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L`accensione del fuoco nella preistoria europea

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L`accensione del fuoco nella preistoria europea
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Quad. Mus. St. Nat. Livorno, 19: 23-49 (2006)
L’accensione del fuoco nella preistoria europea
Dati sperimentali sulla confricazione dei legni e sulla percussione delle pietre
BARBARA RAIMONDI1
RIASSUNTO. Viene trattato un argomento raramente studiato e di cui perdurano molte informazioni errate.
L’argomento è stato affrontato con un approccio sperimentale e bibliografico. Le ricerche sperimentali sulla tecnica della confricazione hanno portato a individuare le fasi operative e definire le caratteristiche ottimali della
strumentazione. Viene sperimentato anche il metodo della percussione di cui è stato documentato il processo
operativo. In questo caso l’approccio multidisciplinare ha permesso di reperire preziose informazioni nelle discipline della botanica e della mineralogia. Le informazioni acquisite con il metodo sperimentale hanno consentito
una più ampia interpretazione delle informazioni edite.
Parole chiave: Archeologia sperimentale, fuoco, confricazione, percussione.
SUMMARY. A rarely studied topic which is still object of erroneous information is descrived. The subject of the present
study has been developed in an experimental and bibliographical way. Thanks to experimental researches on the technique of
the drill revolving movement, the operative phases and the best characteristics of the instruments have been focalised. The
study also presents a documented operative process of the percussion method. In this case the multi-disciplinary approach
has permitted to get precious information on botanic and mineralogy. The information acquired by the experimental method
has given a more wide interpretation of what had already been studied on this subject.
Key words: Experimental archaeology, fire, drill revolving, percussion.
Introduzione
Il presente lavoro tratta la confricazione dei
legni e la percussione delle pietre come metodi
di accensione del fuoco nei periodi del Paleolitico
e Neolitico dell’area italiana ed europea.
Dagli studi attuali di etnografia è possibile
vedere che i metodi di accensione del fuoco sono
molti (Smith, 1955; Singer et al., 1954; Plumet,
1989; Sarauw, 1907) qui verranno trattati solo due
di questi ovvero quelli attestati dai ritrovamenti
archeologici.
Le segnalazioni archeologiche sono un numero esiguo, purtroppo questo dipende in parte
dalla cattiva conservazione dei materiali impiegati, ovvero i legni per la confricazione, i solfuri
naturali di ferro per la percussione ed eventualmente le esche fomentarie, ed in parte dalla non
conoscenza dello specifico argomento dei meto-
di di accensione. Proprio per questi motivi il presente lavoro è stato orientato alla
sperimentazione, che ha permesso di fornire delle
descrizioni dettagliate della strumentazione, dei
processi operativi nonché di riflettere su quelli
che potrebbero essere gli orizzonti di questo
ambito di studio.
Lo stato degli studi
Nella storia delle ricerche sul fuoco nella preistoria gli studi di Harrison pubblicati nel 1961 e
quelli della Perlés nel 1977 rappresentano la fase
iniziale (Harrison, 1961; Perlés, 1977).
Harrison affrontava l’argomento fuoco
evidenziando l’alto valore tecnologico di questa
invenzione e il conseguente miglioramento per
la vita quotidiana, trattando in particolare l’impiego del fuoco per l’illuminazione e il riscalda-
1. Via Valdinievole 14, 50127 Firenze. e-mail: [email protected]
24
Barbara Raimondi
mento. Harrison si occupò anche dei metodi della confricazione dei legni e della percussione delle
pietre finalizzati all’accensione del fuoco; in questa parte del suo lavoro sono presenti molte citazioni etnografiche.
Nello studio pubblicato nel 1977 da Perlés trovano maggiore spazio gli argomenti relativi agli
impieghi del fuoco e sono presenti le descrizioni
sui metodi della confricazione e dalla percussione. Inoltre Perlés per la prima volta raccolse in
un elenco le località europee in cui furono rinvenute le testimonianze della confricazione e della
percussione; nella pubblicazione erano inserite
testimonianze certe ma anche dati piuttosto dubbi ed altri inediti, mancavano attestazioni di siti
italiani e le descrizioni delle tecniche di accensione del fuoco erano soltanto supposte, poiché
Perlés non affrontò uno studio sperimentale
(Perlés, 1977).
In realtà, entrambi i lavori fin qui descritti trattano lo studio dei metodi di accensione del fuoco
con un approccio teorico, di conseguenza le descrizioni riportate sono scarse di osservazioni sul
processo operativo e sulla strumentazione.
L’approccio sperimentale alla problematica
compare per la prima volta nello studio di Collina Girard, che nel 1993 pubblicò sul un articolo
in cui trattava la strumentazione impiegata per
la confricazione e per la percussione, dedotta
dalla pratica sperimentale di questi metodi. Inoltre in una prospettiva di studio multidisciplinare
tentò di classificare le essenze legnose più adatte
per la confricazione; sul versante della ricerca
bibliografica ampliò il catalogo relativo alle testimonianze europee redatto dalla Perlés integrandolo con i dati che una ventennale ricerca
aveva portato alla luce. Il catalogo ancora oggi
ha la sua validità a livello europeo: conta circa
una decina di località in cui sono stati rinvenuti i
resti delle due tecniche di accensione, quella della confricazione dei legni e quella della percussione delle pietre (Collina Girard, 1993). Il catalogo registra per il Paleolitico superiore gli
acciarini di Laussel (Dordogna, Francia), Trou de
Chaleux (Provincia di Namur, Belgio) e Star Carr
(Yorkshire, Inghilterra), per il Mesolitico quello
rinvenuto a Trou al’Wesse (Provincia di Liège,
Belgio), per il Neolitico quelli di Montilier e
Portalban (Cantone di Friburgo, Svizzera) per il
Calcolitico quelli di Senales (Loc. Giogo di Tisa,
BZ, Italia) e Vandières (Meurthe e Moselle, Fran-
cia ). Il lavoro fu poi pubblicato come monografia nel 1998 (Collina Girard, 1998), nel catalogo
non sono presenti dati relativi all’Italia.
I dati italiani
La ricerca bibliografica
Lo studio bibliografico è stato sviluppato cercando di capire se l’omissione dei dati relativi
alle attestazioni italiane, constatata nei cataloghi
suddetti, dipendesse da un’effettiva mancanza
di testimonianze o da una incompletezza di questi lavori.
Il risultato della lunga ricerca bibliografica è
stata l’individuazione di alcune testimonianze
anche per l’Italia. Sono da citare gli strumenti
pubblicati dallo studioso Maviglia nel 1953, rinvenuti negli strati tardo neolitici del sito di Isolino di Varese (prov. Varese): Maviglia rinvenne
alcuni “strani” strumenti composti da un elemento litico inserito in un manico (Maviglia, 195354). Queste testimonianze sono interpretate oggi
come acciarini per la percussione finalizzata all’accensione del fuoco.
Anche se il presente lavoro si propone di trattare i periodi del Paleolitico e del Neolitico, è
opportuno segnalare che nel periodo Calcolitico
l’elenco degli acciarini rinvenuti in territorio italiano si arricchisce con un’altra attestazione pubblicata nel 1898 dallo studioso Colini, che la
recuperò nella tomba n° 40 della Necropoli di
Remedello Sotto e da collocarsi nell’omonima
facies culturale (Colini, 1898).
Gli acciarini di Isolino di Varese e Remedello Sotto
Nella Palafitta di Isolino di Varese, negli strati tardo neolitici, furono rinvenuti degli strumenti
che lo studioso Maviglia pubblicò come “speciali percussori per la lavorazione dei microbulini”
(Maviglia, 1953-54). Anche Colini interpretò
l’acciarino rinvenuto nel 1898 nel corredo
funerario della tomba n° 40 della Necropoli di
Remedello Sotto come un ritoccatore per la lavorazione della litica: fu rinvenuto uno strumento in selce inserito in un manico di corno di cervo (Fig. 1). E’ interessante il confronto che lo studioso De Marinis ha fatto tra alcune accette metalliche rinvenute nella Necropoli di Remedello
Sotto e quella della Mummia del Similaun (De
Marinis, Brillante, 1998; Fleckinger, Steiner, 1999)
perché dallo studio affrontato risulta che la stes-
25
L’accensione del fuoco nella preistoria europea
C
B
D
A
E
F
Fig. 1 - Acciarini da percussione: acciarini rinvenuti nella Palafitta di Isolino di Varese: Acciarino composto da un elemento
litico inserito in un manico (A); Acciarino immanicato il cui manico è in parte mancante (B); Elementi litici riportanti del
collante (C;D) (Maviglia, 1953-54). Acciarino rinvenuto nella Tomba n° 40 della Necropoli di Remedello Sotto: “strumento
formato da una specie di piccolo nucleo di selce con la testa spianata e levigata dall’uso, fisso in un manico, lungo mm. 63,
ricavato da un palco di corno di cervo. La parte litica è lunga mm. 42, col diametro massimo nella testa di mm. 20 e alla base
di mm. 19” (E) ( da Colini, 1898). Il grattatoio carenato rinvenuto nella cintura della Mummia del Similaum (F) (De Marinis,
Brillante, 1998).
Fig. 1 – Percussion steels: steels found in the palafitte of Isolino di Varese: Steel composed of a lithic element inserted in a helve (A); steel
with a handle whose handle is partly missing (B); Lithic elements with gluing paste (C; D) (Maviglia, 1953-54). Steel found in Tomb nr
40 in the Necropolis of Remedello Sotto “a tool made of a sort of small flint nucleus with the head levelled and smoothed by the use, inserted
in a handle, 63 mm long, made from horns of deer. The lithic side is 42 mm long, while the maximum diameter of the head is 20 mm wide
and the base is 19 mm” (E) (from Colini, 1898); Scraping tool found in the belt of the Similaun mummy (F) (De Marinis, Brillante,
1998).
sa Mummia confermi anche la tecnica della percussione visto gli elementi rinvenuti nel suo
marsupio. Nella cintura cucita a mo’ di marsupio
erano contenuti alcuni frammenti di fungo
fomentario, sui quali è stata individuata la
polvere di solfuro naturale di ferro che normalmente viene prodotta durante la percussione inoltre era presente un grattatoio
carenato: è ipotizzabile che questi pezzi costituissero un unico acciarino (Fig. 1 F).
La ricerca bibliografica non ha portato risultati positivi per quel che riguarda la tecnica della confricazione dei legni: in ambito
e u ro p e o p e r i p e r i o d i d e l P a l e o l i t i c o ,
Mesolitico e Neolitico sono segnalate le bacchette di Krapina (Croazia), La Gavette
(Francia) e Lortet (Francia) ma il loro impiego come trapani da fuoco è dubbio per la
forma o i materiali in cui sono realizzati.
