Comments
Description
Transcript
15. Stato limite ultimo per instabilità
Documento #: Doc_b11.doc 15. Stato limite ultimo per instabilità 15.1 Stabilità dell’equilibrio delle strutture 15.1.1 Premessa Nella pratica operativa si può verificare che quando le strutture vengono caricate gradualmente con carichi crescenti, subiscono repentinamente una variazione del carattere della loro deformazione, variazione che non è dovuta però, al superamento della resistenza dei materiali (schiacciamento del calcestruzzo o snervamento degli acciai) o ad altra alterazione delle loro proprietà meccaniche. Il fenomeno dell’instabilità si verifica perché l’incremento della deformazione della struttura col crescere del carico, oltre un dato valore, dà luogo ad una instabilità dell’equilibrio elastico e la struttura stessa “cerca” di disporsi in una nuova configurazione deformata di equilibrio stabile. Se il passaggio dalla configurazione deformata instabile a quella nuova stabile si verifica quando il materiale è ancora in campo lineare elastico, si parla di instabilità elastica, altrimenti di instabilità elasto-plastica. Il carico che induce tale instabilità (nel caso di forza assiale all’elemento si parla di “svergolamento”), ovvero il carico critico di instabilità per una struttura, non è necessariamente il massimo carico che questa può sopportare, sebbene in alcuni casi si possa verificare che i due carichi siano molto vicini tra loro o addirittura coincidenti. In generale, si possono distinguere diverse classi di fenomeni di svergolamento dipendenti dal tipo di struttura nel suo complesso: instabilità classica (o per diramazione stabile); instabilità per diramazione instabile; instabilità per cedimento progressivo. 15.1.2 Instabilità classica o per “diramazione stabile” Il fenomeno di svergolamento elastico maggiormente studiato è la cosiddetta instabilità elastica classica che, descrivendo un comportamento ideale del sistema strutturale non tiene in considerazione il comportamento non lineare dei materiali e la presenza di imperfezioni che si osservano nei casi reali. Ad esempio, nel caso di asta elastica caricata assialmente, questo tipo di fenomeno è caratterizzato dal fatto che, incrementando il carico assiale P, si passa dalla configurazione indeformata a quella deformata per svergolamento. È possibile dimostrare che l’equilibrio dell’asta elastica caricata assialmente si presenta di tipo stabile oppure instabile a seconda che il valore del carico assiale agente sia, rispettivamente, minore oppure maggiore o uguale al carico critico(1) Pcr , il quale risulta quindi discriminante perché si verifichi o meno il fenomeno(2). In particolare, nel caso di equilibrio stabile ( P < Pcr ), se al suddetto sistema viene imposta una piccola perturbazione(3), il sistema tende a ritornare nella sua configurazione iniziale; viceversa, nel caso di equilibrio instabile ( P Pcr ), a seguito della perturbazione, il sistema tende a scostarsi definitivamente dalla configurazione di equilibrio indeformata. In altre parole, imponendo una qualsiasi configurazione diversa da quella indeformata, in questo secondo caso, le forze esterne applicate al sistema cambiano la loro posizione rispetto al loro assetto nelle condizioni iniziali, generando nuove sollecitazioni che tendono ad incrementare le deformazioni o gli spostamenti, allontanando definitivamente l’elemento dalla configurazione stabile (effetti instabilizzanti). Contemporaneamente, nel materiale elastico di cui è costituito il sistema nascono delle forze reattive interne che tendono 1 In generale, nei problemi di stabilità, il valore del carico critico viene determinato considerando le equazioni di equilibrio in una configurazione deformata dellelemento; configurazione che è legata anche alle condizioni di vincolo del sistema. 2 Si anticipa che nelle strutture reali, a causa delle imperfezioni geometriche e meccaniche del sistema, linstabilità si raggiunge * per un carico critico P inferiore al carico critico Pcr . 3 Piccola deviazione dalla posizione iniziale indeformata da intendersi come “disturbo” rispetto alla posizione di equilibrio naturale. 777 Documento #: Doc_b11.doc a riportarlo nella configurazione iniziale indeformata (effetti stabilizzanti). Quando gli effetti instabilizzanti prevalgono rispetto agli effetti stabilizzanti, il sistema è in una condizione di equilibrio instabile e quindi esso tende a scostarsi sempre più dalla configurazione indeformata. Viceversa, quando gli effetti stabilizzanti prevalgono, il sistema è in condizioni di equilibrio stabile e l’asta tende a riassumere la configurazione rettilinea. Pertanto, per un’asta elastica caricata assialmente, il carico critico Pcr assume il significato di valore di separazione fra le situazioni di equilibrio stabile e quelle di equilibrio instabile. Dal punto di vista teorico è possibile, nell’ipotesi di struttura schematizzabile come perfetta(4), che essa possa mantenersi in equilibrio sotto un carico maggiore di quello critico. Così, in linea teorica, un’asta elastica perfettamente diritta e soggetta ad un carico perfettamente assiale potrebbe rimanere rettilinea e continuare solamente ad accorciarsi. D’altra parte però si dimostra che, oltre il carico critico, queste deformate diventano instabili e non possono essere mantenute sotto l’azione della più piccola forza esterna che tende a disturbarle. Nelle strutture reali, l’andamento del relativo diagramma carico-spostamento, al tendere a zero del parametro che caratterizza l’imperfezione, tende ad accostarsi a quello corrispondente alla configurazione instabile (svergolata) della struttura schematizzabile come perfetta (caso ideale). In generale, l’esistenza di diversi rami di configurazioni di equilibrio che partono dalla configurazione corrispondente allo stato critico costituisce (figg. 15.1 e 15.2) una diramazione o biforcazione dell’equilibrio, e ciò risulta essere una caratteristica dei fenomeni di instabilità di questa categoria. In particolare, nel caso di un’asta elastica caricata assialmente, la diramazione si presenta simmetrica ascendente (fig. 15.1). Così la trave caricata di punta della figura 15.1, se è ipotizzabile come perfettamente rettilinea, al crescere del carico assiale subirà un processo di compressione P e quindi si accorcerà gradualmente al crescere di P fino al valore Pcrit: al di sopra di questo valore, per instabilità, si infletterà lateralmente. Nel piano, carico assiale–freccia laterale in mezzeria, il punto B rappresenta il punto di raggiungimento della condizione P = Pcrit. Nel caso ideale di carico perfettamente centrato sull’asse dell’elemento strutturale, si ha che i rami BC sono delle configurazioni stabili, mentre i punti sull’asse P tali che P > Pcrit sono punti di equilibrio instabile, anche se possibili (ma con bassissima probabilità di mantenimento di assetto). Nel caso, invece, la trave presentasse una leggera imperfezione (caso reale), come ad esempio un lieve incurvamento iniziale, un difetto di costruzione, ovvero se il carico P non fosse perfettamente centrato sull’asse, gli stati di equilibrio con l’aumentare del carico assumerebbero andamenti analoghi a quelli riportati con la linea tratteggiata (figura 15.1). 4 Con la dizione “perfetta”, in questo paragrafo, si vuole intendere una struttura o sistema strutturale esente da difetti di linearità e di appiombo e, nel caso particolare di unasta caricata assialmente, sollecitata da carichi verticali con punti di applicazione privi di eccentricità rispetto allasse verticale della struttura indeformata. 