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L`accensione del fuoco nella preistoria europea
23 Quad. Mus. St. Nat. Livorno, 19: 23-49 (2006) L’accensione del fuoco nella preistoria europea Dati sperimentali sulla confricazione dei legni e sulla percussione delle pietre BARBARA RAIMONDI1 RIASSUNTO. Viene trattato un argomento raramente studiato e di cui perdurano molte informazioni errate. L’argomento è stato affrontato con un approccio sperimentale e bibliografico. Le ricerche sperimentali sulla tecnica della confricazione hanno portato a individuare le fasi operative e definire le caratteristiche ottimali della strumentazione. Viene sperimentato anche il metodo della percussione di cui è stato documentato il processo operativo. In questo caso l’approccio multidisciplinare ha permesso di reperire preziose informazioni nelle discipline della botanica e della mineralogia. Le informazioni acquisite con il metodo sperimentale hanno consentito una più ampia interpretazione delle informazioni edite. Parole chiave: Archeologia sperimentale, fuoco, confricazione, percussione. SUMMARY. A rarely studied topic which is still object of erroneous information is descrived. The subject of the present study has been developed in an experimental and bibliographical way. Thanks to experimental researches on the technique of the drill revolving movement, the operative phases and the best characteristics of the instruments have been focalised. The study also presents a documented operative process of the percussion method. In this case the multi-disciplinary approach has permitted to get precious information on botanic and mineralogy. The information acquired by the experimental method has given a more wide interpretation of what had already been studied on this subject. Key words: Experimental archaeology, fire, drill revolving, percussion. Introduzione Il presente lavoro tratta la confricazione dei legni e la percussione delle pietre come metodi di accensione del fuoco nei periodi del Paleolitico e Neolitico dell’area italiana ed europea. Dagli studi attuali di etnografia è possibile vedere che i metodi di accensione del fuoco sono molti (Smith, 1955; Singer et al., 1954; Plumet, 1989; Sarauw, 1907) qui verranno trattati solo due di questi ovvero quelli attestati dai ritrovamenti archeologici. Le segnalazioni archeologiche sono un numero esiguo, purtroppo questo dipende in parte dalla cattiva conservazione dei materiali impiegati, ovvero i legni per la confricazione, i solfuri naturali di ferro per la percussione ed eventualmente le esche fomentarie, ed in parte dalla non conoscenza dello specifico argomento dei meto- di di accensione. Proprio per questi motivi il presente lavoro è stato orientato alla sperimentazione, che ha permesso di fornire delle descrizioni dettagliate della strumentazione, dei processi operativi nonché di riflettere su quelli che potrebbero essere gli orizzonti di questo ambito di studio. Lo stato degli studi Nella storia delle ricerche sul fuoco nella preistoria gli studi di Harrison pubblicati nel 1961 e quelli della Perlés nel 1977 rappresentano la fase iniziale (Harrison, 1961; Perlés, 1977). Harrison affrontava l’argomento fuoco evidenziando l’alto valore tecnologico di questa invenzione e il conseguente miglioramento per la vita quotidiana, trattando in particolare l’impiego del fuoco per l’illuminazione e il riscalda- 1. Via Valdinievole 14, 50127 Firenze. e-mail: [email protected] 24 Barbara Raimondi mento. Harrison si occupò anche dei metodi della confricazione dei legni e della percussione delle pietre finalizzati all’accensione del fuoco; in questa parte del suo lavoro sono presenti molte citazioni etnografiche. Nello studio pubblicato nel 1977 da Perlés trovano maggiore spazio gli argomenti relativi agli impieghi del fuoco e sono presenti le descrizioni sui metodi della confricazione e dalla percussione. Inoltre Perlés per la prima volta raccolse in un elenco le località europee in cui furono rinvenute le testimonianze della confricazione e della percussione; nella pubblicazione erano inserite testimonianze certe ma anche dati piuttosto dubbi ed altri inediti, mancavano attestazioni di siti italiani e le descrizioni delle tecniche di accensione del fuoco erano soltanto supposte, poiché Perlés non affrontò uno studio sperimentale (Perlés, 1977). In realtà, entrambi i lavori fin qui descritti trattano lo studio dei metodi di accensione del fuoco con un approccio teorico, di conseguenza le descrizioni riportate sono scarse di osservazioni sul processo operativo e sulla strumentazione. L’approccio sperimentale alla problematica compare per la prima volta nello studio di Collina Girard, che nel 1993 pubblicò sul un articolo in cui trattava la strumentazione impiegata per la confricazione e per la percussione, dedotta dalla pratica sperimentale di questi metodi. Inoltre in una prospettiva di studio multidisciplinare tentò di classificare le essenze legnose più adatte per la confricazione; sul versante della ricerca bibliografica ampliò il catalogo relativo alle testimonianze europee redatto dalla Perlés integrandolo con i dati che una ventennale ricerca aveva portato alla luce. Il catalogo ancora oggi ha la sua validità a livello europeo: conta circa una decina di località in cui sono stati rinvenuti i resti delle due tecniche di accensione, quella della confricazione dei legni e quella della percussione delle pietre (Collina Girard, 1993). Il catalogo registra per il Paleolitico superiore gli acciarini di Laussel (Dordogna, Francia), Trou de Chaleux (Provincia di Namur, Belgio) e Star Carr (Yorkshire, Inghilterra), per il Mesolitico quello rinvenuto a Trou al’Wesse (Provincia di Liège, Belgio), per il Neolitico quelli di Montilier e Portalban (Cantone di Friburgo, Svizzera) per il Calcolitico quelli di Senales (Loc. Giogo di Tisa, BZ, Italia) e Vandières (Meurthe e Moselle, Fran- cia ). Il lavoro fu poi pubblicato come monografia nel 1998 (Collina Girard, 1998), nel catalogo non sono presenti dati relativi all’Italia. I dati italiani La ricerca bibliografica Lo studio bibliografico è stato sviluppato cercando di capire se l’omissione dei dati relativi alle attestazioni italiane, constatata nei cataloghi suddetti, dipendesse da un’effettiva mancanza di testimonianze o da una incompletezza di questi lavori. Il risultato della lunga ricerca bibliografica è stata l’individuazione di alcune testimonianze anche per l’Italia. Sono da citare gli strumenti pubblicati dallo studioso Maviglia nel 1953, rinvenuti negli strati tardo neolitici del sito di Isolino di Varese (prov. Varese): Maviglia rinvenne alcuni “strani” strumenti composti da un elemento litico inserito in un manico (Maviglia, 195354). Queste testimonianze sono interpretate oggi come acciarini per la percussione finalizzata all’accensione del fuoco. Anche se il presente lavoro si propone di trattare i periodi del Paleolitico e del Neolitico, è opportuno segnalare che nel periodo Calcolitico l’elenco degli acciarini rinvenuti in territorio italiano si arricchisce con un’altra attestazione pubblicata nel 1898 dallo studioso Colini, che la recuperò nella tomba n° 40 della Necropoli di Remedello Sotto e da collocarsi nell’omonima facies culturale (Colini, 1898). Gli acciarini di Isolino di Varese e Remedello Sotto Nella Palafitta di Isolino di Varese, negli strati tardo neolitici, furono rinvenuti degli strumenti che lo studioso Maviglia pubblicò come “speciali percussori per la lavorazione dei microbulini” (Maviglia, 1953-54). Anche Colini interpretò l’acciarino rinvenuto nel 1898 nel corredo funerario della tomba n° 40 della Necropoli di Remedello Sotto come un ritoccatore per la lavorazione della litica: fu rinvenuto uno strumento in selce inserito in un manico di corno di cervo (Fig. 1). E’ interessante il confronto che lo studioso De Marinis ha fatto tra alcune accette metalliche rinvenute nella Necropoli di Remedello Sotto e quella della Mummia del Similaun (De Marinis, Brillante, 1998; Fleckinger, Steiner, 1999) perché dallo studio affrontato risulta che la stes- 25 L’accensione del fuoco nella preistoria europea C B D A E F Fig. 1 - Acciarini da percussione: acciarini rinvenuti nella Palafitta di Isolino di Varese: Acciarino composto da un elemento litico inserito in un manico (A); Acciarino immanicato il cui manico è in parte mancante (B); Elementi litici riportanti del collante (C;D) (Maviglia, 1953-54). Acciarino rinvenuto nella Tomba n° 40 della Necropoli di Remedello Sotto: “strumento formato da una specie di piccolo nucleo di selce con la testa spianata e levigata dall’uso, fisso in un manico, lungo mm. 63, ricavato da un palco di corno di cervo. La parte litica è lunga mm. 42, col diametro massimo nella testa di mm. 20 e alla base di mm. 19” (E) ( da Colini, 1898). Il grattatoio carenato rinvenuto nella cintura della Mummia del Similaum (F) (De Marinis, Brillante, 1998). Fig. 1 – Percussion steels: steels found in the palafitte of Isolino di Varese: Steel composed of a lithic element inserted in a helve (A); steel with a handle whose handle is partly missing (B); Lithic elements with gluing paste (C; D) (Maviglia, 1953-54). Steel found in Tomb nr 40 in the Necropolis of Remedello Sotto “a tool made of a sort of small flint nucleus with the head levelled and smoothed by the use, inserted in a handle, 63 mm long, made from horns of deer. The lithic side is 42 mm long, while the maximum diameter of the head is 20 mm wide and the base is 19 mm” (E) (from Colini, 1898); Scraping tool found in the belt of the Similaun mummy (F) (De Marinis, Brillante, 1998). sa Mummia confermi anche la tecnica della percussione visto gli elementi rinvenuti nel suo marsupio. Nella cintura cucita a mo’ di marsupio erano contenuti alcuni frammenti di fungo fomentario, sui quali è stata individuata la polvere di solfuro naturale di ferro che normalmente viene prodotta durante la percussione inoltre era presente un grattatoio carenato: è ipotizzabile che questi pezzi costituissero un unico acciarino (Fig. 1 F). La ricerca bibliografica non ha portato risultati positivi per quel che riguarda la tecnica della confricazione dei legni: in ambito e u ro p e o p e r i p e r i o d i d e l P a l e o l i t i c o , Mesolitico e Neolitico sono segnalate le bacchette di Krapina (Croazia), La