Agonia di paese. Ateno Spezi - Fondazione Cassa di Risparmio di
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Agonia di paese. Ateno Spezi - Fondazione Cassa di Risparmio di
Ateno Spezi Agonia di paese Diario di guerra 1943-’44 A cura di Carlo Moscelli “La vita è memoria” (Isaac Singer) Prefazione Le sofferenze, le privazioni ed i lutti di una guerra non sono patiti solo dai soldati al fronte, peraltro anche in grado di difendersi, ma anche dalle popolazioni civili, quasi sempre indifese e soggette ad attacchi dal mare, da terra e dal cielo. Si muore spesso o per una bomba d’aereo, o per una mina o per pallottole nemiche; le ferite allo spirito ed al corpo, le mutilazioni, il ricordo di momenti di terrore restano per una vita. Si muore anche di fame, per le malattie che non trovano cure e medicine; si debbono abbandonare le proprie case ed i propri beni per trovare rifugio in luoghi più nascosti e tranquilli, arrangiandosi in ogni modo e rischiando quotidianamente la vita, spettatori talora di piccole o grandi tragedie. Ecco allora il dramma degli sfollati, soprattutto donne, anziani, bambini. Un dramma che fortunatamente le nostre ultime generazioni non hanno conosciuto se non dai racconti dei genitori o dei nonni. Ecco perché quando una amica di Facebook, Silvia Montesi, mi ha fatto avere “Agonia di paese”, un quadernetto con il diario di guerra 1943/1945 di suo nonno, Ateno Spezi, ho subito pensato che queste memorie, illustrate dallo stesso autore, dovessero essere stampate e diffuse perché anche i fanesi più giovani, che non hanno conosciuto le sofferenze di una terribile guerra patite anche da chi non era al fronte, le potessero conoscere. Potranno così meglio apprezzare i vantaggi della Pace. Ateno Spezi (Fano 1908-2011) volle che il suo diario di “sfollato” mi fosse consegnato conoscendo il mio grande interesse per le cose di Fano ed in particolare della Fano in guerra. Il grande artista fanese Ateno Spezi è stato docente all’Istituto d’Arte “Adolfo Apolloni”, pittore, scultore, poeta, medaglista e grafico (suoi manifesti e carri allegorici del Carnevale sono ancor oggi apprezzati); è stato anche corrispondente del Resto del Carlino, inviato del Popolo di Roma ed uno tra i fondatori della mostra d’arte “Accolta dei Quindici”. Ringrazio la Fondazione Carifano che ha accolto la mia proposta di inserire il Diario di Ateno Spezi in una sua pubblicazione per il Settantennale della Liberazione di Fano. Carlo Moscelli • A lato, Ateno Spezi e sua moglie Fride. • Nelle pagine precedenti, il ponte della ferrovia sopra il portocanale fatto saltare dai tedeschi in fuga e un disegno autografo del prof. Spezi, datato 1 settembre’44, sulle rovine del Teatro della Fortuna,riportato dal suo dattiloscritto originale. 62 63 Introduzione “Agonia di paese” corrisponde ad una cronaca quasi giornaliera tracciata inizialmente in telegrafiche note ‘ad ore’ per ogni allarme o avvenimento connessi con atti di guerra; poi espressa attraverso ‘pezzi’ e pagine complete riguardanti stati d’animo, spoliazioni, esodi e lacerazioni di carne e beni materiali durante i successivi svolgimenti bellici avvenuti dal Maggio 1944 a quello del 1945. È andato purtroppo smarrito o distrutto il primo ‘diario’ del 1943 - dalla fine di Luglio a Dicembre - con righe sui vari allarmi, paure, reazioni e restrizioni di vita locale. Resta comunque sufficiente quanto è stato trascritto nel secondo ‘quaderno’ e fogli successivi, per capire fatti e misfatti - piccoli e grandi - avvenuti in un periodo del quale parecchi non vorrebbero sentirne il racconto, dicendo quasi infastiditi: “É storia passata!”