778 Documento #: Doc_b11.doc Inserire figura: ILLUSTRAZIONI\ARTS Tiff(cap 15)\Inst (diramstab) (fig 15_1).tif Figura 15.1 – Schema dell’instabilità classica o per diramazione instabile. È interessante esaminare anche il diagramma carico-spostamento assiale (P–w) riportato sul lato destro della figura 15.1, in basso. Esso si presenta lineare da P = 0 a P = Pcrit, e corrisponde alla sola compressione uniforme della trave, poi si incurva bruscamente allo stato critico anche se si mantiene sempre crescente. Fenomeni analoghi di instabilità appaiono nelle piastre piane caricate da sforzi di compressione o tangenziali nel loro piano. L’eventuale sopraggiungere di stati elasto-plastici, prima dello stato critico, modifica il comportamento della struttura e un’analisi generale del suo comportamento in fase post-critica presenta tutt’ora notevoli difficoltà. 15.1.3 Instabilità per “diramazione instabile” Vi sono tipologie di strutture che, a differenza del caso precedentemente esaminato, mostrano una variazione della rigidezza all’aumentare del carico con repentina perdita di stabilità al carico critico così intensa che le configurazioni svergolate possono essere mantenute in equilibrio soltanto diminuendo il carico applicato P: la curva BC (vedere figura 15.2) presenta punti con P < Pcr (cosa invece non possibile nel caso di instabilità classica). Anche in questa categoria di instabilità sono comunque possibili (anche se con bassa probabilità di mantenimento di assetto) configurazioni instabili di equilibrio corrispondenti a deformate non svergolate per carichi superiori al carico critico, così come per la categoria precedente. Se per ipotesi la struttura (ad esempio, un ritto incastrato e libero in sommità) potesse considerarsi esente da difetti di linearità e di appiombo e fosse sollecitata da carichi verticali con punti di applicazione privi di eccentricità rispetto all’asse verticale della struttura indeformata (caso ideale), allora per carichi 0 P Pcrit la deformata della struttura sarebbe rappresentata, nel piano P – v, da un generico punto del segmento OB sull’asse P. In particolare, per P = Pcrit la struttura tenderà ad un’improvvisa variazione del suo assetto con diramazione dell’equilibrio. Come si può notare dal grafico a sinistra della figura 15.2, tale diramazione è caratterizzata dagli stati di equilibrio disposti sulla curva CBD: più precisamente si hanno configurazioni di equilibrio stabile BD ( P < Pcr ) e instabile BC ( P Pcr ). Lo stato critico ( P = Pcr ) è infatti di per sé instabile, dividendo i due tratti BD e BC tra configurazioni rispettivamente stabili e instabili. 779 Documento #: Doc_b11.doc Inserire figura: ILLUSTRAZIONI\ARTS Tiff(cap 15)\Inst (dir INs) (fig 15_2).tif Figura 15.2 – Schema relativo all’instabilità per diramazione instabile. Nel caso, invece, di struttura reale (con piccola imperfezione della struttura o eccentricità del carico P rispetto all’asse del sistema) vi possono essere due tendenze della struttura, a seconda del segno dell’imperfezione (andamenti tratteggiati in fig. 15.2): un ramo in cui l’equilibrio è di tipo instabile e non risulta più possibile se i valori di P sono maggiori del valore P* (schematizzabile come carico di collasso geometrico per la struttura). Se, invece, l’imperfezione è tale che gli stati di equilibrio consecutivi sono disposti lungo la curva , si dimostra che le configurazioni equilibrate sono stabili solo se P > Pcrit. Per tali motivi, il grafico riportato a sinistra nella figura 15.2 costituisce un esempio di diramazione asimmetrica instabile. Leggermente diverso è il caso mostrato nel grafico a destra della figura 15.2, che illustra schematicamente un esempio di diramazione simmetrica instabile: qui allo stato critico il ramo simmetrico BC delle nuove configurazioni di equilibrio è instabile. 780 Documento #: Doc_b11.doc La presenza di piccole imperfezioni strutturali comporta una sequenza di stati di equilibrio come quelli rappresentati dalle curve , con un carico di collasso P* < Pcrit. Anche in questo caso, il carico P* è schematizzabile come una sorta di carico di collasso geometrico per l’elemento strutturale: un carico che dipende essenzialmente dalla sua particolare geometria. Esso tiene conto di quelle particolari imperfezioni che impediscono all’elemento di essere schematizzato come perfettamente rettilineo, caricato con carico perfettamente centrato sul suo asse, ecc. Ovviamente, più elevata è l’imperfezione iniziale, più piccolo risulterà, rispetto a Pcrit, il carico di collasso geometrico P*. Un caso esemplificativo di ciò che è stato detto è rappresentato dal portale zoppo (vedere figura 15.3). Teoricamente, se si considerano le aste come inizialmente perfettamente rettilinee ed inestensibili e si carica il telaio con la forza P si vede che, al crescere di questa, le configurazioni di equilibrio sono quelle rettilinee e corrispondono al segmento OB del piano P – v. Quando il carico P raggiunge il carico P = Pcrit (corrispondente al carico critico euleriano del telaio), le configurazioni rettilinee di equilibrio diventano instabili mentre sono possibili altre configurazioni di equilibrio che comportano l’inflessione delle aste. Più precisamente, per carichi P uguali a Pcrit si presentano configurazioni di equilibrio con aste inflesse e quindi nel caso di (sul ramo BC) si ha una configurazione instabile, mentre nel caso di (sul ramo BD) si ha una configurazione di equilibrio stabile, seppure inflessa. Se invece di fatto, come accade nella realtà, il telaio è dotato di una lieve imperfezione geometrica, per cui le aste anziché perfettamente rettilinee presentano un lieve incurvamento, saranno possibili due tipi di equilibrio, rappresentati in figura 15.3 dalle due curve tratteggiate. Si può osservare, in questo caso, che la situazione relativa al caso (con v > 0) si presenta come più pericolosa, in quanto comporta un carico di collasso (geometrico) P* inferiore a quello critico Pcrit. Pertanto, strutture che diventano instabili con possibili deformate di questo tipo si presentano maggiormente sensibili alle imperfezioni geometriche. Ad esempio, si è potuto constatare che in alcune strutture eventuali imperfezioni nella parete cilindrica sottile con corrugamenti dell’ordine dello spessore comportano carichi P* inferiori addirittura del 40 ÷ 50% rispetto al valore del carico critico Pcrit. 781 Documento #: Doc_b11.doc Inserire figura: ILLUSTRAZIONI\ARTS Tiff(cap 15)\Instabilitàtelai (fig 15_3).tif Figura 15.3 – Condizioni di instabilità per diramazione instabile nel caso particolare di un telaio zoppo. 15.1.4 Instabilità per “cedimento progressivo” Un terzo tipo di fenomeni di instabilità è quello per cedimento progressivo (snap-through o durchschlag) che si presenta con una graduale riduzione della rigidezza della struttura fino a raggiungere il collasso senza che ciò sia dovuto ad alcun indebolimento del materiale. In questa situazione, la struttura è in equilibrio instabile: contrariamente ai due casi precedenti, non sono possibili stati di equilibrio prossimi a quello critico se risulta P > Pcrit. La figura 15.4 illustra qualitativamente lo svergolamento per cedimento progressivo di un arco ribassato incernierato agli estremi: la parte OB della curva carico-abbassamento rappresenta il ramo delle configurazioni di equilibrio dell’arco a cui corrispondono rigidezze via via minori: il punto B rappresenta la configurazione di rigidezza nulla. In tal caso la soluzione non è unica e ad una situazione di carico possono corrispondere diverse configurazioni deformate. Tale fenomeno, di spiccata non linearità, può accadere in archi molto snelli e/o eccessivamente ribassati, in cui alla forte spinta si associa la possibilità della perdita di forma intesa come scostamento dalla geometria della configurazione stabile. In tal caso il problema può essere affrontato attraverso la teoria dei grandi spostamenti. È sempre possibile uno svergolamento dell’arco sotto un carico minore di quello critico (tratto a freccia). Fenomeni analoghi a questo dell’arco si verificano nelle volte cilindriche piatte e nei tubi sottili inflessi. 