Gavette (Francia) e Lortet (Francia) ma il loro impiego come trapani da fuoco è dubbio per la forma o i materiali in cui sono realizzati. Per quel che riguarda le epoche del Rame e del Bronzo, spesso nei cataloghi vengono segnalati i “materiali vegetali” (asticelle di legno) ritrovati nei depositi di tipo umido, queste segnalazioni risultano essere mal confutabili perché non riportano certi dati che invece ne determinerebbero la funzione di trapano o arco da fuoco. La statua stele n ° 30 di St. Martin de Corléan G l i s t u d i a l i v e l l o e u ro p e o s u l l a confricazione dei legni finalizzata all’accensione del fuoco si sono rivolti anche ai documenti iconografici: sono stati così individuati alcuni menhirs riportanti un arco ed una bacchetta incisi e quest’ultima è stata interpretata da alcuni come freccia per la caccia, da altri come trapano da fuoco. Anche su questo versante il catalogo europeo non riferisce nessuna documentazione relativa ai casi italiani. Nonostante questo filone della ricerca porti ad interpretazioni piuttosto dubbie, è da segnalare la seguente testimonianza italiana: la statua menhir n° 30 rinvenuta a St. Martin de Corléans (AO) ri- 26 Barbara Raimondi Fig. 2 - Stele antropomorfa maschile n° 30 da St. Martin de Corléan (AO): alta 3 m. ca, larga 1.70 m. e spessa 0.07 cm. Sono evidenziati l’arco e la freccia o trapano. Fig. 2 – Male antropomorphic stele nr 30 from Corléan (Ao): 3 m high, 1.70 m wide and 0.07 cm thick. Here are indicated the bow and the arrow or drill. porta un arco ed una bacchetta incisi (De Marinis, 1994; Arnal, 1976; Zidda, 1996; D’Anna, 1977; Longhi et al., 1994) (Fig. 2). Le esche da fuoco I resti di funghi fomentari In riferimento al metodo della confricazione, il termine esca indica il nido di materiale incendiabile (foglie ed erba secca, stoppa) al cui interno viene posta la brace prodotta dalla confricazione, mentre a proposito del metodo della percussione, il termine esca è usato per indicare il materiale su cui cade la scintilla prodotta dalla percussione (generalmente un fungo fomentario) oltre al nido di erba secca. La scelta delle esche è molto circoscritta soprattutto se finalizzata al metodo della percus- sione: infatti alcuni funghi che vivono sugli alberi (lignicoli) sono risultati essere molto funzionali avendo al loro interno una parte (detta “amadou” dagli archeologi sperimentatori e carne o micelio dai micologi) particolarmente sensibile alla scintilla. Consultando varie pubblicazioni (Intini, 1990; Heim, 1984; Zeitlmayr, 1955; CollinaGirard, 1993; 1998) risulta che i funghi fomentari adatti ad essere utilizzati come esca sono due: Fomes fomentarius ed Ungulina betulina. Fomes fomentarius (Syn. Ungulina fomentaria) appartiene alla famiglia delle Poliporaceae, ossia dei funghi parassitari che vivono sul tronco degli alberi in genere latifoglie. Alcuni archeologi sperimentatori hanno provato che i funghi polipori sono adatti ad avviare il fuoco, cioè sono ottime esche fomentarie perchè sensibili alla scintilla, che vi cade sopra incendiandosi subito ma lentamente, e che il fungo migliore è Ungulina betulina che però non è mai stato riconosciuto fra i resti archeologici. Nonostante la natura fortemente deperibile, in taluni casi eccezionali si sono conservati i resti di Fomes fomentarius: nel sito di Star Carr (Yorkshire, Inghilterra) negli strati del Paleolitico superiore è stata rinvenuta una grande quantità di questi funghi associata a dei noduli di pirite (Clark, 1954; 1980), nel Cantone di Friburgo sono stati rinvenuti alcuni Fomes fomentarius associati a percussori litici e a solfuri di ferro collocati negli strati Neolitici del sito (Collina Girard, 1998) altresì la celeberrima mummia del Similaun portava nelle sua cintura-marsupio vari frammenti di fungo fomentario ricoperti di polvere di solfuro naturale di ferro ed un grattatoio di selce (Egg, Spindler, 1992). In altre località sono stati rinvenuti i soli funghi parassitari non associati ai solfuri naturali di ferro: per il Paleolitico medio ricordo Salzgitter-Lebensted nella Bassa Sassonia (Germania) in cui Fomes fomentarius è stato rinvenuto insieme ai resti scheletrici dell’uomo di Neanderthal (De Marinis, Brillante, 1998) e per il Neolitico segnalo il sito di Portalban nel Cantone di Friburgo (Svizzera) (Collina Girard, 1993; 1998; Boura, 1993; Corner, 1950; Dark, Mellars, 1998; Mortillet, 1908; Oakley, 1955; Roudil, 1987). 27 L’accensione del fuoco nella preistoria europea SINTESI DELLE PIÙ ANTICHE TESTIMONIANZE DI ACCENSIONE DEL FUOCO Paleolitico Superiore ° Trou de Chaleux Mesolitico ° Trou al'Wasse Neolitico Calcolitico * Palafitte svizzere ° " Senales ° Laussel ° “ Cantone di Friburgo ° Vandières ° ” Star Carr ° Isolino di Varese ° Palafitte svizzere ° Remedello Sotto * Statue-menhir Tab. 1 - (°) testimonianze del metodo della percussione delle pietre, (“) frammenti di fungo-esca, (*) testimonianze del metodo della confricazione dei legni. Sono evidenziate in grassetto le testimonianze italiane. Tab. 1 - (°) attestations of the percussion method, (“) fragments of mishroom for fire, (*) attestations of the drill revolvig movement. The italian attestations are foregroud. Conclusione Nella tabella che segue sono riportati i dati considerati certi relativi alle più antiche testimonianze di accensione del fuoco in Europa e quelli relativi agli acciarini italiani. Sono indicati: i solfuri naturali di ferro con evidenti tracce di sfregamento la cui destinazione è sicuramente riferibile alla percussione (°), i resti di funghi fomentari rinvenuti in associazione con i solfuri naturali di ferro (“) e le attestazioni sulla confricazione dei legni (*); a tal proposito non sono riportati i dati su Krapina, La Gavette e Lortet perché sono segnalazioni dall’interpretazione molto dubbia (Tab. 1). Il panorama italiano è privo di segnalazioni relative ai metodi di accensione per i periodi del Paleolitico e del Mesolitico. I ritrovamenti italiani più antichi risalgono al Tardo Neolitico, attestano la tecnica della percussione e sono gli acciarini rinvenuti ad Isolino di Varese. Nel periodo Eneolitico questa tecnica è attestata dall’acciarino della Mummia del Similaun (datata grossomodo al 3350-3100 a.C.) e dall’acciarino rinvenuto nella tomba n° 40 della Necropoli di Remedello Sotto e datato 32002400 a.C. (datazione che generalmente è accettata per la cultura di Remedello). Per quanto riguarda la tecnica della percussione le testimonianze europee sono certe dal Paleolitico Superiore in poi: la tecnica è provata dagli acciarini di Trou de Chaleux, Laussel e dal ritrovamento di Fomes fomentarius associato ad un nodulo di pirite rinvenuto a Star Carr; la percussione è confermata nel Mesolitico a Trou al’Wesse. E’ necessario osservare la forte discrasia che separa le attestazioni dei metodi di accensione e le attestazioni di uso intenzionale del fuoco in Europa ed in Italia: la più antica testimonianza di accensione del fuoco in Europa è quella di Laussel (Dordogna, Francia) ed è datata almeno 20.000 anni da oggi mentre il ritrovamento più antico di uso del fuoco in Europa è la Grotta dell’Escale, datato fra i 650.000 e 600.000 anni B.P. In Italia il più antico focolare è stato rinvenuto nel sito di San Bernardino ed è datato 250.000-200.000 anni B.P. mentre la più antica attestazione di tecnica sono gli acciarini di Isolino di Varese collocati nel Tardo Neolitico. Considerando questi dati risulta evidente il grosso gap che separa le testimonianze di metodo di accensione dall’uso antropico del fuoco, questo fa capire che le attestazioni sui metodi che abbiamo sono del tutto fortuite e non ci indicano quale tecnica veniva impiegata per accendere i più antichi focolari. Più nello specifico del metodo della percussione è da notare che dei tre elementi su cui si basa la percussione (solfuro naturale di ferro, percussore litico ed esca), due di essi subiscono fortemente i processi di degrado, quindi considerate le difficoltà di conservazione del solfuro naturale di ferro e dell’esca fomentaria, l’indagine sul metodo della percussione si dovrebbe concentrare sul percussore litico, nella 28 Barbara Raimondi modalità specificata in modo approfondito più avanti nel presente lavoro. Scarsi sono i dati europei relativi alla confricazione del legno: le testimonianze più antiche sono quelle dei depositi palafitticoli del Neolitico svizzero. Dubbia è l’interpretazione dell’iconografia riportante un arco e forse un trapano individuata in alcune statue menhirs europee e nella stele antropomorfa n° 30 di St. Martin de Corléan (AO). A tal proposito è da osservare che per accendere il fuoco con la tecnica della confricazione non è indispensabile l’arco: infatti il trapano può essere fatto ruotare anche con le sole mani, invece l’assebase più dell’arco è indispensabile all’attuazione di questa tecnica. Se queste persone utilizzavano l’arco per muovere il trapano, perchè non avrebbero rappresentato anche l’assebase? La percussione delle pietre come metodo di accensione del fuoco nella preistoria europea La tecnica: le idee errate sul metodo della percussione (la triboluminescenza). Per accendere il fuoco con “le pietre focaie” è innanzitutto indispensabile capire quali pietre utilizzare e che tipo di scintilla produrre infatti se percotiamo insieme due pietre si causano vari fenomeni chimici-meccanici che dipendono dalla natura delle pietre utilizzate, è quindi indispensabile capire quali pietre usare per innescare il meccanismo che porta alla giusta scintilla. Se prendiamo due selci e le percuotiamo l’una contro l’altra causeremo una luminescenza localizzata nel punto d’impatto: tale fenomeno è detto triboluminescenza. Questo tipo di lucentezza è causato dall’azione meccanica della percussione che stimola i processi di elettricità dei corpi e la si può raggiungere con una grande varietà di materiali opportunamente stimolati, ad esempio anche sfregando o percotendo due cristalli di quarzo insieme. Il bagliore tipico della triboluminescenza è localizzato nel punto d’impatto sugli oggetti colpiti dall’azione meccanica di strofinio o percussione: con questa tecnica e con questi materiali impiegati, selce o quarzo, sarà impossibile generare delle scintille capaci di staccarsi dal punto di collisione. Per ottenere il fuoco è necessaria una scintilla capace