...

Un perfetto equilibrio instabile

by user

on
Category: Documents
11

views

Report

Comments

Transcript

Un perfetto equilibrio instabile
Un perfetto
equilibrio
instabile
Donatella Vitale
Scuola di Formazione Insegnanti di Biodanza sistema Rolando Toro Napoli
Direttore Flavio Boffetti
Giugno 2011
Un perfetto Equilibrio Instabile
Un po’ di citazioni. Mi piacevano, mi hanno accompagnato per anni, mi hanno fatto sorridere e
riflettere, e continuano a essere vive.
“Sii acqua”
Bruce Lee
“Ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà così difficile che incontri qualcuno al quale tu
possa andare bene come sei. Quindi, vivi come credi, fai quello che ti dice il cuore. La vita è un'opera
di teatro che non ha prove iniziali. Canta, ridi, balla, ama. Vivi intensamente ogni momento della tua
vita, prima che cali il sipario e l'opera finisca senza applausi!”
Charles Chaplin
"L'uomo è costituito da due parti: la mente ed il corpo, ma è il corpo quello che si diverte di più.”
Woody Allen
“Abbiamo conquistato il cielo come gli uccelli e il mare come i pesci, ma dobbiamo imparare di nuovo
il semplice gesto di camminare sulla terra come fratelli.”
Martin Luther King
“Non fare agli altri quello che vorresti fosse fatto a te, i loro gusti potrebbero essere diversi.”
George Bernard Shaw
“Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell’Occidente, è che perdono la salute per fare i soldi e
poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il
presente in tale maniera che non riescono a vivere né il presente né il futuro. Vivono come se non
dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto.”
Dalai Lama
13 gennaio 2011
Gli inizi dell’anno per me sono una… sorpresa!
Il 10 gennaio del 2006 ho partecipato alla mia prima sessione di biodanza; oggi, 13 gennaio 2011,
forse, ho trovato la “mia” monografia definitiva. Negli ultimi due anni si sono susseguiti diversi temi:
“identità e affettività”, “biodanza come percorso sciamanico”, “la vita al centro”, ed ogni volta ne
scrivevo l’introduzione, prendevo appunti qua e là, ma nulla di più. Ogni volta era come se il cammino
che stavo facendo mi portasse ad un nuovo livello che abbracciava, completava e conteneva il
precedente. Poi, quelle due parole qua e là, che ogni tanto qualcuno pronunciava e mi continuavano a
risuonare in testa “incontro epifanico”. Ho chiesto in giro di che si trattasse, ma in realtà non mi ci sono
mai soffermata molto… e intanto, di tanto in tanto, mi continuavano ad apparire all’improvviso. Come
con il mio incontro con la biodanza, nel 2004, in un pomeriggio di tarda estate, in un paesino della
Toscana, dove ho “assistito” (eh sì, sono una delle poche ad aver guardato da fuori una sessione di
biodanza, senza partecipare) ad una presentazione della biodanza. C’era Claudia Cardelli con il suo
gruppo. Sono rimasta incantata, affascinata, mi sono innamorata della biodanza. Ma, per cominciare,
ho aspettato più di un anno, fino a quel fatidico gennaio del 2006. Ed eccomi ora, fra una settimana,
sarò io con Cristina, col “nostro” gruppo, a fare una presentazione in una “Fiera del Benessere”.
Ecco, da quel primo incontro con l’”incontro epifanico” è passato più di un anno, durante il quale ci ho
ripensato, ci sono tornata, fino alla settimana scorsa, Epifania, sessione col nostro gruppo e col gruppo
di Napoli di Cristina, l’incontro Cilento-Napoli, ci stavamo pensando da un po’. Quindi era arrivato il
momento “urgente” di scoprire cose fosse questo incontro epifanico. E mi torna in mente una frase che
ho sentito dire più volte da Rolando in quei due soli stage in cui l’ho incontrato: “…e andiamo a fare
degli incontri…. (lunga pausa)… anzi, un incontro, mi piace approfondire!”.
Mi sono “imbattuta” in un articolo sul sito di Biodanza Italia su Lèvinas e l’Etica del Tu…. Una specie
di illuminazione! Da qua questa monografia, che spero sia la definitiva. In un certo senso è stato un po’
come girare, partire da un punto, aprirmi a spirale e tornare a quello stesso punto portando con me tutto
quello che avevo raccolto lungo il percorso.
“L’altro è più importante di me”, ma….. io sono l’altro per l’altro!
P.S. questa monografia aveva un indice e dei capitoli con relativi titoli. Non ci sono più. So che,
quando si ha a che fare con un libro divulgativo, questo è un po’ scomodo, a me è capitato di andare a
cercare qualcosa in un libro e, senza titoli di capitoli, la ricerca è difficile, ma…non c’è soluzione di
continuità!
1.
Un attimo di smarrimento, a pensare di parlare di io e di identità, senza parlare dell’altro. In questo
periodo sto conducendo gruppi per gli OSS (Operatori Socio Sanitari) e continuo a parlare dell’Io in
relazione all’Altro, dell’essere nelle professioni di aiuto. Isolare questo Io, questa identità nuda e cruda,
questo solipsismo, come direbbe Rolando Toro, mi risulta ostico. Mi viene in mente una frase che ho
sentito ogni tanto da piccola, da mia madre, “Io è il figlio di un somaro”. Non ricordo il contesto, non
ricordo quando, come e a chi fosse rivolta, se a me o a mia sorella, o se addirittura parlasse di qualcun
altro, ma così, ora, mi viene da pensare, estrapolandola, che viviamo in una società che blocca lo
sviluppo naturale della formazione dell’identità del bambino e ci ritroviamo adulti con un Io tutt’altro
che adulto!... Ma questa è una considerazione estemporanea.
Ultimamente mi capita spesso di citare Eugenio Pintore alla sua presentazione al I Forum di Biodanza
Sociale e Clinica: “Quando Rolando parlava della biodanza in luoghi in cui non si era mai parlato di
biodanza, cominciava normalmente con due esempi. Il primo era quello legato alla sua esperienza
nell’ospedale psichiatrico a Santiago quando faceva esperienze di applicazioni dell’arte in ambito di
supporto psichiatrico. Il secondo era quasi sempre un racconto sui disastri della civiltà del ‘900;
Rolando cominciava sempre il racconto dicendo “siamo una civiltà che nell’ultima guerra mondiale ha
provocato morti, disastri, violenze”, e continuava con questa storia politica, sociale, per dire che siamo
arrivati ad una civiltà malata. Mai ha cominciato Rolando parlando del singolo soggetto che deve
svilupparsi, realizzarsi, anche se poi faremo quello.”
Ma chi è questo singolo soggetto che deve svilupparsi, realizzarsi, e qual è il nesso fra questo Io, le
guerre, la civiltà malata…
Heidegger dà una formulazione del principio di Identità secondo cui A è A. Detta così, sembra ovvio!!!
Certo che A è A, certo che Io sono Io, non sono qualcun altro! Ma. Io sono io, l’attimo eterno al di
fuori del tempo e dello spazio, immutabile, e sono io momento per momento, mai uguale al prima e al
dopo, immersa nel tempo, in continua trasformazione, ma sempre la stessa nella mia essenza. La mia
essenza, il Sé, la ghianda, il daimon. Il processo di individuazione. Trovare la propria vita nella vita,
creare un flusso, una pulsazione continua fra il proprio mondo interiore e il mondo esterno, stare in
contatto. Ascoltare il nostro Sé interiore, manifestarlo fuori e danzarlo. Trovare l’autenticità. “Si tratta
di un processo nel corso del quale si devono spesso ricercare soluzioni a problemi che sono ignoti a
qualsiasi altro soggetto… E’ inutile spiare furtivamente gli altri, per individuare il modo in cui si
sviluppano le varie personalità, perché ciascuno si trova davanti un compito di auto realizzazione che
presenta caratteri di unicità. Se molti problemi umani sono simili, non sono mai identici. Tutti i pini si
assomigliano (altrimenti non li potremmo definire pini), ma nessuno è esattamente simile a un altro.