782 Documento #: Doc_b11.doc Inserire figura: ILLUSTRAZIONI\ARTS Tiff(cap 15)\Inst (ced progr) (fig 15_4).tif Figura 15.4 – Schema di instabilità per cedimento progressivo. 15.2 Instabilità per effetti del II° ordine La maggiore preoccupazione che interessa gli elementi strutturali “snelli” (come i pilastri soggetti a compressione eccentrica) è rappresentata dal collasso causato da forze longitudinali crescenti con eccentricità e costante, oppure con carico assiale costante ed eccentricità crescente. Se ci si riferisce al primo caso, partendo da zero si può pensare di aumentare gradualmente la forza longitudinale determinando, per ogni valore considerato, la configurazione equilibrata dell’intera asta nel rispetto delle equazioni: N = Pe; M = Pe [e + ( x)] . Quest’ultima equazione rappresenta il momento associato in cui, oltre all’eccentricità e del primo ordine, compare quella (x) del secondo (vedere schemi in fig. 15.5). Poiché i valori di (x) non sono noti a priori, occorre, previa discretizzazione dell’asta in conci, procedere iterativamente e determinare la configurazione equilibrata nel rispetto delle due equazioni sopra riportate. Operando in questo modo, è possibile definire una curva che metta in relazione i valori della forza longitudinale N con lo spostamento relativo della sezione considerata. È possibile, inoltre, determinare la completa sequenza N – M dei valori di sollecitazione. A questo punto, il collasso della struttura può sopraggiungere per uno dei due seguenti motivi: crisi dei materiali; raggiungimento del punto critico di instabilità presso-flessionale (crisi dell’elemento strutturale per divergenza dello stato di equilibrio). Il fenomeno dell’instabilità può presentare, nel peggiore dei casi, le caratteristiche descritte dalle figure 15.2 e 15.3 (ramo ): superato il punto P*, la struttura subisce un repentino e inarrestabile incremento delle deformazioni. Un fenomeno simile si verifica anche nel caso di carico costante ed eccentricità crescente. 15.2.1 Metodi per la valutazione degli effetti del II° ordine Si consideri un ritto “snello”, incastrato alla base e libero in sommità, di altezza l e soggetto all’estremità libera ad un carico assiale Pe, ad una forza orizzontale He e ad una coppia Me: 783 Documento #: Doc_b11.doc Inserire figura: ILLUSTRAZIONI\ARTS Tiff(cap 15)\Ritto (def 2) (fig 15_5).tif Figura 15.5 – Caso 1: ritto pressoinflesso indeformato con carico assiale centrato rispetto all’asse dell’elemento strutturale; caso 2: ritto pressoinflesso deformato con carico assiale eccentrico rispetto all’asse della generica sezione trasversale a quota x dall’estremità libera. Per effetto delle azioni agenti, il ritto assume la configurazione a tratteggio, come si può vedere nella figura 15.5, ed una generica sezione distante x dall’estremo libero (considerando la struttura deformata) risulta sollecitata dal momento effettivo: M (x) M e + H e x + Pe (x) , in cui compare un termine non noto a priori, cioè la deformata (x) nella sezione considerata, senza la quale non è possibile valutare i momenti effettivi M (x) (dipendenti, quindi, anche da momenti del secondo ordine). Se il materiale costituente il ritto fosse perfettamente elastico, il problema sarebbe risolto, poiché sarebbe governato dalla nota equazione differenziale: EJ = M (x) , che consentirebbe, come noto dalla Scienza delle Costruzioni, di valutare le deformate ed i momenti, una volta determinate le condizioni al contorno. Poiché il calcestruzzo armato non presenta tale comportamento, detta equazione non è valida ed il termine EJ" va sostituito con l’andamento dei momenti lungo il ritto, in funzione della curvatura = 1 / r , in modo che risulti: M ( ) = M e + H e x + Pe (x) M (x) . Tale equazione, però, è un’equazione differenziale di non facile integrazione, che necessita della conoscenza del legame M = M() lungo tutto l’asse della struttura (ottenibile previa discretizzazione in conci). 784 Documento #: Doc_b11.doc L’analisi rigorosa del secondo ordine di elementi pressoinflessi risulta molto complessa ed è quindi naturale che si cerchino delle soluzioni approssimate che rispettino la sicurezza. A tal proposito si è visto, dalle prove sperimentali, che nei ritti di sistemi intelaiati (fatta eccezione per strutture quali viadotti che attraversano valli, le cui pile possono raggiungere altezze di 60÷120 metri) il maggiore cimento avviene, generalmente, alle estremità; ciò a maggior ragione nei sistemi a nodi spostabili dove gli effetti del secondo ordine innescano con maggiore facilità situazioni instabili. Pertanto, si tende a limitare l’indagine all’equilibrio delle sezioni “critiche” di estremità ed utilizzare procedure semplificate che consentano di snellire drasticamente l’analisi. In generale, alcune particolari tipologie di elementi strutturali snelli (ad esempio le pile dei ponti notevolmente alte) risultano sottoposte anche a rilevanti carichi trasversali in virtù dell’effetto cinetico dei venti e delle forze di frenatura. Pertanto, se la somma di tutte le sollecitazioni flettenti (del I° ordine e quindi non dipendenti dall’incognita (x ) ) assume valore massimo in una data sezione dell’elemento strutturale a quota x dalla sommità, allora non la sezione all’incastro ma la sezione a quota x risulta la più sollecitata. In questo caso, alcuni metodi di calcolo semplificati (vedere più avanti il “metodo della colonna modello”) non possono ovviamente applicarsi. Viceversa, se la somma delle sollecitazioni flettenti del I° ordine presenta il massimo valore all’incastro (come avviene nella maggioranza dei casi pratici) e se inoltre la geometria della sezione, la sua armatura e l’azione assiale sono costanti lungo tutto lo sviluppo longitudinale dell’elemento strutturale, allora la sezione all’incastro è effettivamente la più sollecitata ed è, quindi, possibile adottare il procedimento semplificato della colonna modello. Qualora, però, una delle tre condizioni ora citate non sia soddisfatta non si può affermare a priori se è la sezione all’incastro quella in cui stato di tensione e di deformazione sono massimi. 