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riparto di giurisdizione - Consiglio Nazionale Forense

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riparto di giurisdizione - Consiglio Nazionale Forense
IL RIPARTO DI GIURISDIZIONE TRA INNOVAZIONI E TRADIZIONE
di Aldo Loiodice
Sommario: 1. Gli effetti della incostituzionalità e della particolare tecnica di pronuncia;
2. Il tradizionale criterio di riparto; 3. Il disegno costituzionale e la logica interpretativa
prescelta: i primi effetti; 4. Le letture interpretative dottrinali: risarcimento, rito monitorio,
azioni possessore e occupazioni; 5. Segue: utenti e gestori, servizi pubblici e
concessioni; fissazione canoni, nomine e revoche; 6. Segue: le azioni risarcitorie e
l’effettività della tutela; 7. La giurisprudenza recente; 8. Rilievi conclusivi.
1. Gli effetti della incostituzionalità e della particolare tecnica di
pronuncia.
La dichiarazione di incostituzionalità di una legge o di una sua parte, com’è
noto, determina l’effetto della cessazione di efficacia della norma da essa
desumibile a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione
(art. 136 Cost. e art. 30, 3° c., L. 11.03.1953 n. 87). Peraltro, come ha insegnato
la Cassazione (Sezioni Unite sentenza 6.05.2002, n. 6487, in Giust. Civ. Mass.
2002, 771), il principio sancito dall’art. 5 c.p.c., secondo cui la giurisdizione si
determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della
domanda (perpetuatio jurisdictionis) non opera quando la norma che detta i
criteri
determinativi
della
giurisdizione
è
successivamente
dichiarata
costituzionalmente illegittima, atteso che tale norma – a differenza di quella
abrogata – non può essere assunta, data l’efficacia retroattiva che assiste tale
tipo di pronuncia della Corte Costituzionale, a canone di valutazione di
situazioni e di rapporti anteriori alla pubblicazione della pronuncia di
incostituzionalità, salvo il limite dei rapporti esauriti (al momento della
pubblicazione della decisione) intendendosi per tali quelli accertati con
sentenza passata in giudicata o per altro verso già consolidata (1).
1
La dichiarazione di incostituzionalità, quindi, determina, per il giudice, l’obbligo
di rintracciare, nell’ordinamento, una norma conforme a Costituzione, diversa
da quella che il giudice delle leggi ha espunto dall’ordinamento stesso.
Si deve chiedere, però, quale sia la norma applicabile ed a tal fine occorre tener
conto sia della motivazione che del dispositivo della sentenza costituzionale.
Nel caso in esame viene in rilievo la particolare tecnica usata dalla Corte che, al
tempo stesso, è demolitoria e ricostruttiva delle disposizioni concernenti la
giurisdizione amministrativa (2); in effetti, la Corte ha utilizzato una tecnica di
produzione normativa più che giurisdizionale perché ha indicato in maniera
espressa la disposizione legislativa da applicare, di modo che non possano
sorgere equivoci e non si dia ingresso a norme incostituzionali.
La Corte invero ha seguito tre differenti modalità di dichiarazione di
incostituzionalità: una per l’art. 33, 1° comma, della legge in esame (D. Lgs. n.
80/1988 nel testo di cui all’art. 7, L. 205/2000) che elimina parzialmente alcune
parole (tra le quali il termine “tutte”) e riscrive nella stessa disposizione altre
parole che la rendono conforme al dettato costituzionale; il secondo tipo di
intervento riguarda il secondo comma dell’art. 33 che viene eliminato
puramente e semplicemente in quanto, avendo natura esemplificativa rispetto
all’art. 33, 1° comma, non ha motivo di sopravvivere; il terzo intervento riguarda
la dichiarazione di incostituzionalità parziale dell’art. 34 nella parte in cui si
riferisce ai “comportamenti” in materia di urbanistica e di edilizia.
La Corte, in sostanza, si rende conto che, dichiarando illegittima una norma
desumibile dal vecchio testo di legge, si opera un rinvio all’interprete per
colmare la lacuna determinata dal suo intervento e, quindi, essa, per evitare
equivoci, agisce testualmente sia attraverso il dispositivo (che cerca di
agevolare la comprensione normativa del suo intervento) sia attraverso la
motivazione (che chiarisce le ragioni di fondo della conclusione cui è essa
pervenuta).
