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leopardi e la natura
LEOPARDI E LA NATURA In questo mio elaborato ho voluto analizzare e confrontare la concezione della Natura in due opere di Leopardi: nel “Dialogo della Natura e di un Islandese” e nel canto scritto nel 1836 dallo scrittore, “La Ginestra” o “Il fiore del deserto”. DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE E’ considerata una delle Operette più alte e più importanti, una delle più famose; soprattutto perché vi compare per la prima volta in tutta la sua estensione, condotto sino all'estremo delle sue conclusioni, il “pessimismo cosmico” del Leopardi. Composta a Recanati tra il 21 e il 30 Maggio 1824, essa racconta la storia di un islandese che si rende conto, fin dai primi anni della sua vita, dell’impossibilità di trarre piacere morale e spirituale dalla convivenza con altri uomini. Egli infatti considera stolti i suoi simili che si affannano per procurarsi piaceri quasi sempre a danno di altri uomini. Decide pertanto di vivere isolato dall’umanità così fastidiosa con l’unica aspirazione di tenersi lontano dai patimenti, non solo spirituali ma anche fisici. Fugge così dall’Islanda, paese tormentato dal gelo e dal vulcano e inizia una vera peregrinazione per tutta la terra alla ricerca di un luogo che, senza dare piacere al suo corpo, non infligga almeno sofferenza ad esso. Ben presto però è costretto ad ammettere che i patimenti maggiori non sono inflitti dall’uomo all’altro uomo, ma dalla stessa natura che sferza l’umanità col gelo, col caldo, i venti, i terremoti, le malattie, la vecchiaia e la morte. Il Dialogo si può dividere in due parti distinte: nella prima parla solo l’islandese, racconta la su storia, il suo fuggire da un luogo ad un altro e si lamenta con la Natura della triste verità. Anche senza aver commesso nulla di male, l’uomo è perseguitato dalla Natura e costretto a scappare «ma che tu, per niuna cagione, non lasci mai d’incalzarci, finché ci opprimi.» E ancora poco più avanti «appena un terzo della vita degli uomini è assegnato al fiorire, pochi istanti alla maturità e perfezione, tutto il rimanente allo scadere, e agl’incomodi che ne seguono.»1 Nella seconda parte del dialogo si ha la sconcertante risposta della Natura che fa sprofondare l’islandese e l’uomo stesso in un baratro: la Natura non compie nessuna 1 G. Leopardi , Operette morali , Milano: Mondatori editore, 2009, p. 120. azione malvagia contro l’uomo, lei è praticamente indifferente alla condizione umana: «Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n'avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei.»2 Che l’uomo patisca o gioisca per una azione o evento compiuto dalla Natura, questa ultima non se ne accorge, non se ne avvede. La Natura ricorda all’islandese che esiste un perpetuo circuito di riproduzione e distruzione inevitabile; che non calcola l’importanza dell’uomo o il suo patire, ma che segue solamente le leggi della distruzione e della produzione. Al termine il Dialogo si conclude con una domanda che resta in sospeso, senza risposta, lasciata lì proprio per il lettore: «dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell’universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono?»3 E’ una domanda che vuole essere posta direttamente al lettore, una cui ipotetica risposta di Leopardi la possiamo ritrovare alla fine di un precedente Dialogo, scritto tra il 9 e il 14 Aprile del 1824. Al termine dell’ Operetta “Dialogo della Natura e di un’Anima” l’anima si rivolge alla Natura dopo aver parlato a lungo sull’infelicità umana dicendo: «E in cambio dell’immortalità, pregoti di accelerarmi la morte il più che si possa»4 Il "Dialogo della Natura e di un Islandese" rappresenta quindi la prima decisa ed articolata introduzione nel pensiero leopardiano di uno dei concetti più caratteristici, cioè quello della indifferenza e ostilità della natura. Qui, infatti, la natura è concepita come una forza assoluta e immensa, che si identifica con le ferree e immodificabili leggi dell'eterna trasformazione della materia: tutte le forme di vita vi sono ugualmente soggette, sottoposte ad inevitabili scadenze biologiche che riducono la vita dei singoli ad una dura lotta per la sopravvivenza destinata fatalmente a fallire. La natura non bada agli uomini, alla loro serenità o alla loro infelicità, ma solo alla conservazione del mondo. Nemmeno l'uomo riesce a sottrarsi a questa legge universale: più cerca di sfuggire alla natura, più ne viene afferrato e condizionato; e le domande tragiche che si pone 2 Ibidem p. 121. Ibidem p. 122. 4 Ibidem p. 80. 