Competenza del giudice dell`impugnazione sull`applicazione della
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Competenza del giudice dell`impugnazione sull`applicazione della
R.G.APP. 1260/2015 R.G.N.R. 2267/2009 N.___________Reg. sent. Udienza del 07 marzo 2016 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d’Appello di Trieste, Prima Sezione penale, in persona di: Dott.ssa Donatella Solinas Dott. Edoardo Ciriotto Dott.ssa Gloria Carlesso Presidente Consigliere Consigliere relatore Alla pubblica udienza del 7 marzo 2016 ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento penale nei confronti di D. S., con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Gianpaolo Galopin del foro di Gorizia. LIBERO-ASSENTE IMPUTATO a) del reato p. e p. dagli artt. 81 cpv – 660 c.p. perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, con il mezzo del telefono via SMS, e recandosi quotidianamente nel bar ove lavora e di proprietà di O.C., recava molestia e disturbo alla donna; b) del reato p. e p. dagli artt. 81 cpv 594 c.p. perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso offendeva l’onore e il decoro di O.C., rivolgendole di presenza i seguenti epiteti: “sei una stronza, merda; sei una merdaccia stronza; troia; sei una poveretta; fallita; piena di debiti disonesta; pezzente pazza falsa e bugiarda; etc. …”; c) del reato p. e p. dall’art. 582 c.p. perché cagionava a O.C., lesioni personali diagnosticate in “contusione della mano destra” giudicate guaribili in giorni 10 s.c. d) del reato p. e p. dagli artt. 81 – 581 c.p. perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, scaturendo in atteggiamenti violenti, percuoteva O.C.; e) del reato p. e p. dagli artt. 81 e 612, comma 2° c.p. perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, minacciava O.C. di fargliela pagare, di bruciare il bar e di farglielo chiudere; con l’aggravante di aver formulato minacce gravi; f) del reato p. e p. dall’art. 612 bis c.p. perché con le condotte reiterate, indicate ai capi di imputazione che precedono, minacciava e molestava O.C., in modo da cagionarle un grave e perdurante stato di ansia e di paura, e di ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria costringendola anche ad alterare le proprie abitudini di vita. In Gorizia (GO) da giugno 2009 fino al 19 agosto 2009. APPELLANTE: l’imputato e, in via incidentale, il procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Trieste avverso la sentenza del Tribunale di Gorizia del 11 marzo 2015 che visto l’art. 531 c.p.p. dichiarava non doversi procedere in ordine al reato sub c) e d) per mancanza di proposizione di querela nei termini di legge; visto l’art. 533 e 535 c.p.p. ritenuta provata la penale responsabilità dell’imputato e assorbite le contestazioni sub a) ed e) nel reato sub f), concesse le attenuanti generiche e ritenuto il reato sub f) più grave, applicato l’aumento per la continuazione con il reato in contestazione sub b), condannava D.S. alla pena di mesi dieci di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali; visti gli artt. 538 e ss. c.p.p. condannava altresì l’imputato al risarcimento del danno non patrimoniale in favore della parte civile costituita, che liquidava in via equitativa in euro 4000,00 oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali dalla presente sentenza al saldo; condannava l'imputato al pagamento delle spese di rappresentanza della parte civile che liquidava in euro 3.000 oltre iva e cpa e spese esenti; visto l'art. 163 cp concedeva il beneficio della sospensione condizionale della pena; visto l'art. 165 cp, subordinava il beneficio di cui sopra al pagamento della somma liquidata a titolo di danno non patrimoniale da versarsi entro 90 giorni. CONCLUSIONI DEL P.G. in persona del sostituto Dott.ssa Paola Cameran: chiede, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, assolvere l’imputato dal delitto di cui al capo b), perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e condannare l’imputato alla sanzione civile di euro 150 da versare alla cassa delle ammende; ferma la condanna di primo grado nel