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La tutela del legittimo affidamento può escludere l
Focus di pratica professionale di Andrea Mondini La tutela del legittimo affidamento può escludere l’applicazione delle sanzioni e degli interessi in caso di mancata contestazione di questioni comuni a più periodi d’imposta Il caso e il processo La sentenza della Corte di Cassazione in commento (Cassazione, sentenza n.5224/12) appare estremamente significativa. Nonostante accolga il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e cassi con rinvio la sentenza della CTR favorevole al contribuente, essa pare trarre dal principio di tutela del legittimo affidamento alcune conseguenze nient’affatto scontate, e certamente a favore del contribuente. La pronuncia, però, non è priva di ambiguità, anche perché sulle questioni più importanti si rivela assai concisa e sintetica. Richiede dunque di essere approfondita sia sul piano teorico, sia su quello prettamente operativo, per capire se e quali argomenti difensivi il contribuente può sviluppare a partire da essa al fine di supportare il proprio ricorso contro l’atto di accertamento. Il caso riguarda una Srl alla quale, in sede di verifica, viene disconosciuta la deduzione di alcune voci di costo per difetto di inerenza. La società afferma che tali componenti negative sono giustificate dalla partecipazione ad un consorzio. Si tratterebbe dunque di ribaltamento dei costi sostenuti dalla società consortile alle consorziate, alle quali il consorzio eroga servizi senza scopo di lucro, in attuazione dello scopo mutualistico. L’Agenzia delle Entrate nega, all’opposto, la natura consortile della società, e quindi la deducibilità dei costi relativi a servizi non inerenti e comunque non adeguatamente documentati. Lasciando da parte il vizio di motivazione della sentenza di appello impugnata - la quale ha ritenuto apoditticamente esistente il consorzio senza argomentare in merito alle prove contrarie addotte dall’Agenzia - l’aspetto di vero interesse della sentenza in questione è un altro. Emerge, infatti, come fatto non contestato in causa, che l’Amministrazione Finanziaria aveva già sottoposto tanto la società accertata quanto la supposta società consortile (“produttrice” dei costi indeducibili) a plurime ispezioni contabili e verifiche fiscali, in relazione a periodi d’imposta anteriori rispetto a quello poi oggetto di accertamento. In nessuna delle pregresse occasioni i verificatori avevano mai contestato questa pratica di addebito del risultato economico negativo della società consortile alla società consorziata, in proporzione alla sua quota di partecipazione. La contribuente, pertanto, ritiene che l’accertamento, ancorché riferito a diverso e successivo periodo d’imposta, sia contrario a buona fede e violi l’affidamento ch’essa ha riposto nella conferma indiretta del suo operato ricavabile dalla mancata contestazione da parte dell’Agenzia. L’accertamento, infatti, si basa sulla verifica e sulla qualificazione di una fattispecie - consistente appunto nell’esistenza o meno del consorzio e quindi nell’attribuzione di natura consortile alla società i cui costi vengono riaddebitati alla contribuente - che rappresenta una questione non solo preliminare rispetto a quella relativa all’inerenza e alla deducibilità dei costi ma presenta anche un carattere stabile o quantomeno durevole nel tempo, nel senso che è comune a più periodi d’imposta, e la cui soluzione quindi è idonea a incidere in modo similare sulla determinazione di ciascuna autonoma obbligazione tributaria annuale. La riproduzione con qualsiasi metodo è vietata La Circolare Tributaria n.48 del 17 dicembre 2012 21 Su questo presupposto - peraltro rimasto implicito nell’argomentare dei giudici - la CTR ha condiviso le difese della contribuente e ha annullato integralmente l’avviso. Ha infatti ritenuto che il fatto che l’Agenzia avesse omesso, per ben tre volte in sede di verifica, di contestare il comportamento consistente nel riaddebito dei costi (di per sé oggettivamente rilevabile sulla base della documentazione contabile esaminata), successivamente ritenuto non corretto, fosse sufficiente a generare nella società un affidamento tutelabile in base all’art.10, co.2, della L. n.212/00. Il giudice