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rischio di modello
Rischio e conoscenza nel governo dell’impresa.
Una analisi del «rischio di modello»
nel Gruppo Alenia Aeronautica
LUCA PROIETTI*
Abstract
Oggetto del contributo è lo stretto legame tra rischio d’impresa e conoscenza, analizzato
in specie attraverso il “rischio di modello”, qui inteso come le possibili complicazioni
derivanti da inadeguate impostazioni cognitive (modelli, schemi, approcci, procedure ecc.).
Quello di modello è, insieme a pochi altri, come il reputazionale, tra i tipi di rischio con le
più ampie implicazioni per un’impresa. Scopo del lavoro è quindi approfondire le logiche di
analisi e trattamento di questo genere di rischi, le quali possono rappresentare, con le curve
di isorischio ed il capitale allocato, un elemento chiave di una visione integrata e globale del
rischio anche nelle imprese non finanziarie. La trattazione si conclude con un caso di studio
relativo ad una grande realtà industriale hi-tech italiana, il Gruppo Alenia Aeronautica.
Parole chiave: conoscenza, rischio, incertezza, ambiguità, rischio di modello, curve di
isorischio, capitale allocato o economico, Alenia Aeronautica
This work is about the close relationship between risk and knowledge. It is analysed
expecially through the “model risk”, here proposed as a basic concept to evalutate the
soundness of a firm’s risk management from a strategic point of view. Model risk indicates
possible threats for a firm mainly caused by a set of inadequate cognitive instruments
(models, schemes, approaches, procedures etc.). Similarly to other risks, like the reputational
one, model risk has particularly large implications for an organisation. Our aim is to improve
model risk assessment and treatment in non financial firms, in order to consider it, together
with isorisk curves and allocated capital, a fundament of an actually integrated risk vision
and governance. A case study about model risk management referred to a product line of a
great hi-tech Italian firm (Alenia Aeronautica) is finally reported.
Key words: knowledge, risk, uncertainty, ambiguity, model risk, isorisk curves, allocated or
economic capital, Alenia Aeronautica
*
Ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese - Università degli Studi di Roma “La
Sapienza”
e-mail: [email protected].
sinergie n. 76/08
192
RISCHIO E CONOSCENZA NEL GOVERNO DELL’IMPRESA
1. Il rischio nel governo dell’impresa
1.1 Verso un governo d’impresa risk based
Il rischio è intrinseco all’impresa, tipicamente intesa come un’istituzione socioeconomica attivata e condotta da uno o più soggetti con una significativa
propensione al rischio1. Nonostante ciò, non sempre il rischio in ambito aziendale è
stato adeguatamente considerato.
Gli studi economici, in particolare, lo hanno a lungo ignorato o riduttivamente
interpretato, talora per semplicità e/o rigore formale dell’analisi, talaltra ritenendolo
irrilevante per il governo d’impresa, in quanto presente in ogni organizzazione
ovvero transitorio e facilmente eliminabile2. Analogamente ha fatto la prassi
aziendale, specie in periodi storici nei quali le condizioni ambientali rendevano il
rischio poco evidente o ne attenuavano la portata3.
Se il rischio è un tratto fisiologico dell’impresa e può risultare meno rilevante in
determinati contesti storico-ambientali, la complessità dei tempi odierni pare
renderlo assai critico e le direzioni d’impresa non dispongono di una pari capacità ad
affrontarlo4. Per queste ragioni, il rischio - pur insito nell’attività imprenditoriale riveste un ruolo centrale nell’azione di governo aziendale, nonché nell’attuale
capitalismo, concepito come forma organizzativa della produzione economica, e
nella società civile a questo legata.
Ne consegue che l’attenzione al rischio segna un passo decisivo verso la migliore
qualificazione di quel “governo” momento primo dell’operare dell’impresa e ragion
d’essere delle discipline economico-manageriali5. La cultura del rischio, se da un
lato rappresenta il sostrato informativo e concettuale di ogni azione di governo che
tenga in qualche conto il rischio, dall’altro lato si differenzia qualitativamente nel
1
2
3
4
5
Sul binomio rischio-impresa, cfr. KNIGHT (1921). Il nesso logico tra entrepreneurship e
rischio è stato introdotto nel dibattito scientifico da Cantillon ed altri Autori del XVIII e
XIX sec. (Say, Stuart Mill) e ripreso poi da Schumpeter (cfr. PAGANI, 1964). Peraltro,
SCHUMPETER (1939, pag. 104; 1977, pagg. 85 e 171-173) distingue tra il rischio
d’impresa in genere, gravante sul capitalista/proprietario, e quello connesso
all’innovazione, proprio dell’imprenditore. In Italia, il rapporto tra impresa,
imprenditorialità e rischio è toccato ad esempio in PACCES (1977, pag. 85 e segg.);
BIANCHI, COLOMBI (1977); BARBIERI (1983).
Su questi temi, cfr. CONTI (1996, pag. 20 e segg.), ARROW (2004, pag. 108 e segg.) e
BECK (2000, pag. 18).
Sui motivi storico-ambientali a base della variante attenzione delle imprese al rischio, cfr.
HALLER (1978) e DICKINSON (2001).
Oltre alla nota precedente, cfr. RULLANI (2005, pag. 187), che correla il rischio
all’emergere di crescenti «spazi di disordine o di non-controllo, in cui proliferano varietà,
variabilità e indeterminazione».
Sulla centralità del governo d’impresa, cfr. PACI (1998, pag. 31 e segg.), il tributo a Fazzi
in GOLINELLI, GATTI (2007, pag. 3 e segg.) e GOLINELLI (2008, pagg. XIX e segg. e
3 e segg.).
LUCA PROIETTI
193
tempo e nello spazio6. Ecco allora che sia la prassi sia gli studi aziendali dovrebbero
palesare una tensione non semplicemente da una cultura del rischio pressoché
irrilevante o marginale ad una consistente, bensì da culture inadeguate o inopportune
ad altre più condivisibili nella prospettiva di un’azione di governo idonea ad
orientare realmente il sistema impresa a sopravvivere nel tempo.
Quando, infatti, il rischio è trascurato o concepito in modo semplicistico, il suo
governo si esaurisce ora nell’assunzione acritica, cioè nell’esposizione miope ed
inconsapevole, ora invece nell’accettazione spregiudicata o, all’opposto,
nell’evitamento ad ogni costo, anche attraverso la ricerca (illusoria) di una completa
riduzione, in specie tramite trasferimenti a terzi, senza oneri e/o ulteriori rischi per
l’impresa7. Nel caso della visione semplicistica, la cultura del rischio, pur presente,
risulta distorta da convinzioni e atteggiamenti contrari all’interesse dell’impresa a
perdurare in adeguate condizioni di consonanza con il contesto8.
Una cultura in materia di rischio davvero matura e consapevole, invece,
concepisce questo in senso non puramente esogeno e negativo, né totalmente
discrezionale e plasmabile dal decisore, bensì come “fattore della produzione” in
parte controllabile, il cui adeguato trattamento è a base della creazione di valore9.
1.2 Governo e gestione del rischio d’impresa
Nel momento in cui il rischio si atteggia a basilare driver delle decisioni
aziendali, sussistono le premesse per un governo d’impresa attento al rischio e
qualificato da una “razionalità responsabile”, sintesi di ricerca di scientificità e, al
contempo, di consapevolezza dei propri limiti10. Un’azione di governo che riposa
almeno sui seguenti assunti specificamente riguardanti il rischio:
− il governo d’impresa, lungi dall’esaurirsi nel focus sul singolo tipo di rischio,
s’incentra sulla considerazione del rischio d’impresa quale complessivo e
dinamico mix di rischi connessi alla dotazione strutturale ed alla prefigurata
traiettoria evolutiva del sistema impresa, valutato sotto un profilo qualiquantitativo;
− il rischio d’impresa non può essere completamente e durevolmente
espunto/ridotto11;
− la sostenibilità di ciascun rischio che compone il rischio globale d’impresa va
valutata in relazione alla dotazione di conoscenza e competenze della specifica
impresa, in primis del suo organo di governo;
6
7
8
9
10
11
Sul rapporto tra cultura, conoscenza e rischio si torna oltre, al termine del par. 1.3.