resto, insiste per la conferma delle statuizioni civili e per la subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno. CONCLUSIONI DELLA PARTE CIVILE COSTITUITA Avv. Laura Luzzato Guerrini, per la parte civile O.C.: condannare l'imputato alla pena ritenuta di giustizia, condannare lo stesso al risarcimento dei danni patiti dalla parte civile quantificati in euro 15.000 o in quella maggiore o minor somma ritenuta di giustizia oltre alle competenze legali come da nota, che deposita. CONCLUSIONI DEL DIFENSORE DI FIDUCIA Avv. Gianpaolo Galopin: si associa, in merito al capo b), alla richiesta del P.G., per il resto si richiama ai motivi d’appello e ne chiede l'accoglimento. Fatto e diritto 1. Con sentenza dell'11 marzo 2015 il Tribunale di Gorizia dichiarava la penale responsabilità di D.S. per i reati di ingiurie e stalking (capi b) ed f) dell'imputazione), nel quale ultimo venivano fatte rientrare anche le condotte di cui ai capi a) ed e) e, ritenuta la continuazione, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, lo condannava alle pena di mesi dieci di reclusione e al risarcimento del danno liquidato in euro 4000 in favore della parte civile costituita, subordinando al pagamento di tale somma la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena; dichiarava di non doversi procedere per i reati di cui ai capi c) e d) per tardività della querela. Dal mese di giugno 2009, dopo la fine della relazione sentimentale con O.C., l’imputato, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, aveva offeso ripetutamente l’onore e il decoro della O., anche in presenza dei clienti del bar da questa gestito; aveva inoltre minacciato e molestato la p.o. con condotte reiterate, in modo da cagionarle un grave e perdurante stato di ansia, paura e frustrazione, tale da alterare le sue azioni quotidiane, evitare di stare da sola nel bar e pensare di venderlo pur di non vedere più l’imputato. Questi fatti venivano accertati durante l’istruttoria dibattimentale, in cui venivano sentiti i testimoni, la p.o., l’imputato e veniva data lettura delle s.i.t. della U., madre della O., che nel frattempo era deceduta. Dalla ricostruzione complessiva di tali dichiarazioni, il Tribunale riteneva pienamente provati i fatti di cui ai capi b) ed f) e condannava il D. alla pena di mesi dieci di reclusione (pena base mesi nove di reclusione per il capo f), aumentata di un mese per la continuazione per il capo b). 2. Avverso la sentenza hanno interposto tempestivamente appello il difensore di fiducia dell’imputato e, in via incidentale, il Procuratore Generale. La Difesa eccepisce, con riguardo al reato di cui all’art. 594 c.p., la mancata applicazione dell'esimente di cui all’art. 599 c.p., in ragione dello scambio di insulti tra il D. e la O.; con riferimento al reato di cui all’art. 612 bis c.p., l'appellante si duole della sua errata applicazione, in quanto la sussistenza delle fattispecie di cui ai capi a) ed e), fatte confluire nel capo f), non appare condivisibile, perché le presunte molestie altro non erano che delle richieste di restituzione di un prestito di 2000,00 euro a suo tempo fatto a favore della O., la presenza quotidiana dell’imputato nel bar era dovuta al fatto che costui aiutava la O. in alcune faccende e le reiterate minacce trovavano conferma solo nelle parole della p.o. e non in quelle degli avventori; inoltre mancano e/o non sono provati i presupposti degli atti persecutori rappresentati dal fondato timore per l’incolumità, che avrebbe dovuto essere serio e oggettivamente valutabile, mentre risulta soltanto dalle parole della O. e da un unico e limitato riferimento da parte della teste D., e non è emerso alcun apprezzabile mutamento dello stile di vita. Infine si duole per l’eccessiva quantificazione del danno riconosciuto alla parte civile. Pertanto, chiede in via principale, in merito al reato di cui all’art. 594 c.p., l’assoluzione ex art. 530 co. 1 cpp o, comunque, ex art. 530 co. 3 c.p.p. perché il fatto non costituisce reato; in merito al reato di cui all’art. 612 bis c.p., l’assoluzione ex art. 530 co. 1 o, quantomeno, ex