Proprio per l’incidenza di questi fattori di similitudine e differenza, è difficile schematizzare le infinite
possibilità di variazione…. Il fatto è che ciascuno di noi deve fare qualcosa di diverso, qualche cosa di
assolutamente “suo”.” ( Marie-Luise von Franz)
Cerchiamo il nostro gesto unico, sentito, il nostro gesto pieno di significato, la nostra espressione in
contatto con la nostra emozione. Non è possibile parlare di identità senza parlare di autenticità. In
questo processo di individuazione, che comincia dalla nascita e prosegue per buona parte della vita, che
parte dal distacco, dallo scoprire i propri confini corporei dove prima c’era solo il tutto, da una
lacerazione che cercheremo per tutta la vita di lenire, l’unica possibilità di non soffrire è la ricerca
dell’autenticità, del cosa vogliamo, del dove siamo, del cosa sentiamo, non quello che l’esterno vuole
da noi.
Sempre secondo Heidegger, nella parola "autentico" è racchiusa una radice greca che significa "se
stesso"; una cosa, pertanto, sarà autentica quando è se stessa, quando è propria fino in fondo.
L’esistenza è autentica quando l'esser-ci, soggetto dell'esistenza, compie scelte vere, appunto
"autentiche", quando nelle scelte mette in gioco se stesso. L'uomo infatti, nel suo relazionarsi col
mondo, potrà assumere atteggiamenti che lo portino a rinunciare all'autenticità, rinunciando in questo
modo all'esistenza, attraversando una vita in cui l'unica vera scelta che compie è quella di non
scegliere, cioè di lasciarsi vivere passivamente: e questa esistenza non è vera, è inautentica. L'esistenza
inautentica, precisa Heidegger, è caratterizzata dal "si” riflessivo (si fa, si pensa, si crede, ecc),
imperante nell'età della massificazione, atteggiamento caratteristico di un'esistenza non propria. Questo
atteggiamento nasce nel momento in cui l'uomo rinuncia alle proprie scelte per comportarsi nel modo
in cui lo spinge a comportarsi il "si", cioè la collettività: e in ciò egli diventa una "cosa", viene
passivamente trascinato dalla corrente e si trova di fronte alla scelta conformistica. Quando l'esistenza
umana è inautentica, perché dominata dal "si", l'uomo non parla più né è indotto ad aspirare alla
conoscenza: il parlare cede il passo alla "chiacchiera" e la conoscenza viene sostituita dalla "curiosità".
Nel momento in cui cedo al "si", non parlo più di cose che coscientemente sento mie e di cui voglio
parlare con gli altri, ma "chiacchiero" avvalendomi di modi di pensare comune e tendo a parlare delle
cose di cui tutti parlano nel modo in cui tutti ne chiacchierano. (Questa cosa mi fa venire in mente la
parola all’interno del relato di vivencia, quando si dice di dare voce alla parola sentita, di non attivare
diatribe e “botte e risposte”, “secondo me vuol dire questo…” e interpretazioni) E Heidegger nota una
cosa piuttosto interessante: non si può sfuggire al "si" nemmeno facendo gli anticonformisti perché, in
definitiva, anche l'anti-conformismo è un conformismo. Nel momento in cui regna il conformismo,
infatti, tutti cercano disperatamente di sottrarsi ad esso e perciò si rifugiano nell'anti-conformismo che,
diventando meta di tutti, è ancora sotto il controllo del "si": trasgredendo la norma non si esce dai
ranghi del "si", perché non si compie una libera scelta personale, ma si trasgredisce come "si"
trasgredisce, cioè nello stesso modo in cui lo fanno anche gli altri. Il risultato di questa situazione è la
“deiezione”, cioè la trasformazione dell'uomo in cosa come tutte le altre: egli perde la sua libertà di
scelta e tradisce l'esistenza autentica.
Libertà di scelta. Ma per avere libertà di scelta, occorrono gli strumenti, necessita che qualcuno ti abbia
dato una qualche possibilità per vedere che è possibile. Occorre che senti la tua voce interiore.
“Cosa è la Coscienza? E’ la capacità di rendersi conto di se stesso e della realtà ordinaria. La coscienza
della realtà è vincolata all’Identità: chi sono io. Nessuno ha la stessa Identità dell’altro, è ciò che fa la
differenza e ci rende unici” (Rolando Toro)
Biodanza è una possibilità, una possibilità di sentire la nostra voce interiore e danzarla, di darle corpo,
materia, movimento, emozione, di renderla viva e vivente, una possibilità di contattare qualcosa che a
volte si agita dentro e non ha un volto e un nome, è indefinito, e dargli forma, colore, voce.
Trasformare la possibilità, i potenziali, come diciamo in biodanza, in vita vissuta, in vivencia. E’ dare
la possibilità, a chi pensava, o a chi avevano fatto pensare, di non avere la capacità di creare, di sentire
che può creare la propria vita, il proprio gesto, il proprio posto; la possibilità, a chi pensava di non
essere capace di creare relazioni, di sapere donare una carezza, un abbraccio e di potersi sentire accolto
in esso; la possibilità, a chi credeva che non esisteva nulla al di fuori di quello che è materia e si “fa”
quotidianamente, di vedere che la materia e il fare contiene il mondo e gli altri esseri viventi; la
possibilità, a chi pensava che non ci fosse bellezza e vita, di contattare “la sensazione intensa e
commovente di essere vivo, che costituirebbe l’esperienza primordiale dell’identità”. La possibilità,
creare ecofattori positivi per favorire la “fioritura”, che non è solo una parola poetica che usiamo noi,
ma che ritroviamo in ambito economico, di diritti umani; viene utilizzata da Amartya Sen e da Martha
Nussbaum quando parlano di creazione delle condizioni adatte al pieno sviluppo delle capacità umane.
Sviluppo delle capacità umane, vale a dire sviluppo dei potenziali genetici. Penso sia capitato a tutti di
incontrare qualcuno sofferente e ingabbiato in una falsa identità che gli era stata incollata addosso e
intuirne le potenzialità; di aver pensato “trova come uscirne, così ne muori!”. Non è un’esagerazione, i
potenziali, la nostra identità è nel corpo!
“Osservando al microscopio i movimenti di organismi unicellulari vivi come i bioni o le amebe,
Wilhelm Reich ha scoperto delle leggi che, secondo lui, regolano i processi vitali pulsatori all'interno di
questi organismi unicellulari e nelle relazioni tra di loro. W. Reich ha chiamato questi unicellulari "biosistemi". Un "bio-sistema" consiste in un nucleo energetico pulsante al centro, il plasma, e in una
membrana che lo contiene. L'energia pulsa all'interno della membrana e un campo energetico si estende
intorno a essa. Se l'ambiente è stimolante, l'ameba si espande con un movimento fluido, cioè l'energia
fluisce verso la periferia e il campo di energia si allarga. Se invece la stimolazione da parte
dell'ambiente è ostile, l'ameba si contrae, cioè la sua energia fluisce dalla periferia verso il centro, e
così anche il campo di energia si ritrae. Se la stimolazione da parte dell'ambiente continua ad essere
negativa, la pulsazione cessa e l'ameba muore.
Per W. Reich, metaforicamente, è come se, nel caso di un ambiente stimolante, l'ameba dicesse "sì" con
il movimento di espansione verso l'esterno; mentre invece con quello di contrazione dicesse "no".”
(Centro Studi Eva Reich)
2.
In biodanza, la vivencia di identità, di riconoscimento della nostra unicità, del piacere di sentirci noi
stessi, nasce dalla sensazione vibrante di sentirci vivi, di sentire il nostro corpo come fonte di piacere e
non di sofferenza, di intasi e di estasi. Ma la vivencia della nostra identità è anche nell’incontro con
l’altro. La vivencia, questo essere totalmente nel corpo, nell’emozione, nell’istante. Questo contatto
immediato, fulminante, assoluto, per cui “sei” e “sai” all’istante quello che biologia, fisiologia,
filosofia, psicologia hanno impiegato decenni per sapere, e ancora non sanno completamente. “La
coscienza è stata un’idea astratta prima di diventare una registrazione bioelettrica che indica i livelli di
coscienza. Il Mitsein (“essere con”) dei fenomenologi è oggi specificato dagli studi biologici che
dimostrano come un individuo non possa sopravvivere se non scambia informazioni con l’ambiente che
lo circonda…” (Boris Cyrulnik)
E riprendendo ancora Reich nei suoi studi sugli esseri unicellulari: “L'ameba cerca l'incontro piacevole
con altre amebe mediante un movimento ondulatorio e fa "contatto" con loro attraverso un "ponte di
energia". Il processo di "contatto" avviene quando due campi di energia di due bio-sistemi pulsanti si
attraggono, si toccano, si sovrappongono e si compenetrano, emanando luce e vibrando insieme.