La particolare tecnica utilizzata nel caso in esame non determina la
trasformazione della sentenza in una fonte normativa; in effetti resta in vita una
disposizione avente una formula diversa cioè una disposizione che sopravvive
2
in termini linguistici differenti e ridotti per consentire alla volontà dei legislatori di
permanere nell’ambito dei limiti costituzionalmente consentiti.
In altri termini si avverte la difficoltà dell’interpretazione dei testi dell’art. 33 e 34
e emerge come sarebbe ancor più difficile effettuare tale lavoro interpretativo da
parte del giurista laddove la Corte non avesse operato con le tecniche ora
indicate.
In sostanza il testo dell’art. 33 non viene lasciato mutilato ma viene ricostruito
per essere offerto come base interpretativa, nell’applicazione quotidiana, agli
operatori che applicheranno tale disposizione.
E’ evidente che il giudice delle leggi ha ritenuto necessario indicare all’interprete
i limiti del suo intervento (3). La Corte ha effettuato un’operazione ricostruttiva la
cui pratica applicazione resta sempre affidata all’interprete ma con le cautele
derivanti dalle modalità con cui la Consulta ha scritto il dispositivo della
sentenza; resta, perciò, sempre indispendabile il lavoro interpretativo dei giuristi
che, prendendo le mosse dalla disposizione nel testo, desumono la norma
applicabile seguendo le scelte costituzionali della Corte che ha inteso incidere
su questo tipo di lavoro fornendo un indirizzo chiaro letteralmente precisato.
2. Il tradizionale criterio di riparto.
Il riparto di giurisdizione serve a stabilire quale sia il giudice naturale
precostituito per legge e si colloca in una dimensione di democraticità
dell’ordinamento e di efficienza delle istituzioni nei confronti dei cittadini che
hanno l’inviolabile diritto di conoscere quale sia il proprio giudice naturale
precostituito per legge.
Si tratta di un progetto spesso disatteso dal legislatore ordinario venendo meno
a quella necessaria delicatezza che viene violata sia dai criteri seguiti che dalla
vaghezza delle norme dettate in materia (4).
Né si può immaginare che il riparto di giurisdizione possa rispondere a logiche
compensative (5) nel senso che il trasferimento di cognizione sul pubblico
impiego al giudice ordinario debba essere compensato con l’attribuzione al
giudice amministrativo di altre competenze.
3
Questa logica non è riconducibile né a quella tradizionale della dicotomia diritto
soggettivo e interesse legittimo né a quella innovativa che passa attraverso
l’attribuzione di materie.
In altri termini la precisione della formula normativa inserita nel dispositivo della
sentenza si collega ad una chiara opzione interpretativa della Corte secondo la
quale nel riparto di giurisdizione non si può privilegiare la “materia”.
Il ragionamento seguito nella sentenza lascia intendere chiaramente come
l’eccesso del legislatore si collochi al di fuori del disegno costituzionale.
L’eliminazione della parola “tutte” nell’art. 33 è il riferimento in cui emerge in
modo più chiaro il disegno costituzionale (che la Corte delinea e che ritiene
necessario osservare) rispetto al quale la discrezionalità del legislatore, che pur
viene riconosciuta, non può operare.
Risorge (e non ritorna) il tradizionale criterio di riparto fondato sulla distinzione
tra diritto soggettivo ed interesse legittimo.
In fondo, la Corte restituisce all’interesse legittimo una posizione che,
nell’ordinamento, sembrava quasi messa in ombra in favore di un riparto della
giurisdizione affidato ai comparti di materie anziché fondato sulla tradizionale
connotazione delle posizioni giuridiche soggettive tutelate.
L’intervento della Corte costituzionalizza in termini più forti una certa
concezione
dell’interesse
legittimo
storicamente
determinata;
in
fondo
l’interesse legittimo acquista, in tal modo, una “durezza” costituzionale che in
precedenza non appariva così chiara (6).
3. Il disegno costituzionale e la logica interpretativa prescelta: i primi
effetti.
Si coglie chiaramente che l’impostazione del testo costituzionale è fondata
sull’attribuzione alla competenza dei giudici amministrativi, non già di tutte le
controversie con le pubbliche amministrazioni o di tutte quelle che in qualche
modo vedono coinvolti i pubblici interessi, ma solo di quelle nelle quali si faccia
questione della tutela di interessi legittimi, salve le “particolari materie”.