di merito, peraltro, ha ritenuto di poter annullare l’avviso di accertamento in base ad una lettura fortemente garantista ed “espansiva” della tutela offerta dalla menzionata norma dello Statuto dei diritti del contribuente, arrivando al punto da superare la lettera della disposizione, e quindi ritenendo non dovuto non solo il pagamento di sanzioni ed interessi, ma anche quello del debito tributario tout court. La Corte di Cassazione, invece, ha condiviso solo in parte questa impostazione. Richiamandosi a propri costanti precedenti, ha affermato che l’art.10, co.2, consente di tutelare l’affidamento legittimo del contribuente unicamente con riferimento alle sanzioni e agli interessi, ma non rispetto al tributo, posto che solo in caso di interpello lo Statuto del contribuente (all’art.11) deroga espressamente al principio generale di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, vincolando l’Amministrazione alla posizione assunta nella risposta resa all’interpello del contribuente anche in ordine alla debenza del tributo. La sentenza della Cassazione e la portata applicativa dell’art.10, co.2, dello Statuto dei diritti del contribuente: la questione della debenza del tributo … La Cassazione conferma, con questa sentenza, un orientamento già espresso in altre precedenti, pronunce2. La tutela esplicitamente offerta al contribuente dall’art.10, co.2, dello Statuto, nel caso in cui egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione Finanziaria poi successivamente modificate, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’Amministrazione stessa, consiste testualmente nell’inapplicabilità delle (sole) sanzioni ed interessi. In linea generale, la dottrina più autorevole non si mostra concorde3, e valorizza alcuni precedenti della stessa Cassazione, che appaiono però minoritari, almeno dal punto di vista quantitativo4. In quest’ottica il tenore letterale della disposizione potrebbe essere superato tenendo conto che, come il giudice di legittimità ha riconosciuto in altre occasioni, il principio di collaborazione e buona fede sancito nel co.1 dell’art.10, da cui promana la tutela del legittimo affidamento, è immanente al sistema tributario ed ha una portata generale, essendo espressione di superiori principi costituzionali. L’art.10, quindi, non impedirebbe ma anzi favorirebbe una sua applicazione oltre l’area di irrogazione di sanzioni e della richiesta di interessi: l’elencazione contenuta nel co.2 dell’art.10 avrebbe una valenza meramente esemplificativa, legata alle ipotesi maggiormente frequenti, ma ciò non limiterebbe la portata generale della regola, “idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti”. Anche per l’altro argomento, per cui solo in caso di accertamento difforme da risposta resa in sede di interpello lo Statuto avrebbe inteso garantire il contribuente con la nullità integrale dell’avviso di accertamento e della pretesa tributaria, si osserva che l’interpello è esperibile soltanto in caso di condizioni di obiettiva incertezza sull’interpretazione della norma tributaria. Laddove invece esistano interpretazioni inequivoche dell’Amministrazione 2 3 4 Cass., sent. n.2133/02; sent. n.19479/09; sent. n.6056/11; sent. n.21070/11, sent. n.21071/11, sent. n.21072/11 e sent. n.21073/11. V. ad esempio E. Della Valle, “Affidamento e certezza nel diritto tributario”, Milano, 2001; Id., “Il principio di buona fede oggettiva e la marcia inarrestabile dello Statuto”, in Giur. trib., 2003, 355; G. Marongiu, “Lo Statuto dei diritti del contribuente”, Torino, 2010; Cass., sent. n.17576/02, n.21513/06 e n.18218/07. La non applicabilità delle sanzioni, peraltro, discenderebbe già dalla corretta applicazione del principio di colpevolezza, quindi la portata innovativa dello Statuto risiederebbe semplicemente nella non esigibilità degli interessi. La riproduzione con qualsiasi metodo è vietata La Circolare Tributaria n.48 del 17 dicembre 2012 22 (espresse ad esempio in circolari o risoluzioni pubblicate, ancorché esse non siano fonte del diritto), la piena tutela del contribuente che faccia affidamento su di esse - non potendo essere fornita dallo strumento dell’interpello - non può che passare per il riconoscimento della non debenza del tributo che l’Amministrazione, mutata