. Oggi torniamo ad interrogarci sulle tragiche radici di questi ultimi cinquant’anni per chiarire un presente ancora in conflitto. Nelle seguenti pagine di cronaca e storia di minore entità forse taluni si ritroveranno: nomi espressi sul calendario dei ‘tempi vivi’ e dei ricordi, ove le alterne vicende di una Città che visse, soffrì e risorse, furono soprattutto quelle di sue anonime genti che - a volte uguali a noi nel turbine e angosce di sfollati - le rimasero fedeli sino alla fine. Agonia di paese Parte prima Alcuni fogli sparsi del 1943 Il nostrano 25 luglio 26 luglio 1943 Questa mattina abbiamo appreso tramite la radio italiana e “Radio Londra” di quanto avvenuto ieri, a Roma, nella riunione del “Gran Consiglio del fascismo”. L’ “Ordine del giorno” presentato dal Ministro degli Esteri Dino Grandi, portante la mozione di sfiducia verso il duce e la richiesta delle sue dimissioni da capo del governo, metteva in minoranza Mussolini: di conseguenza il regime, con la sua caduta, veniva esautorato dalla guida della nazione. Per le strade di Fano non si vede alcun cittadino, - impiegato o insegnante, grosso “camerata” o anonimo ‘sottostante’ non tanto privo di camicia nera addosso, imposta soprattutto a qualsiasi dipendente dello Stato, quanto di ‘cimice’, il distintivo fascista inserito all’occhiello della giacca. I militari sono bloccati in caserma; fanno ‘servizio’ picchetti e ronde armate dell’esercito italiano secondo le disposizioni di Badoglio, nominato dal re al posto di Mussolini. Proibite riunioni di civili, è in atto il coprifuoco. Ateno Spezi (Fano, 1994) • La “cimice” del Partito Nazionale Fascista 28 luglio 1943 Un drappello di soldati autotrasportati comandati da un ufficiale munito di Settembre. Da questa data la snella campana quattrocentesca che da S. Michele a sera dava i bassi rintocchi per i nostri Caduti, ha cessato di far sentire la sua voce di preghiera. Rimane quella stridula, per allarme, della ‘sirena comunale’ a ricordarci che...“La guerra continua”. duplice foglio con ordine di requisizione, si è fatto aprire dal custode Lisotta -”Palano”- l’armeria del “Fascio” e della “GIL”, in via De’ Cuppis; ha caricato le varie armi da esercitazione ivi esistenti ed il materiale ausiliario per trasportare “il tutto” nel deposito-casamatta della locale “Caserma Paolini”. Analogo viaggio è stato fatto, con esito dubbio, verso la sede della “Milizia” in via Arco d’Augusto. Tre duri colpi per Fano 1943: ultimi di Settembre In questi giorni la città vede i primi ‘casati’ di cittadini abbandonare le loro nobili dimore sotto la minaccia dei bombardamenti aerei o navali. Diverse famiglie partono per Roma; altre verso i loro feudi non lontani. È anche uno sparire di qualche gerarca, spaventato dagli avvenimenti e dalla chiusura di istituzioni militari, culturali, ‘patriottiche’ sorte a Fano in tempi diversi. Già con ordinanza urgente del “Ministero della Guerra” datata 8 Giugno 1943, la “Scuola Allievi Ufficiali di Complemento” veniva dichiarata chiusa, ed i corsisti precettati. Successivamente le specifiche attrezzature finivano