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La rilevanza penale dell'abuso del diritto di Muzzica Raffaele* L'abuso del diritto, nonostante le ascendenze civilistiche, è un istituto ormai penetrato anche in altre branche dell'ordinamento, dal diritto tributario (artt. 10 e 10 bis l. 212/2000), al diritto amministrativo (eccesso di potere), fino al diritto UE (art. 54 CDFUE), in ragione della sua natura elastica e polifunzionale. Pur non codificato all'interno del codice civile, l'abuso del diritto ha ricevuto notevole attenzione da parte della dottrina e della giurisprudenza civile che, attraverso il viatico della buona fede, ne hanno ricostruito lo statuto, valorizzando gli indici normativi contenuti nel codice civile (artt. 833, 1358, 1359, 1375, 1460,1993 co. 2 e 2385 co. 2 c.c.). L’abuso del diritto è istituto generale, non solo nel diritto civile, che implica la confluenza di tre piani: un piano giuridico, un piano morale e un piano storico. Il piano giuridico implica normalmente una coesistenza o un conflitto di diritti. Il piano morale attiene alle interferenze delle esigenze etiche nel diritto. Il piano storico dimostra come dietro la figura dell’abuso del diritto ci sia stata un'evoluzione storica del modo di intendere il diritto civile. Secondo una definizione di carattere generale, l'abuso del diritto rappresenta la funzionalizzazione di una situazione giuridica qualificata, da parte del legittimo titolare, verso uno scopo diverso da quello riconosciuto meritevole dall'ordinamento. Il titolare, pur avendo a disposizione diverse modalità di estrinsecazione del suo diritto, sceglie quella che gli permette di raggiungere uno scopo ultroneo ed immeritevole, in quanto lesivo ingiustamente di altri interessi tutelati (cfr. Sez. un. 23726/07 sulla disarticolazione della pretesa creditoria, Sez. un. 26617/07 circa la possibilità di adempiere ad obbligazioni pecuniarie con strumenti diversi dal contante e Sez. un. 3947/2010 sull'escussione fraudolenta o dolosa da parte del creditore nel contratto autonomo di garanzia). La giurisprudenza, in una forte tendenza espansiva dell'istituto, spesso non richiede la sussistenza di un elemento soggettivo sulla falsariga dell'animus nocendi. Al contrario, essa valorizza l'elemento della sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare ed il sacrificio della controparte, in considerazione del fatto che, ormai, l'abuso del diritto è considerato espressione del principio di buona fede ex art. 2 Cost. Dal punto di vista delle conseguenze, la giurisprudenza sanziona l'abuso del diritto attraverso il diniego di tutela, negando efficacia allo schema abusivo utilizzato (es. inefficacia dello schermo societario nel caso di abuso della personalità giuridica, exceptio doli generalis), fermo restando il minimum indefettibile della tutela risarcitoria a favore del danneggiato. Altri parlano di nullità del negozio abusivo per mancanza di causa, altri di nullità per causa illecita, altri ancora di nullità per frode alla legge ex art. 1344 c.c. Molto più complessa è la possibilità di sanzionare attraverso l'intervento penale l'abuso del diritto. Da un lato, infatti, condotte abusive possono risultare particolarmente insidiose - e dunque maggiormente offensive - per i beni giuridici tutelati, soprattutto nel caso in cui si tratti di beni superindividuali, naturale appannaggio del diritto penale, il che giustificherebbe l'intervento penale. Dall'altro lato, tuttavia, le norme incriminatrici che pretendano di sanzionare tali condotte sconterebbero gravi deficit di compatibilità con il diritto penale. Infatti, tali norme sarebbero costrette ad un tasso di indeterminatezza ai limiti della vaghezza al fine di coprire fattispecie concrete difficilmente predeterminabili e tipizzabili; d'altronde, le stesse norme civilistiche che attengono al fenomeno sono polarizzate intorno ad una clausola generale quale quella di buona fede. Tutto ciò in ambito penale si porrebbe in forte attrito con il principio costituzionale di legalità (art. 25 co. 2 Cost., art. 7 CEDU). La stessa tendenza ad "oggettivizzare" l'abuso del diritto risulterebbe in contrasto con il principio di personalità della responsabilità penale (art. 27 co. 1 Cost., art. 7 CEDU), secondo il quale tutti gli elementi più significativi della fattispecie devono essere coperti almeno dalla colpa (sent. Corte Cost. 364/1988; 1085/88). Sembra, dunque, doversi applicare l'insegnamento delle Sezioni Unite 19054 del 2013, secondo cui un concetto civilistico - ma, si ripete, l'abuso del diritto è ormai figura generale dell'ordinamento - va interpretato nel diritto penale secondo il significato che esso assume nell'ordinamento di origine, salvo