W. Reich ne deduce che il movimento della "bioenergia" nel plasma dell'ameba sia funzionalmente
identico al movimento del plasma in tutti gli esseri viventi (biosistemi più complessi) e che l'emozione
(espansione = "sì"; contrazione = "no") sia un reale movimento energetico-espressivo del plasma. Egli
chiama questo movimento "linguaggio espressivo del vivente".
Ho provato a parlare dell’io e dell’identità senza soffermarmi sull’altro, ma qua e là compaiono
continui riferimenti all’ambiente, all’altro, come se questa identità, da sola, come se quest’essere, da
solo, non esistesse. Come ha detto Rolando Toro, “E’ attraverso l’interazione con le altre persone che
si produce il processo d’espansione e di crescita. Secondo il nostro approccio, non esiste un’evoluzione
isolata.”
L’integrazione, l'individuo integrato in se stesso, con l'altro e con il mondo che lo circonda; non esiste
l'essere, esiste l'essere nel mondo e l'essere con il mondo. La strutturazione progressiva dell’identità,
nel bambino, la coscienza di sé come essere differenziato dalla madre si costruisce poco a poco. E
continueremo per tutta la vita a confrontare, confermare e plasmare la nostra identità nell’incontro con
l’altro. Secondo Buber "In principio è la relazione", l’uomo non è una sostanza, ma una fitta trama di
rapporti e di relazioni, l’Io autentico si costituisce unicamente rapportandosi con le altre persone, giacché
l’Io “si fa Io solo nel Tu”; la vita non è soggettività, ma intersoggettività, soggetto e intersoggettività sono
sincronicamente complementari. Né l'Io, né il Tu vivono separatamente, ma essi esistono nel contesto
Io-Tu, antecedente la sfera dell'Io e la sfera del Tu.
Sempre Buber differenzia un rapporto Io-Tu ed uno Io-Esso, secondo cui l’Io-Esso è la dimensione del
possesso e dell’avere, mentre l’Io –Tu è la profonda ed intima dimensione del dialogo e dell’essere: Io-Tu
corrisponde all’essere, Io-Esso all’avere. Questa differenziazione fra l’Io-Tu essere e l’Io-Esso possesso
mi fa tornare in mente una consegna di una danza di pulsazione: “…danza con reciprocità partendo dalla
nostra natura a volte possessiva, invitando a lasciare andare la nostra possessività per la reciprocità;
questo è valido in un rapporto di coppia, ma anche nelle amicizie, si sente molto; quando amiamo
tendiamo ad essere possessivi, e a volte la possessività rischia il soffocamento dell’altro. L’invito è ad
una danza con reciprocità, nella quale andremo a prendere e lasciare andare l’altro, in pulsazione.” Ma
questo invito alla reciprocità, al non condurre l’altro, al non imporre la propria danza all’altro, torna in
biodanza in tutte le danze a due, dalla sincronizzazione ritmica alla sincronizzazione melodica, alle
danze creative, alle fluidità, questo invito a stare in feedback, a questo dialogo continuo fra il dove sono
io e il dove sei tu.
Sempre secondo Buber, sovente Io-Tu fa posto all'Io-esso (Io-Tu o Io-esso non dipendono dalla natura
dell'oggetto, ma dal rapporto che il soggetto istituisce con l'oggetto). L'essere umano non può
trasfigurarsi ed accedere a una dimensione di vita autentica senza entrare nella relazione Io-Tu,
confermando così l'alterità dell'altro, che comporta un impegno totale: “La prima parola Io-Tu non può
essere detta se non dall'essere tutto intero, invece la parola Io-esso non può mai essere detta con tutto
l'essere”. Una relazione richiede che l'uno non cerchi di condizionare l'altro né di utilizzarlo, esige
un'apertura totale dell'Io, esponendosi quindi anche al rischio del rifiuto. Una relazione autentica e
paritaria si radica nel dialogo, mentre il rapporto strumentale si realizza nel monologo, che trasforma il
mondo e l'essere umano stesso in oggetto. Nel piano del monologo l'altro è utilizzato, diversamente dal
piano del dialogo, dove è incontrato, riconosciuto e nominato come essere singolare. Nel monologo
abbiamo una esperienza “superficiale” degli attributi esteriori dell'altro o una esperienza interiore
insignificante, mentre nel dialogo c’è la relazione autentica che interviene tra due esseri umani. Si
differenzia in questo modo una relazione di potere e una relazione d’amore.
"L’autentico dialogo e quindi ogni reale compimento della relazione interumana significa accettazione
dell’alterità. […] L’umanità e il genere umano divengono in incontri autentici". Martin Buber
Danze a due che partano dall’autenticità e incontro che parta dall’autenticità. Biodanza come poetica
dell’incontro umano.
“L’identità si manifesta a partire dall’incontro con l’altro, cioè dallo scambio, dal confronto,
dall’arricchimento reciproco. Potremmo paradossalmente affermare che proprio quando ci mettiamo in
gioco nell’incontro umano, rischiando di perdere alcune delle nostre certezze, maggiormente
rafforziamo la nostra identità. Poiché un’identità sana per la biodanza non si fonda sull’ego (volizione)
ma sul sé (essenza e sua espressione).”
L’identità si manifesta solo attraverso l’altro, superando la divisione fra medesimezza e alterità. Entrare
in relazione con l'altro innegabilmente vuol dire entrare in contatto con un'altra identità, cioè con
qualcuno che è "diverso" da me. E attraverso questo gesto, oltre a sviluppare maggiore coscienza della
mia identità, io posso diventare più ricco dell'alterità riconosciuta.
L’anno scorso avevo presentato in una scuola un progetto, rivolto ad insegnanti, alunni e genitori, sul
mettere la vita al centro. Parlavo di educazione biocentrica per intervenire contro il bullismo, e della
necessità di ritrovare la propria autenticità, la propria unicità, la propria identità e non l’identificazione
che porta a creare gruppi chiusi, bande “l’un contro l’altri armati”. Perché a volte si cerca di annullare
la diversità che ci rende tutti così meravigliosamente unici, si tende a creare universi omologati,
comunità di simili dove il singolo si deve identificare con il gruppo. Così l'alterità e la diversità
vengono attribuite non a ciascun individuo in quanto essere differente da un altro, ma solo ad alcuni
che presentano particolari caratteristiche che li rendono dissimili rispetto all'omologazione del gruppo.
La diversità è spesso vista come minaccia e la presenza del “diverso” frequentemente genera sentimenti
di paura, ansia, sospetto. Invece di percepire la differenza come un valore, una risorsa, come scoperta e
affermazione della propria identità, a volte è il pregiudizio, sono le opinioni, che muovono le nostre
azioni e condizionano le nostre relazioni sociali, ostacolando le opportunità di contatto, incontro,
esplorazione, scoperta, che sono i fondamenti del rapporto con l'altro.
"La nostra ricchezza collettiva”, ha scritto Albert Jacquard, “è data dalla nostra diversità. L'altro, come
individuo o come gruppo, è prezioso nella misura in cui è dissimile.”
Uguali e diversi, identità e alterità, riconoscere se stesso nell’altro e riconoscerlo allo stesso tempo
diverso….. L’identità è permeabile alla musica e all’altro. L’incontro fra la nostra identità e l’identità
altra avviene nell’”incontro”.
Ricordo ancora lo stage alla scuola sull’affettività. All’inizio, quando Creusa de Silveira fece un giro di
domanda su cosa fosse secondo noi l’affettività, risposi “è mettere fuori quello che siamo dentro”.
