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Il concorso dell`istituto di credito nei fatti di bancarotta, tra libertà d

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Il concorso dell`istituto di credito nei fatti di bancarotta, tra libertà d
Il concorso dell’istituto di credito nei fatti di bancarotta, tra libertà
d’iniziativa economica e controllo del giudice penale, problemi ancora
aperti e occasioni mancate (∗)
1 – L’inusuale fenomeno di un legislatore impegnato a rincorrere l’elaborazione
dogmatica e giurisprudenziale – fenomeno direttamente proporzionale al proliferare di
tecniche legislative sempre più frequentemente deficitarie – non è esperienza nuova
nell’ordinamento italiano degli ultimi anni.
In tal senso, il diritto penale del fallimento – da un Autore icasticamente definito, nei
suoi rapporti con le singole procedure concorsuali, “autentica ‘croce e delizia’ (…)
degli studiosi” ( 1) – può a tutti gli effetti considerarsi un banco di prova ed un punto
d’osservazione privilegiato in ordine alle conseguenze sistematiche di siffatta
“normazione correttiva”, vuoi in termini di efficacia dell’argine frapposto all’autonomia
interpretativa di giudici e studiosi, vuoi in termini di auspicabilità pro futuro di ulteriori
interventi normativi di simile entità.
Assume carattere paradigmatico, in questo contesto, la recente introduzione dell’art.
217 bis ( 2) nel r.d. 267/1942 (di seguito, per comodità seppur impropriamente, “l.fall.”)
(3) – ad opera dell’art. 48 comma 2 bis d.l. 78/2010, convertito in l. 122/2010 – che reca
l’evidente intento di riequilibrare il sistema sanzionatorio penale, calibrandolo e
coordinandolo, onde “agevolare il più possibile l’intervento sulle crisi d’impresa” (4),
con le nuove disposizioni in materia di procedure concorsuali (5); e, al contempo, il
proposito di sollevare l’interprete dall’indesiderabile e non agevole compito (6) di
(∗) Testo della relazione tenuta dall’Avv. LUCA TROYER al Convegno “La procedura pre-fallimentare ed
i reati fallimentari: problematiche vecchie e nuove”, organizzato dal Consiglio Superiore della
Magistratura, presso l’Aula Magna del Palazzo di Giustizia di Milano in data 23 gennaio 2012. Si
ringrazia per la collaborazione nella stesura del presente lavoro l’Avv. ALEX INGRASSIA e il Dott.
STEFANO CAVALLINI.
(1) Testualmente, D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., in Le società, n. 2/2011, pag. 201.
(2) Che per praticità di lettura si riporta qui di seguito. Art. 217 bis – esenzione dai reati di bancarotta:
“le disposizioni di cui all’articolo 216, terzo comma, e 217 non si applicano ai pagamenti e alle
operazioni compiuti in esecuzione di un concordato preventivo di cui all’articolo 160 o di un accordo di
ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182 bis ovvero del piano di cui all’articolo 67,
terzo comma, lettera d)”.
(3) Tra i primi commenti alla nuova disciplina si segnalano: MUCCIARELLI, L’esenzione dai reati di
bancarotta, in Diritto penale e processo, n. 12/2010, pagg. 1474 e ss.; D’ALESSANDRO, Il nuovo art.
217 bis l.fall., cit., pagg. 201 e ss.; BRICCHETTI-PISTORELLI, Bancarotta, le operazioni escluse
dall’incriminazione, in Guida al diritto, n. 37/2010, pagg. 94 e ss., nonché Al giudice la verifica dei
presupposti di esenzione, ivi, pagg. 98 e ss.; LOTTINI, Il nuovo art. 217 bis l.fall.: una riforma che
tradisce le aspettative, ne il Fallimento e le altre procedure concorsuali, n. 12/2010, pagg. 1366 e ss.
Nella manualistica, BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari. Dottrina e
giurisprudenza a confronto, Milano 2011, pagg. 156 e ss.
(4) Così BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 159.
(5) Come notano, tra gli altri, BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari,
cit., pag. 158, infatti, i pagamenti e le operazioni di cui si occupa l’art. 217 bis erano già stati iscritti – in
seguito agli interventi riformatori degli anni 2005-2007 – tra quelli non soggetti ad azione revocatoria.
(6) V’è chi ha parlato, in dottrina, di “chimerismo giuridico”, per indicare il fenomeno del sovrapporsi,
fondendosi tra loro, di previsioni normative irrimediabilmente distanti e potenzialmente in conflitto: in
questo senso, D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 202.
1
delineare i riflessi che tali ultimi provvedimenti dispiegavano su disposizioni penali in
precedenza rimaste invariate (7).
Nel complesso, dunque, almeno nell’intentio legis, vigente la nuova disciplina l’area
del sindacato del giudice penale dovrebbe ridursi: vedremo se questo obiettivo può dirsi
compiutamente centrato, specie in riferimento alla disciplina del possibile concorso
degli istituti di credito. Scopo delle annotazioni che seguono sta, infatti, anche
nell’abbozzare una sommaria e giocoforza provvisoria analisi dei tratti essenziali
dell’ultimo provvedimento riformatore, soprattutto in relazione alla vexata quaestio del
concorso del creditore nel delitto di bancarotta preferenziale ( 8), nell’ottica della più
generale questione della “banca” quale concorrente eventuale nella bancarotta.
Nel far ciò, sembra metodologicamente opportuno passare dapprima in rassegna gli
approdi ermeneutici a cui, su quest’ultimo tema, erano pervenute dottrina e
giurisprudenza ante art. 217 bis l.fall., salvo poi tentare una prima valutazione
dell’impatto che su essi potrà ragionevolmente avere l’esenzione di nuovo conio.
All’esito dell’indagine, sarà forse possibile azzardare anche una prognosi sulle
potenzialità operative della novella, oltre che sui problemi che – come già si può
intravvedere – presumibilmente essa lascerà sul tappeto ( 9).
2 – Conviene, come accennato, prendere le mosse da una ricognizione dello stato
dell’arte, in merito al concorso degli istituti di credito nei fatti di cui agli artt. 216-217 e
223 comma 2 n. 2 ( 10), prima dell’entrata in vigore del nuovo art. 217 bis l.fall. Stanti
peraltro le note peculiarità del delitto di bancarotta preferenziale, in cui la
configurabilità di condotte penalmente rilevanti a carico di membri di istituti bancari
dipende strettamente dalla soluzione data alla più ampia questione del concorso del
creditore nel suddetto reato, si procederà anzitutto ad una disamina delle più semplici
ipotesi di concorso nelle altre fattispecie di cui agli artt. 216 e 217, salvo poi soffermarsi
sulla compatibilità dell’art. 110 c.p. con il delitto di bancarotta ex art. 223 comma 2 n. 2
l.fall. Infine, verrà esaminato il problema in relazione alla bancarotta preferenziale.
(7) Nel medesimo senso, MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1474. Senza che tuttavia, per ciò solo,
venissero neutralizzati alcuni effetti penali, seppur indiretti, come ha sottolineato D’ALESSANDRO, Il
nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 202, laddove – citando anche un passaggio di ALESSANDRI, Profili
penalistici in tema di soluzioni concordate delle crisi d’impresa, in Riv. It. dir. proc. pen., 2006, pag. 115
– rammenta come “le norme penali, in ambito fallimentare, si pongono immediatamente quali strumenti
di enforcement della disciplina civilistica di settore sicché (…) l’interprete si trova di fronte a un caso
paradigmatico di diritto penale artificiale, tale per cui ogni modifica della disciplina extrapenale si
riverbera fatalmente su quella penalistica, perché ne muta silenziosamente gli elementi costitutivi”. Per
una disamina esaustiva del precedente quadro normativo, in punto di profili penali, si veda
MUCCIARELLI, Stato di crisi, piano attestato, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo e
fattispecie penali, in Riv. trim. dir. pen. econ., n. 4/2009, pag. 825 e ss.; sia inoltre consentito rinviare a
TROYER, Le responsabilità penali relative alle soluzioni concordate delle crisi d’impresa, in Riv. dott.
comm., n. 1/2008, pagg. 111 e ss.
(8) A parere di un Autore, peraltro, il legislatore avrebbe introdotto l’art. 217 bis, senza attentamente
ponderarlo, “unicamente per “salvare” le banche”: LOTTINI, Il nuovo art. 217 bis, cit., pag. 1375.
(9) Primo fra tutti, purtroppo, rappresentato ancora una volta da una tecnica di redazione normativa
caratterizzata, come lamentato in dottrina, “dallo sconfortante ripetersi del pressapochismo metodologico
che ha contraddistinto molte delle più recenti riforme nel settore penale economico”: D’ALESSANDRO,
Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 201.
(10) Condurrebbe troppo lontano, e dunque in questa sede si tralascia, la tematica, che pure ha talvolta
impegnato la giurisprudenza, relativa al possibile concorso di enti bancari nella bancarotta impropria di
cui all’art. 223 comma 2 n. 1 l.fall.
2
2.1 – Quanto al concorso dell’istituto di credito (rectius: del funzionario di banca)
nei fatti di cui agli artt. 216 e 217 l.fall. diversi da quelli di cui al comma 3 del
medesimo art. 216, vengono in rilievo le consuete regole contemplate dagli artt. 110 e
ss. c.p.
La giurisprudenza, ad esempio, ha avuto occasione di precisare che “a configurare la
responsabilità dell’ “extraneus” per concorso nel reato proprio (nel caso in esame del
funzionario di una banca nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e
documentale commesso dagli amministratori) sono sufficienti: l’incidenza causale
dell’azione dell’ “extraneus” e la sua consapevolezza del fatto illecito e della qualifica
del soggetto attivo che ha posto in essere il fatto tipico” (11).
Giova evidenziare che in materia di dolo dell’extraneus nel delitto di bancarotta
fraudolenta patrimoniale vi è sostanzialmente una divisione nella giurisprudenza, anche
di legittimità, che una recente sentenza della Suprema Corte ha tentato di superare.
In particolare, una prima tesi più restrittiva si accontenta ai fini della sussistenza del
dolo di verificare che l’extraneus abbia “consapevole volontà di dare al patrimonio
sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell'impresa e di compiere atti che
cagionino, o possano cagionare, danno ai creditori, anche quando l'agente, pur non
perseguendo direttamente tale risultato, tuttavia lo preveda e, ciò nonostante, agisca,
consentendo la sua realizzazione. Ne consegue che è sufficiente che l'agente,
perseguendo un interesse proprio o di terzi estranei all'impresa, abbia la coscienza e
volontà di porre in essere atti incompatibili con gli interessi della stessa, anche se non
qualificati da una specifica volontà di cagionare danno ai creditori dell'imprenditore”
(Cass. pen., Sez. II, 15.10.08, n. 43171).
Una seconda esegesi decisamente più garantista richiede “al fine della
configurabilità del concorso dell’extraneus nel delitto di bancarotta fraudolenta per
distrazione è necessario che sussista la consapevolezza del percettore della somma –
versata dall’imprenditore successivamente fallito – in ordine allo stato di decozione
dell’impresa da cui il denaro proviene e, quindi, in ordine al rischio cui sono esposte le
ragioni creditorie, con la conseguenza che il giudice deve dare rigorosa dimostrazione
del sufficiente contenuto rappresentativo dell’elemento psicologico, focalizzato sul
concreto rischio di insolvenza, anche se non qualificato da una specifica volontà di
cagionare danno ai creditori dell’imprenditore” (Cass. pen. Sez. V, 27.10.06, n.