che questo risulti incompatibile Il presente elaborato è stato redatto al corso di preparazione per il concorso in magistratura coordinato dal Cons. Maurizio Santise ed è stato integrato e adattato secondo le esigenze editoriali 1 * con le ragioni ed i principi del diritto penale, il che deve indurre l'interprete a configurarne un'accezione diversa, più compatibile. È quanto si ritiene opportuno in tema di abuso del diritto: d'altronde, il concetto di abuso non è affatto sconosciuto al diritto penale, benchè l'abuso del diritto in sé non abbia mai costituito reato, dal momento che ciò urterebbe con i principi fondamentali, attribuendo di fatto al giudice il potere di individuare caso per caso le condotte penalmente rilevanti, il che si risolverebbe in un'analogia in malam partem, come tale vietata. Sul punto la Cassazione con sent. 28 febbraio 2012 n. 7739 ha stabilito che l’abuso del diritto, nel particolare settore dei reati tributari, assume rilevanza penale solo nei casi espressamente previsti dalla legge, non potendo la punibilità penale essere il frutto di attività interpretativa del giudice. Spesso il legislatore penale ricorre alle cosiddette clausole di antigiuridicità espressa per punire condotte poste in essere "illecitamente", "abusivamente" (es. art. 348 c.p.) o sanziona tout court la condotta posta in violazione di una norma di divieto attraverso i cosiddetti reati formali (es. reati edilizi, reati paesaggistici). Tuttavia, tali figure esulano dalla tematica dell'abuso del diritto, poiché hanno ad oggetto casi in cui il soggetto è del tutto sprovvisto della titolarità del diritto ed agisce ugualmente: non a caso tali norme spesso corredano minuziosi apparati normativi in base ai quali il soggetto può legittimamente guadagnare il diritto (es. permessi, autorizzazioni, concessioni). Non viene, dunque, in questione la deviazione del diritto verso uno scopo illecito, ma la mera non titolarità del diritto. Altresì esulano dalla tematica in questione i reati che comportano l’approfittamento di una situazione giuridica, come nel caso della circonvenzione di incapace ex art. 643 c.p. e dell' abuso della credulità popolare ex art. 661 c.p., che poco hanno a che fare con un uso distorto del potere. L'abuso del diritto in senso stretto ricorre nel sottosistema delle cause di giustificazione: la giurisprudenza tende, infatti, a negare efficacia scriminante all'esercizio del diritto ex art. 51 c.p. nel caso in cui l'agente pieghi la finalità istituzionale, per la quale l'ordinamento gli riconosce un esercizio prevalente sul fatto di reato, verso scopi diversi. Il principio di non contraddizione, fondamento della suddetta causa di giustificazione, non può reggere dinnanzi ad una formalistica prevalenza, sempre e comunque, del diritto. In base al principio di rilevanza oggettiva delle cause di giustificazione (art. 59 co. 1 c.p.) l'agente non deve necessariamente prevedere e volere i presupposti della scriminante, ma deve - si ritiene - realizzare la finalità istituzionale, perché solo quella è ritenuta dall'ordinamento prevalente sulle esigenze penali. Nel caso di abuso del diritto (scriminante), dunque, non sussiste affatto la causa di giustificazione e non vi è necessità di ricorrere - forzatamente - all'eccesso colposo per disciplinare il fenomeno. Tuttavia, è innegabile che anche l'eccesso colposo ex art. 55 c.p. presenti qualche assonanza con la tematica dell'abuso del diritto: d'altronde, è convincente ritenere che il soggetto il quale abusi del suo diritto di autotutela, violando i limiti della proporzionalità, ne devia la finalità. Ma, a ben vedere, la figura dell'abuso del diritto sembra mal attagliarsi alla responsabilità colposa (per quanto, secondo alcuni, di colpa impropria) ex art. 55 c.p. risultando, in concreto, più affine semmai alle ipotesi di eccesso doloso, come tali sempre penalmente rilevanti. Non sembra, dunque, rinunciabile l'elemento soggettivo doloso per configurare una nozione di abuso del diritto penalmente rilevante. In realtà, nel settore delle cause di giustificazione l'abuso del diritto si limita a delineare i limiti esterni del fatto tipico, dal quale però resta estraneo, neutralizzando la norma scriminante o degradando la risposta sanzionatoria a titolo di colpa (sebbene con le perplessità enunciate). Maggiormente complesse sono le interrelazioni tra abuso del diritto e fattispecie tipiche. Preliminarmente, occorre sottolineare come l'esigenza di prevalenza della sostanza sulla forma, tipica delle sanzioni avverso l'abuso del diritto, non sia ignota al legislatore penale, che in alcuni casi ha configurato interi istituti al fine di scongiurare che il reo potesse giovarsi di comportamenti non