di planare fino ad un’esca fomentaria posta ad una certa distanza ed è necessario che tutti e due o almeno uno dei due elementi collisi sia un solfuro naturale di ferro: questo minerale caratterizzato da una certa fragilità, contiene sia lo zolfo che il ferro. L’azione meccanica che si esercita sui solfuri naturali di ferro (marcassite o pirite) avrà come conseguenza non una sterile luminescenza ma una reazione di combustione ovvero una scintilla la cui vita durerà per qualche secondo. Queste particelle incandescenti sono accese dai 1000 °C che si sono sprigionati con l’impatto, che hanno innescato la combustione dello zolfo e la conseguente fusione del ferro contenuto nella particella (Collina Girard, 1998); la combustione avverrà in pochi secondi durante il volo della particella distaccata e a volte continuando anche quando la scintilla si è ormai posata sull’esca. In epoche più recenti si sostituì il solfuro naturale di ferro con una lama di ferro carburato perché si riscontrò che la selce e questa lama d’acciaio formavano una combinazione migliore, dato che l’acciaio dava scintille più calde di quelle prodotte con il solfuro naturale di ferro. Le pietre utilizzate Il percussore litico e il solfuro naturale di ferro Abbiamo detto che il solfuro naturale di ferro è il minerale che deve essere impiegato in questa tecnica d’accensione perché contiene il ferro e lo zolfo. Tantissimi minerali contengono lo zolfo ma quello presente nella marcassite e nella pirite ha una struttura chimica che ne aumenta la sensibilità alla combustione; altrettanti minerali contengono il ferro come la p i r ro t i n a , l a m a g n e t i t e , l ’ e m a t i t e , l a calcopirite ma è indispensabile che zolfo e ferro siano associati in un unico minerale e questo è il motivo per cui non è possibile accendere il fuoco con un cristallo di zolfo o con tutti i minerali di ferro. Il metodo di percussione più antico, quello preistorico, vede l’impiego di due solfuri naturali di ferro o altrimenti di uno di essi percosso da un componente litico (Fig. 3). 29 L’accensione del fuoco nella preistoria europea 1 2 3 5 4 6 Fig. 3 - Percussione di due noduli di marcassite (1); Noduli di marcassite in buono stato di conservazione privi di ossidazioni (2); Percussione di una marcassite con una selce (3); Nodulo di marcassite a cristalli radiali: è ben visibile lo strato esterno di alterazione (4); Pirite microgranulare ottima per produrre delle scintille (5); Pirite con cristalli grandi pentagonododecaedrici, non adatta alla produzione delle scintille (6). Fig. 3 – Percussion of two nodules of marcasite (1); marcasites in good state of preservation without oxidization; Percussion of a marcasite with a flint (3); Nodule of a marcasite with radial crystals: the external layer of alteration is well shown (4); Micro-granular pyrite excellent for the production of sparks (5); Pyrite with big dodecahedric-pentagonal crystals, not fit for the production of sparks (6). Il percussore litico “Le pietre focaie” Le pietre più adatte a percuotere il solfuro naturale di ferro sono la roccia quarzifera, il quarzo, il calcedonio e la pietra silicea; le caratteristiche che associano questa varietà di pietre sono la durezza, la compattezza e la possibilità che ne sia determinata la loro forma. E’ preferibile che queste pietre abbiano una forma adeguata all’impiego (come spiego in modo approfondito più avanti), che abbiano una dimensione che permetta di reggerle in mano o, come nel caso del ritrovamento della tomba n. 40 della necropoli di Remedello Sotto, possano essere inserite in un manico, in quel caso in corno di cervo. Per il loro impiego nella percussione finalizzata all’accensione queste pietre sono dette “pietre focaie” e più raramente “pietre piromache” ma anche “acciarini”, soprattutto in riferimento alle porzioni di lama impiegate nei meccanismi delle armi belliche dei secoli scorsi (Chelidonio, 1991; Avanzino, Pasquali, 1994). Il solfuro naturale di ferro (FeS 2 ): la marcassite e la pirite Pirite (FeS2) peso specifico: durezza: percentuale di Fe: 4,89 6 - 61/2 46,6% Marcassite (FeS2) peso specifico: durezza: percentuale di Fe: 5,02 6- 61/2 46,6% Sia la marcassite che la pirite presentano un’identica composizione chimica (bisolfuro di ferro o FeS2), la stessa durezza e percentuale di ferro, il peso specifico è approssimativamente uguale ma hanno differente struttura interna e 30 Barbara Raimondi di conseguenza diverso abito cristallino (Hurlburt, 1968). Marcassite o marcasite La marcassite è un minerale duro, pesante, fragile, con lucentezza metallica, contenente il ferro, ha cristalli radiali o globulari. La varietà a cristalli radiali sottoforma di nodulo, che è la più attestata dai ritrovamenti, può presentare su tutta la superficie esterna uno spessore di circa 1-2 mm di ossidazione superficiale (limonite, ghetite...); in questo stato per poterla utilizzare come acciarino, è necessario che sia privata dello strato esterno in modo da arrivare ai cristalli interni che sono la parte funzionale alla produzione delle scintille. E’ necessario procedere alla rottura del nodulo mediante una percussione diretta: il nodulo si infrangerà in modo non predeterminabile e, a questo punto, i cristalli saranno a vista (Pétrequin, 1986). La marcassite è classificata come minerale rarissimo: a contatto con l’acqua o l’ossigeno è investita dalla corrosione; si trova nei giacimenti naturali (ambienti sedimentari di argille o marne) se sigillata negli strati; altrimenti già in posizione primaria e ancor più spesso, quando si trova in giacitura secondaria, è sottoposta a un forte fenomeno di corrosione (Giardino, 1998). La qualità della marcassite all’interno di un giacimento naturale è variabile; nel nostro caso è ritenuta pessima quella che non permette la produzione di scintille; l’aspetto interno è indicativo della qualità operativa della marcassite, ovvero la lucentezza metallica, l’assenza di ossidazioni interne, il peso, sono tutti fattori indicativi di una marcassite di buona qualità, ad alto contenuto di ferro, ottima per essere adoperata come acciarino. La dimensione ottimale del nodulo è un parametro funzionale che dipende dalla manualità di chi andrà a maneggiarlo: in linea generale le dimensioni migliori sono quelle comprese fra 34 cm fino ad una decina di centimetri. Pirite Anche la pirite è un solfuro naturale di ferro ma ha una cristallizzazione differente dalla marcassite; i cristalli della pirite possono essere cubici o pentagonododecaedrici e sono uniti l’uno con l’altro in modo caotico. I cristalli di pirite hanno dimensioni molto varie; nella tecnica della percussione è utile solo la pirite dai cristalli piccoli (detta pirite microgranulare): quest’ultimi possono staccarsi ed incendiarsi in scintille mentre il cristallo di grandi dimensioni non si frantuma al colpo (Fig. 3). Dove si trova il solfuro naturale di ferro, la conservazione in giacitura secondaria e i prodotti della corrosione, la diffusione della tecnica La pirite e la marcassite si conservano spesso nei depositi primari di formazione ma le cui condizioni raramente sono ripetibili. Infatti, come è facile pensare, i solfuri di ferro difficilmente si mantengono nei depositi archeologici perché sono particolarmente reattivi a certi agenti esterni come l’umidità o, in ambiente secco, all’attacco dei gas (ossigeno ma anche anidride carbonica e solforosa) (Giardino, 1998). La combinazione del metallo con i suddetti elementi innesca il processo chimico della “corrosione”. Si possono distinguere tre tipi di corrosione: la “patina” è un’alterazione microscopica superficiale non particolarmente aggressiva; il “gossano” detto anche fenomeno di “passivazione” è uno strato di limonite e/o ghetite che ricopre esternamente ed uniformemente i noduli e li protegge impedendo l’ulteriore diffusione del processo di degrado, ha tempi di evoluzione molto lenti; gli ossidiidrossidi di ferro (ruggine o ocra) sono il risultato della corrosione più aggressiva che porta al completo disfacimento dell’oggetto, il processo è molto veloce e in alcuni casi questa ossidazione è localizzata e avanza comunque progressivamente sempre più in profondità fino a degradare completamente il metallo. A proposito dei prodotti della corrosione dei solfuri naturali di ferro, è interessante notare che quando la pirite e la marcassite sono in giacitura primaria (nei giacimenti minerari) si trovano in suoli di formazione estremamente antica. Ma quando la pirite o la marcassite e soprattutto gli ancor più frequenti ossidi di ferro si trovano in terreni di recente formazione, come quelli indagati dall’archeologia, significa che qualche azione, naturale o antropica, li ha portati in quel nuovo contesto di giacitura: in questo senso il ritrovamento di L’accensione del fuoco nella preistoria europea un solfuro naturale di ferro ma soprattutto di un prodotto della corrosione di questi acquista un’estrema importanza perché giacente in un deposito giovane che non è quello originario. Considerando che la regione Toscana è molto ricca di aree minerarie, si è cercato di individuare i giacimenti di solfuro di ferro con le caratteristiche che si ritengono funzionali all’impiego della percussione finalizzata all’accensione. A questo fine è stato analizzato il censimento delle aree minerarie presenti sul territorio regionale, pubblicato dalla Regione Toscana nel 1991 (AA.VV., 1991). Nel catalogo sono inventariate 168 aree minerarie di cui 73 forniscono i solfuri di ferro oltre ad altri minerali, purtroppo nel catalogo non sono presenti dati utili alla ricerca dei metodi di accensione. Non sono riportate la varietà dei minerali presenti nei giacimenti ovvero è indicata la presenza di un certo minerale, ad esempio la pirite, ma non viene specificato se microgranulare o cubica e questo è un dato non trascurabile visto che per l’accensione risulta essere funzionale soltanto la varietà microgranulare e con certe caratteristiche di integrità. Dal catalogo notiamo che la maggior parte dei giacimenti in Toscana ospita la pirite e un numero minore la marcassite, ma anche questo dato non ci porta ad avvalorare l’ipotesi che la pirite venisse utilizzata più della marcassite. Un altro dato importante ma assente nel catalogo è la profondità in cui i giacimenti si trovano ossia non è possibile