3 sul significato della sua esistenza e sul suo rapporto con le cose sono destinate a restare senza altra risposta se non quella, disperata ed agghiacciante, che nello svolgersi del ciclo eterno della materia universale egli non occupa che un posto trascurabile. In questo Dialogo l’uomo è concepito come un essere perpetuamente infelice, un essere costretto a fuggire sempre da malattie e intemperie, costretto a vagabondare su questa terra senza mai trovare pace e ristoro. LA GINESTRA E’ uno degli ultimi canti leopardiani, composto nel 1836 e pubblicato postumo a cura dell'amico Antonio Ranieri, che lo pose come ultimo a chiudere la serie dei "Canti" seguendo le indicazioni del Leopardi stesso “La Ginestra” si propone come luogo dove il Leopardi concentra l'essenza della sua lunga e profonda riflessione sul significato della vita ed in sostanza consegna ai lettori le conclusioni definitive cui è giunto. In realtà la poesia non segna traguardi nuovi: vi troviamo in fondo gli elementi presenti da sempre nella concezione leopardiana e le conclusioni cui approda ora sono quelle disseminate lungo tutta la sua poesia. L'uomo è un essere casuale e senza scopo nell'immensità della vita universale, sottoposto ai capricci della natura distruttrice, alla quale non può opporre altro che il suo forsennato orgoglio privo di senso. La poesia è dunque incentrata sulla fragilità dell'uomo e sulla malvagia potenza della natura, contro la quale l'essere umano non può nulla. Secondo il Leopardi è stupido e stolto l'uomo che nutre tanto orgoglio per le proprie scoperte e le proprie conquiste, mentre non si rende conto di quanto siano insignificanti. I liberali sono detti "sciocchi e ignoranti, gretti, meschini e del tutto incapaci di pensieri gentili e nobili" assieme a tutti quelli che promettono vane speranze di progresso e felicità. Ed ecco quindi la proposta, il messaggio di solidarietà, di eroismo, per affrontare con lucidità la realtà, la coscienza del vero. Il suo ultimo appello alla fraternità è rivolto a tutti gli esseri umani: l'unico mezzo per sfuggire all'unica vera nemica comune (la Natura) è quello di cooperare in una lotta comune lasciando da parte inutili conflitti fratricidi. Il poeta chiude il suo canto con il ritorno all'immagine della ginestra, da cui aveva preso l'avvio, intesa come mito e simbolo dell'unico atteggiamento possibile per l'uomo come per le altre forme caduche dell'immenso e ricorrente ciclo della vita materiale: la rassegnazione al dolore, la coscienza dell'umiltà della propria condizione, l'accettazione del Nulla come unica realtà da cui veniamo ed a cui siamo destinati. Anche qui, quindi ritroviamo la stessa concezione della Natura che abbiamo riscontrato nel “Dialogo della Natura e di un Islandese”, una Natura indifferente alla condizione umana e un uomo impotente di fronte alla Natura inesorabile. Importante sottolineare alcuni passi de “La Ginestra” in cui possiamo leggere questa concezione leopardiana della Natura: «A queste piagge venga colui che d'esaltar con lode il nostro stato ha in uso, e vegga quanto è il gener nostro in cura all'amante natura. E la possanza qui con giusta misura anco estimar potrà dell'uman seme, cui la dura nutrice, ov'ei men teme, con lieve moto in un momento annulla in parte, e può con moti poco men lievi ancor subitamente annichilare in tutto. Dipinte in queste rive son dell'umana gente le magnifiche sorti e progressive.»5 Sulle pendici del Vesuvio, apostrofato come «el formidabil monte sterminator Vesevo», deve venire chi vuole veramente “lodare” la condizione umana perché in questo luogo si può constatare da vicino come la potenza dell’uomo sia nulla. Di fronte alla Natura distruttrice del vulcano, di fronte alla sua sopita energia l’uomo tutto di un tratto può scomparire; la grandezza dell’uomo che sembra fare e potere ogni cosa viene spazzata via in pochi secondi dal vulcano. E ancora più avanti continua: «Nobil natura è quella che a sollevar s'ardisce gli occhi mortali incontra al comun fato, e che con franca lingua, nulla al ver detraendo, confessa il mal che ci fu dato in sorte, e il basso stato e frale; quella che grande e forte mostra sé nel soffrir, né gli odii e l'ire fraterne, ancor più gravi d'ogni altro danno, accresce alle miserie sue, l'uomo incolpando 5 G. Leopardi , La Ginestra, versi 37-51. del suo dolor, ma dà la colpa a quella che veramente è rea, che de' mortali madre è di parto e di voler matrigna. Costei chiama inimica.»6 Una nobile creatura è quella che ha il coraggio di guardare in faccia il destino umano e ammette il male che gli è stato dato in sorte: una insignificante e fragile condizione. La colpa di tutti i mali, la vera responsabile delle miserie umane è la Natura, la vera Nemica. BREVE RIFLESSIONE Oltre a questa brevissima analisi sulla concezione leopardiana della Natura presente ne “La Ginestra” e nel ““Dialogo della Natura e di un Islandese” volevo aggiungere una mia personale riflessione, forse