41333).
La discrasia nelle due posizioni giurisprudenziali si rinviene, dunque, nella necessità
solo per parte della giurisprudenza che nell’oggetto del dolo sia ricompresa la coscienza
dello stato di decozione della controparte contrattuale, imprenditore o società che sia.
Tra queste tesi ha ricercato una sintesi la sentenza n. 16388 del 23 marzo 2011 della
Sezione V che, nel suo passaggio più significativo, sottolinea dapprima il conflitto più
sopra evidenziato per offrire poi una lettura unitaria dei contrastanti orientamenti di
merito. In particolare si legge: “il giudice di legittimità ha affermato che occorre la
prova della consapevolezza che la propria azione sia foriera di danno ai creditori
eppertanto debba essere accompagnata dalla conoscenza, da parte dell'agente, dello
stato di decozione dell'impresa a cui viene sottratto il cespite attivo (cfr. Cass., Sez. 5^,
22 aprile 2004, Bertuccio, CED Cass. 228905). Successivamente, lo stesso giudice ha
(11) Cass. Pen. sez. V, 26 giugno 1990, in Giust. Pen. 1991, II, 645.
3
osservato che non è necessaria la specifica conoscenza del dissesto della società (Cass.
Sez. 5^, 13 gennaio 2009, Poggi Longostrevi, Ced Cass. 243162, decisione a cui fa
esplicito riferimento il ricorrente). Questi approdi, al di là dell'apparenza, non sono in
realtà configgenti.
Più che soffermarsi sull'elemento soggettivo, il Collegio ritiene pregiudiziale la
disamina della ricorrenza del dato obiettivo, sotteso dalla fattispecie di bancarotta
fraudolenta patrimoniale, cioè l'effettiva connotazione di fraudolenza dell'azione nel
contesto dell'illecito fallimentare. Infatti, l'offesa provocata dal reato non può ridursi al
mero impoverimento dell'asse patrimoniale dell'impresa, ma si restringe alla
diminuzione della consistenza patrimoniale idonea a danneggiare le aspettative dei
creditori. Questi ultimi, quali persone offese, sono - invero - l'indispensabile referente
per lo scrutinio in discorso. In sostanza, è integrativa del reato non già la sottrazione di
ricchezza che costituisce l'offesa del reato, ma soltanto quella che reca danno alle
pretese dei creditori.
Non si tratta di una precisazione di poco momento: l'azione "distruttiva" che cade
sugli utili prodotti dalla società, pur riducendo l'oggettiva consistenza del patrimonio
dell'organismo, non è idonea ad integrare il reato, posto che il profitto generato dalla
gestione, ove non reinvestito, appartiene ai soci e non ai creditori (cfr. Cass. pen., sez.
5^, 18 febbraio 2009, Ferrari, Ced Cass., rv.243612). Se questa conoscenza è
ragionevolmente presunta in capo all'imprenditore individuale o all'amministratore
dell'impresa collettiva, per cui non si profila necessaria espressa motivazione
diversamente deve dirsi con riguardo sull'extraneus, quando non emerga la
consapevolezza dell'effettivo stato dell'organismo che egli concorre a pregiudicare
patrimonialmente (in tal senso Cass., Sez. 5^, 27 ottobre 2006, Tisi ed, altro, CED Cass.
235766)”.
La Suprema Corte parrebbe così richiamare i giudici di merito ad una verifica sul
piano dell’elemento oggettivo del reato, che ricade specularmente su quello soggettivo,
della necessaria capacità della condotta contestata non tanto e non solo di diminuire il
patrimonio societario quanto di diminuire la garanzia per i creditori.
Venendo ai casi di bancarotta semplice, giova evidenziare, come ha osservato la
dottrina (12), che l’addebito alla banca di aver partecipato all’aggravamento del dissesto
ai sensi dell’art. 217 comma 1 n. 4 potrebbe rivelarsi contraddittorio ove – postulata la
natura colposa di quest’ultimo delitto (13) – volesse ravvisarsi un concorso materiale
(12) Di questo avviso, INSOLERA, La responsabilità penale della banca per concessione abusiva di
credito alla impresa in crisi, in Giur. Comm., 2008, 5, pag. 853.
(13) Il supposto carattere colposo del delitto in esame non è tuttavia affatto pacifico in dottrina: cfr. per
tutti COCCO, I rapporti tra banca e impresa in crisi: problemi di responsabilità penale, in Riv. it. dir. e
proc. pen., 1989, pagg. 548 e ss. Vale la pena di segnalare che di recente la Cassazione si è pronunciata
nel senso della sussistenza del delitto di bancarotta semplice ex art. 217 comma 1 n. 4 in un caso in cui lo
“squilibrio [era] progressivamente aumentato proprio a causa della caparbia, pervicace, ma altrettanto
imprudente prosecuzione dell’attività in mancanza di un'attenta valutazione delle reali prospettive
dell'impresa e di interventi di ricapitalizzazione, irrilevanti essendo state le immissioni di fondi personali
dei soci, che, in quanto avvenute sotto forma di finanziamento e non di aumento di capitale, avevano
ulteriormente aggravato la posizione debitoria della società, divenuta per tale motivo irrecuperabile”
(Cass. pen. sez. V, n. 32899/2011, in Banca dati Dejure). Tuttavia, premesso che – qualora tali
finanziamenti fossero avvenuti nel solco di un piano di risanamento o di un accordo di ristrutturazione ex
artt. 67 comma 3 lett. d) e 182 bis l.fall. – non si potrebbe dubitare che operi l’esenzione di cui all’art. 217
bis l.fall (si veda meglio infra par. 3.2.2), in sede di primo commento si è sottolineata l’opportunità di un
4
con la fattispecie, unicamente dolosa, di cui all’art. 223 comma 2 n. 2 l.fall. Altra parte
della dottrina, peraltro, considera ipotizzabile la bancarotta semplice ex n. 3 art. 217
l.fall. in presenza di un’operazione di finanziamento volta unicamente a reperire denaro
per ritardare il fallimento: operazioni che in situazioni normali sarebbero perfettamente
lecite, dunque, accedendo a siffatta tesi, si connoterebbero di rilevanza penale quando
realizzate in uno stato di crisi pressoché irreversibile (14). In tal caso, invero, anche il
funzionario di banca sarebbe penalmente responsabile, quando sia consapevole della
situazione di decozione in cui versa l’impresa beneficiaria (15).
2.2 – Certamente più ricorrente, nei repertori giurisprudenziali, è il tema del concorso
atipico del dipendente dell’istituto di credito nel delitto di bancarotta impropria per
effetto di operazioni dolose.
Come noto, l’esegesi di “operazione dolosa” corrente in dottrina ed in
giurisprudenza è estensivamente tratteggiata fino ricomprendere nella locuzione
“qualsiasi atto o complesso di atti, implicanti una disposizione patrimoniale, compiuti
dalle persone preposte all’amministrazione della società, con abuso dei poteri o
violazione dei doveri inerenti alla loro qualità, con l’intento di conseguire per sé o per
altri un ingiusto profitto, a danno della società o dei creditori, o anche con la sola
intenzione di arrecare un danno alla società o ai creditori” ( 16).
2.2.1 – Ciò premesso, già diversi anni orsono autorevole dottrina riteneva
ipotizzabile il concorso del banchiere “specificamente nel caso in cui “l’operazione
dolosa” causatrice del dissesto sia costituita dall’assunzione di un debito” ( 17). In
quest’ottica, nel concetto di operazione dolosa “possono ben essere ricondotte anche le
operazioni di ricorso al credito a condizioni anormali, ad esempio ad un tasso
superiore a quello di mercato o con garanzie eccessive, quando esse abbiano come
effetto la causazione od un aggravamento del dissesto”, a condizione che “colui che
eroga il credito (…) sia consapevole di contribuire a provocare o ad aggravare lo stato
di dissesto” (18).
2.2.2 – L’elaborazione giurisprudenziale, di fronte ad una realtà economica sempre
più proteiforme ed in perenne evoluzione, ha tuttavia superato tale impostazione,
evidentemente reputata “minimalista”.
Nel “caso Parmalat”, ad esempio, sono imputati alcuni appartenenti ad istituti di
credito rei – in prospettiva accusatoria – di avere concorso nella bancarotta impropria ex
approccio maggiormente sostanzialistico, posto che un debito, finché non diventi liquido ed esigibile, non
drena liquidità e non è idoneo a ridurre il patrimonio sociale (dunque si potrebbero ritenere lecite le stesse
operazioni in presenza di particolari clausole, che prevedano ad esempio la facoltà di poter convertire in
conto capitale il finanziamento e gli interessi maturati, ovvero che incorporino appositi patti di
subordinazione e postergazione): cfr. in proposito D’AFFRONTO-BASILIO, Contro il dissesto
“irrilevanti” i fondi personali, ne Il sole 24 ore, 18 settembre 2011, pag. 24.
(14) In questo senso, si veda ancora COCCO, I rapporti tra banca e impresa in crisi, cit., pagg. 529 e ss.
(15) Ibidem, pag. 556. Si noti tuttavia che queste osservazioni vanno ora coordinate con l’esenzione di cui
all’art. 217 bis l.fall., che “erode” anche una parte del tipo della bancarotta semplice. Vedi sul punto infra
par. 3 ed in particolare 3.2.2.
(16) In dottrina, tra i tanti: PEDRAZZI, Reati fallimentari, in Manuale di diritto penale dell’impresa,
Parte generale e reati fallimentari, Bologna 2004, pag. 172. In senso sostanzialmente analogo la
giurisprudenza; si veda, ad esempio, Cass. pen. sez. I 25 aprile 1990, in Cass. Pen. 1992, pag. 164.
(17) Così STELLA, Insolvenza del debitore e responsabilità penale del banchiere, ne Il fallimento, n.
3/1985, pag. 306.
(18) Ibidem.
5
art. 223 comma 2 n. 2 l.fall., “per avere orchestrato in concorso con il debitore
operazioni finanziarie ai danni dei piccoli risparmiatori” (19).
Di recente, poi, la Suprema Corte è stata chiamata a giudicare della penale
responsabilità in punto di bancarotta per effetto di operazioni dolose – tra gli altri – del
direttore di filiale e del direttore generale di una Cassa di Risparmio. Entrambi erano
accusati di avere agevolato l’impresa in seguito fallita (compagnia assicurativa) – previo
concerto con un amministratore della medesima e con un terzo soggetto – a reperire
liquidità utile per la costituzione di un fondo, con il quale mendacemente rappresentare
la provvisoria copertura di riserve tecniche in precedenza distratte, e, di conseguenza,
tranquillizzare il relativo ente di controllo (Isvap); con il risultato di aver ritardato, a
detrimento dei creditori, l’apertura della procedura concorsuale o il ripristino (tramite
azione di responsabilità verso gli amministratori e recupero della liquidità da poco
sottratta) dell’equilibrio finanziario della società. Definitivamente confermando la
pronuncia di condanna, la Suprema Corte ( 20) – svolte rilevanti puntualizzazioni sia in
merito all’elemento oggettivo sia a quello psicologico del reato (21) – statuisce che
(19) Come puntualmente sintetizza MICHELETTI, Il ricorso abusivo al credito come reato
necessariamente condizionato, in Riv. trim. dir. pen. ec., nn. 1-2/2007, pag. 43.