sapere se i minerali si trovano in superficie o a quale profondità del suolo. Purtroppo la maggior parte delle pubblicazioni relative ai giacimenti minerari fornisce delle informazioni esaurienti per un certo ambito di ricerca mineraria ma carenti per la specifica ricerca preistorica. A queste condizioni è difficile poter verificare se le aree di approvvigionamento dei solfuri di ferro coincidono con l’area di diffusione della tecnica e concludere che la disponibilità naturale di questo minerale in certe zone abbia portato le popolazioni autoctone a praticare la tecnica della percussione per avviare il fuoco. Inoltre non è possibile creare una carta significativa della diffusione spaziale dei ritrovamenti perché allo stato 31 attuale degli studi i rinvenimenti di acciarini da percussione preistorici sono pochissimi e questo quadro non può essere arricchito con i ritrovamenti dei prodotti della corrosione (ossidi ed idrossidi di ferro) perché ancora si deve fare molto per capire l’effettivo contributo che questa tipologia di reperto può dare allo studio dei metodi di accensione. L’esca da fuoco Nei siti di Star Carr, Friburgo e Senales sono stati rinvenuti dei funghi polipori verosimilmente utilizzati come esche fomentarie, la specie individuata è Fomes fomentarius. I funghi polipori I funghi vivono in una ricchissima varietà di ambienti, in riferimento al substrato sul quale crescono essi vengono indicati con nomi diversi, ad esempio lignicoli quando crescono sul legno. Tutti i funghi, a differenza delle piante, sono privi di clorofilla e ciò li rende incapaci di assimilare dall’ambiente il carbonio necessario a costruire la sostanza organica di cui hanno bisogno per svilupparsi. Essi traggono il proprio alimento da detriti organici oppure direttamente da piante o animali; i funghi parassitari sono lignicoli che vivono a spese di piante o animali vivi (detti ospiti) e le Polyporaceae sono in grado di continuare a vivere sugli alberi di cui hanno causato la morte, Fomes fomentarius appartiene a questa famiglia (Rambelli, 1981). E’ importante notare che i funghi vivono in specifici ambienti e che Fomes fomentarius è un fungo diffuso in ambienti temperati e tropicali, sarebbe interessante capire in quale misura questo dato ci possa portare ad escludere il loro impiego come esche fomentarie nelle fasi glaciali. Struttura interna di Fomes fomentarius Fomes fomentarius è composto da una corteccia esterna (carpoforo) di color fuliggine spessa 2-3 mm che protegge il fungo esternamente, a forma di piramide o emisferica, di consistenza dura, piatto nella parte inferiore. La corteccia è spessa e dura, solcata a giri concentrici ed opaca. Sulla corteccia esterna (carpoforo) di questo tipo di funghi si possono notare le strie di accrescimento (Fig. 4 D). 32 Barbara Raimondi Carpoforo Micelio A C A Imenio B B D Fig. 4 - Struttura interna di Fomes fomentarius o Ungulina fomentaria (A, B); F. fomentarius molto vecchio con tubuli molto stratificati, quasi totalmente privo di amadou o carne(C); Sono evidenti la strie di accrescimento che rivestono la corteccia esterna (carpoforo) di questo tipo di fungo (D). Fig. 4 – Internal structure of Fomes fomentarius or Ungulina fomentaria (A, B); a very old F. fomentarius with very stratified canals, almost completely without “amadou” or pulp (C); the streams of growth that envelop the external bark of this type of fungus are well evident here (D). Questo fungo contiene uno strato d’amadou (carne, micelio o parte sterile per i micologi) ed una parte legnosa (tubuli, imenio o parte fertile per i micologi): la carne è di color ruggine. I tubuli sono prima grigi ma più tardi divengono color marrone, a più strati interni al fungo, le spore sono fusiformi di una dimensione che va dai 15 ai 22 millesimi di millimetro, la sua vita si può protrarre sino a 15 anni. Cresce sugli alberi frondosi, specialmente faggi e betulle ma anche castagno, noce, frassino, salice (Rambelli, 1981). Anche se Ungulina betulina 1 non è mai stata rinvenuta nei depositi archeologici si inserisce a titolo informativo una scheda des c r i t t i v a p e rc h é a l c u n i a rc h e o l o g i sperimentatori la indicano come il poliporo fomentario più efficace. Fig. 5 - Escavazione del fungo a partire dalla superficie che era a contatto con l’albero fino a raggiungere lo strato di amadou (da Riv. L’Archeologue n° 37) (A); Raschiaturacotonatura della carne di un Fomes fomentarius (B). Fig. 5 – The fungus is picked up taking away the surface attached to the tree up to the pulp layer (from Riv. L’Archeologue nr 37) (A); Grasping and combing of the pulp of a Fomes fomentarius (B). Descrizione del processo operativo: le fasi della percussione Raccolta e trattamento del fungo Dopo aver individuato un fungo fomentario si procede alla sua raccolta e al trattamento dell’amadou. Come abbiamo già visto lo strato di amadou si trova subito sotto il carpoforo del fungo (Fig.4) se il fungo ha un carpoforo tenero, tipo quello dell’Ungulina betulina, sarà possibile affondarvi il coltello o addirittura romperlo con le mani, altrimenti se il carpoforo è uno strato duro, tipo quello di Fomes fomentarius, sarà possibile raggiungere l’amadou scavando a partire dalla superficie del fungo che era a contatto con l’albero (Fig. 5 A). Dopo aver raggiunto l’amadou si potrà procedere al suo trattamento secondo due modalità: la raschiatura-cotonatura o il taglio-estensione. Il metodo della raschiatura-cotonatura si applica quando l’amadou del fungo è ormai secco, completamente disidratato, prevede l’asportazione dell’amadou con una scheggia o uno strumento di pietra con il quale si va a raschiare lo strato di amadou direttamente nel fungo. L’amadou estratto con questo metodo diventa molto soffice e simile al cotone (Figg. 5B, 7B). 1. Ungulina betulina o parassitario della Betulla: carpoforo: ampio 5-25 cm, forma concoide, convesso nella parte superiore, concavo inferiormente o reniforme, a volte con un breve gambo, coperto da una pellicola liscia, sottile, separabile, da biancastro a grigio-giallo a brunastro rossastro; margine arrotondato. La superficie superiore è biancastra; i pori sono piccoli 3-4 per mm; la carne è biancastra, i tubuli sono bianchi alti 2-8 mm, fitti e corti. Cresce in estate-autunno sulle betulle (Rambelli, 1981). L’accensione del fuoco nella preistoria europea A B C D E F 33 Fig. 6 - Le fasi dell’estensione dell’amadou: dopo aver individuato un fungo fomentario, in questo caso Ungulina betulina (A) con amadou elastico, si procede alla sua raccolta (B, C) e al trattamento dell’estensione: quindi è stato prelevato un brandello (D; E) assottigliato ed allungato mediante l’estensione (F). Fig. 6 – Stretching the pulp: after having found a firing fungus, Ungulina betulina (A), with elastic pulp, it is picked up (B, C) and worked: a shred is taken, thickened and stretched (F). Il metodo del taglio-estensione, si applica con gli amadou elastici che sono tali perché molto idratati, tipici dei funghi appena raccolti, prevede che l’amadou ancora all’interno del fungo sia estratto a brandelli e che questi siano tirati ed estesi fino ad assottigliarsi, asciugati poi prima dell’uso (Fig. 6). A B Fig. 7 - Fungo non adatto all’accensione; Fomes fomentarius è stato diviso a metà ed è ben evidente che lo strato di amadou al suo interno è stato mangiato dalle tignole: per questo ha perso morbidezza e compattezza e adesso è uno strato che si sgretola (A). Amadou di Fomes fomentarius ricoperto di polvere di solfuro di ferro e quindi non più appetibile per le tignole (B). Fig. 7 – Fungus non suitable for fire lightning; Fomes fomentarius is divided in two and it is well evident that the layer of amadou has been eaten by moths: that is the reason why the pulp is thick and compact and goes in pieces(A). Amadou of Fomes fomentarius covered by iron sulphide powder (B). In pratica il fungo cotonato si può usare solo con la percussione a terra mentre il fungo tagliato ed esteso si presta sia alla percussione a terra che alla percussione in mano (Figg. 8, 9). Conservazione del fungo E’ interessante segnalare che i fomentari raccolti dovranno essere conservati con cura infatti una vera minaccia sono le tignole, più comunemente conosciute come tarme: si nutrono di varie sostanze, tra cui l’amadou, e depongono le uova nei depositi alimentari. Un fungo occupato dalle tignole non è utilizzabile perché l’amadou perde di elasticità trasformandosi in uno strato non coeso che si sgretola (Fig. 7A); le tignole possono occupare il fungo sia quando questo è ancora attaccato all’albero sia quando è stato staccato: le larve misurano da uno a tre millimetri di lunghezza e si presentano di colore bianco. Per evitare il deterioramento del fungo consiglio di procedere, subito dopo la raccolta, alla cotonatura o estensione dell’amadou, perché un amadou così trattato non è più appetibile alle tignole. In ogni 34 Barbara Raimondi a 3-4 secondi e la scintilla in volo può arrivare ad una distanza di 40-50 centimetri rispetto al punto in cui è stata originata. Le scintille possono avere due tipi di traiettoria: quelle con traiettoria dritta ad andamento veloce e quelle con traiettoria più incerta, svolazzante; la percussione deve essere finalizzata alla produzione delle scintille con traiettoria diretta che può essere orientata verso l’esca, queste generalmente sono anche le scintille più calde. Fig. 8 - Due fasi della percussione: il fungo è appoggiato a terra, una mano sorregge il percussore litico che percuote il nodulo di marcassite tenuto fermo dall’altra mano. Fig. 8 – Two phases of the percussion: the fungus is on the ground, a hand is holding the percussion stone that hits the nodule of marcasite firmly held by the other hand. Fig. 9 - La percussione avviene tenendo in mano tutti e tre gli elementi: l’esca e le due pietre (Collina Girard, 1998). Fig. 9 – The percussion is done holding all the three elements: the touchwood and the two stones. caso un sicuro espediente è quello di ricoprire l’amadou di polvere sulfurea ferrosa percotendo la marcassite o la pirite sopra all’amadou stesso (Fig. 7B). Altrimenti, un metodo che riduce il rischio delle tignole, ma non le elimina, è la segmentazione del fungo in più porzioni: questo impedisce il diffondersi delle tarme in tutto il fungo. Tecniche di percussione La