art. 530 co. 2 c.p.p. perché il fatto non sussiste; in via ulteriormente subordinata, la riduzione della condanna al risarcimento dei danni riconosciuti alla parte civile e i benefici di legge. Il Procuratore Generale ha proposto a sua volta appello incidentale in ragione della erronea determinazione della pena, la quale non avrebbe tenuto conto dell’inconsistenza del movente, delle peculiari modalità della condotta e del luogo dove venivano consumati gli illeciti, circostanze che denotano una elevata capacità criminale e un assoluto disinteresse per le regole di civile convivenza; pertanto, chiede di aumentare la pena inflitta alla maggiore pena ritenuta di giustizia. 3. Il giudizio di appello, celebrato nella dichiarata assenza dell’imputato, svolta la relazione e sentite le conclusioni delle parti, è stato definito in parziale riforma della sentenza impugnata. 4. L'appello dell'imputato e infondato, tuttavia la sentenza di primo grado è oggetto di parziale riforma in ragione della intervenuta abrogazione dell’art. 594 c.p. ai sensi del decreto legislativo n.7/2016. Si richiama la sentenza di primo grado, che riporta in dettaglio ogni elemento del fatto ed espone le ragioni di diritto idonee a giustificare il giudizio di penale responsabilità dell'imputato; la motivazione di detta sentenza, unita alla presente, vale a costituire un unico corpo argomentativo, da integrare con l'esame dei motivi di appello. Con riguardo alle doglianze della Difesa, queste vanno disattese. La Corte ritiene pienamente provata la penale responsabilità dell’imputato, in quanto la condotta posta in essere dal D., così come emerge dalle risultanze istruttorie, configura gli atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p. e ne integra i presupposti, rappresentati nel caso di specie dal perdurante e grave stato d’ansia della persona offesa e dal cambiamento delle sue abitudini di vita. Innanzi tutto, le molestie di cui al capo a) (che il giudice di primo grado aveva correttamente ritenuto assorbite nella condotta di cui al capo f) di imputazione) erano poste in essere per petulanza dall’imputato, a nulla rilevando che costui vantasse un credito nei confronti della p.o. Questa circostanza è avvalorata dal tenore e dal contenuto degli sms inviati - spesso a tarda ora e in modo quasi ossessivo - dal D. alla O., da cui emerge chiaramente il carattere intimidatorio delle richieste; infatti, negli sms non c’è alcun esplicito riferimento al credito asseritamente vantato, e, in ogni caso, risalta il carattere molesto e minaccioso degli sms, decisamente sproporzionato ad ogni eventuale pretesa patrimoniale: sms di data 14 agosto 2009, 23:06 “Prova a rispondere e finiscila di fare tanto la cretina …”; sms del 14 agosto 2009, 23:17 “Sei una vigliacca perché non hai neanche il coraggio di affrontarmi. Non ti vergogni vero? Ripeto, conviene più a te affrontarmi.. non ti è ancora chiaro? Così falsa e disonesta fino alla morte vero? Vedrai adesso cosa ti succederà… parlo di lavoro e parlo della tua disonestà”; sms 14 agosto 2009, 23:06 “conviene più a te credimi… non faccio fatica a presentarmi da tua madre per farle capire quanto fosse e disonesta sei”; sms 14 agosto 2009, 23:43 “Se non rispondi preparati al peggio, domani mattina tua madre verrà al corrente di tutte le tue stronzate. Vedi un po’ fare tanto la scema con me, oggi sei andata oltre e questa non te la perdono. Se hai un po’ di palle mi affronti altrimenti son problemi grossi per te. La verità e l’onestà paga sempre.. ricordatelo”; sms 15 agosto 2009, 13:19 “… sono convinto che ti conviene parlare con me prima di domani. Ti sembra conveniente questo tuo atteggiamento? Se fai così sei veramente masochista, perché vuoi complicarti ulteriormente tutto?...; sms 16 agosto 2009, 12:57 “Sai che so tante troppe cose di te che ti creerebbero grossi problemi, degnati di dirmi qualcosa, grazie”; sms 15 agosto 2009, 00:22 “Sei convinta di quello che stai facendo? Ultima chiamata, poi è finita… pensaci un paio di minuti”. L'insistenza molesta del D., già ravvisata nel contenuto degli sms, è confermata