15.2.2 Teoria del metodo semplificato della “colonna modello” I metodi di verifica di colonne snelle in cemento armato possono essere essenzialmente divisi in due categorie: metodi di tipo generale; metodi approssimati. Tra i metodi di tipo generale si ricordano il metodo delle differenze finite ed i metodi basati su analisi strutturali per elementi finiti in regime non lineare. Tutti questi approcci considerano contemporaneamente la non linearità geometrica e la non linearità meccanica (dei materiali) del problema. Metodi quali il metodo della colonna modello, il metodo della colonna modello migliorato, il metodo diretto dello stato di equilibrio pongono ipotesi semplificatrici del problema, permettendo così un approccio più agevole. Per una dissertazione approfondita di tutti questi metodi si rimanda a testi consolidati (quali ad esempio i bollettini del CEB oppure il testo di Migliacci et al.). In questa sede, si intende prendere in esame il solo metodo della colonna modello che, oltre ad essere previsto dalle normative vigenti, è quello che permette un’agile e rapida risoluzione del problema. Tra le procedure semplificate più note, appunto, che si limitano ad assicurare l’equilibrio nella sezione critica, vi è quella che va sotto il nome di “metodo della colonna modello”. Tale metodo fa riferimento ad aste singole di lunghezza l e luce libera d’inflessione l0, incastrate ad un estremo e libere all’altro, e soggette ad un carico eccentrico costante Pe. 785 Documento #: Doc_b11.doc Inserire figura: ILLUSTRAZIONI\ARTS Tiff(cap 15)\Col mode 1 (fig 15_6).tif Figura 15.6 – Schema adottato dalla teoria del metodo della “colonna modello”. In particolare, tale metodo semplificato di calcolo può essere utilizzato soltanto qualora siano verificate le seguenti ipotesi: a) L’elemento strutturale sia vincolato esternamente con un vincolo di incastro perfetto alla base e libero in sommità; b) l’azione assiale sia costante lungo tutto l’asse longitudinale dell’elemento strutturale, cosicché la risultante assiale sia schematizzabile come forza concentrata applicata sull’estremità libera dell’elemento strutturale; c) la sezione trasversale dell’elemento e il quantitativo di armatura metallica longitudinale siano costanti su qualsiasi sezione trasversale dell’elemento strutturale; d) la massima sollecitazione flettente del I° ordine agisca nella sezione di incastro; e) gli spostamenti trasversali e le rotazioni delle sezioni presentino segno costante lungo tutto l’asse longitudinale dell’elemento strutturale (in altre parole, sono escluse le configurazioni di carico per cui il momento flettente del primo ordine cambia segno). Sotto queste ipotesi, l’equazione della linea d’asse deformata dell’elemento strutturale può essere schematizzata, con sufficiente approssimazione, tramite uno sviluppo in serie di Fourier troncato al primo termine. Pertanto, come configurazione deformata dell’asta (supposta di sezione costante), può essere assunto un andamento sinusoidale di equazione (vedere figura 15.6): ( x ) = e2 sen ( x / l 0 ) , essendo e2 l’ampiezza massima d’inflessione” e2 = (x = l0 / 2) ed l0 = 2 l. Si definisce, quindi, “colonna modello” l’elemento strutturale compresso in cui il legame tra freccia massima = (l0 / 2) e curvatura massima = (l0 / 2) è definito dall’assumere come configurazione deformata un tratto di sinusoide. 786 Documento #: Doc_b11.doc Per definire la deformata dell’asta occorre pertanto determinare il valore di e2 = (x = l0 / 2) . In particolare, la curvatura (x) lungo l’asse può essere ottenuta mediante doppia integrazione dell’equazione qui di seguito riportata: ( x ) = = e2 (x / l0 ) sen (x / l0 ) che nella sezione critica (vedere figura 15.6) per x = l /2, diviene, con (l / 2) = : 0 0 = e ( / l ) 2 2 0 da cui: e2 = (l0 / ) 2 . Si è già indicato con il simbolo M (x) il valore del momento delle forze esterne, considerando anche i contributi del II° ordine. Si indicherà tale momento sollecitante sempre con il simbolo M () valutato nella sezione critica x = l0 / 2 , quindi in funzione di ; risultando dunque: l l M () = M e + H e 0 + Pe e2 = M e + H e 0 + Pe [ (l0 / )2 ] M I + M II ; 2 2 avendo indicato con H e e con Pe , rispettivamente, la risultante delle forze orizzontali e verticali agenti sulla sommità libera del ritto. Risulta, quindi, il seguente legame: l M () = [Pe (l0 / )2 ] + M e + H e 0 ; 2 ovvero, la funzione M = M () è una funzione lineare (retta) nel piano M – , esprimibile semplicemente come: M () = M II + M I ovvero come somma di due termini: uno costante (termine noto MI) e un termine lineare in ( MII pari al coefficiente angolare moltiplicato per la variabile ). Si ha, infatti: l MI = M e + He 0 ; 2 MII = [Pe (l0 / ) 2 ] = Pe e2 . Operando in questo modo, la non linearità geometrica del problema è considerata in forma approssimata e la misura della sicurezza dello stato limite di instabilità può essere ricondotta alla ricerca della verifica di equilibrio e di resistenza della sezione di base. Per un elemento isolato, incastrato alla base e libero in sommità, soggetto a flessione e sforzo normale, noto il momento sollecitante di primo ordine si valuterà quello del secondo ordine tramite l’equazione qui sopra descritta. Se invece l’elemento in esame fa parte di un sistema intelaiato, lo schema ipotizzabile è quello di un elemento soggetto ad una forza normale con eccentricità del I° ordine e01 ed e02 alle due estremità, quindi la verifica può ricondursi a quella di un elemento incernierato alle estremità di lunghezza l0, soggetto allo sforzo normale NSd e ad un’eccentricità equivalente, funzione di e01 ed e02. In generale, è sempre possibile tracciare il grafico del valore del momento flettente che sollecita la sezione quando questa presenta il particolare valore di curvatura . Tale diagramma avrà, ovviamente, anche significato per una particolare sezione della struttura snella: la sezione maggiormente critica. Quindi si potrà calcolare la funzione MSd = M( ) valida per tutte le sezioni che presentino una curvatura , ed in particolare per la sezione critica. La figura 15.8 illustra quanto detto. 787 Documento #: Doc_b11.doc Se quindi, in presenza di azione normale Pe costante, si traccia l’intero diagramma momenticurvature della sezione critica ( = ) e vi si sovrappone la retta M = M () , si possono visualizzare le differenti situazioni di collasso e procedere alle verifiche. Possono, infatti, presentarsi differenti situazioni. Una prima situazione è caratterizzata dal fatto che per la sezione critica considerata la curva M() non ammette una tangente parallela alla retta M (parallela indicata nella parte “a” della figura 15.7). L’intersezione K della curva con la retta M individua poi il valore = * della curvatura relativo alla configurazione di equilibrio stabile (punto di intersezione tra le due curve M e M() ); poi, sostituendo a il particolare valore * trovato, si può calcolare la freccia del secondo ordine, che permette un controllo delle deformate della struttura. Il collasso sopraggiunge solo se l’intersezione K si presenta nell’estremo C, dove i materiali (acciaio e/o calcestruzzo) entrano in crisi. Inserire figura: ILLUSTRAZIONI\ARTS Tiff(cap 15)\Col model 2 (fig 15_7).tif Figura 15.7 – Diagrammi momenti-curvature per la sezione critica (teoria della “colonna modello”). Un secondo caso (parte “b” della figura 15.7) contempla l’esistenza di una parallela alla retta MII tangente alla curva M() ed allora la crisi giunge se viene superato il valore limite MI, max del momento di primo ordine che l’asta è in grado di sopportare, a causa della perdita dell’equilibrio per instabilità (prima che i materiali entrino in crisi). In effetti, questo è quello che accade quando sono presenti elevate snellezze in concomitanza di alte resistenze dei materiali. 