Per ulteriori dettagli si veda PROIETTI (2008, pagg. 317-318 e 367-368).
Sul contesto inteso come popolazione di entità più o meno sistemiche e sulle dinamiche
della consonanza nei rapporti diadici, cfr. LIGUORI, PROIETTI (2008, pag. 142 e segg.).
Cfr. MANTOVANI (1998, pagg. 16-17 e 35-39).
Su “razionalità responsabile” e scientificazione in ambito socio-economico, cfr.
GOLINELLI, PROIETTI, VAGNANI (2008, pagg. 3-6, in specie nota 5).
Si consenta il rinvio a PROIETTI (2008, pagg. 366-367, in specie nota 139).
RISCHIO E CONOSCENZA NEL GOVERNO DELL’IMPRESA
194
− ogni trasformazione di un certo rischio comporta un qualche costo e
l’emergere/assunzione di uno o diversi altri rischi12.
In coerenza con i predetti principi, si può parlare di governo e gestione del
rischio d’impresa come momenti distinti ma interrelati di un unitario processo
decisionale (Fig. 1).
Fig. 1: Governo e gestione del rischio: uno schema processuale e dinamico
Fattori che incrementano il
capitale allocato (CA) in
corso d’opera
ΔT
Risk government
T1
Ti
Tn
Risk management (ciclo di gestione di un rischio specifico o totale)
4. Risk
1. Risk
2. Risk
3. Risk
control
assessment /
treatment*
identification*
measurement*
Eventuali
feedback
Prima stima del capitale
allocato (a livello di
rischio inerente globale):
CATi
Fattori che riducono il
CA in corso d’opera
Tempo
Nuovo ciclo
di gestione
del rischio
Stima protempore finale
del capitale allocato a
fronte del rischio residuo
globale: CATn
Note: le fasi 1, 2 e 3 hanno ad oggetto il rischio inerente, la 4 il rischio residuo
*
Si usano categorizzazioni utili alla specifica fase di rilevazione, analisi, trattamento o controllo
Fonte: ns. elaborazioni
La schematizzazione proposta sottende anzitutto una distinzione tra “rischio” e
“rischi” d’impresa, stante l’incessante scomposizione e ricomposizione di quel mix
di rischi che qualifica il particolare “profilo di rischio” di un’organizzazione in un
dato contesto spazio-temporale. Si alternano dunque momenti di focus sull’unitario
rischio d’impresa ad altri sui singoli tipi di rischio in cui lo stesso viene declinato
(risk deployment).
12
Si veda nota precedente. Si rammenti che la locuzione “risk shifting” presenta varie
accezioni, più o meno contigue: qualsiasi trasformazione di un rischio in uno diverso
(CONTI, 1996, pagg. X e 15-17); mitigazione di un rischio tramite nuovi rapporti con il
contesto (cfr. CROUHY, GALAI, 1994, pag. 861 e segg., secondo cui l’emissione di
warrants riduce la volatilità delle azioni quotate); trasferimento, più o meno rischioso e/o
oneroso, di un rischio all’esterno. In quest’ultimo senso, la teoria manageriale
dell’agenzia di JENSEN, MECKLING (1976, pag. 335) tratta il caso estremo della
tendenza a “scaricare rischi” tra manager, proprietà e creditori dell’impresa tramite
arbitraggi (asset substitution) nelle scelte di investimento e finanziamento.
LUCA PROIETTI
195
Non meno importante è la differenza tra rischio “inerente” e rischio “residuo”:
laddove il primo indica la rischiosità valutata ex ante, ossia prima di ogni
trattamento diverso dalla mera misurazione, l’altro è il portato di una valutazione ex
post, una volta assunte ed applicate le impostazioni tese a ridurlo, contenerlo o,
semplicemente, controllarlo nel tempo13. Ne discende il costante fluire
dell’attenzione del decisore dall’una accezione all’altra, a seconda che si valuti
l’opportunità o priorità d’intervenire su un dato rischio ovvero l’efficacia dei
trattamenti già intrapresi14.
Il processo in Fig. 1 chiarisce, dunque, la diversità tra “governo” (risk
governarne) e “gestione” (risk management) del rischio, pur nel quadro di una
visione integrata e contestuale. Al primo compete: instillare nell’organizzazione
convinzioni e vincoli qualificanti le logiche di creazione di valore ammissibili e, di
riflesso, il rischio globale massimo sopportabile15; preordinare l’intero processo
predetto in modo che si svolga compiutamente e con un adeguato equilibrio tra le
sue varie fasi; la considerazione di rischi particolarmente ingenti in un dato
momento della dinamica evolutiva aziendale; il costante sforzo nell’elaborazione di
un’indicazione unitaria e di sintesi della rischiosità assunta e sostenuta
dall’organizzazione16. La gestione opera invece una scomposizione dell’unitario
rischio d’impresa in una pluralità più o meno ampia di rischi, con le successive fasi
di valutazione, trattamento e nuova valutazione di ciascun rischio rilevante.
1.3 Rischio e conoscenza
L’appropriato impiego nelle condotte aziendali e sinanco negli studi d’impresa
della logica del rischio come finora tratteggiata si fonda sul discernimento dello
stretto nesso tra rischio e conoscenza. Il rischio è, per definizione, il riflesso della
limitatezza o parzialità dell’umana conoscenza, indicando i possibili eventi, di
portata solo negativa o anche positiva, ai quali si è esposti per il combinarsi delle
proprie scelte/iniziative, dei condizionamenti esterni e del fluire del tempo17. Se la
conoscenza fosse perfetta e completa, si opererebbe in condizioni di certezza, con
piena contezza e padronanza delle proprie azioni, del comportamento altrui e del
13
14
15
16
17
A rigori, già la misurazione/valutazione è un primo fondamentale trattamento, perché
implica il prendere coscienza dell’esistenza di un rischio e delle sue caratteristiche. Più
spesso, però, s’intende per trattamento ogni ulteriore intervento sul rischio, volto a
modificarne i caratteri riscontrati attraverso l’iniziale quali-quantificazione.
Su rischi inerenti e residui, cfr. COSO (2006, pag. 4) e COMITATO DI BASILEA PER
LA VIGILANZA BANCARIA (2006, pag. 34 par. 115). Pur con qualche sfumatura di
senso, il rischio inerente è detto anche originario, intrinseco, esplicito o lordo; quello
residuo residuale, implicito o netto (cfr. ad esempio LANZA, SPINSANTI, 2005, pagg.
101 e 106, ove un case study sulla società ferroviaria RFI).
Così SIMONS (2004); TONELLI (2007); TROTTA (2007).
Tra gli strumenti di sintesi, spiccano le curve di isorischio e il capitale allocato (cfr.
PROIETTI, 2008, pag. 368 e segg.), nonché il rischio di modello più avanti esaminato.
Sul rischio in senso solo negativo o anche positivo, cfr. BORGHESI (1985, pagg. 33 e
92).
196
RISCHIO E CONOSCENZA NEL GOVERNO DELL’IMPRESA
futuro18. Ecco allora che tra rischio e conoscenza sussiste un’interdipendenza
reciproca: laddove l’uno segna il limite dell’altra, questa consente la percezione e il
controllo di quello.
Nel tempo, l’evolvere della conoscenza può permettere il mutamento del limite
fissato dal rischio. È nell’interpretazione di questo “mutamento” che si profilano
però visioni affatto diverse del rischio e del suo ruolo nelle attività umane, incluse
quelle economico-imprenditoriali19.
Il “filone scientista”, che si pone alle origini della teoria del rischio e si basa su
approcci logico-matematici e quantitativi, sancisce il primato della conoscenza sul
rischio, nel senso che le convinzioni sottese alle impostazioni probabilistiche paiono
condurre ad una sostanziale cognizione del rischio. Quest’indirizzo, a base della
moderna finanza, sconta una notevole astrazione e/o semplificazione delle
assunzioni; la sua fiducia nel calcolo, inoltre, è tale da favorire (o quantomeno non
impedire) pratiche opportunistiche ed abusive20.