percussione può essere praticata con due sole modalità: sorreggendo le due pietre in mano e appoggiando il fungo a terra (Fig. 8) o tenendo tutti e tre gli elementi in mano (Fig. 9). In entrambe i casi la percussione fra le due pietre genera una scintilla che deve cadere sull’amadou: nel primo caso (Fig. 8) l’esca è appoggiata a terra mentre nel secondo caso (Fig. 9) è tenuta in mano. Con una percussione si possono produrre varie scintille fino ad una decina circa: la combustione delle scintille può durare da 1 Accensione del fungo Si percuotono insieme un percussore litico, in questo caso una lama raschiatoio carenata di selce ed un nodulo di marcassite (Fig. 10A); la scintilla prodotta cade sull’esca fomentaria che inizia una combustione molto lenta (Fig. 10B). Non è n e c e s s a r i o s o ff i a re s u l l ’ e s c a p e rc h é l’amadou è talmente sensibile che la combustione si alimenta spontaneamente, è anzi necessario separare la parte accesa per impedire uno spreco dell’esca (Fig. 10C). L’esca combusta e prelevata si inserisce nel nido (Fig. 10D) già preventivamente preparato con erba secca ed un cuore di foglie secche sbriciolate (Fig. 10E), poi si soffia all’interno del nido in modo che l’esca si ossigeni e la combustione prenda più forza (Fig. 10F). A questo punto si chiude il nido delicatamente in modo da non soffocare la combustione ma permettere che l’erba si incendi (Fig. 10G); il nido inizia a fumare, si continua a soffiare tenendo le mani di lato al nido permettendo all’ossigeno di entrare dal davanti, attraversare tutto il nido e di uscire dal dietro (Fig. 10H). E’ necessario soffiare piano ma in modo continuato: il nido inizierà ad emettere un fumo bianco e denso (Fig. 10I) e comparirà la fiamma (Fig. 10L). Conclusioni Il percussore litico: individuazione dei tipi funzionali, analisi macroscopica dell’usura I percussori litici rinvenuti a Senales (loc. Giogo di Tisa, BZ) e nel Cantone di Friburgo (Svizzera) documentano l’uso dei grattatoi: carenato nel primo caso e a muso nel secondo; anche Pétrequin ha usato nelle sue sperimentazioni un grattatoio a muso (Pétrequin, 1986; De Marinis, Brillante, 1998). 35 L’accensione del fuoco nella preistoria europea A B C D G E H F I L Fig. 10 - Le fasi dell’accensione del fungo (A-L). Fig. 10 - The phases of fungus lightning (A-L). Nel sito di Vandières (Meurthe e Moselle, Francia) il percussore litico rinvenuto è una lama a ritocco laterale continuo, mentre nelle sperimentazioni qui riportate si impiega una lama raschiatoio carenata. In generale in base alle sperimentazioni condotte e a deduzioni del tutto empiriche, si ritiene che il percussore litico debba avere alcune caratteristiche tecnologiche che lo rendono adatto a percuotere un solfuro di ferro. Tali caratteri riguardano le dimensioni preferibilmente maggiori di 2.5 cm quind i s o n o d a e s c l u d e r s i i m i c ro l i t i e g l i ipermicroliti. Per quanto riguarda lo spessore si ritengono adatti quello carenato e subcarenato, escludendo gli spessori inferiori. I ritocchi più funzionali pare che siano quelli sopraelevato e semplice mentre per quanto riguarda l’andamento è da escludersi il denticolato (Laplace, 1964). Il percussore litico realizzato per le sperimentazioni è una lama raschiatoio carenata priva di ritocco sul bordo funzionale (Fig. 11), questo con l’uso si è smussato e si è formato un ritocco misto in parte semplice ed in parte scalariforme. E’ da ricordare che anche Colini evidenzia che l’acciarino rinvenuto nella tomba n° 40 di Remedello Sotto è “levigato dall’uso” (Colini, 1898). Analisi macroscopica delle tracce d’uso sul solfuro naturale di ferro Fino ad ora si è parlato di “metodo della percussione” ma in realtà questa denominazione non è esatta, perché per generare delle scintille è possibile non solo percuotere ma anche sfregare il solfuro naturale di ferro. L’azione che si esercita dipende dalla forma del percussore litico: utilizzando un grattatoio si agirà con un’azione di 36 Barbara Raimondi Fig. 11 - La macro-usura osservabile sulla lama raschiatoio carenata usata per le sperimentazioni. E’ possibile osservare il ritocco che si è creato con l’uso e l’annerimento della lama dovuto al residuo di solfuro di ferro depositatosi durante lo sfregamento-percussione. Fig. 11 – The micro-worning out can be seen on the scraping blade used for the experiments. The picture shows the retouch created by the use and the darkening of the blade due to the residual iron sulphide fallen after the percussion and the rubbing phase. percussione mentre con un raschiatoio si effettuerà uno sfregamento. Osservando le macrotracce d’uso su una pirite o su una marcassite si può risalire al tipo di azione esercitata e approssimativamente alla tipologia del percussore: infatti il grattatoio, la cui parte funzionale è la fronte, lascia un’impronta a forma di conca o di arco (Fig. 12 A) mentre nella lama raschiatoio la parte funzionale è il margine laterale e questo lascia sul solfuro di ferro un solco lineare (Fig. 12 B-D). Questo tipo di usura è evidente, oltre che sulla marcassite usata durante la presente sperimentazione, anche sull’acciarino rinvenuto a Trou de Chaleux (Fig. 12 B). strumentazione e le differenti modalità d’impiego della stessa. Anche considerando i cataloghi dei materiali organici rinvenuti nei depositi umidi difficilmente uno sperimentatore del fuoco può individuare un trapano o un arco per la confricazione, infatti queste descrizioni trascurano quei caratteri tecnici che invece differenziano una qualsiasi bacchetta o arco per la caccia da un trapano ed arco per la confricazione da fuoco. In questo lavoro la parte descrittiva e tipometrica della strumentazione assume un grosso valore documentale perché fa comprendere quali sono le caratteristiche tecniche che contraddistinguono questi particolari “materiali organici”. La confricazione del legno come metodo di accensione del fuoco La scheda per la registrazione dei dati sperimentali Lo studio della tecnica della confricazione rispetto a quello della percussione presenta varie difficoltà infatti la scarsità dei ritrovamenti, dovuta alla mal conservazione dei materiali impiegati, impedisce di analizzare le varianti della tecnica nonché le caratteristiche della A B La tecnica della confricazione si basa sullo sfregamento di due legni e la conseguente produzione di una polvere di legno che per effetto del movimento accelerato della confricazione diventa ardente fino all’autocombustione. La brace che si C D Fig. 12 - La macro-usura osservabile sui solfuri di ferro: Impronta a forma di conca dovuta dalla percussione del grattatoio (A) (da Pétrequin, 1986); Usura a solco lineare causato dallo sfregamento di una lama raschiatoio (B-D). Fig. 12 – The micro-wear can be seen on the iron sulphides: bowl shaped print due to the percussion of the rubbing tool (A) (from Pétrequin, 1986); Linear track wear caused by the rubbing action of a scraping tool (B-D). L’accensione del fuoco nella preistoria europea 37 Scheda 1 - Sviluppata per la registrazione dei dati delle sperimentazioni, la scheda è servita per annotare i valori tipometrici dell’incavo (h; arco), il tipo di assebase utilizzato (sintetizzati in quattro tipologie), il tipo di incavo realizzato (sintetizzati in tre tipi). La scheda è servita anche per registrare il movimento del trapano e quindi la rotazione ininterrotta del trapano all’interno dell’incavo (RUOTA), la rotazione seguita poi dall’arresto del movimento (BLOCCA) e la rotazione interrotta dall’uscita del trapano dall’incavo (ESCE). Sono inoltre riportate le tre possibili modalità di accumulo della polvere di legno prodotta con la confricazione. Sheet 1 – Record sheet for the experimental data. In this sheet can be recorded the typometrical data of the hollow(h; bow), the type of board used (grouped in four typologies); the type of hollow made (grouped in three types). In the sheet can also be recorded the drill movement that is the continuous rotation of the drill inside he hollow (ROTATE), the rotation followed by the end of the movement (STOP) and the not interrupted rotation of the drill as it gets out of the hollow (EXIT). On the sheet can also be reported the three possible ways of accumulation of the wood dust produced by the revolving stick. 38 Barbara Raimondi Scheda 2 - Scheda elaborata per le sperimentazioni: sono riportati sei esperimenti (dal n. 34° al n. 39°): sono annotati i dati utili alla sperimentazione; l’esperimento n. 36 ha dato un esito positivo. Sheet 2- This sheet describes six experiments (from nr 34 to nr 39): it reports important data for the experiment; experiment nr 6 has been successfully completed. L’accensione del fuoco nella preistoria europea 39 Scheda 3 - Descrizione dettagliata della simbologia utilizzata per la compilazione delle schede. Sheet 3 - Description of simbols used for the experimental data sheets. crea verrà poi inserita in un nido di esca che dovrà essere correttamente ossigenato per poter scaturire il fuoco. Questa sperimentazione è stata finalizzata a raggiungere la capacità sistematica di produzione della brace ovvero il controllo sulla strumentazione e sulle azioni del processo operativo, è stata realizzata una scheda, riportata in seguito, su cui annotare i dati dell’esperimento. Le fasi operative sono state la realizzazione del trapano e dell’assebase seguite poi dalle prove d’accensione; infine l’assebase veniva riportato e disegnato sulla scheda: per ogni esperimento (foro combusto) vi venivano registrate le caratteristiche tipometriche dell’incavo, il tipo di assebase utilizzato, il movimento del trapano durante la confricazione e la modalità di accumulo della brace prodotta con il movimento della confricazione. Sono state annotate queste categorie di informazioni perché, per arrivare a produrre la brace, è indispensabile che il trapano riesca a muoversi senza impedimenti all’interno del- l’incavo, che l’incavo abbia delle specifiche forme e dimensioni e che l’accumulo della brace durante la confricazione avvenga secondo una certa modalità. Nelle due pagine che seguono sono descritte in modo approfondito le parti che compongono la scheda. Conclusioni A parte i dati relativi alla strumentazione, per i quali si rimanda ad una lettura approfondita della sezione relativa alle caratteristiche tecnico-funzionali della stessa, la sintesi a cui conducono le sperimentazioni è la seguente: per fare ruotare il trapano e riuscire a produrre la brace sono importanti sia i valori relativi all’arco, che deve essere compreso fra 1/5 e 1/7 dell’intera circonferenza dell’incavo (la circonferenza dell’incavo coincide con quella del trapano) sia i valori relativi alla canaletta, che deve penetrare nell’incavo di 1/3 rispetto al diametro del trapano. 