Per quel che riguarda le epoche del Rame
e del Bronzo, spesso nei cataloghi vengono
segnalati i “materiali vegetali” (asticelle di
legno) ritrovati nei depositi di tipo umido,
queste segnalazioni risultano essere mal
confutabili perché non riportano certi dati
che invece ne determinerebbero la funzione
di trapano o arco da fuoco.
La statua stele n ° 30 di St. Martin de Corléan
G l i s t u d i a l i v e l l o e u ro p e o s u l l a
confricazione dei legni finalizzata all’accensione del fuoco si sono rivolti anche ai documenti iconografici: sono stati così individuati alcuni menhirs riportanti un arco ed
una bacchetta incisi e quest’ultima è stata
interpretata da alcuni come freccia per la
caccia, da altri come trapano da fuoco. Anche su questo versante il catalogo europeo
non riferisce nessuna documentazione relativa ai casi italiani. Nonostante questo filone della ricerca porti ad interpretazioni piuttosto dubbie, è da segnalare la seguente testimonianza italiana: la statua menhir n° 30
rinvenuta a St. Martin de Corléans (AO) ri-
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Barbara Raimondi
Fig. 2 - Stele antropomorfa maschile n° 30 da St. Martin de
Corléan (AO): alta 3 m. ca, larga 1.70 m. e spessa 0.07 cm.
Sono evidenziati l’arco e la freccia o trapano.
Fig. 2 – Male antropomorphic stele nr 30 from Corléan (Ao): 3 m
high, 1.70 m wide and 0.07 cm thick. Here are indicated the bow
and the arrow or drill.
porta un arco ed una bacchetta incisi (De
Marinis, 1994; Arnal, 1976; Zidda, 1996;
D’Anna, 1977; Longhi et al., 1994) (Fig. 2).
Le esche da fuoco
I resti di funghi fomentari
In riferimento al metodo della confricazione,
il termine esca indica il nido di materiale
incendiabile (foglie ed erba secca, stoppa) al cui
interno viene posta la brace prodotta dalla
confricazione, mentre a proposito del metodo
della percussione, il termine esca è usato per indicare il materiale su cui cade la scintilla prodotta dalla percussione (generalmente un fungo
fomentario) oltre al nido di erba secca.
La scelta delle esche è molto circoscritta soprattutto se finalizzata al metodo della percus-
sione: infatti alcuni funghi che vivono sugli alberi (lignicoli) sono risultati essere molto
funzionali avendo al loro interno una parte
(detta
“amadou”
dagli
archeologi
sperimentatori e carne o micelio dai micologi)
particolarmente sensibile alla scintilla.
Consultando varie pubblicazioni (Intini,
1990; Heim, 1984; Zeitlmayr, 1955; CollinaGirard, 1993; 1998) risulta che i funghi
fomentari adatti ad essere utilizzati come esca
sono due: Fomes fomentarius ed Ungulina
betulina.
Fomes fomentarius (Syn. Ungulina fomentaria)
appartiene alla famiglia delle Poliporaceae, ossia dei funghi parassitari che vivono sul tronco degli alberi in genere latifoglie. Alcuni archeologi sperimentatori hanno provato che i
funghi polipori sono adatti ad avviare il fuoco, cioè sono ottime esche fomentarie perchè
sensibili alla scintilla, che vi cade sopra incendiandosi subito ma lentamente, e che il fungo
migliore è Ungulina betulina che però non è mai
stato riconosciuto fra i resti archeologici.
Nonostante la natura fortemente deperibile,
in taluni casi eccezionali si sono conservati i
resti di Fomes fomentarius: nel sito di Star Carr
(Yorkshire, Inghilterra) negli strati del
Paleolitico superiore è stata rinvenuta una
grande quantità di questi funghi associata a
dei noduli di pirite (Clark, 1954; 1980), nel Cantone di Friburgo sono stati rinvenuti alcuni
Fomes fomentarius associati a percussori litici e
a solfuri di ferro collocati negli strati Neolitici
del sito (Collina Girard, 1998) altresì la
celeberrima mummia del Similaun portava
nelle sua cintura-marsupio vari frammenti di
fungo fomentario ricoperti di polvere di solfuro naturale di ferro ed un grattatoio di selce
(Egg, Spindler, 1992).
In altre località sono stati rinvenuti i soli
funghi parassitari non associati ai solfuri naturali di ferro: per il Paleolitico medio ricordo
Salzgitter-Lebensted nella Bassa Sassonia (Germania) in cui Fomes fomentarius è stato rinvenuto insieme ai resti scheletrici dell’uomo di
Neanderthal (De Marinis, Brillante, 1998) e per
il Neolitico segnalo il sito di Portalban nel
Cantone di Friburgo (Svizzera) (Collina
Girard, 1993; 1998; Boura, 1993; Corner, 1950;
Dark, Mellars, 1998; Mortillet, 1908; Oakley,
1955; Roudil, 1987).
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L’accensione del fuoco nella preistoria europea
SINTESI DELLE PIÙ ANTICHE TESTIMONIANZE DI ACCENSIONE DEL FUOCO
Paleolitico Superiore
° Trou de Chaleux
Mesolitico
° Trou al'Wasse
Neolitico
Calcolitico
* Palafitte svizzere
° " Senales
° Laussel
° “ Cantone di Friburgo
° Vandières
° ” Star Carr
° Isolino di Varese
° Palafitte svizzere
° Remedello Sotto
* Statue-menhir
Tab. 1 - (°) testimonianze del metodo della percussione delle pietre, (“) frammenti di fungo-esca, (*) testimonianze del
metodo della confricazione dei legni. Sono evidenziate in grassetto le testimonianze italiane.
Tab. 1 - (°) attestations of the percussion method, (“) fragments of mishroom for fire, (*) attestations of the drill revolvig movement. The
italian attestations are foregroud.
Conclusione
Nella tabella che segue sono riportati i dati
considerati certi relativi alle più antiche testimonianze di accensione del fuoco in Europa e quelli relativi agli acciarini italiani. Sono indicati: i
solfuri naturali di ferro con evidenti tracce di
sfregamento la cui destinazione è sicuramente
riferibile alla percussione (°), i resti di funghi
fomentari rinvenuti in associazione con i solfuri
naturali di ferro (“) e le attestazioni sulla
confricazione dei legni (*); a tal proposito non
sono riportati i dati su Krapina, La Gavette e
Lortet perché sono segnalazioni dall’interpretazione molto dubbia (Tab. 1).
Il panorama italiano è privo di segnalazioni
relative ai metodi di accensione per i periodi del
Paleolitico e del Mesolitico.
I ritrovamenti italiani più antichi risalgono al
Tardo Neolitico, attestano la tecnica della percussione e sono gli acciarini rinvenuti ad Isolino di
Varese. Nel periodo Eneolitico questa tecnica è
attestata dall’acciarino della Mummia del
Similaun (datata grossomodo al 3350-3100 a.C.)
e dall’acciarino rinvenuto nella tomba n° 40 della Necropoli di Remedello Sotto e datato 32002400 a.C. (datazione che generalmente è accettata per la cultura di Remedello).
Per quanto riguarda la tecnica della percussione le testimonianze europee sono certe dal
Paleolitico Superiore in poi: la tecnica è provata
dagli acciarini di Trou de Chaleux, Laussel e dal
ritrovamento di Fomes fomentarius associato ad
un nodulo di pirite rinvenuto a Star Carr; la percussione è confermata nel Mesolitico a Trou
al’Wesse.
E’ necessario osservare la forte discrasia che
separa le attestazioni dei metodi di accensione e
le attestazioni di uso intenzionale del fuoco in
Europa ed in Italia: la più antica testimonianza di accensione del fuoco in Europa è quella
di Laussel (Dordogna, Francia) ed è datata almeno 20.000 anni da oggi mentre il ritrovamento più antico di uso del fuoco in Europa è
la Grotta dell’Escale, datato fra i 650.000 e
600.000 anni B.P.
In Italia il più antico focolare è stato rinvenuto nel sito di San Bernardino ed è datato
250.000-200.000 anni B.P. mentre la più antica
attestazione di tecnica sono gli acciarini di Isolino di Varese collocati nel Tardo Neolitico.
Considerando questi dati risulta evidente
il grosso gap che separa le testimonianze di
metodo di accensione dall’uso antropico del
fuoco, questo fa capire che le attestazioni sui
metodi che abbiamo sono del tutto fortuite e
non ci indicano quale tecnica veniva impiegata per accendere i più antichi focolari.
Più nello specifico del metodo della percussione è da notare che dei tre elementi su cui si
basa la percussione (solfuro naturale di ferro,
percussore litico ed esca), due di essi subiscono fortemente i processi di degrado, quindi
considerate le difficoltà di conservazione del
solfuro naturale di ferro e dell’esca fomentaria,
l’indagine sul metodo della percussione si dovrebbe concentrare sul percussore litico, nella
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Barbara Raimondi
modalità specificata in modo approfondito più
avanti nel presente lavoro.
Scarsi sono i dati europei relativi alla
confricazione del legno: le testimonianze più
antiche sono quelle dei depositi palafitticoli del
Neolitico svizzero.
Dubbia è l’interpretazione dell’iconografia
riportante un arco e forse un trapano individuata in alcune statue menhirs europee e nella stele antropomorfa n° 30 di St. Martin de
Corléan (AO). A tal proposito è da osservare
che per accendere il fuoco con la tecnica della
confricazione non è indispensabile l’arco: infatti il trapano può essere fatto ruotare anche
con le sole mani, invece l’assebase più dell’arco è indispensabile all’attuazione di questa
tecnica. Se queste persone utilizzavano l’arco
per muovere il trapano, perchè non avrebbero
rappresentato anche l’assebase?
La percussione delle pietre come metodo di
accensione del fuoco nella preistoria europea
La tecnica: le idee errate sul metodo della percussione (la triboluminescenza).
Per accendere il fuoco con “le pietre focaie”
è innanzitutto indispensabile capire quali pietre utilizzare e che tipo di scintilla produrre
infatti se percotiamo insieme due pietre si causano vari fenomeni chimici-meccanici che dipendono dalla natura delle pietre utilizzate, è
quindi indispensabile capire quali pietre usare per innescare il meccanismo che porta alla
giusta scintilla.
