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Il riparto di competenze in materia di pratiche
14 OTTOBRE 2015 Il riparto di competenze in materia di pratiche commerciali scorrette nei settori regolati. Riflessioni sul decreto legislativo 21 febbraio 2014, n. 21 di Rosaria Petti Avvocato, dottoranda di ricerca in diritto pubblico Parthenope – Università di Napoli Il riparto di competenze in materia di pratiche commerciali scorrette nei settori regolati. Riflessioni sul decreto legislativo 21 febbraio 2014, n. 21* di Rosaria Petti Avvocato, dottoranda di ricerca in diritto pubblico Parthenope – Università di Napoli Sommario: 1. Introduzione; 2. La competenza esclusiva in materia di pratiche commerciali scorrette; 3. L'evoluzione normativa e giurisprudenziale; 3.1. La posizione della Commissione europea; 4. La novella legislativa; 5. Criticità applicative; 6. Le soluzioni proposte; 7. Conclusioni. 1. Introduzione L’assetto dei rapporti tra Autorità garante della concorrenza e del mercato e le Autorità nazionali preposte alla regolamentazione settoriale in tema di tutela del consumatore nelle pratiche commerciali scorrette è sempre stato al centro di un dibattito che non pare essersi sopito neanche con la recente introduzione dell’art. 1, comma 6, lett. a) del decreto legislativo 21 febbraio 2014 n. 211. L’articolo richiamato, recante l’attuazione della direttiva n. 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, introduce il nuovo comma 1bis all’art. 27 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (c.d. Codice del consumo) che disciplina il riparto di competenze in materia di pratiche commerciali scorrette. Il nuovo assetto di competenze lascia, tuttavia, aperte alcune questioni interpretative e richiede un arduo coordinamento tra le Autorità interessate. Articolo sottoposto a referaggio. Si tratta del decreto recante “Attuazione della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, recante modifica delle direttive 93/13/CEE e 1999/44/CE e che abroga le direttive 85/577/CEE e 97/7/CE” in Gazzetta Ufficiale n.58 del 11.3.2014. * 1 2 federalismi.it |n. 19/2015 Il presente contributo, senza alcuna pretesa di esaustività, intende analizzare l’organicità del disposto normativo con i principi comunitari e costituzionali, nonché evidenziare le criticità applicative. 2. La competenza esclusiva in materia di pratiche commerciali scorrette Il d. lgs. n. 21/2014 interviene sulla dibattuta questione relativa al riparto di competenze tra l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (di seguito, AGCM o Autorità garante) e le Autorità di regolazione in materia di tutela del consumatore, assegnando in via esclusiva alla prima la competenza a intervenire sulle condotte d'impresa che integrano pratiche commerciali scorrette anche nei settori regolati.2 In particolare, l'art. 27, comma 1bis, del Codice del consumo, introdotto dall'art. 1, comma 6, del richiamato decreto, prevede che: «[a]nche nei settori regolati, ai sensi dell'articolo 19 comma 3, la competenza ad intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti che integrano una pratica commerciale scorretta, fermo restando il rispetto della regolazione vigente, spetta, in via esclusiva, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che la esercita in base ai poteri di cui al presente articolo, acquisito il parere dell'Autorità di regolazione competente. Resta ferma la competenza delle Autorità di regolazione ad esercitare i propri poteri nelle ipotesi di violazione della regolazione che non integrino gli estremi di una pratica commerciale scorretta. Le Autorità possono disciplinare con protocolli di intesa gli aspetti applicativi e procedimentali della reciproca collaborazione, nel quadro delle rispettive competenze». La norma individua un criterio generale di ripartizione preventiva tra la competenza dell'AGCM e delle Autorità settoriali rispetto ai comportamenti astrattamente idonei a configurare una violazione della disciplina generale in materia di pratiche commerciali scorrette e della normativa Si riporta sinteticamente la disciplina dettata dal Codice del consumo a tutela del consumatore dalle pratiche commerciali scorrette. L’art. 20 del Codice definisce in via generale come scorretta la pratica commerciale «[…] contraria alla diligenza professionale, […] falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori». Posta questa clausola generale, il Codice del consumo definisce le pratiche commerciali ingannevoli agli artt. 21 e 22, le pratiche commerciali aggressive agli artt. 24 e 25, e ne delinea un’elencazione rispettivamente agli artt. 23 per le «pratiche commerciali considerate in ogni caso ingannevoli» e 26 per le «pratiche commerciali considerate in ogni caso aggressive». Infine, con l’art. 27 vengono attribuiti all’AGCM i poteri investigativi, inibitori e sanzionatori in materia di pratiche commerciali scorrette. Il legislatore italiano prevede, inoltre, che «in caso di contrasto le disposizioni contenute in direttive o in altre disposizioni comunitarie e nelle relative norme nazionali di recepimento che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette prevalgono sulle disposizioni del presente titolo e si applicano a tali aspetti specifici» (art. 19, comma 3, Codice del consumo). In tal modo il legislatore affida al principio di specialità il difficile compito di risolvere il possibile conflitto tra la disciplina generale delle pratiche commerciali scorrette posta dal Codice del consumo, e le discipline settoriali poste a tutela del consumatore da Autorità di regolazione alle quali il legislatore stesso ha attribuito il relativo potere. In tal senso, V. CARFI, Pratiche commerciali: il comma 1bis dell'art. 27 del Codice del consumo, in Rivista della Regolazione dei mercati, 2014, I, pp. 215 e ss. 2 3 federalismi.it |n. 19/2015 di settore.3 Gli interventi delle Autorità, di settore e del Garante, si pongono in modo alternativo, seppur con prevalenza in tema di accertamento di pratiche commerciali scorrette dell'AGCM, rispetto all'accertamento di violazioni settoriali da parte delle Autorità di regolazione. L'obiettivo è evitare una duplice sanzione applicata a un medesimo comportamento, che, sebbene integri una doppia violazione, non merita di essere sanzionato più volte. Non può essere in alcun modo accettabile nell'ordinamento che una medesima condotta posta in essere da un'impresa, seppur illecita o ingannevole, possa essere soggetta all'intervento di due diverse autorità, entrambe volte alla tutela del consumatore. La circostanza sottoporrebbe l'impresa a un duplice procedimento, con l’innegabile rischio di una duplicazione delle sanzioni e conseguente violazione del principio del ne bis in idem. La novella legislativa delinea, pertanto, la competenza in materia di pratiche commerciali scorrette, anche nei settori regolati, in capo all'AGCM, residuando in capo alle Autorità di settore l'accertamento di violazioni della regolazione di settore esclusivamente nell'ipotesi in cui la condotta illecita non integri gli estremi di una pratica commerciale scorretta. L'intervento normativo assume, inoltre, una duplice portata. Da un lato si configura la natura di norma integrativa dell'art. 27 del Codice del Consumo, dall'altro di norma interpretativa dell'art. 19, comma 3, del medesimo Codice. Invero, al fine di comprendere nella sua interezza la portata dell'azione normativa, occorre operare una lettura sistematica dell'art. 27 in combinato con l'articolo appena richiamato. L'art. 19, al comma 34, dispone una delimitazione della deroga alla Sul punto occorre precisare che nessun dubbio sorge circa l'applicabilità della norma anche al settore dei servizi finanziari, per i quali sussiste una deroga all'approccio di armonizzazione massima che caratterizza la direttiva sulle pratiche commerciali sleali – direttiva dell’11 maggio 2005 n. 29 del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva n. 84/450/CEE del Consiglio e le direttive n. 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio. Il settore si caratterizza per l'ampiezza del canone di diligenza professionale che l'Autorità può esigere dal professionista. La stessa direttiva richiamata prevede all'art. 3, par. 9 che «[i]n merito ai servizi finanziari definiti dalla direttiva 2002/65/CE e ai beni mobili, gli Stati membri possono imporre obblighi più dettagliati o vincolanti di quelli previsti nella presente direttiva nel settore che essa armonizza». 4 L'articolo è stato introdotto nel nostro ordinamento in recepimento della direttiva n. 2005/29/CE, e in particolare dell'art. 3, comma 4 della medesima. Per una trattazione approfondita dell’attuazione della direttiva in Italia, si rinvia a L.G. VIGORITI, Verso l’attuazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, in Europa e diritto privato, 2007, pp. 521 e ss.; G. DE CRISTOFARO, Il decreto legislativo n. 146 del 2 agosto 2007, attuativo della direttiva 2005/29/CE, in Studium Iuris, 2007, 11, 1181 ss., TUVERI C., Il decreto sulle pratiche commerciali scorrette. Una nuova frontiera in tema di tutela del consumatore, in Giurisprudenza di merito, 2008, 1830 ss.; C. GRANELLI, Le “pratiche commerciali scorrette” tra imprese e consumatori: l’attuazione della direttiva 2005/29/CE modifica il codice del consumatore, in Studi in onore di Giorgio Cian, 2010, I, 1233 ss.; G. HOWELLS, Unfair Commercial Practices Directive – A missed opportunity?, in S. WEATHERILL-U. BERNITZ(a cura di) The Regulation of Unfair Commercial Practices under EC Directive 2005/29. New Rules and New Techniques, Hart, 2007, 103 ss. 3 4 federalismi.it |n. 19/2015 disciplina generale che individua esclusivamente le disposizioni settoriali «in contrasto» con quelle generali che posseggano lo status di legislazione dell'Unione, ovvero di norme nazionali di recepimento della normativa comunitaria. 5 Quindi, mentre la nuova previsione dell'art. 27 disciplina il riparto di competenze, l'art. 19 disciplina – in conformità con l'art. 3, par. 4, direttiva n. 2005/29/CE – il rapporto tra le norme generali in tema di pratiche commerciali scorrette e la regolazione settoriale. La disciplina settoriale prevale sulle norme in materia di pratiche commerciali scorrette in presenza di una situazione di contrasto tra la direttiva n. 2005/29/CE e le norme settoriali specifiche, qualora queste ultime abbiano natura comunitaria e disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette. In assenza di tali condizioni la regola di prevalenza della norma di settore non opera e resta pertanto impregiudicata l'applicazione delle disposizioni generali in materia. 6 Diversamente, qualora le condizioni richiamate vengano soddisfatte, la disciplina settoriale di quegli aspetti specifici prevale sulle disposizioni generali in tema di pratiche commerciali scorrette. Tuttavia, l'AGCM resta l'unica titolata a intervenire e a sanzionare la condotta, qualificandone la scorrettezza alla luce della disposizione di settore. Negli ambiti di applicazione dell'art. 19, comma 3, si rinviene un rilevante vincolo nel potere di enforcement dell'AGCM, giacché una condotta conforme alle prescrizioni della normativa settoriale non potrebbe integrare una condotta contraria alla diligenza professionale e quindi scorretta, mantenendo l'intangibilità del potere di regolazione spettante alle singole Autorità di settore.7 La clausola riportata dall'art. 27 – per la quale resta fermo «il rispetto della regolazione vigente» – pare escludere la possibilità di considerare scorretta una pratica commerciale conforme alla regolazione. 