penalmente rilevanti ma elusivi della ratio della norma: è il caso della confisca per equivalente, sempre più diffusa nella legislazione penale (artt. 322 ter, 600 septies, 644, 648 quater c.p.). Questa forma di confisca, dalla natura eminentemente afflittiva, ha ad oggetto beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente al prezzo o profitto del reato, nel caso in cui non sia possibile la confisca diretta. La norma ha chiare finalità antielusive di comportamenti dissipatori del reo che, in mancanza dell'istituto, gli varrebbero l'impunito godimento della res criminosa. D'altronde, le stesse Sezioni Unite si sono mosse in un chiaro intento antielusivo in tema di confisca, riconoscendo la legittimità della confisca del profitto da reato tributario nei confronti della persona giuridica che 2 sia mero schermo fittizio dell'autore del reato, nonostante i reati tributari non siano inclusi nell'elenco dei reati presupposto del d. lgs. 231/01 (Sez. un. 10561/2014, Gubert). Ciò nonostante, si è in presenza di norme o applicazioni di queste improntate, in generale, a finalità antielusive: il profilo più spinoso attiene alle ipotesi in cui l'abuso del diritto costituisca elemento strutturale della fattispecie o, ancor di più, polarizzi in sé l'intero disvalore di questa. Il concetto generico di abuso - inteso nel senso proprio di deviazione dall'utilizzo normale di una certa titolarità è spesso adoperato dal legislatore come nota modale che accompagna la realizzazione di fattispecie a forma vincolata: si pensi all'abuso della qualità o dei poteri in alcuni reati contro la PA (artt. 317, 319 quater c.p.), oppure alla violazione del titolo del possesso nel peculato d'uso (art. 314 co. 2 c.p., Sez. un. 2013). Le Sez. un. 24 ottobre 2013 n. 1228 espressamente definiscono l'abuso della qualità e dei poteri come la titolarità di un diritto che viene sviato dalla sua funzione tipica. La stessa ipotesi dell'abuso d'ufficio rappresenta, al ricorrere di tutti gli ulteriori elementi della fattispecie, una deviazione del diritto - dovere del pubblico agente verso finalità estranee, lesive (danno ingiusto) o preferenziali (vantaggio ingiusto), che devono però concretizzarsi (trattandosi di un reato di evento con dolo intenzionale). Ipotesi simili sono quelle dell'abuso di autorità contro detenuti e internati ex art. 608 c.p. ed il reato di appropriazione indebita ex art. 646 c.p., che presuppone anch'esso un conflitto di interessi, punendo colui che abusa della fiducia del proprietario e agisce in violazione del titolo del suo possesso. D'altronde, il codice riconosce il ruolo dell'abuso anche come aggravante, configurando un trattamento più severo per chi abusa del potere conferitogli, finalizzandolo a scopi ultronei rispetto a quelli legali (art. 61 n. 9 c.p.). Non appare altrettanto agevole rintracciare, invece, norme incriminatrici interamente polarizzate su un mero abuso del diritto. Non si può, infatti, considerare l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni ex artt. 392 e 393 c.p. come una coppia di norme speculari al concetto generale di abuso del diritto: tali articoli, infatti, rappresentano norme incriminatrici specifiche, a tutela del monopolio giurisdizionale contro forme di giustizia privata. D'altronde, esse presentano note modali specifiche, come la violenza o la minaccia. Questo da un lato testimonia l'impossibilità di tali norme ad assurgere a presunta clausola generale, dall'altro dimostra che la soglia di rilevanza penale può e deve essere più elevata rispetto a comportamenti sanzionabili civilisticamente. Stante l'assenza - e l'impossibilità - di una norma incriminatrice generale del fenomeno, l'analisi deve vertere sulla legislazione complementare, in cui sussistono in misura più stringente fattispecie che sembrano incriminare di per sé condotte abusive da parte di un titolare di un diritto, piegate verso scopi illeciti. Ciò nonostante, anche tali ipotesi presentano delle specificità che le differenziano dal concetto generale di abuso del diritto e le rendono maggiormente compatibili con i principi costituzionali. Non a caso, le ipotesi più calzanti riguardano settori del diritto penale fortemente connessi al diritto civile ed ai rapporti patrimoniali in genere. Ad esempio l'art. 184 T.U.F. punisce chi, in possesso di informazioni privilegiate, le adopera secondo le modalità tipizzate dal secondo comma. La rilevanza penale dell'abuso del proprio diritto si giustifica di per sé in base all'importanza del bene giuridico tutelato (per il quale la stessa UE richiede la tutela penale, come dimostrato dall'ultima direttiva del 2014 sui market abuse) ma, ciò nonostante, è comunque accompagnata da precise note modali