Se prendiamo due selci e le percuotiamo
l’una contro l’altra causeremo una
luminescenza localizzata nel punto d’impatto: tale fenomeno è detto triboluminescenza.
Questo tipo di lucentezza è causato dall’azione meccanica della percussione che stimola i
processi di elettricità dei corpi e la si può raggiungere con una grande varietà di materiali
opportunamente stimolati, ad esempio anche
sfregando o percotendo due cristalli di quarzo insieme. Il bagliore tipico della
triboluminescenza è localizzato nel punto
d’impatto sugli oggetti colpiti dall’azione meccanica di strofinio o percussione: con questa
tecnica e con questi materiali impiegati, selce
o quarzo, sarà impossibile generare delle scintille capaci di staccarsi dal punto di collisione.
Per ottenere il fuoco è necessaria una scintilla capace di planare fino ad un’esca
fomentaria posta ad una certa distanza ed è
necessario che tutti e due o almeno uno dei
due elementi collisi sia un solfuro naturale di
ferro: questo minerale caratterizzato da una
certa fragilità, contiene sia lo zolfo che il ferro. L’azione meccanica che si esercita sui solfuri naturali di ferro (marcassite o pirite) avrà
come conseguenza non una sterile
luminescenza ma una reazione di combustione ovvero una scintilla la cui vita durerà per
qualche secondo. Queste particelle incandescenti sono accese dai 1000 °C che si sono sprigionati con l’impatto, che hanno innescato la
combustione dello zolfo e la conseguente fusione del ferro contenuto nella particella (Collina Girard, 1998); la combustione avverrà in
pochi secondi durante il volo della particella
distaccata e a volte continuando anche quando la scintilla si è ormai posata sull’esca.
In epoche più recenti si sostituì il solfuro
naturale di ferro con una lama di ferro carburato perché si riscontrò che la selce e questa
lama d’acciaio formavano una combinazione
migliore, dato che l’acciaio dava scintille più
calde di quelle prodotte con il solfuro naturale di ferro.
Le pietre utilizzate
Il percussore litico e il solfuro naturale di ferro
Abbiamo detto che il solfuro naturale di
ferro è il minerale che deve essere impiegato in questa tecnica d’accensione perché contiene il ferro e lo zolfo.
Tantissimi minerali contengono lo zolfo
ma quello presente nella marcassite e nella
pirite ha una struttura chimica che ne aumenta la sensibilità alla combustione; altrettanti minerali contengono il ferro come la
p i r ro t i n a , l a m a g n e t i t e , l ’ e m a t i t e , l a
calcopirite ma è indispensabile che zolfo e
ferro siano associati in un unico minerale e
questo è il motivo per cui non è possibile
accendere il fuoco con un cristallo di zolfo
o con tutti i minerali di ferro.
Il metodo di percussione più antico, quello preistorico, vede l’impiego di due solfuri
naturali di ferro o altrimenti di uno di essi
percosso da un componente litico (Fig. 3).
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L’accensione del fuoco nella preistoria europea
1
2
3
5
4
6
Fig. 3 - Percussione di due noduli di marcassite (1); Noduli di marcassite in buono stato di conservazione privi di ossidazioni
(2); Percussione di una marcassite con una selce (3); Nodulo di marcassite a cristalli radiali: è ben visibile lo strato esterno di
alterazione (4); Pirite microgranulare ottima per produrre delle scintille (5); Pirite con cristalli grandi pentagonododecaedrici,
non adatta alla produzione delle scintille (6).
Fig. 3 – Percussion of two nodules of marcasite (1); marcasites in good state of preservation without oxidization; Percussion of a marcasite
with a flint (3); Nodule of a marcasite with radial crystals: the external layer of alteration is well shown (4); Micro-granular pyrite
excellent for the production of sparks (5); Pyrite with big dodecahedric-pentagonal crystals, not fit for the production of sparks (6).
Il percussore litico
“Le pietre focaie”
Le pietre più adatte a percuotere il solfuro
naturale di ferro sono la roccia quarzifera, il
quarzo, il calcedonio e la pietra silicea; le caratteristiche che associano questa varietà di
pietre sono la durezza, la compattezza e la
possibilità che ne sia determinata la loro forma. E’ preferibile che queste pietre abbiano
una forma adeguata all’impiego (come spiego
in modo approfondito più avanti), che abbiano una dimensione che permetta di reggerle
in mano o, come nel caso del ritrovamento
della tomba n. 40 della necropoli di Remedello
Sotto, possano essere inserite in un manico, in
quel caso in corno di cervo.
Per il loro impiego nella percussione finalizzata all’accensione queste pietre sono dette
“pietre focaie” e più raramente “pietre
piromache” ma anche “acciarini”, soprattutto
in riferimento alle porzioni di lama impiegate
nei meccanismi delle armi belliche dei secoli
scorsi (Chelidonio, 1991; Avanzino, Pasquali,
1994).
Il solfuro naturale di ferro (FeS 2 ): la
marcassite e la pirite
Pirite (FeS2)
peso specifico:
durezza:
percentuale di Fe:
4,89
6 - 61/2
46,6%
Marcassite (FeS2)
peso specifico:
durezza:
percentuale di Fe:
5,02
6- 61/2
46,6%
Sia la marcassite che la pirite presentano
un’identica composizione chimica (bisolfuro di
ferro o FeS2), la stessa durezza e percentuale di
ferro, il peso specifico è approssimativamente
uguale ma hanno differente struttura interna e
30
Barbara Raimondi
di conseguenza diverso abito cristallino
(Hurlburt, 1968).
Marcassite o marcasite
La marcassite è un minerale duro, pesante,
fragile, con lucentezza metallica, contenente il
ferro, ha cristalli radiali o globulari. La varietà a
cristalli radiali sottoforma di nodulo, che è la più
attestata dai ritrovamenti, può presentare su tutta la superficie esterna uno spessore di circa 1-2
mm di ossidazione superficiale (limonite,
ghetite...); in questo stato per poterla utilizzare
come acciarino, è necessario che sia privata dello strato esterno in modo da arrivare ai cristalli
interni che sono la parte funzionale alla produzione delle scintille. E’ necessario procedere alla
rottura del nodulo mediante una percussione
diretta: il nodulo si infrangerà in modo non
predeterminabile e, a questo punto, i cristalli saranno a vista (Pétrequin, 1986).
La marcassite è classificata come minerale rarissimo: a contatto con l’acqua o l’ossigeno è investita dalla corrosione; si trova nei giacimenti
naturali (ambienti sedimentari di argille o marne)
se sigillata negli strati; altrimenti già in posizione primaria e ancor più spesso, quando si trova
in giacitura secondaria, è sottoposta a un forte
fenomeno di corrosione (Giardino, 1998).
La qualità della marcassite all’interno di un
giacimento naturale è variabile; nel nostro caso
è ritenuta pessima quella che non permette la
produzione di scintille; l’aspetto interno è indicativo della qualità operativa della marcassite,
ovvero la lucentezza metallica, l’assenza di
ossidazioni interne, il peso, sono tutti fattori indicativi di una marcassite di buona qualità, ad
alto contenuto di ferro, ottima per essere adoperata come acciarino.
La dimensione ottimale del nodulo è un parametro funzionale che dipende dalla manualità
di chi andrà a maneggiarlo: in linea generale le
dimensioni migliori sono quelle comprese fra 34 cm fino ad una decina di centimetri.
Pirite
Anche la pirite è un solfuro naturale di ferro
ma ha una cristallizzazione differente dalla
marcassite; i cristalli della pirite possono essere
cubici o pentagonododecaedrici e sono uniti
l’uno con l’altro in modo caotico. I cristalli di pirite hanno dimensioni molto varie; nella tecnica
della percussione è utile solo la pirite dai cristalli piccoli (detta pirite microgranulare): quest’ultimi possono staccarsi ed incendiarsi in scintille
mentre il cristallo di grandi dimensioni non si
frantuma al colpo (Fig. 3).
Dove si trova il solfuro naturale di ferro, la
conservazione in giacitura secondaria e i prodotti della corrosione, la diffusione della tecnica
La pirite e la marcassite si conservano spesso
nei depositi primari di formazione ma le cui condizioni raramente sono ripetibili. Infatti, come è
facile pensare, i solfuri di ferro difficilmente
si mantengono nei depositi archeologici perché sono particolarmente reattivi a certi agenti esterni come l’umidità o, in ambiente secco,
all’attacco dei gas (ossigeno ma anche anidride
carbonica e solforosa) (Giardino, 1998).
La combinazione del metallo con i suddetti
elementi innesca il processo chimico della “corrosione”. Si possono distinguere tre tipi di corrosione: la “patina” è un’alterazione microscopica superficiale non particolarmente aggressiva; il “gossano” detto anche fenomeno di
“passivazione” è uno strato di limonite e/o
ghetite che ricopre esternamente ed uniformemente i noduli e li protegge impedendo l’ulteriore diffusione del processo di degrado, ha
tempi di evoluzione molto lenti; gli ossidiidrossidi di ferro (ruggine o ocra) sono il risultato della corrosione più aggressiva che
porta al completo disfacimento dell’oggetto,
il processo è molto veloce e in alcuni casi questa ossidazione è localizzata e avanza comunque progressivamente sempre più in profondità fino a degradare completamente il metallo.
A proposito dei prodotti della corrosione
dei solfuri naturali di ferro, è interessante notare che quando la pirite e la marcassite sono
in giacitura primaria (nei giacimenti minerari) si trovano in suoli di formazione estremamente antica. Ma quando la pirite o la
marcassite e soprattutto gli ancor più frequenti
ossidi di ferro si trovano in terreni di recente
formazione, come quelli indagati dall’archeologia, significa che qualche azione, naturale o
antropica, li ha portati in quel nuovo contesto
di giacitura: in questo senso il ritrovamento di
L’accensione del fuoco nella preistoria europea
un solfuro naturale di ferro ma soprattutto di
un prodotto della corrosione di questi acquista un’estrema importanza perché giacente in
un deposito giovane che non è quello originario.
Considerando che la regione Toscana è molto ricca di aree minerarie, si è cercato di individuare i giacimenti di solfuro di ferro con le
caratteristiche che si ritengono funzionali all’impiego della percussione finalizzata all’accensione.
A questo fine è stato analizzato il censimento delle aree minerarie presenti sul territorio
regionale, pubblicato dalla Regione Toscana
nel 1991 (AA.VV., 1991).