Altre correnti di pensiero, invece, propongono una visione più realistica,
problematica e consapevole del rischio, che si rivela un aspetto sfuggente, ambiguo,
persino paradossale così nella scienza come nel concreto operare.
In specie, l’“analisi sociale o sociologica del rischio”, il filone più recente,
sottolinea che contraddizioni e limiti della conoscenza, nonché i processi di
interazione sociale, rendono il rischio un tratto tipico e assorbente dell’età
contemporanea, al punto da relegare il contributo della conoscenza alla pur
importante presa d’atto dell’ineliminabilità e pervasività del rischio, oggetto di
processi di globalizzazione e prevalenza sui benefici della produzione economica
che pongono in crisi, o comunque in forte tensione, il quadro istituzionale (inclusa
l’impresa), dunque il capitalismo21. Questo approccio ha tuttavia una portata
soprattutto descrittiva ed è intrisa di toni pessimistici o addirittura apocalittici22.
18
19
20
21
22
Le determinati di fondo del rischio (relazionalità ed esistenza del futuro) possono essere
desunte da DAVIDSON (2004, pag. 166) e dalla scuola keynesiana in genere.
Dei tre filoni teorici sul rischio che seguono tratta, pur con altri fini, LUPTON (2003).
Massimi esponenti dell’approccio tecnico-scientifico al rischio sono Fisher, Hardy,
Savage, Markowitz ed Arrow; di quest’ultimo, STIX, 1998, pag. 97 ricorda il “sogno”,
riflesso nella moderna ingegneria finanziaria, di dare un “prezzo” ad ogni evento rischioso
nell’ottica di trasferirlo/scambiarlo su mercati. Sui suoi limiti, cfr. JEAN (2005, pag. 13 e
segg., punto 5c). A questo filone può essere rivolta parte della critica di GHOSHAL
(2005) agli studi aziendali, in specie laddove condanna la pretesa di applicare il metodo
scientifico alla sfera del management (the pretense of knowledge).
Cfr. RULLANI (2002, pag. 9 e segg.) sottolinea il concetto di “diffusione del rischio” a
base della visione sociologica del rischio.
Autori basilari di tale indirizzo sono Giddens, Beck, Douglas, Slovic, Parton, Luhmann,
Masumi, Bauman e lo stesso Lupton (per una sintesi critica, Cfr. GIESLER, 2004, pag.
13, ove riferimenti al caso particolare dei comportamenti di consumo “rischiosi”). A
questa corrente può essere riferita quella parte della critica di GHOSHAL (2005) alle
teorie d’impresa e organizzative che contesta una certa visione cupa e pessimistica dei
comportamenti di persone ed organizzazioni (ideology-based gloomy vision), la quale
finisce per influenzare le condotte effettive (cosiddette “profezie autoavverantisi”).
LUCA PROIETTI
197
Tornando in campo economico, è il “filone critico” ad aver indicato per primo le
debolezze di quello tecnico-scientifico, ossia l’insufficienza e la portata persino
fuorviante della visione rigidamente quantitativa del rischio. Ne discende una più
articolata dinamica tra conoscenza e rischio: se questo non può essere perimetrato,
solo per convenzione può essere ridotto o contenuto, per cui il divenire della
conoscenza nelle organizzazioni imprenditoriali deve piuttosto tendere a monitorare
il rischio d’impresa, tentando di “trasformarlo” in quelle combinazioni più coerenti e
compatibili con le capacità e competenze aziendali che la conoscenza stessa
alimenta e rinnova nel tempo23.
Tra i capisaldi di questa impostazione figura la distinzione tra rischi
quantificabili e, di conseguenza, più facilmente oggetto di trattamento specifico incluso il trasferimento - e rischi non riducibili a mero calcolo, essendo non
individuabili le probabilità o, addirittura, ignoti i possibili esiti (incertezza ed
ambiguità)24. Tale differenza, poco considerata o persino avversata negli studi
anglosassoni, ha ricevuto ampio riconoscimento nella migliore dottrina
aziendalistica italiana e va intesa proprio nella prospettiva cognitiva: un certo rischio
è misurabile o meno non in assoluto, bensì in relazione alla dotazione di conoscenza
del valutatore/decisore ed al suo divenire nel tempo, con le conseguenti capacità a
trattare la complessità sottesa25.
Principali vulnus di questo filone sono la quasi paradossalità degli assunti ed il
non aver individuato compiutamente modi operativi e strumenti applicativi26. Ciò
non lo priva però di significato né cancella l’attenzione posta dai suoi fautori nella
ricerca di concrete soluzioni e linee guida; una ricerca ad oltre settant’anni ancora
aperta e che sfida dottrina e prassi27.
In definitiva, tra rischio e conoscenza sussiste una sorta di causazione circolare
autocumulantesi28. Il rischio, nel segnare il limite della conoscenza intesa come
23
24
25
26
27
28
Si veda nota 9.
I “rischi non misurabili” sono stati introdotti da KNIGHT (1921) con l’idea di “incertezza
(knightiana)”, da ELLSBERG (1963) con quella di “ambiguità” (ripresa e sviluppata di
recente in EPSTEIN, 1999, pag. 579 e segg.; EPSTEIN, 2001, pag. 45 e segg.) e dallo
stesso KEYNES (1921). Non va poi taciuto il grande italiano De Finetti il quale,
scrivendo «la probabilità non esiste», sembrava spingersi oltre il compromesso della
teoria soggettiva della probabilità (Cfr. HOLTON, 2004, pag. 19).
In merito all’attenzione degli studi d’impresa italiani ai rischi non misurabili, cfr. l’ampia
rassegna in GOLINELLI (2000, pag. 146 e segg.), e RULLANI (1989, pag. 558) che
sistematizza la dicotomia tra rischi “aleatori” e “di non conoscenza”.
Cfr. la critica a Knight e Keynes in ARROW (2004, pagg. 81-82 e 96-98). ROBERTS
(1963, pag. 327) ritiene irrilevanti o fuorvianti, a fini normativi, i contributi di Knight e
Ellsberg.
Va detto che il neoistituzionalismo non è stato insensibile a questo filone, attribuendo alle
istituzioni in grado di dare stabilità, classificare propriamente gli eventi ed agevolare
l’accumulazione di informazioni e conoscenza un ruolo decisivo nella riconduzione
dell’incertezza a rischio misurabile (NORTH, 1991, pag. 97 e segg.; GUSEVA, RONATAS, 2001, pag. 623 e segg.; ERBAS, 2004, pag. 3 e segg.).
L’idea generale di circolarità è legata in ambito economico a Myrdal (cfr. STREETEN,
198
RISCHIO E CONOSCENZA NEL GOVERNO DELL’IMPRESA
comprensione della realtà, al contempo alimenta la conoscenza quale
consapevolezza del rischio e stimola così, in una rincorsa senza sosta, una nuova
comprensione, necessariamente incompleta e suscettibile di avanzamenti ulteriori,
della condizione di rischiosità29.
La riflessione sul binomio rischio-conoscenza precisa, peraltro, lo iato tra cultura
e conoscenza, nella prospettiva del governo dell’impresa. La conoscenza, mix di
comprensione e consapevolezza, qualifica il complesso sistema di condizioni,
processi elaborativi e risultati che trova sintesi in convinzioni qualificate dalla
razionalità, ossia non arbitrarie, né casuali o implicite; la cultura rappresenta invece
la stratificazione di modi di fare, assunti e credenze condivisa da più individui nel
tempo e/o nello spazio, in prevalenza appresa per tradizione, eredità e/o
osservazione degli altri e solo in parte costruita razionalmente, la quale è prodotto e
determinante del comportamento sociale di un individuo o gruppo30.
Ancora una volta, la distinzione rileva sul piano non tanto statico, quanto
dinamico. La cultura, infatti, indica una dotazione non interamente razionale di
informazioni, categorie logiche e convinzioni che può ora favorire ora ostacolare i
processi di conoscenza, sino al limite di impedire l’adeguata e tempestiva percezione
ed elaborazione di bisogni cognitivi.