(20) Cass. pen. sez. V, n. 17690/2010 (rel. SANDRELLI), in Riv. Dott. Comm., 2011, I, pagg. 195 e ss.,
per il diverso profilo della ammissibilità della figura del sindaco “di fatto”, con nota di CHIARAVIGLIO.
(21) In tema di elemento oggettivo, il Supremo Collegio chiarisce come, se è pur vero che “la
giurisprudenza di legittimità (in sintonia con la più autorevole dottrina) ha individuato la "dolosità" delle
operazioni nella commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all'organo
amministrativo o anche soltanto in atti intrinsecamente pericolosi per la salute economico-finanziaria
della società”, tuttavia “la valutazione di abuso o di infedeltà non può assumersi in via generale ed
astratta, poiché essa dipende dal rilievo dei peculiari doveri statutari, dalla tipologia dell'organismo
societario e, soprattutto, dalla situazione economico/patrimoniale in cui la condotta si compie (variabile,
quest'ultima, che risulta inscindibile nel vaglio di qualsiasi comportamento dedotto nel reato
fallimentare)”. Ed infatti “il momento caratteristico della condotta dedotta dalla L. Fall., art. 223,
comma 2, n. 2, si recepisce nel richiamo alla nozione di "operazione" (…) la quale richiama
necessariamente un "quid pluris" rispetto ad ogni singola azione (o singoli atti di una medesima azione),
postulando una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente, non già direttamente dall'azione
dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di
maggiore complessità strutturale, quale è dato riscontrare in qualsiasi iniziativa societaria che implichi
un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all'esito divisato; proprio l'autonomia
concettuale della condotta dettata dall'art. 223, comma 2, n. 2 esclude che per lo stesso atto discendano
due distinte sanzioni penali”. Soggiunge poi la V Sezione, quanto al versante soggettivo dell’illecito, con
passaggio motivazionale che merita integrale riproposizione, che “il rapporto che lega l'"operazione
dolosa" al fallimento non suppone la necessaria rappresentazione dell'esito concorsuale (né, tantomeno,
la volontà di siffatto evento). Si tratta di un esito che scaturisce da condotta di volontaria "dolosità", ma
non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare (…); la fattispecie descritta dalla L.
Fall., art. 223, comma 2, n. 2, si sostanzia, quindi, in una eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo
preterintenzionale e per essa esaurisce l'onere probatorio dell'accusa la dimostrazione della
consapevolezza e volontà della natura "dolosa" dell'azione, costitutiva dell'"operazione", a cui segue il
dissesto, in una con l'astratta prevedibilità dell'evento scaturito per effetto dell'azione antidoverosa. Più
esattamente: sorregge la penale responsabilità la rappresentazione del proprio operato non soltanto nei
suoi lineamenti naturalistici, ma anche nel suo contrasto con i doveri propri del soggetto societario a
fronte degli interessi dell'ente commerciale (…), mentre è estranea ad essa la rappresentazione e volontà
dell'evento fallimentare (né, quindi, del pregiudizio ai creditori). Il fallimento è situazione che viene
addebitata al soggetto attivo per effetto della sua azione, in un'ottica che non è dissimile (come affermato
dalla dottrina) dalla preterintenzione, ma che necessariamente impone (…) una sicura dimostrazione del
legame eziologico oggettivo tra l'operazione dolosa ed il fallimento (…)”. Infine, proprio in punto di
nesso causale, rammenta la Cassazione che “nell'economia della fattispecie di cui alla L. Fall., art. 223,
comma 2, n. 2, non interrompono il nesso eziologico tra l'operazione dolosa e l'evento fallimentare né la
6
“neppure coglie nel segno la difesa nel sottolineare che, a seguito delle manovre
disposte (…), la provvista di titoli venne effettivamente ricostituita, a smentita della
"dolosità" della condotta, scevra da immediati esiti dannosi per la società. Si trattava di
operazione "dolosa" non già in ragione della (indubbia) temerarietà nella concessione
del mutuo (…), ma poiché (…) il risultato, che quelle operazioni dovevano raggiungere,
era quello di fornire un'apparenza fittizia "al solo fine di dare ad ISVAP una parvenza
di integrità e copertura delle riserve tecniche" (…). Un espediente che giovava
esclusivamente alla falsa rappresentazione della realtà all'esclusivo beneficio di una
gestione societaria evidentemente pregiudizievole per i creditori o per i titolari di
negozi assicurativi (…), essendo stata accortamente prefigurata anche nel suo esito
compiuto (…). Al ricorrente non serve reclamare l'astratta liceità dell'operazione (…):
è corretta la considerazione (…) per cui la fittizia ed apparente presentazione del fondo
di riserva (…), come apparentemente ricostituito, celava - invece - la drammatica
perdita di titoli (…) e così consentiva il protrarsi della conduzione nell'assenza di un
requisito essenziale per la corretta gestione dell'organismo assicurativo (…) (a tutela
delle istanze creditorie). In sostanza si trattava dell'occultamento all'organo di
vigilanza del già presente dissesto [dell’impresa], non già il suo reale risanamento e
permetteva la sopravvivenza di condizioni operative che mai sarebbero state consentite
dall'Organo di Vigilanza”.
Non manca peraltro chi, sulla scorta di una ulteriore suddivisione delle ipotesi di
concorso della banca nella bancarotta impropria ex art. 223 comma 2 n. 2 l.fall.,
inquadrerebbe la vicenda da ultimo menzionata tra quelle in cui l’operazione dolosa
veda un intervento ideativo/gestorio dell’ente creditizio (22). Oltre a fattispecie di
questo tipo, secondo la dottrina in commento, vi sarebbero ancora i casi di banche che
partecipino attivamente, pur con diverse modalità, all’organizzazione e al collocamento
di obbligazioni, così da consentire a gruppi in palese deficit di liquidità di reperire
ingenti risorse sul mercato: tema, questo, che nella presente sede non può essere
adeguatamente approfondito, e che fa correre nuovamente il pensiero agli scandali
finanziari che hanno occupato le cronache degli ultimi anni.
2.2.3 – Si conceda, infine, per dare un quadro il più ricco possibile degli approdi
giurisprudenziali in materia di concorso dell’extraneus nella bancarotta per operazioni
dolose (senza pretese di esaustività), un breve excursus sull’evoluzione
giurisprudenziale in materia di elemento soggettivo richiesto per integrare il delitto in
commento.
Tradizionalmente la bancarotta per operazioni dolose è stata considerata un delitto
preterintenzionale ( 23): all’agente si richiederebbe la percezione e la volontà di
realizzare un’operazione dolosa non essendo necessario, invece, che il dolo copra
l’evento di fattispecie, ovvero il fallimento della società. Il carattere preterintenzionale
della fattispecie si ricaverebbe, sempre secondo l’esegesi tradizionale, a contrario,
preesistenza alla condotta incriminata di una causa in sé efficiente verso il dissesto, valendo la disciplina
del concorso causale dettata dall'art. 41 c.p., né l'aggravamento di un dissesto già in atto assumono
rilievo penale nella dinamica del delitto in esame (…)”.
(22) In tal senso, INSOLERA, La responsabilità penale della banca, cit., pag. 852.
(23) L’insegnamento ha avuto un autorevolissimo sostenitore in Pedrazzi (si veda PEDRAZZI-SGUBBI,
Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persone diverse dal fallito, Zanichelli, 1995, pag. 322. In
giurisprudenza da ultimo afferma trattarsi di delitto preterintenzionale Cass. pen., Sez. V, 18.2.2010, n.
17690.
7
dell’altra condotta tipizzata nell’art. 223, comma 2, n. 2 l.fall., cioè dal cagionamento
del dissesto con dolo: se si richiedesse il dolo di cagionare il fallimento in chi compie
operazioni dolose questa fattispecie costituirebbe una specificazione inutile del
cagionamento con dolo, indicando come penalmente rilevanti condotte già incriminate
dalla più ampia fattispecie. Diversamente, si può ipotizzare che nell’ottica del
Legislatore vi fosse originariamente pari disvalore penale tra una fattispecie a condotta
libera sorretta dal dolo di realizzare l’evento (cagionare con dolo) ed una a forma
vincolata caratterizzata da preterintenzione rispetto all’evento causalmente connesso
(cagionare con operazioni dolose il fallimento).
Senonché, a mio modo di vedere, tale difficile equilibrio tra disvalore del reato e
sanzione prevista dal Legislatore si inclina definitivamente con il D.lgs. 61/2002 che
muta la fisionomia della bancarotta da reato societario. Come noto, a seguito della citata
novella, la bancarotta da reato societario richiede per la sua integrazione il
cagionamento del fallimento attraverso la realizzazione di un reato societario tra quelli
tassativamente indicati dalla disposizione. Orbene, poiché il dissesto della società è
pacificamente evento del reato, nell’oggetto del dolo rientra la rappresentazione e la
volizione di cagionare il fallimento mediante la realizzazione del reato societario.
Sul punto si potrebbe registrare un profilo di incostituzionalità ex art. 3 Cost. giacché
si prevede la medesima cornice edittale per due fattispecie – la bancarotta da reato
societario e quella per operazioni dolose intesa come delitto preterintenzionale – che
presentano una significativa difformità di disvalore penale. Infatti, la bancarotta da reato
societario ha rispetto a quella per operazioni dolose un maggior disvalore non solo
d’intenzione – dolo vs preterintenzione – ma anche di condotta, giacché l’evento è
cagionato da un’azione che è di per sé penalmente rilevante a differenza di quanto
avviene nell’ipotesi di operazioni dolose (iniziative di per sé non necessariamente
illecite penalmente).
In virtù di tale possibile profilo di incostituzionalità pare senz’altro necessario
recuperare, quanto meno sul piano dell’intenzione, un maggiore disvalore penale,
richiedendo, in definitiva, che l’agente (così come l’extraneus) si rappresenti e voglia,
anche a titolo di dolo eventuale (24), che la sua condotta cagioni il dissesto della
società. A tale approdo esegetico pare essere pervenuta anche la Suprema Corte in un
suo recentissimo arresto la cui massima ufficiale è la seguente: “in tema di bancarotta
impropria, nel caso di fallimento per effetto di operazioni dolose il dolo
dell'"extraneus" consiste nella volontarietà dell'apporto alla condotta dell'autore
proprio del reato nella rappresentazione dell'evento che ne consegue” (Cass. pen., Sez.
V, 23.3.2011, n. 16388).
2.3 – Ben diverso, come noto, è il quesito circa l’ammissibilità di un concorso del
creditore favorito nel delitto di bancarotta preferenziale prefallimentare ( 25) commesso
dal fallito, sul quale peraltro è destinato ad incidere il nuovo art. 217 bis l.fall. Per
(24) Tra coloro che sostengono che il cagionamento per operazioni dolose sia fattispecie sorretta dal dolo
eventuale si vedano BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag.
231 e ss..