Nel catalogo sono inventariate 168 aree minerarie di cui 73 forniscono i solfuri di ferro oltre
ad altri minerali, purtroppo nel catalogo non
sono presenti dati utili alla ricerca dei metodi di
accensione. Non sono riportate la varietà dei
minerali presenti nei giacimenti ovvero è indicata la presenza di un certo minerale, ad esempio
la pirite, ma non viene specificato se
microgranulare o cubica e questo è un dato non
trascurabile visto che per l’accensione risulta essere funzionale soltanto la varietà microgranulare
e con certe caratteristiche di integrità. Dal catalogo notiamo che la maggior parte dei giacimenti in Toscana ospita la pirite e un numero minore
la marcassite, ma anche questo dato non ci porta
ad avvalorare l’ipotesi che la pirite venisse utilizzata più della marcassite.
Un altro dato importante ma assente nel catalogo è la profondità in cui i giacimenti si trovano
ossia non è possibile sapere se i minerali si trovano in superficie o a quale profondità del suolo.
Purtroppo la maggior parte delle pubblicazioni relative ai giacimenti minerari fornisce delle
informazioni esaurienti per un certo ambito di
ricerca mineraria ma carenti per la specifica ricerca preistorica.
A queste condizioni è difficile poter verificare se le aree di approvvigionamento dei solfuri
di ferro coincidono con l’area di diffusione della
tecnica e concludere che la disponibilità naturale di questo minerale in certe zone abbia portato
le popolazioni autoctone a praticare la tecnica
della percussione per avviare il fuoco. Inoltre non
è possibile creare una carta significativa della diffusione spaziale dei ritrovamenti perché allo stato
31
attuale degli studi i rinvenimenti di acciarini da
percussione preistorici sono pochissimi e questo
quadro non può essere arricchito con i
ritrovamenti dei prodotti della corrosione (ossidi ed idrossidi di ferro) perché ancora si deve
fare molto per capire l’effettivo contributo che
questa tipologia di reperto può dare allo studio
dei metodi di accensione.
L’esca da fuoco
Nei siti di Star Carr, Friburgo e Senales sono
stati rinvenuti dei funghi polipori verosimilmente utilizzati come esche fomentarie, la specie individuata è Fomes fomentarius.
I funghi polipori
I funghi vivono in una ricchissima varietà di
ambienti, in riferimento al substrato sul quale
crescono essi vengono indicati con nomi diversi,
ad esempio lignicoli quando crescono sul legno.
Tutti i funghi, a differenza delle piante, sono privi di clorofilla e ciò li rende incapaci di assimilare dall’ambiente il carbonio necessario a costruire la sostanza organica di cui hanno bisogno per
svilupparsi. Essi traggono il proprio alimento da
detriti organici oppure direttamente da piante o
animali; i funghi parassitari sono lignicoli che
vivono a spese di piante o animali vivi (detti ospiti) e le Polyporaceae sono in grado di continuare
a vivere sugli alberi di cui hanno causato la morte, Fomes fomentarius appartiene a questa famiglia (Rambelli, 1981).
E’ importante notare che i funghi vivono in
specifici ambienti e che Fomes fomentarius è un
fungo diffuso in ambienti temperati e tropicali,
sarebbe interessante capire in quale misura questo dato ci possa portare ad escludere il loro impiego come esche fomentarie nelle fasi glaciali.
Struttura interna di Fomes fomentarius
Fomes fomentarius è composto da una corteccia esterna (carpoforo) di color fuliggine spessa
2-3 mm che protegge il fungo esternamente, a
forma di piramide o emisferica, di consistenza
dura, piatto nella parte inferiore.
La corteccia è spessa e dura, solcata a giri concentrici ed opaca. Sulla corteccia esterna
(carpoforo) di questo tipo di funghi si possono
notare le strie di accrescimento (Fig. 4 D).
32
Barbara Raimondi
Carpoforo
Micelio
A
C
A
Imenio
B
B
D
Fig. 4 - Struttura interna di Fomes fomentarius o Ungulina
fomentaria (A, B); F. fomentarius molto vecchio con tubuli
molto stratificati, quasi totalmente privo di amadou o
carne(C); Sono evidenti la strie di accrescimento che rivestono la corteccia esterna (carpoforo) di questo tipo di fungo (D).
Fig. 4 – Internal structure of Fomes fomentarius or Ungulina
fomentaria (A, B); a very old F. fomentarius with very stratified
canals, almost completely without “amadou” or pulp (C); the
streams of growth that envelop the external bark of this type of
fungus are well evident here (D).
Questo fungo contiene uno strato
d’amadou (carne, micelio o parte sterile per
i micologi) ed una parte legnosa (tubuli,
imenio o parte fertile per i micologi): la carne è di color ruggine. I tubuli sono prima
grigi ma più tardi divengono color marrone, a più strati interni al fungo, le spore sono
fusiformi di una dimensione che va dai 15
ai 22 millesimi di millimetro, la sua vita si
può protrarre sino a 15 anni. Cresce sugli
alberi frondosi, specialmente faggi e betulle ma anche castagno, noce, frassino, salice
(Rambelli, 1981).
Anche se Ungulina betulina 1 non è mai stata rinvenuta nei depositi archeologici si inserisce a titolo informativo una scheda des c r i t t i v a p e rc h é a l c u n i a rc h e o l o g i
sperimentatori la indicano come il poliporo
fomentario più efficace.
Fig. 5 - Escavazione del fungo a partire dalla superficie che
era a contatto con l’albero fino a raggiungere lo strato di
amadou (da Riv. L’Archeologue n° 37) (A); Raschiaturacotonatura della carne di un Fomes fomentarius (B).
Fig. 5 – The fungus is picked up taking away the surface attached
to the tree up to the pulp layer (from Riv. L’Archeologue nr 37)
(A); Grasping and combing of the pulp of a Fomes fomentarius
(B).
Descrizione del processo operativo: le fasi
della percussione
Raccolta e trattamento del fungo
Dopo aver individuato un fungo fomentario
si procede alla sua raccolta e al trattamento
dell’amadou.
Come abbiamo già visto lo strato di amadou
si trova subito sotto il carpoforo del fungo (Fig.4)
se il fungo ha un carpoforo tenero, tipo quello
dell’Ungulina betulina, sarà possibile affondarvi il coltello o addirittura romperlo con le mani,
altrimenti se il carpoforo è uno strato duro, tipo
quello di Fomes fomentarius, sarà possibile raggiungere l’amadou scavando a partire dalla superficie del fungo che era a contatto con l’albero
(Fig. 5 A).
Dopo aver raggiunto l’amadou si potrà procedere al suo trattamento secondo due modalità: la raschiatura-cotonatura o il taglio-estensione.
Il metodo della raschiatura-cotonatura si applica quando l’amadou del fungo è ormai secco,
completamente
disidratato,
prevede
l’asportazione dell’amadou con una scheggia o
uno strumento di pietra con il quale si va a raschiare lo strato di amadou direttamente nel fungo. L’amadou estratto con questo metodo diventa
molto soffice e simile al cotone (Figg. 5B, 7B).
1. Ungulina betulina o parassitario della Betulla: carpoforo: ampio 5-25 cm, forma concoide, convesso nella parte
superiore, concavo inferiormente o reniforme, a volte con un breve gambo, coperto da una pellicola liscia, sottile,
separabile, da biancastro a grigio-giallo a brunastro rossastro; margine arrotondato. La superficie superiore è
biancastra; i pori sono piccoli 3-4 per mm; la carne è biancastra, i tubuli sono bianchi alti 2-8 mm, fitti e corti.
Cresce in estate-autunno sulle betulle (Rambelli, 1981).
L’accensione del fuoco nella preistoria europea
A
B
C
D
E
F
33
Fig. 6 - Le fasi dell’estensione dell’amadou: dopo aver individuato un fungo fomentario, in questo caso Ungulina betulina (A)
con amadou elastico, si procede alla sua raccolta (B, C) e al trattamento dell’estensione: quindi è stato prelevato un brandello
(D; E) assottigliato ed allungato mediante l’estensione (F).
Fig. 6 – Stretching the pulp: after having found a firing fungus, Ungulina betulina (A), with elastic pulp, it is picked up (B, C) and
worked: a shred is taken, thickened and stretched (F).
Il metodo del taglio-estensione, si applica con
gli amadou elastici che sono tali perché molto
idratati, tipici dei funghi appena raccolti, prevede che l’amadou ancora all’interno del fungo sia
estratto a brandelli e che questi siano tirati ed
estesi fino ad assottigliarsi, asciugati poi prima
dell’uso (Fig. 6).
A
B
Fig. 7 - Fungo non adatto all’accensione; Fomes fomentarius
è stato diviso a metà ed è ben evidente che lo strato di
amadou al suo interno è stato mangiato dalle tignole: per
questo ha perso morbidezza e compattezza e adesso è uno
strato che si sgretola (A). Amadou di Fomes fomentarius
ricoperto di polvere di solfuro di ferro e quindi non più
appetibile per le tignole (B).
Fig. 7 – Fungus non suitable for fire lightning; Fomes fomentarius
is divided in two and it is well evident that the layer of amadou
has been eaten by moths: that is the reason why the pulp is thick
and compact and goes in pieces(A). Amadou of Fomes fomentarius
covered by iron sulphide powder (B).
In pratica il fungo cotonato si può usare solo
con la percussione a terra mentre il fungo tagliato ed esteso si presta sia alla percussione a terra
che alla percussione in mano (Figg. 8, 9).
Conservazione del fungo
E’ interessante segnalare che i fomentari raccolti dovranno essere conservati con cura infatti
una vera minaccia sono le tignole, più comunemente conosciute come tarme: si nutrono di varie sostanze, tra cui l’amadou, e
depongono le uova nei depositi alimentari.
Un fungo occupato dalle tignole non è utilizzabile perché l’amadou perde di elasticità
trasformandosi in uno strato non coeso che
si sgretola (Fig. 7A); le tignole possono occupare il fungo sia quando questo è ancora
attaccato all’albero sia quando è stato staccato: le larve misurano da uno a tre millimetri di lunghezza e si presentano di colore
bianco.
Per evitare il deterioramento del fungo
consiglio di procedere, subito dopo la raccolta, alla cotonatura o estensione
dell’amadou, perché un amadou così trattato non è più appetibile alle tignole. In ogni
34
Barbara Raimondi
a 3-4 secondi e la scintilla in volo può arrivare
ad una distanza di 40-50 centimetri rispetto al punto
in cui è stata originata.
Le scintille possono avere due tipi di traiettoria:
quelle con traiettoria dritta ad andamento veloce e
quelle con traiettoria più incerta, svolazzante; la percussione deve essere finalizzata alla produzione delle
scintille con traiettoria diretta che può essere orientata
verso l’esca, queste generalmente sono anche le scintille più calde.