788 Documento #: Doc_b11.doc In entrambi i casi esaminati la verifica dovrà accertare che il momento sollecitante di primo ordine non raggiunga quello limite MI, max sopportabile (è l’equivalente del punto P* delle figure 15.2 e 15.3 sul ramo ). Inserire figura: ILLUSTRAZIONI\ARTS Tiff(cap 15)\Col mod 3 (fig 15_8).tif Figura 15.8 – Deformata qualitativa di un ritto incastrato, caricato sulla sommità (simbologia secondo equazioni al par. 15.2.2). Sezione pressoinflessa maggiormente critica del ritto snello: sezione A. 15.2.2.1 Determinazione della curva M() in funzione dei valori assunti dalla curvatura nella sezione critica dell’elemento strutturale Si vuole determinare la funzione M() sulla sola sezione critica della struttura, in funzione però dei diversi valori che la curvatura può assumervi. Si ipotizza, per semplicità, di analizzare una sezione rettangolare costante di dimensioni b x H e armata con le seguenti armature Ff e Ff . Si suppongono note, inoltre, le equazioni costitutive dei materiali acciaio e conglomerato; e si suppone altresì nota la sollecitazione assiale di calcolo N Sd . Per un determinato valore di curvatura , si assegna un valore di tentativo m della deformazione lungo l’asse m–m (baricentrico per la sezione geometrica del solo conglomerato, e rispetto a cui si valutano le sollecitazioni flettenti) e si ricava la posizione dell’asse neutro. Scegliendo, ad esempio, l’asse m–m baricentrico della sezione di solo conglomerato, per l’ipotesi della conservazione delle sezioni piane (linearità delle deformazioni unitarie in ogni sezione), risulta: yn = m + 0, 5 H . 789 Documento #: Doc_b11.doc Tale relazione si ricava semplicemente sfruttando la relazione di linearità delle deformazioni unitarie (vedere figura sottostante 15.9): m c = ; yn yn 0,5 H Inserire figura: ILLUSTRAZIONI\ARTS Tiff(cap 15)\Figura 15_9.tif Figura 15.9 – Generica sezione pressoinflessa di ritto snello. La curvatura della sezione maggiormente critica dell’elemento strutturale è indicata col simbolo . e considerando che la curvatura in una sezione di una trave pressoinflessa è esprimibile con ottima approssimazione dalla relazione: ab ( c m ) ; = = 0,5 H bc avendo precedentemente convenuto, ad esempio, di considerare le deformazioni per compressione di segno negativo: < 0 , come è stato specificato nella figura stessa. Dividendo, allora, la sezione critica dell’elemento strutturale in n strisce, facendo riferimento al baricentro di ciascuna striscia i-esima, si determinano le diverse i (di segno negativo se di compressione) tramite la nota relazione che lega la rotazione alla distanza yn yi e alla deformazione unitaria i : i = (y n yi ) . Tramite poi le leggi costitutive dei materiali si calcolano i diversi valori (con segno algebrico) delle i . Si può, quindi, valutare lo sforzo normale, in funzione della curvatura nella generica sezione x dell’elemento strutturale: N Rd = n i=1 ci Fci + n fi Ffi ; i=1 790 Documento #: Doc_b11.doc in cui Ffi assume i valori delle aree delle armature longitudinali i cui baricentri sono alla quota i. Analogamente, con Fci si sono indicate le aree delle strisce della sezione di solo conglomerato i cui baricentri si trovano alla quota i. Come si può notare nel caso particolare riportato nella figura 15.9, con Ffi si indicano solo i valori delle armature superiori e inferiori (rispettivamente, Ff e Ff ). Calcolato N Rd , se risulta con sufficiente approssimazione N Rd N Sd , allora si può procedere al calcolo della sollecitazione flettente M() = M Sd (momento valutato rispetto all’asse baricentrico della sezione di solo calcestruzzo) con cui è sollecitata la sezione critica, quando la curvatura raggiunge nella sezione il valore : M() = M Sd = n i=1 [(ci Fci ) zi ] + n [( fi Ffi ) zi ] ; i=1 dove con zi si è indicata sia la distanza dall’asse baricentrico della sezione di conglomerato dal baricentro delle strisce di calcestruzzo, sia la distanza dell’asse baricentrico suddetto dal baricentro delle armature che eventualmente si trovassero alla quota zi . Noti i due valori N Rd N Sd e MSd , si può tracciare il primo punto ( NSd ; MSd ) in cui MSd appartiene alla curva M() : ovvero, si conosce il valore della sollecitazione flettente M() = M Sd agente sulla sezione critica caratterizzata da un valore della curvatura pari proprio a . Viceversa, se risultasse N Rd N Sd occorrerà reiterare il procedimento descritto prima e trovare un valore di m che per il particolare valore di verifica con la voluta precisione l’uguaglianza N Rd = N Sd . Ripetendo la suddetta procedura iterativa per differenti valori di si giungerà a definire l’intera curva M() che esprime il valore della sollecitazione flettente che sollecita la sezione maggiormente critica, in funzione della curvatura esistente nella sezione. Un tale procedimento risulta effettivamente molto laborioso ed è per questo che esistono delle formulazioni che consentono di ricavare rapidamente un valore approssimato dell’inflessione minima e0 del secondo ordine (associando il parametro al raggiungimento di talune deformazioni dei materiali; ad esempio: c = 3,5 ‰ e f = 1, 5 ‰ ). Una delle formule più note che valuta la curvatura al simultaneo raggiungimento di yd nelle armature longitudinali è: 2 K 2 yd ; 0, 9 h dove K 2 è un opportuno coefficiente che tiene conto del ridursi della curvatura per carichi assiali crescenti. In particolare, per K 2 = 1 , risulta: 2 yd . 0,9 h Pertanto, ricordando l’espressione: e2 = (l0 / ) 2 , si ottiene (considerando formalmente = ): 2 yd yd l02 2 2 . e2 = (l0 / ) = (l0 / ) 0, 23 0,9 h h In questo modo, è possibile verificare la sezione maggiormente cimentata dell’elemento strutturale utilizzando le seguenti sollecitazioni di progetto: sollecitazione assiale: N Sd ; yd l 02 l0 (II ) sollecitazione flettente: ; MSd = MSd + He + N Sd 0, 23 2 h avendo indicato con: MSd la sollecitazione flettente (a struttura indeformata); 791 Documento #: Doc_b11.doc He la sollecitazione perpendicolare all’asse longitudinale dell’elemento strutturale (sollecitazione tagliante); N Sd la sollecitazione assiale di calcolo (lungo l’asse longitudinale dell’elemento strutturale). Pertanto, nota la geometria e le armature della sezione, si confrontano le sollecitazioni di progetto con il semidiagramma di rottura della sezione. In ogni caso, è necessario sottolineare che una siffatta formulazione semplificata del problema dell’instabilità (anche se ammessa dall’Eurocodice 2, purché non occorra grande accuratezza) non è sempre ammessa da alcune normative; ad esempio il C.E.B.(5) vieta procedure semplificate se i risultati ottenuti portano a differenze di oltre il 10% rispetto ai valori ottenibili con procedimenti di calcolo rigorosi. 