un po’ originale e un po’ fuori luogo per una tesina di laboratorio, ma spero in ogni modo costruttiva e opportuna. Personalmente ho deciso di approfondire il tema della Natura nell’opera di Leopardi per due eventi a tutti noti che sono successi in questi giorni. La natura e la condizione dell’uomo di fronte ad essa si sono manifestate e mostrate recentemente in due episodi che hanno occupato in queste settimane le prime pagine di tutti i quotidiani e telegiornali nazionali e internazionali. Nella lettura di Leopardi ho cercato di approfondire e creare un parallelo tra quello che il poeta scriveva e quello che nel mondo di oggi sta succedendo; ho tentato di domandarmi e di interrogarmi su quello che il recanatese pensava al suo tempo e di confrontare le sue riflessioni con quello che oggi sta accadendo. I due fatti che mi hanno suggerito questa riflessione sono stati la nube uscita dal vulcano islandese Eyjafjallajökull e la marea nera di petrolio che si sta allargando sempre più nel Golfo del Messico. Prendiamo in considerazione la nube islandese. Premesso che il vulcano appena esploso Eyjafjallajökull è un cratere collegato al vicino vulcano Hekla, nominato anche nel dialogo leopardiano; la vicenda successa da poco nei cieli di mezza Europa fa pensare. Veramente, come Leopardi affermava, l’uomo è in balia della Natura? Per una “tranquilla” (così è stata definita da alcuni vulcanologi islandesi) eruzione tutta l’Europa rimane a terra? Intere compagnie aeree perdono capitali e miliardi in pochi giorni perché un vulcano spento da secoli e distante centinaia di chilometri si risveglia tutto di un tratto? 6 G. Leopardi , La Ginestra, versi 111-126. Ma, se possiamo rifarci al pensiero del recanatese, la potenza dell’uomo è veramente poca cosa a confronto di una Natura che inesorabilmente e indifferentemente continua il suo corso? La riflessione sulla grandezza dell’uomo è sempre attuale, soprattutto quando capitano calamità naturali. Forse l’uomo cerca di governare e controllare una “cosa” che è oltre le sue possibilità. Forse Leopardi aveva ragione quando ne “La Ginestra” afferma che l’uomo cerca di costruire e modellare una Natura che in pochi istanti può distruggere ogni cosa. Senza far riferimento a terremoti o maremoti, di cui tutti noi siamo a conoscenza, riferendoci solamente a questi passati giorni, è impressionante come molte volte l’uomo si senta impotente di fronte alla Natura. Le economie di parte dell’Europa si sono fermate per una settimana a causa della nube vulcanica, e se, come probabilità riferita dagli esperti, l’eruzione potrebbe andare avanti mesi o anni? La nube, come ha scritto pochi giorni fa in suo articolo Bernard-Henri Levy, ci ha riportato con i piedi per terra, ci ha ricordato che siamo solo uomini di fronte alla Natura. Dal lato opposto della riflessione possiamo porre i terribili fatti che da pochi giorni stanno accadendo nel Golfo del Messico e sulle coste della Lousiana. La Natura è incurante del genere umano, continua il suo corso di distruzione e di produzione, ma l’uomo in questi ultimi due secoli (cioè da quando scrive Leopardi ad oggi) è riuscito a subentrare in questi meccanismi vitali, è riuscito a creare e distruggere, anche su larga scala. In questo caso non stiamo più parlando di una “Natura matrigna”, di una “NaturaNemica”, come la definisce il poeta; in questo caso dobbiamo prendere in considerazione l’azione dell’uomo. L’uomo non è più quell’essere insignificante e impotente cantato dal Leopardi, senza potere, passivo di fronte a una potenza-natura distruttrice. L’uomo è oramai attivo protagonista del corso degli eventi, dell’evoluzione e della stessa Natura. Sia nel bene che nel male (soprattutto nel male). Siamo dinnanzi ad un uomo che riesce a cambiare la Natura, a modificarla, a modellarla e, a volte, a rovinarla; un uomo non più impotente di fronte all’“arida schiena” del Vesuvio. Forse l’appellativo “matrigna” e “nemica” non sono più da attribuire alla Natura; forse l’uomo, che rimane comunque in balia degli eventi, ha cominciato anche a prenderne parte in modo attivo, da protagonista. Il passo successivo in questa riflessione potrebbe essere quello di chiedersi se l’uomo non sta cercando di prendere il controllo di una “cosa”che molte volte non riesce a governare. È vero che disastri ecologici come questo non avvengono tutti i giorni, però la Natura nella sua potenza non riuscirebbe a provocare così frequentemente danni come quello che si sta verificando in America, con 750 mila litri di petrolio che fuoriescono dal fondo del mare ogni giorno, con (forse) 1900 chilometri di coste rovinate per 50 anni e con centinaia di specie viventi a rischio. La Natura è sì “matrigna” e “nemica” in alcune situazioni, ma forse l’uomo non è da meno con Lei.