere
reimpiegato in altre operazioni, poiché vincolato fino alla chiusura dell’operazione).
Considerando valide le ipotesi soprastanti, posto che le opzioni comportano esborsi molto minori
rispetto alla corrispondenti posizioni dirette sui titoli sottostanti, con tassi più elevati è di norma più
conveniente comprare una call e salvare liquidità che può essere investita e/o prestata a tassi di
interesse elevati, che non impiegare tutta la liquidità oppure prendere a prestito denaro per
comprare il sottostante, dunque aumenta la domanda di opzioni call, dunque aumenta il loro
prezzo.
Specularmente, è molto più conveniente vendere allo scoperto il sottostante, incassare il
controvalore e prestarlo al tasso privo di rischio (ammesso e non concesso che tutte queste
operazioni siano effettivamente fattibili), che non comperare una put, dunque la domanda di
opzioni put cala, dunque cala anche il loro prezzo.
DIVIDENDI
I dividendi si traducono in una depressione di pari incidenza sul prezzo delle azioni, abbassando i
premi delle call e facendo aumentare quelli delle put.
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Nel momento in cui i dividendi sono noti al mercato i premi delle opzioni tengono subito conto di
questo valore conosciuto; in tutti gli altri casi il prezzo delle opzioni tiene conto di stime dei valori
dei dividendi che verranno pagati.
In ogni caso lo stacco di un dividendo atteso dal mercato non ha alcun effetto ‘sorpresa’ sui premi
delle opzioni, poiché tale effetto è già incorporato a priori. Diverso ovviamente il caso di dividendi
straordinari, che per definizione non possono essere previsti, né tantomeno scontati nei prezzi
correnti.
UNO SGUARDO GLOBALE AI PARAMETRI QUANTIFICABILI
La tabella seguente mostra in forma sintetica l’effetto dei sei parametri quantificabili sui prezzi delle
opzioni, sotto l’ipotesi che le singole variabili si muovano una alla volta, mentre le altre cinque
rimangono ferme.
se i parametri crescono
variabile
se calano
call
put
call
put
sottostante
+
-
-
+
strike price
-
+
+
-
vita residua
+
+
-
-
tasso interesse
+
-
-
+
dividendi
-
+
+
-
volatilità
+
+
-
-
Le due colonne di sinistra mostrano l’effetto di una crescita nei valori delle singole variabili sui
prezzi delle opzioni; le due colonne di destra mostrano invece l’effetto di un calo nei valori delle
variabili.
Alcuni dei parametri e i rispettivi effetti sui prezzi delle opzioni meriterebbero approfondimenti a
vario livello, ma questo discorso esula dagli obiettivi di questo lavoro; perciò più avanti ci
limiteremo a commentare come le variabili incidono sulle posizioni complessive delle strategie che
andremo ad esaminare nel dettaglio, cercando comunque di mantenere il discorso su un piano
immediatamente comprensibile per qualunque lettore.
VALORE E PAYOFF A SCADENZA DELLE OPZIONI CALL
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Un concetto che a molti di coloro che si affacciano alle opzioni per la prima volta può rimanere a
lungo poco compreso è che per capire cosa succede ad una posizione in opzioni alla scadenza
bisogna essere in grado di attribuire il giusto valore ad ogni singolo ingrediente del portafoglio.
E’ dunque opportuno distinguere tra valore a scadenza di una opzione e relativo payoff.
Il valore di una opzione a scadenza, lo ricordo, è pari al suo valore intrinseco. E’ quindi nullo per
tutte le opzioni out of the money o al limite esattamente at the money; è positivo, e pari alla
differenza in valore assoluto tra sottostante e strike, per le sole opzioni in the money.
Possiamo quindi rappresentare graficamente il valore di una opzione call a scadenza come segue.
Valore dell’opzione call a scadenza
strike
Sottostante a scadenza
Sull’asse orizzontale sono espressi i prezzi del sottostante, su quello verticale il valore
dell’opzione, in questo caso una call.
La call vale quindi zero per qualsiasi prezzo del sottostante a scadenza pari o inferiore allo strike;
da quest’ultimo in avanti l’opzione si apprezza proporzionalmente alla salita: se il sottostante sale
di un euro oltre lo strike, la call vale un euro per azione, e così via.
Facciamo quindi un passo indietro e ricordiamoci che una opzione call rappresenta un diritto di
fare qualcosa, dunque ha un prezzo che viene pagato per avere tale diritto. Questo prezzo, una
volta pagato, è perso, nel senso che anche in caso di esercizio del diritto non verrà mai restituito al
compratore dell’opzione.
Ma siccome l’opzione alla peggio può perdere per intero il suo valore, il premio pagato rappresenta
sempre il massimo rischio possibile per il compratore: più di quello non può essere perso.
Se quindi vogliamo rappresentare graficamente il risultato monetario della posizione di acquisto su
una opzione call dobbiamo prendere il grafico del valore a scadenza dell’opzione stessa e farlo
scendere lungo l’asse verticale in misura pari al premio pagato. Quello che segue è quindi il
grafico del payoff – cioè del risultato dell’investimento sulla opzione call - a scadenza:
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Payoff della posizione sulla opzione call comprata
Call comprata
strike
Sottostante a scadenza
Qualsiasi prezzo del sottostante a scadenza pari o inferiore allo strike si traduce in una perdita
totale del premio pagato.
Come si può ben vedere dal grafico precedente, superare lo strike non implica necessariamente il
conseguimento di un profitto, anzi, per guadagnare denaro oltre al recupero del premio pagato è
necessario che il sottostante si muova oltre un livello ben preciso, pari alla somma dello strike e
del premio pagato.
Se quindi, per esempio, si acquista una opzione call strike 10€ al prezzo di 0,7€, il prezzo che
deve essere raggiunto per recuperare almeno il premio pagato è pari a 10,7€. Solo oltre tale livello
si matura un reale profitto sulla posizione di acquisto sull’opzione call.
Comincia dunque a delinearsi il quadro dei vantaggi e degli svantaggi dell’essere compratori di
opzioni call: da un lato si può subire al massimo una perdita prefissata e perfettamente nota nel
momento stesso in cui la posizione viene aperta; dall’altro lato per ottenere un profitto è necessario
che il sottostante non solo si muova a favore, ma almeno per una certa entità; e, come se non
bastasse, entro una certa data.
La posizione del compratore di opzioni è quindi quella di chi investe contemporaneamente su due
variabili: prezzo e tempo. Riprenderemo questi concetti più avanti.
Ora riflettiamo sulla posizione del venditore allo scoperto dell’opzione call. Innanzitutto il valore
dell’opzione a scadenza è sempre quello di cui al primo grafico visto in questo paragrafo; il valore
dell’opzione a scadenza non dipende quindi dalla posizione assunta su di essa dagli investitori.
Posto quindi ora che per il compratore la massima perdita possibile è pari all’intero premio pagato,
la stessa quantità di denaro deve specularmente essere il massimo profitto potenziale del
venditore.
Il venditore incassa quindi il premio, e lo conserverà per intero per qualsiasi prezzo del sottostante
a scadenza pari o inferiore allo strike; a partire da quest’ultimo valore in poi si avrà una riduzione
graduale della quantità di denaro trattenuta, fino al raggiungimento di un punto di pareggio,
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localizzato esattamente allo stesso valore del punto di pareggio del compratore dell’opzione. Oltre
il punto di pareggio il profitto del compratore si traduce in una equivalente perdita per il venditore
allo scoperto.
Il payoff della posizione in call venduta allo scoperto è dunque simmetrico - rispetto all’asse
orizzontale – a quello della posizione in call comprata, come da grafico seguente.
Payoff della posizione sulla opzione call venduta allo scoperto
Sottostante a scadenza
strike
Call venduta
allo scoperto
Se dunque il compratore dell’opzione call ha un rischio massimo predefinito e un profitto almeno
teoricamente infinito, il venditore allo scoperto ha un profitto massimo potenziale predefinito e un
rischio almeno teoricamente infinito.
Questi sono concetti fondamentali che vanno analizzati quando è necessario valutare la
convenienza dell’essere compratori piuttosto che venditori di opzioni; un problema che
riprenderemo tra poco, dopo aver analizzato anche le posizioni del compratore e del venditore di
put.
VALORE E PAYOFF A SCADENZA DELLLE OPZIONI PUT
Il valore di una opzione put a scadenza dipende dalla sua moneyness, analogamente a quanto
visto per le opzioni call. Posto che l’opzione put offre un vantaggio al compratore soltanto se il
sottostante si deprezza, va da sé che la put vale zero per qualsiasi prezzo del sottostante pari o
superiore allo strike, e si apprezza proporzionalmente alla discesa del sottostante a partire dallo
strike. Il grafico del valore della put a scadenza è dunque il seguente.
Valore dell’opzione put a scadenza
Anche nel caso di una opzione put il premio una volta pagato è perso, quindi di nuovo esso
rappresenta una perdita certa, ma predefinita, perfettamente nota al momento dell’acquisto della
opzione.
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strike
Sottostante a scadenza
Da ciò discende che per passare dal grafico del valore dell’opzione put a scadenza a quello del
suo payoff a scadenza è necessario far scivolare verso il basso il grafico soprastante, lungo l’asse
verticale, in misura pari al premio pagato, come da grafico seguente.
Payoff della posizione sulla opzione put comprata
Put comprata
strike
Sottostante a scadenza
Una prima differenza rispetto all’acquisto di opzioni call è data dal potenziale di profitto massimo:
mentre per la call è teoricamente infinito, per la put esiste un massimo naturale al profitto, dato dal
caso in cui il sottostante vada a zero.
Come per il passaggio dall’opzione call comprata a quella venduta allo scoperto, per passare dal
payoff a scadenza della put comprata a quello della put venduta allo scoperto è sufficiente ribaltare
il grafico rispetto all’asse orizzontale.
Payoff della posizione sulla opzione put venduta allo scoperto
strike
Sottostante a scadenza
Put venduta
allo scoperto
Le quattro posizioni fondamentali, long e short, su call e su put, possono essere facilmente
memorizzate con un semplice schema che possa radunarle tutte insieme in modo immediato; tale
schema è riportato qui di seguito:
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Le quattro operazioni di base in un unico colpo d’occhio
LONG
CALL
PUT
SHORT
Così, da sinistra a destra e verso l’alto si ha la call long, verso il basso la call short; da destra a
sinistra e verso l’alto la put long, verso il basso la put short.
Un altro modo di vedere le quattro posizioni di base è dato dalla tabella successiva, nella quale la
chiave di lettura è quella che nei miei anni di esperienza di docente su questa materia mi ha
permesso di far sempre comprendere ai miei studenti in modo immediato il significato - in termini di
opportunità e rischio - delle singole posizioni.