(25) È chiaro infatti che le annotazioni che seguono non possono essere estese alla fattispecie
postfallimentare, laddove l’intervenuta dichiarazione di fallimento “inibisce le azioni esecutive individuali
e rende inapplicabile la norma di cui all’art. 1186 c.c.”, sicché “la condotta del creditore assume (…)
[un] significato di sicura rilevanza penale”: così PERINI–DAWAN, La bancarotta fraudolenta, Padova
2001, pagg. 298-299. Per le osservazioni sulla portata dell’art. 1186 c.c., si veda infra par. 2.3.2.
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fornirvi risposta, occorre in primo luogo rammentare che la bancarotta preferenziale
rientra nel novero dei reati plurisoggettivi impropri o complessi, ovvero è
“naturalisticamente plurisoggettivo ma normativamente monosoggettivo” (26), sicché
soltanto ad uno tra gli agenti è direttamente comminata la sanzione penale. In altre
parole, il delitto viene solitamente realizzato dalla condotta di una pluralità di soggetti
(il debitore che paga ed il creditore che riceve), non tutti dichiarati punibili, però, dal
legislatore (27).
Re melius perpensa, per poter più agevolmente vagliare l’ammissibilità di un
concorso eventuale del soggetto non punito dall’art. 216 comma 3 l.fall., occorre
introdurre un ulteriore elemento differenziante. In ossequio a quanto sostenuto da parte
della dottrina, conviene anzitutto distinguere le ipotesi di realizzazione, da parte del
creditore, della stessa seppur complementare condotta tipica del debitore fallito
(apprensione del pagamento, ovvero cooperazione nella simulazione del titolo), dai casi
in cui in capo all’accipiens sia ascrivibile una condotta diversa ed ulteriore, e, dunque,
atipica.
2.3.1 – Secondo la dottrina di gran lunga maggioritaria ( 28), non è mai
rimproverabile ai sensi dell’art. 216 comma 3 l.fall. il creditore che si limiti a ricevere
un pagamento che gli spetta.
In primis – si osserva – diversamente opinando verrebbe addebitata al creditore la
realizzazione della condotta tipica, in aperto contrasto con il supremo principio di
legalità, utilizzando surrettiziamente lo strumento del concorso ex art. 110 c.p. per una
condotta che è invece conforme alla fattispecie delittuosa ( 29). Secondo altra dottrina, la
non punibilità del creditore favorito non sarebbe altro che un logico corollario del
principio di non contraddizione, immanente all’ordinamento giuridico: “è, cioè,
contraddittorio e logicamente inammissibile affermare da un lato che il concorrente
(26) Così BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 165. In
argomento, nella dottrina più risalente: GRISPIGNI, Il reato plurisoggettivo, in Annali di diritto e
procedura penale, 1942, pag. 377; SESSO, Saggio in tema di reato plurisoggettivo, Milano 1955;
DELL’ANDRO, La fattispecie plurisoggettiva in diritto penale, Milano 1956; GALLO M., Lineamenti di
un concorso di persone nel reato, Milano 1967. Più di recente, DI MARTINO, La pluralità soggettiva
tipica. Una introduzione, in Ind. pen., 2001, pag. 101.
(27) In termini analoghi, tra gli altri: MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, IV ediz., Padova
2009, pag. 545.
(28) In questo senso autorevolmente già nel 1957 si esprimeva, annotando criticamente Cass. sez. III 24
novembre 1956, NUVOLONE, In tema di concorso nella bancarotta preferenziale, in Riv. it. dir. e proc.
pen., 1957, pag. 254. Per l’orientamento che abbraccia questa tesi si vedano inoltre, nella dottrina
successiva: SELLAROLI, Il concorso del creditore nel delitto di bancarotta preferenziale, ne La giustizia
penale, 1960, pag. 240 e ss.; CRESPI, Sul concorso del creditore nella bancarotta fraudolenta
preferenziale, in Studi in memoria di Delitala, vol. I, Milano 1984, pagg. 273 e ss.; STELLA, Insolvenza
del debitore e responsabilità penale del banchiere, cit., pagg. 305-306; COCCO, La bancarotta
preferenziale, Napoli 1987, pagg. 267 e ss.; PEDRAZZI, Reati fallimentari, in Manuale di diritto penale
dell’impresa, II ediz. agg., Bologna 2000, pagg. 156-157; PERINI–DAWAN, La bancarotta fraudolenta,
cit., pag. 294; VINCIGUERRA, Trasformazione del credito da chirografario in privilegiato e concorso
in bancarotta preferenziale del funzionario di banca, in Giurisprudenza italiana, 2002, pagg. 1260 e ss.;
DESTITO, La bancarotta preferenziale proprie prefallimentare, ne La disciplina penale dell’economia.
Società, fallimento, finanza, a cura di SANTORIELLO, vol. I, Torino 2008, pag. 333; MANNA (a cura
di), Corso di diritto penale dell’impresa, Padova 2010, pag. 376; BRICCHETTI-PISTORELLI, La
bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 165.
(29) Di questo parere MANTOVANI, Diritto penale, cit., pag. 545. Similmente, MARINUCCIDOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte generale, III ediz., Milano 2009, pag. 407.
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necessario che pone in essere la condotta tipica descritta nella fattispecie non è
punibile, alla stregua della norma incriminatrice che tale comportamento
espressamente prevede – considerandolo necessario per la realizzazione del reato e
quindi dell’offesa tipica – e dall’altro sostenere che per il medesimo comportamento il
concorrente necessario può [essere] punito a titolo di concorso eventuale. La validità
della prima proposizione – che non può essere posta in dubbio perché derivata dalla
stessa norma giuridica – esclude necessariamente la validità della seconda” (30). Sotto
altro profilo, poi, si sottolinea come il creditore non sia neppure il destinatario della
norma di cui all’art. 216 comma 3 l.fall., nella quale “la particolare qualifica
dell’imprenditore debitore e il suo particolare rapporto con il bene giuridico tutelato
contraddistinguono e rendono incomunicabile la violazione del precetto” (31).
Simili conclusioni si ritrovano, del resto, in taluni arresti giurisprudenziali – anche
risalenti – maggiormente sensibili alle istanze garantistiche espresse dalla dottrina. Già
nel 1961, ad esempio, la Suprema Corte dichiara che “per il principio di stretta legalità
del diritto penale e di tassatività della norma penale (art. 1 c.p.), quando la legge
configura un’ipotesi di reato che presuppone l’attività di più soggetti e prevede
espressamente la punibilità di uno solo di essi, senza nulla disporre per gli altri, si deve
ritenere che sussista una fattispecie plurisoggettiva necessaria e, pertanto, l’attività di
soggetti diversi dal soggetto dichiarato espressamente punibile non costituisce reato.
Ora, la norma dell’art. 216, comma terzo, prevede in forma espressa la punibilità del
solo debitore e pertanto, in linea di principio, non si può affermare quella del creditore.
Il creditore che istighi il debitore a pagarlo, in danno degli altri creditori, concorre nel
delitto di cui all’art. 216, comma terzo, mentre non si verifica detto concorso in casi di
semplice accettazione” ( 32).
Emergono tuttavia pronunce, anche coeve a quella appena citata, in cui traspare un
atteggiamento maggiormente rigoristico. Così ad esempio in una sentenza del 1968 la
stessa V Sezione asserisce – in termini per vero apparentemente contraddittori – che
“agli effetti delle norme sul concorso nel reato di bancarotta c.d. preferenziale, pur
dovendosi escludere che la conoscenza dello stato di insolvenza del debitore sia valida,
da sola, per affermare la colpevolezza del creditore che riceva il pagamento (…), deve
tuttavia ritenersi che a qualificare detto creditore come concorrente nel reato di
bancarotta preferenziale, oltre ai casi di determinazione e di rafforzamento del
proposito delittuoso del debitore, è sufficiente la di lui consapevolezza, nel momento in
cui riceve il pagamento che questo è fatto allo scopo di favorirlo, a danno degli altri
creditori” ( 33).
2.3.2 – La prassi, in ogni caso, rifugge da schemi concettuali rigidi.
Non è dunque infrequente che il creditore non si arresti a ricevere passivamente il
pagamento, ma lo richieda expressis verbis, magari ricorrendo a forme di pressione più
(30) SERIANNI, Il concorso del creditore nel delitto di bancarotta preferenziale: struttura e limiti. La
ricettazione fallimentare del creditore (nota a Cass. pen. sez. V, 13 febbraio 1969), in Riv. it. Dir. e proc.
pen., 1974, pag. 205.
(31) In tal senso, COCCO, La bancarotta preferenziale, cit., pag. 266.
(32) Cass. sez. V, 3 marzo 1961, in Riv. Pen., 1961, II, 913. Più recentemente, nella giurisprudenza di
merito, Trib. Monza, 1 luglio 1992, in Foro it., 1993, II, c. 714.
(33) Cass. sez. V, 8 aprile 1968, riportata da BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati
fallimentari, cit., pag. 168.
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o meno intensa per ottenerlo. In questo ventaglio di situazioni germinano quasi sempre
anche gli interrogativi in merito alla responsabilità concorsuale degli istituti di credito.
In omaggio ad una classificazione ormai comune, si distinguono le ipotesi del
creditore che esiga solamente la soddisfazione del proprio credito, magari (se non
soprattutto) perché a conoscenza delle difficoltà economiche del debitore, da quelle in
cui è lo stesso creditore a fornire alla controparte il movente per il trattamento
preferenziale (ad esempio mediante minaccia di presentazione di istanza di fallimento in
caso di persistente inadempimento dell’obbligazione) (34).
2.3.2.1 – Il dibattito interpretativo ha per vero interessato specialmente la prima
specie di comportamenti. La dottrina assolutamente prevalente, in realtà, da tempo ha
preso posizione nel senso della liceità della condotta del creditore che legittimamente e
secondo la prassi commerciale ( 35) eserciti il diritto di chiedere l’adempimento al
debitore (36), facoltà che gli è invero espressamente riservata dall’art. 1186 c.c. in caso
di insolvenza di quest’ultimo (37). In altre parole, “poiché l’art. 216, 3° comma l.fall.,
non punisce il creditore che accetti la prestazione dovutagli, dato che l’ordinamento
(…) attribuisce al creditore il potere di esigere, laddove il credito sia scaduto ed
esigibile, la prestazione, anche quando il debitore si trovi in stato di insolvenza, o
addirittura a cagione di tale stato (art. 1186 cod. civ.), ne consegue che il creditore il
quale tale potere eserciti non può mai essere considerato responsabile del delitto di
bancarotta” (38). E a non diversa conclusione dovrebbe pervenirsi, secondo alcuni,
anche in presenza di un piano di rientro concordato con una o più banche creditrici. Si
ritiene infatti, coerentemente, che “il pagamento di debiti liquidi ed esigibili, se inserito
in un piano di rientro concordato con una o più aziende di credito, può proporsi come
(34) L’esempio è tratto da PEDRAZZI-SGUBBI, Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persone
diverse dal fallito, Zanichelli, 1995, pag. 134.
(35) Si fanno gli esempi della richiesta formale, della costituzione in mora o del decreto ingiuntivo: cfr.
CERQUA, Il concorso del creditore favorito nel delitto di bancarotta preferenziale, in Riv. trim. dir. pen.
ec., 2003, pag. 575. Altri invece fanno più genericamente riferimento ad un parametro di “adeguatezza
sociale”: così COCCO, La bancarotta preferenziale, cit., pag. 275.