È così appurato che la cultura del rischio può presentare qualità diversa, per cui
la sua esistenza non implica tout court un migliore governo d’impresa. Una cultura
adeguata è, piuttosto, il portato di un atteggiamento di apertura, disponibilità e non
preclusione alla conoscenza del rischio, ossia alla ricerca di concezioni e approcci
utili ad affrontare le criticità e i paradossi di risk assessment & management predetti.
Ricerca che, si è detto, è continua, inesausta e mai definitiva, in quanto una
perimetrazione definitiva comporterebbe il sostanziale superamento delle condizioni
d’incertezza in cui opera l’impresa, con il venire meno della sua stessa ragion
d’essere e del profitto quale remunerazione del rischio d’impresa31.
29
30
31
1998, pag. 539 e segg.). Negli studi d’impresa, con riguardo a tematiche diverse, si
vedano PANATI, GOLINELLI (1991); CALVELLI (1998); CAROLI, LIPPARINI
(2002).
Sull’interpretazione della conoscenza come comprensione di fatti, verità o informazioni e
al contempo come consapevolezza di sé, dei propri limiti e dei possibili miglioramenti
nella dotazione cognitiva, cfr. almeno PENATI (1987, pagg. 15-36).
La differenziazione tra conoscenza (giocoforza razionale) ed altre convinzioni/credenze è
supportata dalla teoria della giustificazione ed altre impostazioni trattate in VASSALLO
(1999). Approfondimenti sulla definizione di cultura qui proposta sono in GRANDORI
(1995, pag. 290); SCHEIN (1995, pag. 397); PARSONS (1996).
Così KNIGHT (1921). Il legame tra conoscenza e incertezza è pure in Keynes (cfr.
DAVIDSON, 2004, pagg. 166-167), mentre WITTGENSTEIN (1969) si occupa del
rapporto tra conoscenza e certezza, dando il via al filone della “filosofia dell’azione”.
LUCA PROIETTI
199
2. Il rischio di modello ed il suo governo
Il generale legame tra conoscenza e rischio trova specificazione nei rischi di
informazione e conoscenza, categoria che partecipa - interagendo con le altre - del
complessivo rischio d’impresa (Fig. 2). Essi esprimono l’eventualità che il
patrimonio di conoscenze ed i processi cognitivi aziendali siano inadeguati o
fuorvianti rispetto alle concrete situazioni affrontate dall’organizzazione ed alle
attività da condurre32. Si tratta, evidentemente, di rischi reali, qualificati da una più o
meno determinabile probabilità di accadimento, da un effetto reale e da un impatto
economico-finanziario33.
Fig. 2: Il rischio di modello nel quadro dei rischi d’impresa
Rischio d’impresa
Rischi finanziari
Rischi reali (non finanziari)
Rischi
strategici o
di business
Rischi
operativi; altri
rischi puri
Rischi
informativi e
cognitivi
Rischi di
mercato
(finanziario)
Rischi di
credito,
liquidità ecc.
Rischi di modello
Fonte: ns. elaborazioni
2.1 Il rischio di modello (model risk) in generale
Tra i rischi informativo-cognitivi spicca il rischio di modello, argomento assai
recente e ancora poco indagato, in quanto a lungo ritenuto insito in altre più evidenti
fattispecie34. Esso inizia ad essere considerato dalle imprese, in primis finanziarie,
32
33
34
Cfr. DELOACH (2000, p. 252 e segg.) e SELLERI (2006, pag. 48 e segg.) includono tra i
rischi informativi e cognitivi pure inadeguatezze o disfunzionalità delle tecnologie
elaborative. Per HULL, SUO (2002, pag. 3), il Nuovo Accordo di Basilea (o “Basilea
Due”) intende il rischio di modello come importante componente dei rischi operativi,
includendolo dunque nella stima del capitale bancario minimo obbligatorio. Si tratta
invero della sola porzione più specifica e tecnologica del rischio di modello: infatti,
eventuali problemi nei dati di input e nell’uso di tecnologie, compresi dalla prassi
bancaria nei rischi operativi tout court, secondo KATO, YOSHIBA (2000, pag. 130) non
figurano tra i rischi di modello. GIANNETTI, CLARK, ANDERSON (2004, pag. 659)
qualificano il rischio di modello addirittura come “rischio finanziario”, nel senso però che
focalizzano la loro attenzione sull’impatto economico-finanziario.
Su componenti e logiche di trattamento dei rischi, Cfr. NEPI (2007, pagg. 142-151). I
rischi finanziari, in pratica, sono privi della componente dell’effetto reale.
Sulla novità del tema, cfr. BRANGER, SCHLAG (2004, pag. 1). Lo stesso SAVAGE
(1954) riteneva il model risk indistinguibile da quelli di mercato, credito ecc.
200
RISCHIO E CONOSCENZA NEL GOVERNO DELL’IMPRESA
con l’affermarsi dei metodi quantitativi (non solo in ambito di risk management) e
con la comparsa di operazioni e strumenti complessi, come i contratti finanziari
derivati, sintetici, strutturati/combinati, indicizzati ecc.35.
Il model risk pare acquisire un rilievo talmente crescente che il suo governo è
indicato come di particolare valenza ai fini del vantaggio competitivo aziendale36.
Tale focus partecipa peraltro di quelle tendenze evolutive che denotano l’importanza
della logica del rischio nelle organizzazioni imprenditoriali37.
Svariate le definizioni di model risk proposte. Esso indica in generale l’errore
potenziale commesso nell’affrontare un certo fenomeno con un qualche “strumento
cognitivo” (il modello, appunto) per via di limiti nella modellazione e/o di
assunzioni imprecise, datate ovvero semplicemente invalide in condizioni reali
“estreme”38.
Circa i modelli quantitativi, sono stati individuati gradi diversi
d’indeterminatezza, la quale può investire ora i parametri strutturali del modello
impiegato (rischio estimatorio), ora la selezione tra una pluralità di “modelli
candidati” rientranti in una certa classe o famiglia - in cui potrebbe peraltro non
figurare quello più adatto all’esigenza di specie - ora infine l’individuazione della o
delle classi di modelli idonei39. Se il focus della definizione è invece l’ambito
decisionale, emerge la differenza tra il model risk nel quadro del governo del rischio
(possibili inadeguatezze di stime e/o interventi su probabilità e/o entità di perdite
future) e quello relativo ad altre attività e valutazioni aziendali (ricorso ad
impostazioni non consolidate o comunque inidonee agli scopi)40.
35
36
37
38
39
40
Il rischio di modello è stato trattato con riguardo alle attività finanziarie in genere soggette
a rischio di mercato (JACKSON, GESKE, 2001; FILAGRANA, 2002), alle scelte di
pricing, hedging e sottoscrizione delle opzioni (rispettivamente KERKHOF, 2003;
GIANNETTI, CLARK, ANDERSON, 2004; GREEN, FIGLEWSKI, 1999); alle opzioni
esotiche (HULL, SUO, 2002; KATO, YOSHIBA, 2002); al pricing dei derivati in genere
(WILLIAMS, 1999; CONT, 2006); alle obbligazioni in pool garantite o ai crediti
cartolarizzati (FENDER, KIFF, 2003); alla scelta della distribuzione di probabilità ai fini
della misurazione del rischio di credito tramite simulazioni Monte Carlo/“catene di
Markov” (BARRO, 2004, pag. 13); ai derivati metereologici (ROUSTANT, LAURENT,
BAY, CARRARO, 2003). Cfr. anche MANGIERO (2003, pag. 36).
Si veda, pur in ambito bancario, FILAGRANA (2003, pagg. 50-57). STIX (1998, pag. 92)
connette il focus sui rischi di modello allo sviluppo di ingegneria e sofisticazione
finanziaria, sollecitato da squilibri e turbolenze di mercati, economia reale ed ambiente in
genere.