40 A Barbara Raimondi B C Fig. 13 - Quando l’arco è troppo stretto la polvere di legno difficilmente viene scolata e si forma l’accumulo a corona (A); L’incavo scavato dal trapano si estende oltre la superficiedell’assebase e la polvere prodotta con la rotazione si deposita dalla parte opposta alla canaletta di accumulo (accumulo sul retro)(B); quando l’assebase ha una superficie superiore in pendenza la polvere di legno prodotta può accumularsi sul retro (C). Fig. 13 – When the arch is too narrow, the wood dust goes down with difficulty and spreads the dust around it (A); the hollow dug by the drill goes beyond the superior surface of the board and the dust produced by the rotation goes behind the accumulation duct (accumulation behind)(B); when the surface of the board is more inclined there is a high possibility for wood dust to accumulate behind it (C). Quindi le sperimentazioni hanno permesso di individuare le due cause fondamentali del comportamento errato del trapano: 1. il trapano ESCE dall’incavo quando il valore di ARCO è troppo grande (maggiore di 1/5) ed in questo caso il valore di h non è determinante 2. il trapano si BLOCCA sicuramente quando l’arco è troppo stretto (inferiore ad 1/7) e h è poco penetrante (inferiore ad 1/3). Per quanto riguarda i valori di “modalità di accumulo”, osserviamo che: - l’incavo deve essere ricavato su un’assebase sufficientemente largo da permettere un corretto meccanismo di accumulo della polvere di legno prodotta con la confricazione; gli errori di accumulo ovvero l’accumulo a corona o accumulo sul retro dipendo rispettivamente dalla poca penetrazione della canaletta di scolo (h inferiore ad 1/3) nell’incavo e dalla posizione dell’incavo sulla superficie superiore dell’assebase (Scheda 1). - “ACCUMULO SI” è un valore irrilevante, perché finché il trapano ruota la polvere si accumula; indicativo sarebbe il valore sulla quantità di polvere prodotta, che dipende non solo da quanti giri compie il trapano o dal fatto che il trapano giri, esca o ruoti ma anche dal diametro del trapano impiegato. - “ACCUMULO A CORONA” è un valore spesso legato ad un arco molto stretto (inferiore ad 1/5). - “ACCUMULO SUL RETRO” è un valore che dipende non da fattori dimensionali ma dalla posizione dell’incavo sulla superficie superiore dell’assebase, ovvero una posizione arretrata dell’incavo che facilita il deposito della polvere sul retro anziché dalla canaletta. Caratteristiche tecnologiche della strumentazione Le caratteristiche tecniche della strumentazione sono state individuate durante le fasi della sperimentazione stessa, nel sintetizzarle sono state considerate anche le osservazioni pubblicate da altri sperimentatori e quelle riportate oralmente da altri sperimentatori. La sintesi che ne deriva auspica all’individuazione della funzionalità più oggettiva di ogni singolo elemento ma sono da consi- A Fig. 14 - La confricazione è un movimento rotatorio alternato da destra verso sinistra e da sinistra verso destra A); ogni volta che l’arco viene mosso da un senso all’altro il movimento si interrompe e quindi si arresta anche il processo di riscaldamento delle parti confricate B); il problema è risolvibile usando un arco dalla corda lunga anziché corta, diminuirà il rapporto rotazione del trapano/ interruzioni C). Fig. 14 – Wood penetration is done by a revolving alternating movement going from right to left and from left to right A); every time the bow moves from one point to the other, the movement stops and so does the heating proArco e corda cess of the parts being rubbed B) the problem can be solved using a bow with a long rope instead of a short one, this will decrease the following proportion: drill rotation/interruptions C). B C Fig. 15 - La corda deve avvolgere il trapano una sola volta (A), deve essere inclinata per evitare che durante la confricazione si auto-consumi sfregando su se stessa; deve avvolgere il trapano nella sua porzione inferiore; il trapano deve rimanere esterno rispetto all’area corda-arco (B); la corda viene fatta passare tra le dita dello sperimentatore per compensare eventuali estensioni di questa durante la confricazione non compensate dalla rigidità dell’arco (C). Fig 15 – The rope must wrap the drill once (A), it must be inclined to avoid self-consummation against itself during the drill revolving movement; it must wrap the drill on its lower section; the drill must be outside the rope-arch area (B); the rope passes through the fingers of the person doing the experiment to compensate possible extensions of the rope not corrected by the stiffness of the bow (C). L’accensione del fuoco nella preistoria europea derare anche i limiti nonché le capacità personali dello sperimentatore. Arco e corda La caratteristica essenziale dell’archetto è la curvatura, pertanto adatto a tale funzione è un legno o un osso (ad esempio una costola di bovino). La lunghezza della corda dell’archetto è un valore importante: questa incide sul numero di interruzioni che il movimento di confricazione subisce e quindi sul processo di innalzamento della temperatura delle parti confricanti. Infatti il movimento alterno della confricazione subirà un maggior numero di interruzioni se la corda dell’arco è corta, viceversa la rotazione del trapano verrà interrotta un numero minore di volte se la corda dell’arco è lunga (Fig. 14). Molti testi riportano la caratteristica di flessibilità dell’arco come indispensabile, in realtà questo è un fattore che, se è presente, migliora le prestazioni dello strumento ma non è una caratteristica necessaria (Fig. 15C). All’estremità dell’arco è tesa una corda: è necessario avvolgere la corda al trapano per poterlo fare ruotare e trasmettere il movimento dall’arco al trapano. La corda deve avvolgere una volta soltanto il trapano, e deve essere nella porzione inferiore della sua altezza (Fig. 15A), mentre il trapano deve rimanere nella parte esterna rispetto all’area corda-arco (Fig. 15B). E’ indispensabile una certa tensione della corda poiché durante la rotazione la tensione diminuisce e questo, che costituisce un problema, può essere risolto con le seguenti due modalità: 1) l’arco viene sorretto all’altezza dell’allacciamento della corda in una delle due estremità e la tensione della corda viene gradualmente ristabilita dalle dita dello sperimentatore intrecciate con la corda (Fig. 15C); 2) la scelta di un arco flessibile. Non costituisce un buon espediente la pratica di tirare l’arco verso l’esterno rispetto al trapano, questo può compromettere la stabilità del trapano facendolo uscire dall’incavo. Indispensabile per la riuscita della confricazione è una buona corda, ossia abbastanza resistente per sopportare la forte tensione cui è sottoposta durante la confricazione e da non rompersi per l’alta temperatura che raggiunge; queste caratteristiche si possono trovare sia in 41 corde di origine animale che vegetale. Importante è anche il movimento della corda intorno al trapano: infatti l’arco dovrà essere tenuto obliquo per impedire che durante la rotazione la corda si consumi su se stessa (Fig. 15A). La corda dovrà inoltre essere perfettamente liscia, senza peli o mal tagliata, perché queste imperfezioni costituiscono dei possibili punti di lacerazione. Trapano e “capsula“ Il trapano ha la forma di un “bastone”: deve essere necessariamente ricavato da un legno secco cui è stata tolta la corteccia, deve avere un andamento perfettamente dritto, sezione perfettamente circolare e diametro compreso fra 1- 1.5 cm ed un massimo di 2.0 cm. La lunghezza del trapano deve essere compresa fra 10 e 40 cm: al di sotto dei 10 cm sarà difficile mantenere il trapano all’interno dell’incavo nell’assebase, al di sopra dei 40 cm il trapano può flettersi o comunque può risultare difficile mantenere il trapano nell’incavo, ottimale è la lunghezza di 20 cm circa; la lunghezza incide sulla durata del trapano. Il trapano presenta due estremità: quella superiore è inserita in una superficie concava (capsula) come quella di una conchiglia, una coppella scavata in un osso o in un sasso e l’estremità inferiore è inserita in una apposita cavità nell’assebase (generalmente detta incavo inciso). Entrambe le estremità sono soggette ad un forte attrito che deve essere annullato per permettere un movimento rotatorio privo di interruzioni. L’attrito che si ha nell’estremità superiore può essere risolto scegliendo una “capsula” con superficie perfettamente liscia (osso, conchiglia, alcune pietre...) e lavorando a punta l’estremità superiore del trapano; il movimento della rotazione può essere facilitato dalla scelta di una capsula resistente alla pressione e spalmando di grasso la superficie della capsula a contatto con il trapano. L’estremità inferiore è a contatto con l’assebase e per impedire l’eccessivo attrito si può procedere nel seguente modo: l’estremità inferiore del trapano può essere lavorata a punta, nell’assebase si praticano solo un’incisione puntiforme ed una canaletta laterale per l’accumulo della polvere di legno rovente; man mano che si ruota e si fa pressione con il trapano l’inci- 42 Barbara Raimondi A B C Fig. 16 - Processo di formazione dell’incavo a canaletta laterale: sulla superficie superiore dell’assebase sono presenti il punto inciso e la canaletta laterale (A). L’incisione puntiforme ha il solo scopo di concentrare l’azione del trapano, l’estremità inferiore del trapano dovrà essere a punta sarà inserita nell’incisione puntiforme nell’assebase e qui ruotare; La confricazione ha inizio e la punta del trapano scava il punto inciso che diventa un vero e proprio incavo: la punta del trapano e l’incavo combaciano perfettamente e questo impedisce che il trapano fuoriesca durante la confricazione (B); Dalla punta del trapano che si consuma e dall’incavo che viene scavato si produce la polvere di legno accumulata esternamente all’incavo grazie alla canaletta (C). Fig. 16 – Process of production of the hollow with side duct: on the superior surface of the board are the engraved point and the side duct. With the pointed engraving the action of the drill is more precise, the lower end of the drill must be pointed and must be inserted inside the engraved point and from there rotate (A); The revolving movement starts and the drill’s head digs the engraved point which changes into a hollow: the drill’s head and the hollow match perfectly and this avoids the drill’s escaping during the process (B); From the consuming drill’s head and from the consequent digging of hollow is produced wood dust which accumulates outside the hollow thanks to the duct (C). sione puntiforme prenderà la forma dell’incavo, l’estremità del trapano diventerà stondata e sarà perfettamente aderente e inserita nell’incavo. Questo metodo riduce la possibilità di fuoriuscita del trapano dall’incavo durante la confricazione (Fig. 16). Assebase e incavo L’assebase è il supporto di legno, orizzontale e poggiante sul suolo, in cui è scavato l’incavo: A B C Fig. 17 - Vari tipi di incavo: doppio incavo orizzontale(A); Doppio incavo verticale (B); Incavo con canaletta laterale (C). Fig. 17 – Different types of hollows: horizontal double hollow (A); Vertical double hollow (B); Hollow with side duct (C). seguono le possibili modalità di realizzazione dell’assebase e dell’incavo. L’assebase è formato da due superfici, una inferiore e l’altra superiore: la superficie inferiore è quella che sta a contatto con il suolo, deve avere un andamento piatto e costituire una base stabile che non si muova durante la confricazione. La superficie superiore dell’assebase è a contatto con il trapano, deve essere perfettamente liscia per facilitare il movimento della confricazione. Un dato funzionale dell’assebase molto importante è lo spessore: durante la confricazione i due legni a contatto si consumano producendo una polvere che diventa via via sempre più rovente fino a diventare brace; è necessario avere a disposizione un certo spessore di assebase per ottenere la giusta quantità di polvere rovente. Uno spessore di assebase funzionale non deve essere inferiore a 1.5 cm e superiore a 2.5 cm; questo intervallo di valori è stato individuato durante la presente sperimentazione ed è in accordo con quello indicato da J. Collina Girard; in linea generale un’assebase con spessore inferiore ad 1.5 cm non ci offre abbastanza legno da polverizzare durante la confricazione, mentre un assebase con spessore superiore a 2.5 cm causa la perdita di calore della polvere di legno dal momento e luogo di produzione al momento e luogo di accumulo e quindi non diventa brace. Nell’assebase è scavato l’incavo che può avere tre differenti forme: a doppio incavo orizzontale, a doppio incavo verticale e l’incavo con canaletta laterale (Fig.17). Il doppio incavo orizzontale (Fig. 17A) è composto da due incavi praticati sulla superficie superiore dell’assebase: un incavo è destinato alla raccolta della polvere rovente ed è il primo che si realizza mentre l’altro sarà creato dalla confricazione del trapano. Durante la confricazione i due incavi si dovranno intersecare e con la rotazione del trapano la polvere prodotta dovrà accumularsi nell’incavo predestinato. La difficoltà nell’uso di questo tipo di incavo è far si che il “settore di contatto” che si crea fra i due incavi non sia ne troppo stretto ne troppo esteso. Il doppio incavo verticale (Fig. 17B) è formato da due incavi 43 L’accensione del fuoco nella preistoria europea praticati uno nella superficie superiore dell’assebase e l’altro in quella inferiore, entrambe sono praticati sul bordo laterale dell’assebase e qui presentano un’apertura. Durante la confricazione la polvere rovente si deposita nell’incavo inferiore e fuoriesce anche dall’apertura laterale. Per realizzare l’incavo con canaletta laterale (Fig. 17C) è necessario tagliare una canaletta a sezione triangolare incisa lungo il margine laterale dell’assebase e praticare un’incisione puntiforme sulla superficie superiore dell’assebase a contatto con la canaletta. In questo punto verrà posto il trapano che durante la rotazione scaverà l’inc a v o . L a p o l v e re s i a c c u m u l e r à n e l l a canaletta (Fig.16). La difficoltà nell’impiego di questo incavo è riuscire a fare intersecare la canaletta con l’incavo in modo che il settore di circonferenza di contatto non sia ne troppo stretto ne troppo largo ovvero che la canaletta sia penetrante nell’incavo in modo giusto, come descritto già in precedenza. Descrizione di un processo operativo: la fase della confricazione Scelta dell’assebase, preparazione dell’assebase e dell’incavo Per realizzare l’assebase è stato scelto un bastone di alloro: il bastone ha un diametro di 40 mm ca., il legno è ben asciutto (Fig. 18A); è stata A E asportata la corteccia (Fig. 18B) nel punto in cui il bastone era più aderente al suolo. Dopo aver appiattito la parte superiore del bastone, è stato praticato un punto inciso (Fig. 18 C, D) distante dal bordo laterale 5-6 mm ca. e profondo circa 2-3 mm, allargato con una punta un po’ più larga (Fig. 18 E, F). Sullo spessore laterale del bastone viene realizzata la canaletta laterale per lo smaltimento della polvere di legno generata dalla confricazione: si realizza un’incisione sul margine laterale del bastone-assebase (Fig. 18 G). L’incisione lineare laterale viene allargata e avvicinata al punto inciso (Fig. 18H): è così realizzato l’incavo a canaletta laterale. Preparazione del trapano Per realizzare il trapano è necessario scegliere un bastone che abbia un diametro compreso fra 10 e 20 mm, che sia perfettamente dritto o che una porzione della sua lunghezza sia dritta. Dal bastone scelto è opportuno togliere la corteccia (Fig. 19A), le nodosità del legno (Fig. 19B) devono essere o levigate (Fig. 19C) o tagliate (Fig. 19D). Dopo aver tolto la corteccia e le nodosità del legno (Fig. 19E), si deve procedere alla rifinitura delle punte: usando una lama litica si rendono aguzze le due estremità del bastone (Fig. 19F), poi si procede alla rifinitura delle punte mediante una pietra arenaria (Fig.19G,H). L’estremità superiore che sarà a contatto con la conchiglia dovrà essere leggermente smussata (Fig. 19I) mentre quella inferiore a contatto con l’assebase sarà acuminata (Fig. 19L). C B F D G H Fig. 18 - Processo di costruzione dell’incavo a canaletta laterale. Fig. 18 - Process of production of the hollow with side duct. 44 A Barbara Raimondi B C D F E I H G L M Fig. 19 - La preparazione di un trapano da fuoco: Scelta di una bastone con porzione centrale dritta e asportazione della corteccia (A); Nodosità del legno da eliminare (B); Levigatura delle nodosità del legno mediante un’arenaria a grana grossa (C); Asportazione dei noduli (D); La porzione di legno rettilinea privata della corteccia e delle nodosità (E); Affilatura delle estremità (F); Rifinitura delle punte mediante una pietra arenaria (G H); Estremità smussata: sarà l’estremità superiore del trapano ovvero quella a contatto con la “capsula” o conchiglia (I); Estremità acuminata: sarà la punta inferiore del trapano ovvero quella a contatto con l’assebase (L); Il Trapano finito pronto per essere confricato (M). Fig. 19 – The preparation of a fire starting drill: A well straight stick is chosen and the bark is taken away (A); The wood’s knots are eliminated; The wood’s knots are levelled using a coarse-grained stone (B); The knots are taken away (C); The portion of straight wood without bark and knots (D); The head of the stick is being sharpened (E); Finishing touches to the wood end using a stone (F); Chamfered end: this is going to be the superior end of the drill that is the end going under the “capsule” or shell (G H); Sharpened end: this is going to be the lower end of the drill that is the end pushing the board (L); The drill is completed, ready to be used (M). Impugnatura dell’arco Non esiste una sola maniera corretta per impugnare l’arco, che può essere sorretto al centro (Fig. 20A) o ad una estremità (Fig. 20B). E’ necessario che la corda sia tesa e che avvolga con un solo giro il trapano, il piano arco-corda è inclinato rispetto al trapano di 45° circa (Fig. 20C). Lo sperimentatore può sorreggere l’assebase con un piede stando in ginocchio (Fig. 20F) o con un piede stando seduto a terra (Fig. 20E) altrimenti con un ginocchio (Fig. 20D) (Biasutti, 1967). Il movimento La confricazione dovrà essere dapprima lenta (Fig. 20G), in modo che il trapano allarghi il punto inciso e crei un incavo; man mano che la confricazione prosegue la polvere di legno inizia a depositarsi nella canaletta laterale (Fig. 20H); quando il trapano comincerà a f u m a re ( F i g . 2 0 I ) i l m o v i m e n t o d e l l a confricazione dovrà essere più accelerato, finché inizierà a fumare anche la polvere di legno che sarà quindi diventata brace (Fig. 20L). La confricazione si blocca, il trapano fumante potrà essere estratto dall’incavo, la punta sarà smussata, il trapano sarà un po’ più corto e si potrà osservare che il piccolo punto inciso è diventato un incavo profondo (Fig. 20M). La brace fumante a questo punto può essere inserita in un nido di esca fomentaria, generalmente erba secca e foglie sminuzzate e procedere all’accensione del nido come è già stato precedentemente descritto. 