In altri termini l’attribuzione della giurisdizione esclusiva costituisce sempre una
eccezione.
4
L’impostazione costituzionale resta tale, anche perché i tentativi effettuati in
sede parlamentare sia con la Commissione bicamerale Dalema sia con le
proposte di legge parlamentari (7) non ha raggiunto l’approvazione e,
nell’attuale legislatura, le forti modificazioni della disciplina positiva, introdotta
dalle riforme del 1998-2000, non hanno trovato sostegno in una modificazione
del testo costituzionale.
La formula normativa che la Corte stabilisce per l’art. 33, comma 1°, alla
stregua del disegno in cui si colloca la sentenza non è peraltro interpretabile
con la logica dell’innovazione legislativa che viene dichiarata incostituzionale.
La Corte invero esprime chiaramente quando afferma che le censure dei giudici
remittenti “colgono nel segno nella parte in cui denunciano l’adozione, da parte
del legislatore ordinario del 1998-2000, di una idea di giurisdizione esclusiva
ancorata alla pura e semplice presenza in un certo settore dell’ordinamento di
un rilevante pubblico interesse”; un’idea che presuppone l’approvazione mai
avvenuta di quel progetto di riforma secondo il quale “la giurisdizione
amministrativa ha ad oggetto le controversie con la pubblica amministrazione
nelle materie indicate dalla legge” (8). In sostanza si sottolinea la specialità
della giurisdizione esclusiva che viene ricostruita nella sua identità che e era
stata smarrita a seguito delle predette riforme 1998-2000; in fondo la Corte
ritiene che la Costituzione stabilisca chiari confini per il legislatore ordinario
nell’esercizio del suo potere discrezionale di individuare il riparto di funzione
giurisdizionale tra i due ordini di giudici (9).
La dichiarazione di incostituzionalità, come emerge dalla motivazione viene
stabilita “nella parte concernente l’idea di giurisdizione esclusiva ancorata alla
presenza di un rilevante pubblico interesse”.
Questo profilo motivazionale si traduce nella formula del dispositivo che la
Corte ha adottato; dispositivo che traduce, in concreto, in una formula
linguistica la motivazione che sorregge l’incostituzionalità e indica all’interprete
la via corretta e cioè la logica di riparto delle giurisdizioni fondate su diversi
profili: sulla dicotomia diritto soggettivo interesse legittimo; sulla giurisdizione
generale di legittimità del giudice amministrativo; sulla eccezionalità della
giurisdizione esclusiva e sulla giustificazione di questa con riguardo
5
all’esistenza di un intreccio tra le posizioni soggettive tutelate; sicchè la
giurisdizione esclusiva interviene sempre in una materia in cui al giudice
amministrativo competerebbe comunque la cognizione dei profili attinenti
all’interesse legittimo e, solo perché vi è un intreccio con il diritto soggettivo, in
tal caso il legislatore può attribuire l’intera materia alla cognizione del giudice
amministrativo (10). In fondo non si può aprire l’ambito della giurisdizione
esclusiva a tipi di controversie che, applicando i generali principi ora esposti,
spetterebbero comunque alla giurisdizione ordinaria perché coinvolgenti
esclusivamente i diritti soggettivi.
Il legislatore ha il potere di indicare “particolari materie” ma solo quelle nelle
quali la tutela nei confronti della pubblica amministrazione investa anche i diritti
soggettivi; materie, cioè, particolari rispetto a quelle devolute alla giurisdizione
generale di legittimità, con attribuzione di giurisdizione esclusiva solo quando
l’incidenza dell’azione amministrativa sui diritti soggettivi renda difficilmente
districabile la distinzione tra le differenti situazioni soggettive.
L’art. 33 dichiarato incostituzionale veniva a rompere in maniera radicale questo
schema costituzionale e quindi la Corte ha dovuto, innanzitutto, ricondurre la
logica del riparto di giurisdizione nel suo corretto e tradizionale alveo, prescelto
dalla Costituzione.
Avendo stabilito la collocazione del nuovo testo (scritto dalla Consulta)
all’interno dell’impostazione tradizionale (rivitalizzata dalla sentenza in esame)
diventa più agevole trarre le conseguenze di essa nell’ambito degli effetti che si
determinano con riguardo alla casistica che comincia a diventare sempre più
significativa.
