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ancora sul riparto di giurisdizione in materia di affidamento di
Giustizia e Affari Interni
REDAZIONALI
ANCORA SUL RIPARTO DI GIURISDIZIONE IN MATERIA
DI AFFIDAMENTO DI INCARICHI DIRIGENZIALI DA
PARTE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
dell’Avv. Enrico Pierantozzi
Nel caso di procedimento amministrativo finalizzato all’attribuzione di incarichi dirigenziali di
fascia superiore, avviato con invito a presentare domande e comprovare titoli e requisiti professionali, secondo il TAR del Lazio la circostanza che l’Amministrazione abbia poi selezionato i
candidati senza svolgere una effettiva comparazione tra gli stessi e senza stilarne una graduatoria esclude l’applicabilità dell’art. 63, co. 4, del d.lgs. n. 165/2001 e comporta la giurisdizione
del giudice ordinario
In the case of administrative proceedings aiming at the appointment of senior management roles,
initiated through a tender to apply and to demonstrate licenses and professional qualifications,
according to the Latium Regional Administrative Courts (TAR), the fact that the Administrative
bodies have eventually selected candidates without carrying out an effective comparison and
elaborating a classification thereof, precludes the applicability of art. 63, co. 4, of the Legislative
Decree 165/2001 and determines the jurisdiction of the Ordinary Courts
Sommario: 1. Premesse. 2. La sentenza del T.A.R. Lazio n. 7843/2013 e il rischio di elusione della giurisdizione amministrativa. 3. Osservazioni e conclusioni.
zione ha dato luogo a controversie significative, essendosi in particolare sostenuto, da un
lato, che essa si applicherebbe soltanto in caso di prima assunzione nell’amministrazione,
e dall’altro, al contrario, che essa avrebbe ad
oggetto anche tutte le fattispecie di accesso a
nuove e superiori qualifiche.
Questa seconda interpretazione, che definisce in maniera estensiva l’ambito di applicazione dell’art. 63 co. 4, ha trovato consacrazione in una recente pronuncia del Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria (28.5.2012
n. 17), che ha riaffermato che la norma si riferisce “non solo alle procedure concorsuali
strumentali alla costituzione, per la prima
volta, del rapporto di lavoro, ma anche alle
prove selettive dirette a permettere l’accesso
del personale già assunto ad una fascia o area superiore”.
Siffatta pronuncia non rappresenta del resto una novità, poiché si inserisce nel solco
tracciato dalla Corte Costituzionale, la quale
1. Premesse.
La questione concernente l’affidamento
degli incarichi dirigenziali nell’ambito della
pubblica amministrazione è stata più volte affrontata in giurisprudenza sotto il profilo della giurisdizione, da quando il legislatore ha
riformato la materia del pubblico impiego in
senso privatistico.
Come è noto, l’art. 63 del d. lgs. n.
165/2001 dispone al co. 1 che “sono devolute
al giudice ordinario, in funzione di giudice
del lavoro, tutte le controversie relative ai
rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (…), incluse le controversie concernenti (…) il conferimento e la
revoca degli incarichi dirigenziali”, mentre il
successivo comma 4 precisa che “restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”.
L’interpretazione di quest’ultima disposiGazzetta Amministrativa
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pertanto ricorso al giudice amministrativo
impugnando la circolare contenente l’avviso
di “concorso” e gli atti della procedura selettiva.
Il TAR Lazio ha rigettato il ricorso sotto il
profilo della carenza di giurisdizione, reputando che nella specie non trovasse applicazione l’art. 63, co. 4, del d. lgs. n. 165/2001.
L’argomento fondante è costituito, secondo il giudice amministrativo, dal fatto che
nella specie non ci si trovi di fronte ad una
vera e propria procedura concorsuale, nonostante si tratti del conferimento di incarichi di
fascia dirigenziale superiore, e dunque di attività che, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale e del Consiglio di Stato sopra ricordata, andrebbe ricondotta all’ambito
dell’art. 63, co. 4, del d. lgs. n. 165/2001.
Il TAR, richiamando la nozione di procedura concorsuale “definita nella giurisprudenza della Cassazione come quella forma di
reclutamento caratterizzato da una fase di
individuazione degli aspiranti forniti dei titoli
generici di ammissione e da una successiva
fase di svolgimento delle prove e di confronto
delle capacità, diretta ad operare la selezione
in modo obiettivo e dominata da una discrezionalità (non solo tecnica, ma anche) amministrativa nella valutazione dei candidati”, ha
affermato che “per aversi una procedura
concorsuale è innanzitutto necessario che si
riscontri una valutazione comparativa tra i
candidati e che questa valutazione si traduca,
all’esito del procedimento, in una graduatoria”.
Rilevando che la valutazione comparativa
non risultava effettuata, e che l’amministrazione non aveva elaborato una graduatoria
dei candidati bensì si era limitata ad individuare gli assegnatari dei posti di dirigente di
prima fascia, il giudice ha dunque ritenuto
che la procedura fosse sottratta alla propria
giurisdizione.