altrove ed il personale militare -escluso quello di stanza a Fanoritornava aggregato alle Sedi operative di appartenenza. Il “Collegio-Convitto Nazionale Nolfi” - che accoglieva giovani Dalmati, Istriani e di altre regioni d’Italia - alla fine di quest’anno scolastico è stato sospeso dalla sua quasi centenaria ‘attività formativa’. La chiusura del ‘Collegio bersaglieresco’ fa da corollario alla odierna forzata smobilitazione del ‘Campo di aviazione’, con lo spostamento in altre zone degli aerei, officine e uomini di questa invidiata “Scuola Allievi sottufficiali piloti di Aeronautica”, attiva dai primi di marzo del 1940 coi suoi velivoli da esercitazione ‘Breda 25’, R0-41, Saiman 202, F.N.3I5, ecc. Fano si avvia al definitivo letargo dopo il ‘lampo’ dell’8 7 Gennaio Venerdì. Allarme dalle 12,00 alle 12,30; dalle 19,20 alle 20,40; dalle 20,55 alle 22;05. Pranzo e cena in malora. Tutta la pace passata è stata “ripagata”. 8 Gennaio Sabato. Allarme dalle 10,15 alle 11,35; dalle 14,10 alle 15,20; dalle 20,20 alle 22,30. (Se si è mangiato a mezzodì, la cena, ahinoi, è stata pessima). 9 Gennaio Domenica. Allarme dalle 9,45 alle 12,30; dalle 12,35 alle 13,40; dalle 19,30 alle 21,35. Sorvolo di aerei nemici (Da tre giorni, tre allarmi pro-die). • La campanella di Palazzo San Michele Diario di guerra (anno 1944) Trascrizioni giornaliere degli allarmi dal 1° gennaio 1944 e dei vari bombardamenti subiti 1° Gennaio Sabato. Rispetto della “festività”: nessun allarme dalle nuove sirene cittadine. 2 Gennaio Domenica. Ancor oggi, festa. Due giorni consecutivi di pace: sembra davvero impossibile. 3 Gennaio Lunedì. Allarme dalle ore 14,00 alle ore 14,30. Primo del nuovo anno: la gente “se lo lega al dito”. 4 Gennaio Martedì. Allarme dalle ore 1 alle 3,30 del mattino. Bombardamento navale a Pesaro. La nostra Fano “sfolla”, temendo…uno sbarco dal mare. I tre cacciatorpedinieri nemici hanno riempito di panico la città, con piccole bordate a 12 Km. Allarme dalle 12,30 alle 13,30. 5 Gennaio Mercoledì. Nessun allarme. E’ bastata la “fifa”’ della notte trascorsa in piedi. I poveri morti di Pantano di Pesaro hanno interceduto per i comprovinciali fanesi. 6 Gennaio Giovedì. Epifania. Nessun allarme. I Magi vogliono libero il cammino in terra ed in cielo. 10 Gennaio Lunedì a notte. Allarme dalle 1,30 alle 2,30; dalle 11,00 alle 11,30; dalle 12,30 alle 14,15; dalle 14,25 alle 15,15; dalle 22,00 alle 23,15. Ventiquattro bombardieri e sei caccia di scorta, dopo le 14, mettono del timore addosso. Passano su Fano, virano sul mare e si allontanano verso Ancona. Sentiremo di lì a poco i boati del bombardamento. 11 Gennaio Martedì. Allarme dalle 14,00 alle 14,30; dalle 21,00 alle 23,30. I soliti ricognitori. 12 Gennaio Mercoledì. Allarme dalle 11,30 alle 11,45; dalle 12,20 alle 12,45; dalle 14,25 alle 15,15; dalle 21,00 alle 24,10 (Nulla in vista. Esplosioni lontane). 13 Gennaio Giovedì. Allarme dalle 12,00 alle 13,30; dalle 14,20 alle 15,10; dalle 15,35 alle 16,20. Cinque caccia nemici si sono abbassati a mitragliare verso Torrette di Fano. Un cavallaro e cavalli uccisi. 14 Gennaio Venerdì. Un po’ di riposo, dopo tanta tensione di nervi, non fa male (Giornata di...magro per le sirene comunali). Si “ripassano” i rifugi, a tema di peggior futuro. 