8 Tuttavia, pur considerata tale lettura, occorre valutare le sorti della regolazione settoriale che non abbia natura comunitaria, ai sensi della direttiva n. 2005/29/CE. Tale In tal senso si veda, S. PERUGINI, I “nuovi” strumenti di intervento dell'AGCM, in Corriere Giuridico, 7 allegato 1/2014, pp. 44 e ss. L'Autrice analizza le importanti novità in tema di rimedi che riguardano l'attribuzione all'AGCM della competenza a promuovere l'azione amministrativa a tutela della nuova disciplina sui diritti dei consumatori nei contratti. Inoltre, la Stessa evidenzia come valido esempio di disposizione settoriale di rango comunitario che disciplina un aspetto specifico di una pratica commerciale l'art. 70, comma 4, Codice delle Comunicazioni elettroniche. La norma richiamata recepisce l'art. 20, comma 4, della direttiva n. 2009/136/CE e dunque, oltre a possedere lo status di legislazione dell'Unione, concerne aspetti specifici di una pratica commerciale. Sul tema si veda la stessa Autrice, Rapporto tra la disciplina generale delle pratiche commerciali scorrette di cui agli artt. 18 e ss. del codice del consumo e le discipline di settore, in Consumers' Forum – Università di Roma Tre (a cura di), Consumerism 2013 Sesto Rapporto annuale, 2013, pp. 9 e ss. 6 Cfr. Assonime, circolare del 10 settembre 2014, n. 27, Il nuovo assetto delle competenze in materia di pratiche commerciali scorrette e il ruolo dei protocolli di intesa tra le Autorità. 7 In tal senso la Relazione illustrativa dello schema di d. lgs. n. 21/2014. 8 Cfr. Relazione Illustrativa dello schema di decreto legislativo secondo la quale l'inciso andrebbe inteso nel senso di escludere la scorrettezza di una pratica commerciale ove questa sia conforme alla regolazione di settore. 5 5 federalismi.it |n. 19/2015 regolazione, secondo l'art. 19, comma 3, non prevarrebbe sulla disciplina generale in tema di pratiche commerciali scorrette. Il diverso approccio dell'Autorità garante, la quale nel valutare concretamente la diligenza professionale non sarebbe tenuta a considerare la conformità del comportamento del professionista alla regolazione vigente, porterebbe a escludere la prevalenza sulle disposizioni generali delle disposizioni settoriali che attuino norme di armonizzazione minima di carattere generale. Analizzando il tema della contrapposizione tra disciplina settoriale e generale in tema di pratiche commerciali scorrette, occorre soffermarsi anche sul significato da attribuire alla locuzione «contrasto» contenuta nello stesso art. 19, comma 3, del Codice del consumo. La dottrina maggioritaria ritiene che il contrasto vada inteso come antinomia reale tra norme, e dunque nel senso di delimitare la deroga alle disposizioni le cui previsioni risultino contrastanti con quelle generali. La Commissione europea, invece, ritiene il contrasto sussistente anche nel caso in cui le disposizioni settoriali disciplinino in modo più puntuale aspetti particolari di una determinata condotta.9 La conclusione espressa dalla Commissione appare, tuttavia, eccessivamente rigorosa e probabilmente inidonea a individuare nella specialità un criterio di risoluzione del conflitto. In tal senso è stata proposta in dottrina un'interpretazione ermeneutica del concetto di contrasto, inteso come mera opposizione tra norme. 10 L'esegesi puramente letterale consentirebbe, dunque, di attribuire al concetto di conflitto il ruolo di risolutore del contrasto tra le due normative. 3. L'evoluzione normativa e giurisprudenziale Preliminarmente a un esame dettagliato della nuova scelta legislativa e delle conseguenti applicazioni pratiche da essa derivanti, occorre brevemente ripercorrere l'articolato e impervio percorso legislativo e giurisprudenziale che ha investito la tematica del riparto di competenze in materia pratiche commerciali nei settori regolati, anche al fine di comprendere la ratio sottesa al recente intervento legislativo in commento. Per comprendere le ragioni del conflitto di competenza nell'ordinamento interno occorre esaminare l'articolato rapporto tra disciplina generale e disciplina settoriale. La definizione di tale Al riguardo si vedano le osservazioni formulate nella Relazione sull'applicazione della direttiva n. 2005/29/CE del 14 marzo 2013 [COM (2013) 139]. 10 Per una disamina sul significato da attribuire al termine «contrasto», si rinvia a S. PERUGINI, I “nuovi” strumenti di intervento dell'AGCM, cit., pp.52. 9 6 federalismi.it |n. 19/2015 rapporto deve essere ricercata, dunque, nel diritto sovranazionale, essendo le suddette discipline, per lo più, di recepimento di direttive comunitarie.11 Il legislatore comunitario a partire dagli anni Novanta del secolo scorso ha introdotto una serie di direttive al fine di disciplinare i settori economici caratterizzati da fallimenti di mercato, ponendosi come obiettivo essenziale, tra gli altri, la tutela del consumatore.12 Sorgono così le autorità amministrative di settore deputate alla tutela dell'utenza e dotate di poteri di regolazione, di vigilanza e controllo sui mercati di rispettiva competenza. 13 L'intervento europeo, volto a disciplinare con norme settoriali i mercati, ha introdotto anche una disciplina di completa armonizzazione relativa alle pratiche commerciali scorrette. 14 E' con la direttiva n. 2005/29/CE, che sono stati imposti obblighi generali di completezza e non ingannevolezza nello scambio informativo tra professionisti e consumatori, nonché obblighi di piena correttezza delle condotte poste in essere nei confronti di questi ultimi. Tuttavia, è sempre la stessa direttiva, o meglio il suo recepimento in ambito nazionale, a creare aree di interferenza tra l'azione dell'AGCM e delle Autorità di regolazione. In particolare, l'applicazione (rectius, interpretazione) del principio di specialità, volta a scongiurare una possibile violazione del principio del ne bis in idem, ha nella realtà generato non poche difficoltà pratiche.15 La co-abitazione tra la disciplina generale e quella settoriale è stata espressamente prefigurata dal legislatore europeo. Sul punto si veda il considerando n. 10 della direttiva n. 2005/29/CE con cui viene illustrata la complementarietà delle due discipline, intesa quale rete di sicurezza volta a evitare vuoti di tutela del consumatore. In tal senso, M.S. LA PERGOLA, I nuovi diritti dei consumatori. Commentario al d.lgs. 21/2014, A.M. GAMBINO, G. NAVA (a cura di), Torino, 2014. 12Per una disamina approfondita sul tema si vedano, tra gli altri, M. CLARICH, Le competenze delle autorità indipendenti in materia di pratiche commerciali scorrette, in Giur. Comm., 2010, 10, pp. 688; F. LEONARDI, Tecniche di coordinamento tra autorità indipendenti e pratiche commerciali scorrette, in I Battelli del Reno, 2013. 13 Per una trattazione approfondita in tema di Autorità amministrative indipendenti, si rinvia a AA.VV., La legge 14 novembre 1995, n. 481, in Le nuove leggi civili commentate, n. 2-3, 1998, pag. 228 ss.; AA.VV., I garanti delle regole. Le autorità indipendenti, S. CASSESE, C. FRANCHINI(a cura di), Bologna, 1996; G. E. LONGO, Note sulla cosiddetta indipendenza delle Authorities per i servizi di pubblica utilità, in Rass. Giur. En. El., 1995; G. NAPOLITANO, Autorità indipendenti e tutela degli utenti, in Giornale di Dir. Amm.vo, n. 1/1996; C. FRANCHINI, Proposta di norme sulle Autorità indipendenti, in Giornale di Dir. Amm.vo, n. 5/1996; F. MERLONI, Fortuna e limiti delle cosiddette Autorità amministrative indipendenti, in Pol. del Dir., n. 4/1997; D. LANZI, L’istituzione di Autorità di regolazione, in Economia pubblica, n. 1/1998, pag. 5 ss.; G. DE VERGOTTINI, L’Autorità di regolazione dei servizi pubblici e il sistema costituzionale dei pubblici poteri, in Rass. Giur. En. El., 1996; G. AMATO, Autorità semi-indipendenti e autorità di garanzia, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1997, 3, pp. 645-64; A. PREDIERI, L’erompere delle autorità amministrative indipendenti, Passagli ed., 1997; F. MERUSI, Democrazia e autorità indipendenti: un romanzo quasi giallo, Bologna, 2000; M. CLARICH, Autorità indipendenti Bilancio e prospettive di un modello, Bologna, 2005. 14 Sul concetto di armonizzazione comunitaria nel settore delle pratiche commerciali scorrette, si veda G. DE CRISTOFARO, La direttiva n. 05/29CE e l’armonizzazione completa delle legislazioni nazionali in materia di pratiche commerciali sleali, in Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2009, pp. 1061 e ss. 15 Per una disamina approfondita si rinvia a E. BONELLI, Libera concorrenza e tutela del consumatore: un bilanciamento problematico nell'ordinamento comunitario e nel diritto interno, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2010. 11 7 federalismi.it |n. 19/2015 La situazione di incertezza applicativa venutasi a delineare ha indotto la Commissione europea ad avviare una procedura di infrazione a carico dello Stato italiano 16, relativamente ai conflitti di competenza e a presunte lacune applicative della disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette nei mercati regolati. La Commissione aveva contestato la soluzione configurata dalle pronunce dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato relativa all'interpretazione del principio di specialità che presupponeva una coesistenza tra disciplina generale in tema di pratiche commerciali scorrette e discipline settoriali. In particolare, la Commissione aveva rilevato una violazione della direttiva n. 2005/29/CE, che, pur recepita dallo Stato italiano, risultava priva di una completa armonizzazione e non ne garantiva la corretta applicazione. La censura mossa in sede europea si concentrava, nello specifico, sull'interpretazione del principio di specialità fornita dal legislatore nazionale e dalla giurisprudenza amministrativa. Il dibattito giurisprudenziale si fondava su due modelli interpretativi antitetici tra loro, sostanzialmente motivati da una diversa interpretazione dell'art. 19, comma 3, del Codice del consumo – a sua volta attuativo dell'art. 3, par. 4, direttiva n. 2005/29/CE. La norma – come detto in precedenza – riguarda l'ambito di applicazione della disciplina, con specifico riguardo al contrasto tra disciplina settoriale e generale.17 Invero, in caso di contrasto tra disposizioni contenute nella direttiva e contenute in direttive/disposizioni comunitarie e nelle relative norme nazionali di recepimento, queste ultime sarebbero prevalse con riguardo agli aspetti specifici affrontati e regolamentati da esse. Ebbene, in una prima fase il rapporto tra queste discipline è stato declinato in termini di parallelismo e complementarietà, con la conseguenza che un medesimo comportamento, integrando una violazione di norme settoriali, e allo stesso tempo di norme generali, potesse essere valutato e sanzionato da entrambe le Autorità, di settore o AGCM. La concezione si fondava essenzialmente su due considerazioni, una riguardante il canone di diligenza professionale al quale l'impresa è tenuta a ispirare le proprie condotte, desunto dal quadro regolatorio settoriale, dall'esperienza e dalla finalità di tutela perseguita nel Codice del consumo; l'altra giustificata dall'interpretazione del termine «contrasto» inteso come antinomia reale tra regola ex ante ed ex post 16 Si tratta della procedura n. 2013/2169, Caso EU Pilot 4261/12/JUST. Si veda sul rapporto tra clausole generali e disposizioni di dettaglio, M. LIBERTINI, Clausola generale e disposizioni particolari, in A. GENOVESE(a cura di), I decreti legislativi sulle pratiche commerciali scorrette – attuazione e impatto sistematico della direttiva 2005/29/CE, Padova, 2008, pp. 27 e ss.. Sul tema si veda anche V. DI CATALDO, Pratiche commerciali scorrette e sistemi di enforcement, in Giur. Comm., 2011, 6, pp. 803. 