In sostanza occorre interpretare il testo formulato dalla Corte alla stregua della
logica che ispirava le leggi precedenti ed in particolare quella istitutiva dei
TT.AA.RR. la L. 6.12.1971 n. 1034 (11), nel momento in cui la Corte ha
impresso al tenore della disposizione un mutamento radicale, eliminando la
parola “tutte”, vi è stata un’opzione in cui si è passati dall’attribuzione di una
materia in blocco al giudice amministrativo alla individuazione dei casi di
giurisdizione esclusiva che rimangono caratterizzati dalla natura derogatoria
rispetto al criterio generale di riparto, fondato sulle situazioni soggettive e,
6
comunque,
collegato
all’esercizio
di
specifici
poteri
autoritativi
dell’amministrazione.
La nuova formulazione del testo normativo e la sua collocazione nella
tradizionale impostazione del riparto di giurisdizione determina un’ulteriore
conseguenza e cioè che la disposizione oggi vigente, a seguito della sentenza
della Corte, diventa oggetto di una stretta interpretazione; il dettato normativo
redatto dalla Corte Costituzionale non può produrre norme che collocano al di là
dei limiti stabiliti dalla stessa Corte.
Il testo così come riscritto viene ad essere così formulato: “sono devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di
pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi escluse quelle
concernenti indennità, canoni
ed altri corrispettivi ovvero relativi a
provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un
pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla L. 7.08.90
n. 241 ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio ed alla
vigilanza e controlli nei confronti del gestore”.
Si vede come il nuovo testo riporti alla impostazione dell’art. 5 della L. 6.12.71
n. 1034 (12).
4. Le letture interpretative dottrinali: risarcimento, rito monitorio, azioni
possessore e occupazioni.
La dottrina, che immediatamente si è occupata della sentenza in esame, ha
indicato molte novità sul piano della giurisdizione.
Alcune azioni di risarcimento, non essendo più collegabili né alla giurisdizione
esclusiva né alla giurisdizione di legittimità, ritornano nell’alveo del giudice
ordinario (13).
Le ordinanze di rimessione alla Corte si riferivano ad azioni di risarcimento
collegate a controversie in materia di realizzazione di opere pubbliche, di
deprezzamento degli immobili per i comportamenti del pubblico amministratore
in materia edilizia, di mancato allaccio alla rete fognaria; si tratta in fondo di
controversie nelle quali vi è una spiccata connotazione privatistica (14) in cui
emergono questioni palesemente di diritto soggettivo; sia le domande di
risarcimento danni fondate sulle occupazioni abusive, sia quelle fondate sulla
7
modificazione di destinazioni edilizie, sia la richiesta di pagamento delle somme
dovute alla ASL per prestazioni di ricovero convenzionate si collocano in una
dimensione che, naturalmente, richiama il giudice ordinario a prendere
cognizione delle controversie.
E’ evidente, peraltro, che i decreti ingiuntivi attinenti a somme di denaro non
abbiano più ragion d’essere; ne deriverà il totale abbandono del rito monitorio
previsto dall’art. 8 della L. 205/2000 (15).
In materia di edilizia ed urbanistica le controversie in materia possessoria, di
nunciazione e di manutenzione collegate alla esecuzione di opere pubbliche, le
occupazioni usurpative ritornano dal giudice ordinario; per l’occupazione
acquisitiva si può distinguere tra i casi in cui il decreto di esproprio non sia stato
emesso e quindi emerge un comportamento dannoso dell’amministrazione dai
casi in cui il decreto sia stato annullato in sede giurisdizionale; in questa
differente ipotesi non si è di fronte ad un comportamento della p.a. ma di fronte
ad atti ritenuti illegittimi, rispetto ai quali la condanna di risarcimento compete al
giudice amministrativo (16). In fondo l’art. 43 del testo Unico sulle espropriazioni
(DPR n. 327/01) affida alla giurisdizione amministrativa la determinazione del
risarcimento dei danni subiti dal proprietario per l’occupazione meramente
acquisitiva.
Questa norma resta vigente e la giurisdizione rimane al giudice amministrativo.
5. Segue: utenti e gestori, servizi pubblici e concessioni; fissazione
canoni, nomine e revoche.
Per riguarda le controversie tra utenti e gestori (17), gran parte di esse sono
estranee alla giurisdizione esclusiva facendo applicazione del criterio generale
di riparto della giurisdizione.