Fig. 8 - Due fasi della percussione: il fungo è appoggiato a
terra, una mano sorregge il percussore litico che percuote il
nodulo di marcassite tenuto fermo dall’altra mano.
Fig. 8 – Two phases of the percussion: the fungus is on the ground,
a hand is holding the percussion stone that hits the nodule of
marcasite firmly held by the other hand.
Fig. 9 - La percussione avviene tenendo in mano tutti e tre
gli elementi: l’esca e le due pietre (Collina Girard, 1998).
Fig. 9 – The percussion is done holding all the three elements: the
touchwood and the two stones.
caso un sicuro espediente è quello di ricoprire l’amadou di polvere sulfurea ferrosa
percotendo la marcassite o la pirite sopra
all’amadou stesso (Fig. 7B). Altrimenti, un
metodo che riduce il rischio delle tignole,
ma non le elimina, è la segmentazione del
fungo in più porzioni: questo impedisce il
diffondersi delle tarme in tutto il fungo.
Tecniche di percussione
La percussione può essere praticata con
due sole modalità: sorreggendo le due pietre in mano e appoggiando il fungo a terra
(Fig. 8) o tenendo tutti e tre gli elementi in
mano (Fig. 9).
In entrambe i casi la percussione fra le
due pietre genera una scintilla che deve cadere sull’amadou: nel primo caso (Fig. 8)
l’esca è appoggiata a terra mentre nel secondo caso (Fig. 9) è tenuta in mano.
Con una percussione si possono produrre varie scintille fino ad una decina circa: la
combustione delle scintille può durare da 1
Accensione del fungo
Si percuotono insieme un percussore litico, in
questo caso una lama raschiatoio carenata di selce
ed un nodulo di marcassite (Fig. 10A); la scintilla prodotta cade sull’esca fomentaria che inizia
una combustione molto lenta (Fig. 10B). Non
è n e c e s s a r i o s o ff i a re s u l l ’ e s c a p e rc h é
l’amadou è talmente sensibile che la combustione si alimenta spontaneamente, è anzi
necessario separare la parte accesa per impedire uno spreco dell’esca (Fig. 10C). L’esca
combusta e prelevata si inserisce nel nido
(Fig. 10D) già preventivamente preparato
con erba secca ed un cuore di foglie secche
sbriciolate (Fig. 10E), poi si soffia all’interno del nido in modo che l’esca si ossigeni e
la combustione prenda più forza (Fig. 10F).
A questo punto si chiude il nido delicatamente in modo da non soffocare la combustione ma permettere che l’erba si incendi
(Fig. 10G); il nido inizia a fumare, si continua a soffiare tenendo le mani di lato al nido
permettendo all’ossigeno di entrare dal davanti, attraversare tutto il nido e di uscire
dal dietro (Fig. 10H). E’ necessario soffiare
piano ma in modo continuato: il nido inizierà ad emettere un fumo bianco e denso
(Fig. 10I) e comparirà la fiamma (Fig. 10L).
Conclusioni
Il percussore litico: individuazione dei tipi
funzionali, analisi macroscopica dell’usura
I percussori litici rinvenuti a Senales (loc.
Giogo di Tisa, BZ) e nel Cantone di Friburgo
(Svizzera) documentano l’uso dei grattatoi:
carenato nel primo caso e a muso nel secondo; anche Pétrequin ha usato nelle sue
sperimentazioni un grattatoio a muso
(Pétrequin, 1986; De Marinis, Brillante, 1998).
35
L’accensione del fuoco nella preistoria europea
A
B
C
D
G
E
H
F
I
L
Fig. 10 - Le fasi dell’accensione del fungo (A-L). Fig. 10 - The phases of fungus lightning (A-L).
Nel sito di Vandières (Meurthe e Moselle,
Francia) il percussore litico rinvenuto è una
lama a ritocco laterale continuo, mentre nelle sperimentazioni qui riportate si impiega
una lama raschiatoio carenata.
In generale in base alle sperimentazioni
condotte e a deduzioni del tutto empiriche,
si ritiene che il percussore litico debba avere alcune caratteristiche tecnologiche che lo
rendono adatto a percuotere un solfuro di
ferro. Tali caratteri riguardano le dimensioni preferibilmente maggiori di 2.5 cm quind i s o n o d a e s c l u d e r s i i m i c ro l i t i e g l i
ipermicroliti. Per quanto riguarda lo spessore si ritengono adatti quello carenato e
subcarenato, escludendo gli spessori inferiori. I ritocchi più funzionali pare che siano
quelli sopraelevato e semplice mentre per
quanto riguarda l’andamento è da escludersi
il denticolato (Laplace, 1964). Il percussore litico
realizzato per le sperimentazioni è una lama
raschiatoio carenata priva di ritocco sul bordo
funzionale (Fig. 11), questo con l’uso si è smussato e si è formato un ritocco misto in parte semplice ed in parte scalariforme. E’ da ricordare
che anche Colini evidenzia che l’acciarino rinvenuto nella tomba n° 40 di Remedello Sotto è “levigato dall’uso” (Colini, 1898).
Analisi macroscopica delle tracce d’uso sul solfuro naturale di ferro
Fino ad ora si è parlato di “metodo della percussione” ma in realtà questa denominazione
non è esatta, perché per generare delle scintille è
possibile non solo percuotere ma anche sfregare
il solfuro naturale di ferro. L’azione che si esercita dipende dalla forma del percussore litico: utilizzando un grattatoio si agirà con un’azione di
36
Barbara Raimondi
Fig. 11 - La macro-usura osservabile sulla lama raschiatoio carenata usata per le sperimentazioni.
E’ possibile osservare il ritocco che si è creato con l’uso e l’annerimento della lama dovuto al residuo di solfuro di ferro
depositatosi durante lo sfregamento-percussione.
Fig. 11 – The micro-worning out can be seen on the scraping blade used for the experiments. The picture shows the retouch created by the
use and the darkening of the blade due to the residual iron sulphide fallen after the percussion and the rubbing phase.
percussione mentre con un raschiatoio si effettuerà uno sfregamento. Osservando le macrotracce d’uso su una pirite o su una marcassite si
può risalire al tipo di azione esercitata e approssimativamente alla tipologia del percussore: infatti il grattatoio, la cui parte funzionale è la fronte, lascia un’impronta a forma di conca o di arco
(Fig. 12 A) mentre nella lama raschiatoio la parte
funzionale è il margine laterale e questo lascia
sul solfuro di ferro un solco lineare (Fig. 12 B-D).
Questo tipo di usura è evidente, oltre che sulla
marcassite usata durante la presente
sperimentazione, anche sull’acciarino rinvenuto a Trou de Chaleux (Fig. 12 B).
strumentazione e le differenti modalità d’impiego della stessa.
Anche considerando i cataloghi dei materiali
organici rinvenuti nei depositi umidi difficilmente uno sperimentatore del fuoco può individuare un trapano o un arco per la confricazione, infatti queste descrizioni trascurano quei caratteri
tecnici che invece differenziano una qualsiasi
bacchetta o arco per la caccia da un trapano ed
arco per la confricazione da fuoco.
In questo lavoro la parte descrittiva e
tipometrica della strumentazione assume un
grosso valore documentale perché fa comprendere quali sono le caratteristiche tecniche che
contraddistinguono questi particolari “materiali organici”.
La confricazione del legno come metodo
di accensione del fuoco
La scheda per la registrazione dei dati sperimentali
Lo studio della tecnica della confricazione rispetto a quello della percussione presenta varie
difficoltà infatti la scarsità dei ritrovamenti, dovuta alla mal conservazione dei materiali impiegati, impedisce di analizzare le varianti della tecnica nonché le caratteristiche della
A
B
La tecnica della confricazione si basa sullo
sfregamento di due legni e la conseguente produzione di una polvere di legno che per effetto del
movimento accelerato della confricazione diventa
ardente fino all’autocombustione. La brace che si
C
D
Fig. 12 - La macro-usura osservabile sui solfuri di ferro: Impronta a forma di conca dovuta dalla percussione del grattatoio
(A) (da Pétrequin, 1986); Usura a solco lineare causato dallo sfregamento di una lama raschiatoio (B-D).
Fig. 12 – The micro-wear can be seen on the iron sulphides: bowl shaped print due to the percussion of the rubbing tool (A) (from
Pétrequin, 1986); Linear track wear caused by the rubbing action of a scraping tool (B-D).
L’accensione del fuoco nella preistoria europea
37
Scheda 1 - Sviluppata per la registrazione dei dati delle sperimentazioni, la scheda è servita per annotare i valori tipometrici
dell’incavo (h; arco), il tipo di assebase utilizzato (sintetizzati in quattro tipologie), il tipo di incavo realizzato (sintetizzati in
tre tipi). La scheda è servita anche per registrare il movimento del trapano e quindi la rotazione ininterrotta del trapano
all’interno dell’incavo (RUOTA), la rotazione seguita poi dall’arresto del movimento (BLOCCA) e la rotazione interrotta
dall’uscita del trapano dall’incavo (ESCE). Sono inoltre riportate le tre possibili modalità di accumulo della polvere di legno
prodotta con la confricazione.
Sheet 1 – Record sheet for the experimental data. In this sheet can be recorded the typometrical data of the hollow(h; bow), the type of board
used (grouped in four typologies); the type of hollow made (grouped in three types). In the sheet can also be recorded the drill movement
that is the continuous rotation of the drill inside he hollow (ROTATE), the rotation followed by the end of the movement (STOP) and the
not interrupted rotation of the drill as it gets out of the hollow (EXIT). On the sheet can also be reported the three possible ways of
accumulation of the wood dust produced by the revolving stick.
38
Barbara Raimondi
Scheda 2 - Scheda elaborata per le sperimentazioni: sono riportati sei esperimenti (dal n. 34° al n. 39°): sono annotati i dati utili
alla sperimentazione; l’esperimento n. 36 ha dato un esito positivo.
Sheet 2- This sheet describes six experiments (from nr 34 to nr 39): it reports important data for the experiment; experiment nr 6 has been
successfully completed.
L’accensione del fuoco nella preistoria europea
39
Scheda 3 - Descrizione dettagliata della simbologia utilizzata per la compilazione delle schede.
Sheet 3 - Description of simbols used for the experimental data sheets.
crea verrà poi inserita in un nido di esca che
dovrà essere correttamente ossigenato per poter scaturire il fuoco.