L’idea è quella di considerare le opzioni call come strumenti ‘positivi’, data la loro natura di
investimenti rialzisti, e le put come strumenti negativi, data la loro natura di investimenti ribassisti.
In questo senso la lettura delle quattro caselle della tabella seguente dovrebbe risultare subito
chiara.
LONG
CALL
PUT
+
+
posizione rialzista
-
SHORT
+
+
posizione NON
rialzista
-
posizione ribassista
-
-
Posizione NON
ribassista
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Nel riquadro superiore sinistro la lettura è la seguente: "ho un atteggiamento positivo (il primo “+”),
su uno strumento positivo (il secondo “+”, da cui la simbologia “+ +”)". In altre parole il pensiero
del trader che acquista una opzione call è “ho una aspettativa di rialzo sul sottostante”.
La cella sottostante, quadrante inferiore sinistro, va letto come l’opposto rispetto alla prima parte, e
lo stesso segno per la seconda parte: "ho un atteggiamento negativo su uno strumento positivo".
In altre parole il pensiero del trader che vende allo scoperto una opzione call è “non ho una
aspettativa di rialzo sul sottostante”.
Da qui scaturisce una delle fondamentali distinzioni nel trading in opzioni: il fatto di non avere
una aspettativa di rialzo è equivalente all’avere una aspettativa di ribasso? Forse il 99% delle
persone che non si occupano di trading in opzioni risponderebbe in modo affermativo, non
cogliendo la sottile differenza tra le due situazioni.
Ma per un trader in opzioni questa è una differenza fondamentale, che va compresa appieno per
poter utilizzare questi strumenti nel modo più appropriato.
Il quadrante superiore destro indica l’avere una aspettativa positiva su uno strumento negativo,
ossia una aspettativa di ribasso sul sottostante; in altre parole il significato della posizione long su
una put è “penso che il sottostante scenderà”.
E ora sorge spontanea una domanda molto importante: è la stessa cosa affermare “non penso che
salirà” piuttosto che “penso che scenderà”?
Anche se le due affermazioni possono sembrare equivalenti, la differenza tra di loro, in termini di
trading sulle opzioni, è enorme.
Fermiamoci un momento a pensare a un concetto molto banale: quando si apre una posizione di
investimento su un qualsiasi strumento finanziario quanti sono gli scenari di massima possibili
dopo un certo lasso di tempo?
La risposta immediata è “tre”: o sale, o scende, o rimane stabile. Di questi tre scenari uno è
favorevole, uno è neutrale, uno infine è sfavorevole.
Per un trader in opzioni gli scenari di massima che devono interessarlo sono in realtà cinque, non
tre: o rimane pressoché stabile, o sale poco, o sale molto, o scende poco, o scende molto.
Il perché delle distinzioni tra il salire o lo scendere poco o molto è presto spiegato: dal momento
che al compratore di opzioni call non è sufficiente che il sottostante salga per avere un profitto,
allora va da sé che gli scenari a lui favorevoli sono uno solo su cinque; non è infatti sufficiente che
il sottostante salga per farlo guadagnare: deve salire molto, e - come se ciò non bastasse - deve
salire molto in un tempo limitato.
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La posizione del venditore allo scoperto di opzioni call è ben diversa: generalmente ha tre scenari
favorevoli (scende molto, scende poco, rimane stabile), uno neutrale (sale poco, perché alla
peggio restituisce tutto il premio pagato ma non perde soldi) e uno solo sfavorevole (sale molto).
Discorso analogo, mutatis mutandis, per le opzioni put: se il sottostante sale molto, sale poco o
rimane stabile ottiene un profitto; se il sottostante scende poco non guadagna ma nemmeno
perde, se scende molto perde. Di nuovo dunque tre scenari favorevoli, uno neutrale e uno solo
sfavorevole.
A grandi linee quindi il venditore allo scoperto di opzioni – sia put che call - parte sempre con un
60% di probabilità di guadagnare, e un 80% di probabilità di non perdere. Questo è un aspetto
fondamentale del trading in opzioni. E si tratta di un aspetto che i più ignorano per molto tempo,
quando non per sempre, ingannati dalla trappola mentale del premio come massima perdita nota a
priori della posizione lunga.
Per enfatizzare il concetto dell’opportunità di essere venditori allo scoperto piuttosto che
compratori di opzioni si consideri nuovamente un concetto già introdotto: comprare opzioni
significa dover fare previsioni su due variabili contemporaneamente, prezzo e tempo.
Io chiedo una cosa molto semplice ai lettori: avete mai visto una agenzia di rating attribuire un
lasso temporale alle proprie previsioni di target price per questa o quella azienda quotata?
Ovviamente no: nessuna agenzia di rating si sognerà mai di dire entro quanto tempo prevede che
possa essere raggiunto il target price annunciato.
Né del resto si può pretendere che le agenzie di rating si sbilancino in tal senso: non possono di
certo fare previsioni temporali per il verificarsi degli eventi attesi; sarebbe veramente troppo.
Eppure il fattore tempo non è affatto una variabile trascurabile nel trading in opzioni, anzi, è proprio
la variabile principe del trading in opzioni. Il tempo che passa è ciò che più di ogni altra cosa
segna il confine tra il profitto e la perdita del compratore e del venditore di opzioni.
La posizione del compratore di opzioni è dunque quella di un investitore talmente bravo a fare
analisi da poter assegnare lassi temporali ad analisi di prezzo; una cosa assai complessa. La
posizione del venditore allo scoperto di opzioni è invece quella di un analista che cerca su un
grafico livelli di prezzo che difficilmente potranno essere significativamente oltrepassati entro un
certo lasso di tempo.
E c’è un altro aspetto fondamentale di cui tenere conto: la possibilità di difendere una posizione
piuttosto che un’altra.
Il compratore di una opzione call, per fare un esempio (che comunque può essere trasposto –
mutatis mutandis – anche al caso dell’opzione put), cosa può fare per difendersi da un sottostante
che non sale verso lo strike prescelto entro la scadenza dell’opzione? Assolutamente nulla…
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L’unico modo di forzare il mercato a dargli ragione sarebbe l’avere una liquidità sufficiente da
consentirgli di acquistare il sottostante in misura tale da condizionarne l’andamento, spingendolo
oltre lo strike dell'opzione.
Ammesso e non concesso che tale comportamento fosse
effettivamente perseguibile (al di là delle possibili complicazioni ‘legali’ derivanti dal fatto che si sta
compiendo un aggiotaggio), ciò comporterebbe l’esporsi due volte nella stessa direzione del
mercato, pur di avere ragione a tutti i costi. Un comportamento dichiaratamente folle.
Viceversa, il venditore allo scoperto di opzioni posto di fronte ad un sottostante che non sale deve
solo attendere la scadenza per conservare il premio incassato, e se proprio il sottostante deve
salire e arrivare a minacciare la base venduta è sufficiente acquistare il sottostante per invertire
immediatamente il segno dell’operazione, senza aumentare il rischio effettivo: lo si inverte soltanto
di segno, perché a quel punto il rischio è che la salita sia fasulla e il sottostante torni sui propri
passi, nel qual caso basterebbe chiudere la posizione su di esso per ritornare alla short call
originaria.
Mentre il chiudere in stop loss una posizione lunga su una opzione che sembra essere diretta ad
una scadenza senza valore comporta inequivocabilmente una perdita, una posizione short che
viene difesa in seguito ad una minaccia conserva intatta la possibilità iniziale di produrre un utile; il
discorso quindi è ben diverso, anche in termini operativi e non solo teorici.
COMBINARE LE OPZIONI PER PRODURRE STRATEGIE COMPLESSE
Le opzioni possono essere combinate in moltissimi modi e produrre così – in termini della somma
algebrica di tutte le singole posizioni – profili di payoff a scadenza molto diversi, adattabili
pressoché a qualsiasi scenario atteso sul sottostante.
Opzioni di diverso tipo, cioè call e put, possono essere combinate per investimenti mirati a trarre
vantaggio da forti movimenti del sottostante a prescindere dalla sua direzione, oppure dall’esatto
opposto, ossia dalla eventualità che il sottostante oscilli all’interno di range specifici di valori, senza
oltrepassare sensibilmente né un valore specifico di resistenza né un altro valore specifico di
supporto.
Le più note strategie in tal senso sono gli straddle e gli strangle, e loro varianti, come gli strip e gli
strap.
Se queste strategie vengono acquistate allora mirano a sfruttare un forte movimento direzionale
del sottostante, in una qualsiasi delle due direzioni; se invece vengono vendute allo scoperto esse
mirano a trarre beneficio dal mancato movimento sensibile del sottostante entro un certo lasso di
tempo.
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Stiamo dunque entrando nel merito delle considerazioni alla base di questo lavoro: l’ipotesi
fondamentale di partenza, ancora da dimostrare, è che i mercati per circa il 70% del tempo non si
muovano in modo rilevante.
Se due opzioni, una call e una put, aventi lo stesso strike e la stessa scadenza vengono acquistate
insieme, danno origine alla strategia nota come straddle, il cui payoff a scadenza è illustrato in
figura seguente.
Payoff a scadenza di uno straddle comprato
Call comprata + put comprata
(stessicomporta
strike e scadenza)
La put comprata
l’esborso di un premio che rappresenta la sua massima perdita
possibile; stesso discorso per la call comprata. La somma dei due premi pagati dunque è la
massima perdita possibile.
strike
Questa perdita a scadenza si materializza
per aintero
in un solo punto preciso: lo strike delle due
Sottostante
scadenza
opzioni. Si consideri infatti che per qualsiasi prezzo superiore allo strike la opzione put comporta
la perdita integrale del premio pagato, ma la call produce per lo meno un rientro parziale del
premio pagato, poiché si trova gradualmente sempre più in the money.
La somma algebrica delle due posizioni produce quindi un risultato che dalla massima perdita
possibile gradualmente rientra verso la parità.
I punti di pareggio sono dati dalla somma e dalla sottrazione del premio totale pagato per le due
opzioni e del loro strike. Se, ad esempio, lo strike è pari a 10€, e il premio della call e della put è
0,65€, allora il massimo rischio è pari a 1,30€ (0,65 + 0,65). Tale è la perdita che si registra se a
scadenza il prezzo del sottostante è proprio pari a 10€.
Dal momento che la proporzione tra movimento del sottostante e profitto è di 1 a 1, affinché si
verifichi un rientro di 1,30€ il sottostante deve allontanarsi proprio di tale distanza dallo strike, in
una qualsiasi delle due direzioni.
I due punti di pareggio sono pertanto localizzati a 8,7€ e a 11,3€. Al di fuori di uno qualsiasi di
questi due valori la posizione complessiva va in profitto; all’interno si ha una perdita, la cui entità
dipende dal prezzo del sottostante alla scadenza.