17 8 federalismi.it |n. 19/2015 elaborato nell'ambito della disciplina settoriale e sulla base del canone di diligenza professionale individuato per ogni singolo caso dall'AGCM.18 Le pronunce dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del maggio 2012 19 hanno, poi, radicalmente modificato l'orientamento sopra riportato. 20 Invero, nell'affrontare il tema del conflitto di competenze in relazione ai procedimenti in materia di pratiche commerciali scorrette nei settori regolati, il Supremo Consesso ha individuato nell'art. 19, comma 3, del Codice del consumo la codificazione del principio di specialità. In tale sede, i Giudici hanno rilevato il carattere recessivo della disciplina generale rispetto a quella settoriale in materia di pratiche commerciali scorrette. Quest'ultima si caratterizzerebbe – secondo il Consiglio di Stato – per l'esaustività e completezza delle sue norme, giacché il rinvio a clausole generali di correttezza e trasparenza di derivazione comunitaria costituirebbe solo una garanzia volta alla copertura totale delle fattispecie. Seguendo tale orientamento, la giurisprudenza amministrativa ha, quindi, determinato la residualità della competenza dell'AGCM rispetto a quella delle altre Autorità di settore. Le pronunce, originate dal vasto contenzioso instaurato attraverso alcuni ricorsi contro i provvedimenti dell'AGCM, hanno evidenziato la necessità di evitare duplicazioni di interventi, in conformità al principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione. I Cfr. su tutte TAR Lazio, sentenza 19 maggio 2010, n. 11321, PS2760, Accordo Italia – Carta Auchan Accord. In tal senso anche TAR Lazio, sentenza 8 settembre 2009, n. 8400, PS/1 Prezzi bloccati elettricità; sentenza 15 giugno 2009, n. 5628, PS86 Sms messaggi in segreteria; sentenze 15 giugno 2009 nn. 5625, 5627 e 5629, PS24 Fatturazioni per chiamate satellitari. 19 Si veda Consiglio di Stato, sentenze n. 11, 12, 13, 14, 15, 16 del maggio 2012. Sulla posizione del Consiglio di Stato, si veda M.A. SANDULLI, Sanzioni amministrative e principio di specialità, riflessioni sull’unitarietà della funzione afflittiva, in www.giustamm.it, Anno IX, n. 7/2012. 20 Il Consiglio di Stato ha proposto una applicazione del principio di specialità per settori e non per fattispecie, predicando la specialità di una intera disciplina, quella del Codice delle comunicazioni elettroniche, su un’altra, quella del Codice del consumo, sulla considerazione dell’esaustività della disciplina settoriale. Per un commento sulle sentenze si rinvia a R. CAPONIGRO, L'actio finium regundorum tra l'Autorità antitrust e le altre Autorità indipendenti, in Giustizia Amministrativa, 2013; P. FUSARO, Il riparto di competenze tra Autorità amministrative indipendenti nella recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, in federalismi.it n. 7/2013; V. MELI, Il Consiglio di Stato e l'applicabilità della disciplina delle pratiche commerciali scorrette al settore del credito, in Banca, borsa e titoli di credito, 2012, 5, pp. 576; I. NASTI, Pratiche commerciali scorrette nelle comunicazioni elettroniche: l'actio finium regundorum del Consiglio di Stato, in Il Corriere giuridico, n. 11/2012, pp. 1367; L. TORCHIA, Una questione di competenza: la tutela del consumatore fra disciplina generale e discipline di settore, in Giornale di diritto amministrativo, n. 10/2012, pp. 953; R. GAROFALI , Pratiche commerciali scorrette e rapporti tra Autorità, in Il libro dell'anno del diritto, Treccani, 2013, pp.233 e ss.; V. MOSCA, Il riparto di competenze tra Agcm e Agcom in materia di tutela del consumatore a 18 mesi dall'adunanza plenaria: lo stato dell'arte e i possibili sviluppi, in Quaderni di Diritto Mercato e Tecnologia, n. 3/2013; G. NAVA, La competenza in materia di tutela dei consumatori nei servizi di comunicazione elettronica tra normativa comunitaria e principi costituzionali, in Diritto dell'internet, Casi, Legislazione, Giurisprudenza, Torino, 2013, pp. 107 e ss.; A. CANDIDO, Il conflitto tra Antitrust e regolazione nelle recenti pronunce dell'Adunanza Plenaria, in Riv. it. dir. Pubbl. com., 2012, 6, pp. 1175 e ss.; C. OSTI, La tutela del consumatore tra concorrenza e pratiche commerciali scorrette, in A. CATRICALÀ, G. GABRIELLI(a cura di), I contratti della concorrenza, Torino, 2011, pp. 423 e ss. 18 9 federalismi.it |n. 19/2015 Giudici hanno, dunque, inteso e interpretato il concetto di contrasto come «difformità di disciplina tale da rendere illogica la sovrapposizione delle regole», auspicando la recessione della disciplina generale su quella settoriale, qualora questa si presenti maggiormente articolata, autosufficiente e specifica. Tuttavia, l'approccio giurisprudenziale è stato oggetto di vivaci dibattiti, in particolare in tema di conformità (rectius, mancata conformità) alle disposizioni comunitarie. Nelle richiamate sentenze, il Consiglio di Stato ha avuto modo di rilevare che il presupposto per l'applicabilità della normativa di settore non poteva essere subordinato solo a un'antinomia normativa tra le due discipline – quella generale e quella settoriale. Secondo il Supremo Consesso, l'applicazione della normativa settoriale si sarebbe potuta verificare anche in presenza di una mera diversità di discipline, in cui la specificità della normativa di settore sia stata imposta su quella generale. La voluntas legis sarebbe da rinvenire nella necessità «[...] di evitare una sovrapposizione di discipline di diversa fonte e portata», a favore della disciplina più specifica e idonea a regolare la fattispecie concreta. In altri termini, «[...] la disciplina generale costituirebbe un livello minimo essenziale di tutela, cui la disciplina speciale offre elementi aggiuntivi e di specificazione». Il Consiglio di Stato si era, in realtà, già espresso in sede consultiva in termini del tutto analoghi, giungendo alla considerazione che per determinare l'applicabilità del principio di specialità occorre tener presente il tipo di comportamento, la situazione contestuale verso cui l'intervento correttivo o sanzionatorio è diretto, la materia su cui i due interventi incidono. 21 Tale valutazione aveva portato i Giudici a concludere per Si tratta del parere n. 3999 del 2008, con cui il Consiglio di Stato si era espresso su richiesta dell'AGCM in merito al riparto di competenze nella tutela del consumatore nel settore dei servizi finanziari. In quella sede era stata indagata la questione dei rapporti tra disciplina generale, di cui al Codice del consumo e le discipline di settore che possono incidere su aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette, al fine di verificare, in particolare, «l’ambito di applicazione della disciplina generale del Codice del Consumo, e la conseguente competenza dell’Autorità a intervenire circa pratiche commerciali scorrette poste in essere da professionisti che operano nei servizi finanziari». Il riparto di competenze, riguardante CONSOB e AGCM, veniva risolto in quell’occasione in termini differenti rispetto a quelli della “complementarietà di tutele” invalsi fino a quel momento. Il Consiglio di Stato – preso atto che la normativa generale in materia di pratiche commerciali scorrette da un lato, e la normativa volta a garantire la correttezza delle informazioni al pubblico, nonché la trasparenza e la correttezza dei comportamenti degli operatori del settore dei servizi finanziari (Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, d.lgs. n. 58/1998, e relativi regolamenti attuativi emanati dalla CONSOB) dall’altro, sono poste a cura del medesimo interesse generale – aveva ritenuto che il criterio risolutore del conflitto apparente di norme fosse il principio di specialità. Per tali ragioni il Consiglio di Stato aveva concluso per la competenza esclusiva della CONSOB. I Supremi Giudici amministrativi sembravano prospettare, dunque, un’applicazione del principio di specialità per settori, nel senso che la comparazione avrebbe dovuto riguardare non già le singole fattispecie di illecito previste dalla disciplina generale e da quella di settore, sotto le quali la condotta posta in essere dall’operatore possa essere sussunta, ma appunto «i settori su cui l’intervento correttivo o sanzionatorio va ad essere dispiegato». L’interpretazione offerta dal Consiglio di Stato si poneva, tuttavia, in contrasto con l’accezione di specialità come relazione logico strutturale tra fattispecie astratte proposta dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, formatesi sull’art. 15 c.p. 21 10 federalismi.it |n. 19/2015 l'incompetenza dell'AGCM, evitando in tal modo eventuali rischi di sovrapposizione dell'azione amministrativa e la reiterazione della violazione del principio del ne bis in idem. 22 Ebbene la competenza a favore di un'unica Autorità – secondo il Consiglio di Stato – sarebbe stata maggiormente rispettosa dei principi costituzionali del buon andamento e di proporzionalità, consentendo indirizzi univoci al mercato ed evitando il cumulo materiale di sanzioni da parte di più autorità. Gli ulteriori correttivi al modello interpretativo apportati dalla giurisprudenza amministrativa avevano portato, poi, a escludere l'applicazione delle norme generali del Codice del consumo a diversi settori.23 Nel complesso, l'orientamento espresso dal Consiglio di Stato sembrava partire dall'individuazione del problema, rilevato in diversi settori regolati – da quello bancario ai mercati energetici, dei trasporti, delle comunicazioni, finanziari, assicurativi – di evitare una pluralità di interventi sulle stesse tematiche da parte di diverse istituzioni, ma forse senza giungere a una soluzione idonea. L'interpretazione fornita era sin dall'inizio apparsa foriera di dubbi e incertezze. Se, infatti, da un lato il percorso logico interpretativo del Supremo Consesso era sembrato teso al raggiungimento di indirizzi applicativi univoci al mercato, a beneficio di consumatori e di imprese, dall'altro era risultato eccessivamente semplicistico nell'assunzione di completezza e autonomia della normativa settoriale. L'asserita completezza era, invece, nella realtà dei fatti insufficienza e parzialità della disciplina settoriale che, oggettivamente carente per alcuni aspetti, richiedeva di essere colmata dalla disciplina generale in tema di pratiche commerciali scorrette. Cfr. in tal senso anche Consiglio di Stato, ordinanza n. 1515 del 2009, che – accogliendo l’istanza cautelare di TELE2 avverso il provvedimento AGCM che sanzionava, quale pratica commerciale scorretta, la condotta consistente nella mancata previsione da parte dell’operatore della possibilità, per il consumatore che avesse richiesto l’attivazione del servizio di telefonia, di scegliere tra l’immediato avvio delle procedure di attivazione a seguito della prestazione del consenso orale e la possibilità di posticipare l’inserimento dell’ordine ad un momento successivo, in modo da rendere più agevole l’eventuale esercizio del diritto di recesso – sembrava adottare l'interpretazione fornita dal Consiglio di Stato nel 2008. In questi termini V. CARFI, Pratiche commerciali: il comma 1bis dell'art. 27 del Codice del consumo, cit. 22 In questi termini si veda G. NAVA, Il legislatore interviene nuovamente sul riparto di competenze tra Agcom e Autorità di settore in merito all'applicazione delle pratiche commerciali scorrette: la soluzione definitiva?, in Diritto Mercato e Tecnologia n. 1/2014. 