Questa sperimentazione è stata finalizzata
a raggiungere la capacità sistematica di produzione della brace ovvero il controllo sulla
strumentazione e sulle azioni del processo operativo, è stata realizzata una scheda, riportata
in seguito, su cui annotare i dati dell’esperimento. Le fasi operative sono state la realizzazione del trapano e dell’assebase seguite poi
dalle prove d’accensione; infine l’assebase veniva riportato e disegnato sulla scheda: per
ogni esperimento (foro combusto) vi venivano registrate le caratteristiche tipometriche
dell’incavo, il tipo di assebase utilizzato, il movimento del trapano durante la confricazione
e la modalità di accumulo della brace prodotta con il movimento della confricazione.
Sono state annotate queste categorie di informazioni perché, per arrivare a produrre la
brace, è indispensabile che il trapano riesca a
muoversi senza impedimenti all’interno del-
l’incavo, che l’incavo abbia delle specifiche forme e dimensioni e che l’accumulo della brace
durante la confricazione avvenga secondo una
certa modalità. Nelle due pagine che seguono
sono descritte in modo approfondito le parti che
compongono la scheda.
Conclusioni
A parte i dati relativi alla strumentazione,
per i quali si rimanda ad una lettura approfondita della sezione relativa alle caratteristiche tecnico-funzionali della stessa, la sintesi a cui conducono le sperimentazioni è la
seguente: per fare ruotare il trapano e riuscire a produrre la brace sono importanti sia
i valori relativi all’arco, che deve essere compreso fra 1/5 e 1/7 dell’intera circonferenza dell’incavo (la circonferenza dell’incavo
coincide con quella del trapano) sia i valori
relativi alla canaletta, che deve penetrare
nell’incavo di 1/3 rispetto al diametro del
trapano.
40
A
Barbara Raimondi
B
C
Fig. 13 - Quando l’arco è troppo stretto la polvere di legno
difficilmente viene scolata e si forma l’accumulo a corona
(A); L’incavo scavato dal trapano si estende oltre la
superficiedell’assebase e la polvere prodotta con la rotazione si deposita dalla parte opposta alla canaletta di accumulo (accumulo sul retro)(B); quando l’assebase ha una superficie superiore in pendenza la polvere di legno prodotta può
accumularsi sul retro (C).
Fig. 13 – When the arch is too narrow, the wood dust goes down
with difficulty and spreads the dust around it (A); the hollow dug
by the drill goes beyond the superior surface of the board and the
dust produced by the rotation goes behind the accumulation duct
(accumulation behind)(B); when the surface of the board is more
inclined there is a high possibility for wood dust to accumulate
behind it (C).
Quindi le sperimentazioni hanno permesso di
individuare le due cause fondamentali del comportamento errato del trapano:
1. il trapano ESCE dall’incavo quando il valore di ARCO è troppo grande (maggiore di 1/5)
ed in questo caso il valore di h non è determinante
2. il trapano si BLOCCA sicuramente quando l’arco è troppo stretto (inferiore ad 1/7) e h è
poco penetrante (inferiore ad 1/3).
Per quanto riguarda i valori di “modalità di
accumulo”, osserviamo che:
- l’incavo deve essere ricavato su un’assebase
sufficientemente largo da permettere un corretto meccanismo di accumulo della polvere di legno prodotta con la confricazione; gli errori di
accumulo ovvero l’accumulo a corona o accumulo sul retro dipendo rispettivamente dalla poca
penetrazione della canaletta di scolo (h inferiore
ad 1/3) nell’incavo e dalla posizione dell’incavo
sulla superficie superiore dell’assebase
(Scheda 1).
- “ACCUMULO SI” è un valore irrilevante,
perché finché il trapano ruota la polvere si accumula; indicativo sarebbe il valore sulla quantità
di polvere prodotta, che dipende non solo da
quanti giri compie il trapano o dal fatto che il
trapano giri, esca o ruoti ma anche dal diametro
del trapano impiegato.
- “ACCUMULO A CORONA” è un valore
spesso legato ad un arco molto stretto (inferiore
ad 1/5).
- “ACCUMULO SUL RETRO” è un valore che
dipende non da fattori dimensionali ma dalla
posizione dell’incavo sulla superficie superiore
dell’assebase, ovvero una posizione arretrata dell’incavo che facilita il deposito della polvere sul
retro anziché dalla canaletta.
Caratteristiche tecnologiche della strumentazione
Le
caratteristiche
tecniche
della
strumentazione sono state individuate durante
le fasi della sperimentazione stessa, nel sintetizzarle sono state considerate anche le osservazioni pubblicate da altri sperimentatori e quelle riportate oralmente da altri sperimentatori.
La sintesi che ne deriva auspica
all’individuazione della funzionalità più oggettiva di ogni singolo elemento ma sono da consi-
A
Fig. 14 - La confricazione è un movimento rotatorio alternato da destra verso sinistra e da sinistra verso destra A); ogni
volta che l’arco viene mosso da un senso all’altro il movimento si interrompe e quindi si arresta anche il processo di
riscaldamento delle parti confricate B); il problema è
risolvibile usando un arco dalla corda lunga anziché corta, diminuirà il rapporto rotazione del trapano/ interruzioni C).
Fig. 14 – Wood penetration is done by a revolving alternating
movement going from right to left and from left to right A); every
time the bow moves from one point to the other, the movement
stops and so does the heating proArco e corda
cess of the parts being rubbed B) the problem can be solved
using a bow with a long rope instead of a short one, this will decrease
the following proportion: drill rotation/interruptions C).
B
C
Fig. 15 - La corda deve avvolgere il trapano una sola volta
(A), deve essere inclinata per evitare che durante la
confricazione si auto-consumi sfregando su se stessa; deve
avvolgere il trapano nella sua porzione inferiore; il trapano
deve rimanere esterno rispetto all’area corda-arco (B); la corda viene fatta passare tra le dita dello sperimentatore per
compensare eventuali estensioni di questa durante la
confricazione non compensate dalla rigidità dell’arco (C).
Fig 15 – The rope must wrap the drill once (A), it must be inclined
to avoid self-consummation against itself during the drill revolving
movement; it must wrap the drill on its lower section; the drill
must be outside the rope-arch area (B); the rope passes through
the fingers of the person doing the experiment to compensate
possible extensions of the rope not corrected by the stiffness of the bow (C).
L’accensione del fuoco nella preistoria europea
derare anche i limiti nonché le capacità personali dello sperimentatore.
Arco e corda
La caratteristica essenziale dell’archetto è la
curvatura, pertanto adatto a tale funzione è un
legno o un osso (ad esempio una costola di bovino).
La lunghezza della corda dell’archetto è un
valore importante: questa incide sul numero di
interruzioni che il movimento di confricazione
subisce e quindi sul processo di innalzamento
della temperatura delle parti confricanti. Infatti
il movimento alterno della confricazione subirà
un maggior numero di interruzioni se la corda
dell’arco è corta, viceversa la rotazione del trapano verrà interrotta un numero minore di volte
se la corda dell’arco è lunga (Fig. 14).
Molti testi riportano la caratteristica di flessibilità dell’arco come indispensabile, in realtà questo è un fattore che, se è presente, migliora le prestazioni dello strumento ma non è una caratteristica necessaria (Fig. 15C).
All’estremità dell’arco è tesa una corda: è necessario avvolgere la corda al trapano per poterlo fare ruotare e trasmettere il movimento dall’arco al trapano. La corda deve avvolgere una
volta soltanto il trapano, e deve essere nella porzione inferiore della sua altezza (Fig. 15A), mentre il trapano deve rimanere nella parte esterna
rispetto all’area corda-arco (Fig. 15B).
E’ indispensabile una certa tensione della corda poiché durante la rotazione la tensione diminuisce e questo, che costituisce un problema, può
essere risolto con le seguenti due modalità:
1) l’arco viene sorretto all’altezza dell’allacciamento della corda in una delle due estremità
e la tensione della corda viene gradualmente ristabilita dalle dita dello sperimentatore intrecciate con la corda (Fig. 15C);
2) la scelta di un arco flessibile.
Non costituisce un buon espediente la pratica di tirare l’arco verso l’esterno rispetto al trapano, questo può compromettere la stabilità del
trapano facendolo uscire dall’incavo.
Indispensabile per la riuscita della
confricazione è una buona corda, ossia abbastanza resistente per sopportare la forte tensione cui
è sottoposta durante la confricazione e da non
rompersi per l’alta temperatura che raggiunge;
queste caratteristiche si possono trovare sia in
41
corde di origine animale che vegetale. Importante
è anche il movimento della corda intorno al trapano: infatti l’arco dovrà essere tenuto obliquo
per impedire che durante la rotazione la corda si
consumi su se stessa (Fig. 15A). La corda dovrà
inoltre essere perfettamente liscia, senza peli o
mal tagliata, perché queste imperfezioni costituiscono dei possibili punti di lacerazione.
Trapano e “capsula“
Il trapano ha la forma di un “bastone”: deve
essere necessariamente ricavato da un legno secco cui è stata tolta la corteccia, deve avere un andamento perfettamente dritto, sezione perfettamente circolare e diametro compreso fra 1- 1.5
cm ed un massimo di 2.0 cm.
La lunghezza del trapano deve essere compresa fra 10 e 40 cm: al di sotto dei 10 cm sarà
difficile mantenere il trapano all’interno dell’incavo nell’assebase, al di sopra dei 40 cm il trapano può flettersi o comunque può risultare difficile mantenere il trapano nell’incavo, ottimale è
la lunghezza di 20 cm circa; la lunghezza incide
sulla durata del trapano.
Il trapano presenta due estremità: quella superiore è inserita in una superficie concava
(capsula) come quella di una conchiglia, una
coppella scavata in un osso o in un sasso e l’estremità inferiore è inserita in una apposita cavità
nell’assebase (generalmente detta incavo inciso).
Entrambe le estremità sono soggette ad un
forte attrito che deve essere annullato per permettere un movimento rotatorio privo di interruzioni.
L’attrito che si ha nell’estremità superiore può
essere risolto scegliendo una “capsula” con superficie perfettamente liscia (osso, conchiglia, alcune pietre...) e lavorando a punta l’estremità superiore del trapano; il movimento della rotazione può essere facilitato dalla scelta di una capsula resistente alla pressione e spalmando di
grasso la superficie della capsula a contatto con
il trapano.