(36) Propendono per questa esegesi, tra gli altri: COCCO, La bancarotta preferenziale, cit., pagg. 272 e
ss.; PERINI–DAWAN, La bancarotta fraudolenta, cit., pag. 296; PEDRAZZI-SGUBBI, Reati commessi
dal fallito, cit. pag. 133; CRESPI, Sul concorso del creditore nella bancarotta fraudolenta preferenziale,
cit., pag. 275; FLORA, Mutui fondiari e concorso in bancarotta preferenziale, in Riv. trim. dir. pen. ec.,
1998, pag. 98; VINCIGUERRA, Trasformazione del credito, cit., pag. 1292; PEDRAZZI, Reati
fallimentari, cit., pag. 157; CERQUA, Il concorso del creditore favorito nel delitto di bancarotta
preferenziale, cit., pag. 574; BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari,
cit., pagg. 165-167.
(37) In senso contrario all’applicabilità dell’art. 1186 c.c. si è espressa una parte decisamente minoritaria
della dottrina. Per un verso, detta conclusione negativa sarebbe imposta dal principio di correlatività: se il
creditore che chiede il pagamento da un soggetto insolvente fosse esente da pena in nome dell’art. 51 c.p.,
del pari bisognerebbe dichiarare non punibile il debitore che paga. In quest’ottica l’art. 216 comma 3
l.fall. costituirebbe un limite alla pretesa altrimenti legittima del creditore: cfr. SELLAROLI, Il concorso
del creditore nel delitto di bancarotta preferenziale, cit., pagg. 241-242. Secondo altri, contrariamente a
quanto avviene in tema di scriminanti, nel caso di specie la norma penale avrebbe tratti specializzanti a
quella civile, sicché la norma incriminatrice dovrebbe prevalere sull’art. 1186 c.c.: di quest’avviso,
PAGLIARO, Il diritto penale fra norma e società. Scritti 1958 – 2008, Vol. II. Monografie di parte
speciale, Milano 2009, pagg. 123-124. In questi termini, come si vedrà poco oltre, si è espressa anche una
parte della giurisprudenza di legittimità.
(38) Così ancora SERIANNI, Il concorso del creditore nel delitto di bancarotta preferenziale, cit., pagg.
206-207.
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uno strumento di sopravvivenza dell’impresa, risultando, quindi, finalizzato al
soddisfacimento degli altri creditori e non al loro pregiudizio” (39).
La giurisprudenza, anche in punto di operatività dell’art. 1186 c.c., si è mostrata nel
tempo altalenante.
In base ad orientamento per vero eccessivamente rigoristico, si è sostenuto che “l’art.
1186 c.c. legittima il creditore ad esigere immediatamente la prestazione (…) se questi
è divenuto insolvente (…), tuttavia l’art. 1186 c.c. non è applicabile quando lo stesso
fatto – pagamento in stato di insolvenza – assuma un diverso, opposto rilievo con la
dichiarazione di fallimento del debitore in virtù di norme speciali che, (…) come l’art.
216, comma terzo, attribuiscono loro un carattere delittuoso se qualificati dal fine di
favorire, a danno dei creditori, taluni di essi. In tal caso anche il creditore favorito che
abbia agito con lo stesso elemento soggettivo risponde, a titolo di concorso, del delitto
di bancarotta preferenziale” ( 40).
Su altro versante, specie nella giurisprudenza più recente, sembra potersi
intravvedere un parziale ripensamento di simile posizione, laddove si richiede che la
condotta del creditore, per acquisire rilevanza penale, debba manifestare un quid pluris,
consistente nel “fornire un contributo determinante, dal punto di vista causale, alla
violazione della par condicio” ( 41) e nel “partecipare dello scopo di favorire o
addirittura nel sollecitare l’illecita preferenza” (42): detto altrimenti, risponde
penalmente il creditore che istighi il debitore alla violazione del precetto. Come già
altrove rilevato (43), tale ultimo orientamento – ove correttamente inteso – conduce in
definitiva ai medesimi approdi esegetici cui perviene la dottrina maggioritaria; e tuttavia
– ad avviso di chi scrive – anch’esso meriterebbe meditata rivisitazione.
2.3.2.2 – La dottrina e la giurisprudenza tradizionali, infatti, sono concordi nel
ritenere penalmente rilevanti le condotte cosiddette di “istigazione” da parte del
creditore. Non vi sarebbe motivo, si dice, di escludere il concorso ai sensi dell’art. 110
c.p. qualora il creditore “sia partecipe dello scopo di favorire o abbia addirittura
sollecitato l’illecita preferenza” ( 44).
Così opinando, tuttavia, il problema non pare risolto, bensì eluso. Come acutamente
osservato da una parte della dottrina ( 45), non è sufficiente affermare che l’extraneus
concorra nel reato quando istighi o dia un movente all’autore; occorre piuttosto
(39) In tal senso MARINUCCI, Tendenze del diritto penale bancario e bancarotta preferenziale, in La
responsabilità penale degli operatori bancari, a cura di ROMANO, Bologna,1980, pagg. 46-49, come
riportato sia da PERINI-DAWAN, La bancarotta fraudolenta, cit., pag. 298, sia da STELLA, Insolvenza
del debitore e responsabilità penale del banchiere, cit., pag. 305.
(40) Così Cass. pen. sez. V, 17 novembre 1983, in Cass. pen., 1985, pag. 483 (s.m.).
(41) Cass. pen. sez. III, 22 ottobre 1965, n. 2883, riportata da BRICCHETTI-PISTORELLI, La
bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 168.
(42) Cass. pen. sez. V, 22 aprile 1981, in Cass. Pen., 1983, pag. 428 (s.m.).
(43) Sia consentito far riferimento a TROYER-INGRASSIA, Il concorso del ceto bancario nei fatti di
bancarotta del debitore: il difficile equilibrio tra libera scelta imprenditoriale della banca e sindacato del
giudice penale sulle azioni di sostegno alle imprese in crisi, in Riv. dott. comm., 2010, pag. 427.
(44) Così Cass. Pen. sez. V, n. 39417/2008, in un caso in cui il creditore si era soddisfatto dei propri
crediti utilizzando somme versate dai debitori della società poi fallita su un conto corrente a lui stesso
intestato.
(45) Sul punto, PERINI–DAWAN, La bancarotta fraudolenta, cit., pag. 297; BRICCHETTIPISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 170.
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“comprendere in che cosa debba concretamente consistere la condotta istigativa del
creditore favorito della quale, invece, non si danno indicazioni precise” (46).
In tal senso, non appare neppure dirimente il criterio, talvolta seguito in
giurisprudenza, della “particolare insistenza” del creditore ( 47). Un simile parametro
non solo sembra poco funzionale a discernere le fisiologiche richieste dall’ “insistenza”,
risultando all’atto pratico evanescente; ma neppure informa riguardo alla potenziale
rilevanza penale della solerzia del creditore che a più riprese si limiti ad esercitare il
diritto riconosciutogli dall’art. 1186 c.c., ovvero legittimamente pretenda il pagamento
nelle forme e nei modi correnti nella prassi commerciale. I limiti intrinseci al criterio,
peraltro, potrebbero corroborare esiti interpretativi addirittura paradossali ed
indesiderabili, soprattutto nei casi in cui incomba sul creditore un obbligo di chiedere –
anche “insistentemente” – l’adempimento. Si pensi all’ipotesi della società a rischio di
insolvenza, che vanti tuttavia un credito ingente verso un partner commerciale in
dissesto. In una situazione del genere, applicando il criterio qui criticato, ove
l’amministratore della società risolutamente esiga da controparte il pagamento del
credito, potrebbe essere incriminato – in caso di fallimento del debitore – quale
concorrente in bancarotta preferenziale; a ben vedere, però, diversamente
comportandosi il medesimo amministratore avrebbe esposto la sua stessa società al
rischio di fallimento, e se stesso – quanto meno – a potenziali azioni di responsabilità.
Non mi appare configurabile il reato neppure nel caso prospettato in dottrina in cui il
creditore minacci di proporre un’istanza di fallimento, in quanto, in realtà, anche in tal
caso si tratta di un preciso diritto che spetta al creditore ed anzi in siffatta situazione non
si potrebbe nemmeno argomentare che si tratterebbe di una minaccia di un male
ingiusto, in quanto versando in una situazione d’insolvenza, dovrebbe essere il debitore
stesso a chiedere il fallimento in proprio.
In conclusione, lo spazio per configurare il reato di bancarotta preferenziale nei
confronti del creditore anche qualora questi, esiga il pagamento o insista per ottenerlo,
mi pare assai esiguo - riservato a situazioni concrete del tutto eccezionali ( 48) - se non
addirittura inesistente (49) (50).
(46) Così ancora BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 170, i
quali puntualizzano inoltre che “[per ravvisare l’istigazione] occorre (…) che il creditore abbia assunto
un ruolo attivo in relazione alla condotta tenuta dal debitore fallito; in particolare occorre che il
creditore abbia dato un contributo determinante alla realizzazione del fatto (un contributo causale alla
violazione della par condicio creditorum) con la consapevolezza dello scopo perseguito dal debitore”.
(47) Cui sembrano aderire anche BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati
fallimentari, cit., pag. 170. In giurisprudenza, Cass. pen. sez. V, 22 aprile 1981, cit., parla, in proposito, di
“reiterate, pressanti sollecitazioni” da parte del creditore favorito.
(48 ) PEDRAZZI, ad es., in PEDRAZZI – SGUBBI, Reati fallimentari , cit., p. 134 e 135 porta l’esempio del
creditore che prometta un voto in sede di concordato in cambio di un pagamento parziale, oppure del
creditore che si presti a un pagamento dissimulato, contribuendo a porre in essere una compravendita
fittizia.
(49) Naturalmente, la condotta del creditore potrà integrare di per sé una diversa ed autonoma fattispecie
di reato: si veda ad esempio la complessa vicenda dell’acquisto da parte di Parmalat di Eurolat da Cirio
in cui sono stati contestati al Presidente di un istituto di credito e agli amministratori della Cirio s.p.a i
reati di concorso in bancarotta fraudolenta, nonché di estorsione per avere posto in essere, un’operazione
fraudolenta di natura distrattiva, finalizzata ad accollare alla Parmalat – in conseguenza dell’acquisto
della soc. Eurolat e Centrale del latte di Roma – un ingiustificato sovraprezzo al solo fine di soddisfare
l’esposizione della società venditrice nei confronti dell’Istituto di credito e di consentire al C. di lucrare la
somma di L. 64 miliardi per un patto di non concorrenza di fatto privo di contenuti, così dissipando o
13
2.3.3 – La dottrina è, infine, divisa quanto alla punibilità del creditore che si renda
compartecipe della simulazione di un titolo di prelazione.
Anche sotto questo aspetto, bisogna in primo luogo chiedersi se sia ammissibile un
concorso del creditore che ponga semplicemente in essere la condotta tipica. In seconda
battuta, occorre domandarsi a quali condizioni possa ritenersi sussistente un concorso
atipico del creditore.