23 Cfr. TAR Lazio, sentenza 17 gennaio 2013, n. 535, con cui la disciplina generale è stata considerata recessiva anche in presenza di una normativa settoriale semplicemente orientata alla tutela del consumatore e di matrice comunitaria. Si veda anche la sentenza 22 luglio 2013, n. 7442 del medesimo TAR, in cui la prevalenza della disciplina settoriale si è riscontrata anche con riferimento a una particolare fattispecie disciplinata nel Codice delle comunicazioni elettroniche. In tal senso, S. PERUGINI, I “nuovi” strumenti di intervento dell'AGCM, cit. 11 federalismi.it |n. 19/2015 Tuttavia, il legislatore delegato del 2012 ha adottato una soluzione parzialmente diversa da quella del Supremo Consesso24, giungendo ad attribuire la competenza in materia di accertamento e in materia sanzionatoria all'AGCM, seppur prevedendo una deroga subordinata al verificarsi di tre condizioni. Al fine di attribuire la competenza alle Autorità di settore è necessario che le pratiche commerciali scorrette siano state poste in essere in settori regolamentati, ma purché la deroga si verifichi tale regolazione deve avere derivazione europea, finalità di tutela del consumatore e la sua applicazione deve essere attribuita ad altra Autorità munita di poteri inibitori e sanzionatori. Tale circostanza non ha impedito la persistenza di un orientamento giurisprudenziale conforme alle pronunce dell'Adunanza plenaria, tanto da indurre nell'anno 2013 l'AGCM a non avviare istruttorie, 25 seppur con riferimento ai casi di competenza dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM).26 Sebbene agli interpreti meno attenti il legislatore – intervenuto a disciplinare i rapporti tra disciplina generale e speciale, con l'introduzione dell'art. 23, comma 12 quienquiesdecies 27– pare aver applicato il principio di specialità in conformità all'orientamento espresso dal Supremo Consesso, occorre, in realtà, sottolineare una parziale difformità. L'intervento legislativo ha esteso il principio di specialità a tutte le amministrazioni, pur se non qualificabili come autorità indipendenti, purché operanti in settori nei quali esista una Cfr. art. 23, comma 12 quienquiesdecies del d. lgs. n. 95/2012, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 135. La norma prevedeva che «la competenza ad accertare e sanzionare [le pratiche commerciali scorrette] è dell’Autorità garante delle concorrenza e del mercato, escluso unicamente il caso in cui le pratiche commerciali scorrette siano poste in essere in settori in cui esista una regolazione di derivazione comunitaria, con finalità di tutela del consumatore, affidata ad altra autorità munita di poteri inibitori e sanzionatori e limitatamente agli aspetti regolati». Si precisa che tale comma è stato abrogato dalla previsione di cui all’art. 1, comma 7 del d. lgs. n. 21/2014. 25 Cfr. provvedimento n. 24467, in Bollettino AGCM n. 38/2013. 26 Si ricorda che l'Adunanza plenaria ha affrontato – a eccezione della sentenza n. 14 del 2012 relativa alle competenze di Banca d'Italia – il riparto di competenze tra AGCM e AGCOM, affermando la competenza di quest'ultima in materia di tutela del consumatore nel settore delle comunicazioni elettroniche. Il Consiglio di Stato aveva fondato tale competenza in ragione dell'attribuzione in favore dell'AGCOM compiuta dal legislatore comunitario attraverso il Codice delle comunicazioni elettroniche (d. lgs. n. 259/2003), rilevandone la concreta attuazione con l'adozione della delibera n. 664/06/CONS. La delibera richiamata aveva, invero, regolato compiutamente gli obblighi di comportamento gravanti sugli operatori di settore nella contrattazione a distanza. Cfr. G. NAVA, Il legislatore interviene nuovamente sul riparto di competenze tra Agcom e Autorità di settore in merito all'applicazione delle pratiche commerciali scorrette: la soluzione definitiva?, cit. Per una disamina sul conflitto di attribuzione di poteri tra AGCM e AGCOM, si rinvia a G. NAVA, La competenza in materia di tutela dei consumatori nei servizi di comunicazione elettronica tra normativa comunitaria e principi costituzionali, in Diritto dell’Internet – manuale operativo, G. CASSANO, G. SCORZA, G. VACIAGO(a cura di), Padova, 2013, pp. 107 e ss. 27 L'art. 23, comma 12 quinquiesdecies del d.l. 6 luglio 2012 n. 95, richiamato nella precedente nota n. 24, stabiliva l’esclusione dell'AGCM unicamente quando le pratiche commerciali scorrette siano poste in essere in settori in cui «esista una regolazione di derivazione comunitaria, con finalità di tutela del consumatore, affidata ad altra autorità munita di poteri inibitori e sanzionatori e limitatamente agli aspetti regolati». 24 12 federalismi.it |n. 19/2015 regolamentazione di derivazione comunitaria con finalità di tutela del consumatore e dotate di poteri inibitori e sanzionatori.28 Tuttavia, l'articolo richiamato non ha escluso l'applicazione della disciplina generale sulla considerazione dell'esaustività e completezza della disciplina speciale – discostandosi, in tal senso, dall'orientamento giurisprudenziale espresso dal Consiglio di Stato – ma si è limitato ad applicare il principio di specialità agli aspetti regolati. La norma, quindi, non tenendo conto del contrasto tra le due discipline, generale e settoriale, è sembrata lasciar spazio a un'interpretazione elastica della competenza, giacché la presenza di una regolamentazione specifica avrebbe escluso la competenza dell'AGCM. L'ambiguità della disciplina, che non ha delimitato il perimetro delle fattispecie effettivamente regolate, è stata causa di diverse interpretazioni da parte delle Autorità di regolazione con differenti applicazioni della stessa. Tali circostanze, oltre a ingenerare innumerevoli dubbi interpretativi, hanno determinato difficoltà operative. La situazione delineata a seguito dell'introduzione dell'articolo richiamato, unita alla considerazione che l'Adunanza nelle pronunce in questione non è sembrata volta a una analisi di derivazione comunitaria29 in relazione alle singole disposizioni settoriali, ha suscitato perplessità sulla correttezza applicativa da parte del legislatore nazionale degli indirizzi espressi dall'Unione, tali da condurre a un intervento di controllo da parte della Commissione. In altri termini, l'approccio della giurisprudenza amministrativa si è dimostrato, sin dalle prime applicazioni pratiche, non particolarmente conforme agli indirizzi dell'Unione, tanto da indurre la Commissione a censurarlo con l'avvio della procedura di infrazione. 3.1 La posizione della Commissione europea Il modello interpretativo offerto dalla Commissione rileva l'eccezionalità della deroga alla disciplina generale, definendo l'applicabilità esclusivamente agli aspetti specifici di una pratica commerciale presi in considerazione da singole disposizioni settoriali che posseggano lo status di legislazione dell'Unione e contengano precetti in contrasto con le disposizioni generali di cui alla direttiva n. 2005/29/CE. Il termine «contrasto» farebbe, sì riferimento – secondo quanto chiarito dalla Commissione –all'opposizione/incompatibilità tra le norme, ma la mera esistenza di una normativa settoriale non sarebbe capace di escludere la normativa generale in materia di pratiche commerciali scorrette. Invero, contrariamente a quanto affermato dal Consiglio di Stato, l’art. 3, 28 Cfr. G. NAVA, Il legislatore interviene nuovamente sul riparto di competenze tra Agcom e Autorità di settore in merito all'applicazione delle pratiche commerciali scorrette: la soluzione definitiva?, cit. 29 La valutazione espressa dall'Adunanza, complessiva dell'intera disciplina, ha evidenziato nel settore delle comunicazioni, ad esempio, la derivazione “in gran parte comunitaria”. 13 federalismi.it |n. 19/2015 par. 4, della direttiva non consentirebbe di concludere che l’applicazione della stessa possa essere esclusa solo in quanto esista una legislazione più specifica per un dato settore. Inoltre, la complementarietà tra le due discipline – secondo la Commissione – deve intendersi, non solo in quanto volta a colmare le lacune della normativa speciale, ma anche come disciplina di affiancamento in grado di porre ulteriori oneri agli obblighi informativi disposti dalla disciplina settoriale a carico del professionista. Si giungerebbe, pertanto, secondo tale modello, a sottoporre le imprese a un duplice regime informativo a tutela dei consumatori, in quanto queste sarebbero tenute a rispettare i requisiti informativi previsti dalla disciplina settoriale e, qualora non in contrasto, anche i requisiti informativi generali. Tale circostanza assoggetterebbe in modo discriminatorio un medesimo comportamento a un doppio regime, seppur l'Autorità di settore abbia legittimamente ritenuto sufficiente un diverso grado di onere informativo. In pendenza della procedura di infrazione comunitaria, il legislatore nazionale è intervenuto per cercare di dirimere il conflittuale riparto di competenze in tema di pratiche commerciali scorrette, attraverso l'introduzione del nuovo comma 1bis dell'art. 27 del Codice del consumo. Il citato comma introdotto dal d. lgs. n. 21/2014, in recepimento della direttiva n. 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, mira a superare la procedura di infrazione, prevedendo in materia – come già anticipato – la competenza esclusiva dell'AGCM. 3.1. La novella legislativa L'intervento legislativo, volto a disciplinare il riparto di competenze, lascia, tuttavia, immutato l'art. 19, comma 3, al quale spetta la disciplina del rapporto tra normativa generale e regolazione settoriale. L'art. 27, comma 1bis, interviene invece sul profilo delle competenze, assegnando l'enforcement in via esclusiva all'Autorità garante, pur quando vengano soddisfatte le condizioni previste dall'art. 19, comma 3, e quindi anche quando la disciplina settoriale prevalga su quella generale. In altri termini, anche nel caso di prevalenza della disciplina settoriale, l'unica autorità titolata a intervenire e sanzionare la condotta resta l'AGCM, la quale è, tuttavia, tenuta a qualificare la scorrettezza della pratica alla luce della disposizioni di settore. In tal senso, da un lato resta fermo «il rispetto della regolazione vigente» come prescritto dal comma 3 dell'art. 19, dall'altro si pone un importante vincolo al potere di enforcement dell'Autorità garante. Tale circostanza sembra condurre alla considerazione che una condotta conforme alle prescrizioni della normativa settoriale non possa integrare violazione della diligenza professionale, e quindi 14 federalismi.it |n. 19/2015 una pratica commerciale scorretta. 30 Invero, sebbene la regolazione settoriale non di diretta origine europea formalmente non prevalga sulla disciplina generale delle pratiche commerciali scorrette, l'Autorità garante è comunque tenuta a valutare la condotta dell'impresa in conformità alla stessa. Come rilevato in precedenza, pur nel silenzio dell'art. 27, comma 1bis – che non specifica la fonte della regolazione di settore tale da incidere sul canone di diligenza professionale imposto e richiesto ai professionisti per non incorrere in una pratica commerciale scorretta – la lettura sistematica della norma in combinato con l'art. 19, comma 3, sembra non lasciare dubbi in merito allo status di legislazione dell'Unione delle disposizioni affinché queste, se in contrasto, possano prevalere sulla disciplina generale. Si rileva, dunque, che la delimitazione della deroga alla disciplina generale alle disposizioni che regolano aspetti specifici delle pratiche commerciali si possa verificare in presenza di disposizioni di derivazione comunitaria.31 Tale ulteriore condizione pare essere confermata anche dalla formulazione adottata dal legislatore nazionale all'art. 46, comma 2 del Codice del consumo, con cui è definito il rapporto tra le nuove disposizioni del Codice sui diritti dei consumatori e le disposizioni settoriali specifiche.32 Tuttavia, occorre sottolineare che il carattere sleale di una pratica commerciale richiede una valutazione anche successiva che consideri le «caratteristiche e circostanze del caso», secondo quanto prescritto dalla direttiva n. 2005/29/CE. Per tali ragioni, l'AGCM, unica competente ad accertare la sussistenza di pratiche commerciali scorrette anche nei settori regolati, in presenza delle condizioni previste dall'art. 19, comma 3, potrà sanzionare solo la condotta contrastante e non quella conforme al contenuto della disposizione settoriale. In tal senso si rinviene l'intangibilità del potere di regolazione previsto dall'inciso di cui all'art. 19, comma 3. Tale inviolabilità, oltre a manifestarsi in modo sostanziale – con la previsione letterale che indica espressamente il «rispetto 30 In tal senso la Relazione Illustrativa dello schema di decreto legislativo sembra escludere la possibilità di considerare scorretta una pratica conforme alla regolazione. 