15.3 L’instabilità secondo la Normativa Italiana (6) Secondo la Normativa Italiana (D.M. 09.01.96) sono considerati “snelli” i pilastri con sezione costante, con la snellezza massima = l0 / imin che raggiunge il valore: * = 60 (1 + 15 μ f tot ) / (N Sd / Fc ) 0,5 , dove: Fc è la sezione di solo calcestruzzo (espressa in mm2); μ f tot è il rapporto geometrico dell’armatura longitudinale totale; NSd (espresso in Newton) è l’azione normale di compressione di calcolo. Inoltre, la Normativa Italiana introduce e determina i valori delle eccentricità aggiuntive, causate da eventuali imperfezioni geometriche. La normativa italiana prescrive anche di effettuare la verifica all’instabilità facendo attenzione che il momento agente di primo ordine non superi quello massimo sopportabile dall’elemento. Inoltre, per tenere conto degli effetti delle deformazioni viscose causate da azioni permanenti, queste ultime possono venire aumentate di 1,15 volte. Bisogna affrontare, però, con particolare cautela snellezze elevate che superano il valore di 3*. La Normativa Italiana impone, comunque, determinate prescrizioni. In particolare, una costruzione di n piani viene considerata a nodi fissi se: H ( Pe / Ec J ) 0,5 0,6 per n 4; H ( Pe / Ec J ) 0,5 (0, 2 + 0,1n) per n 3; dove H è l’altezza totale del telaio; Pe è la somma dei carichi verticali in esercizio; (EcJ) è la somma delle rigidezze dei nuclei di controventamento. Per ritti singoli posti in strutture a nodi fissi e distribuzione lineare dei momenti flettenti di primo ordine, si può verificare la sezione critica, indicando con e02 ed e01 le eccentricità dei due estremi, con un momento flettente di primo ordine pari a: MSd = e N Sd , dove, se e02 e01 si deve porre: e = 0,6 e02 + 0,4 e01 0, 4 e02 . A questo valore deve essere sommato il momento di secondo ordine M2 = e2 N Sd , dove e2 si ricava dall’equazione: e2 = 0,1 (l0 ) 2 . Se dovesse risultare: e01 > ( e + e2 ) , allora bisognerà verificare la sezione sottoposta all’eccentricità e01 senza effetti del secondo ordine. Per i telai a maglia rettangolare è ammesso il metodo iterativo P- che sostituisce ai momenti di secondo ordine quelli prodotti da forze orizzontali equivalenti di piano. 5 C.E.B. sta per Comité Eurointernational du Béton. 6 Nel presentare le principali prescrizioni della Normativa Italiana sullinstabilità, si è voluto tenere anche conto di tutte quelle utili indicazioni riportate dal D.M. 9 gennaio 1996; lasciando eventualmente libertà al Progettista di rifarsi integralmente alle indicazioni maggiormente dettagliate contenute nellEurocodice 2. 792 Documento #: Doc_b11.doc Per l’eccentricità aggiuntiva ea, causata dalle imperfezioni geometriche, se con il simbolo viene indicata l’inclinazione rispetto alla verticale, allora: tg = 1 / 150 per strutture di un solo piano o caricate solo in sommità, diversamente si avrà: tg = 1 / 200 ; per ritti singoli, in alternativa a quanto prima esposto, un’eccentricità pari a l0 /300 (con l0 espresso in cm) e comunque non inferiore a 2 cm. È possibile determinare gli effetti del secondo ordine col metodo della colonna modello in aste sottoposte a sforzo normale costante e, successivamente, effettuare la verifica tramite il controllo del massimo momento di primo ordine sopportabile dall’asta. Nel caso in cui la sezione critica della deformazione di secondo ordine sia anche la maggiormente sollecitata a flessione nel primo ordine, si può accettare come valido il seguente valore dell’eccentricità di secondo ordine: e2 = 0,1 (l0 ) 2 , dove il simbolo indica la curvatura effettiva della sezione critica. 15.4 L’instabilità secondo l’E.C.2 (NAD) 15.4.1 Simbologia utilizzata 1/r = curvatura della sezione critica alla base di una colonna modello; Ib = momento d’inerzia della sezione di calcestruzzo di una trave; Icol = momento d’inerzia della sezione di calcestruzzo di un pilastro; K1 = fattore di riduzione per il calcolo dell’eccentricità e2 di secondo ordine; K2 = coefficiente che tiene conto della diminuzione della curvatura (1/r) dovuta all’incremento della forza assiale; MRd = momento resistente di calcolo; MSd1 = momento agente di calcolo del primo ordine; NRd = forza di compressione assiale resistente di calcolo; Nud = resistenza ultima di calcolo della sezione soggetta a carico assiale puro; e2 = eccentricità del secondo ordine; = eccentricità aggiuntiva che tiene conto degli effetti delle imperfezioni geometriche; ea ee = eccentricità equivalente; e0 = eccentricità del primo ordine; e01, e02 = valori dell’eccentricità del primo ordine della forza assiale alle estremità dell’elemento, definite in modo che sia e01 e02; etot = eccentricità totale; ey = eccentricità nella direzione y; ez = eccentricità nella direzione z; kA, kB = coefficienti che descrivono la rigidezza dei vincoli alle estremità del pilastro; = altezza della colonna misurata tra i punti di vincolo ideali; Lcol Lot = lunghezza di un’ala compressa misurata tra gli appoggi laterali; = fattore che considera le condizioni di vincolo della trave all’estremità opposta; = I0/Icol; l0 = vedere paragrafi 15.4.4.5 (1), (2); yd = deformazione allo snervamento di calcolo dell’armatura di acciaio; = rapporto di snellezza; crit = rapporto di snellezza critico; u = coefficiente di forza longitudinale per un elemento. 15.4.2 Scopo e definizioni (1) Questa sezione si riferisce a strutture snelle, o a elementi snelli soggetti prevalentemente a compressione, la cui capacità portante è influenzata in modo significativo dalle rispettive deformazioni (effetti del secondo ordine). (2) I principi dati in questa sezione valgono per elementi lineari di calcestruzzo armato e 793 Documento #: Doc_b11.doc precompresso soggetti a compressione assiale, con o senza flessione, per i quali gli effetti torsionali possono essere trascurati. (3) Questi principi possono anche essere applicati ad altri tipi di elementi strutturali quali muri, gusci, travi snelle in cui possa verificarsi instabilità laterale della zona compressa, travi parete o altre strutture o elementi inusuali in cui possano sorgere deformazioni locali significative. (4) Regole specifiche sono fornite per elementi snelli compressi nei paragrafi 15.4.3 e 15.4.7 e per l’instabilità laterale di travi snelle nel paragrafo 15.4.8. (5) Negli elementi compressi l’influenza degli effetti del secondo ordine deve, di regola, essere considerata se l’incremento dei momenti flettenti del primo ordine dovuto alle deformazioni è maggiore del 10%. Si può ammettere che ciò accada se le snellezze della struttura o degli elementi strutturali considerati superano i limiti definiti nel paragrafo 15.4.4. 15.4.3 Procedimenti di calcolo (1) Il calcolo della stabilità strutturale, considerando gli effetti del secondo ordine, deve assicurare che, per le combinazioni più sfavorevoli delle azioni allo stato limite ultimo, non si verifichi perdita di equilibrio statico (localmente o per l’intera struttura) e non venga superata la resistenza delle singole sezioni trasversali soggette a flessione e a forza assiale. (2) Il comportamento strutturale deve essere considerato per ogni direzione in cui possa verificarsi la rottura dovuta a effetti del secondo ordine. (3) Possibili incertezze dei vincoli ai nodi devono di regola essere considerate. Le proprietà dei materiali devono essere assunte con i loro valori di calcolo adottando ovunque le corrispondenti proprietà di deformazione. (4) Per strutture di edifici normali, le procedure di calcolo stabilite nei punti successivi prevedono le tre fasi seguenti: a) la struttura o gli elementi sono classificati come: controventati o non controventati; a nodi spostabili o a nodi fissi (vedere da paragrafo 15.4.4.1 a 15.4.4.4). b) Per la classificazione di una struttura, la necessità di considerare gli effetti del secondo ordine viene stabilita confrontando la snellezza con i limiti specificati nei seguenti punti. Questo vale: per l’intera struttura, se a nodi spostabili; per le singole colonne considerate come colonne isolate (vedere paragrafo 15.4.6.3); Una volta stabilito che gli effetti del secondo ordine vanno considerati, le regole di calcolo per le colonne sono fornite nei paragrafi 15.4.5, 15.4.6 e 15.4.7. Per travi snelle le regole sono fornite nel paragrafo 15.4.8. 