Facciamo ancora un computo rapido. Posto che 1,30 euro su 10€ sono il 13%, l’area di perdita
per la strategia long straddle è di ampiezza pari al 26%, il 13% per parte.
Finché il sottostante non compie un movimento di almeno il 13% in una specifica direzione e
mantiene poi la direzionalità acquisita la posizione rimane in perdita. Questo vale ovviamente per
il compratore delle due opzioni, mentre la posizione del venditore è esattamente speculare: non
perde finché il sottostante non esce da uno dei due punti di pareggio.
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Payoff a scadenza di uno straddle venduto allo scoperto
Call venduta allo scoperto + put venduta allo scoperto
(stessi strike e scadenza)
strike
Sottostante a scadenza
Ovviamente un movimento del 26% non lo si vede molto spesso sui mercati finanziari, ma come si
evince dal grafico se per una qualsiasi ragione il movimento del sottostante è veramente molto
violento la perdita per il venditore allo scoperto di straddle può essere devastante, visto che in
entrambe le direzioni si ha una perdita costantemente crescente.
Lo short straddle è - come vedremo più avanti - uno degli ingredienti di un particolare caso di iron
condor: la butterfly, o spread a farfalla.
Una piccola variante dello straddle, detta strangle, si ottiene combinando una put e una call con
stessa scadenza ma strike differenti; in particolare, lo strike della put inferiore a quello della call.
Un esempio di long strangle è raffigurato nella figura seguente.
Payoff a scadenza di uno strangle comprato
Call comprata + put comprata
(strike della put inferiore a quello della call e stessa scadenza)
strike
put
strike
call
Sottostante a scadenza
In questo caso la massima perdita potenziale, che è sempre pari alla somma dei premi pagati per
l'acquisto delle due opzioni, non è più localizzato in un punto soltanto, bensì in una area, quella
compresa tra i due strike.
Vi è dunque uno svantaggio rispetto al caso dello straddle, ma vi è anche un vantaggio: mentre lo
straddle è fatto di due opzioni pressoché entrambe at the money, dunque molto care, lo strangle è
solitamente costituito dalla somma di due opzioni out of the money, quindi meno care; in altri
termini la massima perdita si verifica sì in una area di prezzo anziché in corrispondenza di un
prezzo preciso, ma è di entità minore rispetto a quella dello straddle.
La posizione del venditore allo scoperto di uno strangle si ottiene ribaltando il payoff della figura
precedente rispetto all'asse orizzontale, come da figura seguente.
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Payoff a scadenza di uno strangle venduto allo scoperto
Sottostante a scadenza
strike
put
strike
call
Call venduta allo scoperto + put venduta allo scoperto
(strike della put inferiore a quello della call e stessa scadenza)
Lo short strangle, come vedremo più avanti, è uno degli ingredienti dell'iron condor.
Ora dobbiamo introdurre le strategie verticali, fatte di opzioni dello stesso tipo (o solo call o solo
put), aventi la stessa scadenza e strike diversi, una comprata e l'altra venduta allo scoperto.
Le posizioni che si possono ottenere con simili combinazioni sono chiamate spread verticali, e
possono essere fondamentalmente di due tipi: a debito e a credito.
In funzione dei due tipi di opzioni e dei due tipi di spread verticali appena nominati si possono
dunque costruire quattro diversi spread:
1. il bull call vertical spread (spread verticale di call al rialzo) è costituito da una call comprata e
una call venduta, con lo strike della comprata inferiore a quello della venduta; si tratta di uno
spread a debito, poiché il premio che si paga per l'acquisto della call con strike inferiore è sempre
matematicamente più alto del premio che si incassa dalla vendita della call con strike superiore; il
saldo differenziale è quindi un esborso che si sopporta; il payoff è riportato in figura seguente.
Payoff a scadenza di un bull call vertical spread
Call comprata + call venduta allo scoperto
(strike della comprata inferiore a quello della venduta e stessa scadenza)
strike call
comprata
strike call
venduta
Sottostante a scadenza
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Come si ottiene il payoff soprastante è presto detto: per qualsiasi prezzo del sottostante a
scadenza pari o inferiore allo strike della call comprata (quello più a sinistra) si perde l'intero
premio della call comprata e si mantiene incassato l'intero premio della call venduta.
Essendo essi due valori fissi, è fisso anche il differenziale tra loro; tale differenziale, infine, è
negativo, poiché la call comprata è più cara di quella venduta.
Se il sottostante sale oltre lo strike della call comprata si recupera gradualmente il premio pagato
per il suo acquisto, fino a maturare un profitto proporzionale, mentre dalla call venduta si mantiene
il premio incassato (fino ad un certo punto però, ci arriveremo tra poco).
La sommatoria di queste due componenti fa dunque un valore crescente insieme al prezzo del
sottostante (dunque verso destra); il punto di taglio dell'asse orizzontale (cioè il punto di pareggio,
o breakeven) è dato dallo strike della call comprata più il premio netto pagato (cioè il premio
pagato per la call comprata meno il premio incassato dalla call venduta).
La crescita del profitto non è però costante: per qualsiasi valore del sottostante a scadenza pari o
superiore allo strike della call venduta allo scoperto si ha infatti da un lato un profitto crescente
sulla call comprata, ma dall'altro una perdita - tanto più elevata quanto più il sottostante sale - sulla
call venduta allo scoperto (si rivedano i payoff delle singole posizioni se ci si sta perdendo).
La sommatoria del profitto sulla call comprata e della perdita sulla call venduta è pari a zero in
qualsiasi punto superiore allo strike della call venduta, perciò oltre tale strike il payoff non può più
mutare rispetto al valore assunto in corrispondenza di esso.
Con uno spread verticale di call al rialzo si definiscono dunque fin dall'inizio una massima perdita
potenziale - il premio totale netto pagato - e un massimo profitto potenziale, dato da una semplice
formula:
(strike della call venduta - strike della call comprata) - premio netto pagato
In altri termini, il massimo profitto potenziale è dato dallo scarto tra gli strike meno il premio netto
pagato.
Se, ad esempio, si costruisce uno spread verticale di call rialzista sul titolo xyz fatto di long call 9 e
short call 10, il premio per la call 9 comprata è pari a 0,70€ e il premio incassato dalla call 10
venduta allo scoperto è 0,25 euro, allora il premio netto pagato, ossia la massima perdita
potenziale, è pari a 0,45€ per azione, mentre il massimo profitto potenziale è dato da (10 - 9) 0,45€, cioè 0,55€ per azione.
Ora dobbiamo porci una domanda importante: qual è lo scopo di una strategia di questo tipo?
Tecnicamente il bull call vertical spread risponde all'aspettativa che il sottostante non scenda al di
sotto di un valore definito (lo strike della call venduta), combinato con una protezione del capitale
in caso di errore di analisi.
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Si tratta cioè - almeno teoricamente - di investire sullo scenario di non rottura di un supporto, con
la possibilità di trarre un profitto indipendentemente dal fatto che su tale supporto i prezzi
inneschino poi un rimbalzo forte, debole o anche semplicemente un movimento laterale. I già citati
(e desiderati) tre scenari favorevoli su cinque.
Più avanti, tuttavia, vedremo cosa significa costruire con dati reali i quattro tipi di spread verticali
possibili (quello appena mostrato e i tre successivi), e noteremo in realtà che un bull call vertical
spread di norma lo si costruisce con opzioni out of the money, perchè altrimenti ha poco senso, e
in tal caso per trarre profitto il sottostante deve salire oltre lo strike comprato, ma preferibilmente
non troppo, altrimenti la vendita della call con strike superiore diventa penalizzante. E si rientra
così nel ben più sfavorevole caso di un unico scenario profittevole (la salita decisa del sottostante),
accompagnato alla auto-imposizione di un tetto massimo al profitto anche nella fortunata ipotesi
che si azzecchi una difficile previsione di prezzo e di tempo.
Dunque il discorso va ribaltato rispetto a quanto detto poco fa: non si tratta di investire su un
supporto confidando nella sua tenuta, bensì di scommettere sulla rottura di una resistenza (lo
strike comprato), ipotizzando però che da tale rottura non si generi abbastanza forza da spingere i
prezzi oltre una successiva resistenza (lo strike venduto). In pratica si sta facendo una
scommessa di prezzo e di tempo - cosa, come già detto, assai complessa - e ci si tarpa subito le
ali nel caso fortuito in cui tale scommessa vada a buon fine!
Tra poco vedremo diversi esempi, che chiariranno meglio queste problematiche.
2. il bear call vertical spread (spread verticale di call al ribasso) è costituito nuovamente da una call
comprata e una call venduta, ma questa volta gli strike sono in posizione invertita: lo strike della
comprata è superiore a quello della venduta; si tratta di uno spread a credito, poiché il premio che
si paga per l'acquisto della call con strike superiore è sempre matematicamente più basso del
premio che si incassa dalla vendita della call con strike inferiore; il saldo è quindi un premio che si
incassa; il payoff è riportato in figura seguente.
Payoff a scadenza di un bear call vertical spread
Call comprata + call venduta allo scoperto
(strike della comprata superiore a quello della venduta e stessa scadenza)
strike call
comprata
Sottostante a scadenza
strike call
venduta
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In questo caso il premio netto non è pagato, bensì è incassato, poiché ciò che si incassa dalla
vendita della call con strike inferiore è maggiore di ciò che si paga per l'acquisto della call con
strike superiore.
Il premio netto incassato rappresenta il massimo profitto potenziale, mentre la massima perdita
potenziale è pari alla distanza tra i due strike meno il premio netto incassato.
Il payoff globale si ottiene con ragionamenti analoghi a quelli visti nel caso del bull call vertical
spread: per qualsiasi prezzo del sottostante pari o inferiore allo strike minore si ha la perdita
completa del premio pagato per la call comprata, ma anche l'incasso totale del premio incassato
dalla call venduta, superiore al premio pagato per quella comprata; dunque globalmente si ha un
profitto, pari al premio netto incassato.
A salire dallo strike venduto allo scoperto si ha un profitto decrescente, poiché si restituisce via via
una parte del premio incassato dalla vendita, fino alla restituzione totale, quindi il punto di
pareggio, che si ha in corrispondenza dello strike venduto più il premio netto incassato; oltre il
punto di pareggio si va in zona di perdita, crescente fino a un massimo che poi rimane costante.
La perdita trova infatti un tetto in corrispondenza dello strike della call comprata, oltre il quale la
perdita sulla call venduta viene bilanciata sempre perfettamente dal profitto sulla call comprata.
Tutte le considerazioni che si possono fare in merito allo scopo di una simile strategia sono l'esatto
opposto di quelle fatte per lo spread verticale di call al rialzo.