In altri termini la restrizione della giurisdizione esclusiva, nel caso di specie, non
determina un’automatica attribuzione alla giurisdizione del giudice ordinario.
Occorre stabilire se, in applicazione del criterio costituzionale, la singola
controversia possa radicarsi in capo al giudice ordinario ovvero al giudice
amministrativo.
Si può già svolgere una breve disamina che la dottrina più attenta ha inteso già
offrire all’attenzione degli operatori (18); per i servizi pubblici il concetto di
8
servizio pubblico resta ancorato alle oscillazioni tra la concezione c.d.
soggettiva e la concezione c.d. oggettiva e, quindi, la giurisprudenza in materia
resta tuttora utilizzabile; anche la normativa che, poi, ha distinto tra i servizi
aventi rilevanza industriale e servizi che ne sono privi fornisce un ausilio sul
problema e da ultimo va tenuta presente l’evoluzione sul punto che distingue
servizi di rilevanza economica e servizi di rilevanza non economica; ciò
permette di cogliere l’estensione dell’attribuzione al giudice amministrativo delle
controversie in materia di servizi pubblici in coerenza con quanto affermato
dalla Corte; è evidente che restano fuori dalla giurisdizione amministrativa le
controversie promosse dalle case farmaceutiche per conseguire il pagamento
dei compensi spettanti per forniture alle Unità Sanitarie.
Vanno senz’altro escluse dalla giurisdizione amministrativa le controversie che
riguardano rapporti patrimoniali tra farmacista e amministrazione.
Ritornando all’ipotesi originariamente contemplata dall’art. 5 legge TAR si deve
ritenere che sono sottratte al G.A. le controversie concernenti indennità, canoni
ed altri corrispettivi con la conseguenza che il contenzioso che ha ad oggetto le
pretese creditorie degli operatori del servizio sanitario, farmacisti e case di cura,
e quelle vantate dai gestori di pubblici servizi rientrano nella cognizione del
giudice ordinario; per quanto riguarda le controversie concernenti la fissazione
del canone non può ignorarsi il potere discrezionale esercitato dalla p.a.;
bisogna, infatti, considerare che, se interviene un potere discrezionale della
p.a., sussiste
la cognizione del giudice amministrativo; in fondo, occorrerà
tener conto del contenuto dell’atto di concessione e quindi della giurisdizione
esclusiva (sul punto) del giudice amministrativo; per quanto riguarda invece la
revoca ad opera degli enti locali degli amministratori di società miste preposte
alla gestione del servizio pubblico, in questo caso resta il carattere privatistico
dell’atto di nomina così come dell’atto di revoca .
Resta ancora ferma la giurisdizione esclusiva per la rinegoziazione delle
condizioni di aggiudicazione della gara.
Per le controversie relative alla vigilanza ed al controllo nei confronti del gestore
nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato
mobiliare, qui occorre ascrivere al giudice amministrativo la cognizione in
9
materia di sanzioni; difficoltà ermeneutiche, però, si possono rintracciare nelle
ipotesi di giurisdizione del giudice ordinario che si riferiscono alle impugnazioni
delle ordinanze-ingiunzioni adottate nell’esercizio dei poteri di vigilanza .
I brevi cenni che possono articolare la casistica che agevola l’interpretazione
devono comunque essere collocati nella logica esposta.
6. Segue: le azioni risarcitorie e l’effettività della tutela.
La Corte Costituzionale ha confermato la cognizione del giudice amministrativo
sulle azioni risarcitorie (19).
Tra le soluzioni ipotizzabili il legislatore ha scelto quella che attribuisce al
giudice amministrativo anche la cognizione del risarcimento danni in quanto
viene la relativa azione configurata come una delle modalità di tutela
giurisdizionale sia dei diritti che degli interessi legittimi in base all’art. 24 della
Costituzione.
Non sarebbe quindi un’azione solo a tutela dei diritti nonostante la soluzione
prospettata dalla Cassazione con la sentenza n. 500/99.
L’altra soluzione intermedia, secondo cui il giudice amministrativo potrebbe
conoscere le azioni risarcitorie a tutela di interessi legittimi mentre il giudice
ordinario dovrebbe conoscere del danno ai diritti soggettivi degradati da atti
amministrativi, non è stata prescelta avendo il legislatore ritenuto preferibile la
soluzione favorevole alla cognizione del giudice amministrativo che, in fondo,
collega la tutela ad una completezza di cognizione.