31 Occorre, tuttavia, considerare che l'operatività dell'art. 19, comma 3, circoscritta agli aspetti specifici delle disposizioni settoriali di rango comunitario, non deve essere ritenuta esaustiva dell'intera attività realizzata dal professionista. La Commissione ha precisato che «l'esistenza di specifiche norme dell'Unione in un dato settore non esclude l'applicazione della direttiva» giacché «per gli aspetti non disciplinati dalla lex specialis, la direttiva completa le norme settoriali e colma le eventuali restanti lacune nel regime di tutela dei consumatori contro le pratiche commerciali sleali» (in tal senso, Relazione sull'applicazione della direttiva n. 2005/29/CE del 14 giugno 2013, cit.). 32 In tal senso, S. PERUGINI, I “nuovi” strumenti di intervento dell'AGCM, cit. L'Autrice evidenzia che per effetto della norma richiamata, nella materia regolata dagli art. 47 e ss. del Codice del consumo, solo le disposizioni di rango comunitario sono in grado di prevalere sulle disposizioni generali in materia di diritti dei consumatori. Diversamente per le disposizioni settoriali che attuino norme di armonizzazione minima di carattere generale. 15 federalismi.it |n. 19/2015 della regolazione vigente» – viene ribadito anche a livello procedimentale con l'acquisizione del parere dell'Autorità di regolazione competente, senza considerare, poi, la facoltà per queste ultime di disciplinare gli aspetti applicativi mediante protocolli d'intesa. L'iter astrattamente seguito dall'Autorità garante,33 prevede una volta conclusa l'istruttoria, e prima di rimettere gli atti al Collegio per l'adozione del provvedimento, che il Responsabile del procedimento trasmetta gli atti e la richiesta di parere all'Autorità di regolazione, la quale ha trenta giorni per emettere il parere. In tale fase possono verificarsi due ipotesi: il decorso del termine senza la comunicazione del parere o la richiesta di ulteriori attività istruttorie. Nel primo caso, la mancata comunicazione del parere o la mancata richiesta di ulteriori indagini consente all'AGCM di procedere indipendentemente dall'acquisizione del parere stesso. Qualora, invece, siano manifestate esigenze istruttorie da parte delle Autorità di settore, il termine di conclusione del procedimento è sospeso per un periodo massimo di trenta giorni decorrenti dalla data di ricevimento dei documenti richiesti e fino alla data in cui perviene il parere all'AGCM.34 Sulla natura del parere dell'Autorità di settore non sorgono particolari perplessità. La stessa novella legislativa, pur sancendo l'obbligo da parte dell'Autorità garante di richiedere il detto parere, non ne impone la vincolatività. Sussiste, quindi, solo l'obbligo da parte dell'AGCM di acquisizione del parere, ma non la necessaria conformità dell'azione allo stesso. La natura non vincolante del parere rinviene la sua giustificazione nell'assenza di sovraordinazione o collegamento organizzativo e/o gerarchico tra le Autorità, di regolazione da un lato e l'AGCM dall'altro. In altri termini, condizionare l'azione dell'Autorità garante al parere vincolante di un'altra Autorità, la quale potrebbe potenzialmente censurare l'istruttoria svolta, sarebbe inammissibile in assenza di una sovraordinazione tra le suddette autorità. Tuttavia, al fine di garantire certezza applicativa, in presenza di un parere favorevole alla condotta posta in essere dall'operatore, l'AGCM sarebbe tenuta a qualificare le condotte in conformità alla diligenza professionale, giungendo a non sanzionare l'impresa per tale specifico profilo. Nel caso, invece, di un parere negativo da parte dell'Autorità di settore, la lettera della legge impedirebbe a 33 Si riporta, a titolo esemplificativo, l'iter procedimentale seguito per il rilascio dei pareri dell'AGCOM nei casi di pubblicità o pratica commerciale diffusa attraverso la stampa periodica, televisiva o con altro mezzo di comunicazione. Cfr. art. 16, comma 5, Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, pratiche commerciali scorrette, violazione dei diritti dei consumatori nei contratti, clausole vessatorie, provv. n. 24955, in Bollettino AGCM n. 28/2014. 34 Il termine per il rilascio del parere da parte dell'Autorità di regolazione è ampliato a quarantacinque giorni dal ricevimento della richiesta e il termine del procedimento innanzi all'Autorità garante è esteso di quindici giorni in caso di presentazione di impegni. 16 federalismi.it |n. 19/2015 quest'ultima l'enforcement della propria regolamentazione. Tali considerazioni sembrano accentuare le criticità applicative che saranno più approfonditamente analizzate nel prosieguo. La novella, accanto all'obbligo da parte dell'AGCM di richiedere il parere alle Autorità di regolazione, contempla anche la facoltà per le medesime Autorità di disciplinare con protocolli d'intesa gli aspetti applicativi e procedimentali della reciproca collaborazione, nel quadro delle rispettive competenze. Già in precedenza, l'Autorità garante aveva stipulato protocolli d'intesa in materia di tutela del consumatore con le diverse Autorità di settore, i quali, tuttavia, non hanno sempre consentito di evitare duplicazioni di interventi e contrasti di valutazioni. Si tratta, dunque, di uno strumento già conosciuto dall'AGCM, che aveva stipulato protocolli d'intesa con varie Autorità di settore a partire dal 2011. 35 L'impostazione seguita generalmente dai protocolli prevede che l'attività di cooperazione si esplichi attraverso il coordinamento degli interventi istituzionali, dello scambio di pareri e avvisi su questione di interesse comune, nonché iniziative congiunte. I protocolli dovrebbero garantire una preventiva valutazione da parte dell'AGCM, in base alla disciplina di cui agli artt. 18 e ss. del Codice del consumo, dei comportamenti suscettibili di integrare una violazione della normativa settoriale, stante l'impedimento da parte delle Autorità di settore di compiere una tale valutazione in virtù del nuovo riparto di competenze. Tuttavia, lo strumento non sembra soddisfare tale esigenza. Una valutazione preventiva della fattispecie potrebbe essere invece garantita attraverso la previsione di uno scambio informativo tra le Autorità posto anche in una fase precedente all’istruttoria. Risulta, quindi, auspicabile che i protocolli, revisionati in attuazione delle modifiche introdotte dalla novella legislativa, possano rivestire un effettivo ruolo di coordinamento tra le Autorità, in termini di duplicazioni evitate e risoluzione di potenziali contrasti. 4. Criticità applicative Il lungo e articolato percorso giurisprudenziale e legislativo brevemente analizzato permette di rilevare una potenziale incertezza applicativa con riferimento all'apparato normativo e alle istituzioni competenti. La novella legislativa in commento, pur affermando un sistema di competenza esclusiva dell'AGCM in materia di pratiche commerciali scorrette nei settori regolati, lascia aperte una serie di questioni interpretative che inducono ad attente riflessioni. 35 Cfr. il protocollo del 23 febbraio 2011 con la Banca d'Italia, del 17 settembre 2012 con l'AEEGSI, del 22 maggio 2013 con l'AGCOM, del 2 agosto 2013 con l'IVASS. 17 federalismi.it |n. 19/2015 La nuova disciplina si pone l'obiettivo, tra gli altri, di dare piena e completa attuazione alla norma comunitaria che prevede l'applicazione del principio di specialità al fine di superare il contrasto tra normativa settoriale e generale.36 Il richiamato considerando fornisce un importante ausilio interpretativo al fine di colmare eventuali vuoti di tutela, indicando il carattere residuale della disciplina generale rispetto alle norme di regolazione di matrice europea. Con una discutibile interpretazione della disposizione, l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato aveva, nel 2012, rilevato il contrasto tra le normative, non solo in termini di vera e propria antinomia normativa, ma anche nelle mere ipotesi di difformità di disciplina tali da rendere illogica una possibile sovrapposizione tra due regole. L'assenza, inoltre, di giurisprudenza comunitaria in merito all'interpretazione della nozione di contrasto, aveva alimentato ulteriormente le incertezze applicative della disciplina. 37 La posizione successivamente espressa dalla Commissione, in occasione della procedura di infrazione, era poi giunta a formulare un'interpretazione restrittiva del concetto di contrasto, inteso come vera e propria opposizione o incompatibilità tra norme.38 L'intento di dirimere il conflitto di competenze tra normativa generale e settoriale, tuttavia, anche con l'introduzione della novella normativa non sembra pienamente soddisfatto. Il legislatore nazionale pare, infatti, pervenire a una conclusione diametralmente opposta a quella indicata dal legislatore comunitario, applicando il principio di specialità, di cui all'art. 19 comma 3 del Codice del consumo, in modo alquanto apodittico. Dal punto di vista procedimentale, l'acquisizione del parere delle Autorità di settore, obbligatorio ma non vincolante, pare consentire all'Autorità garante una valutazione scevra da vincoli sulla completezza della disciplina regolata che potrebbe condurre a considerare il parere quale mero onere procedimentale, senza esaminare poi anche la contrarietà ai principi di buona amministrazione.39 Cfr. considerando n. 10 e all'art. 3, comma 4, della direttiva n. 2005/29/CE. L'art. 19, comma 3, avrebbe potuto essere oggetto di un chiarimento in via pregiudiziale della Corte di giustizia, al fine di meglio comprendere il requisito dell'origine europea delle disposizioni settoriali. In particolare, sarebbe stato auspicabile precisare se il requisito possa essere soddisfatto da regole direttamente poste dal diritto comunitario ovvero da disposizioni nazionali che adottino regole generali di matrice europea. 38 L'interpretazione del concetto di conflitto rileva, inoltre, ai fini dell'applicazione delle nuove regole sui diritti dei consumatori nei contratti di cui all'art. 46, comma 2, Codice del consumo. L'articolo richiamato prevede che in caso di conflitto tra le disposizioni sui diritti dei consumatori nei contratti e «una disposizione di un atto dell'Unione europea che disciplina settori specifici, quest'ultima e le relative norme nazionali di recepimento prevalgono e si applicano a tali settori specifici». 