Intendevo, andare nell’incontro con l’altro semplicemente mostrandoci per come siamo. Nell’incontro
con l’altro, noi andiamo, nudi e vulnerabili, ma forti proprio di questo, con le nostre emozioni, i nostri
trasporti, i nostri timori, i nostri slanci, le nostre timidezze, il nostro desiderio. Andiamo riconoscendo
nell’altro la sua diversità e la sua vulnerabilità, i suoi slanci e i suoi timori, le emozioni sue proprie, ma
andiamo anche riconoscendo il suo cuore che batte forse un po’ più veloce o un po’ più lento del
nostro, ma che pulsa comunque allo stesso modo. Tum tum, una richiesta e una risposta, tum tum, una
richiesta una risposta. Un dialogo di pulsazioni e di feedback. “Io sono questo, tu chi sei?” Braccia che
si protendono con slancio o si allungano pian piano, mani che si stringono o si sfiorano, occhi che si
spalancano o si socchiudono, corpi che si ritrovano con sensibilità e con passione. A partire dal
contattare quello che realmente sentiamo, andiamo incontro alla diversità, facendo delle azioni chiare,
scegliendo verso chi vogliamo andare, entrando nel feedback della relazione a due che permette
l’incontro; e ogni incontro è diverso dall’altro, perché ognuno è diverso, è unico e, nel qui ed ora, nello
scorrere della mutevolezza dell’io, diverso anche da com’era in un altro momento. A partire da uno
sguardo: scegliersi con lo sguardo, incontrarsi nello sguardo, quello sguardo che conferma la presenza,
l’identità, l’altro. Con abbandono e presenza allo stesso tempo, con amore.
Difficile per me separare identità e affettività, l’identità richiede un’alterità per riconoscersi, un’alterità
richiede l’affettività per essere riconosciuta.
Ma l’affettività parte dall’affettività per noi stessi, dalla cura per noi stessi, è noi stessi per primi che
non ascoltiamo, sono i nostri desideri che non sentiamo e, se non sentiamo e abbiamo cura di noi stessi,
è difficile sentire e prendersi cura dell'altro, perché non sappiamo neanche come fare. L’altro è un
desiderio altro; riconoscere l’altro come diverso da me è riconoscere che ha desideri diversi dai miei;
dire “no” è differenziare i miei desideri dai tuoi, differenziare i tuoi desideri dai miei. E’ differenziare
la mia identità dalla tua. Ma è un atto d’amore. E’ a partire dalla chiarezza del no, dal porre ciascuno i
propri limiti, che nasce l’autenticità del sì. Se non so che, quando non vuoi, mi dici no, non so se,
quando mi dici sì, mi stai veramente dicendo sì. Se non do all’altro l’opportunità di sapere cosa mi fa
star bene e cosa mi fa star male, e viceversa, non possiamo creare un rapporto autentico. Con il
linguaggio affettivo, con il linguaggio dell’emozione, aprendo il cuore per lasciare entrare, altrimenti
ognuno si mette sulle difensive, ognuno si trincera sulle proprie posizioni, si cristallizza tutto, non
fluisce nulla e nulla si crea.
Dalla separazione nasce la capacità dell’opposizione, dal riconoscere e l’accogliere nasce l’intimità e
l’armonia, dall’opposizione armonica nasce l’incontro.
“L'affettività non è necessariamente qualcosa di inespressivo, non è necessariamente molle, l'affettività
può essere intensa, presenza intensa, con desiderio intenso, con fuoco modulato.” Era per
un’opposizione armonica, ma è un passaggio, nella vita, oserei dire inevitabile, fra due identità che si
incontrano e riconoscono. E’ tutto una pulsazione continua. Non possiamo andare insieme, non
possiamo creare insieme, se prima non sappiamo ognuno di noi dov’è, chi è, quali sono i nostri
desideri. Nell’emozione del corpo, nella pulsazione del cuore, nella sensibilità della pelle. Nell’ascolto.
Dentro e fuori.
In ogni danza a due, dalla camminata alla più espressiva, conta sempre quello che si va a creare; non
sono io che danzo la mia danza e tu che danzi la tua, ma è la “nostra” danza che creiamo nel dialogo fra
noi due. Quando vado a sommare 1+1 è un po' più di 2; la somma delle parti è più grande della totalità;
quando sono con un’altra persona, noi non siamo 2, siamo 3: io, te e noi; io, te e la relazione, è creare
una nuova realtà che è in noi. Sono io, io non sparisco, sei tu, tu non sparisci, ma appare il noi, siamo
noi. Ognuno offre la possibilità a questo momento di lasciare apparire la relazione: sto con te, tu stai
con me e creiamo insieme.
Ed è in questa relazione, che parte da un atteggiamento emotivo che mi consente di lasciarmi
modificare dal mondo di un’altra persona, che coniugo l’identità con l’affettività.
Le modiche che avvengono nell’incontro con un’altra persona non sono solo emotive, o meglio sono
emotive ma intrinsecamente correlate ad una modifica fisiologica: cambia il tono muscolare, cambia la
dilatazione della pupilla, cambia la temperatura corporea, cambiano i livelli di ossitocina. “La biodanza
dice: io sono in te, tu sei in me, sono qui per soddisfare le tue aspettative e tu le mie, se ci incontriamo è
bellissimo, se non ci incontriamo, una tragedia.... I risultati di ricerche hanno dimostrato che siamo tutti
connessi in una rete di messaggi che vanno e vengono”
Una mattina presto, cominciava ad albeggiare, ero in dormiveglia ed ho avuto una strana “visione”: ho
visto il modello teorico di biodanza come un uomo, i piedi affondati nella terra, nella filogenesi, nelle
origini della vita; la spirale delle linee di vivencia che gli facevano da colonna vertebrale e la loro
integrazione, la grazia, che gli fioriva dalla sommità della testa come un fiore che si apriva proteso
verso la luce della vita cosmica; le braccia che si aprivano e chiudevano come in un respiro danzante,
pulsando al ritmo del cuore fra identità e regressione. E ho sentito le parole di Rolando “I nostri piedi e
il nostro cuore sono ritmici. Le nostre mani sono melodiche, così come il nostro collo e il nostro
sorriso. Ma, l’armonia dobbiamo cercarla nel fondo degli occhi, nell’incontro di sguardi, dove si
stabilisce il circuito iniziale, il circuito di vita.”
3.
L’armonia nell’incontro di sguardi, incontrarsi nello sguardo. Ogni invito a danzare insieme nasce da
uno sguardo, con cui ti scelgo; ogni incontro nasce con uno sguardo, con cui ti riconosco e ti
riconfermo, riconoscimento reciproco e accettazione incondizionata. Sguardo in cui mi abbandono. Ed
è da questo abbandonarci, da questo accogliere, da questo confermare che nasce la vincolazione
affettiva. Nasce la comunicazione da cuore a cuore, nasce l’incontro epifanico. Ognuno si rivela
all’altro nella sua nudità, nel suo assoluto infinito. Epifania, dal greco ἐπιφάνεια, epifaneia,
manifestazione, apparizione; phàinein, manifestarsi, letteralmente significa manifestazione della
divinità in forma sensibile. Ed è proprio questo, il manifestarsi dell’altro e all’altro, ognuno nella
propria divinità, ognuno nella propria luce. La divinità e la luce di ognuno, che Rolando Toro ha spesso
ricordato: “Molte persone non sanno che portano dentro la divinità… La nostra luce esiste per vedere
gli altri nella loro essenza…” L’epifania, come superamento dell’empatia. Nell’empatia ci può essere
un aspetto di asimmetria: mi metto al posto dell’altro, percepisco quello che lui sente (senza mettermi
al suo posto, né agire al suo posto), cerco di capire le cose dal suo punto di vista, per incontrarlo, per
raggiungerlo dove lui è, avvicinandoci. Nell’epifania ci incontriamo nell’essenza, nella nostra luce e da
quella irradiamo. E’ il miracolo che a volte succede negli incontri, quando qualcosa si scioglie e dilaga
fra il cuore e lo sguardo e non esiste nient’altro. “L’esperienza di legame intimo con il prossimo è una
esperienza culminante che si prova poche volte nella vita. Provarla anche una sola volta permette di
cambiare il proprio atteggiamento di fronte a sé e agli altri. Sapere con certezza che non siamo isolati,
che partecipiamo al movimento unificante del cosmo, è una esperienza sufficiente per spostare la nostra
scala di valori. Ma questo sapere con certezza non è intellettuale, è commovente e trascendente”.
E’ commovente e trascendente, ma è anche corporeo; è commoventemente e trascendentemente nel
corpo. Mi piace la biodanza, questo rimettere tutto insieme, questo integrare continuamente le varie
funzioni. Questo richiamarci continuamente all’abitare il nostro corpo. Questo sapere con certezza nel
corpo e poi andare a confrontarci fuori. Andare a scoprire, nelle neuroscienze, che l’amigdala, la
sentinella delle emozioni del nostro cervello, ha una sua via privilegiata con l’occhio e l’orecchio, che
bypassa il neocortex, per cui gli input sensoriali, prima di essere elaborati dal cervello razionale,
producono una reazione emotiva potente e primitiva. Dallo sguardo, dagli occhi, direttamente al cuore.