interpretazione, richieda ugualmente in pagamento al contribuente5. Da ultimo, non si può tacere il fatto che la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE tutela da tempo in modo rafforzato la buona fede e l’affidamento incolpevole del cittadino/contribuente come un principio generale del diritto pubblico europeo, e quindi comunitario. In particolare ciò rileva in materia di Iva. Anche se con riferimento all’affidamento nella veridicità dei fatti rappresentati da terzi (soprattutto in forma documentale: ad esempio le fatture) e non alle interpretazioni fornite dall’Amministrazione6, la Corte europea è giunta ad affermare che la tutela della buona fede soggettiva sia tale che il contribuente diligente, il quale dia prova di avere adottato tutte le misure che ragionevolmente gli possono essere richieste per accertarsi di non prendere parte ad operazioni fraudolente, e ciò nonostante non si sia reso conto di essere coinvolto in una frode all’Iva (in particolare le frodi carosello), non perde i diritti acquisiti (ad esempio detrazione dell’Iva, oppure non imponibilità delle operazioni intracomunitarie) e non è dunque tenuto a pagare l’imposta o la maggiore imposta che conseguirebbe al loro disconoscimento7. E ciò anche ove sia accertato inequivocabilmente che il fatto da cui trarrebbe origine la detrazione o l’esenzione non si è mai verificato (ad esempio il trasporto del bene all’estero nella cessione intracomunitaria)8 e l’operazione realmente posta in essere differisce da quella risultante dalle fatture o dai documenti falsificati dai terzi (così per le operazioni c.d. soggettivamente inesistenti, con fatturazione da parte di soggetto diverso da quello che effettivamente produce i beni o i servizi)9. Nel caso de quo, tuttavia, anche prescindendo dalle varie opzioni interpretative, bisogna riconoscere che mancano quelle condizioni che la stessa dottrina più favorevole alla non debenza del tributo riconosce come essenziali per una lettura “forte” della tutela dell’affidamento. In particolare, il fatto che il contribuente possa fare riferimento ad un atto “che fornisca indicazioni chiare e puntuali, esaustive e inequivocabili perché solo esse vincolano totalmente l’Amministrazione che deve emettere atti coerenti con l’interpretazione e con le scelte manifestate”10. La mancata contestazione o il “silenzio” serbato dai verificatori con riferimento ad annualità soggette a verifica ma anteriori rispetto a quella poi oggetto di accertamento, non possono evidentemente assumere un tale inequivoco e specifico significato. Anche perché l’effetto di affidamento che può creare il comportamento tenuto dall’Amministrazione in sede di verifica può essere valutato esclusivamente caso per caso, in relazione all’ampiezza e all’oggetto della verifica stessa, e sempre tenendo in considerazione il contenuto tanto dell’ordine che l’ha disposta, quanto del Pvc che la chiude (le cui risultanze istruttorie, ad esempio, potrebbero nascere da un’indagine selettiva limitata ad alcuni soltanto dei dati dichiarati e contabilizzati, con emissione di un accertamento parziale ex art.41-bis del DPR n.600/73, il quale a sua volta potrebbe valorizzare alcuni soltanto degli elementi di fatto acquisiti in verifica). 5 6 7 8 9 10 In questo senso G. Marongiu, “Lo Statuto e la tutela dell’affidamento e della buona fede”, Riv. dir. trib., 2008, I, 166. Per il legittimo affidamento del contribuente nelle risposte fornite dalle autorità tributarie in materia di Iva (in un caso però riconducibile alla procedura dell’interpello), v. Corte di Giustizia UE, sent. 14 settembre 2006, C-181/04, Elmeka, che riguarda l’ordinamento tributario greco. Anche la Cassazione tende a recepire questo approccio, v. ad esempio Cass., sent. n.1364/11. Corte di Giustizia UE, sent. 27 settembre 2007, C-409/04, Teleos e sent. 21 febbraio 2008, C-271/06, Netto Supermarkt. Corte di Giustizia UE, sent. del 6 luglio 2006, cause riunite C-439/04 e C-440/04, Axel Kittel. G. Marongiu, “Lo Statuto e la tutela dell’affidamento e della buona fede”, cit. La riproduzione con qualsiasi metodo è vietata La Circolare Tributaria n.48 del 17 dicembre 2012 23 (segue) … e la questione relativa all’affidamento generato dalle omissioni di contestazioni in sede di