15.4.4 Classificazione delle strutture e degli elementi strutturali 15.4.4.1 Generalità (1) Ai fini dei calcoli di progetto le strutture o gli elementi strutturali possono essere classificati come controventati o non controventati, a seconda della presenza o meno di elementi di controvento, e come a nodi fissi o a nodi spostabili, a seconda della loro sensibilità agli effetti del secondo ordine dovuti a spostamenti laterali. (2) Analogamente, le colonne isolate sono classificate come snelle o non snelle. 15.4.4.2 Elementi di controvento e strutture controventate (1) Un elemento di controvento è un elemento strutturale che ha elevata rigidezza a flessione e/o a taglio e che è completamente o parzialmente incastrato in fondazione. Un elemento di controvento o un sistema di elementi di controvento deve, di regola, essere sufficientemente rigido da assorbire e trasmettere alle fondazioni tutti i carichi orizzontali agenti sulla struttura e da assicurare la stabilità della sottostruttura controventata. (2) In generale il calcolo degli elementi di controvento può essere basato su una analisi del primo ordine. Comunque può essere necessaria un’analisi del secondo ordine se gli elementi di controvento sono relativamente flessibili [vedere paragrafo 15.4.2 (5)]. 794 Documento #: Doc_b11.doc (3) Le strutture con elementi di controvento che soddisfano i requisiti in (1) sono classificate come controventate. 15.4.4.3 Strutture a nodi fissi (1) Sono classificati come a nodi fissi le strutture o gli elementi strutturali, con o senza elementi di controvento, per cui possa essere trascurata l’influenza degli spostamenti dei nodi nei riguardi delle forze e dei momenti di calcolo. In caso contrario dette strutture sono classificate come a nodi spostabili. (2) Le strutture di edifici controventati in cui il controventamento è assicurato da pareti di taglio importanti o da strutture a nucleo possono essere considerate a nodi fissi. (3) I telai possono essere classificati a nodi fissi se gli spostamenti del primo ordine dei nodi non incrementano di più del 10% gli effetti delle azioni calcolate senza considerare tali spostamenti. Generalmente è sufficiente considerare solo i momenti flettenti significativi. 15.4.4.4 Colonne isolate (1) Possono essere: a) elementi compressi isolati [vedere figure 15.10 a) e b)]; b) elementi compressi che fanno parte integrante di una struttura, ma che sono considerati isolati per esigenze di calcolo [vedere per esempio paragrafo 15.4.6.1 e figure 15.10 c) e d)]. c) colonna isolata singola; d) colonne incernierate in una struttura a nodi fissi; e) elemento snello di controvento considerato come colonna isolata; f) colonne con estremità incastrate in una struttura a nodi fissi. 795 Documento #: Doc_b11.doc Inserire figura: ILLUSTRAZIONI\ARTS Tiff(cap 15)\Figura 15_10.tif Figura 15.10 – Tipi di colonne isolate. 15.4.4.5 Snellezza di colonne isolate (1) Per gli edifici l’altezza o la lunghezza libera di una colonna l0 = Lcol può essere determinata per mezzo del nomogramma della figura 15.11, nel quale i coefficienti KA e KB indicano la rigidezza del vincolo alle estremità della colonna: Ecsec Icol / Lcol , Ki = Ecsec b I b / Leff dove: Ki rappresenta il particolare valore dei coefficienti KA e KB; Ecsec è il modulo secante di elasticità del calcestruzzo; Icol e Ib sono momenti d’inerzia della sezione lorda rispettivamente delle colonne e delle travi; Lcol è l’altezza della colonna misurata tra gli assi di vincolo; Leff è la luce effettiva della trave; b è il fattore che considera le condizioni di vincolo della trave all’estremità opposta: = 1,0 estremità opposta vincolata elasticamente o rigidamente; = 0,5 estremità opposta libera di ruotare; 796 Documento #: Doc_b11.doc = 0 mensola libera. Inserire figura: ILLUSTRAZIONI\ARTS Tiff(cap 15)\Figura 15_11.tif Figura 15.11 – Nomogrammi per il calcolo della lunghezza libera d’inflessione (E.C.2 – NAD). (2) Le colonne isolate si considerano snelle se il loro rapporto di snellezza supera il maggiore valore tra 25 e 15 / u , dove: u è il coefficiente di forza longitudinale per l’elemento: 797 Documento #: Doc_b11.doc u = = N Sd ; Ac fcd l0 i rapporto di snellezza; dove: l0 è l’altezza o lunghezza libera dell’elemento verticale, generalmente ricavata usando la teoria elastica dell’instabilità. Per strutture a telaio la colonna a cui l0 viene riferita deve essere accuratamente identificata; i è il raggio giratore. 15.4.5 Imperfezioni (1) Occorre valutare nel progetto le incertezze associate alla determinazione degli effetti del secondo ordine e in particolare le inaccuratezze dimensionali e le incertezze su posizione e retta d’azione dei carichi assiali. In assenza di altri provvedimenti adeguati, ciò può essere ottenuto tramite l’uso di imperfezioni geometriche equivalenti. (2) Per strutture a telaio, viene definita un’inclinazione dell’intera struttura (elementi di controvento e sottostruttura controventata) rispetto alla verticale. (3) Per elementi isolati le imperfezioni geometriche equivalenti possono essere introdotte incrementando l’eccentricità della forza longitudinale di un’eccentricità aggiuntiva ea, nella direzione più sfavorevole, pari a: ea = l0 / 2 , dove: – l0 è la lunghezza libera dell’elemento isolato (vedere paragrafo 15.4.4.5); – è l’inclinazione sulla verticale. 15.4.6 Dati specifici per diversi tipi di strutture 15.4.6.1 Telai a nodi fissi (1) Elementi compressi singoli a nodi fissi devono essere considerati come elementi isolati e progettati di conseguenza. (2) Elementi di controvento, o singoli elementi compressi in telai a nodi fissi senza elementi di controvento, devono essere calcolati per le forze orizzontali e i carichi verticali relativi, tenendo conto delle imperfezioni geometriche equivalenti nel paragrafo 15.4.5. (3) Per singoli elementi compressi valgono le regole di calcolo delle colonne isolate (vedere paragrafo 15.4.6.3). La lunghezza libera l0 può generalmente essere determinata secondo quanto descritto nel paragrafo 15.4.4.5. 15.4.6.2 Colonne isolate (1) Nel calcolo di elementi isolati compressi snelli devono essere considerati gli effetti del secondo ordine, comprese le imperfezioni geometriche e le deformazioni viscose se influiscono in modo significativo sulla stabilità strutturale. (2) Colonne isolate in strutture a nodi fissi non necessitano di verifica per effetti del secondo ordine se il rapporto di snellezza è minore o uguale al valore dato dall’equazione di seguito riportata, quand’anche la colonna possa essere classificata come snella secondo il paragrafo 15.4.4.5: crit = 25 (2 e01 / e02 ) ; dove e01 ed e02 sono le eccentricità (del I° ordine) del carico assiale alle estremità dell’elemento, assumendo e01 e02. In questo caso le estremità della colonna vanno di regola calcolate almeno per le condizioni date dalle equazioni seguenti: NRd = NSd; MRd = N Sd h / 20 ; dove: NRd è la forza assiale resistente di calcolo a compressione; MRd è il momento resistente di calcolo. L’equazione crit = 25 (2 e01 / e02 ) sarà di regola usata solo se la colonna non è soggetta a carichi 798 Documento #: Doc_b11.doc trasversali tra le estremità. Il criterio definito dalla suddetta equazione è rappresentato graficamente nella figura 15.12. Per il progetto di colonne vedere paragrafo 15.4.7. (3) Per colonne inflesse prevalentemente secondo uno degli assi principali deve, di regola, essere verificata la possibilità di rottura per effetti di secondo ordine lungo il secondo asse principale. (4) Per tale verifica l’eccentricità iniziale e0 nella direzione del secondo asse principale sarà di regola presa pari a zero e gli effetti del secondo ordine saranno calcolati usando il rapporto