Come a dire, questo miracolo che a volte avviene, avviene perché c’è già, è dentro di noi, è dentro il
nostro corpo, dobbiamo solo dargli ascolto. Quest’attimo eterno è la connessione con la vita, che non è
solo la nostra vita, ma è la vita assoluta, dentro e fuori di noi, dentro di me e dentro l’altro che vado a
incontrare; siamo parti della vita.
L’attimo eterno, la luce, il calore; la danza dell’angelo dell’amore, in cui mi connetto con la luce
dell’altro, con l’aspetto luminoso. L’amore si nutre dell’amore; non posso amare da solo, dobbiamo
amarci insieme, altrimenti è altro. Luce, che in quanto tale, è infinita. “M’illumino d’immenso” e…
T’illumino d’immenso. Illuminazione: ne aveva già parlato Jung. Illuminazione, come dice Rolando
Toro, che non ha la finalità di sentirsi illuminati, ma è illuminare gli altri, vederli nell’ombra e dare
luce.
Quest’immenso, quest’infinito mi riporta a Lévinas, quando parla dell’Altro come dimensione infinita,
trascendente, grazie alla quale nasce in noi “il desiderio d’Altri”, di rispondere affermativamente alla
silenziosa richiesta dell’Altro di diventare nostro “ospite cosmico”, di accogliere il suo mistero, senza
commenti e senza richieste. E’ la biodanza come poetica dell’incontro umano, occasione di
celebrazione dell’altro come occasione di scoperta, di riconoscimento, di connessione con la propria
identità. L’Incontro con l’Altro che è, per Lévinas, la dimensione fondamentale dell’esistenza, la fonte
dell’identità, che va dall’Altro all’Io: nell’incontro con l’Altro si realizza la possibilità di essere, di
essere me stesso. L’Altro “venendomi incontro mi espelle dalla mia solitudine”, col suo volto nudo, che
chiede unicamente di venire accolto. Quel Altro che è infinito, che sfugge a qualsiasi tentativo di
categorizzazione, di spiegazione, di utilizzo.
Molte le similitudini fra il pensiero lévinasiano e la biodanza. Anche per Lévinas c’è il corpo,
l’incontro con l’Altro avviene nella corporeità, parla di intercorporeità, di una rete che unisce tutti gli
esseri umani. “Il gesto del corpo è celebrazione del mondo, è poesia” di Lévinas, richiama molto
“Vivere è un'opportunità molto speciale, l'opportunità di percepire “l'umanità eterna” e sentire nel
corpo il piacere della sacralità della vita” di Rolando Toro. In ambedue i casi, il ritorno è alla vivencia,
all’esperienza dell’essere vivo qui e ora, al contatto come occasione di ritrovamento, di connessione
profonda, di integrazione a sé e all’altro, all’incontro attraverso l’abbraccio che diventa il momento di
massima espressione nell’accogliere la vita dell’altro dentro di me e permettere che l’altro faccia lo
stesso con me. Accogliere ed essere accolti, farsi carico dell’altro e permettergli di farsi carico di me,
affidarsi. Quante vivençia, su questo affidarsi ed accogliere! E’ su questo che si basa l’Etica di Lévinas,
che è la responsabilità per l’Altro, la responsabilità del vincolo con l’Altro, in cui l’identità è appunto
l’essere responsabile dell’altro; secondo un passo lévinasiano: “Io posso sostituire tutti, ma nessuno
può sostituirsi a me”. Nella responsabilità dell’Altro e nella regola del feedback, possiamo ritrovare
l’essenza dell’etica lévinasiana: l’arte del feedback, la reciprocità dell’ascolto di sé e dell’altro, è la
realizzazione dell’etica.
E’ alla luce della reciprocità, del feedback, che “l’altro è più importante di me” di Lévinas acquista un
valore non di priorità identiaria, ma di relazione, in cui io non invado con quello che voglio a tutti i
costi, ma ascolto e sono nel piacere di sentire e darti quello che desideri, non nella necessità di importi
quello che voglio. L'altro mi riguarda nei due sensi della parola "riguardare". In francese si dice che
"mi riguarda" qualcosa di cui mi occupo, ma "regarder" significa anche "guardare in faccia" qualcosa,
per prenderla in considerazione: l’apparizione dell'altro, il volto umano. Riguardare. C’è una
definizione molto bella della parola “riguardare” anche in italiano, che è “avere cura, custodire, avere
relazione”.
Ma dobbiamo riconoscere le differenze fra di noi, le diversità che sono alla base. La mia esperienza
non sarà mai paragonabile a quella di un altro, io non posso vivere il dolore, la gioia e altre esperienze
di un altro. Posso solo accoglierlo, nel rispetto della sua alterità e del suo mistero. Nella relazione ci
deve essere qualcosa che garantisca la distinzione dei soggetti, ci deve essere una separazione che
impedisca la strumentalizzazione. Poiché se non c'è distinzione non si può neppure più parlare di
relazione. E’ dalla distinzione fra chi sono io e chi sei tu, dal nostro riconoscerci differenti, dal
riconoscere e rispettare i miei spazi e i tuoi, che nasce la relazione e la vincolazione affettiva. E’ dal
non volere interpretare l’altro, dal non volerlo possedere, dal non volerlo inglobare ed assimilare a me,
che lo riconosco come infinito ed espressione della vita.
E’ in questa connessione con l’altro, e con l’infinito che rappresenta, che c’è la connessione con la vita,
c’è il principio biocentrico, c’è il mettere la vita al centro come etica di vita.
4.
Unicità
L’intelligenza divina si trasmette attraverso migliaia di anni
per affiorare nella nostra coscienza come memoria dell’eterno.
Siamo cugini dei fiori e avi del vento che ci feconda.
Siamo dei paesi del mare, siamo i discendenti impazziti delle conchiglie.
Siamo, nel sogno della terra, crisalidi e larve, orme di stelle
e negli abbracci eterni respiriamo luce cosmica.
E dall’amore riapprendiamo
i circuiti squisiti dell’intelligenza divina,
il sentire palpitante della vita.
Rolando Toro
La vita al centro non è solo un principio etico, filosofico. Nasce, per Rolando Toro, dalla
considerazione che "Il punto di partenza del principio biocentrico è la vivencia di un universo
organizzato in funzione della vita. Tutto ciò che esiste nell'universo, dagli elementi, alle stelle, alle
piante e agli animali compresi gli umani, fa parte di un sistema vivente più vasto. L'universo esiste
perché la vita esiste. E non il contrario." L’universo generato dalla vita, e non il contrario. La vita come
attrattore e organizzatore di elettroni, neutroni e protoni, come generatore della materia, che non è mai
statica, ma partecipa a questo movimento oscillatorio, a questa incessante danza cosmica di energia.
La cosa incredibile è che la terra oscilla alla frequenza di 7.5 hz, che è la stessa frequenza oscillatoria
del cervello dei neonati. E’ una frequenza, nell’essere adulto, che si ritrova nelle onde alfa del cervello
(dai 7 ai 13 hz), associata ad uno stato di coscienza vigile ma rilassata, in cui la mente è calma e
ricettiva; è predominante nei momenti introspettivi, meditativi, quando viene stimolato l’emisfero
destro del cervello ed è facilitata chiudendo gli occhi. Tale frequenza di onde è stata riscontrata
strumentalmente in persone in stato di rilassamento e meditazione; fa riflettere il fatto che noi
dobbiamo "meditare" per tornare ad uno stato con cui siamo nati e da cui ci siamo allontanati
crescendo: l'incanto e la naturalezza dei bambini, il loro collegamento con l'universo, il loro essere
"pezzi" dell'universo. La ricerca è stata fatta da un biologo, Tonegawa, premio Nobel per la medicina,
che associa l’attivazione di tali frequenze ad un alto stato vitale, alla felicità, alla gioia. Mi domando se
non sia possibile provare ad applicare la ricerca anche alla biodanza, al suo favorire situazioni che
creino stati di allegria, di benessere, di gioia, di piacere, di abbandono; alle tante vivençia di
stimolazione dell’umore endogeno, di innalzamento dello stato vitale, alle tante vivencia di regressione
e di piacere. Sarebbe veramente interessante una misurazione delle onde alfa dei “biodanzanti” durante
o dopo una sessione! La vita che vibra dentro di noi in risonanza con la vita dentro l’universo.