Si tratta quindi di vendere allo scoperto una resistenza, sperando che non verrà oltrepassata,
ponendo però fin da subito un tetto alle perdite nel caso l'aspettativa si rivelasse errata.
Non dovendo fare ipotesi di prezzo e di tempo, bensì soltanto formulare ipotesi su un valore di
prezzo che difficilmente potrà essere superato entro una certa data, si torna finalmente nel caso
dei tre scenari favorevoli su cinque, uno neutrale, e uno solo infine sfavorevole, con l'aggiunta che
comunque lo scenario sfavorevole produce una perdita limitata e nota a priori.
E' ora di vedere un po' di esempi su dati reali.
Quella che segue è una porzione di tabella delle opzioni sull'indice FTSE Mib con una scadenza a
circa 15 giorni di calendario di distanza, quando il sottostante quota poco sotto i 20000 punti,
prelevata dal sito di Borsa Italiana:
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Nella colonna centrale appaiono gli strike price, sulla sinistra le call, sulla destra le put. Nella parte
sinistra della tabella, da sinistra verso destra le colonne riportano il prezzo denaro, il prezzo lettera,
l'ultimo prezzo scambiato, e infine la "c" che indica che si tratta di opzioni call; nella parte destra
della tabella, da sinistra verso destra le colonne riportano la "p" che indica che si tratta di put,
l'ultimo prezzo scambiato, il prezzo denaro e infine il prezzo lettera.
Supponiamo allora di voler costruire uno spread verticale al rialzo di call, con una distanza di 500
punti tra gli strike negoziati.
Poiché il sottostante quota circa 20000 punti, tutte le call con strike pari o inferiore a 19750 sono in
the money, la call 20000 è at the money, tutte le call, infine, con strike pari o superiore a 20250
sono out of the money.
Ipotizziamo di poter sempre ottenere un eseguito ad un prezzo baricentrico tra denaro e lettera, e
di negoziare sempre una opzione per volta. Cominciamo poi dalle opzioni in the money:
caso 1
Long call 19000, short call 19500: il premio che si paga è pari a 1020 punti (ogni punto vale 2,5
euro), il premio che si incassa è pari a 635 punti. Dunque l'esborso netto è pari a 385 punti. Il
massimo profitto potenziale è pari allo scarto tra gli strike negoziati meno il premio netto pagato,
dunque 115 punti. Sostanzialmente dunque si rischiano 962,5€ per poterne incassare al massimo
287,5. Il profitto massimo si concretizza per qualsiasi valore a scadenza del sottostante pari o
superiore a 19500 punti. Essendo l'indice al momento intorno ai 20000 punti, l'importante è che
esso non si trovi a più del 2,5% in meno dalle quotazioni attuali al giorno di scadenza delle opzioni.
caso 2
Long call 19500, short call 20000: si pagano 635 punti, se ne incassano 328; il premio netto
pagato è quindi 307 punti. Il profitto massimo potenziale è pari a 193 punti. Si rischiano dunque
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767,5€ per incassarne al massimo 482,5. Ma per avere questo profitto l'indice deve rimanere
sopra 20000 punti alla scadenza
caso 3
Long call 20000, short call 20500: si pagano 328 punti, se ne incassano 128; il premio netto
pagato è quindi 200 punti. Il profitto massimo potenziale è pari a 300 punti. Si rischiano dunque
500€ per incassarne fino a 750. Ma per avere questo profitto l'indice deve salire almeno fino a
20500 punti al giorno di scadenza.
caso 4
Long call 20500, short call 21000: si pagano 128 punti, se ne incassano 36; il premio netto pagato
è quindi 92 punti. Il profitto massimo potenziale è pari a 408 punti. Si rischiano dunque 230€ per
incassarne fino a 1020. Ma per avere questo profitto l'indice deve salire almeno fino a 21000 punti
al giorno di scadenza.
Conclusioni
Il rapporto tra il massimo profitto e la massima perdita è tanto più favorevole quanto più out of the
money sono gli strike negoziati; ma ciò implica anche una minore probabilità di successo, poiché il
movimento del sottostante necessario a portare la posizione in guadagno è sensibile.
Lo spread verticale di call al ribasso si ottiene invertendo le posizioni, e dunque anche i conteggi,
degli esempi soprastanti.
Ne deriva che mentre l'investitore che compra la call 20500 e vende la call 21000 di cui al caso 4
scommette su una crescita dell'indice FTSE Mib del 5% entro 15 giorni, fissando in questo modo
un massimo rischio pari a meno di un quarto del massimo profitto potenziale; l'investitore che apre
le posizioni invertite spera che il valore di 21000 punti non verrà superato nei prossimi 15 giorni di
calendario e per mettere in opera questa sua aspettativa assume un rischio pari ad oltre quattro
volte il suo massimo potenziale beneficio.
Così di primo acchito viene spontaneo attribuire al primo investitore un comportamento prudente e
al secondo un comportamento pericoloso, ma la domanda fondamentale a cui finora non abbiamo
risposto è: quali sono le probabilità statisticamente a favore dell'uno e dell'altro?
Questa è la vera domanda da porsi, perchè le probabilità a favore dell'uno e dell'altro sono
la vera discriminante in questa situazione.
Riprenderemo questi concetti più avanti.
3. il bull put vertical spread (spread verticale di put al rialzo) è costituito da una put comprata e una
put venduta, con lo strike della comprata inferiore a quello della venduta; si tratta di uno spread a
credito, poiché il premio che si paga per l'acquisto della put con strike inferiore è sempre
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matematicamente più basso del premio che si incassa dalla vendita della put con strike superiore;
il saldo è quindi un premio che si incassa; il payoff è riportato in figura seguente.
Payoff a scadenza di un bull put vertical spread
Put comprata + put venduta allo scoperto
(strike della comprata inferiore a quello della venduta e stessa scadenza)
strike put
comprata
strike put
venduta
Sottostante a scadenza
Per qualsiasi prezzo a scadenza pari o superiore allo strike della put venduta si mantiene l'intero
premio netto incassato; a scendere dallo strike venduto si restituisce gradualmente il premio
incassato fino al suo azzeramento, che avviene in corrispondenza del livello dato dallo strike
venduto meno il premio netto incassato; successivamente la posizione complessiva va in perdita,
fino ad un tetto, in corrispondenza dello strike comprato e per qualsiasi valore inferiore ad esso,
pari alla differenza tra lo scarto tra gli strike e il premio netto incassato.
4. il bear put vertical spread (spread verticale di put al ribasso) è costituito nuovamente da una put
comprata e una call venduta, ma questa volta lo strike della comprata è superiore a quello della
venduta; questa volta si tratta di uno spread a debito, poiché il premio che si paga per l'acquisto
della put con strike superiore è sempre matematicamente più alto del premio che si incassa dalla
vendita della put con strike inferiore; il saldo è quindi un esborso che si sopporta; il payoff è
riportato in figura seguente.
Payoff a scadenza di un bear put vertical spread
Put comprata + put venduta allo scoperto
(strike della comprata superiore a quello della venduta e stessa scadenza)
strike put
comprata
Sottostante a scadenza
strike put
venduta
Per qualsiasi prezzo a scadenza pari o superiore allo strike della put comprata si perde l'intero
premio netto pagato; a scendere dallo strike comprato si rientra gradualmente del premio pagato
fino al suo rientro totale, che avviene in corrispondenza del livello dato dallo strike comprato meno
il premio netto pagato; successivamente la posizione complessiva va in profitto, fino ad un tetto, in
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corrispondenza dello strike venduto e per qualsiasi valore inferiore ad esso, pari alla differenza tra
lo scarto tra gli strike e il premio netto pagato.
Utilizzando i prezzi di cui alla tabella già utilizzata per i quattro casi di spread verticali di call è
possibile dimostrare che anche nel caso delle put gli spread a debito sono tanto più performanti
quanto più out of the money sono le opzioni trattate.
Due parole vanno spese sullo spread verticale di put al rialzo (quello a credito cioè): esso risponde
all'aspettativa che le quotazioni non scenderanno al di sotto di un valore predefinito, lasciando
all'investitore un profitto predefinito sia nel caso in cui il prezzo salga molto, sia in quello in cui
salga poco, sia infine in quello in cui il prezzo rimanga stabile. Ancora una volta, tre scenari a
favore su cinque.
Possiamo ora finalmente unire tutti i pezzi del puzzle e giungere alla figura dell'iron condor, vero
oggetto di questo lavoro.
L'IRON CONDOR
Se lo spread verticale al ribasso di call è una figura che permette di trarre profitto da uno scenario
non rialzista, e lo spread verticale al rialzo di put è una figura che permette di trarre profitto da uno
scenario non ribassista, allora la loro combinazione produce una figura che permette di trarre
profitto da uno scenario di sostanziale lateralità del mercato, non sotto un certo valore che si
considera valido supporto e non oltre un certo altro valore che si considera valida resistenza.
Il payoff di questa combinazione è riportato alla figura seguente.
Payoff a scadenza di un iron condor
Bull put spread + Bear call spread
strike put
comprata
strike call
comprata
strike put
venduta
Sottostante a scadenza
strike call
venduta
Da un altro punto di vista, l'iron condor può essere interpretato anche come uno short strangle a
cui sono stati posti due limiti alle perdite potenziali, grazie ad acquisti di opzioni molto out of the
money a copertura del rischio delle opzioni vendute.
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L'iron condor segue le stesse logiche di profitto dei due spread verticali che lo compongono,
quanto a dire che maggiore è l'area che si tiene compresa tra i due strike venduti, quello della call
e quello della put scoperte, minore è il potenziale ritorno, a fronte di un rischio elevato.
Ma vi è anche una buona notizia: più è sfavorevole il rapporto tra rischio e rendimento massimi
potenziali, maggiori sono le probabilità che alla scadenza a materializzarsi effettivamente sia il
profitto e non la perdita.
Ecco quindi il payoff tipico di un iron condor che molto verosimilmente l'investitore si troverà più
facilmente a porre in essere:
Payoff a scadenza di un iron condor tipico
Bull put spread + Bear call spread
strike put
comprata
strike call
comprata
strike put
venduta
strike call
venduta
Sottostante a scadenza
Un caso particolare è dato dalla cosiddetta butterfly, e si può ottenere in due modi diversi, e
sostanzialmente equivalenti.
Combinando uno spread verticale di call al rialzo e uno spread verticale di call al ribasso nei quali
la call venduta coincide, e il suo strike è baricentrico rispetto agli strike acquistati, si ottiene un
payoff come da figura seguente.
Payoff a scadenza di una butterfly
Bull call spread + Bear call spread
strike call
comprata
strike call
comprata
Sottostante a scadenza
strike call venduta
(due vendite)
E di nuovo questa figura può essere letta in un modo diverso dalla somma di due spread verticali:
come uno short straddle al quale sono stati messi due tappi di sicurezza alle estremità negative,
per abbassare il rischio derivante da un errore grave di analisi.