L’estremità inferiore è a contatto con
l’assebase e per impedire l’eccessivo attrito si può
procedere nel seguente modo: l’estremità inferiore del trapano può essere lavorata a punta,
nell’assebase si praticano solo un’incisione
puntiforme ed una canaletta laterale per l’accumulo della polvere di legno rovente; man mano
che si ruota e si fa pressione con il trapano l’inci-
42
Barbara Raimondi
A
B
C
Fig. 16 - Processo di formazione dell’incavo a canaletta laterale: sulla superficie superiore dell’assebase sono presenti
il punto inciso e la canaletta laterale (A). L’incisione
puntiforme ha il solo scopo di concentrare l’azione del trapano, l’estremità inferiore del trapano dovrà essere a punta
sarà inserita nell’incisione puntiforme nell’assebase e qui
ruotare; La confricazione ha inizio e la punta del trapano
scava il punto inciso che diventa un vero e proprio incavo:
la punta del trapano e l’incavo combaciano perfettamente e
questo impedisce che il trapano fuoriesca durante la
confricazione (B); Dalla punta del trapano che si consuma
e dall’incavo che viene scavato si produce la polvere di legno accumulata esternamente all’incavo grazie alla canaletta (C).
Fig. 16 – Process of production of the hollow with side duct: on
the superior surface of the board are the engraved point and the
side duct. With the pointed engraving the action of the drill is
more precise, the lower end of the drill must be pointed and must
be inserted inside the engraved point and from there rotate (A);
The revolving movement starts and the drill’s head digs the
engraved point which changes into a hollow: the drill’s head and
the hollow match perfectly and this avoids the drill’s escaping
during the process (B); From the consuming drill’s head and from
the consequent digging of hollow is produced wood dust which
accumulates outside the hollow thanks to the duct (C).
sione puntiforme prenderà la forma dell’incavo,
l’estremità del trapano diventerà stondata e sarà
perfettamente aderente e inserita nell’incavo.
Questo metodo riduce la possibilità di fuoriuscita del trapano dall’incavo durante la
confricazione (Fig. 16).
Assebase e incavo
L’assebase è il supporto di legno, orizzontale
e poggiante sul suolo, in cui è scavato l’incavo:
A
B
C
Fig. 17 - Vari tipi di incavo: doppio incavo orizzontale(A);
Doppio incavo verticale (B); Incavo con canaletta laterale (C).
Fig. 17 – Different types of hollows: horizontal double
hollow (A); Vertical double hollow (B); Hollow with side duct (C).
seguono le possibili modalità di realizzazione
dell’assebase e dell’incavo.
L’assebase è formato da due superfici, una inferiore e l’altra superiore: la superficie inferiore
è quella che sta a contatto con il suolo, deve avere un andamento piatto e costituire una base stabile che non si muova durante la confricazione.
La superficie superiore dell’assebase è a contatto con il trapano, deve essere perfettamente liscia per facilitare il movimento della
confricazione.
Un dato funzionale dell’assebase molto importante è lo spessore: durante la confricazione
i due legni a contatto si consumano producendo
una polvere che diventa via via sempre più rovente fino a diventare brace; è necessario
avere a disposizione un certo spessore di
assebase per ottenere la giusta quantità di
polvere rovente. Uno spessore di assebase
funzionale non deve essere inferiore a 1.5 cm
e superiore a 2.5 cm; questo intervallo di
valori è stato individuato durante la presente sperimentazione ed è in accordo con quello indicato da J. Collina Girard; in linea generale un’assebase con spessore inferiore ad
1.5 cm non ci offre abbastanza legno da polverizzare durante la confricazione, mentre
un assebase con spessore superiore a 2.5 cm
causa la perdita di calore della polvere di
legno dal momento e luogo di produzione
al momento e luogo di accumulo e quindi
non diventa brace.
Nell’assebase è scavato l’incavo che può
avere tre differenti forme: a doppio incavo
orizzontale, a doppio incavo verticale e l’incavo con canaletta laterale (Fig.17).
Il doppio incavo orizzontale (Fig. 17A) è
composto da due incavi praticati sulla superficie superiore dell’assebase: un incavo
è destinato alla raccolta della polvere rovente ed è il primo che si realizza mentre l’altro
sarà creato dalla confricazione del trapano.
Durante la confricazione i due incavi si
dovranno intersecare e con la rotazione del
trapano la polvere prodotta dovrà accumularsi nell’incavo predestinato.
La difficoltà nell’uso di questo tipo di incavo è far si che il “settore di contatto” che
si crea fra i due incavi non sia ne troppo
stretto ne troppo esteso. Il doppio incavo
verticale (Fig. 17B) è formato da due incavi
43
L’accensione del fuoco nella preistoria europea
praticati uno nella superficie superiore
dell’assebase e l’altro in quella inferiore,
entrambe sono praticati sul bordo laterale
dell’assebase e qui presentano un’apertura.
Durante la confricazione la polvere rovente
si deposita nell’incavo inferiore e fuoriesce
anche dall’apertura laterale.
Per realizzare l’incavo con canaletta laterale (Fig. 17C) è necessario tagliare una
canaletta a sezione triangolare incisa lungo
il margine laterale dell’assebase e praticare
un’incisione puntiforme sulla superficie superiore dell’assebase a contatto con la
canaletta. In questo punto verrà posto il trapano che durante la rotazione scaverà l’inc a v o . L a p o l v e re s i a c c u m u l e r à n e l l a
canaletta (Fig.16).
La difficoltà nell’impiego di questo incavo è riuscire a fare intersecare la canaletta
con l’incavo in modo che il settore di circonferenza di contatto non sia ne troppo stretto
ne troppo largo ovvero che la canaletta sia
penetrante nell’incavo in modo giusto, come
descritto già in precedenza.
Descrizione di un processo operativo:
la fase della confricazione
Scelta dell’assebase, preparazione dell’assebase e
dell’incavo
Per realizzare l’assebase è stato scelto un bastone di alloro: il bastone ha un diametro di 40
mm ca., il legno è ben asciutto (Fig. 18A); è stata
A
E
asportata la corteccia (Fig. 18B) nel punto in cui
il bastone era più aderente al suolo.
Dopo aver appiattito la parte superiore del bastone, è stato praticato un punto inciso (Fig. 18
C, D) distante dal bordo laterale 5-6 mm ca. e
profondo circa 2-3 mm, allargato con una punta
un po’ più larga (Fig. 18 E, F). Sullo spessore laterale del bastone viene realizzata la canaletta laterale per lo smaltimento della polvere di legno
generata dalla confricazione: si realizza un’incisione sul margine laterale del bastone-assebase
(Fig. 18 G). L’incisione lineare laterale viene allargata e avvicinata al punto inciso (Fig. 18H): è
così realizzato l’incavo a canaletta laterale.
Preparazione del trapano
Per realizzare il trapano è necessario scegliere un bastone che abbia un diametro compreso
fra 10 e 20 mm, che sia perfettamente dritto o
che una porzione della sua lunghezza sia dritta.
Dal bastone scelto è opportuno togliere la corteccia (Fig. 19A), le nodosità del legno (Fig. 19B)
devono essere o levigate (Fig. 19C) o tagliate
(Fig. 19D). Dopo aver tolto la corteccia e le
nodosità del legno (Fig. 19E), si deve procedere
alla rifinitura delle punte: usando una lama litica
si rendono aguzze le due estremità del bastone
(Fig. 19F), poi si procede alla rifinitura delle punte
mediante una pietra arenaria (Fig.19G,H).
L’estremità superiore che sarà a contatto con la
conchiglia dovrà essere leggermente smussata
(Fig. 19I) mentre quella inferiore a contatto con
l’assebase sarà acuminata (Fig. 19L).
C
B
F
D
G
H
Fig. 18 - Processo di costruzione dell’incavo a canaletta laterale. Fig. 18 - Process of production of the hollow with side duct.
44
A
Barbara Raimondi
B
C
D
F
E
I
H
G
L
M
Fig. 19 - La preparazione di un trapano da fuoco: Scelta di una bastone con porzione centrale dritta e asportazione della
corteccia (A); Nodosità del legno da eliminare (B); Levigatura delle nodosità del legno mediante un’arenaria a grana grossa
(C); Asportazione dei noduli (D); La porzione di legno rettilinea privata della corteccia e delle nodosità (E); Affilatura delle
estremità (F); Rifinitura delle punte mediante una pietra arenaria (G H); Estremità smussata: sarà l’estremità superiore del
trapano ovvero quella a contatto con la “capsula” o conchiglia (I); Estremità acuminata: sarà la punta inferiore del trapano
ovvero quella a contatto con l’assebase (L); Il Trapano finito pronto per essere confricato (M).
Fig. 19 – The preparation of a fire starting drill: A well straight stick is chosen and the bark is taken away (A); The wood’s knots are
eliminated; The wood’s knots are levelled using a coarse-grained stone (B); The knots are taken away (C); The portion of straight wood
without bark and knots (D); The head of the stick is being sharpened (E); Finishing touches to the wood end using a stone (F); Chamfered
end: this is going to be the superior end of the drill that is the end going under the “capsule” or shell (G H); Sharpened end: this is going
to be the lower end of the drill that is the end pushing the board (L); The drill is completed, ready to be used (M).
Impugnatura dell’arco
Non esiste una sola maniera corretta per impugnare l’arco, che può essere sorretto al centro
(Fig. 20A) o ad una estremità (Fig. 20B).
E’ necessario che la corda sia tesa e che avvolga con un solo giro il trapano, il piano arco-corda è inclinato rispetto al trapano di 45° circa (Fig.
20C).
Lo sperimentatore può sorreggere l’assebase
con un piede stando in ginocchio (Fig. 20F) o con
un piede stando seduto a terra (Fig. 20E) altrimenti con un ginocchio (Fig. 20D) (Biasutti, 1967).
Il movimento
La confricazione dovrà essere dapprima lenta (Fig. 20G), in modo che il trapano allarghi il
punto inciso e crei un incavo; man mano che la
confricazione prosegue la polvere di legno
inizia a depositarsi nella canaletta laterale
(Fig. 20H); quando il trapano comincerà a
f u m a re ( F i g . 2 0 I ) i l m o v i m e n t o d e l l a
confricazione dovrà essere più accelerato,
finché inizierà a fumare anche la polvere di
legno che sarà quindi diventata brace (Fig.
20L). La confricazione si blocca, il trapano
fumante potrà essere estratto dall’incavo, la
punta sarà smussata, il trapano sarà un po’
più corto e si potrà osservare che il piccolo
punto inciso è diventato un incavo profondo (Fig. 20M). La brace fumante a questo
punto può essere inserita in un nido di esca
fomentaria, generalmente erba secca e foglie
sminuzzate e procedere all’accensione del
nido come è già stato precedentemente descritto.