45 L’accensione del fuoco nella preistoria europea C E B A G D H I L F M Fig. 20 - Impugnatura dell’arco (A, B); corretta posizione della corda sul trapano (C); posizioni adatte alla confricazione: il trapano è sorretto da un pomello e inserito nell’incavo mentre l’assebase, fermato col ginocchio o col piede, poggia su un cuoio che lo isola dal suolo (D, E, F); le fasi della confricazione: il trapano scava l’incisione puntiforme trasformandola in incavo (G-M). Fig. 20 - Helve of the bow (A, B); right position of the rope on the drill (C); positions fit for the drill revolving movement on wood: the drill is held by a knob and inserted in the hollow while the board, lying on a piece of leather that isolates it from the ground, is kept firmly with knee or foot (D, E, F); phases of the drill revolving movement on wood: the drill digs the pointed engraving changing it into hollow (G-M). Conclusioni generali Il più recente catalogo europeo delle testimonianze d’accensione del fuoco in Europa nell’epoche comprese fra il Paleolitico ed il Neolitico pubblicato da J. Collina Girard è stato integrato con le testimonianze italiane. Dopo un’approfondita ricerca bibliografica si conclude che il panorama italiano è privo di segnalazioni per i periodi del Paleolitico e del Mesolitico, mentre i ritrovamenti più antichi sono gli acciarini per la percussione rinvenuti ad Isolino di Varese risalenti al Tardo Neolitico. Nel successivo periodo Eneolitico la medesima tecnica è attestata dall’acciarino della Mummia del Similaun (ca. 3350-3100 a.C.) e da quello rinvenuto nella tomba n° 40 della Necropoli di Remedello Sotto datato ca. 32002400 a.C. La tecnica della confricazione non è attestata per le epoche del Paleolitico e del Neolitico italiane. La scarsità delle testimonianze ci impedisce di sapere se le tecniche della confricazione e della percussione convivessero sullo stesso territorio o quale fosse la diffusione delle tecniche e se questa dipendesse dalle caratteristiche del territorio. I cataloghi dei siti minerari in Toscana documenta no una larga diffusione dei giacimenti di solfuro di ferro, però non riportano i dati sulla varietà dei minerali e la profondità di estrazione. La diffusione dei solfuri di ferro nella regione Toscana non avvalora l’ipotesi che fosse praticata la percussione come metodo di accensione; infatti il fattore discriminante per l’uso è la qualità del minerale e non la quantità. In Italia la più antica testimonianza di uso intenzionale del fuoco è stata rinvenuta nella Grotta di San Bernardino (Mossano, Vicenza) in cui è stato messo in luce un suolo d’abitato con focolare datato ca. 250.000/200.000 anni B.P. Se mettiamo in relazione la più antica attestazione di accen- 46 Barbara Raimondi sione, ovvero gli acciarini di Isolino di Varese collocati nel Tardo Neolitico, con il focolare della Grotta di San Bernardino, notiamo il grosso gap cronologico che separa le due testimonianze; questo ci impedisce di sapere con quale tecnica furono accesi i più antichi focolari in Italia. I funghi che sono stati utilizzati come esche fomentarie per il metodo della percussione (Fomes fomentarius e Ungulina betulina) vivono in ambienti temperati. Sarebbe interessante approfondire gli studi micologici per escludere eventualmente la loro presenza in ambienti glaciali anche se questo ci porterebbe a scartare solo l’impiego di questa specifica esca ma non la tecnica. Più fecondi sembrano gli studi applicati al percussore litico: dalle sperimentazioni si è dedotto che questo debba avere alcune caratteristiche tecnologiche che lo rendono adatto a percuotere un solfuro di ferro: tali caratteri riguardano le dimensioni, preferibilmente maggiori di 2.5 cm e gli spessori più adatti sono quello carenato e subcarenato. I ritocchi più funzionali pare che siano quelli sopraelevato e semplice mentre per quanto riguarda l’andamento è da escludere il denticolato. Inoltre sul percussore litico che è stato realizzato per le sperimentazioni si è formato un ritocco misto in parte semplice ed in parte scalariforme e si è smussato con l’uso (forse lo stesso tipo di usura che Colini individuò sull’acciarino rinvenuto nella tomba n° 40 di Remedello Sotto). Qualche informazione sulla tecnica si può ricavare anche dallo studio del solfuro di ferro; osservando le macro-tracce d’uso sulla pirite o sulla marcassite si può risalire al tipo di percussore usato e all’azione esercitata: il grattatoio lascia un’impronta a forma di conca o di arco perché si usa di punta facendo un movimento di martellamento, mentre della lama raschiatoio si usa il bordo laterale imprimendo un movimento di sfregamento e questo lascia un solco lineare sul solfuro di ferro. Per quel che riguarda il metodo della confricazione la natura deperibile del materiale impiegato condiziona in modo negativo la conservazione e ogni possibile sviluppo degli studi. La parte del presente lavoro dedicata alla confricazione è importante per gli archeologi sperimentali che cercano un confronto o nuove nozioni sulla strumentazione e soprattutto per la descrizione del processo operativo che non è mai stata pubblicata da altri. A parte i dati relativi alla strumentazione, per i quali si rimanda alla lettura approfondita, la sintesi a cui conducono le sperimentazioni è la seguente: l’incavo deve essere costruito su un’assebase sufficientemente largo da permettere un corretto meccanismo di accumulo della polvere di legno prodotta con la confricazione; gli errori di accumulo ovvero l’accumulo a corona o sul retro dell’assebase dipendono rispettivamente dalla poca penetrazione della canaletta di accumulo nell’incavo e dalla posizione dell’incavo sulla superficie superiore dell’assebase. Per fare ruotare il trapano e riuscire a produrre la brace sono importanti sia l’arco dell’incavo ovvero l’intersezione della canaletta con l’incavo, che deve essere compreso fra 1/5 e 1/7 dell’intera circonferenza dell’incavo (il diametro dell’incavo coincide con il diametro del trapano) sia la penetrazione della canaletta, che deve essere pari a 5 o 6 mm utilizzando un trapano di 15 mm ca. Il trapano esce dall’incavo quando la canaletta laterale è troppo penetrante nell’incavo, si blocca quando è poco penetrante. Ringraziamenti Desidero ringraziare sentitamente la Professoressa R. Grifoni Cremonesi del Dipartimento di Scienze Archeologiche dell’Universita di Pisa per i suoi preziosi insegnamenti. Bibliografia AA. VV., 1988. Archeologie Aujourd’hui (collection) - Archéologie expérimentale, Tome I, Le Feu: métal et céramique, Actes du colloque internationa l´ Experimentation en archéologie: bilan et perspectives, Archéodrome de Beaune. AA. VV., 1991. 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As regards Italy we have no traces about the Palaeolithic and the Mesolithic ages while the oldest finds are the percussion steel of Isolino di Varese dating to Early Neolithic. In the following age, the Eneolithic, the same technique can be found both in the steel belonging to the Similaun mummy and in the steel found in the tomb n. 40 of the Necropolis of Radamello, dated 3200 – 2400 B.C. No drill revolving technique is present during the Palaeolithic and Neolithic ages in Italy. This lack of evidences prevents from understanding if the drill revolving movement on wood and percussion techniques were used in the same territory or if their use was widely spread and if the diffusion of their use depended on the characteristics of the territory. The catalogue of mining sites in Tuscany shows a wide diffusion of iron sulphur deposits but it does not records any information about the variety of minerals and the dept of the extraction. The diffusion of iron sulphurs in that county does not give credit to the assumption that percussion was used to light fires: the use was improved by the quality of the mineral rather then the quantity. The most ancient evidence of deliberate use of fire in Italy has been discovered in the Cave of San Bernardino (Mossano, Vicenza), where a settlement with hearth dated 250.000/200.000 years B.P. has been found. If we put in relation the most ancient evidence of fire lightning, represented by the steels of Isolino di Varese dating Early Neolithic, and the hearth of San Bernardino Cave, which is the oldest evidence of anthropic use of fire, we can L’accensione del fuoco nella preistoria europea realize the deep chronological gap that separates the two techniques; this prevents us from understanding with which technique the most ancient hearths were lit. Fungus used as touchwood for the percussion technique (Fomes fomentarius and Ungulina betulina) live in temperate environments. It would be interesting to go deeper in the mycology to exclude their presence in glacial environments even if this would only exclude the use of this specific touchwood but not the technique. More prolific are the studies on percussion stones: a percussion stone must have some technological characteristics enabling it to hit iron sulphur: those characteristics are the dimensions, preferably more then 2,5 cm and the thickness: the ones with a carved bottom fit better for this purpose. The most functional finishing touches seem to be the raised and simple ones with no ripples. A mixed alteration came out in the lithic striker used for the experiments of this study (both simple and scalariforme ) but it rounded off with the use (maybe the same wear that Colini found in the steel discovered in the tomb n. 40 of Radamello Sotto). The study of the iron sulphur can offer some other information; looking at the micro-traces left by the use on the pyrite or on the marcasite stone, the type of striker used and the action carried out can be traced: with a hammering movement the scraper leaves a hollow or bowshaped mark as it is used by the pointed end; of the scraping blade only the side edge is used and, with the help of a rubbing movement, a linear mark on the iron sulphur is left. As regards the drill revolving method on wood, the perishable nature of the material used makes preservation very difficult and badly influences every possible development of study. The part of the present study relating to drill revolving method on wood is of a certain importance for those experimental archaeologists interested in a comparative study or in finding a new knowledge on instruments and, above all, on an operative process still to be published. Leaving aside data regarding instruments (more complete information can be found in a separate section of the whole study), experiments bring to the following conclusions: the hollow has to be made on a board large enough for wood 49 dust to slip out while the drill is moving; mistakes as circular accumulation or accumulation on the back of the board depend respectively on a not deep dust expulsion duct in the hallow and on the position of the hallow on the upper surface of the board. To let the drill move and produce embers, very important is the width of the hollow, which must be between 1/5 and 1/7 of the whole circumference of the hollow (the diameter of the hollow coincide with the diameter of the drill) and the duct, which must penetrate 5 or 6 mm the hollow using a drill of 15mm ca. The drill goes out the hollow when the side duct is too deep in the hollow, stops when it is not much penetrating.