verifica Fermo restando, dunque, che nel caso concreto appare condivisibile non voler estendere la tutela oltre i limiti testuali dell’art.10, co.2, dello Statuto, rimane aperta, a monte, la questione più generale che riguarda la possibilità stessa di non applicare sanzioni e interessi quando il contribuente ripone il suo affidamento non in atti o interpretazioni dell’Amministrazione ma, al contrario, proprio nella mancanza di atti da parte dell’Amministrazione. Riteniamo, infatti, che sia questo il vero punto nodale del caso affrontato dalla Cassazione, ovvero stabilire se il “silenzio” dell’Agenzia o, meglio, l’omessa contestazione dell’operato del contribuente nel corso di ripetute ispezioni e verifiche contabili che precedono quella che poi innesca l’accertamento sia effettivamente idonea a ingenerare nel contribuente un affidamento tutelabile ex art.10 dello Statuto (valendo come implicita ammissione o conferma). Ciò, in particolare, quando la mancata contestazione riguardi una fattispecie la quale incide sull’inerenza e deducibilità di costi in più periodi d’imposta (come un certo assetto strutturale - quindi soggettivo - dell’impresa, nel caso de quo la qualità di partecipante ad una società consortile, profilo che coinvolge l’interpretazione del contratto). In tal caso il contribuente potrebbe ritenere “legittimi” e corretti la qualificazione e il trattamento fiscale che ha applicato a determinati fatti economici e alle connesse componenti negative in modo durevole e continuato, cioè anche in relazione a periodi di imposta successivi (naturalmente rebus sic stantibus, cioè nell’invarianza delle condizioni di fatto). Merita subito segnalare come la Cassazione non dia una risposta univoca ed esplicita a questa importante questione. Sembra, tuttavia, che dalla sentenza possa essere desunta in via interpretativa una risposta sostanzialmente positiva, anche se viene formulata in modo indiretto. La Cassazione, infatti, mostra di ritenere che il giudice del merito abbia errato nel trarre dall’art.10 dello Statuto delle conseguenze eccessive (cioè la non debenza dell’intero tributo), ma non che abbia errato nell’individuare nel caso affrontato un’ipotesi di violazione del legittimo affidamento (con conseguente inapplicabilità di sanzioni e interessi). Al riguardo è significativo sottolineare come l’Agenzia delle Entrate avesse presentato contro la sentenza della CTR due distinti motivi di impugnazione entrambi basati sulla violazione e falsa applicazione dell’art.10, co.2, dello Statuto dei diritti del contribuente, ma con diverse graduazioni ed “intensità”. L’Agenzia aveva sostenuto in primo luogo l’inapplicabilità tout court del principio di tutela del legittimo affidamento, affermando che la mancata valutazione da parte dell’Amministrazione, ai fini di un accertamento fiscale, di una condotta tenuta dal contribuente non potesse essere affatto considerata come idonea a ingenerare nel contribuente medesimo un affidamento sulla liceità di tale condotta, così da divenire causa ostativa rispetto alla contestazione della condotta negli esercizi successivi a quello nel quale l’Amministrazione stessa ha tenuto un comportamento omissivo. In subordine, l’Agenzia aveva poi sostenuto che un’eventuale tutela dell’affidamento del contribuente non potesse riguardare la debenza dell’imposta ma solo delle sanzioni e degli interessi. La Cassazione ha accolto questo secondo motivo d’impugnazione, esplicitamente ritenendo che il suo esame fosse “logicamente prioritario” rispetto al primo, rimasto così assorbito. In questo modo la Cassazione ha forse volutamente cercato di non pronunciarsi espressamente sul punto, ma di fatto lascia intendere che il comportamento omissivo dell’Agenzia avesse ingenerato un affidamento comunque tutelabile, ancorché sul piano esclusivamente sanzionatorio. La riproduzione con qualsiasi metodo è vietata La Circolare Tributaria n.48 del 17 dicembre 2012 24 Non si può trascurare che uno sviluppo ulteriore delle argomentazioni da parte dei Supremi giudici avrebbe fatto maggiore chiarezza ed evitato ambiguità. Occorrono perciò al riguardo alcune precisazioni. È pur vero che, secondo l’art.10, co.2, dello Statuto, non è punibile il comportamento del contribuente “posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a … omissioni dell’Amministrazione”. Tuttavia si potrebbe dubitare che il rinnovarsi della condotta del contribuente in successivi periodi di imposta possa essere considerato come “fatto direttamente conseguente” a un fatto negativo, quale la mancata contestazione in sede di precedenti verifiche. Le omissioni della Amministrazione Finanziaria possono ingenerare un tale affidamento quando sono tali in senso proprio, cioè non costituiscono una mera inerzia, ma coincidono con l’inadempimento di un dovere giuridico, ancorché implicitamente desunto dallo stesso principio di buona fede e di leale collaborazione. Ad esempio la Cassazione11 ha ritenuto che se il contribuente non rispetta determinate formalità previste per l’esercizio di un’opzione ai fini del regime contabile o fiscale speciale, ma questa è comunque chiaramente desumibile da fatti concludenti, è contrario a buona fede che l’Amministrazione, eludendo il dovere di avvisare il contribuente per consentirgli la regolarizzazione, notifichi un avviso di accertamento per una determinata annualità dopo avere per diversi periodi d’imposta omesso di rettificare le dichiarazioni tributarie da lui presentate. Non può sfuggire che configurare un legittimo affidamento già in sede di verifica significa porre un onere di contestazione immediata in capo all’Amministrazione: nel senso che proprio l’omissione di questa contestazione potrebbe privare quantomeno del carattere della colpevolezza la continuazione della condotta illecita da parte del contribuente nei periodi di imposta successivi a quello verificato. Ma è ovvio che questo effetto non può essere automatico: dipenderà da numerosi fattori contingenti, come la tipologia di violazione ascrivibile al contribuente, la configurabilità nel caso concreto di un dolo o di una colpa grave, ma anche il contenuto specifico degli ordini di verifica e l’oggetto specifico delle ispezioni e delle acquisizioni istruttorie. La Cassazione, infatti, ha più volte affermato che in tema di legittimo affidamento, di fronte all’azione dell’Amministrazione Finanziaria costituisce situazione tutelabile quella caratterizzata non solo da un’apparente legittimità e coerenza dell’attività dell’Amministrazione Finanziaria in senso favorevole al contribuente (per cui, ad esempio, atti o interpretazioni palesemente contra legem non sono idonee a ingenerare alcun affidamento tutelato), ma anche dalla buona fede del contribuente medesimo, rilevabile dalla sua condotta, che deve essere connotata dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza su di lui gravante. E nel caso concreto devono sussistere circostanze specifiche e rilevanti idonee a dimostrare la sussistenza dei due presupposti che precedono12. Non è dunque la mancata contestazione in sé di una qualsiasi violazione in sede di verifica a poter generare uno status soggettivo di buona fede e una posizione di affidamento tutelabile. La buona fede del contribuente deve anzi preesistere. Per questo occorre che la mancata contestazione svolga la funzione di elemento confermativo di una preesistente situazione di incertezza nell’interpretazione delle norme o nella qualificazione delle fattispecie soggettive od oggettive, che ha riflessi sulla determinazione dell’obbligazione tributaria o sull’adempimento di certi obblighi strumentali. Se così non fosse, si arriverebbe all’assurdo per cui il contribuente consapevole di avere violato la normativa tributaria senza però essere destinatario di un’immediata contestazione in occasione della prima verifica fiscale, potrebbe invocare la tutela dell’affidamento per garantirsi un’impunità sostanziale per il futuro. 