Questo modello esce indenne dallo scrutinio di costituzionalità e si colloca nella
esigenza di superare il doppio giudizio (20). Su questo punto, però, da un lato
occorre che il giudice amministrativo sappia “civilizzarsi” come è stato affermato
in dottrina (21) e dall’altro, si deve tener conto della specificità del giudice
amministrativo; tale specificità lo distingue dal giudice del processo civile e la
differenza va salvaguardata; tuttavia la salvaguardia di essa crea qualche
disagio nell’adattamento degli schemi mentali del giudice amministrativo alle
esigenze risarcitorie, anche se il legislatore gli ha fornito uno strumentario simile
a quello del giudice civile.
10
Allora può sorgere la domanda (22) di quale sia l’effettività della tutela degli
interessi legittimi e anche dei diritti soggettivi nelle esperienze dei due giudici
(ordinari ed amministrativi).
Se si confronta il precedente regime pubblicistico del rapporto di pubblico
impiego con l’attuale regime privatistico e si esamina la tutela attuale (ricevuta
dal giudice ordinario e comparata con quella prima affidata al giudice
amministrativo), si verifica che oggi non vi è più, con la pronuncia del giudice
ordinario, la funzione ripristinatoria della situazione del ricorrente; vi è soltanto,
di fronte all’esito favorevole per una mancata promozione, il danno per una
perdita di chance; quindi la tutela era più significativa in passato (essendo reale
e non risarcitoria).
Questo esempio si inserisce in un discorso che va al di là degli effetti della
sentenza della Corte; si colloca però in una prospettiva che da essa viene
sollecitata.
Si può, infatti, fare un raffronto tra il giudizio per il risarcimento del danno che
era affidato al giudice ordinario in passato (a fronte, per esempio, di un
annullamento della revoca di una concessione edilizia) e l’attuale regime
processuale che affida la tutela risarcitoria al giudice amministrativo.
Si sta verificando che, proprio per quel difetto di “civilizzazione” del giudice
amministrativo, la mentalità civilistica non prende piede negli schemi utilizzati
dal giudice amministrativo con la conseguenza che ipotesi di danno prima
riconosciute dal giudice ordinario (nell’esempio sopra indicato), vengono
disattese dal giudice amministrativo.
In quest’ultimo caso il giudice prende cognizione del diritto soggettivo ai danni
subiti per effetto di un atto amministrativo illegittimo e, quindi, secondo la
sentenza della Corte, correttamente la cognizione resta in capo al giudice
amministrativo anche se trattasi di tutela risarcitoria, in quanto non si è
presenza di una vera e propria materia , ma solo di una espansione della
medesima materia di cui già il G.A. si occupa.
Sta di fatto, però, che l’effettività della tutela viene incisa a causa degli
orientamenti concettuali e degli atteggiamenti mentali seguiti dal giudice
11
amministrativo con una riduzione, di fatto, della tutela risarcitoria che un tempo
il giudice ordinario riconosceva.
E’ evidente che i profili esposti attengono qui solo alla effettività della tutela
giurisdizionale. Non si tratta di far ritornare il pubblico impiego nella cognizione
del giudice amministrativo e le azioni risarcitorie per lesioni dei diritti soggettivi
dal giudice ordinario; tuttavia, l’assegnazione all’uno o all’altro giudice di queste
due questioni, al momento, non ha acquisito profili di rilevanza costituzionale
così significativi da indurre i giudici a sollevare dubbi di costituzionalità ed alla
Corte ad intervenire in senso demolitorio.
Non si può infatti immaginare di trasformare il difetto di effettività in profilo di
incostituzionalità.
7. La giurisprudenza recente.
La sentenza n. 204/2002, in conclusione, modifica lo scenario concettuale in cui
si deve collocare costituzionalmente il riparto di giurisdizione, ma lascia aperti
alcuni profili in cui la discrezionalità del legislatore permane e non incide sulla
valutazione e sul presupposto esercizio della cognizione amministrativa o di
quella ordinaria, di guisa che i problemi che il cambio di giurisdizione induce ,
per il momento, restano sottratti ad ogni valutazione di costituzionalità.