Tali tendenze sono compendiabili nella visione integrata e nell’esplicitazione della portata
strategica del rischio (cfr. THE JOINT FORUM, 2003, pag. 1 e segg.; PROIETTI, 2008,
pag. 351).
Cfr. JACKSON, GESKE (2001, pagg. 1 e 16). Similmente, HULL, SUO (2004, pag. 3).
Sui requisiti generali di un “buon modello”, MANGIERO (2003, pag. 37).
Cfr. BRANGER, SCHLAG (2004, pagg. 1-2 e 3-4).
L’importante distinzione è in KATO, YOSHIBA (2000, pag. 130), che parlano in specie
di rischio di modello nel risk management e di quello nella determinazione del prezzo o
valore di strumenti finanziari più o meno complessi.
LUCA PROIETTI
201
Secondo parte degli studi finanziari, esistono valutazioni esposte al model risk ed
altre sostanzialmente prive di tale rischio (model free), come nel caso delle stime
esclusivamente probabilistiche incentrate, in qualche misura, sulla “legge dei grandi
numeri”41. In contrasto con questa visione restrittiva e dicotomica, si tende sempre
più a ritenere affetta dal rischio di modello ogni valutazione o azione, specie quando
l’osservazione diretta e chiara dei fenomeni sia preclusa o assai difficile42. È stato
peraltro dimostrato che l’uso di approcci stocastici può essere privo di fondamento e
scontare dunque il model risk per via della tendenza ad attribuire a priori al
fenomeno proprietà in realtà inesistenti o non verificabili neppure ex post43.
In definitiva, il rischio di modello assume qui una portata assai ampia, anche
perché gli “strumenti cognitivi” come modelli, schemi, procedure ecc. giocano un
ruolo significativo nel funzionamento di ogni organizzazione economica e
nell’adozione delle decisioni aziendali in genere44. Va peraltro ricordato come già
nel quadro dell’economia contabile, branca dell’economia aziendale, una qualche
sensibilità al rischio di modello sia riflessa nelle impostazioni per l’auditing
contabile, interno o esterno, di bilanci consuntivi e sistemi contabili45.
Con il rischio di modello si tenta dunque di cogliere ed intervenire su
quell’incertezza che attanaglia il processo di conoscenza svolto dall’organo di
governo e dagli altri decisori aziendali rispetto ai variegati problemi del sistema
impresa. Massima espressione della centralità della conoscenza nel governo
dell’impresa, tale fattispecie investe pure i rapporti tra impresa e contesto, perché il
ricorso a cognizioni e misurazioni più o meno robuste ed appropriate:
− influenza i rapporti interorganizzativi ed il grado di fiducia a base delle
dinamiche di mercato46;
41
42
43
44
45
46
Così ROUTLEDGE, ZIN (2001), secondo i quali le valutazioni probabilistiche si adattano
meglio al rischio di mercato, gli approcci basati su ipotesi e casi estremi (extreme value
theory, worst case approach, stress test ecc.) a quello di modello; cfr. pure WILLIAMS
(1999). Si tratta della nota ma non pacifica distinzione tra stime “marked-to-market” e
“marked-to-model”.
Emblematici JACKSON, GESKE (2001, pag. 2 e segg.). ROUSTANT, LAURENT,
BAY, CARRARO (2003, pag. 3) precisano che «the mark to model approach results in
higher model risk», con ciò implicando che pure le stime mark to market non sono esenti
da un qualche rischio di modello. Cfr. anche nota 48.
Pregnanti le argomentazioni in TALEB, PILPEL (2004, pag. 848 e segg.).
Cfr. MANGIERO (2003, pag. 36).
Il controllo legale dei conti, infatti, considera la possibilità: di errori materiali in una
singola area di bilancio o ad un gruppo di operazioni (rischio inerente); che il sistema di
controllo interno non prevenga o individui tempestivamente errori afferenti ad un’area di
bilancio o ad un insieme di operazioni (rischio di controllo); che i controlli effettuati non
siano in grado di scoprire errori materiali in virtù della loro natura campionaria (rischio
d’indagine) (MAINARDI, 2004, pagg. 35-36); di mancato rilevamento di fatti rischiosi
nel conto annuale e/o di errori materiali nella contabilità (CAMERA FIDUCIARIA, 2001,
pag. 64).
Si veda, ad esempio, FENDER, KIFF (2004, pag. 9 e segg.) sull’esposizione degli
202
RISCHIO E CONOSCENZA NEL GOVERNO DELL’IMPRESA
− può essere richiesto o persino imposto dagli attori del contesto47;
− è sempre più oggetto di sindacato e scrutinio esterno, potendo recare pregiudizio
ad interessi specifici di terzi o generali48.
2.2 Il rischio di inadeguato governo dei rischi (risk governance model risk)
Il rischio di modello, pur riguardando tutte le attività aziendali, interessa in
questa sede soprattutto nel quadro delle scelte di risk measurement, assessment &
management49. Il “rischio di governo del rischio” è, dunque, una fattispecie del
rischio di modello che esprime la possibile inadeguatezza delle impostazioni
metodologiche e conseguenti iniziative adottate per il governo di un qualche rischio
(di mercato, di credito, legale ecc.).
Si tratta di un rischio propriamente residuo, in quanto portato della misurazione
e/o del trattamento di un diverso tipo di rischio50. La sua “natura derivativa”:
− conferma il predetto “principio di trasformazione dei rischi”, per cui ogni azione
su un dato rischio (finanche la sua mera misurazione) conduce all’emergere di
rischi residui più o meno significativi51;
− rende la quantificazione particolarmente ardua e relativa, giacché la residualità
implica il menzionato paradosso dei rischi incommensurabili52. Ciò spiega,
peraltro, perché, sebbene molto ricercate in specie in ambito finanziario, non
esistano metriche accurate e consolidate per il rischio di modello53;
47
48
49
50
51
52
53
investitori al model risk cui sono esposte le valutazioni compiute dalle agenzie di rating.
Emblematico il caso delle nuove regole internazionali di vigilanza bancaria (note come
“Basilea Due”), che intendono migliorare il governo dei rischi nelle banche, pur
incorrendo a loro volta in nuovi rischi di modello (cfr. BANCA CENTRALE EUROPEA,
2005, pag. 57 e segg.).
Cfr. MANGIERO (2003, pag. 37), che afferma «model-related issues are relevant as
never before». In Italia, il punto è chiarito esemplarmente da GOLINELLI (2005, pag.
20), laddove parla di “capitalismo sistemico” per qualificare la condizione dell’impresa
contemporanea (cfr. pure PROIETTI, 2007, pag. 363).
Circa la trasversalità del rischio di modello, MANGIERO (2003, pag. 37) afferma: «there
is no perfect model (...) Model risk is a fact of life». Si veda pure JACKSON, GESKE
(2001, pagg. 3-4).
KATO, YOSHIBA (2002, pagg. 129-130 e 146-147) confermano la distinzione tra rischio
di modello nel quadro del risk management o al di fuori dello stesso (in specie, nel pricing
dei prodotti finanziari). Lapidario DERMAN (1996, pag. 1): «this reliance on models to
handle risk carries its own risks».
CONT (2006, pagg. 519-520) sottolinea ad esempio il rapporto tra market e model risk.
Confermano BRANGER, SCHLAG (2004, pag. 19) quando ritengono cruciale l’analisi e
gestione integrata dello specifico model risk e del diverso rischio cui quello riferisce.
Sulla residuali del rischio di modello, cfr. BRANGER, SCHLAG (2004, pagg. 17-18).
Si veda nota 9. Cfr. CONT (2006, pag. 520), sul legame incertezza knightiana o ambiguità
alla Ellsberg e model risk».
Così WILLIAMS (1999). HULL, SUO (2004, pag. 27) osservano che esaminare il model
risk è difficile già sul piano scientifico-concettuale, perché gli studiosi devono tenere
LUCA PROIETTI
203
− lo fa rientrare, insieme ai rischi legale e reputazionale, nei cosiddetti “rischi su
rischi” (risk on risk), caratterizzati da una portata assai ampia e che si alimentano
dell’esistenza di ulteriori rischi, ai quali sono legati da intricati nessi di causaeffetto54.