dalla sua quotidiana presenza fisica nel bar della O.. Le circostanze che l’imputato collaborasse con la p.o., facendosi carico di commissioni varie, e la p.o. stessa non gli impedisse di frequentare il bar, non sono di per sé sufficienti a escludere il carattere molesto degli atti persecutori, che si manifestano nel presentarsi sovente in uno stato di alterazione alcolica, nell'insultarla senza alcuna giustificazione e davanti ai clienti e, soprattutto, imporle la sua presenza, anche contro la volontà della O. o l'occasionale bisogno di collaborazione. Dalla deposizione della p.o. e dalle sit rese dalla madre della medesima risulta che la O. accettava di mantenere qualche contatto con il D. e subiva la sua presenza solo al fine di tenere sotto controllo la situazione, strategia di difesa elementare che era valsa però ad accrescerle l'ansia e lo stress. Nella sua deposizione la O. riferisce gli effetti personali di questa situazione (…veramente non ce la facevo più, ero stressata, depressa, andavo avanti con gli antidepressivi, volevo vendere il bar - vds trascr pag 25 ud del21.11.2012), e il pregiudizio allo stesso avviamento del suo pubblico esercizio (…ho perso l'immagine davanti alla mia gente, davanti ai miei clienti, davanti ai miei paesani…questo qua urlava sempre, mi offendeva, e la gente sentiva, no, tutto il paese che parlava, insomma, ho perso l'immagine, - vd trascr pag 14-15 ud 21.11.2012) giunto al punto da farle progettare di vendere il bar, che era la sua fonte di reddito. Ancora dalle informazioni raccolte dalla madre della O., U.M. emerge che, dopo la rottura con sua figlia, il D. non aveva accettato la fine della relazione e la disturbava costantemente, si presentava abitualmente al bar, la seguiva e le procurava stress, tanto che la O. scoppiava in frequenti pianti improvvisi; in una occasione poi, in cui i toni del D. si erano fatti più accesi, aveva avuto paura e aveva chiesto persino il suo intervento Questo quadro probatorio, già grave e inequivoco, trova conferma anche nelle deposizioni dei testimoni D’A. M. e D. M.. Il D’A. ha riferito in merito alla tensione che si era ormai andata a creare tra la O. e il D.; ha descritto in particolare un episodio avvenuto in data 14 agosto 2009, giorno in cui il teste si trovava nel bar gestito dalla p.o. e vedeva l’imputato camminare nervosamente pronunciando parole ingiuriose; infine, ha dichiarato di essersi accorto di un cambiamento dei rapporti tra i due soggetti, in quanto, mentre nei primi tempi di frequentazione del locale i due non erano soliti bisticciare, successivamente l’idillio si era spezzato e in una cornice di litigi e varie lamentele, il clima era cambiato. Analogamente la teste D., riferendosi all’anno 2009, ha dichiarato di essersi accorta che tra la O. il D. c’era qualcosa di strano e che la stessa p.o. le aveva confidato di essere stata spesso importunata dall’imputato, di vivere una situazione di disagio e di provare paura; ha ammesso che vedeva abitualmente l’imputato nei paraggi o all’interno del bar della O., la quale si dimostrava sempre più scossa; ha persino precisato di essersi a volte recata al bar proprio al fine di verificare come fosse l’atmosfera, e che non vi fossero problemi per la O. stessa; infine, quale testimone oculare di un episodio verificatosi nell’estate 2009, ha riferito di aver visto la O. uscire molto agitata da uno stanzino retrostante il bar, inseguita dal D. e incalzata dalle sue offese. Tutti gli elementi esposti consentono di ritenere pienamente integrato il reato di atti persecutori di cui al capo f) di rubrica sia sotto il profilo della condotta dell'imputato, sia sotto il profilo del danno che tale condotta ha cagionato, essendo sufficiente la consumazione anche di uno solo degli eventi alternativamente previsti dall'art. 612 bis c.p. (Cass sez 5, 24.9.2015, n. 43085 Rv 265231). Il convincimento di questo Collegio matura anche sulla scorta dell'interpretazione consolidata data dalla Suprema Corte all'art. 612 bis c.p che consente addirittura di desumere al di là del silenzio o della scarsa deposizione della