L’universo come sistema pulsante, danzante la danza della vita. “In un pomeriggio di fine estate, seduto
in riva all’oceano, osservavo il moto delle onde e sentivo il ritmo del mio respiro, quando
all’improvviso ebbi la consapevolezza che tutto intorno a me prendeva parte a una gigantesca danza
cosmica… “vidi” scendere dallo spazio esterno cascate di energia, nelle quali si cercavano e si
distruggevano particelle con ritmi pulsanti; “vidi” gli atomi degli elementi e quelli del mio corpo
partecipare a questa danza cosmica di energia; percepii il suo ritmo e ne “sentii” la musica; e in quel
momento seppi che questa era la danza di Shiva”. Questa è la vivençia, mi sembra la definizione più
adatta, di Fritjof Capra.
Capra non è stato l’unico fisico ad assimilare il movimento dell’universo ad una danza. Kenneth Ford,
studiando il processo di creazione e distruzione degli atomi, ha parlato di “danza di creazione e
distruzione” e di “danza di energia”. La fisica moderna ha mostrato che ritmo e movimento sono
proprietà essenziali della materia e che tutta la materia, sia sulla terra che nello spazio esterno, è
coinvolta in una continua danza cosmica. Immediato il collegamento con la danza di Shiva.
Shiva, dio della danza e dei cambiamenti, archetipo di ciò che vive e muove, del rinnovamento
continuo, della trasformazione che nasce dal cambiare gli equilibri e genera il salto evolutivo, la
transtasi. La danza di Shiva, la danza delle trasformazioni. In fisica, l’energia che si distrugge e si crea;
nell’universo, la materia che si distrugge e si crea; dentro di noi, il passato che si distrugge per creare il
nuovo. Tutto il nostro corpo, tutto l’universo, in movimento in questo perfetto equilibrio instabile.
Tutto cambia e si trasforma, il movimento distrugge il vecchio per generare il processo di creazione. Il
fuoco brucia e rinasce un nuovo corpo più libero. E’ poesia, ma è anche scienza, com’è poesia ma è
anche scienza che siamo fatti della stessa materia di cui sono fatte le stelle!
In questo continuo movimento, in questo pulsare allo stesso ritmo dell’universo, se ci guardiamo
attorno, ci rendiamo conto di quanto tutto partecipi e tutti partecipino alla stessa pulsazione. E’ una
grande sinfonia in cui ciascuno suona il proprio strumento, a fiato, a percussione, a corde, danzando
anche quando sembra stia fermo. Ricordo un pomeriggio l’estate scorso, quando, in giro in moto,
ammiravo il panorama scorrermi intorno, mi sono improvvisamente fermata e mi sono resa conto di
quanto ogni pianta, ogni fiore, ogni sasso, avesse una propria parte, di quanto ogni singolo elemento
contribuisse all’esistenza di quel grand’angolo fotografico che guardavo.
Noi a volte ce ne dimentichiamo, dimentichiamo quanto la nostra vita dipenda dall’esistenza di tante
altre persone, in modo proprio concreto dall’attività di tante altre persone, che producono i vestiti che
indossiamo, le case che abitiamo, le macchine che usiamo. Dimentichiamo che la nostra vita dipende
dall’aria che respiriamo, dalla terra di cui ci nutriamo, dall’acqua che beviamo.
Da questa vita concreta, da questo organizzatore, discende il mettere la vita al centro, la vita come
punto partenza, come motore delle nostre azioni, come principio etico.
“La coscienza etica è lo stadio più evoluto degli esseri umani. Essa è in diretta relazione con la sacralità
della vita. L’etica è differente dalla morale. La morale è un insieme di norme stabilite da un gruppo
sociale per regolare i comportamenti e conformarli alle ideologie. Al contrario l’etica si origina dal
nucleo affettivo degli esseri umani, dal profondo rispetto per essi e dal sentimento che la vita è sacra.
La poetica della vita è una percezione originale che ci consente di scoprire come tutto ciò che ci ruota
attorno, tutto ciò che siamo e facciamo, è una ierofania, ovvero una manifestazione del sacro:
l’apparizione del meraviglioso e la riscoperta di un’esperienza ancestrale, paradisiaca e mistica. E alla
base concettuale della biodanza vi è una meditazione su questo carattere sacro della vita, che nasce
talvolta dalla disperazione, dal desiderio di trascendere i nostri gesti disperati, la nostra vacua e sterile
struttura di repressione. Potremmo dire con certezza, una meditazione che nasce dalla nostalgia
dell’amore.” Rolando Toro
Ho un sogno, costituire un movimento biocentrico. Un movimento che riunisca tutte le persone che
sentono che è importante porre la vita al centro: al centro delle loro azioni, dei loro comportamenti,
della loro vita di tutti i giorni. Tutti coloro che sentono, riconoscono e rispettano tutte le forme di vita,
che sanno che non c'è differenza fra sé e l'altro, che quello che facciamo all'altro, alla terra, alla natura,
lo facciamo a noi stessi. Tutti quelli che sentono che ci stiamo staccando dalla vita che è, usando senza
consapevolezza quello che ci dà; che si adoperano, chi in un modo chi nell’altro, perché qualcosa
cambi. Se sentiamo che siamo ognuno parte di una realtà in un mondo condiviso, se lasciamo spazio
alle differenze senza volerle ridurre ad uno, se stiamo nella percezione di non essere separati tra noi,
dagli altri, dall’ambiente, dal mondo; se ognuno opera un piccolo cambiamento nella propria vita, le
cose un po’ per volta cambiano, non è vero che non serve a niente!
"Lasciamo che la danza generi degli atti creativi di trasformazione. Perché se lo facciamo anche solo
fino a una certa soglia riusciremo ad ottenere il potere della causalità discendente in breve tempo e in
un numero senza precedenti di individui". Non l’ha detto Rolando Toro, ma Amit Goswami, un fisico
nucleare quantistico. Ma è lo stesso principio della massa critica: "se saranno alcuni di noi ad iniziare si
realizzerà il cambiamento in tutta l’umanità… Possiamo cambiare noi stessi e il mondo
contemporaneamente".
Quest’idea che siamo tutti parte di un sistema più grande, che siamo tutti collegati, che la nostra vita
dipende dalla vita degli altri e della terra, in una parola, che tutto dipende dalla vita, si fa sempre più
strada. Esiste una commissione europea per la biodiversità, il cui slogan è: “lo scoiattolo è connesso
alla quercia che è connessa al passero che è connesso a te”. La rete, la rete della vita di cui facciamo
tutti parte, in cui siamo tutti collegati. L’effetto farfalla che si propaga. La responsabilità per l’altro che
ritorna. E’ sempre tutto correlato. Io, tu, l’universo. Il posto che noi occupiamo nell’universo è lo stesso
che l’universo occupa dentro di noi. Intasi ed estasi. Sentirsi parte del tutto e contenere il tutto dentro di
sè. Sentire che espandere il proprio spazio significa contenere più spazio. Sentire non che la propria
libertà finisce dove inizia la libertà dell’altro, ma che, quanto è più grande la mia libertà, più è grande la
tua e viceversa. La mia libertà ti dà il permesso di sentire la tua. La tua libertà mi dà il permesso di
sentire la mia. Insieme, possiamo nella vita creare condizioni affinché siamo tutti più liberi. La
repressione nasce dal non sentirsi liberi di essere, di esprimere, di espandersi, così, dopo avere represso
noi stessi, reprimiamo gli altri, imbrigliamo gli altri negli schemi e stereotipi in cui abbiamo imbrigliato
noi stessi. Soffochiamo la vita. O meglio, tentiamo di soffocare la vita. Ma la vita è là, pronta a
schizzare fuori quando meno te l’aspetti, in un incontro, in uno sguardo, in una carezza, in un tocco, in
un gesto, in un sorriso, come una gemma a primavera che esplode all’improvviso, come gli alberi che
ieri erano nudi e oggi sono coperti di foglie e fiori, come l’erba che invade in un attimo i terreni nudi,
come un sogno che rivive all’improvviso, con l’impeto del fuoco, con la costanza dell’acqua, con la
leggerezza dell’aria, con la presenza della terra.