2.3 Per un governo del rischio di modello
Quanto esposto sinora evidenzia che il governo dei rischi di modello
nell’impresa è assai arduo ma, al contempo, importante. Come per ogni altro rischio,
esso prende le mosse dalla considerazione delle possibili “fonti” di rischio (Fig. 3).
Fig. 3: Principali fonti del model risk
Assenza di modelli: decisioni adottate senza una scelta di criteri meditata ed opponibile a terzi
Scelta inaccurata: un’ampia varietà di approcci idonei, non tutti noti al momento della scelta,
risulta trascurata
Uso inappropriato (modello esistente): modello, inapplicabile al caso di specie ma altrimenti
valido, selezionato in modo acritico e superficiale in ragione della sua notorietà e/o diffusione
generale
Complicazione: eccessiva sofisticazione del modello impiegato (variabili ridondanti, non bene
specificate ecc.), con conseguenti riflessi in termini di onerosità, tempestività e/o verificabilità
Inadeguatezza (modello nuovo o calibrato ad hoc): incompletezza, scorrettezza e/o “miopia”
del modello usato (per omessa considerazione di aspetti rilevanti, scelta di una distribuzione di
probabilità non rispondente alla realtà, assunzione di ipotesi troppo semplificative o astratte,
eccessiva approssimazione di variabili o errori nella loro stima ecc.)
Problematicità dei dati di input: scarsa reperibilità; esposizione a rilevanti e improvvisi
mutamenti; erroneità nel ricorso a dati storici
Problematicità dei risultati: inconsistenza (risultati privi di senso e/o fortemente instabili) per
via di dati in forma non corretta; inaffidabilità per criticità econometriche e/o computazionali
(inclusi tempi di elaborazione smisurati); errori tecnici e materiali di calcolo; scarsa chiarezza
(esposizione ad eccessiva discrezionalità interpretativa)
“Scalabilità” del modello: disponibilità ad abusi, strumentalizzazioni, arbitraggi ecc.
Tecnologia: inconvenienti nelle dotazioni hardware e/o software per l’implementazione del
modello
Complessità “esogena”: notevole instabilità del fenomeno/problema considerato
55
Fonte: ns. elaborazioni
54
55
conto del concreto modo con cui i modelli sono scelti e usati dagli investitori sui mercati
finanziari (nella nostra ottica, dai decisori nelle rispettive organizzazioni).
Sui rischi legale e reputazionale, cfr. (per le banche) COMITATO DI BASILEA PER LA
VIGILANZA BANCARIA (2006, pag. 156, nota 97) e OLIVER, WITMAN &
COMPANY (2001, pag. 14), che ne escludono per ora l’agevole quantificazione.
Le fonti individuate sono coerenti con l’idea del modello, inteso in senso lato, quale
sintesi di componenti di input, processazione e reporting (OCC, 2000, pag. 2). Tra le
varie tassonomie sulle fonti del risk model, cfr. DERMAN (1996, pagg. 6-8); GREEN,
FIGLEWSKI (1999, pagg. 2-3), MANGIERO (2003, pagg. 37-38) e, distinguendo tra
ambito di risk management e non, KATO, YOSHIBA (2000, pagg. 129 e 146-147). STIX
(1998, pag. 96) accenna all’uso acritico di modelli più o meno consolidati. Circa le fonti
RISCHIO E CONOSCENZA NEL GOVERNO DELL’IMPRESA
204
Sulla scorta delle predette fonti, è possibile introdurre nel sistema impresa, da un
lato, modalità di rilevazione e stima del model risk e, dall’altro, specifici
trattamenti56. Al riguardo, sono stati identificati almeno tre idealtipi di governance
del rischio in esame (Fig. 4).
Fig. 4: Stili manageriali in fatto di misurazione e trattamento del model risk
Stile
−
Naive
approach
−
−
(Bayesian)
model
averaging
approaches
−
Caratteri
Un qualche modello viene, anche
inconsciamente, scelto a priori ed
applicato per misurare e/o trattare un
certo rischio
Il rischio di modello è sostanzialmente
ignorato e nessuna misura o
trattamento specifico dello stesso è
assunto
A
ciascun
modello
all’uopo
considerato è attribuita una probabilità
Il model risk è misurato indirettamente
ponderando i modelli considerati,
mentre quelli con migliori probabilità
ispirano i trattamenti da compiere
−
−
−
−
−
−
−
−
Worst-case
/ max-min
−
approaches
Si ricercano e considerano gli scenari e
modelli che contemplano le ipotesi più
estreme
Si aspira così ad ottenere le
misurazioni e/o scelte più conservative
e prudenziali
−
−
−
Vantaggi e limiti
Semplicità estrema
Rapidità
Possibile superamento dei limiti di
tolleranza del rischio globale, con
conseguenze
anche
gravi
per
l’organizzazione
Attenzione al rischio di modello solo
indiretta
Richiesti
molti
input
al
decisore/utente
Notevoli difficoltà di stima delle
probabilità relative ai modelli
Notevoli difficoltà computazionali (si
ricorre in genere a stime Monte
Carlo)
Non si ha comunque certezza di aver
colto le impostazioni più prudenziali
Possono
aversi
risultati
così
prudenziali da essere irragionevoli o
antieconomici
Approcci talora laboriosi
57
Fonte: ns. elaborazioni
Il mero calcolo non può esaurire il governo del model risk: soprattutto la stima
dell’impatto economico resta ardua e meramente orientativa58. Occorrono pertanto
ulteriori trattamenti, diversi dalla quantificazione (Fig. 5). La considerazione di
56
57
58
attinenti dati di input e tecnologie/processi di elaborazione, Cfr. anche nota 31.
BRANGER, SCHLAG (2004, pag. 6) parlano di “risk measure in case of model risk” e
“model risk measure”: l’una indica l’ammontare totale di rischio, incluso quello di
modello, cui è esposta una certa decisione o attività, l’altra il solo rischio di modello.
CONT (2006, pag. 519) afferma chiaramente che, nel primo caso, si tratta di incorporare
un “premio” per il rischio di modello nelle quantificazioni.
Stili descritti in CONT (2006, pag. 520 e segg.), che preferisce gli ultimi, e in
BRANGER, SCHLAG (2004, pagg. 2, 7-12 e 14-17), che sostengono invece i secondi,
ammettendo però per gli stessi (pagg. 2 e 19) l’esigenza, tutt’altro che banale, di
avanzamenti nelle misurazioni di similarità fra modelli.
Cfr. GREEN, FIGLEWSKI (1999, pag. 3), che confermano in tal modo il legame tra
model risk ed incertezza à la Knight.
LUCA PROIETTI
205
perdite inattese da fronteggiare con un’apposita dotazione patrimoniale resta una
soluzione inevitabile, avendo il rischio di modello portata ed interdipendenze con gli
altri rischi d’impresa così ampie da rendere irragionevole il ricorso esclusivo a
logiche d’analisi ed intervento sufficienti per i rischi aleatori59.