15 Gennaio Sabato. Allarme dalle 12,00 alle 14,00; s’è fatto in tempo a buttar giù la pasta... per vederla scuocere, coi nervi tesi. 16 Gennaio Domenica. Notte. Allarme dalle 24,03 alle 2,15. Tre bombardieri leggeri nemici, dopo aver 64 sorvolato lungamente la città - e dopo 65 aver lanciato un solo razzo iniziale, hanno sganciato una ventina di bombe sulle case ed in periferia. Sei bombe al centro, tra Via Roma - Via Rainerio ed il cortile del Dopolavoro delle Forze Armate. Palazzi crollati e danneggiati. Una donna morta e due feriti, per l’Ospedale, lievi. Sei bombe in Borgata popolare di Viale A. Giuglini - C. Ciano. Case scoperchiate, feriti leggeri, per piccoli crolli interni. Nessun obiettivo militare o giustificabile vicino. Bombe lanciate a sei per volta, linearmente. Allarme dalle 12,30 alle 14,30; dalle 21,00 alle 22,30 (Sorvolo di apparecchi). Dalle 22,45 alle 24,00 circa, più aerei non precisati. Lo sfollamento dalla nostra città avviene febbrilmente dopo questa notte. Pure la campagna in quanto a bombe non viene risparmiata. Il clima si mantiene mite, e questa è davvero una fortuna per chi vive nelle stalle o nelle capanne. 17 Gennaio Lunedì. Allarme dalle 4,30 alle 4,45. Passaggio di aerei; allarme dalle 11,00 alle 11,40 (id. aerei); dalle 13,00 alle 14,00 (forte bombardamento lontano); dalle 14,20 alle 14,50. Il desinare non s’è fatto. La nebbia dal mattino alla sera ci rende... più tranquilli. Riepilogando: dal 1° al 17 gennaio vi sono stati 35 allarmi, più o meno brevi. Due morti e sei feriti in seguito ai bombardamenti. I negozi da giorni hanno incominciato a serrare le porte: resta difficile, in questi tempi, l’approvvigionamento. 18 Gennaio Martedì. Allarme dalle 2,45 alle 3,20. Gli aerei fra la nebbia, vorrebbero colpire, poi desistono! Allarme dalle 8,50 alle 9,10; dalle 12,50 alle 14,35; dalle 16,15 alle 16,50; dalle 19,45 alle 21,30. Passano aerei alle 20,00 circa: sono andati a bombardare Orciano (Quali obiettivi?). 19 Gennaio Mercoledì. Allarme dalle 11,45 alle 13,15. Trentaquattro aerei di passaggio verso l’interno, poi il ritorno dopo lo sgancio lontano. Allarme dalle 19,50 alle 21,20. Sei cannonate dal mare - o sul mare - verso Pesaro. Cacciatorpediniere in Adriatico, con “segnalazioni” bianche. 20 Gennaio Giovedì Finalmente riposo! Gabicce. Tremendo. Da Fano partono i soccorsi per Urbania.(*2) 21 Gennaio Venerdì. Allarme dalle 8,45 alle 9,20; dalle 9,35 alle 10,15 (passaggio aerei isolati); dalle 10,25 alle 11,25, dalle 12 alle 14,35, aerei ancora isolati; rombi lontani, aerei tedeschi verso il Nord. Dalle 21,30 alle 22,15 fortissime esplosioni verso Pesaro. La polveriera di Montecchio è stata fatta saltare (?) con danni gravissimi attorno (*1). 24 Gennaio Lunedì. (Notizie da Urbania: amici del “Sant’Arcangelo”. Lassù, 200/250 morti attorno alla chiesa, dopo la messa). Allarme dalle 12,05 alle 12,30; dalle 13,10 alle 14,05. Intervalli ed allarmi sino alle 21,30. Ricognitori su Fano, alternati. gio ricognitori. Allarme dalle 10,30 alle 13,15: passaggio di apparecchi in formazione, lontani sul mare ascendenti verso Ancona (200 aerei?) e caccia isolati; molti bombardamenti lontani. 29 Gennaio Sabato. Allarme dalle 11,00 alle 13,25. Bombardamento forte, lontano. Alle 12,50 passaggio lontano, sul mare, di un centinaio di apparecchi diretti verso Ancona. Allarme dalle 14,40 alle 15,15 (Sei aerei, bassi, all’ improvviso) e dalle 21,15 alle 21,50, dalle 22,20 alle 23,50. Passaggio numerosi aerei. 