(v. da ultimo Corte Cost. 10.11.2011, n. 299)
ha ribadito che il principio del concorso come
strumento di accesso all’impiego pubblico
(art. 97, co. 3, Cost.) comprende sia le procedure preordinate all’ingresso ex novo di personale nei ruoli dell’amministrazione sia
quelle finalizzate al passaggio dei dipendenti
ad una qualifica superore con effetto novativo
del rapporto precedentemente in essere.
Il contenuto novativo del rapporto a cui è
preordinato il procedimento amministrativo
di attribuzione di una qualifica superiore è
dunque l’argomento su cui si fonda
l’indirizzo ermeneutico della Corte Costituzionale a cui si è conformato il Consiglio di
Stato, con la conseguente affermazione della
giurisdizione del giudice amministrativo in
ordine alle procedure volte a sancire la progressione verticale interna, ossia il passaggio
tra diverse aree di inquadramento previste
dalla contrattazione collettiva.
2. La sentenza del TAR Lazio n.
7843/2013 e il rischio di elusione della giurisdizione amministrativa.
In un quadro giurisprudenziale così delineato si inserisce, in palese controtendenza, una
recente sentenza del T.A.R. Lazio, Sezione II
quater, depositata il 6.8.2013, avente ad oggetto l’assegnazione di incarichi dirigenziali
di livello generale presso il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali a dirigenti di seconda fascia già in servizio presso lo stesso
Dicastero. La procedura era stata aperta da un
avviso, mediante circolare, con il quale
l’Amministrazione invitava tutti gli interessati a presentare una domanda allegando il proprio curriculum vitae e l’elenco dei titoli e
degli incarichi svolti.
A seguito della scelta effettuata
dall’Amministrazione, una concorrente alla
quale non era stato attribuito alcuno degli incarichi disponibili lamentava che la propria
posizione fosse stata pretermessa ingiustamente, poiché non risultava che l’amministrazione avesse compiuto una verifica dei
titoli dei candidati né tanto meno una effettiva
comparazione tra le numerose domande pervenute, emergendo dagli atti del procedimento una sostanziale omissione di qualsiasi attività istruttoria al riguardo. Essa presentava
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3. Osservazioni e conclusioni.
In sostanza, la decisione sulla giurisdizione è stata ancorata non già alle caratteristiche
tipiche e allo scopo del procedimento avviato
dall’amministrazione, bensì alle modalità con
cui quest’ultima lo ha svolto e gestito in concreto. La giurisprudenza citata in premesse
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aveva ritenuto dirimente l’elemento teleologico della procedura di reclutamento, individuando nel fine di assegnare incarichi di fascia superiore l’aspetto caratterizzante la procedura concorsuale.
La pronuncia del TAR del Lazio sembra
porsi in netto contrasto con l’orientamento
consolidato laddove assume quale elemento
decisivo per la decisione sulla giurisdizione
non già lo scopo al quale l’azione amministrativa è preordinata, bensì il modus operandi degli uffici, esaminato ex post. La sentenza
pecca di una sorta di eccesso di realismo, che
porta il giudice a trascurare il principio di tipicità dell’atto amministrativo per soffermarsi
unicamente sul mezzo scelto dall’amministrazione con un’autonomia che sfocia
nell’arbitrio.
Il paradosso della pronuncia si evidenzia
nella constatazione che i comportamenti che
erano stati lamentati quali vizi del procedimento, e pertanto erano stati sottoposti al vaglio del giudice amministrativo sotto i profili
dell’eccesso di potere e del difetto di istruttoria, diventano la ragione per cui lo stesso giudice denega la propria giurisdizione.
Le conseguenze dell’affermazione di un
simile principio appaiono pericolose sotto un
duplice profilo. In primo luogo, non è chi non
veda come l’amministrazione pubblica potrebbe condizionare l’ambito della giurisdizione, e in particolare sottrarsi all’esame del
giudice amministrativo, in base a scelte operative del tutto soggettive, legate al modo in
cui essa manifesta le proprie determinazioni
indipendentemente dallo scopo tipico al quale
è preordinato il procedimento amministrativo,
con una palese violazione, a danno di chi ne
contesta l’operato, del principio sancito
dall’art. 25 della Costituzione.
In secondo luogo, mentre il legislatore
sembra finalmente orientarsi a un maggior rigore nella definizione dei criteri che sovrintendono all’assunzione e alla progressione
delle carriere nel pubblico impiego, specie
per quanto riguarda i profili dirigenziali (si
consideri ad esempio l’intervento operato con
il pur discusso D. L.vo n. 150/2009, e in particolare le modifiche da esso introdotte al D.
L.vo n. 165/2001), la sottrazione dei procedimenti selettivi alle censure del giudice amministrativo rischia di offrire spazi inaspettati
alla prassi amministrativa caratterizzata da
comportamenti disinvolti e poco trasparenti,
finalizzati a privilegiare, nella scelta del personale da destinare ai più alti profili, ragioni
di appartenenza clientelare anziché capacità
professionali e titoli acquisiti sul campo.
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