11 12 Cass., sent. n.5931/11. Ex multis v. da ultimo Cass., sent. n.23309/1 e n.5402/12. La riproduzione con qualsiasi metodo è vietata La Circolare Tributaria n.48 del 17 dicembre 2012 25 La laconicità che caratterizza la pronuncia della Cassazione sul punto non può dunque condurre a generalizzare un principio, per cui il contribuente sarebbe quasi automaticamente legittimato a “perseverare” nell’errore o nella violazione in relazione ai periodi di imposta ancora da verificare, per il solo fatto che in sede di verifica non sono state elevate alcune contestazioni nel Pvc. Nel caso concreto è piuttosto la particolarità della natura e della struttura degli elementi oggetto di contestazione, ed in particolare il loro carattere al tempo stesso unitario e pluriennale, che consente di attribuire alla reiterazione del loro mancato rilievo in sede di verifica per più periodi di imposta il significato di presumibile conferma, da parte dell’Amministrazione, della correttezza della condotta del contribuente (la deducibilità del costo in ogni periodo dipende dalla interpretazione del contratto di società litisconsortile e dalla qualificazione dell’impresa quale consorziata, che si situano “a monte” di tutte le annualità verificate). Su questo aspetto ci si soffermerà nel prossimo paragrafo. Affidamento, reiterazione delle verifiche e periodicità dell’imposta: la necessaria iterazione temporale degli elementi di fatto o di diritto non contestati La possibilità che una mancata contestazione possa ingenerare un affidamento nel contribuente, è stata riconosciuta dalla giurisprudenza anche in altre (in verità rare) pronunce. Recentemente, ad esempio, la Cassazione13 ha ritenuto che violasse l’affidamento del contribuente, sempre per la sola parte relativa a sanzioni e interessi, un accertamento parziale basato su Pvc, con cui veniva rideterminata l’Iva dovuta in un dato periodo d’imposta a causa della erronea applicazione dell’aliquota ridotta, anziché di quella ordinaria, a una certa tipologia di operazioni. L’affidamento tutelato nasceva dal fatto che, per numerosi periodi d’imposta anteriori rispetto a quello accertato, le dichiarazioni Iva (in cui l’imposta era stata liquidata appunto in base all’aliquota ridotta) erano state controllate dall’Ufficio il quale, senza nulla eccepire e dietro presentazione della documentazione prescritta, aveva anzi proceduto ad effettuare i rimborsi dell’eccedenza detraibile. L’analisi delle dichiarazioni annuali, e la concessione dei rimborsi, sono stati quindi considerate attività dell’Amministrazione idonee a ingenerare un legittimo affidamento del contribuente in merito alla misura dell’aliquota applicabile a una ben determinata tipologia di servizi, prestati continuativamente nel tempo nei diversi periodi di imposta. Come è facile intuire, si tratta di una situazione diversa, almeno prima facie, da quella oggetto della sentenza in commento. La mancata contestazione viene qui seguita dall’adozione di ulteriori atti, a contenuto positivo (il rimborso), che senza dubbio possono legittimamente radicare un affidamento nel contribuente. In caso di verifica fiscale, invece, la mancata contestazione di un certo comportamento contabile-fiscale potrebbe assumere un significato così inequivoco soltanto se lo stesso ordine di verifica lo facesse oggetto di specifica attenzione e, all’esito dell’indagine, il Pvc ne rilevasse espressamente la correttezza (in questo caso anche un solo Pvc sarebbe certamente idoneo a generare nel contribuente, oltre ogni possibile dubbio, un legittimo affidamento). Ciò che però le due situazioni hanno in comune risiede nella struttura “temporale” delle fattispecie, che sono di tipo iterativo: ci si riferisce sia alla fattispecie oggetto di contestazione, sia a quella che genera la situazione di affidamento nel contribuente. Il fattore “tempo” appare qui determinante per la nascita dell’affidamento, specie in relazione ad imposte “periodiche”, caratterizzate da un lato dalla (temperata) autonomia delle obbligazioni annuali d’imposta, ma dall’altro anche dalla continuità o dalla ripetizione di fattispecie identiche o similari, che possono avere tratti qualificanti o fondativi comuni. 13 Cass., sent. n. 21070/11, sent. n.21071/11, sent. n.21072/11 e sent. n.21073/11. La riproduzione con qualsiasi metodo è vietata La Circolare Tributaria n.48 del 17 dicembre 2012 26 Innanzitutto l’affidamento non nasce soltanto in virtù dell’omissione di una contestazione: è la reiterazione nel tempo dei controlli o delle verifiche (nei casi esaminati dalla Cassazione almeno tre volte) ad attribuire al protratto “silenzio” dei verificatori su un determinato fatto, anch’esso durevole nel tempo (e soltanto poi assunto quale elemento costitutivo di una condotta irregolare o illecita ai fini fiscali), un significato non meramente negativo ma piuttosto