persona offesa (che qui tuttavia non è mancata) gli elementi probatori del reato: ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, non è necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto, potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell'agente (Cass, sez 5, 6.10.2015, n. 47195, Rv 265530) Va dunque confermato il giudizio di penale responsabilità e la pena inflitta nella misura di mesi nove di reclusione per il reato di cui al capo f), che si ritiene congrua in ragione della gravità della condotta e della durata (pena, peraltro neppure contestata dall'appellante, sì da rendere inammissibile l'appello del PG). In ragione dell’intervenuta abrogazione dell’art. 594 c.p. ai sensi del decreto legislativo n.7/2016, va assolto l’imputato in ordine al reato di cui al capo b), con l'eliminazione della pena di un mese di reclusione inflitta per la ritenuta continuazione; si ritiene però che la condotta dell'imputato abbia integrato l'illecito civile previsto dall'art 4 D.Lvo 7/2016 senza possibilità di escluderlo per la reciprocità delle offese ai sensi dell'art. 4, comma 2 D.Lgs 7/2016 cit. in mancanza di una prova rassicurante sulla reciprocità delle offese; a questa Corte infine spetta l'onere di determinare la sanzione pecuniaria civile; le sanzioni civili, infatti, secondo quanto previsto dall'art. 8 D.Lgs 7/2016, sono applicate dal giudice competente a conoscere dell'azione di risarcimento del danno, che decide al termine del giudizio, qualora accolga la domanda di risarcimento proposta dalla persona offesa; si ritiene che il giudice dell'impugnazione, chiamato a pronunciarsi sulle statuizioni civili, giudice competente a determinare la sanzione pecuniaria civile (in tal senso vds la recentissima pronuncia della seconda sezione della Corte di Cassazione 8 marzo 2016 dep il 15 marzo 2016, benché la questione sia stata rimessa alle sezioni unite con ordinanza della V sezione del 9 febbraio 2016 -ordinanza 7125); tenuto conto dei criteri enunciati nell'art. 5 del D.lvo 7/2016 (gravità della violazione, reiterazione dell'illecito, arricchimento del soggetto responsabile, opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze dell'illecito, personalità dell'agente e sue condizioni economiche), si ritiene equo determinare detta sanzione in quella di euro 150, somma che appare proporzionata al danno cagionato. Infine, per quanto attiene al risarcimento del danno della parte civile, la Corte lo ritiene decisamente equo considerate le dinamiche della condotta, il luogo scelto per manifestare in modo plateale la persecuzione (il bar) e le conseguenze subite dalla p.o. (sotto i profili dell’immagine con la clientela e della propria serenità psico-emotiva) (non può essere accolta invece la richiesta avanzata dalla parte civile nelle conclusioni perché non appellante); considera altresì la necessità di rendere effettivo il risarcimento subordinando al pagamento della somma liquidata il godimento del beneficio della sospensione condizionale della pena. Il rigetto dell'appello comporta la condanna dell'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile e liquidiate in dispositivo. P.Q.M. La Corte di appello di Trieste, prima sezione penale, visto l’art. 605 c.p.p. in parziale riforma della sentenza del Tribunale del Tribunale di Gorizia dell’11 marzo 2015 appellata da D.S. e, in via incidentale, dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Trieste assolve l’imputato dal reato di cui al capo b) di rubrica (art. 594 c.p.) perché non è previsto dalla legge come reato; ridetermina la pena inflitta per i restanti reati in quella di mesi nove di reclusione. Conferma nel resto l’impugnata decisione. Condanna l’imputato alla sanzione pecuniaria civile di euro 150 e al pagamento delle spese processuali sostenute dalla Parte Civile che liquida in euro 1300,00 oltre spese generali IVA e CPA. Visto l'art. 544 comma 3 c.p.p. indica termine di giorni trenta per il deposito della motivazione. Così deciso in Trieste, 7 marzo 2016 Il consigliere estensore Il Presidente Dott.ssa Gloria Carlesso dott.ssa Donatella Solinas