39 La contrarietà al principio può essere rinvenuta nell'iter procedimentale previsto. Appare innegabile che lo svolgimento delle attività procedimentali compiuto dall'AGCM possa essere vanificato qualora sia rilevata da parte delle Autorità di settore la conformità del comportamento dell'impresa alla 36 37 18 federalismi.it |n. 19/2015 Se da un lato l'assenza di un collegamento gerarchico tra le Autorità e l'AGCM non potrebbe giustificare la natura vincolante del parere, dall'altro la non vincolatività potrebbe, tuttavia, rendere il parere privo di effetti sostanziali. La coerenza della condotta dell'impresa alla regolamentazione, cristallizzata nel parere dell'Autorità di settore dovrebbe condurre l'AGCM a qualificare il comportamento conforme alla diligenza professionale, con conseguente mancata irrogazione della sanzione a carico della medesima impresa. Tuttavia, la non vincolatività del parere consente all'Autorità garante la possibilità di discostarsi dalla pronuncia dell'Autorità di settore, salvo l'obbligo di una motivazione rafforzata, con notevoli criticità in merito alla certezza delle regole applicabili nei confronti delle imprese. Queste si troverebbero dinnanzi a regole che, seppur poste dall'Autorità di settore, non rappresenterebbero il livello minimo di diligenza professionale con notevoli costi per le medesime, nonché per i consumatori, sui quali sarebbero traslati i relativi costi. Non solo. La circostanza che l'Autorità garante possa considerare la regolamentazione vigente incompleta o non sufficiente, nonostante il diverso parere dell'Autorità di settore, comporterebbe, oltre a un intervento sanzionatorio a carico dell'impresa, un giudizio implicito sulla regolazione, e dunque sull'operato delle stesse Autorità di settore, oltre all'incertezza per il mercato. La circostanza produrrebbe effetti incoerenti anche con l'inquadramento costituzionale delle Autorità, in ragione del quale esse rispondono del proprio operato al Parlamento. 40 Ebbene, sottoporre la correttezza e completezza della regolamentazione di settore adottata dalle Autorità al vaglio dell'AGCM attribuirebbe a quest'ultima poteri incoerenti con tale inquadramento. Poteri spettanti istituzionalmente solo al Parlamento o in sede giurisdizionale al giudice amministrativo. Tuttavia, anche nel caso in cui il parere accerti la violazione di norme regolamentari, notevoli sarebbero le limitazioni per le Autorità di settore. Invero, queste vedrebbero ridotti i propri poteri di vigilanza, inibizione e sanzione, essendo impedito alle stesse di avviare qualsiasi attività di enforcement della propria regolamentazione in presenza di un procedimento per pratiche commerciali scorrette. Ebbene, considerando che l'attribuzione dei poteri di enforcement alle regolamentazione vigente. Sarebbe quindi in tal senso auspicabile un miglior coordinamento delle Autorità sin dall'esame pre-procedimentale delle segnalazioni. In dottrina è stata suggerita l'adozione di elenchi, che inseriti nei protocolli d'intesa, possano indicare i comportamenti commerciali potenzialmente rilevanti ai sensi della disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette, sia già rilevati dall'Autorità di settore, sia quelli non ancora oggetto di una regolamentazione specifica (si veda G. NAVA, Il legislatore interviene nuovamente sul riparto di competenze tra Agcom e Autorità di settore in merito all'applicazione delle pratiche commerciali scorrette: la soluzione definitiva?, cit.). 40 Si veda per AGCOM la l. 31 luglio 1997, n. 249, art. 1, comma 6, lett. c), n. 12, che stabilisce l’obbligo di relazionare dettagliatamente al Parlamento in merito alla propria azione. 19 federalismi.it |n. 19/2015 Autorità di regolazione da parte delle leggi istitutive è spesso di diretta derivazione comunitaria, pare innegabile che l'intervento del legislatore nazionale sia nuovamente censurabile in sede europea. La norma, affidando in via esclusiva i poteri di enforcement all'Autorità garante, inibisce i poteri attribuiti, per via indiretta dalla stessa legislazione europea, alle Autorità di settore. La potenziale censura a livello europeo appare di rilievo considerando le innumerevoli direttive comunitarie che conferiscono poteri di vigilanza, inibizione e sanzione alle Autorità di settore. Riduttivo appare, inoltre, tentare di risolvere dubbi interpretativi con l'adozione dei protocolli d'intesa. Tali strumenti costituiscono innanzitutto una facoltà delle Autorità e sono rivolti esclusivamente a definire aspetti applicativi e procedimentali della reciproca collaborazione, senza poter ovviamente incidere sul riparto di competenze. Inoltre, in presenza di un preventivo contrasto tra le Autorità, stante il carattere facoltativo dell'adozione di tali strumenti, non appare così prevedibile la stipula di un accordo. A tali criticità si aggiunge il timore di possibili violazioni del principio del ne bis in idem. Invero, se l'Autorità di settore non è tenuta a effettuare alcuna valutazione in materia di pratiche commerciali scorrette, pena la violazione dell'art. 27, comma 1bis, si potrebbero rilevare effetti discriminatori e asimmetrici in attuazione della norma. L'impresa potrebbe essere oggetto di un procedimento sanzionatorio da parte dell'Autorità di settore e successivamente, per la stessa fattispecie, anche sanzionata dall'AGCM che valuterebbe la scorrettezza della condotta posta in essere. La molteplicità di pronunce non potrebbe essere contestata, seppur in violazione del richiamato principio del ne bis in idem, se non in sede giurisdizionale, con una ingiusta duplicazione a carico dell'impresa di oneri procedimentali e sanzionatori. Diversamente accadrebbe invertendo temporalmente le pronunce. Se l'impresa venisse sanzionata dapprima dall'Autorità garante potrebbe opporre l'improcedibilità dell'azione sanzionatoria da parte dell'Autorità di settore. L'evidente disparità necessita di una soluzione tempestiva volta impedire la generazione di procedimenti paralleli in merito alla medesima fattispecie. E’ proprio in tale contesto che è recentemente intervenuta la giurisprudenza amministrativa di secondo grado, manifestando perplessità interpretative sulla disciplina. In seno allo stesso Consiglio di Stato non sembra rilevarsi un’univocità esegetica sul tema in questione. Se, infatti, da un lato, il Supremo Collegio ha ritenuto la competenza esclusiva e generale in capo all’AGCM in materia di pratiche commerciali scorrette anche nei settori regolati e anche a fronte di condotte 20 federalismi.it |n. 19/2015 disciplinate da specifiche norme settoriali di derivazione europea,41 e dall’altro, ha proposto una lettura diametralmente opposta.42 Il Collegio, in un diverso giudizio ha ritenuto, difatti, plausibile che il comma aggiunto all’art. 27, Codice del consumo, abbia inteso riconoscere una competenza esclusiva all’AGCM anche nei settori regolati solo quando la disciplina settoriale abbia determinato una lacuna di tutela non individuando la regola comportamentale applicabile. Ebbene, solo in tal caso troverebbe applicazione la disciplina generale dettata dal Codice del consumo, che costituirebbe una rete di sicurezza a copertura proprio della lacuna di tutela. Tale interpretazione muove sicuramente dal principio affermato nel 2012 dall’Adunanza plenaria con le richiamate sentenze nn. 11-16,43 nonché sembra tener conto dei rilievi mossi a livello europeo dalla Commissione in fase di avvio della procedura di infrazione. 44 Seguendo tale diversa Si veda Consiglio di Stato, 5 marzo 2015, n. 1104, con cui è stata riformata la sentenza di primo grado – TAR Lazio, 18 febbraio 2013, n. 1752 – che dichiarava l’incompetenza dell’AGCM per le pratiche scorrette nel settore regolato delle comunicazioni elettroniche. La controversia concerneva il provvedimento AGCM – 6 marzo 2012, n. 23355 – con cui l’Autorità accertava una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, 24, 25 e 26 lett. f), Codice del consumo per la condotta posta in essere da una società telefonica e avente a oggetto l’omissione informativa agli acquirenti di schede telefoniche mobili dell’esistenza di servizi accessori già attivati (tra i quali, la navigazione in internet e il servizio di segreteria telefonica). 42 Si veda Consiglio di Stato, 18 settembre 2015, n. 4352. In tale sede, il Collegio, adito dall’AGCM sulla medesima questione già oggetto della richiamata sentenza n. 1104, ha disposto il deferimento all’Adunanza plenaria. Il Collegio era stato adito in appello per la riforma della sentenza TAR Lazio, 18 febbraio 2013, n. 1742, con cui era stata rilevata l’incompetenza dell’AGCM ad adottare provvedimenti sanzionatori verso società telefoniche, in applicazione del Codice del consumo, per pratiche commerciali scorrette. La controversia qui concerneva il provvedimento AGCM, 6 marzo 2012, n. 23357, con il quale l’Autorità irrogava nei confronti della società telefonica una sanzione pecuniaria pari a 250 mila euro, riconoscendo «[l’]idoneità della condotta a determinare un indebito condizionamento tale da limitare considerevolmente […] la libertà di scelta degli utenti in ordine all’utilizzo e al pagamento dei servizi […], quali la segreteria telefonica e la navigazione internet» e la non conformità della condotta «al grado di diligenza ragionevolmente esigibile da operatori attivi nel settore della telefonia» (par. 43 e 44 del provvedimento, cit.). A seguito di tale provvedimento, la società telefonica adiva il TAR Lazio eccependo, tra gli altri, il difetto assoluto di competenza dell’AGCM. Il ricorso veniva, poi, accolto dalla I sez. del TAR, che annullava l’impugnata sanzione invocando il principio di specialità di cui all’art. 19, comma 3, Codice del consumo. La condotta contestata con il provvedimento impugnato, secondo i giudici di primo grado, era disciplinata da una normativa speciale in materia di comunicazioni elettroniche, di derivazione europea e difforme dalla normativa generale in materia di pratiche commerciali scorrette. Per tali ragioni, doveva riconoscersi in via esclusiva la competenza dell’AGCOM. La conclusione appariva pacifica in considerazione della posizione assunta dal Consiglio di Stato in sede consultiva con il richiamato parere del 2008 e dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con le sentenze del maggio 2012 (sul tema si rinvia alla trattazione sub par. 0 del presente lavoro). Tuttavia, l’evoluzione normativa sembra aver nuovamente posto in discussione la conclusione adottata in primo grado. Avverso la decisione del TAR Lazio, quindi, la soccombente AGCM proponeva appello al Consiglio di Stato. 43 Sul tema si rinvia alla trattazione sub par. 0 del presente lavoro. 44 Cfr. Commissione, lettera di avvio della procedura di infrazione, 16 ottobre 2013, in cui «[s]econdo la Commissione l’articolo 3, comma 4, e il considerando 10 della direttiva [n. 2005/29/CE], […] sanciscono il principio secondo cui essa è concepita a completamento di altre norme UE applicabili alle pratiche commerciali che ledono gli interessi dei consumatori. In tal senso, la direttiva opera come una rete di sicurezza che garantisce il mantenimento di un elevato livello 41 21 federalismi.it |n. 19/2015 interpretazione sembrerebbe potersi escludere che la nuova disposizione abbia inteso attribuire una competenza esclusiva all’AGCM in tali materie.45 In altri termini, se la norma richiamata intende porsi come norma attributiva di una competenza esclusiva in favore dell’AGCM in materia di pratiche scorrette anche nei settori regolati, i dubbi interpretativi persistono proprio in presenza di condotte disciplinate da norme settoriali di derivazione europea. E quindi, a fronte di condotte regolate da una disciplina settoriale di derivazione europea, i cui caratteri di completezza ed esaustività rendono questa idonea a reprimere eventuali comportamenti illeciti, è ancora possibile riconoscere la competenza esclusiva all’Autorità garante? E poi, anche nel caso in cui tale competenza possa estendersi sino al caso richiamato e questa sia stata attribuita in virtù dello jus superveniens all’Autorità garante, permane l’interesse alla decisione in ordine alla censura di incompetenza? Questi sono in definitiva gli interrogativi sollevati dal Consiglio di Stato. Sul punto, la stessa giurisprudenza amministrativa 46era già intervenuta. Infatti, considerando il caso in cui la nuova disciplina fosse entrata in vigore, non solo in data successiva alla condotta considerata, ma anche al provvedimento conclusivo del procedimento sanzionatorio, e, tuttavia, prescindendo da tali considerazioni, aveva fondato il proprio convincimento sul carattere letterale della disposizione, ritenendo sufficiente considerare l’attribuzione di competenza in via esclusiva all’AGCM per far venir meno l’interesse alla decisione in ordine alla censura di incompetenza. Tuttavia, proprio facendo riferimento al disposto normativo nella parte in cui richiede l’acquisizione del parere dell’Autorità di regolazione competente, sembrerebbe opporsi un ostacolo procedimentale alla fornita interpretazione. 