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Lo stesso payoff si può ottenere anche combinando uno spread verticale al rialzo di put con uno
spread verticale al ribasso di call: basta infatti che lo strike della put e della call vendute coincidano
e che esso sia baricentrico rispetto agli strike della put e della call comprate.
L'aspettativa dell'investitore che apre una butterfly è che il sottostante oscilli in un range
abbastanza ridotto di prezzo fino alla scadenza delle opzioni. Se, da un lato, la estrema riduzione
dell'area profittevole è un significativo svantaggio rispetto all'iron condor, dall'altro la notizia
positiva è che la butterfly è solitamente caratterizzata da un rapporto di rischio rendimento molto
favorevole.
Qui si chiude la parte teorica. Ora affronteremo il vero cuore del problema, ossia l'assegnazione di
probabilità statistiche alle figure dell'iron condor su diversi sottostanti, basandoci sui dati dell'ultimo
decennio e sulle forme distributive delle probabilità di movimento dei prezzi in periodi ben definiti di
tempo.
Da qui in avanti dovrò introdurre un po' di concetti di statistica, ma cercherò di essere il più chiaro
e il meno tecnico possibile.
DISTRIBUZIONE DI PROBABILITA' DEI RENDIMENTI
Per poter attribuire probabilità statistiche ad un qualsiasi fenomeno è necessario sapere come tali
probabilità siano distribuite su tutti i valori possibili del fenomeno stesso, a fronte di un numero di
osservazioni sufficientemente ampio.
Una larga parte dell'ingegneria finanziaria moderna si basa sull'ipotesi, che come vedremo è
abbastanza ragionevole, che i rendimenti giornalieri di un qualsiasi strumento finanziario possano
essere descritti da una campana Gaussiana, o distribuzione Normale.
Per chi non avesse mai sentito parlare di questa distribuzione statistica apro una breve parentesi
per parlarne in modo - spero - sufficientemente chiaro ed esaustivo, e sufficiente a rendere più
comprensibili i concetti che seguiranno.
Per cominciare diamo una occhiata alla figura seguente.
36
fonte: internet
Quella in figura è una tipica campana Gaussiana, con l'indicazione di alcuni parametri di cui ora ci
occuperemo.
Il punto M lungo l'asse orizzontale identifica la media della distribuzione dei valori. I valori da 1 a
3, con i segni positivi (a destra) e negativi (a sinistra) identificano punti di scostamento dalla media
pari a una, due e tre volte la deviazione standard della distribuzione (di cui parlerò tra poco).
La media è il valore caratterizzato dalla più alta probabilità statistica; nei modelli finanziari viene
convenzionalmente assunta pari a zero per gli scostamenti giornalieri di un qualsiasi strumento. In
parole semplici il prezzo di chiusura di domani più probabile di un qualsiasi strumento finanziario è
esattamente il prezzo di chiusura di oggi: ci si aspetta cioè che da oggi a domani sia molto più
facile che non accada nulla di particolare piuttosto che si verifichi un forte movimento direzionale.
Più avanti vedremo se questa assunzione possa considerarsi ragionevole o meno.
La deviazione standard è invece un parametro statistico che serve a quantificare la probabilità
che un nuovo valore del fenomeno oggetto di studio si trovi nelle vicinanze dalla media piuttosto
che lontano da essa.
Si tratta di una informazione piuttosto importante, perchè la media della distribuzione è sì il valore
che apparirà più spesso, essendo essa caratterizzata dalla massima probabilità statistica, ma si
tratta di una informazione non sufficiente se - e questo è proprio il nostro interesse - l'obiettivo è
quello di assegnare delle probabilità ad aree di valori anziché a valori specifici.
Ricordiamo qual è l'obiettivo di chi costruisce un iron condor: è quello di tenere il sottostante
compresso entro due valori precisi, all'interno dei quali il profitto è massimo.
Avere quindi uno strumento statistico che permetta di dire che con una alta probabilità un nuovo
valore osservato sarà compreso entro un certo intervallo è un vantaggio piuttosto rilevante.
Torniamo quindi alla curva gaussiana. Ogni punto della curva identifica la probabilità di un evento
preciso: il valore corrispondente sull'asse orizzontale.
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L'area racchiusa tra la curva, l'asse orizzontale e due valori precisi sull'asse stesso identifica
invece la cosiddetta densità di probabilità. Quell'area è l'informazione che ci serve per poter
attribuire delle probabilità di successo agli iron condor.
Ebbene, l'area compresa negli intervalli pari a una, due o tre volte la deviazione standard intorno
alla media della distribuzione gaussiana, ossia la probabilità di osservare un valore compreso nei
suddetti intervalli, è pari rispettivamente al 68,3%, al 95,5% e al 99,7%.
La deviazione standard di una serie di rendimenti di uno strumento finanziario è strettamente
legata alla volatilità dello stesso; la volatilità storica di un titolo (cioè la volatilità calcolata su dati
pregressi, solitamente 20 giorni) si misura infatti come deviazione standard dei logaritmi naturali
dei rendimenti giornalieri, moltiplicata convenzionalmente per la radice quadrata di 252, il numero
di giorni lavorativi in un anno (perchè la volatilità si esprime sempre su base annua).
Maggiore deviazione standard significa dunque maggiore volatilità, ma anche viceversa: una
maggiore volatilità è infatti il risultato di rendimenti giornalieri molto variabili; ciò porta a una
maggiore deviazione standard. La relazione tra le due grandezze è dunque valida in entrambe le
direzioni.
Questo ci porta a un primo fondamentale problema: la volatilità è un parametro soggetto a continui
mutamenti, quindi l'ampiezza degli intervalli di valori all'interno dei quali si concentrano probabilità
predefinite di intervalli di rendimento per un qualsiasi strumento finanziario non è fissa, bensì
variabile.
Ciò significa, per esempio, che la probabilità di vedere un prezzo dell'indice FTSE Mib compreso
tra i due valori x ed y oggi può essere significativamente diversa domani, per effetto di una
variazione nella volatilità dell'indice stesso.
In altre parole la volatilità è un indice del grado di concentrazione della curva rispetto alla
media dei valori dell'asse orizzontale: maggiore volatilità comporta un aumento delle probabilità
che si verifichino movimenti rilevanti di prezzo anche in tempi relativamente brevi; minore volatilità
comporta una maggiore probabilità di vedere valori molto vicini alla media piuttosto che lontani da
essa.
Ancora, maggiore volatilità comporta uno schiacciamento verso il basso della parte centrale della
curva e un contestuale innalzamento delle sue code; viceversa, minore volatilità comporta un
abbassamento delle code e un innalzamento della parte centrale della curva, che tenderà a
concentrarsi sulla sua media. La figura seguente mostra tre esempi di questi concetti.
38
d
fonte: internet
b
c
a
La curva più schiacciata verso il basso (la a) è il risultato di situazioni di forte volatilità; quelle
intermedie (b e c) sono legate a situazioni di volatilità normale, quella più stretta e alta (la d)si
manifesta in condizioni di volatilità ridotta.
E' abbastanza intuitivo ora come il 70% dell'area sottesa alla curva stia in un intervallo molto
ristretto nel caso della curva più stretta e alta, e viceversa molto ampio nel caso della curva
schiacciata sull'asse orizzontale, corrispondente ad una elevata volatilità.
L'impossibilità di prevedere la volatilità futura di uno strumento finanziario è una seria difficoltà di
cui il trader in opzioni deve quindi tenere conto quando deve stimare a priori le probabilità di
successo di un iron condor, o di una qualsiasi altra strategia: le probabilità che possiamo attribuire
oggi al successo di un iron condor con scadenza tra N giorni potrebbero infatti modificarsi
sensibilmente domani, o tra una settimana, due, o più.
Ultimo, ma non meno importante, come vedremo più avanti la curva dei rendimenti giornalieri di
uno strumento finanziario è sì simile alla Normale, ma con alcune importanti differenze. La
prima tra queste è che una tipica curva dei rendimenti finanziari è più simile alla curva da bassa
volatilità per quanto riguarda l'area intorno alla media, ma più simile alla curva da altissima
volatilità per quanto riguarda l'area delle code, che tendono quindi ad essere più sollevate.
Ciò significa che le probabilità di osservare rendimenti molto vicini alla media sono generalmente
molto elevate (più elevate di quelle derivanti dalla vera distribuzione Normale); ma allo stesso
tempo si possono osservare rendimenti estremi con probabilità molto maggiori di quanto ci
si aspetterebbe con una distribuzione Normale.
Ora sono quindi tre i risultati che mi accingo a dimostrare: il primo è che la media dei rendimenti
giornalieri di uno strumento finanziario è nulla; il secondo è che la distribuzione dei rendimenti
giornalieri è effettivamente molto simile alla Normale; il terzo è che la sostanziale differenza di cui
parlavo poco sopra è effettivamente concreta, dunque si ha una maggiore concentrazione dei
valori intorno alla media e allo stesso tempo una probabilità delle code più alta di quella attesa.
39
METODO DI LAVORO
Gli strumenti analizzati di seguito sono tre: l'indice FTSE Mib, l'indice Dax e l'indice Dow Jones
Eurostoxx 50.
La scelta di studiare tre indici anziché tre titoli è assolutamente non casuale. Posto infatti che l'iron
condor è una strategia che mira a trarre profitto da una sostanziale lateralità del sottostante, la
scelta del sottostante stesso è già uno dei fattori chiave di successo a priori. Un iron condor
applicato ad un titolo mediamente volatile ha probabilità ben diverse di successo da quello
applicato ad un titolo molto volatile, o molto poco volatile.
Più il sottostante ha un andamento mediamente stabile nel tempo, maggiore è la probabilità di
trarne giovamento con strategie non direzionali come gli iron condor; e maggiore è la serenità del
trader che deve gestire le posizioni una volta aperte.
La base dati è più che decennale (dal 3 gennaio 2000 al 30 giugno 2011). Per quanto riguarda il
nostro indice, essendo esso stato introdotto soltanto in tempi recenti, i dati pregressi sono stati
ovviamente ricostruiti all'indietro dal fornitore di dati.
Per quanto riguarda l'operazione di rappresentazione grafica dei rendimenti c'è una complicazione
di cui si deve tenere conto. Questa complicazione è data dal fatto che i valori dei rendimenti sono
numeri reali con molte cifre decimali, il che significa che a meno di troncamenti è difficile trovare
due volte lo stesso identico valore di rendimento tra due diverse osservazioni.
Se si pongono su un grafico tutti questi valori di rendimento - sull'asse orizzontale - e sull'asse
verticale si pone la loro frequenza assoluta (cioè il numero di volte che un dato rendimento è
apparso), ciò che si ottiene lavorando sui dati puri è una serie di punti tutti allineati su una retta.