“Nessuno di noi è mai veramente solo.
L’aria che respiriamo viene respirata anche dagli altri
Il sole che splende su di me splende anche sul mio vicino.
E’ per questo che ogni minima cosa è intimamente connessa con tutte le altre
ed è per questo che sono legato ai miei amici
così come sono legato ai miei nemici.
In ultima istanza
non c’è nessuna differenza fra me e i miei amici
così come non c’è nessuna differenza fra me e i miei nemici.
Nessuno di noi è mai veramente solo.”
Anonimo maestro zen
5.
“Non mi interessa sapere come ti guadagni da vivere.
Voglio sapere che cosa ardentemente vuoi
e se osi sognare l’incontro con il desiderio del tuo cuore.
Non mi interessa sapere quanti anni hai.
Voglio sapere se rischieresti di sembrare un pazzo
per amore
per il tuo sogno
per l’avventura di vivere.
Non mi interessa sapere dove, con chi e che cosa
hai studiato.
Voglio sapere che cosa ti sostiene, dentro,
quando tutto il resto crolla.
Voglio sapere se sei capace di essere solo
con te stesso
e se davvero apprezzi la compagnia che hai...”
Oriah Mountain Dreamer
E’ un po’ quello che succede in biodanza. Partecipiamo ad uno stage, danziamo con persone che
magari non avevamo mai conosciuto prima, non sappiamo chi siano e magari ce ne andremo senza
sapere molto di più della loro vita, ma le avremo conosciute ed incontrate nelle loro emozioni, nei loro
entusiasmi, nei loro desideri, nel loro piacere. Ci saremo incontrati nella nostra essenza più intima.
Secondo gli indiani Naskapi, la generosità e l’amore del prossimo e degli animali attraggono e
vitalizzano il “grande uomo” (che è qualcosa di interiore, corrispondente a quello che Jung chiama Sé)
aiutando l’individuo ad entrare in un più profondo rapporto con il “grande uomo”. Assomiglia molto a
quello che diciamo in biodanza, che è attraverso l’incontro con l’altro, che non ci giudica, che ci
accoglie e riconosce, attraverso l’incontro con la diversità, che confermiamo la nostra identità.
La biodanza è un cammino. Più cammini, più si diramano ulteriori strade; più è chiaro il percorso che
devi seguire, più è ampio e le infinite strade ti riportano ad altre, che si intersecano e si incrociano: la
rete umana, che è rete di nutrimento come i ruscelli e i fiumi, come la rete dell’acqua che nutre la terra,
linfa vitale che eternamente si rinnova, rete della vita che eternamente partorisce e nutre.
E’ un cammino nella conoscenza di sé e dell’universo, che poi, in un certo senso, sono la stessa cosa.
E’ una connessione con sé e con l’universo. Attraverso il corpo. Molto simile, come processo, ad un
percorso sciamanico. Al di là dei mezzi utilizzati e di alcuni aspetti più o meno “folkloristici” o propri
di alcune culture.
Lo stesso Carlos Castaneda, da cui ha preso le mosse il neosciamanesimo, così racconta: “… all’inizio
del mio apprendistato… don Juan parlava a lungo di alleati, di piante di potere, di mescalito, del
fumino, del vento, degli spiriti dei fiumi e delle montagne, dello spirito del chaparral desertico e così
via. Quando in un secondo tempo lo interrogai in merito all’enfasi che dava a quegli elementi, ammise
senza vergogna che nella fase iniziale del mio apprendistato aveva fatto ricorso a tutte quelle tiritere
pseudo indiane per il mio bene: “Ti ho ingannato trattenendo la tua attenzione su elementi del tuo
mondo che esercitavano su di te un grande fascino, e tu hai abboccato in pieno. Tutto quello di cui
avevo bisogno era la tua completa attenzione… Tu stesso mi hai ripetuto più volte che restavi con me
perché trovavi affascinante quanto avevo da dire sul mondo… questo fascino si basava su un vago
riconoscimento, da parte tua, degli elementi di cui ti parlavo. Pensavi che tale vaghezza fosse
sciamanesimo, e poiché anelavi ad esso, sei rimasto… Noi non siamo maestri né guru.””
Una caratteristica propria ad ogni cultura ‘primitiva’, tradizionale, è che l’importante è soprattutto il
presente. Non c’è tanto la ricerca metafisica della origine primordiale, dei destini dell’anima dopo la
morte, del destino degli uomini; le cose importanti sono qui, in questo mondo, in quello che in esso
accade. Non esiste una supernatura, sede di ciò che è spirituale, divino, ecc. Tutto è natura e tutto è
nella natura: gli spiriti non sono trascendenti, ma immanenti, sono realmente il cielo, la foresta, il tal
albero, il tal luogo… non si stanno usando delle metafore, dei simboli. E’ il qui e ora, è il sacro e il
profano insieme.
In tutti i riti sciamanici viene utilizzata la danza accompagnata da percussioni o da ogni genere di
strumento costruito con parti di alberi, piante, animali.
Qualcuno tempo fa mi ha raccontato che c’è un popolo, in Africa, fra cui c’è l’usanza, quando si
incontra uno straniero, non di chiedergli “come ti chiami”, ma “quale danza danzi”.
In tutte le popolazioni ci sono delle danze specifiche, è il linguaggio universale; quando ti insegnano la
loro danza, in qualche modo ti stanno trasmettendo il loro codice, perché sono i codici dell’inconscio
collettivo a creare queste danze. Attraverso la danza, arrivi nei codici profondi della vita; quindi se
qualcuno vuole avere una comunicazione col proprio spirito affinché gli mostri i codici della vita, si
mette a danzare, perché la vita è una danza, tutto si muove, tutto ha ritmo, tutto ha movimento. Se
perdiamo il movimento della vita, stiamo perdendo il codice della vita. Quindi quando camminiamo
con agilità, con coordinazione, con scioltezza, vuol dire che siamo pronti per entrare nei codici della
vita; la fluidità ha molto a che vedere coi codici della vita.
La biodanza ha un elemento che facilita molto la connessione con l’aspetto ancestrale, che è il processo
di trance; quello che cerca il processo di trance è l’espansione della coscienza; il mondo sciamanico
ricerca attraverso differenti cammini, attraverso differenti modi, di espandere la coscienza.
Le situazioni ancestrali cominciano sempre in cerchio, in circolo, per parlare, per confrontarsi, per
guarirsi; le sessioni di biodanza iniziano sempre con una ronda, per guardarsi, per salutarsi, per
sorridersi; e prima c’è una condivisione.
Il cammino di uno sciamano comincia dall’assumersi la responsabilità della propria vita, della propria
felicità, della propria realizzazione, del proprio amore. E’ un cammino di relazioni sane, in cui io non ti
rendo responsabile di ciò che succede a me.
Con le esperienze sciamaniche si cerca il senso di unità: tutto con il tutto. Il cammino dello
sciamanesimo è di camminare nell’incontro di noi stessi con la vita, è vedere la nostra vita come un
tutto e non frammentata o a pezzi. Il compito della nostra vita è la totalità.
Il processo è sempre integrare; nella nostra vita tutto deve essere integrato, non deve essere tolto nulla
alla nostra vita, nulla di quello che ci accade, non risolviamo i nostri problemi allontanandoli o
ignorandoli. Del resto in biodanza, la proposta del modello teorico di biodanza, è un’integrazione di
tutti gli aspetti della nostra vita.
Uno sciamano viene definito da alcuni come un "ponte" tra il mondo terreno e quello ultraterreno. A
me vengono in mente le posizioni generatrici e le danze di connessione con l’infinito, di connessione
cielo-terra; mi vengono in mente le danze degli angeli, l’essere il mondo naturale e il soprannaturale un
tutt’uno. Mi viene in mente una frase di Rolando Toro “Peregrini della terra e del cielo, gli esseri umani
percorrono il loro tragitto esistenziale e invocano le forze sconosciute che, sotto forma di angeli, li
proteggono e guidano. Il mondo è popolato di angeli, soltanto che non li vediamo perché sono
invisibili. In realtà gli angeli sono un presentimento, una specie di energia leggera che si agita dentro il
petto quando si rendono presenti. Tutte le persone hanno un angelo. Nella presenza fisica a volte vinta
e a volte splendente, si definisce una specie di atmosfera nella quale è possible intuire l’angelo
nascosto. Imparare a vedere l’angelo delle persone è una forma di evoluzione. La percezione
dell’invisibile è ciò che fa trascendere le apparenze.” Trascendenza e immanenza.