47 Basti pensare al caso in cui il parere dell’Autorità di regolazione non sia conforme a quello dell’Autorità garante tanto da condurre quest’ultima a modificare il contenuto del provvedimento conclusivo del procedimento. Tale circostanza, evidenziando ancora le difficoltà applicative della nuova disposizione, induce a rilevare che, anche nel caso di annullamento per incompetenza della sanzione, non di tutela dei consumatori contro le pratiche commerciali sleali a tutti i settori, colmando le lacune di altre specifiche normative settoriali». Il richiamato considerando n. 10 stabilisce la disciplina in materia di pratiche commerciali sleali si applica soltanto «qualora non esistano norme di diritto comunitario specifiche che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali». 45 Tuttavia, la soluzione non sembra pacifica. E’ lo stesso Collegio a rilevare la difficile compatibilità di tale interpretazione con il disposto normativo di cui al terzo periodo della disposizione in esame, ai sensi del quale «[r]esta ferma la competenza delle Autorità di regolazione ad esercitare i propri poteri nelle ipotesi di violazione della regolazione che non integrino gli estremi di una pratica commerciale scorretta». 46 Si veda, Consiglio di Stato, 5 marzo 2015, n. 1104, cit. 47 In tal senso, Consiglio di Stato, 18 settembre 2015, n. 4352, cit. 22 federalismi.it |n. 19/2015 necessariamente si verifichi l’adozione di un atto avente uguale contenuto e che, di conseguenza, con riguardo alla questione relativa allo jus supervenines, non sempre possa considerarsi venuto meno l’interesse a una decisione nel merito.48 In ragione di tali valutazioni, temendo l’insorgere di un contrasto giurisprudenziale sul riparto di competenze nei settori regolati, il Consiglio di Stato ha recentemente disposto il deferimento all’Adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 99 c.p.a., sottoponendo alla Stessa una serie di quesiti in merito all’interpretazione dell’art. 27, comma 1 bis, Codice del Consumo.49 La soluzione non sembra di facile portata. I quesiti sottoposti all’Adunanza plenaria dimostrano come il procedimento esegetico della norma non possa ancora ritenersi concluso. 5. Le soluzioni proposte Sul tema, al fine di superare le criticità evidenziate, in dottrina è stato ritenuto auspicabile un intervento comunitario. In particolare, si è reputato utile un intervento da parte della Commissione europea nell'ambito della procedura di infrazione pendente a carico dello Stato italiano volto a esprimere una valutazione di merito sulla novella legislativa. L'intervento europeo potrebbe anche essere sollecitato attraverso lo strumento delle segnalazioni in ragione della violazione delle singole direttive comunitarie di settore.50 Inoltre, proprio in virtù della violazione del diritto comunitario, le Autorità di settore potrebbero disapplicare la norma in contrasto, anche se tale situazione genererebbe una protratta incertezza sul mercato da sanare, poi, con un intervento in via pregiudiziale della Corte di giustizia chiamata valutare la disapplicazione della norma.51 In tal senso, Consiglio di Stato, 18 settembre 2015, n. 4352, cit. Contra si veda, Consiglio di Stato, 5 marzo 2015, n. 1104, cit. 49 Consiglio di Stato, 18 settembre 2015, n. 4352, con cui l’Adunanza plenaria è stata invitata a esprimersi sulle seguenti questioni: «a) se l’articolo 27, comma 1-bis, del Codice del consumo, sia da interpretarsi come norma attributiva di una competenza esclusiva ad AGCM in materia di pratiche commerciali scorrette, anche a fronte di condotte disciplinate da specifiche norme settoriali di derivazione europea (ritenute idonee a reprimere il comportamento sia con riguardo alla completezza ed esaustività della disciplina, sia con riguardo ai poteri sanzionatori, inibitori e conformativi attribuiti all’Autorità di regolazione); b) in caso affermativo, se la circostanza che lo jus superveniens abbia attribuito ad AGCM la competenza all’esercizio del potere sanzionatorio in materia di pratiche commerciali scorrette comporti il venir meno dell’interesse alla decisione in ordine alla censura di incompetenza – formulata con riguardo alla sanzione adottata da tale Autorità nel precedente regime - anche nell’ipotesi in cui la nuova norma abbia aggravato il procedimento di irrogazione della sanzione con la previsione della necessaria acquisizione del parere dell’Autorità di regolazione.» 50 In tal senso V. CARFI, Pratiche commerciali: il comma 1bis dell'art. 27 del Codice del consumo, cit. 51 Tale soluzione viene considerata da G. NAVA, Il legislatore interviene nuovamente sul riparto di competenze tra Agcom e Autorità di settore in merito all'applicazione delle pratiche commerciali scorrette: la soluzione definitiva?, cit., il quale rinviando alla giurisprudenza comunitaria (in particolare, Corte di giustizia, sentenza del 9 novembre 48 23 federalismi.it |n. 19/2015 Non va esclusa, inoltre, la possibilità di ottenere una pronuncia della Corte di giustizia anche attraverso un rinvio pregiudiziale effettuato in sede di impugnazione di un provvedimento sanzionatorio.52 In tal modo si potrebbe ottenere un'interpretazione della novella legislativa chiara e dirimente.53 Recentemente è stata avanzata un'ulteriore proposta volta ad assegnare la competenza in materia di pratiche commerciali scorrette alle singole Autorità di settore. La soluzione, manifestata già da parte della giurisprudenza ante novella, mostra l'esigenza ancora una volta di un ulteriore intervento legislativo per dirimere lo scontro sul riparto di competenza in tale materia.54 Il sistema sarebbe strutturato in due apparati sanzionatori, uno connesso alla violazione delle norme regolamentari, l'altro, applicato in via residuale rispetto alla regolamentazione vigente e collegato con la disciplina delle pratiche commerciali scorrette. La soluzione, seppur opposta a quella scelta dal legislatore italiano, apparirebbe potenzialmente conforme all'architettura indicata in sede europea e permetterebbe, non solo di superare la procedura d'infrazione, ma anche di evitare ben più gravi censure di quelle oggetto dell'infrazione comunitaria attualmente accertata. Anche l'attribuzione di competenze in capo a più Autorità non pare costituire un ostacolo. La normativa 2003, caso Consorzio Industria Fiammifero C-198/01) valuta, tra le altre soluzioni avanzate, di disapplicare la norma in contrasto con il diritto comunitario rinviando alla giurisprudenza europea, la quale impone anche alle amministrazioni nazionali il potere di disapplicare la norma in contrasto. 52L'articolo (ex art. 234 TCE) prevede che «[l]a Corte di giustizia dell'Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a) sull'interpretazione dei trattati; b) sulla validità e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione. Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad una giurisdizione di uno degli Stati membri, tale giurisdizione può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione. Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a una giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale giurisdizione è tenuta a rivolgersi alla Corte. Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a una giurisdizione nazionale e riguardante una persona in stato di detenzione, la Corte statuisce il più rapidamente possibile». 53 La soluzione viene proposta e salutata con favore da G. NAVA, Il legislatore interviene nuovamente sul riparto di competenze tra Agcom e Autorità di settore in merito all'applicazione delle pratiche commerciali scorrette: la soluzione definitiva?, cit., il quale considera tale strumento maggiormente auspicabile anche considerando i termini processuali che appaiono sicuramente più rapidi rispetto alle altre soluzioni proposte. Si consideri che la soluzione non è stata considerata nei vari giudizi sottoposti al vaglio della giurisprudenza amministrativa, con conseguenze significative in termini certezza sulle regole applicabili e sulle istituzioni competenti. 54 La soluzione, già proposta prima del recente intervento legislativo del 2014 (si veda, l'Ordinanza del Consiglio di Stato di rinvio all'Adunanza plenaria, ex art. 99 c.p.a.), è stata recentemente riproposta a seguito delle modifiche apportate al Codice del consumo dal d. lgs. n. 21/2014 da G. NAVA, Il legislatore interviene nuovamente sul riparto di competenze tra Agcom e Autorità di settore in merito all'applicazione delle pratiche commerciali scorrette: la soluzione definitiva?, cit. In particolare, l'Autore ha proposto l'assegnazione a ciascuna Autorità del potere di applicare, non solo le proprie competenze settoriali, ma anche la normativa in materia di pratiche commerciali scorrette, di cui agli artt. 20 e ss. del Codice del consumo, limitatamente ai settori di specifica competenza. 24 federalismi.it |n. 19/2015 comunitaria non impone, infatti, l'attribuzione a un'unica autorità, limitandosi esclusivamente a qualificare la natura amministrativa o giurisdizionale degli organismi competenti a valutare le pratiche commerciali scorrette. La scelta di uno strumento legislativo come la direttiva indica la volontà di affidare a ciascuno Stato membro le modalità applicative e i modelli istituzionali più appropriati per combattere le pratiche commerciali scorrette. La stessa Commissione ha avallato l'equivalenza delle modalità di ripartizione delle competenze, purché sia garantita l'effettività dell'azione amministrativa.55 L'adozione di un modello differenziato sulla base delle caratteristiche istituzionali di ciascun Stato membro può garantire una maggior tutela del consumatore, in termini di maggior efficacia. Negli ultimi anni il canone del consumatore medio si è progressivamente evoluto e raffinato, acquisendo peculiari caratteristiche e distinte connotazioni, a seconda dei beni e/o servizi considerati, ovvero dei soggetti coinvolti. 56 Il consumatore medio, a seconda della società La Commissione nella lettera di messa in mora del 16 ottobre 2013 ha rilevato che «[...] anche se la Commissione non interferisce con la ripartizione delle competenze tra le autorità amministrative a livello nazionale, ha l’obbligo di assicurare che gli Stati membri conferiscano poteri adeguati ai loro organismi di controllo, siano tali poteri di portata settoriale o orizzontale, e che essi prendano tutte le misure necessarie per garantire che sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive siano imposte per le violazioni delle norme nazionali di recepimento della direttiva». Anche la direttiva n. 2005/29/CE non sembra porre alcun vincolo verso il modello policentrico. Anzi l'esperienza comunitaria insegna che una differenziazione sulla base delle competenze è, non solo possibile, ma espressamente disciplinata nel Regolamento CE n. 2006/2004 sulla cooperazione per la tutela dei consumatori. Il Regolamento, accanto alla coesistenza di una pluralità di organismi pubblici a cui sono affidate competenze in materia di pratiche commerciali scorrette, richiede solo l'istituzione di un ufficio unico di collegamento a livello nazionale (si vedano l'art. 3, lett d), e l'art. 4, comma 1, Regolamento). 