La sentenza della Corte Costituzionale ha avuto immediati riflessi nella
giurisprudenza, non tanto per l’obbligo giuridico derivante dall’art. 136 della
Costituzione, quanto per l’attenzione che è stata posta in essere alla
ricostruzione del quadro costituzionale che presiede al riparto di giurisdizione.
Il TAR Lazio – Sezione 3^ Ter (decisione in Camera di Consiglio del 10.06.04)
reca, nella motivazione evidentemente stesa dopo la decisione in Camera di
Consiglio, il riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale e, tuttavia, non
ritiene di declinare la giurisdizione in materia di affidamento in subconcessione
di un bene pubblico, trattandosi di affidamento in concessione della gestione di
un’area di servizio autostradale; ha considerato tale subconcessione come
un’attività strumentale pertinente alla concessione della rete e quindi
qualificabile come servizio pubblico espletato nelle aree di servizio autostradale.
In conseguenza la controversia risolta, riguardante l’impugnativa e la disdetta
del rapporto di subconcessione dell’area di servizio, è stata considerata
12
rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il TAR Lazio
ha preso in esame la sentenza n. 204/2004, precisando che tale sentenza fa
salve le controversie relative a concessioni di pubblici servizi (a meno che
concernono rapporti di patrimonio) nel cui genus è riconducibile, seppure in
connessione con la concessione di bene pubblico, la controversia afferente la
disdetta della sub concessione di aree pertinenziali alle sedi autostradali (pres.
Corsaro, Rel. Fantini).
Il TAR Lazio, Sezione di Latina, (n. 692/2004 deciso in Camera di Consiglio del
9.07.04, Pres. Bianchi, Est. Scudeller) non ha declinato la propria giurisdizione
in quanto ha ritenuto che resta attribuito al giudice amministrativo la
controversia in cui la richiesta di tutela di una posizione di diritto implica
appunto la verifica della legittimità di atti che sono espressione di un potere
pubblicistico; verifica che richiede l’applicazione della giurisdizione esclusiva in
esame; si trattava di un ricorso per tutelare la servitus altius non tollendi che era
stata incisa da atti della p.a..
Il TAR Campania, Sede di Napoli, Sez. V, (Pres. D’Alessandro, Rel. Tondin,
deciso in Camera di Consiglio il 15.07.04) ha ritenuto devoluta alla cognizione
del giudice ordinario la controversia riguardante diritti di credito e concernente il
pagamento di prestazioni sanitarie erogate nell’ambito del servizio sanitario
nazionale per le quali era stata chiesta l’ingiunzione di pagamento.
Il TAR Veneto, Sezione 1^, (deciso in Camera di Consiglio il 15.07.04, Pres. De
Zotti, Rel. Depiero) ha dichiarato la giurisdizione del TAR in quanto si trattava di
controversia relativa all’esecuzione di un contratto e non dell’affidamento di una
concessione di pubblico servizio; invero, l’amministrazione aveva dichiarato
risolto il contratto ed aveva acquisito le opere eseguite e aveva escusso a titolo
di risarcimento la polizza fideiussoria; stante l’evidente natura di vicende
connesse all’esecuzione del contratto più che al suo affidamento è stata
ritenuta sussistente la giurisdizione dell’A.G.O. .
Il TAR Sicilia – Palermo, Sez. 1^ (sentenza n. 1593/04, decisa il 16.07.04 in
Camera di Consiglio, Pres. Gianlombardo, Est. Veneziano) ha declinato la
giurisdizione amministrativa per la controversia relativa al pagamento delle
prestazioni specialistiche di laboratorio nei confronti di un’Azienda USL.
13
Il TAR Calabria-Reggio Calabria (sentenza n. 607/04, decisa in Camera di
Consiglio il 21.07.04, Pres. Pasanisi, Est. Nunziata) ha declinato la propria
giurisdizione in una controversia che attiene all’art. 53 del T.U. 326/2001 in
tema di espropriazioni in quanto esorbitano dai confini della giurisdizione
esclusiva sia le azioni possessorie sia le controversie, come quella giudicata,
relativa ad atti di occupazione del tutto privi di titolo a seguito dell’erroneo
sconfinamento commesso dall’ente espropriante sul suolo del ricorrente e cioè
occupazione usurpativa ma anche le controversie relative all’occupazione
acquisitiva a cui risulti estraneo ogni sindacato sul potere discrezionale della
p.a.