di snellezza , relativo a tale asse. Saranno pure considerate l’eccentricità aggiuntiva definita nel paragrafo 15.4.5 (3) e, se significative, le deformazioni viscose. (5) I principi (1) e (3) sopra riportati valgono anche per elementi compressi soggetti a flessione biassiale in cui gli effetti della torsione siano trascurabili. (6) Se l’eccentricità del primo ordine e0 della forza assiale nella direzione del primo asse principale è maggiore di 0, 2 h , la verifica nella direzione del secondo asse principale sarà di regola basata sull’altezza ridotta hrid della sezione, come definita nel paragrafo 15.4.7.4 (3). Inserire figura: ILLUSTRAZIONI\ARTS Tiff(cap 15)\Figura 15_12.tif Figura 15.12 – Limiti di snellezza per elementi isolati con estremità vincolate rigidamente o elasticamente in strutture a nodi fissi 15.4.7 Metodi semplificati di calcolo per colonne isolate 15.4.7.1 Generalità (1) Per gli edifici può essere usato un metodo di calcolo che considera isolati gli elementi compressi e adotta una forma semplificata per l’asse deformato della colonna. L’eccentricità aggiuntiva è poi calcolata in funzione della snellezza. 15.4.7.2 Eccentricità totale (1) L’eccentricità totale attribuita a colonne di sezione costante (per calcestruzzo e acciaio, a prescindere dalle sovrapposizioni) nella sezione più sollecitata (sezione critica) è data da: a) Eccentricità del primo ordine uguali a entrambe le estremità [figura 15.13 (a)]: etot = e0 + ea + e2 dove: – e0 è l’eccentricità del primo ordine pari a e0 = MSd1/NSd; – MSd1 è il momento agente del primo ordine; – NSd è la forza assiale agente; – ea è l’eccentricità aggiuntiva; – e2 è l’eccentricità del secondo ordine, determinata usando i metodi approssimati descritti nel paragrafo 15.5.7.3, inclusi gli effetti della viscosità. 799 Documento #: Doc_b11.doc Inserire figura: ILLUSTRAZIONI\ARTS Tiff(cap 15)\Figura 15_13.tif Figura 15.13 – Modello di calcolo per la valutazione della eccentricità totale b) Eccentricità del primo ordine diverse alle due estremità [figure 15.13 b) e c)]. Per colonne di sezione costante (per calcestruzzo e acciaio, a prescindere dalle sovrapposizioni) soggette a momenti del primo ordine con variazione lineare lungo la lunghezza e aventi eccentricità agli estremi che differiscono in valore e/o in segno, va di regola usata per la sezione critica un’eccentricità equivalente ee, invece di e0. L’eccentricità equivalente ee può essere assunta come il maggiore dei seguenti valori: ee = 0,6 e02 + 0, 4 e01 ee = 0,4 e02 , dove, e01 ed e02 indicano le eccentricità del primo ordine ai due estremi; e e02 e01 [figura 15.13 b) e c)] 15.4.7.3 Metodo della colonna modello a) Scopo e definizione (1) Il metodo di calcolo descritto nel seguito si riferisce a elementi con < 140, di sezione rettangolare o circolare e per i quali l’eccentricità del primo ordine soddisfi la condizione e0 0, 1 h (h = altezza della sezione misurata nel piano di flessione). Per altre forme di sezione e per eccentricità e0 < 0, 1 h , possono essere usate altre approssimazioni appropriate. (2) Una “colonna modello” è una mensola che risulta: incastrata alla base e libera in sommità (figura 15.14); inflessa con semplice curvatura sotto forze e momenti che producono i massimi momenti alla base. La massima inflessione di una tale colonna, pari all’eccentricità del secondo ordine e2, può essere assunta pari a: l2 e2 = K1 0 (1/ r) = 0,1 K 1 l02 , 10 dove: l0 è la lunghezza libera d’inflessione della colonna; 1 / r = è la curvatura definita in (3); per 15 35 , K1 = / 20 0,75 K1 = 1 per > 35. 800 Documento #: Doc_b11.doc (3) La stabilità è analizzata in funzione della curvatura 1/r nella sezione critica alla base. Tale curvatura è ricavata dall’equilibrio tra le forze interne e quelle esterne. Inserire figura: ILLUSTRAZIONI\ARTS Tiff(cap 15)\Figura 15_14.tif Figura 15.14 – Colonna modello (simbologia). b) Trasformazione dell’analisi del secondo ordine in una verifica di sezione (5) Nei casi in cui non sia richiesta grande accuratezza, la curvatura 1/r può essere assunta come: 2 K 2 yd ; 1/r = = 0,9 h dove: yd è la deformazione allo snervamento di calcolo dell’armatura di acciaio pari a fyd / Ef ; h è l’altezza utile della sezione nella direzione di collasso prevista. (6) Il coefficiente K2 tiene conto della riduzione della curvatura 1/r per forze assiali crescenti ed è definito da: N N Sd K 2 = ud N ud N bal dove: Nud è la resistenza ultima di calcolo della sezione soggetta a carico assiale puro. Può essere assunta pari a fcd Ac + f yd AS ; NSd è la forza assiale effettiva di calcolo; Nbal è il carico assiale che, applicato ad una sezione, ne rende massimo il momento resistente 801 Documento #: Doc_b11.doc ultimo. Per sezioni rettangolari armate simmetricamente può essere assunto pari a 0, 4 fcd Ac . È sempre consigliabile assumere K2 = 1. 15.4.7.4 Elementi compressi con eccentricità biassiali (1) Per elementi di sezione rettangolare sono consentite verifiche separate nei due piani principali y e z (vedere figura 15.15) se i rapporti delle corrispondenti eccentricità ey/b e ez/h soddisfano una delle seguenti condizioni: ez / h 0, 2 ; ey / b ey / b ez / h 0, 2 ; (cioè se, per esempio, il punto di applicazione di NSd si trova nell’area tratteggiata in figura 15.15). Le eccentricità ey e ez sono eccentricità del primo ordine nelle direzioni delle dimensioni b ed h rispettivamente. Esse non richiedono di considerare l’eccentricità ea. Se le condizioni sopra stabilite non sono soddisfatte è richiesta un’analisi accurata. (2) Per le due verifiche separate vale quanto contenuto nel paragrafo 15.4.4.5 (altezze libere e limiti di snellezza); i punti 15.4.6.3 e 15.4.7.1 – 15.4.7.3 si applicano analogamente dove i limiti di snellezza dati nel paragrafo 15.4.4 sono superati. Tuttavia le imperfezioni geometriche definite nel paragrafo 15.4.5 vanno di regola considerate nei due piani. Inserire figura: ILLUSTRAZIONI\ARTS Tiff(cap 15)\Figura 15_15.tif Figura 15.15 – Ipotesi assunte per verifiche separate nei due piani principali. (3) Dove ez > 0,2 h (vedere figura 15.16), sono ammesse verifiche separate solo se la verifica a flessione secondo l’asse minore della sezione trasversale (z nella figura 15.15) è basata sull’altezza ridotta hrid come indicato in figura 15.16. Il valore hrid può essere determinato assumendo una distribuzione lineare delle tensioni, per esempio: N Sd N Sd (ez + eaz ) =0; Zc Ac 802 Documento #: Doc_b11.doc dove: NSd è la forza assiale, negativa se di compressione; Zc è il modulo di resistenza della sezione di calcestruzzo; eaz è l’eccentricità aggiuntiva in direzione z. (4) Se il criterio dato in (1) non è soddisfatto, è necessaria un’analisi accurata. 15.4.8 Instabilità laterale di travi snelle (1) Se la sicurezza di una trave nei riguardi dell’instabilità laterale è incerta, è necessario effettuare la verifica con un metodo appropriato. (2) La sicurezza nei riguardi dell’instabilità laterale di travi di calcestruzzo armato normale e precompresso si può ritenere adeguata se sono soddisfatti i requisiti delle disequazioni di seguito riportate: lot < 50 b ; h < 2, 5 b ; dove: lot è la lunghezza dell’ala compressa misurata tra due appoggi laterali; b è la larghezza dell’ala compressa; h è l’altezza totale della trave. In caso contrario si dovrà effettuare un’analisi più dettagliata. Inserire figura: ILLUSTRAZIONI\ARTS Tiff(cap 15)\Figura 15_16.tif Figura 15.16 – Verifica separata nella direzione y se ez > 0,2 h 803