In linea teorica, secondo alcuni (51) vanno tendenzialmente trasposti i già illustrati
principi in tema di concorso nel reato plurisoggettivo improprio. Ove il creditore
collabori nella simulazione, non sarà in ogni caso punito, posto che la norma sanziona la
realizzazione della condotta tipica da parte del solo debitore: l’opposta soluzione –
secondo questa tesi – si porrebbe in aperto contrasto con il principio di legalitàtassatività. In base a diversa impostazione, che all’opposto fa leva sulle peculiarità del
dolo specifico che orienta il delitto (52), si sostiene invece che “qualunque concorso del
creditore nella simulazione di titoli di prelazione importa la sua corresponsabilità non
potendo egli che condividere il medesimo dolo specifico che anima l’imprenditore”
(53).
Quanto al secondo profilo (requisiti del concorso atipico del creditore), le soluzioni
prospettate paiono scontare l’incertezza che segna il dibattito riguardante la nozione
stessa di “simulazione” accolta dalla legge penale ( 54). Ed infatti, solo perimetrando il
comunque distraendo beni della Parmalat il cui stato di insolvenza veniva dichiarato in data 27 dicembre
2003 Si veda in proposito Cass. Pen. sez. II, 15 ottobre 2008, n. 4371, in Banca dati Dejure.
(50)In senso parzialmente difforme, con abbondanza di esemplificazioni pratiche, si legga CERQUA, Il
concorso, cit., p. 575.
(51) COCCO, La bancarotta preferenziale, cit., pag. 267; FLORA, Mutui fondiari e concorso in
bancarotta preferenziale, cit., pag. 96. Più in generale, MANTOVANI, Diritto penale, cit., pag. 545;
MARINUCCI-DOLCINI, Manuale, cit., pag. 407.
(52) Sulle peculiarità del dolo specifico di fattispecie, “strettamente “accorpato” con il significato lesivo
della condotta”, si veda, per tutti, DONINI, I pagamenti preferenziali nella bancarotta (art. 216, comma
3, l.fall.): frode ai creditori e colpa grave come limiti ‘esterni’ alla fattispecie. Il rischio non più
consentito come elemento oggettivo ‘interno’, in Studium Iuris, 1999, pagg. 141 e ss. Per una disamina
delle posizioni dottrinali in argomento, TAGLIARINI, Profili salienti della bancarotta preferenziale, in
Ind. pen., 1992, pagg. 748-750. La giurisprudenza prevalente, come noto, ritiene che il dolo specifico di
cui all’art. 216 comma 3 riguardi soltanto il fine di favorire uno o più creditori, e non anche il pregiudizio
degli altri, che segue invece il paradigma del dolo eventuale. Tra le ultime pronunce: Cass. pen. sez. V, n.
31894/2009, ne il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 2010, pag. 495; Cass. pen. sez. V, n.
31168/2009, ibidem, pag. 495.
(53) Così BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pagg. 164 e 167.
Similmente, PERINI-DAWAN, La bancarotta fraudolenta, cit., pag. 291.
(54) Come noto, il dibattito ruota attorno all’autonomia o meno del concetto di simulazione adoperato
dalla norma incriminatrice, rispetto al suo omologo civilistico. Secondo i fautori della prima tra le
suddette opzioni, “l’ipotesi di legge presuppone l’esistenza di un negozio giuridico apparente (o finto), il
quale, per effetto di altro accordo, non abbia alcun valore fra le parti, oppure nasconda un negozio
diverso”: cfr., per tutti, ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, VI ediz. (a cura di
CONTI), Milano 1987, pag. 82. Su altro fronte, le tesi di chi assegna al concetto di simulazione adoperato
nell’art. 216 comma 3 l.fall. un significato diverso ed autonomo dal corrispondente civilistico possono
suddividersi in due sottoinsiemi. Da una parte, le posizioni – risalenti – di chi considera simulato un titolo
di prelazione nella misura in cui sia concesso soltanto affinché il creditore se ne avvalga in sede
fallimentare: così PUNZO, Il delitto di bancarotta, Torino 1953, pag. 180. Secondo differente
impostazione, per discernere il lecito dall’illecito occorrerebbe valutare la funzione giuridico-economica
della singola operazione, verificando se il risultato ad essa sotteso abbia una giustificazione economica
che escluda la lesione del bene protetto, e dunque la renda penalmente irrilevante: in tal senso, STALLA,
14
concetto di simulazione è possibile verificare se la concreta condotta possa essere
inclusa entro i confini di tipicità della fattispecie, con intuibili conseguenze in punto di
(eventuale) concorso del creditore ai sensi dell’art. 110 c.p.
Nell’alveo del confronto dottrinale e giurisprudenziale, si inserisce poi lo specifico
caso – già più volte sottoposto all’attenzione delle Corti – della banca che abbia un
credito ingente, ma privo di garanzie, nei confronti di un imprenditore in difficoltà, e
che gli conceda un nuovo finanziamento, di importo pari al credito vantato, finalizzato
al ripianamento totale o parziale di quest’ultimo, “blindandolo” con una garanzia reale.
Si tratta, in sostanza, delle situazioni in cui la banca ottiene “a costo zero” una garanzia
su un credito in precedenza chirografario, tutelandosi in prospettiva di un futuro
fallimento del proprio debitore (55).
Va in proposito segnalato che la giurisprudenza di legittimità, percorrendo sentieri
interpretativi solo in apparenza simili, in due sentenze del 1999 ( 56) e del 2004 (57) ha
ritenuto responsabile, ai sensi dell’art. 110 c.p., il funzionario di banca. Tuttavia, mentre
nella decisione più risalente detta conclusione è imposta dalle stesse premesse teoriche
da cui il collegio giudicante prende le mosse, ovvero da una nozione di simulazione da
intendere nel “significato corrente” (58), nel secondo arresto – nonostante l’ossequio
formale al suddetto precedente – essa sembra trovare fondamento nelle specifiche
circostanze del caso rimesso al vaglio della Corte: e in particolare, secondo la dottrina
(59), nel rilievo per cui l’operazione, complessivamente considerata, non mirava in
alcun modo ad una prosecuzione dell’attività imprenditoriale, riducendosi al contrario a
mero escamotage per favorire un creditore a danno della massa, in prospettiva di una
prossima ed inevitabile procedura fallimentare. Un passo in avanti ulteriore, sebbene
nuovamente contenente statuizioni di condanna, è stato compiuto in alcune recenti
sentenze di merito (60), nel cui percorso motivazionale sembrerebbe scorgersi
un’adesione alla tesi dottrinale secondo cui l’“apparenza” non va valutata tanto in
riferimento al titolo di prelazione, bensì al negozio sottostante (61). Secondo questa
Autotutela della banca e bancarotta preferenziale, ne il Fallimento e le altre procedure concorsuali, n.
7/2005, pagg. 788-789. Per ulteriori aspetti, che in questa sede si tralasciano, ci sia concesso rinviare a
TROYER-INGRASSIA, Il concorso del ceto bancario nei fatti di bancarotta del debitore, cit., pagg.
419-421.
(55) Sull’argomento, in dottrina: FLORA, Mutui fondiari e concorso in bancarotta preferenziale, cit.,
pagg. 87 e ss.; STALLA, Autotutela della banca e bancarotta preferenziale, cit., pagg. 781 e ss.;
TASSINARI, Tipicità oggettivo-soggettiva della bancarotta preferenziale, ne il Fallimento e le altre
procedure concorsuali, n. 12/2002, pagg. 1347 e ss.; VINCIGUERRA, Trasformazione del credito, cit.,
pagg. 1260 e ss. Infine, ci sia permesso citare TROYER-INGRASSIA, Il concorso del ceto bancario nei
fatti di bancarotta del debitore, cit., pagg. 417 e ss.
(56) Precisamente Cass. pen. sez. V, n. 2126/1999, in Giur. It., 2002, pag. 1259. Nel medesimo senso, in
precedenza, Cass. 9 gennaio 1980, in Riv. pen., 1980, pagg. 229 e ss.
(57) Cass. pen. sez. V, n. 16688/2004, ne il Fallimento e le altre procedure concorsuali, n.7/2005, pag.
465 (s.m.).
(58) Locuzione che, nondimeno, non può in alcun modo rappresentare un sicuro selettore dei fatti di
rilevanza penale.
(59) In tal senso STALLA, Autotutela della banca e bancarotta preferenziale, cit., pag. 789.
(60) Corte d’appello di Brescia, sez. II pen., n. 789/2009, in Riv. dott. Comm., n. 2/2010 (estratto), pagg.
415-416, in parziale riforma di Trib. di Brescia, sez. I pen., n. 3933/2006, in Riv. dott. comm., n. 1/2008
(estratto), pagg. 109 e ss.
(61) Tesi già prospettata in dottrina da COCCO, La bancarotta preferenziale, cit., pagg. 215 e ss., e poi
ripresa da TAGLIARINI, Profili salienti della bancarotta preferenziale, cit., pag. 746, e da PERINIDAWAN, La bancarotta fraudolenta, cit., pag. 278.
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chiave di lettura, le ragioni economiche sottese all’operazione di mutuo garantito da
diritti reali possono senz’altro rappresentare un indicatore del carattere simulato o meno
del negozio giuridico (62).
Ad ogni buon conto, fintanto che il legislatore non si decida a porre finalmente
mano, anche sotto il profilo in commento, all’art. 216 comma 3 l.fall., a parere di chi
scrive resta quanto mai vivo il rischio, denunciato da tempo in dottrina ( 63), che
un’attribuzione di responsabilità penale al creditore a titolo di concorso passi “sul
corpo”, se non proprio “sul cadavere”, del principio di tassatività (64).
3 – Le conclusioni cui si è giunti nel paragrafo precedente meritano rivisitazione solo
parziale a seguito dell’entrata in vigore della nuova esenzione dai reati di bancarotta.
Non solo infatti, almeno prima facie, detta norma non si estende alle ipotesi di
bancarotta impropria quali quelle previste dall’art. 223 comma 2 n. 2 l.fall.,
correlativamente non escludendo l’eventuale concorso dell’istituto di credito in tale
delitto, ma neppure sembrerebbe eo ipso “esentare” tutti i fatti di bancarotta
preferenziale o di bancarotta semplice.
3.1 – Esaminando la norma di nuovo conio più in dettaglio, un problema teorico,
invero, si incontra già in sede di inquadramento sistematico ( 65) della esenzione –
nozione sconosciuta nel linguaggio del penalista.
In proposito, i primi commentatori concordano nel ricondurre l’istituto tra gli
elementi che circoscrivono l’ambito di tipicità delle norme incriminatrici ( 66); più
precisamente, con il termine “esenzione” il legislatore avrebbe inteso porre “limiti
esegetici [a]lle fattispecie o, come anche potrebbe dirsi, (…) cause di delimitazione del
tipo” (67). A differenza di quanto ritenuto prima dell’introduzione dell’art. 217 bis
l.fall. (68), riprendendo quanto incisivamente compendiato dalla dottrina, “distinte
ragioni suggeriscono ora come preferibile l’opzione ermeneutica per la quale si è in
presenza di un limite esegetico della fattispecie incriminatrice, introdotto dal
legislatore con una disposizione successiva a quella che contempla il reato” (69). In
(62) Ancora una volta, ci sia consentito rinviare a TROYER-INGRASSIA, Il concorso del ceto bancario
nei fatti di bancarotta del debitore, cit., pagg. 421-422, per una compiuta analisi della pronuncia di merito
qui menzionata. Si noti, d’altro canto, che un significativo indice di apparenza del negozio giuridico
potrebbe essere rappresentato dal fatto che il nuovo finanziamento venga impiegato dall’imprenditore in
tutto o in larga misura per ripianare il precedente debito proprio verso l’istituto di credito erogante.