La figura seguente mostra ad esempio il grafico di uno spaccato dei valori dell'indice FTSE Mib, e
dovrebbe chiarire meglio la natura del problema.
In figura soprastante compaiono tutti i rendimenti giornalieri dell'anno 2000. Come si può notare,
innanzitutto, sono tutti compresi nell'intervallo che va dal -3,5% circa fino al +3,5% circa (i valori
dell'asse orizzontale, espressi come numero decimale anziché come percentuale).
40
Si noterà poi che i punti sul grafico tendono ad addensarsi maggiormente al centro, il che già ci fa
pensare che effettivamente vi sia una alta concentrazione intorno ad una media bene o male
baricentrica.
Ma si noterà anche che questo grafico così com'è non ci dice nulla sulla forma distributiva dei
rendimenti, poiché ogni singolo valore possibile di rendimento appare sempre soltanto una volta
(ecco perchè tutti i punti sono allineati su una retta parallela all'asse orizzontale).
Il problema si risolve in un modo solo: bisogna ragionare per intervalli di rendimento e non per
valori singoli di rendimento.
Quanto grandi si debbano prendere gli intervalli di rendimento è una scelta arbitraria, ma ho
personalmente potuto verificare tramite studi approfonditi che la forma distributiva bene o male non
risente troppo di diverse ampiezze degli intervalli; diciamo che più si va nel dettaglio, più si vede
immediatamente una sorta di campana gaussiana; più invece si tengono ampi gli intervalli di
rendimento, più la forma a campana risulta approssimata.
Ai fini di questo studio ho considerato classi di ampiezza pari allo 0,5%, più che sufficienti per
ottenere frequenze significative e ottenere una chiara forma grafica. Qui di seguito sono riportati i
risultati dal 3 gennaio 2000 al 30 giugno 2011 sui tre indici oggetto di questo lavoro.
Una distribuzione molto simile alla campana Normale quindi, come ci aspettavamo. Questa forma
diventa tanto più evidente quanto più si aumenta il dettaglio dell'analisi, riducendo l'ampiezza delle
classi di rendimento.
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Le due classi sulle quali si concentrano le maggiori frequenze sono quelle a cavallo dello zero; in
effetti la media aritmetica di tutti i rendimenti storici sui 2900 giorni considerati è pari al più che
significativo valore di -0.01%: praticamente zero. Vediamo ora gli altri due indici.
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Ancora due distribuzioni molto simili a campane Normali dunque; e ancora due valori medi molto
prossimi allo zero: -0.01% sull'Eurostoxx, +0.02% sul Dax.
Abbiamo dunque dimostrato che i rendimenti giornalieri sono distribuiti secondo un modello
piuttosto simile a quello Normale, con media praticamente nulla.
Da tutto ciò deriva che in funzione del valore corrente della deviazione standard è almeno
teoricamente possibile assegnare probabilità statistiche al vedere un rendimento compreso entro
un certo intervallo di valori.
Rimane comunque integro il problema principale: il fatto che essendo la deviazione standard un
parametro abbastanza mutevole nel tempo il computo delle probabilità dei vari intervalli può
essere spesso suscettibile di errori, che purtroppo si scopriranno solo a posteriori, quando
ormai non ci si potrà fare più nulla.
Non sarà infine sfuggito al lettore attento un altro problema comune alle distribuzioni dei rendimenti
giornalieri dei vari strumenti finanziari: la curva non è simmetrica, come invece è la Normale.
La differenza di comportamento delle due code non è chiarissima ad una occhiata veloce, ma
diventa assai evidente ad una lettura attenta: le frequenze dei rendimenti negativi degradano molto
più lentamente di quelle dei rendimenti positivi.
Tutto ciò ha un significato molto preciso: la probabilità di osservare rendimenti molto negativi è
generalmente più alta di quella di osservare rendimenti molto positivi.
DAI RENDIMENTI GIORNALIERI ALLE PROBABILITA' DI SUCCESSO DI UN IRON CONDOR
Il trader in opzioni normalmente costruisce strategie con orizzonti temporali di qualche settimana, o
anche qualche mese.
Studi approfonditi compiuti oltreoceano (si vedano in proposito i già citati studi dei nostri colleghi
americani) hanno dimostrato che l'iron condor è statisticamente più profittevole quando ha una
scadenza compresa tra i 10 e i 40 giorni.
Ciò è dovuto al modo in cui il decadimento temporale colpisce le opzioni: prima in modo quasi
lineare, molto lento, quando la scadenza è lontana (oltre i novanta giorni), in modo più prossimo
all'esponenziale a poche settimane dalla scadenza, drammaticamente negli ultimi 10-15 giorni di
vita.
L'obiettivo dell'iron condor è proprio quello di beneficiare del passaggio del tempo prima che il
sottostante possa compiere un movimento sufficiente a minacciare gli strike venduti allo scoperto.
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Fino a qui abbiamo visto le distribuzioni dei rendimenti degli indici a un giorno, ma non sappiamo
ancora nulla delle distribuzioni a dieci, o a venti, o ad un numero ancora maggiore di giorni.
Ho personalmente verificato in miei precedenti studi (non pubblicati) che la forma della curva di
distribuzione dei rendimenti a venti giorni dell'indice FTSE Mib è ancora simile alla Normale, e
mantiene rispetto ad essa le stesse differenze formali tipiche della curva dei rendimenti
giornalieri: maggiore concentrazione intorno alla media e code più spesse.
Per semplificare il lavoro si può procedere direttamente con l'analisi delle frequenze degli intervalli
di rendimento ad un certo numero di giorni, senza costruire classi e porre su grafici i risultati.
Da qui in avanti non riporto quindi più i grafici delle distribuzioni dei rendimenti, perchè vado invece
direttamente al nocciolo del problema: quali sono le probabilità di avere movimenti di un dato
sottostante specifico compresi entro certi limiti percentuali, in un dato arco temporale; in altri
termini adesso vado a studiare quanto devo aprire l'intervallo degli strike venduti con l'iron condor
per avere una certa probabilità di successo.
La domanda a cui voglio rispondere ora è quindi la seguente: qual è l'ampiezza dell'intervallo che
devo considerare a 10, 20, 30 e 40 giorni per avere il 68,3%, il 95,5% o il 99,7% di probabilità di
avere un rendimento compreso in tale intervallo?
Ecco le tabelle che mostrano queste informazioni per l'indice FTSE Mib:
tabella degli intervalli dei rendimenti stimati e reali per l'indice FTSE Mib
Le prime due righe riportano i valori della media e della deviazione standard dei rendimenti a uno,
dieci, venti, trenta e quaranta giorni, basati sui dati degli ultimi undici anni e mezzo.
Gli intervalli basati sulla distribuzione Normale (tabella centrale), sono quelli corrispondenti ai tre
intervalli di cui abbiamo già parlato in precedenza: 68,3%, 95,5% e 99,7%.
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La tabella in basso è quella che ci interessa più di ogni altra. Essa riporta infatti le ampiezze degli
intervalli che è necessario considerare per avere effettivamente le tre probabilità di cui sopra di
osservare un rendimento compreso nell'intervallo stesso.
Ho centrato gli intervalli basati sulla distribuzione reale sulla mediana (cioè il valore centrale della
distribuzione anziché il valore medio) anziché sulla media per ottenere intervalli bilanciati in termini
di numero di osservazioni, da una parte e dall'altra.
Si noti come sia effettivamente verificata l'anomalia distributiva di cui parlavo in precedenza; si
consideri, ad esempio, l'intervallo dei rendimenti a 1 giorno. Se i rendimenti seguissero una vera
distribuzione Normale, per avere il 68,3% di contenere il rendimento bisognerebbe considerare un
intervallo di ampiezza da -1,49% a +1,46%; ma i veri estremi dell'intervallo che racchiude il 68,3%
di rendimenti sugli ultimi undici anni e mezzo di storia sono -1,19% e +1,14%, molto più vicini tra
loro di quelli basati sulla distribuzione Normale.
I rendimenti reali del mercato sono quindi effettivamente molto più concentrati sulla media
di quanto risulterebbe se la loro distribuzione fosse proprio Normale.
Ora diamo una occhiata agli estremi degli intervalli che racchiudono il 95,5% di probabilità.
Secondo i parametri della Normale l'intervallo andrebbe da -2,97% a +2,94%; i rendimenti reali
sono invece compresi tra -3,24% e +2,96%.
Si comincia a riscontrare l'anomalia delle code della distribuzione: per avere il 95,5% di probabilità
di cadere entro un intervallo di rendimento bisogna aprire maggiormente l'intervallo stesso.
Il fenomeno è esasperato passando al 99,7% di probabilità: per rimanere all'interno dell'intervallo
con la distribuzione reale dei rendimenti bisogna aprire l'intervallo stesso di oltre due punti verso il
basso, e di oltre tre punti e mezzo verso l'alto.
Spostandosi verso destra, dunque verso rendimenti a molti giorni, si nota un progressivo
amplificarsi delle dinamiche viste sui rendimenti a un giorno: minore ampiezza dell'intervallo che
racchiude il 68,3%, e maggiore ampiezza degli intervalli che racchiudono percentuali maggiori di
rendimenti.
Si nota inoltre già a partire dai rendimenti a 10 giorni come l'estremo inferiore sia molto più lontano
dallo zero che non l'estremo superiore: i rendimenti molto negativi tendono ad avere maggiori
probabilità di quelli molto positivi.
Ma si nota anche una anomalia invertita nei rendimenti a 30 e 40 giorni per il range avente
probabilità del 99,7%: gli estremi degli intervalli sul lato positivo sono molto più lontani dallo zero di
quelli sul lato negativo. Si tratta di una anomalia che riguarda soltanto il nostro indice: come
vedremo, sia l'indice Eurostoxx che l'indice Dax non sono affetti da simili 'stranezze'.
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La tabella di pagina 44 ci fornisce anche la risposta più importante nell'ottica del trading basato
sugli iron condor: se è vero che per circa il 70% del tempo i mercati oscillano in lentamente intorno
alla loro media, quanto è necessario aprire l'intervallo tra gli strike venduti dell'iron condor per
avere una simile probabilità di profitto massimo a scadenza?
L'intervallo che copre il 70% circa dei rendimenti a 10 giorni per l'indice FTSE MIb ha una
ampiezza di circa 7 punti percentuali (3,77 al ribasso e 3,14 al rialzo); bisogna allargarsi a 10 punti
percentuali su un orizzonte di 20 giorni, a circa 13 punti percentuali per un orizzonte di 30 giorni e
infine a circa 14 punti percentuali per un orizzonte di 40 giorni.