Siamo strane creature. Non siamo né sotto né sopra, né della terra né del cielo, i piedi sulla terra la testa
verso il cielo, le nostre due nature che si contrappongono e ci tirano in un verso o nell’altro. Una terra
da cui ci stacchiamo ogni volta che solleviamo un piede e saltiamo, un cielo da cui ripombiamo giù
ogni volta che il pensiero non va abbastanza lontano, cercando di riconnetterci in un salto sinergico. E
in mezzo le emozioni, strana roba che modifica il nostro corpo di carne, altera pulsazioni e respiro, si
intromette nel nostro sistema immunitario e allo stesso tempo ci fa volare al di là di qualsiasi concetto
di materia tempo e spazio.
Il nostro cammino iniziatico comincia ogni volta che nasciamo, rivestendo man mano di corpo una luce
che dentro di noi va poi rendendosi poco a poco di nuovo visibile. Il nostro cammino iniziatico è la
ricerca della luce nella sacralità del corpo, nella scoperta del mistero di noi stessi e dell’altro, è il
“beyond” l’io, che è l’altro come espressione della totalità, nella visione della sua luce che accende la
nostra…
Non siamo luce perché trascendiamo dalla nostra natura umana, ma perché rendiamo luminoso il nostro
essere umani con la gioia, con il piacere, col riconoscerci. La nostra luce nell’essenza e il nostro
incontrarci in essa nell’essenza.
Ho trovato, su un sito di formazione sciamanica una frase che mi ha colpito: “Lo scopo ultimo di
questo percorso è quello di vedere accesa una luce particolare negli occhi di ogni partecipante, quella
luce che distingue colui che è sempre connesso con il potere dell'amore e della guarigione, e che lo fa
distinguere da ogni altro essere umano: quella luce che risplende da sempre negli sciamani di tutti i
tempi.” La luce negli occhi della connessione con il potere dell’amore. Il potere della guarigione
discende dall’amore. L’amore salverà il mondo, pare l’abbia detto Cristo!
Ho accennato ad alcune corrispondene fra riti sciamanici e la biodanza, il cerchio, la danza, la musica,
il canto, la connessione con l’ancestrale, con la natura, il processo di trance e l’espansione di coscienza,
la ricerca della felicità, la connessione con il tutto. In realtà sono aspetti comuni a tutti le società tribali,
a tutti i popoli che vivono in contatto con la terra e la natura! Parlo di percorso sciamanico, e non
iniziatico, anche se il secondo è un termine più appartenente alla nostra tradizione culturale, perché
l’”iniziatico” risente e comprende una scissione fra corpo e mente, una metafisica propria della nostra
cultura, mentre lo “sciamanico” è sempre immanente, nella natura, qui e ora.
“Il prezzo del progresso sociale e tecnologico che abbiamo vissuto, è stata la definitiva separazione tra
l'uomo e la natura. Nell'occidente contemporaneo industrializzato si attua una separazione radicale tra
gli esseri, gli oggetti e le entità viventi. Per la cultura sciamanica tutto è vivo e personale e noi siamo
parte di un cosmo vivente che comprende tutto. La nostra relazione con tutte le cose è viva. Lo
sciamanesimo mette in connessione l'individuo con la natura, e così facendo non cerca affatto di
manipolare, controllare o sfruttare, ma piuttosto di promuovere una cooperazione e un sostegno attivo,
evoluto, di tutte le forme di vita, in un atteggiamento reciproco di autosviluppo e crescita. Non ha nulla
a che fare con il così detto "sovrannaturale", riconosce ogni cosa come un sistema energetico a sé,
all'interno di un sistema energetico più grande; ogni piccolo sistema energetico è a sua volta collegato a
quello di qualunque altra cosa, sicchè tutto merita lo stesso tipo di rispetto, in quanto ogni elemento ha
un suo ruolo nel grande schema cosmico delle cose. Non è un sistema di credenze perché non propaga
alcuna dottrina; non si fonda sulla fede, ma sulla acquisizione di una conoscenza tramite l’esperienza. Il
concetto di verità per lo sciamano si fonda sulla esperienza personale. Non si richiede di superare prove
di fede né intellettuali; ci si limita a fare le cose per conoscerle. Per lo sciamano vi è solo la fonte di
energia interiore che aspetta di essere risvegliata, e alcune linee guida necessariamente da rispettare per
percorrere il sentiero. L'esperienza sciamanica è l'integrazione delle parti rifiutate. Ci impone di
trasformare il nostro Ego. Ci insegna a prenderci la responsabilità totale del nostro essere qui, ad
ascoltare il silenzio e ad affrontare la paura del vuoto. Se vogliamo davvero cambiare qualcosa,
dobbiamo cominciare a cambiare noi stessi e la ingegnosa macchina suicida che tutti abbiamo
collaborato a costruire. Non si tratta di insorgere o combattere contro l'ordine costituito, ma di sottrarci
poco a poco alla sua presa e imparare di nuovo a pensare e ad agire da esseri indipendenti. La via del
guerriero ci dà i mezzi necessari per rompere le catene e risvegliarci dalla nostra trance quotidiana; ci
aiuta a liberarci dalla servitù e ci fa provare la differenza tra una vita in libertà, protagonisti della realtà,
e un vegetare senza scopo in una società malata, alla deriva in una tempesta cosmica.”
E' il principio biocentrico, è il richiamo ad un’integrazione con sé e con l’universo che porta alla
libertà, è immanenza, qui e ora ed è anche trascendenza. E’ la connessione immediata con le leggi che
conservano e permettono l'evoluzione della vita, che si propone di restaurare nell'essere umano il
vincolo originario con la specie come totalità biologica e con l'universo come totalità cosmica.
La trascendenza è la capacità di andare al di là del proprio ego e di integrare unità sempre più grandi,
attraverso l'espansione della coscienza e lo stato di estasi, è il legame con la natura e il sentimento di
appartenenza all'universo. La biodanza non è risolvere problemi individuali, ma risvegliare risorse che
appartengono alla vita, è lavorare sulla parte sana e risvegliare le potenzialità; non è risolvere problemi,
è pensare in un modo diverso. Non si eliminano i problemi della vita, ma ci ritroviamo più forza per
affrontarli.
Penso che il compito di un facilitatore di biodanza sia di aiutare ad attivare le risorse proprie di ognuno
e avviarlo sulla strada della sua propria autonomia, della sua propria visione.
Ognuno di noi contiene tutto, ha dentro di sé la possibilità di tutto, deve solo attivarla; contiene il
mondo intero e la sua memoria:
“Siamo la memoria del mondo,
dobbiamo solo ricordare ciò che è nelle nostre cellule.
I frutti dell’estate e l’amore voluttuoso.
La capacità di immedesimarsi nell’altro
Il contatto
E il coraggio di rinnovarsi
L’abbraccio, l’addio e l’incontro.
Il mare è la nostra pelle.
La musica della vita
La danza della vita.
Biodanza ci sviluppa la memoria ancestrale
La possibilità assoluta d’amore.”
Rolando Toro
Bibiliografia
Carl Gustav Jung, L’uomo e i suoi simboli, Mondadori 1984
Boris Cyrulnik, Di carne e d’anima, Frassinelli 2007
Rolando Toro Araneda, L’uomo che parla con le rose
Bruno Ribant, Mettere la vita al centro della vita
Daniel Goleman, Intelligenza emotiva, Bur 2007
Emmanuel Lévinas, Totalità e infinito, Jaka Book 1990
Fritjof Capra, Il tao della fisica, Adelphi 2006
Peter Orzechowski, La via sciamanica dei quattro sacri elementi, Red edizioni 2008
Carlos Castaneda, La ruota del tempo, Bur 2007
Grazie a Flavio Boffetti, direttore della “nostra” scuola di formazione
Grazie a Eugenio Pintore, relatore nell’avventura di questa monografia
Grazie a tutti quelli che mi hanno accompagnato
Grazie a tutti quelli che mi accompagnano
Fly UP