(63) Sul punto, FLORA, Mutui fondiari e concorso in bancarotta preferenziale, cit., pag. 99.
(64) Come si illustrerà appena oltre, infatti, il nuovo art. 217 bis rende a prima vista lecite operazioni del
tipo descritto solo quando realizzate in esecuzione di un concordato preventivo, di un accordo omologato
o di un piano ex art. 67 comma 3 lett. d) l.fall., ma lascia aperto il problema allorché le stesse si
collochino al di fuori di queste ultime procedure.
(65) Questione, all’evidenza, non meramente concettuale, ma con ricadute nient’affatto trascurabili sul
piano pratico, come ricorda attenta dottrina: si veda, in proposito, MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag.
1475 (in particolare nota 3).
(66) Si vedano, pertanto, gli Autori già citati nella nota sub 3.
(67) Letteralmente, BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag.
159.
(68) Quando gli Autori reputavano unanimemente i pagamenti e le operazioni effettuati nell’ambito delle
procedure di soluzione della crisi di impresa dessero luogo a cause di giustificazione. Per tutti,
MUCCIARELLI, Stato di crisi, cit., pag. 864, dove viene richiamato quanto sul punto già affermato in
BRICCHETTI-MUCCIARELLI-SANDRELLI, sub artt. 216-241, in JORIO (diretto da), Il nuovo diritto
fallimentare, Bologna 2007, pag. 2741.
(69) Così ancora MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1475.
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altri termini, “l’art. 217 bis l.fall. stabilisce che determinati comportamenti (pagamenti
e operazioni), qualora tipici rispetto ai delitti degli artt. 216, comma 3, e 217 l.fall., non
rientrano nell’ambito di operatività di dette figure di reato se posti in essere in una
condizione predefinita (in esecuzione di una delle procedure per la soluzione della crisi
d’impresa). Sicché il complesso delle condotte che rientrano negli insiemi disegnati
dalle incriminazioni viene ad essere ridotto (…). Attraverso l’inserzione di un elemento
specializzante (appunto l’essere realizzati in esecuzione), il perimetro e il contenuto dei
delitti di bancarotta preferenziale e bancarotta semplice vengono modificati in senso
limitativo sul versante della tipicità” (70). Le osservazioni precedenti meritano
senz’altro condivisione: non v’è dubbio, infatti, che l’art. 217 bis non si limiti ad
escludere il rapporto di contraddizione tra un fatto in sé tipico e l’intero ordinamento
giuridico, facoltizzando la realizzazione di quel fatto (71); né è possibile argomentare
una sua incidenza sull’insieme delle condizioni che rendono il fatto tipico ed
antigiuridico rimproverabile personalmente al suo autore (72); né, infine, sembrerebbe
ispirato da ragioni di opportunità che escludano il ricorso allo strumento della pena per
un fatto altrimenti tipico, antigiuridico e colpevole (73).
Va da sé che – ricostruito in questi termini l’istituto – le conseguenze per l’eventuale
concorrente nel reato si rivelano significative: in quanto delimitativa del tipo,
l’esenzione in parola deve necessariamente estendersi a tutti i compartecipi, quindi
rendere tra l’altro lecita la ricezione di pagamenti – nel contesto di una delle tre
procedure menzionate dalla norma – da parte del creditore.
Quello che prima facie appare come un punto fermo quasi scontato, tuttavia,
potrebbe essere revocato in dubbio dopo più meditata riflessione.
Come si tenterà di illustrare appena oltre, infatti, la fondatezza dell’assunto dipende –
nel suo nucleo essenziale – dalla pervasività del controllo ex post del giudice penale
sulla idoneità della singola procedura a raggiungere il proprio scopo, cioè il salvataggio
dell’impresa in crisi.
3.2 – Preme fin da ora porre in luce, comunque, ciò che l’esenzione certamente non
copre.
3.2.1 – Anzitutto, l’espresso collegamento funzionale tra l’effettuazione di
“pagamenti” ( 74) o il compimento di “altre operazioni” (75) e le procedure elencate
(70) Ibidem.
(71) Così, ex multis, quanto alla definizione delle cause di giustificazione, MARINUCCI-DOLCINI,
Manuale, cit., pagg. 221-223. Secondo LOTTINI, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 1372, l’esclusione
dell’art. 217 bis dal novero delle cause di giustificazione è dovuto alla peculiare struttura di queste ultime,
che “si caratterizzano per operare di fronte a situazioni che presentano una contestuale contrapposizione
di due o più interessi in conflitto (…). Nel caso di specie, questa contrapposizione di interessi invece
manca”.
(72) Di nuovo, per tutti, MARINUCCI-DOLCINI, Manuale, cit., pagg. 269 e ss.
(73) Ancora una volta, per la nozione di causa di non punibilità, MARINUCCI-DOLCINI, Manuale, cit.,
pagg. 351-352.
(74) Secondo la dottrina, con il termine “pagamenti” il legislatore avrebbe inteso istituire un parallelismo
con la fattispecie della bancarotta preferenziale, sicché rileva ogni modalità solutoria di un debito
effettivo: cfr. in proposito, MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1478, cui si rinvia per ulteriori e
dettagliate osservazioni in merito.
(75) Il concetto di operazioni tradisce, secondo alcuni, una “chiara matrice aziendalistica”, e dunque ha
una valenza giuridicamente meno rigorosa: MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1478. Le altre
operazioni, di conseguenza, vengono individuate dalla dottrina in parola come “qualunque atto, negozio
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dall’art. 217 bis sembra escludere in radice che l’esenzione si applichi anche a
fattispecie di bancarotta postfallimentare, poiché – semplicemente – è evidente che con
il sopraggiunto fallimento si determinino la fine e l’insuccesso delle soluzioni
concordate (e dunque eventuali successivi pagamenti non potrebbero più dirsi avvenuti
“in esecuzione” (76) di tali procedure). Inoltre, la lettera stessa della norma è di ostacolo
all’estensione interpretativa a fattispecie ulteriori e diverse da quelle espressamente
menzionate, quali ad esempio la bancarotta impropria ai sensi dell’art. 223 comma 2 n.
2 l.fall: del resto, la natura eccezionale dell’esenzione ne impedisce l’interpretazione
analogica, pur se in bonam partem (77).
3.2.2 – In secondo luogo, si è osservato che – nonostante l’apparentemente generico
rinvio agli artt. 216 comma 3 e 217 l.fall. – non tutte le condotte tipizzate quali
bancarotta preferenziale o bancarotta semplice paiono ipso facto ricadere entro l’ambito
di operatività dell’esenzione.
Quanto all’art. 216 comma 3 c.p., deve ritenersene estranea la simulazione di titoli di
prelazione intesa in senso civilistico, posto che, come puntualmente sottolineato in
dottrina, “una condotta di tal genere non può in alcun modo essere ricompresa fra le
operazioni poste in essere in esecuzione di una delle procedure finalizzate alla
soluzione della crisi d’impresa, proprio per la natura simulatoria della stessa (…)
Comportamenti caratterizzati in tal senso ben difficilmente possono essere fatti
rientrare in un piano o in accordo, che necessitano, proprio per la loro stessa natura,
di essere una rappresentazione fedele non soltanto della situazione economica,
patrimoniale e finanziaria dell’impresa, ma anche dei vari passaggi attraverso i quali si
sviluppa il piano per il superamento razionale della crisi” ( 78). Tuttavia, in caso di
effettiva costituzione di titoli di prelazione, come negli esempi più sopra riportati, non
v’è ragione di escludere la piena operatività dell’art. 217 bis: ove realizzata nell’ambito
di una delle menzionate procedure, tale “operazione” sarà penalmente irrilevante (79)
sia per il debitore sia per il creditore.
giuridico o fatto in concreto funzionale alla realizzazione di un piano ex art. 67, comma 3, ovvero di un
accordo ex art. 182 bis l.fall, ovvero ancora di un concordato preventivo”: ibidem.
(76) Sulla portata della formula, non sembra unanime la dottrina che per prima si è cimentata con
l’interpretazione dell’art. 217 bis l.fall. Secondo una prima lettura, il significato trascenderebbe la lettera
della locuzione fino a comprendere anche pagamenti ed operazioni propedeutici alla procedura
concordata e finalizzati alla soluzione della crisi d’impresa; lo imporrebbe una esegesi sistematica
dell’esenzione, che pone l’accento sulla “polarizzazione” delle condotte “al perseguimento del risultato
prefigurato dal legislatore”: MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1478. Apparentemente più
restrittivo il significato attribuito all’espressione da altra parte della dottrina, a parere della quale “è
necessario che essi [pagamenti ed operazioni] siano stati posti in essere proprio in esecuzione di quel
piano [o dell’accordo omologato o del concordato preventivo] di cui parla la citata disposizione”: così
BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 160; del medesimo
avviso D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 213, secondo il quale l’opposta tesi
finirebbe per sfociare in una interpretazione analogica vietata, anche per espressa voluntas legis, e per
frustrare la scelta del legislatore di porre un “contrappeso” alla irrilevanza penale nei casi in cui non sia
scaturito un progetto di risanamento sostenibile.
(77) Del medesimo parere MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1481, dove si svolgono interessanti
precisazioni anche in riferimento ai rapporti con il reato di cui all’art. 218 l.fall..
(78) Così MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1476.
(79) Dello stesso avviso: BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit.,
pag. 158; MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1477; D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall.,
cit., pag. 212.
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Anche in ordine all’indifferenziato richiamo all’art. 217 l.fall., poi, sono necessarie
alcune precisazioni. Come giustamente evidenziato, le figure di bancarotta semplice di
cui ai nn. 1 e 5 dell’art. 217 l.fall. appaiono a tal punto eccentriche rispetto alla
soluzione della crisi di impresa da non poter essere ricondotte entro i confini
dell’esenzione (80), pena una forzatura della ratio stessa dell’art. 217 bis; d’altra parte,
se è indubbio che quest’ultimo si riflette su condotte quali quelle dei nn. 3 e 4 dell’art.
217 l.fall., più incerta è la soluzione quanto al n. 2: la dottrina, sul punto, non è
unanime, ma propende per l’inapplicabilità dell’art. 217 bis (81).
3.3 – A ben vedere, tuttavia, neppure i pagamenti eseguiti nel contesto delle
procedure di salvataggio previste dall’art. 217 bis possono automaticamente assumere
irrilevanza penale. Come accennato poc’anzi, infatti, l’assolutezza della conclusione è
incrinata dalla questione di fondo – allo stato, anche per la scarsezza di giurisprudenza
sul punto, irrisolta – relativa ai poteri di controllo del giudice penale in ordine alla
idoneità della procedura a raggiungere lo scopo prefissato. Detto altrimenti, occorre
chiedersi se sia sufficiente, per paralizzare le norme incriminatrici, la mera esistenza di
un piano o di un accordo, ovvero se implicitamente si richieda al giudice penale di
valutarne l’attitudine ex ante a superare lo stato di crisi. Nel silenzio della legge,
entrambe le vie sembrerebbero in astratto percorribili ( 82).