Ma di nuovo devo avvertire il lettore: i valori sopra riportati sono stati determinati su un orizzonte
più che decennale, dunque sono una media di molteplici situazioni di mercato, assai diverse tra
loro: la crisi scatenata dagli attentati di New York City, il lento mercato rialzista degli anni 20032007, la grande crisi dei mercati dal 2007 al 2009, il grande trend laterale degli ultimi due anni
circa.
In alcuni momenti di mercato sarà sufficiente aprire molto meno gli intervalli degli iron
condor per ottenere elevate probabilità di successo; in altri momenti non vi sarà ampiezza
sufficiente a contenere la direzionalità del mercato.
Tutto ciò si traduce nuovamente in un invito alla prudenza: i dati qui riportati devono fornire una
indicazione di massima delle potenzialità della strategia analizzata. L'iron condor può essere una
eccellente scelta operativa, ma come tutte le situazioni richiede non solo le capacità tecniche per
la sua costruzione, ma anche e forse soprattutto le competenze per la sua gestione. Più avanti
vedremo anche come un iron condor possa essere gestito nel tempo.
Vediamo ora le tabelle degli intervalli di profittabilità dell'indice Eurostoxx.
tabella degli intervalli dei rendimenti stimati e reali per l'indice DJ Eurostoxx 50
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Le dinamiche sono le stesse osservate sull'indice FTSE Mib: gli intervalli reali di ampiezza 68,3%
sono più concentrati sulla media rispetto a quelli basati sulla distribuzione Normale, a qualsiasi
orizzonte temporale. Viceversa, al crescere dell'area probabilistica l'ampiezza dell'intervallo reale
tende via via ad allargarsi sempre più rispetto a quello teorico.
Si noti come l'Eurostoxx manifesti effettivamente una maggiore probabilità degli eventi estremi
negativi piuttosto che positivi, a prescindere dall'orizzonte temporale della strategia.
Si noti anche come anche su basi relativamente lunghe di tempo gli intervalli di rendimento
dell'indice Eurostoxx siano molto più contenuti di quelli dell'indice FTSE Mib; ciò rende senza
dubbio molto più attraente in ottica di strategie di tipo iron condor l'indice Eurostoxx rispetto al
FTSE Mib.
Vediamo infine le tabelle dell'indice Dax.
tabella degli intervalli dei rendimenti stimati e reali per l'indice Dax 30
Ancora una dimostrazione della effettiva presenza delle dinamiche già osservate sugli altri indici.
Inutile ripetere per la terza volta gli stessi concetti, validi anche in questo caso. Pare intressante
soltanto sottolineare come l'indice Dax mostri ampiezze degli intervalli di massima probabilità a
favore di strategie come l'iron condor molto più ampie di quelle dei corrispondenti intervalli per
l'indice Eurostoxx, sebbene assai lontane da quelle del FTSE Mib.
Rimangono ora da vedere alcuni aspetti prettamente operativi in argomento iron condor: quali
risorse siano necessarie per costruire la strategia, quando sia più opportuno costruirla, come sia
più corretto gestirla.
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GLI IRON CONDOR NELLA PRATICA
In quest'ultimo paragrafo vedremo alcuni concetti prettamente legati agli aspetti pratici della
operatività in iron condor.
Un primo concetto importante è la quantificazione del capitale necessario alla strategia.
Ricordiamo che un iron condor è dato dalla sommatoria di due spread verticali a credito, che questi
ultimi sono combinazioni di opzioni comprate e vendute, e che per ogni lato vi è un rischio
massimo predefinito dato dalla differenza tra lo scarto tra gli strike negoziati e il premio netto
incassato.
Nel trading sulle opzioni il capitale necessario alla messa in opera di una qualsiasi strategia è
strettamente legato con il rischio della strategia stessa.
Nelle situazioni in cui si aprono soltanto posizioni di acquisto non vi sono margini di garanzia, e
quando è stato versato il premio totale necessario per l'acquisto delle opzioni prescelte gli obblighi
in termini di capitale sono esauriti.
Nelle situazioni in cui si aprano posizioni che coinvolgono anche soltanto una singola posizione di
vendita scoperta si può avere un rischio variabile, del quale i sistemi di marginazione tengono
conto sulla base di parametri statistici fissati dalle borse.
Nel caso degli spread verticali si hanno sempre posizioni vendute allo scoperto, ma anche sempre
posizioni di acquisto a protezione delle vendite; ciò fa sì che mai possa aversi un rischio di perdite
imprevedibili. Essendo i margini di garanzia sempre strettamente legati al rischio attuale e
prospettico delle posizioni, i margini richiesti per l'operatività in iron condor trovano dunque sempre
un massimo prefissato, pari al rischio massimo di perdita di uno dei due spread verticali che
concorrono alla strategia complessiva.
Questo massimo rischio dipende ovviamente da quanta distanza viene tenuta tra gli acquisti e le
vendite.
Inoltre bisogna considerare il fatto che ormai tutte le principali borse applicano meccanismi di
compensazione dei rischi sulle strategie bidirezionali, come gli iron condor, in base al semplice
principio teorico che due posizioni contrapposte aventi la stessa scadenza non possono trovarsi
entrambe in perdita alla scadenza stessa.
Da ciò deriva che fatta X la distanza tra gli strike venduti e acquistati sul lato put e sul lato call, il
rischio pari ad X può verificarsi soltanto su uno dei due lati e in ogni caso a tale rischio va
decurtata la somma dei premi netti incassati dai due spread.
Vediamo un esempio pratico. Si supponga di costruire un iron condor con orizzonte temporale di
40 giorni circa sull'indice Eurostoxx50 fatto di una put 2650 venduta allo scoperto a 25 punti (nota:
il valore di un punto delle opzioni sull'indice Eurostoxx50 è pari a 10 euro), una put 2400
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acquistata a 6 punti, una call 2950 venduta a 24 punti e una call 3200 acquistata a 0,8 punti. Il
rischio massimo lordo su una qualsiasi delle due code della strategia è pari a 250 punti, 2500
euro. Ma a questo rischio massimo teorico vanno sottratti i premi incassati, poiché essi resteranno
incassati qualunque cosa succeda, alla scadenza; 19 punti vengono incassati dallo spread di put,
23,2 da quello di call; si ha dunque un incasso totale netto pari a 42,2 punti, 422 euro. Ne deriva
che il margine massimo applicato da un intermediario che utilizza la compensazione dei rischi sarà
pari a 2078 euro.
Dall'esempio soprastante emerge anche una prima indicazione della profittabilità di strategie di
questo tipo: 422 euro di profitto massimo potenziale su un capitale massimo necessario pari a
2078 euro significa che il profitto atteso è pari al 20,3% sul capitale che è necessario allocare alla
strategia.
Si tratta soltanto di un esempio, ottenuto sì su dati reali, ma soltanto uno tra i mille iron condor che
si potrebbero costruire. E già una buona indicazione di una situazione concreta.
Da un punto di vista meramente operativo i consigli che ritengo opportuno dare sono pochi e
relativamente semplici:
1. Effettuare prima gli acquisti, e soltanto dopo avere avuto le conferme degli eseguiti procedere
con le vendite; questo perchè - anche se magari soltanto in rari casi - può capitare di assistere ad
un brusco movimento del sottostante proprio mentre si sta costruendo la strategia; e trovarsi con
posizioni scoperte senza poter affiancare le posizioni di copertura a prezzi convenienti può essere
un problema concreto.
2. Onde evitare situazioni di cui al punto 1 è preferibile costruire strategie combinate in momenti di
calma relativa dei mercati; si sconsiglia vivamente di aprire posizioni di questo genere in prossimità
di importanti comunicazioni del mercato, come dati macroeconomici, annunci sui tassi di interesse,
ecc... la tarda mattinata e il tardo pomeriggio sono solitamente i momenti migliori per l'apertura di
strategie combinate.
3. Il procedere prima agli acquisti e poi alle vendite serve anche a contenere le richieste di liquidità
da parte del proprio intermediario; posto infatti che, in riferimento ad esempio all'iron condor di cui
all'esempio soprastante, il capitale massimo necessario è pari a 2078 euro, va segnalato che se si
aprono prima le posizioni di vendita allo scoperto i margini istantanei applicati dal proprio broker
possono anche essere significativamente maggiori di tale importo, poiché esso è il risultato di una
posizione avente un rischio massimo predefinito in ogni caso, il che non si verifica con l'apertura di
una vendita allo scoperto come prima operazione.
4. Ogni mercato presenta degli spread nei book; sebbene la tentazione di provare a spuntare
sempre prezzi il più possibile bassi sia forte, va tenuto presente che quando si devono costruire
strategie combinate quello che conta è il risultato complessivo; se per l'ostinazione di ottenere un
risparmio di pochi euro ci si trova poi con il sottostante che si muove a sfavore rispetto alla
posizione che si sta cercando di aprire, quello che si ottiene è un peggioramento della
performance globale della strategia; d'accordo quindi posizionarsi con prezzi bene o male
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baricentrici nei book (meglio mettersi già un po' a favore del market maker nella direzione della
posizione che si sta cercando di aprire), ma se poi entro 1-2 minuti non si viene eseguiti tanto vale
spostarsi verso il market maker, a piccoli passi.
IL MOMENTO GIUSTO PER APRIRE LA STRATEGIA
A scanso di equivoci mi pare opportuno fare una premessa: ciò che segue è il risultato di semplici
ragionamenti basati sui dati statistici presentati nelle pagine precedenti. L'iron condor non è una
strategia esente da rischi, né è ipotizzabile pensare di poter trovare un modo infallibile per metterla
in pratica: tutto ciò che si può provare di ottenere è partire sempre con le probabilità il più possibile
a proprio favore.
Nel momento in cui si dispone di tabelle dei rendimenti statistici di uno strumento finanziario, con i
rispettivi intervalli probabilistici, è possibile formulare un minimo di strategia su cui costruire di volta
in volta le proprie posizioni.
Se, ad esempio, io so che normalmente si ha l'80% di probabilità di osservare un valore compreso
tra 1000 e 2000 punti per uno strumento finanziario, e ad un certo punto io mi trovo ad osservare
un valore pari a 900, posso azzardare due ipotesi: la prima è che la probabilità che il valore si
riduca ulteriormente è ormai molto bassa; la seconda è che, specularmente, la probabilità che il
valore torni sui propri passi verso valori nuovamente compresi tra 1000 e 2000 è piuttosto elevata.
Da ciò deriva che costruire un iron condor in un qualsiasi momento di mercato potrebbe essere
una scelta poco intelligente, ma costruirlo in seguito ad un movimento direzionale di mercato
di una certa entità potrebbe invece essere una scelta molto intelligente.