confermativo. La seconda condizione essenziale - affinché un tale “silenzio” possa generare un affidamento tutelato - è che seppure ogni verifica prenda in considerazione un distinto periodo di imposta dello stesso tributo (e quindi un’autonoma obbligazione) la non contestazione cada su di un elemento costitutivo della fattispecie tributaria a carattere (tendenzialmente) permanente, nel senso che entra a comporre la fattispecie medesima per una pluralità di periodi di imposta. In specifico, ad esempio, l’esistenza di un costo deducibile non ha in sé e per sé le caratteristiche di un fatto “di durata”, perché è variabile da periodo a periodo; tuttavia gli effetti delle qualificazioni giuridiche preliminari al riconoscimento di una stessa identica tipologia di costi come inerenti o deducibili, o delle qualificazioni che influenzano l’applicazione di una specifica disciplina fiscale (la qualifica dell’ente quale non commerciale o, come nel caso de quo, consortile; oppure la qualificazione di un bene come ammortizzabile, o la sussunzione di una determinata tipologia di prestazione di servizi nella fattispecie soggetta ad aliquota ridotta) tendono ad estendersi a una pluralità di periodi d’imposta e assumono un carattere in senso lato permanente, o quantomeno durevole nel tempo (salvo naturalmente che non sia dia prova di un mutamento delle condizioni di fatto). Si tratta, a ben vedere, delle stesse caratteristiche che, secondo la giurisprudenza, segnano le condizioni di vincolatività ma anche i limiti di efficacia del c.d. giudicato esterno in materia di tributi periodici14. Afferma in proposito la Cassazione che in linea di principio quando da un’unica “fonte” (ad esempio l’attività imprenditoriale) scaturiscano diversi periodi di imposta - cosicché il presupposto dell'imposizione va calibrato in relazione alle poste attive e passive (capacità contributiva, volume di affari, spese deducibili) differenti anno per anno - il giudicato non può che coinvolgere solo quella specifica annualità che costituisce oggetto del giudizio, giacché per ciascun periodo di imposta gli elementi di fatto che originano l'imposizione si atteggiano in maniera diversa15. In tale ultima fattispecie, pertanto, la sentenza del giudice tributario emessa con riferimento ad un determinato rapporto giuridico di imposta ed in relazione ad una specifica annualità può fare stato anche con riferimento alla stessa imposta dovuta per gli anni successivi16, solo ed esclusivamente per quanto attiene alla risoluzione di un’identica questione di diritto comune a tutte le controversie, o alla decisione su “questioni preliminari correlate ad un interesse protetto che rivesta il carattere della durevolezza”. Di contro, siffatta statuizione pregressa, limitata ad una o più annualità specifiche, non può avere alcuna efficacia vincolante quando l'accertamento relativo ai diversi anni di imposta si fondi su dati e ricostruzioni contabili diversi17. L’accostamento di legittimo affidamento e giudicato non deve apparire fuorviante. È chiaro - e si è visto che è proprio ciò che la Cassazione espressamente afferma con la presente pronuncia - che la mancata contestazione in sede di verifica, quand’anche fosse idonea a generare un affidamento nel contribuente, non può assolutamente vincolare l’Amministrazione negli eventuali accertamenti riferiti a periodi d’imposta successivi. 14 15 16 17 Su questo tema cfr. M. Basilavecchia, “Funzione impositiva e forme di tutela. Lezioni sul processo tributario”, Torino, 2009, 319, e il recente contributo di P. Russo, G. Fransoni, “I limiti oggettivi del giudicato nel processo tributario”, in Rass. trib., 2012, 838. Così Cass. SU, sent. n.14294/07; Cass., sent. n.4607/08; contra, in precedenza, v. Cass., sent. n.12330/06. Un orientamento della Cassazione, benché non pacifico, tende invece a disconoscere l’effetto vincolante del giudicato in caso di accertamenti anche relativi allo stesso periodo d’imposta ma riferiti a tributi differenti, ed anche nel caso in cui i diversi accertamenti coinvolgano tutti le stesse identiche questioni preliminari comuni: v. in questo senso cfr. Cass., sent. n.8773/08; n.15396/08; n.25200/09 e n.26173/11. Cass., SU, sent. n.3692/09; Cass., sent. n.11226/07; sent. n.15582/10 e sent. n.18907/11. La