che, da un lato, rendono la norma conforme al principio di determinatezza, dall'altro la strutturano in modo ben diverso dal puro e elastico concetto generale di abuso del diritto. Imperniato su una condotta abusiva è anche la fattispecie disciplinata dall'art. 12 quinquies co. 2 d. l. 306/1992 conv. In l. 356/1992, che punisce interposizioni fittizie (di per sé non costituenti reato) qualora l'agente abbia il dolo specifico di eludere le norme in materia di misure di prevenzione o di contrabbando o di agevolare la commissione di determinati delitti. L'abuso di mere facoltà dominicali, dunque, assume coloriture penalistiche in ragione dell'interesse superindividuale dell'ordine pubblico, veicolato dal dolo specifico dell'agente. Il dolo specifico, d'altronde, quale vettore di soggettivizzazione della fattispecie verso un dato scopo che non deve necessariamente essere raggiunto per la realizzazione del reato, è una più agevole alternativa penalistica all'abuso del diritto, come testimoniato da altre norme sia del codice (es. art. 642 c.p. che punisce condotte rientranti nelle facoltà dominicali se commesse al fine di frodare le imprese assicuratrici) sia della legislazione speciale, come i reati fallimentari. 3 Anche alcune ipotesi di bancarotta fraudolenta ex art. 216 l. fall., infatti, incriminano una serie di condotte, come la distrazione e la dissimulazione, che, pur astratte manifestazioni delle facoltà negoziali, sono commesse dal debitore allo scopo di recare pregiudizio ai creditori. Il dolo specifico, accompagnato dal dolo intenzionale di danno, caratterizza anche la fattispecie ex art. 2634 c.c., che punisce gli amministratori in conflitto di interessi con la società, i quali compiono o concorrono a compiere atti di disposizione dei beni, cagionando intenzionalmente un danno patrimoniale, al fine di trarne ingiusto profitto o vantaggio. Dal breve e sintetico excursus di norme si evince come conclusione preliminare che l'abuso del diritto non è certo estraneo alle finalità di tutela del diritto penale ma muta geneticamente in contatto con questo: elementi tipici, come il dolo specifico o intenzionale oppure il danno, ne restringono l'ambito applicativo a condotte non solo abusive, ma maggiormente lesive del bene giuridico, in un'ottica di sussidiarietà dell'intervento penale e di maggiore tipizzazione delle fattispecie. Tuttavia, è nel settore rei reati tributari che più di recente il legislatore ha effettuato una precisa scelta di incompatibilità tra abuso del diritto e diritto penale. L'art. 10 bis della l. 212/2000 (Statuto del contribuente), equiparando abuso del diritto ed elusione fiscale nella definizione di una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano vantaggi indebiti, non si limita a riproporre l'inopponibilità al fisco di tali operazioni come diniego di tutela ma, al comma 13, sancisce l'irrilevanza penale delle operazioni abusive ai sensi delle norme penali tributarie, pur residuando le sanzioni amministrative. La novella, ispirata ad un'ottica di certezza del diritto e di favor per gli investitori, si pone in chiara antitesi con l'orientamento della giurisprudenza che, sebbene in modo non unanime, aveva di fatto equiparato evasione ed elusione fiscale dal punto di vista della risposta penale. La Corte di Cassazione, nell'ottobre 2015, a brevissima distanza dall'entrata in vigore della norma, ne ha riconosciuto la portata strutturale di abolitio criminis, con conseguenza revoca dei giudicati, nel caso in cui i fatti oggetto della condanna per reato fiscale siano riconducibili ad una matrice elusiva. Tuttavia, secondo la Cassazione, ciò non toglie che la condotta elusiva resti penalmente sanzionata alla luce di ulteriori norme penali non tributarie che vengano in gioco nel caso di specie. L'art. 10 bis è chiaro nel limitare il suo ambito di applicazione ai soli reati tributari e ciò non solo per il suo inequivoco dato testuale, ma anche per la sua collocazione nel corpo della l. 212/2000. Il condivisibile arresto della Cassazione mette, però, in luce come il concetto di abuso del diritto in materia penale non possa strutturarsi in maniera identica al suo corrispettivo civilistico. Anzi, la stessa frequente comunanza del dolo specifico nelle ipotesi esaminate come potenziali abusi del diritto penalmente rilevanti mostra come i due concetti viaggino su binari distinti. Probabilmente la scelta legislativa di estromettere l'abuso del diritto dal penalmente rilevante, relegandolo al diritto civile e amministrativo, andrebbe generalizzata, onde evitare norme indeterminate, suscettibili di soggettivismi interpretativi pericolosi sia in punto di garanzie che di effettività della repressione penale. 4