Il TAR Puglia-Lecce, Sez. 2^, (deciso in Camera di Consiglio del 9.09.04, Pres.
Cavallari, Rel. Capitaneo) ha ritenuto sussistente la giurisdizione ordinaria per
quanto riguarda il diritto del ricorrente al pagamento di forniture protesiche in
favore degli iscritti al servizio sanitario nazionale.
Si tratta in questo caso di una classica situazione di diritto soggettivo non
collegata all’esercizio di un potere autoritativo dell’amministrazione e, quindi, il
difetto di giurisdizione è stato acclarato con facilità in ordine ai principi ed alle
statuizioni contenuti nella sentenza della Corte Costituzionale.
8. Rilievi conclusivi.
Come si può notare sia dai profili dottrinali
che da quelli giurisprudenziali
esposti non sempre emerge la logica giuridico-costituzionale che ha
determinato la Corte a pronunciare l’incostituzionalità della giurisdizione
esclusiva in materia di servizi pubblici (parziale) ed in materia di edilizia ed
urbanistica (parziale, relativa ai comportamenti).
In effetti il decorso di sei anni dal 1988 con l’impegno dei giudici e della dottrina
a razionalizzare la nuova giurisdizione esclusiva, attenuando l’impatto
costituzionale su di essa, ha lasciato traccia
nelle argomentazioni e
prospettazioni ricostruttive sia dottrinali che giurisprudenziali.
La sentenza n. 204/2004 della Corte impone, però, il rientro nei confini che
tradizionalmente venivano assegnati alla giurisdizione amministrativa, con la
conseguenza di ridare vigore al criterio di riparto fondato sulla dicotomia
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carenza di potere / diritto soggettivo, cattivo esercizio del potere / interesse
legittimo.
Ne deriva, perciò, che ogni singola questione non rientrante nell’attuale
delimitazione della giurisdizione esclusiva, non viene attribuita, perciò solo, alla
competenza del giudice ordinario.
Occorrerà, di volta in volta, collocare la singola controversia nella dimensione
del criterio di riparto ritornato in vigore, in questa rinforzata prospettazione
dell’impianto
costituzionale
concernente
l’attribuzione
della
cognizione
giurisdizionale al giudice ordinario ed al giudice amministrativo.
Il lavoro da percorrere non è ancora tutto svolto.
NOTE
1) G. Virga, Il Giudice e la funzione pubblica in www.lexitalia.it, pag. 6; F.
Saitta, Tanto Tuonò che piovve: riflessioni (d’agosto) sulla giurisdizione
esclusiva ridimensionata della sentenza costituzionale n. 204 del 2004 in
www.lexitalia.it;
2) F. Lorenzoni, Commento a prima lettura della sentenza della Corte
Costituzionale n. 204 del 5.07.04 in www.federalismi.it ;
3) F. Lorenzoni, op. cit.;
4) G. Virga, op. cit., 5,
5) G. Virga, op. cit., 8,
6) F. Lorenzoni, op. cit., 4 e 5;
7) V. Cerulli Irelli, Giurisdizione esclusiva e azione risarcitoria nella sentenza
della Corte Costituzionale n. 204 del 5.07.04 (Osservazioni a primissima lettura)
in www.federalismi.it, 2;
8) F. Saitta, op. cit., 1 e 2;
9) F. Saitta, op. cit., in particolare le note 1, 2 e 3;
10) V. Cerulli Irelli, op. cit. 2 e 3 ;
11) L. Coen, Corte Costituzionale 204/2004: Una prima lettura in tema di servizi
pubblici, www.unife.it/forumcostituzionale.it ;
12) V. Cerulli Irelli, op. cit.,4 ;
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13) R. Garofoli, La nuova giurisdizione in tema di servizi pubblici dopo Corte
Costituzionale 6.07.04 n. 204 in www.lexitalia.it , 12 e segg.;
14) G. Virga, op. cit., 3;
15) V. Cerulli Irelli, op. cit., 1;
16) G. Virga, op. cit., 6;
17) G. Virga, op. cit., 7; V. Cerulli Irelli, op.cit., 5;
18) L. Coen, op. cit..
19) R. Garofoli, op. cit., 6,9,10 ;
20) V. Cerulli Irelli, op. cit., 5 e 6;
21) F. Saitta, op. cit. 6;
22) F. Lorenzoni , op. cit., 5 e 6.
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