Fig. 5: Alcuni trattamenti del model risk nel sistema impresa
Ricerca e/o validazione di possibili impostazioni decisionali già esistenti in base a cultura del rischio,
capacità di autocritica e/o ricorso a “saperi esperti” interni o esterni
Coinvolgimento nella modellizzazione di competenze variegate e multidisciplinari
Validazione iniziale (indipendente, interna o esterna, e/o da parte della stessa unità organizzativa
adottante) di ogni nuovo modello, anche attraverso la sua sperimentazione prima
dell’implementazione sistematica e/o comunicazione all’esterno
Test dei modelli, specie se complessi e sofisticati, dapprincipio in fattispecie relativamente semplici
Revisione/validazione periodica (indipendente, interna o esterna, e/o da parte della stessa unità
organizzativa) dei modelli già adottati, anche tramite riscontro con le evidenze ex post delle variabili
osservate
Attenzione tempestiva anche a piccole discrepanze e dubbi emergenti dai test o utilizzi dei modelli
Impiego e comparazione di più impostazioni per affrontare un certo problema (cosiddetti metodi di
controllo)
Combinazione dei risultati, se strettamente quantitativi, di differenti modelli (cosiddetti metodi misti)
Verifiche periodiche sull’effettività/sistematicità dell’uso delle impostazioni validate
Integrazione e miglioramento dei sistemi informativi aziendali, spesso frammentari, lacunosi e non
funzionali né con contenuti aggiornati
Comunicazione tra il fautore/utente di una certa impostazione decisionale e i “clienti”, interni e/o
esterni, dei relativi output
Analisi di scenario basate su dati storici o esperienze altrui inerenti a situazioni “estreme” o “di
rottura”
Allocazione di capitale a pieno rischio (capitale allocato o economico)
Fonte: ns. elaborazioni
4. Una prima esperienza di analisi del rischio di modello nel risk
management nel Gruppo Alenia Aeronautica
L’attenzione ai model risk può essere riscontrata in alcune esperienze aziendali
recenti. Il Gruppo Alenia Aeronautica è una della prime realtà non finanziarie
italiane ad aver avviato, pur in via esplorativa e sperimentale, iniziative al
riguardo61.
59
60
61
Confermano KATO, YOSHIBA (2000, pag. 149).
Ulteriori dettagli si vedano in OCC (2000, pag. 2); DERMAN (1996, pagg. 9-10); KATO,
YOSHIBA (2000, pagg. 147-150).
Quanto segue trae spunto anche da incontri e confronti con qualificati esponenti di Alenia
Aeronautica (Roberto Polidoro, program manager A380; Flora Anna Carpito; Marco
Dutto, Matteo M. Gianasso, Massimo Giordano, Federico Olivero) e Alenia Aermacchi
(Elena Bernasconi, Danilo Bramè), cui va un sentito ringraziamento, esteso ai responsabili
scientifici e delle risorse umane di Alenia Aeronautica Bartolo Natoli e Tommaso
206
RISCHIO E CONOSCENZA NEL GOVERNO DELL’IMPRESA
4.1 Caratteri e dinamica evolutiva recente del Gruppo Alenia Aeronautica
Il Gruppo Alenia Aeronautica è la maggiore realtà industriale nazionale in
campo aeronautico, attiva nel Paese e all’estero nella progettazione, realizzazione,
trasformazione e assistenza di una vasta gamma di velivoli e sistemi aeronautici sia
civili che militari, in gran parte nel quadro di collaborazioni con le più importanti
industrie mondiali del settore. La sua regia spetta ad Alenia Aeronautica SpA,
interamente controllata da Finmeccanica, società ad azionariato diffuso quotata in
borsa e controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Alenia Aeronautica SpA, nell’attuale configurazione, è sorta nel 2002, ma con lo
stesso nome ha già operato dal 1990 al 1996 prima di confluire in Alenia Aerospazio
e Finmeccanica. Essa si pone in sostanziale continuità con la produzione aeronautica
italiana svolta dal 1912 ad oggi62.
Il Gruppo Alenia Aeronautica serve clienti (in gran parte governi nazionali)
sparsi in tutto il mondo, occupa oltre 9.300 dipendenti nei siti in Piemonte, Veneto,
Lazio, Campania e Puglia e svolge la sua attività tramite le società del gruppo (tra
cui nomi storici quali Alenia Aermacchi ed Alenia Aeronavali), joint venture
internazionali (Eurofighter con BAE Systems ed EADS, ATR con EADS ecc.) ed
accordi di lungo periodo (con Boeing, Lockheed Martin e Dassault)63. Pur orientato
a logiche di mercato ed al panorama globale, non ha rinunciato alla natura di
“campione nazionale”, restando al di fuori della “cabina di regia” dell’europea
Airbus, con cui ha però intessuto collaborazioni produttive64.
L’industria aeronautica è oggetto di profonde trasformazioni a livello mondiale,
con una domanda potenziale in forte ascesa, ma assai variante tra i segmenti civile e
militare, nella composizione geografica e nel comportamento dei clienti. L’offerta è
poi al centro di un’impietosa concentrazione, con l’emergere di sempre più grandi
global player, senza contare che la volontà della Cina di avere una produzione
nazionale rimette in gioco ogni prospettiva degli attuali produttori65.
In questo quadro di turbolenza, Alenia Aeronautica è riuscita in un percorso di
costante crescita basato sulla combinazione del ruolo di qualificato subfornitore
diretto (prime supplier o risk sharing partner) dei più grandi costruttori globali con
quello storico di produttore di velivoli propri66. A ciò si è accompagnato un processo
62
63
64
65
66
Bonpresa. Ogni imprecisione o giudizio di merito è comunque responsabilità dell’Autore.
Sulla storia dell’industria aeronautica italiana, di Aeritalia e di Alenia Aeronautica, si
vedano FRASSETTO (1991), ESPOSITO (1996), ALENIA AERONAUTICA (2008;
2008a; 2008b). Sulla dinamica evolutiva di Finmeccanica e la sua ristrutturazione nel
periodo 1997-2000, cfr. GATTI (2002).
Sulle alleanze in ambito aeronautico, cfr. VICARI (1991).
La teoria dei “campioni nazionali” è esaminata in MACCHIATI, PROSPERETTI (2006,
pag. 455 e segg.). Circa l’evoluzione di Airbus, cfr. VELO (2007, pag. 7 e segg.) e
RAFFAELLO (2007, pag. 87 e segg.).
Sull’avvento in Paesi emergenti come la Cina di industrie aeronautiche impegnate pure
nel segmento civile, cfr. MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, ICE (2007, pag. 11) e
LANDI (2007; 2007a; 2007b).
Il posizionamento strategico di Alenia Aeronautica può essere compendiato
LUCA PROIETTI
207
di upgrading manageriale incentrato sulla sistematica applicazione del life cycle
management (LCM), che implica un crescente orientamento al mercato, alla
soddisfazione del cliente, nonché alla gestione consapevole del peculiare prodotto
aeronautico, contraddistinto da grande dimensione, notevole valore unitario, tempi
di fabbricazione pluriennali e grande variabilità del singolo esemplare rispetto al
prototipo. In coerenza con ciò, ulteriori sforzi sono stati compiuti sul piano del
project management (PM) e risk management (RM)67.
4.2 Un’esperienza di governo del model risk nella phase review dell’A380
Tra le linee di prodotto (in gergo “programmi”) sottoposte per prime alle
predette impostazioni figura l’Airbus A380, il più grande velivolo passeggeri del
mondo, l’unico con doppio ponte e quattro corridoi. Alenia Aeronautica progetta e
produce a Nola (NA) la sezione centrale della sua fusoliera (con le relative attività di
ingegneria), completa di impianti di umidificazione e condizionamento dell’aria e
sistemi termoacustici: si tratta del 4% della struttura totale, il livello di
partecipazione esterno ad Airbus più elevato in Europa68.
Tra il 2007 e l’inizio del 2008, l’A380 è stato oggetto di un project work teso a
cogliere i rischi di inadeguato risk management sottesi al vigente “sistema
normativo” aziendale e/o alla sua applicazione ed a delineare possibili trattamenti.
Per “sistema normativo” si è inteso il complesso delle linee guida aziendali e di
gruppo sul risk management ed anche sulle phase review, verifiche periodiche poste
al termine di ciascuna fase del ciclo di vita del programma con lo scopo di attestare
il conseguimento degli obiettivi prefissati e pianificare eventuali azioni di recupero,
in modo che siano soddisfatti i requisiti per avviare gli step successivi69.
L’esame è stato condotto assumendo il punto di vista del program manager, che
in phase review deve analizzare i rischi emergenti e prefigurare trattamenti. Benché
il governo del rischio di modello investa in gran parte le funzioni corporate ed il
67
68
69
nell’affermazione che si tratta di una realtà troppo grande per essere un mero subfornitore
e troppo piccola per essere un costruttore finale indipendente. Sullo sviluppo su scala
internazionale del Gruppo Alenia Aeronautica, cfr. POLESE, PROIETTI (2007).