riproduzione con qualsiasi metodo è vietata La Circolare Tributaria n.48 del 17 dicembre 2012 27 Tuttavia, la ripetuta mancata contestazione di elementi che potrebbero costituire, in giudizio, quelle questioni di fatto o di diritto preliminari e “comuni” alla determinazione di più annualità dello stesso tributo, su cui può formarsi il giudicato esterno, sembra idonea a generare l’affidamento del contribuente che non sia mala fede: quindi può garantire la sua non punibilità (e anche la non debenza degli interessi) per i periodi d’imposta successivi, sui quali quell’elemento comune continua ad esplicare i suoi effetti. Solo a queste condizioni è possibile sostenere che si formi un affidamento tutelabile. Solo a queste condizioni ed entro questi limiti, infatti, la mancata rilevazione di un certo fatto e la mancata contestazione della violazione tributaria che ne discende possono assumere rilevanza e significato per escludere che le violazioni basate sullo stesso identico presupposto, e commesse nei periodi d’imposta successivi ai controlli o alle verifiche subite, siano state compiute dallo stesso contribuente con dolo o colpa grave (ferma restando la necessità di valutare la buona fede del contribuente nel caso concreto). Per fare un ulteriore esempio, è evidente che il contribuente, il quale applichi erroneamente il principio di competenza economica (commetta quindi un errore di puro diritto, nascente da un’interpretazione scorretta dell’art.109 del Tuir), e così in diversi periodi d’imposta imputi erroneamente componenti a volte positive a volte negative di reddito, tra loro però sempre diverse (in modo da liquidare in ogni esercizio un’imposta minore di quella dovuta), commette in ogni periodo una violazione della stessa indole. La violazione nasce dalla stessa tipologia di errore, ma non può dirsi affatto basata su un identico presupposto unitario, dagli effetti pluriennali. In altre parole è lo stesso identico errore ad essere commesso ripetutamente, ma l’errore non è ripetuto perché sia identico il presupposto da cui esso nasce. In tal caso non ci può essere alcun affidamento legittimo: pertanto la mancata contestazione di un simile errore rispetto ad uno dei periodi di imposta verificati non rende affatto immune il contribuente dalle sanzioni nel caso di successive verifiche e accertamenti relativi a periodi di imposta seguenti. Si deve infine rimarcare, riferendosi ad un altro precedente della Suprema Corte, come il ragionamento che si è fin qui sviluppato cercando di valorizzare ma anche di precisare la portata della sentenza n.15224/12, non consenta comunque di ovviare, in nome dell’affidamento, alla mancanza di presupposti per il godimento di regimi fiscali particolari o agevolativi. In particolare l’omissione di una contestazione da parte dell’Amministrazione, sempre in sede di verifica, non può surrogare la mancanza di requisiti formali o sostanziali imposti dalla legge tributaria per poter acquisire determinate qualità, o status, in altre parole per poter produrre e godere determinati effetti giuridici. Secondo la Cassazione, ad esempio, la mancata contestazione, in sede di verifica fiscale, circa l’assenza di requisiti statutari e formali per essere qualificati quali Onlus, non consente di ritenere comunque spettante tale status fiscale, per il solo fatto che il silenzio dei verificatori avrebbe ingenerato nel contribuente l’affidamento sull’esistenza di tutte le caratteristiche sostanziali proprie di una Onlus.18 Ciò, per tacer d’altro, non solo è conforme all’idea per cui la tutela dell’affidamento opera esclusivamente sulla punibilità e la mora debendi, ma non sull’an e sul quantum debeatur dell’imposta. Corrisponde anche ad un principio ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, per cui è esclusivamente il contribuente a dover provare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti che fondano i diritti pretensivi da lui vantati nei confronti dell’Agenzia (come il diritto ai trattamenti agevolativi), senza poter colmare la mancanza di una prova adeguata adducendo la mancata contestazione della pretesa da parte dell’Agenzia. 18 Cass., sent. n.14371/11. La riproduzione con qualsiasi metodo è vietata La Circolare Tributaria n.48 del 17 dicembre 2012 28