56 Per una disamina approfondita si rinvia a A. SACCOMANNI, Le nozioni di consumatore e di consumatore medio nella direttiva 2005/29/CE, in E. MINERVINI E., L. ROSSI CARLEO(a cura di), Le pratiche commerciali sleali, 2007, in Quaderni di giurisprudenza commerciale, Milano, pp. 144 e ss.; nonché a V. MELI, “Diligenza professionale”, “consumatore medio” e regola de minimis nella prassi dell'Agcm e nelle giurisprudenza amministrativa, in V. MELI e P. MARANO(a cura di), La tutela del consumatore contro le pratiche commerciali scorrette nei mercati del credito e delle assicurazioni, 2011, Torino; G. DE CRISTOFARO, Il divieto di pratiche commerciali sleali. La nozione generale di pratica commerciale sleale e i parametri di valutazione della slealtà, in G. DE CRISTOFARO(a cura di), Le pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori, Torino, 2007, pp. 119 e ss.. Per un approccio parzialmente difforme si veda E. BARGELLI, La nuova disciplina delle pratiche commerciali: ambito di applicazione, in G. DE CRISTOFARO(a cura di), Pratiche commerciali scorrette e codice del consumo, 2008, Torino. Sulle nozioni di consumatore e professionista in materia di pratiche commerciali scorrette, si veda A. STAZI, La nozione di consumatore nella normativa e nella giurisprudenza comunitaria e nazionale, in G. CASSANO – M.E. DI GIANDOMENICO(a cura di), Il diritto dei consumatori. Profili applicativi e strategie processuali, Padova, 2010; nonché A. STAZI-D. MULA, Il Consumatore, la pubblicità e le pratiche commerciali scorrette, in G. CASSANO – M.E. DI GIANDOMENICO(a cura di), in Il diritto dei consumatori. Profili applicativi e strategie processuali, cit.. In materia di pratiche commerciali scorrette si segnala, F. MASSA, Pratiche commerciali scorrette, in Enciclopedia Giuridica Treccani, vol. XVI; E. GUERINONI, Le pratiche commerciali scorrette – fattispecie e 55 25 federalismi.it |n. 19/2015 consumeristica di riferimento, è dunque «normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto»57 e necessita di una tutela specifica e non omologata. In tal senso è stata rilevata in dottrina la natura “plurale” del consumatore, evidenziando nel contempo la differenziazione dei bisogni di tutela di quest'ultimo.58 Le esigenze del consumatore andrebbero, ai fini di una tutela effettiva, valutate in ragione delle condizioni socio/economico/culturali e delle diverse esigenze di consumo. Pertanto, attribuire a ciascuna Autorità di settore il potere di applicare, oltre alle proprie competenze settoriali, anche la normativa in materia di pratiche commerciali scorrette nei settori di specifica competenza risponderebbe all'esigenza di maggior tutela del consumatore. Le singole Autorità di settore, oltre ad applicare astrattamente la norma, godono di una conoscenza specifica del mercato di riferimento tale da garantire l'efficacia della tutela del consumatore. 59 Ai palesati rischi di “cattura del regolatore”60 si potrebbe contrapporre un sistema di monitoraggio attraverso un obbligo pareristico a carico dell'AGCM, sulla scorta di quello già esistente per alcuni settori regolati.61 Lo strumento consentirebbe alle Autorità di settore e all'Autorità garante di condividere le esperienze maturate e costituirebbe un importante ausilio per l'attività del giudice amministrativo, chiamato a valutare la legittimità dell'operato delle Autorità. 6. Conclusioni La novella legislativa in commento intende, con l'introduzione del comma 1bis dell'art. 27 del Codice del consumo, compiere una scelta di chiarezza volta a superare le difficoltà – brevemente delineate nel presente lavoro – sul riparto di competenze in materia di pratiche commerciali rimedi, Milano, 2008, pp. 1 e ss; A. GENOVESE, I decreti legislativi sulle pratiche commerciali scorrette – attuazione e impatto sistematico della direttiva 2005/29/CE, Padova, 2008, pp. 27 e ss. 57 Cfr. considerando n. 18 della direttiva n. 2005/29/CE. 58 In tal senso Cfr. G. NAVA, Il legislatore interviene nuovamente sul riparto di competenze tra Agcom e Autorità di settore in merito all'applicazione delle pratiche commerciali scorrette: la soluzione definitiva?, cit. 59 In senso contrario si veda N. ZORZI, Le pratiche scorrette a danno dei consumatori negli orientamenti dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in Contratto e impresa, 2010, pp. 433 e ss. 60 Si tratta di una teoria formulata a partire dagli anni Settanta del secolo scorso e sostenuta dagli autori della Scuola di Chicago (in particolare, Stigler e Pelzman), che sottolineano l'inefficacia dell'intervento pubblico, poiché le imprese soggette ai vincoli amministrativi, mediante opportune pressioni, sono in grado di catturare gli organi politici, influenzandone le decisioni a proprio favore. Pertanto, gli organi delle autorità di regolamentazione opererebbero – secondo la teoria prospettata – a vantaggio del regolato e non nell'interesse della comunità. Per una disamina attuale della tematica si rinvia a L. TORCHIA, Una questione di competenza: la tutela del consumatore fra disciplina generale e discipline di settore, cit. Si veda anche A. CATRICALÀ, Postfazione al volume Contratto e antitrust, a cura di G. OLIVIERI – A. ZOPPINI, 2008, Bari. 61 Si pensi all'obbligo previsto dall'art. 1, comma 6, lett. c), l. 31 luglio 1997, n. 249, in applicazione del quale l'AGCOM è tenuta «[…] a esprimere entro 30 giorni dal ricevimento della relativa documentazione, parere obbligatorio sui provvedimenti, riguardanti operatori del settore delle comunicazioni, predisposti dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato in applicazione degli articoli 2, 3, 4 e 6 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 [...]» 26 federalismi.it |n. 19/2015 scorrette. Tuttavia, il criterio generale di ripartizione preventiva tra la competenza dell'AGCM e quella delle altre Autorità di settore non pare dirimere pienamente la problematica relativa al riparto di competenze. Ne è prova il recente intervento della giurisprudenza amministrativa che ha rimesso all’Adunanza plenaria la soluzione di una serie di quesiti interpretativi sul tema.62 L'art. 1, comma 6, lett. a) del d. lgs. 21/2014, che interviene sulla lungamente dibattuta questione dell'assetto di competenze ha la pretesa di porsi, almeno formalmente, come norma attuativa del principio di specialità di cui all'art. 19, comma 3 del Codice del consumo. L'intento di dirimere il conflitto di competenze tra normativa generale e settoriale, tuttavia, non sembra pienamente soddisfatto. Il legislatore pare avere, non tanto provato a risolvere le criticità sollevate dalla Commissione, ma piuttosto colto un’occasione propizia per proporre un rimedio che, con l’attribuzione della competenza esclusiva all’AGCM in materia di pratiche commerciali scorrette nei settori regolati, rappresenta quasi l’immagine speculare della soluzione delineata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. Ebbene, lungi dal rappresentare un correttivo a superamento delle criticità sollevate dalla Commissione, il legislatore nazionale sembra ridisegnare completamente i rapporti tra disciplina generale e discipline speciali, e per l’effetto tra Autorità trasversale di tutela del consumatore e Autorità settoriali, introducendo delle deviazioni assai rilevanti rispetto al diritto interno e a quello comunitario, con problemi di carattere sistematico di non poco conto.63 La disposizione in commento pare, infatti, pervenire a una conclusione diametralmente opposta a quella indicata dal legislatore comunitario. 64 Invero, la novella, pur configurando gli interventi delle Autorità in modo alternativo, accordando prevalenza all'accertamento delle pratiche commerciali scorrette da parte dell'AGCM rispetto all'accertamento di violazioni settoriali da parte delle Autorità di regolazione, non riesce pienamente a scongiurare il rischio di una doppia sanzione. L'analisi, nonostante la formulazione della regola generale, richiede all'interprete un Consiglio di Stato, 18 settembre 2015, n. 4352, cit., per la quale si rinvia alla trattazione sub par. 0 del presente lavoro. 63 In questi termini, V. CARFI, Pratiche commerciali: il comma 1bis dell'art. 27 del Codice del consumo, cit. 64 La lettura del disposto normativo permette da un lato di rilevare la primazia del Codice del consumo come norma sostanziale, dall'altro la competenza dell'AGCM anche nei mercati regolati, applicando in modo “speciale” la specialità della norma regolamentare. In questi termini, G. NAVA, Il legislatore interviene nuovamente sul riparto di competenze tra Agcom e Autorità di settore in merito all'applicazione delle pratiche commerciali scorrette: la soluzione definitiva?, cit. 62 27 federalismi.it |n. 19/2015 notevole sforzo applicativo, operando un confronto tra le singole disposizioni settoriali e le nuove disposizioni introdotte nel Codice del consumo.65 Il residuo ambito applicativo delle norme settoriali e la sovrapposizione di queste alla novella impongono, dunque, una rapida definizione, al fine di scongiurare un intervento successivo della giurisprudenza amministrativa, chiamata a valutare ex post la legittimità di un provvedimento inibitorio o sanzionatorio da parte delle Autorità, a scapito delle tempistiche del mercato. La modifica introdotta, se prima facie fornisce una risposta al dibattuto problema di riparto della competenza per le pratiche commerciali scorrette, non pare garantire un'adeguata risposta in sede applicativa, con evidenti danni per la stabilità dell'effettiva tutela dei consumatori e della certezza del diritto. Il tema va necessariamente inquadrato sullo sfondo della più ampia questione del rapporto tra tutela del consumatore da un lato, e libertà di impresa dall’altro. Solo in tal modo sarà possibile valutare concretamente le diverse soluzioni proposte, alle quali è richiesto il raggiungimento del «[…] giusto equilibrio tra un elevato livello di tutela dei consumatori e la competitività delle imprese», 66 quale fine dell’armonizzazione delle disposizioni nazionali a tutela dei consumatori. Dal confronto tra le direttive vigenti nei settori regolati sorgono notevoli contrasti in diversi ambiti, da quello delle comunicazioni a quello dell'energia, fino a quello dell'agro-alimentare. Per una disamina approfondita si rinvia a A. ARGENTATI, Contrattazione a distanza e nuovi diritti dei consumatori: quale ruolo per il public enforcement, in Quaderni di Diritto Mercato e Tecnologia, n. 2/2014. 66 In tal senso l’ultimo considerando n. 4 della direttiva n. 2011/83/UE. 65 28 federalismi.it |n. 19/2015 Bibliografia: G. AMATO, Autorità semi-indipendenti e autorità di garanzia, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1997, 3, pp. 645 e ss. ARGENTATI, Contrattazione a distanza e nuovi diritti dei consumatori: quale ruolo per il public enforcement, in Quaderni di Diritto Mercato e Tecnologia, n. 2/2014. AA.VV., La legge 14 novembre 1995, n. 481, in Le nuove leggi civili commentate, n. 2-3, 1998, pag. 228 ss. AA.VV., I garanti delle regole. Le autorità indipendenti, S. CASSESE - C. FRANCHINI(a cura di), Bari, 1996. 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