Giova, ai fini che ci occupano, suddividere il discorso in relazione a ciascuna
procedura, sulla scia della dottrina che si è già occupata del problema: da questa analisi,
d’altra parte, deve inevitabilmente passare il tema dell’eventuale concorso del creditore
favorito, che ne è logico corollario.
3.3.1 – La natura prettamente privatistica ( 83) del piano disciplinato dall’art. 67
comma 3 lett. d) l.fall. (84) rende pressoché inevitabile – in caso di mancato
raggiungimento del risultato sperato – il controllo a valle del giudice penale in termini
(80) In tal senso, MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1477; D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis
l.fall., cit., pag. 212; BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag.
158.
(81) Sostengono la tesi che esclude l’applicazione dell’art. 217 bis al n. 2 art. 217 l.fall.:
MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1478; D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag.
212, a parere del quale “apparirebbe a dir poco paradossale ritenere che comportamenti erosivi della
consistenza patrimoniale connotati dalla mera sorte o dalla manifesta avventatezza possano essere
valutati come coerenti con un piano o con un accordo volti al superamento della crisi d’impresa”.
Contra, invece: BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 158, e
Bancarotta, le operazioni escluse dall’incriminazione, cit., pag. 96.
(82) MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1482.
(83) Il piano di cui si discorre, infatti, si perfeziona semplicemente a seguito di avvenuta attestazione di
idoneità da parte di un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili. Carente qualsiasi controllo
giurisdizionale, l’atto va considerato a tutti gli effetti privato. In proposito, diffusamente,
MUCCIARELLI, Stato di crisi, cit., pagg. 846 e ss.
(84) È in questa sede appena il caso di accennare che il richiamo alla sola lettera d) del comma 3 dell’art.
67 l.fall. ha suscitato non pochi interrogativi e perplessità tra gli studiosi, vuoi in ordine alla ratio
dell’esclusione delle altre ipotesi – del tutto omogenee – ivi previste, vuoi in ordine alla possibilità di
estendere analogicamente ad esse l’applicazione dell’esenzione. Contro l’interpretazione letterale, che
postula la persistente rilevanza penale dei comportamenti di cui all’art. 67 comma 3 l.fall. non
contemplati dall’art. 217 bis, si è opposto che – così opinando – l’esenzione rischierebbe seriamente di
essere dichiarata incostituzionale, per contrasto con il principio di ragionevolezza, sicché, pur trattandosi
di norma eccezionale recante una lacuna intenzionale, si potrebbe ritenere che anche i pagamenti e le
operazioni descritti dalle lettere a), b), c), f), g) dell’art. 67 comma 3 l.fall. rientrino nella disciplina
dettata dall’art. 217 bis: in tal senso, MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1476.
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di ragionevolezza dell’atto (85): precipuo in tal senso il rilievo per cui – diversamente
opinando – verrebbe rimessa all’autonomia privata la facoltà di neutralizzare l’efficacia
di norme penali incriminatrici. Naturalmente, il giudice penale dovrà idealmente
collocarsi in una prospettiva ex ante, non foss’altro perché – ove fosse valutato ex post –
il piano dovrebbe per ciò solo ritenersi inidoneo, stante il fallimento dell’impresa (86).
Il giudizio di prognosi postuma, che deve tener conto anche dei dati patrimoniali e
finanziari su cui il piano si fonda (87), si proietta in tal modo sulla “coerenza
metodologica rispetto alle condizioni (…) presenti all’epoca della redazione del piano
medesimo” (88); e, laddove si concluda nel senso dell’inidoneità dell’atto rispetto al
risanamento, sembra “difficile immaginare (…) che possa in ogni caso operare
l’esenzione prevista dall’art. 217 bis l.fall.” (89).
3.3.2 – Problema non dissimile si ripresenta – mutatis mutandis – in caso di accordo
omologato ai sensi dell’art. 182 bis l.fall. Sebbene infatti sia indispensabile, oltre alla
relazione del professionista, anche un provvedimento di omologazione da parte del
Tribunale, non è dato evincere quale sia in concreto l’oggetto del giudizio prodromico al
decreto. La dottrina, benché divisa, abbraccia prevalentemente la tesi per cui al giudice
dell’omologa spetti un potere di verifica nel merito dell’accordo, inteso come “esame
valutativo della documentazione” ( 90). Ricostruito in questi termini il controllo del
Tribunale, è chiaro che non residuerebbe margine alcuno per un successivo
apprezzamento del giudice penale; al contrario, il potere del giudice penale tornerebbe a
ri-espandersi qualora si optasse per la natura meramente formale del vaglio del
Tribunale (91). In mancanza di giurisprudenza consolidata, sembra a chi scrive
preferibile l’impostazione “pragmatica” adottata da altra dottrina, che riconnette il
potere di rivalutazione del giudice penale all’attività compiuta in precedenza dal
Tribunale: massimo in caso di controllo meramente formale, nullo in caso di controllo
esteso al merito ed alla veridicità dei dati aziendali, inserendo tra questi due poli la
situazione intermedia di un controllo sul merito ma non sulla correttezza dei dati
(85) Unanime in tal senso la dottrina: MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1483; D’ALESSANDRO,
Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 207; BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati
fallimentari, cit., pag. 160.
(86) Così MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1483; D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall.,
cit., pag. 207. Quest’ultimo Autore denuncia anzi la tendenza sempre più frequente a valutare col
“proverbiale senno di poi” scelte che, nel momento in cui furono prese, potevano presentarsi
intrinsecamente ragionevoli.
(87) Così ancora MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1483.
(88) MUCCIARELLI, Stato di crisi, cit., pag. 853
(89) In questi termini D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pagg. 207-208, che sottolinea
come, peraltro, il dolo in capo all’imprenditore potrebbe essere escluso in presenza dell’attestazione di un
professionista sulla bontà di un piano in cui lo stesso imprenditore confidava; su quest’ultimo punto cfr.
anche LOTTINI, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 1374.
(90) Si veda sul punto MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pagg. 1483-1484, ed autori ivi citati in nota 31.
Si noti tuttavia che la Cassazione a Sezioni Unite, seppur in un obiter dictum, ha ribadito la valenza
unicamente privatistica e negoziale dell’accordo: Cass. Sez. Un. 22468/2009, in Cass. pen., 2009, pagg.
4113 e ss.
(91) A conforto di quest’ultima tesi, parte della dottrina rammenta il disposto dell’art. 2 comma 1 c.p.p.,
che attribuisce al giudice penale il potere-dovere di risolvere tutte le questioni dalle quali dipende la
decisione, salvo che sia diversamente stabilito: cfr. BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli
altri reati fallimentari, cit., pag. 161.
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economici (92). Ad ogni modo, secondo alcuni, lo spazio per eventuali argini
all’applicazione dell’esenzione ex art. 217 bis sarebbe piuttosto ristretto (93).
3.3.3 – La domanda di ammissione al concordato preventivo, ai sensi dell’art. 161
comma 3 l.fall., deve essere scrutinata quanto alla sua fattibilità, il che implica un
giudizio – quantomeno – sulla congruenza del piano, e, pertanto, maggiormente
pregnante ( 94). Una parte della dottrina, muovendo da tali presupposti, confina il
controllo del giudice penale ai casi di oggettiva falsità dei dati forniti al Tribunale (95);
v’è peraltro chi, in base al tenore dell’art. 161 comma 3 l.fall. (“relazione di un
professionista che attesti la veridicità dei dati aziendali”), argomenta nel senso di una
incorporazione di tale valutazione entro il provvedimento di ammissione dello stesso
Tribunale, correlativamente escludendo ogni spazio al sindacato del giudice penale (96).
3.4 – Resta comunque aperto il problema del concorso dell’extraneus allorché – in
presenza di procedure inidonee – fornisca una partecipazione eziologicamente efficiente
alla integrazione del fatto tipico.
Mentre appare arduo disconoscere la sussistenza del contributo dell’estraneo sul
fronte della tipicità, maggiormente complesso – come messo in luce dalla dottrina ( 97)
– potrebbe tuttavia presentarsi il giudizio sull’elemento soggettivo: particolare
delicatezza assume, sotto questo profilo, l’indispensabile indagine in ordine alla
consapevolezza del concorrente sulla inidoneità ab origine del piano o dell’accordo.
4 – L’impressione che si ricava dalle annotazioni precedenti è, in ogni caso,
sconfortante.
Ricorrendo ad un’immagine forse suggestiva, si potrebbe ammettere che il legislatore
ha utilizzato un “cannone” laddove invece sarebbe stata bastevole ed opportuna un’
“arma di precisione”. Fuor di metafora, il nuovo art. 217 bis non sembra raggiungere né
lo scopo di tenere completamente al riparo gli imprenditori insolventi – e al contempo i
loro eventuali compartecipi – dall’intera gamma di possibili incriminazioni per
bancarotta semplice o preferenziale; né di soddisfare l’ambizione di imbrigliare o di
incanalare l’interpretazione giurisprudenziale, risultato per vero tanto importante –
come ammoniva un illustre studioso ( 98) – in un settore in cui “bisogna soprattutto
evitare che ad un’economia d’impresa, basata sull’assunzione da parte
dell’imprenditore del rischio economico sottostante ad una certa operazione, si
sostituisca un’economia burocratizzata in cui le scelte debbano essere operate obtorto
collo sulla base del minor rischio penale”. Si può anzi fin da ora pronosticare, senza
timore di smentite, che paradossalmente toccherà ancora una volta alla prassi
interpretativa, da un lato, rimeditare taluni approdi esegetici in tema di concorso del
creditore nei fatti di bancarotta, e, dall’altro, dare una fisionomia concreta ed operativa
(92) La tesi è di MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pagg. 1484-1485, nonché Stato di crisi, cit., pagg.
857-859.
(93) D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 211.
(94) MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1485.
(95) In tal senso D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 210.
(96) L’opinione è di MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1485.
(97) In argomento, MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1486, anche per interessanti rilievi in merito
ad una eventuale posizione di garanzia in capo al professionista.
(98) STELLA, Insolvenza del debitore e responsabilità penale del banchiere, cit., pag. 306.
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ad un istituto, l’esenzione di cui al nuovo art. 217 bis l.fall., che di tale supplenza
ermeneutica mostra già un significativo bisogno (99).
In attesa di futuri assestamenti giurisprudenziali, peraltro, il compito dell’interprete
può ritenersi esaurito col segnalare i punti di maggiore criticità di questa ulteriore
(provvisoria?) riforma; e d’altra parte, come direbbe il viandante di Nietzsche, “i miei
pensieri (…) devono indicarmi dove mi trovo; ma non devono rivelarmi dove
vado”( 100).
(99) In dottrina c’è già chi invoca un ulteriore intervento di interpretazione autentica da parte del
legislatore: cfr. in proposito D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 213.
(100) NIETZSCHE, La gaia scienza, a cura di GIAMETTA, Milano 2000, pag. 261, frammento 287
(intitolato “piacere della cecità”), che nel complesso così recita: “i miei pensieri” – disse il viandante alla
sua ombra – “devono indicarmi dove mi trovo; ma non devono indicarmi dove vado. Amo l’incertezza
circa il futuro e non voglio rovinarmi per l’impazienza di gustare in anticipo le cose promesse”.
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