Cfr. BERNASCONI (2007, pagg. 12-16). Si veda anche PROIETTI (2008, pag. 344, nota
82).
Cfr. FINMECCANICA (2008).
“Norme” interne in materia di risk management considerate: “Direttiva FNM sui rischi di
commessa” (emanata da Finmeccanica nel settembre 2006); “PA D 01 A ‘Risk
Management’” (Alenia Aeronautica; gennaio 2003); “PROC.ORG 0123 ‘Program Risk
Management’” (Alenia Aermacchi; giugno 2007); “PAM C 07 ‘Gestione
rischi/opportunità di progetto’” (Selex; settembre 2006). “Nonne” sulla phase review.
“Direttiva sull’introduzione delle Phase Review nel Gruppo Finmeccanica”
(Finmeccanica; settembre 2005); “PA D 03B ‘Gestione delle Phase Review’” (Alenia
Aeronautica; maggio 2007). Esempi di risk register delineati in base a tali norme sono
esposti in BERNASCONI (2007, pp. 7-9).
Circa la centralità della phase review nelle società Finmeccanica, cfr. GUARGUAGLINI
(2007, pagg. 12-14).
208
RISCHIO E CONOSCENZA NEL GOVERNO DELL’IMPRESA
vertice aziendale, esorbitando dal solo program manager, il punto di vista di
applicatore delle menzionate linee guida di quest’ultimo è parso utile ed
opportuno70.
L’analisi è stata condotta ricorrendo a vari strumenti metodologici (Fig. 6).
Fig. 6: Alcune impostazioni impiegate nell’analisi del model risk
Cross reference: analisi comparativa tra le “normative” aziendali per rilevare discrasie lessicali,
di contenuto, struttura, età ecc.
Checklisting per il confronto tra dottrina e prassi: verifica di robustezza delle “normative”
aziendali rispetto ad indicazioni dottrinali su risk management in generale e su analisi e
trattamento del model risk.
Case study tramite riscontro documentale: esame dei documenti aziendali di concreta
applicazione delle “normative” ad uno specifico processo aziendale (nel caso di specie, phase
review dell’A380) per avere indicazioni su qualità applicativa e discrezionalità interpretativa.
Interviste con metodo CATI: “sondaggio” nell’impresa sulla cultura e/o sul clima organizzativo
al fine di avere indicazioni del grado di compatibilità e integrazione con le vigenti “normative
aziendali” e della sensibilità ai temi del rischio e del suo governo.
Fonte: ns. elaborazioni
Svariate le criticità e prospettive di miglioramento emerse dall’analisi:
− le disposizioni normative considerate hanno differente anzianità, risultando tra
loro non del tutto allineate sul piano tanto lessicale quanto di vision;
− il rischio in generale è stato sinora l’aspetto del sistema integrato di LCM su cui
minore è stata l’enfasi sia del vertice aziendale che dei singoli dirigenti, sicché
disposizioni e strumenti hanno talora ridotta capacità orientante, mentre il grado
di concreta applicazione può essere superiore;
− il risk assessment nelle phase review viene al momento inteso dal program
manager più come un adempimento, una formalità, che un momento sostanziale
del governo del programma, anche perché manca un collegamento premiante tra
la qualità del risk assessment ed il program manager;
− il budget gestito dal program manager può anzi essere penalizzato dalle azioni
che una sana cultura del rischio richiederebbe di intraprendere71;
− il sistema normativo non disincentiva l’eccessiva predilezione di soluzioni ex
post e generiche (come le contingency) rispetto ai trattamenti più specifici ed
anticipatori72;
70
71
72
Cfr. supra, Fig. 5.
Sull’EVA in Alenia Aeronautica, cfr. GUARGUAGLINI (2007, pag. 8 e segg.).
Un’attenzione contenuta al profilo del rischio può comportare un’eccessiva enfasi sui
risultati economico-finanziari a breve, che in un sistema di LCM si traduce nell’eccessivo
peso attribuito ad indicatori come l’EVA: sulle implicazioni negative dell’introduzione
dell’EVA ad esempio nella Fiat, cfr. BODO (2002, pag. 49).
La contingency indica una mera previsione di risorse finanziarie addizionali ritenute
opportune per mitigare l’effetto di talune eventualità. È dunque un trattamento rimediale.
LUCA PROIETTI
209
− non esistono infrastrutture informative e di misurazione fornite a livello centrale
(meglio ancora se condivise tra programmi) a supporto delle valutazioni richieste
a program manager e loro team73;
− il disegno complessivo delle norme non implica un’adeguata continuità e
“memoria” tra le phase review di uno stesso programma. Sussiste una “cesura”
di informazioni e valutazioni risk based in specie tra la macrofase di “vendita” e
quella di fabbricazione dei velivoli.
Nel corso dei confronti con esponenti del Gruppo Alenia Aeronautica, sono
infine emerse idee circa schemi logici di project risk management non tradizionali,
idonei a sollecitare una costante riconsiderazione dei rischi di inadeguato risk
management lungo il generico processo di anali e gestione dei rischi aziendali (Fig.
7)74.
Fig. 7: Schemi logici per il model risk management emersi in Alenia Aeronautica
Risk Management (RM) Life Cycle
a) Visione tradizionale (sequenziale lineare)
1.
2.
3.
b) Visione iterativa (preferibile)
4.
4.
1.
Fasi/step:
1. = Identificazione dei rischi di inadeguato RM
2. = Valutazione di significatività dei rischi di
inadeguato RM
3. = Trattamento dei rischi di inadeguato RM
4. = Controllo del rischio residuo di inadeguato RM
3.
2.
Fonte: ns. elaborazioni
5. Considerazioni conclusive. Implicazioni scientifiche e manageriali
Il contributo ha trattato il nesso tra conoscenza e rischio, di centrale importanza
perché a base della complessità dell’economia e del governo delle imprese. L’analisi
ha consentito, peraltro, di distinguere meglio tra cultura e conoscenza del rischio
d’impresa.
73
74
Ciò non agevola il processo di riconduzione, almeno parziale, dei rischi di modello a
trattamenti di stampo statistico-probabilistico.
L’immagine 7b fornisce indicazioni (eventualmente quantificabili) sull’articolazione in
fasi (frecce bianche) e sull’avanzamento di ogni fase (frecce scure) di un qualsiasi
processo di risk management, dimostrando come i vari step possono procedere in realtà in
parallelo, alimentando l’individuazione di nuovi rischi di inadeguati approcci cognitivi
(modelli, regole ecc.). Le fasi possono peraltro richiedere un impegno diverso al
responsabile (frecce bianche di dimensioni diverse tra di loro, diversamente
dall’immagine 7a).
210
RISCHIO E CONOSCENZA NEL GOVERNO DELL’IMPRESA
Elemento centrale dell’analisi è il rischio di modello, particolare espressione del
binomio conoscenza-rischio. Dopo un suo inquadramento prima in generale e poi
con riguardo alle decisioni ed azioni di risk management, sono state proposte
logiche di governo utili pure alle imprese non finanziarie e in una prospettiva
strategica.
Il lavoro offre diverse implicazioni sia di ricerca che manageriali. Circa le prime,
emerge anzitutto la possibilità di nuovi studi per una rivisitazione della teoria del
rischio in ambito aziendale, con l’identificazione di impostazioni forse meno
codificate sul piano metrico ed algoritmico, ma più rispondenti alle esigenze
manageriali. Ciò vale pure per il model risk, rispetto al quale possono essere ancora
esplorati i modi di quantificazione, specie per le imprese non finanziarie.
Circa le implicazioni manageriali, un apposito modo di concepire il rischio quale
elemento chiave del governo d’impresa è stato proposto, contrastando visioni
riduttive o opportunistiche del risk management. Mediante il risk model, si è poi
richiamata l’attenzione dei responsabili sulle impostazioni decisionali, diagnostiche
ecc. adottate nelle organizzazioni, indicando infine concrete logiche di azione e
controllo di questa peculiare categoria di rischio.
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