45
L’accensione del fuoco nella preistoria europea
C
E
B
A
G
D
H
I
L
F
M
Fig. 20 - Impugnatura dell’arco (A, B); corretta posizione della corda sul trapano (C); posizioni adatte alla confricazione: il
trapano è sorretto da un pomello e inserito nell’incavo mentre l’assebase, fermato col ginocchio o col piede, poggia su un
cuoio che lo isola dal suolo (D, E, F); le fasi della confricazione: il trapano scava l’incisione puntiforme trasformandola in
incavo (G-M).
Fig. 20 - Helve of the bow (A, B); right position of the rope on the drill (C); positions fit for the drill revolving movement on wood: the drill
is held by a knob and inserted in the hollow while the board, lying on a piece of leather that isolates it from the ground, is kept firmly with
knee or foot (D, E, F); phases of the drill revolving movement on wood: the drill digs the pointed engraving changing it into hollow (G-M).
Conclusioni generali
Il più recente catalogo europeo delle testimonianze d’accensione del fuoco in Europa nell’epoche comprese fra il Paleolitico ed il Neolitico pubblicato da J. Collina Girard è stato integrato con le testimonianze italiane.
Dopo un’approfondita ricerca bibliografica
si conclude che il panorama italiano è privo
di segnalazioni per i periodi del Paleolitico e
del Mesolitico, mentre i ritrovamenti più antichi sono gli acciarini per la percussione rinvenuti ad Isolino di Varese risalenti al Tardo
Neolitico. Nel successivo periodo Eneolitico la
medesima tecnica è attestata dall’acciarino della Mummia del Similaun (ca. 3350-3100 a.C.) e
da quello rinvenuto nella tomba n° 40 della
Necropoli di Remedello Sotto datato ca. 32002400 a.C. La tecnica della confricazione non è
attestata per le epoche del Paleolitico e del Neolitico italiane.
La scarsità delle testimonianze ci impedisce
di sapere se le tecniche della confricazione e
della percussione convivessero sullo stesso territorio o quale fosse la diffusione delle tecniche e se questa dipendesse dalle caratteristiche
del territorio.
I cataloghi dei siti minerari in Toscana documenta no una larga diffusione dei giacimenti di
solfuro di ferro, però non riportano i dati sulla
varietà dei minerali e la profondità di estrazione.
La diffusione dei solfuri di ferro nella regione Toscana non avvalora l’ipotesi che fosse praticata la
percussione come metodo di accensione; infatti
il fattore discriminante per l’uso è la qualità del
minerale e non la quantità.
In Italia la più antica testimonianza di uso intenzionale del fuoco è stata rinvenuta nella Grotta di San Bernardino (Mossano, Vicenza) in cui è
stato messo in luce un suolo d’abitato con focolare datato ca. 250.000/200.000 anni B.P. Se mettiamo in relazione la più antica attestazione di accen-
46
Barbara Raimondi
sione, ovvero gli acciarini di Isolino di Varese collocati nel Tardo Neolitico, con il focolare della Grotta di San Bernardino, notiamo il grosso gap cronologico che separa le due testimonianze; questo ci
impedisce di sapere con quale tecnica furono accesi i più antichi focolari in Italia.
I funghi che sono stati utilizzati come esche
fomentarie per il metodo della percussione
(Fomes fomentarius e Ungulina betulina) vivono
in ambienti temperati. Sarebbe interessante approfondire gli studi micologici per escludere
eventualmente la loro presenza in ambienti glaciali anche se questo ci porterebbe a scartare solo
l’impiego di questa specifica esca ma non la tecnica.
Più fecondi sembrano gli studi applicati al
percussore litico: dalle sperimentazioni si è dedotto che questo debba avere alcune caratteristiche tecnologiche che lo rendono adatto a percuotere un solfuro di ferro: tali caratteri riguardano
le dimensioni, preferibilmente maggiori di 2.5 cm
e gli spessori più adatti sono quello carenato e
subcarenato. I ritocchi più funzionali pare che siano quelli sopraelevato e semplice mentre per
quanto riguarda l’andamento è da escludere il
denticolato.
Inoltre sul percussore litico che è stato realizzato per le sperimentazioni si è formato un ritocco misto in parte semplice ed in parte
scalariforme e si è smussato con l’uso (forse lo
stesso tipo di usura che Colini individuò
sull’acciarino rinvenuto nella tomba n° 40 di
Remedello Sotto).
Qualche informazione sulla tecnica si può ricavare anche dallo studio del solfuro di ferro; osservando le macro-tracce d’uso sulla pirite o sulla
marcassite si può risalire al tipo di percussore
usato e all’azione esercitata: il grattatoio lascia
un’impronta a forma di conca o di arco perché si
usa di punta facendo un movimento di martellamento, mentre della lama raschiatoio si usa il
bordo laterale imprimendo un movimento di
sfregamento e questo lascia un solco lineare sul
solfuro di ferro.
Per quel che riguarda il metodo della
confricazione la natura deperibile del materiale
impiegato condiziona in modo negativo la conservazione e ogni possibile sviluppo degli studi.
La parte del presente lavoro dedicata alla
confricazione è importante per gli archeologi
sperimentali che cercano un confronto o nuove
nozioni sulla strumentazione e soprattutto per
la descrizione del processo operativo che non è
mai stata pubblicata da altri.
A parte i dati relativi alla strumentazione, per
i quali si rimanda alla lettura approfondita, la sintesi a cui conducono le sperimentazioni è la seguente: l’incavo deve essere costruito su
un’assebase sufficientemente largo da permettere un corretto meccanismo di accumulo della polvere di legno prodotta con la confricazione; gli
errori di accumulo ovvero l’accumulo a corona
o sul retro dell’assebase dipendono rispettivamente dalla poca penetrazione della canaletta di
accumulo nell’incavo e dalla posizione dell’incavo sulla superficie superiore dell’assebase.
Per fare ruotare il trapano e riuscire a produrre la brace sono importanti sia l’arco dell’incavo
ovvero l’intersezione della canaletta con l’incavo, che deve essere compreso fra 1/5 e 1/7 dell’intera circonferenza dell’incavo (il diametro dell’incavo coincide con il diametro del trapano) sia
la penetrazione della canaletta, che deve essere
pari a 5 o 6 mm utilizzando un trapano di 15
mm ca. Il trapano esce dall’incavo quando la
canaletta laterale è troppo penetrante nell’incavo, si blocca quando è poco penetrante.
Ringraziamenti
Desidero ringraziare sentitamente la Professoressa R. Grifoni Cremonesi del Dipartimento
di Scienze Archeologiche dell’Universita di Pisa
per i suoi preziosi insegnamenti.
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Extended abstract
The European catalogues relating to fire
lightning in Europe in the period between the
Palaeolithic and the Neolithic age have been
completed with Italian evidences. As regards
Italy we have no traces about the Palaeolithic
and the Mesolithic ages while the oldest finds
are the percussion steel of Isolino di Varese
dating to Early Neolithic. In the following age,
the Eneolithic, the same technique can be found
both in the steel belonging to the Similaun
mummy and in the steel found in the tomb n. 40
of the Necropolis of Radamello, dated 3200 –
2400 B.C.
No drill revolving technique is present
during the Palaeolithic and Neolithic ages in
Italy.
This lack of evidences prevents from
understanding if the drill revolving movement
on wood and percussion techniques were used
in the same territory or if their use was widely
spread and if the diffusion of their use depended
on the characteristics of the territory.
The catalogue of mining sites in Tuscany
shows a wide diffusion of iron sulphur deposits
but it does not records any information about
the variety of minerals and the dept of the
extraction. The diffusion of iron sulphurs in that
county does not give credit to the assumption
that percussion was used to light fires: the use
was improved by the quality of the mineral
rather then the quantity.
The most ancient evidence of deliberate use
of fire in Italy has been discovered in the Cave
of San Bernardino (Mossano, Vicenza), where a
settlement with hearth dated 250.000/200.000
years B.P. has been found.
If we put in relation the most ancient evidence
of fire lightning, represented by the steels of Isolino di Varese dating Early Neolithic, and the
hearth of San Bernardino Cave, which is the
oldest evidence of anthropic use of fire, we can
L’accensione del fuoco nella preistoria europea
realize the deep chronological gap that separates
the two techniques; this prevents us from
understanding with which technique the most
ancient hearths were lit. Fungus used as
touchwood for the percussion technique (Fomes
fomentarius and Ungulina betulina) live in temperate environments. It would be interesting to
go deeper in the mycology to exclude their
presence in glacial environments even if this
would only exclude the use of this specific
touchwood but not the technique.
More prolific are the studies on percussion
stones: a percussion stone must have some
technological characteristics enabling it to hit
iron sulphur: those characteristics are the
dimensions, preferably more then 2,5 cm and the
thickness: the ones with a carved bottom fit
better for this purpose. The most functional
finishing touches seem to be the raised and
simple ones with no ripples. A mixed alteration
came out in the lithic striker used for the
experiments of this study (both simple and
scalariforme ) but it rounded off with the use
(maybe the same wear that Colini found in the
steel discovered in the tomb n. 40 of Radamello
Sotto).
The study of the iron sulphur can offer some
other information; looking at the micro-traces
left by the use on the pyrite or on the marcasite
stone, the type of striker used and the action
carried out can be traced: with a hammering
movement the scraper leaves a hollow or bowshaped mark as it is used by the pointed end; of
the scraping blade only the side edge is used and,
with the help of a rubbing movement, a linear
mark on the iron sulphur is left.
As regards the drill revolving method on
wood, the perishable nature of the material used
makes preservation very difficult and badly
influences every possible development of study.
The part of the present study relating to drill
revolving method on wood is of a certain
importance for those experimental archaeologists
interested in a comparative study or in finding
a new knowledge on instruments and, above all,
on an operative process still to be published.
Leaving aside data regarding instruments
(more complete information can be found in a
separate section of the whole study), experiments
bring to the following conclusions: the hollow
has to be made on a board large enough for wood
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dust to slip out while the drill is moving;
mistakes as circular accumulation or
accumulation on the back of the board depend
respectively on a not deep dust expulsion duct
in the hallow and on the position of the hallow
on the upper surface of the board.
To let the drill move and produce embers, very
important is the width of the hollow, which must
be between 1/5 and 1/7 of the whole
circumference of the hollow (the diameter of the
hollow coincide with the diameter of the drill)
and the duct, which must penetrate 5 or 6 mm
the hollow using a drill of 15mm ca. The drill
goes out the hollow when the side duct is too
deep in the hollow, stops when it is not much
penetrating.
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