Riprendiamo ad esempio le tabelle dei rendimenti statistici dell'indice Eurostoxx50. Posto che a 10
giorni si ha una probabilità del 95,5% di osservare un rendimento compreso tra il -10% e il +8%
circa, e che a 30 giorni tali estremi salgono al -17% e +13% circa, allora se effettivamente dopo i
primi 10 giorni da una certa data ci si trova ad osservare un rendimento prossimo ad uno dei due
estremi, diciamo al -10%, la probabilità di osservare una ulteriore forte discesa nei successivi 20
giorni sarà molto più bassa che non all'inizio del periodo, quando con 30 giorni di tempo davanti si
sarebbe potuto verificare un movimento del -17% con una certa probabilità.
Tutto ciò ci porta a pensare che un iron condor aperto in seguito ad un movimento di una certa
ampiezza percentuale dovrebbe avere almeno teoricamente maggiori probabilità di successo
rispetto ad uno creato quando il mercato si trova in una fase di calma relativa.
In questo anche la volatilità gioca un ruolo importante: in fasi laterali la volatilità si comprime,
rendendo più bassi i premi di tutte le opzioni; ciò significa che costruire iron condor quando il
mercato è fermo è difficile, per almeno due ragioni: i premi minori di tutte le opzioni costringono a
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optare per strike più vicini per le vendite allo scoperto; il minore incasso in termini di premi netti
rende inoltre più ristretto l'intervallo di profittabilità della strategia.
Viceversa, in seguito ad un movimento direzionale di una certa ampiezza (specialmente quando
questo movimento si è verificato verso il basso) è facile che i premi di tutte le opzioni siano più
'gonfi' del solito, il che comporta un allargamento dell'area profittevole degli iron condor.
GESTIONE DELL'IRON CONDOR
Una volta che si è aperto un iron condor la speranza è che il sottostante continui ad oscillare
all'interno degli strike venduti allo scoperto per tutta la durata della posizione, massimizzando l'utile
della posizione stessa.
Le statistiche presentate alle pagine precedenti mostrano abbastanza chiaramente come simili
situazioni siano piuttosto frequenti sui mercati.
Ma ciò che sovente si osserva è che gli investitori che aprono posizioni di tipo iron condor non
sanno cosa fare nelle non rare volte in cui il mercato va decisamente contro le posizioni aperte.
Vi è inoltre un elemento che non risulta dalle tabelle presentate nelle pagine di questo lavoro:
quante volte il sottostante esce dagli intervalli più probabili durante la vita delle posizioni aperte,
per poi trovarsi nuovamente all'interno di tali intervalli alla scadenza delle opzioni negoziate.
Quando una posizione viene minacciata durante la sua vita utile non si può rimanere inerti in
attesa di scoprire cosa succederà alla scadenza delle opzioni, perchè se il sottostante non torna
sui propri passi le perdite possono essere rilevanti, e distruggere i guadagni accumulati con fatica
in molti mesi precedenti.
I modi di gestire un iron condor che va in sofferenza sono sostanzialmente due: chiusura in stop
loss (parziale o totale), oppure rolling delle posizioni minacciate.
Personalmente sono più favorevole all'applicazione di uno stop loss alle posizioni, specialmente
quando la scelta degli estremi venduti non si basa meramente su parametri statistici ma anche e
soprattutto su valori importanti a livello grafico (sul sottostante ovviamente).
Se, per esempio, si scelgono come strike delle opzioni scoperte due importanti valori di supporto e
di resistenza grafici, allora la loro violazione dovrebbe essere un indice del fatto che l'analisi di
fondo è errata, e portare quindi alla chiusura almeno di uno dei due lati della strategia.
In pratica io personalmente mi comporto in questo modo:
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a. vendo allo scoperto il primo strike successivo a quello nelle cui vicinanze si trova il valore di
supporto o resistenza che considero importante
b. fisso uno stop loss al superamento in chiusura giornaliera del supporto o della resistenza
Questa scelta nasce dal fatto che il prezzo di una opzione subisce la massima accelerazione
quando da lievemente out of the money diviene at the money; quando il prezzo del sottostante
oltrepassa lo strike immediatamente precedente quello venduto si manifesta progressivamente la
massima accelerazione della perdita potenziale, da cui la scelta di stoppare le posizioni; tutto ciò
anche perchè l'accelerazione del prezzo delle opzioni acquistate a copertura non è altrettanto
forte, quindi non vi è bilanciamento tra le perdite e i profitti cumulati.
Simili considerazioni vanno fatte sul lato della posizione che va in utile: l'utile sulle opzioni vendute
è maggiore della perdita su quelle comprate, ma il deprezzamento delle prime non bilancia
l'apprezzamento delle corrispondenti opzioni sul lato in sofferenza, che quindi producono una
perdita non contrastabile sulla posizione globale.
Quella adottata da me non è l'unica scelta perseguibile ovviamente, ma è una scelta dettata da
considerazioni, a mio avviso, più che logiche.
In merito alla chiusura parziale dell'iron condor va segnalato, per completezza, che può capitare
che la posizione venga minacciata prima da un lato e poi dall'altro, anche se questa eventualità è
tanto meno probabile quanto maggiore è l'ampiezza dell'intervallo tra gli strike venduti.
Non va comunque sottovalutato il fatto che una chiusura del solo lato che si trova in sofferenza
potrebbe avere anche risvolti negativi, nel caso la rottura di uno dei due estremi della posizione
fosse una falsa partenza e il movimento vero si sviluppasse poi nella direzione opposta.
L'alternativa alla chiusura di una posizione in stop loss è rappresentata dal rolling. Il rolling di una
posizione consiste semplicemente nella sua chiusura e nel suo contestuale spostamento in
posizione più cautelativa.
Se dunque, per esempio, una put venduta si trovasse ad essere minacciata, la si potrebbe
chiudere in perdita per aprire poi una nuova put venduta su uno strike inferiore, dunque in
posizione più difensiva rispetto al prezzo del sottostante.
Se la scelta degli strike venduti è dettata da considerazioni di carattere grafico, il rolling è
concettualmente sbagliato, a meno che il nuovo strike negoziato non rappresenti a sua volta un
valore graficamente significativo.
Se invece le scelte operative sono basate unicamente su considerazioni di carattere statistico e
probabilistico, allora il rolling può essere una scelta logica: ampliare la base profittevole dell'iron
condor può solo aumentare la base probabilistica favorevole.
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UNA DIVERSA METODOLOGIA DI APERTURA DELLA POSIZIONE
L'iron condor, come già evidenziato in precedenza, è una strategia a-direzionale, nel senso che
mira a sfruttare la sostanziale lateralità che caratterizza la maggior parte della vita di un qualsiasi
strumento finanziario.
Il rischio è dato ovviamente da forti movimenti improvvisi del sottostante. La scelta di operare su
indici anziché su titoli risolve in buona parte questo problema.
Tenere ampio il più possibile l'intervallo tra gli strike venduti è un altro modo di ridurre il rischio di
incorrere in perdite, ma c'è anche il rovescio della medaglia: più si allarga l'intervallo, minore è il
premio netto che si incassa dalle due parti, e maggiore è contestualmente il rischio massimo
potenziale (si ricordino i quattro casi esaminati alle pagine 31-32).
Esiste comunque una alternativa operativa, tecnicamente chiamata legging into a position: l'iron
condor viene costruito in due momenti diversi (cioè con due gambe - da cui il termine inglese
legging - separate) anziché in un unico momento: si apre il credit put spread su una presunta base
di prezzo (supporto) e il credit call spread su un presunto top di mercato, ovviamente in due
momenti distinti di tempo (e non necessariamente nell'ordine qui riportato).
Si tratta di una scelta che ha vantaggi e svantaggi. Il principale vantaggio è che generalmente si
riesce ad allargare l'area di massimo profitto.
Ma mettere in pratica questa tecnica non è così semplice. Innanzitutto è una scelta difficile da
perseguire sempre con successo, perchè comunque richiede la capacità di individuare con una
buona precisione i top e i bottom di mercato. In questo senso un buon trading system, capace di
individuare con buona probabilità i punti di inversione del mercato è sicuramente uno strumento
utile; anzi, molto utile.
Vi è però - contrariamente a ciò che si potrebbe pensare - un vantaggio statistico. Riprendiamo
infatti un problema che ho sollevato in un momento precedente: se è vero che con un intervallo
sufficientemente ampio posso avere il 70% circa di probabilità di contenere il prezzo entro una
certa scadenza, è anche vero che non è affatto infrequente che durante la vita utile della strategia
il sottostante vada rompere uno dei due estremi dell'area massimamente profittevole, per poi
chiudere all'interno della stessa alla scadenza.
Se la posizione viene gestita attivamente, questi sono i casi in cui si chiude almeno uno dei due lati
della strategia in stop loss.
Per mia esperienza diretta posso dire che l'applicazione di uno stop loss è comunque la scelta
migliore, anche se comporta il chiudere in perdita posizioni che in un 10-15% circa di casi
sarebbero poi profittevoli a scadenza, perchè questo comportamento operativo ripaga più che
proporzionalmente in quei casi in cui il movimento prosegue nella direzione che causerebbe
perdite rilevanti alle posizioni lasciate correre.
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Ciò significa però che le percentuali di profitto reali dell'iron condor di ampiezza sufficiente a
coprire il 68,3% di probabilità statistica di rendimento a scadenza si riducono mediamente di un 1015% per effetto della gestione delle posizioni nelle situazioni di rottura di uno dei due estremi.
In considerazione di questi concetti non è sbagliato, né concettualmente, né praticamente,
adottare la tecnica del legging in, a patto, lo ripeto, di avere uno strumento di supporto alle
decisioni di entrata sulle singole componenti della posizione globale, e una profonda conoscenza
dei mercati sottostanti.
CONCLUSIONI
In questo lavoro ho analizzato gli iron condor in termini delle loro probabilità di successo a
prescindere da qualsiasi considerazione di carattere economico e finanziario.
Nella mia esperienza ormai decennale di trading, sia sulle opzioni che su altri strumenti, non
esistono strategie profittevoli a prescindere da una buona analisi dello strumento prescelto e da
considerazioni di carattere pratico oltre che teorico.
Anche l'iron condor è soggetto a queste regole, pertanto non va applicato senza una conoscenza
profonda delle opzioni e dei mercati sottostanti, e senza una programmazione precisa e puntuale
dei comportamenti da adottare in tutte le possibili situazioni.
La statistica ci può aiutare a costruire strategie provviste di probabilità altamente favorevoli a priori,
ma ciò non significa che sia possibile ottenere profitti sempre senza una accurata gestione delle
situazioni che possono materializzarsi.
Invito dunque un'ultima volta il lettore a ponderare con accuratezza tutte le sue scelte operative,
senza dare nulla per scontato.
Un buon lavoro e un sincero in bocca al lupo a tutti.
Domenico Dall'Olio
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