8 Febbraio Martedì. Allarme dalle 8,55 alle 9,30; dalle 11,50 alle 13,00 ( Bombardamento lontano), dalle 20,15 alle 22,00 - passaggio aerei ricognitori - ; lancio di bengala e spezzoni attorno Fano. Danni ad abitazioni ed uccisione di bestiame: due buoi ed un asino alla ‘Galassa’. Tempo piovoso, minaccia di temporale. Muore “La Giulia”, tipica fanese. (*3) 30 Gennaio Domenica. Allarme dalle 10,35 alle 12,30. Passaggio aerei, bombardamento molto ‘lungi’ (Anche dopo il cessato allarme, rombi lontani). Allarme dalle 14,15 alle 15,00. Allarme dalle 21,15 alle 21,50; dalle 22,10 alle 24 e qualche minuto. • Montecchio dopo l’esplosione della polveriera 22 Gennaio Sabato. Voci di persone giunte da Pesaro dicono che vi è stata una esplosione continua di mine e polveri da fuoco nel deposito coperto da pini a mimetizzare, adibito ai lavori di fortificazione della “Gotica”, e causata, forse, da un vicino bivacco di militi a guardia. Da qui l’estensione dell’incendio ed il ‘salto’ della polveriera. Altre voci sono per un attentato di partigiani. Il paesino di Montecchio, totalmente squarciato, viene quasi dimezzato di abitanti fra morti e feriti. Ansie per mia sorella e famiglia ivi sfollata. Allarme dalle 9,25 alle 9,50; dalle 11,30 alle 14,50. Passaggio di ‘ricognitori’; bombardamento lontano (Gli “Alleati” sbarcano ad Anzio: le notizie via radio ancora si ricevono di nascosto). 23 Gennaio Domenica. Allarme dalle 7,25 alle 7,35; dalle 10,30 alle 11,25 (sorvolo aerei); dalle 11,45 alle 14,00. Forte bombardamento lontano di aerei, una quarantina passati prima su Fano. Allarme dalle 18,45 alle 20,15 (tre razzi rossi lontani); dalle 21,15 alle 22,00. Il bombardamento udito verso le ore 12,30 era su Urbania e S. Maria di • Ad Urbania dopo il bombardamento ci sono anche i Carissimi fra i soccorritori 25 Gennaio Martedì. Allarme dalle 6,10 alle 7,15. Tre passaggi di ricognitori mattinieri. 26 Gennaio Mercoledì. Allarme dalle 18,00 alle 19,00. Razzi verso Marotta e lampi ad intermittenza. Sorvolo di aerei a bassa quota, in ampi giri, con centro Ponte Metauro (?). Coprifuoco alle ore 19,00. Militi sguinzagliati alla ricerca di presumibili paracadutisti lanciati dagli aerei nemici. Spari con moschetti e bombe a mano. Allarme dalle 20,05 alle 21,45. Passaggio di aerei. 27 Gennaio Giovedì. Allarme dalle ore 4,30 alle 4,45 (Verso le 6,00/6,30 passaggio di aerei, ma senza segnali di allarme). Allarme dalle 11,00 alle 12,00. Passo di aerei isolati. Dopo il cessato allarme, forte bombardamento lontano. Allarme dalle 12,18 alle 12,55; dalle 13,20 alle 14,10; dalle 19,15 alle 21,45. 28 Gennaio Venerdì. Allarme dalle 2,10 alle 2, 50: passag- 31 Gennaio Lunedì. Allarme dalle 1,20 alle 2,50. Navi si largo. Attentato a Fosso Sejore, nella nottata (Tratto ferroviario sul ponticello, fatto saltare da tre ignoti con cariche di dinamite. Transito interrotto). Allarme dalle 10,30 alle 11,00. Passaggio aereo. Allarme dalle 11,25 alle 13,55. 1° Febbraio Martedì. Allarme dalle 11,07 alle 11,20; dalle 12,40 alle 12,55; dalle 13,12 alle 13,35. Spezzonamento (?) verso Ancona. 2 Febbraio Mercoledì. Riposo. Bella giornata di sole. 3 Febbraio Giovedì. Allarme dalle 11,45 alle 13,20. Passaggio di ricognitori? 4 Febbraio Venerdì. Riposo: si gode il sole ed il tempo “primaverile”. 5 Febbraio Sabato. Allarme dalle 8,25 alle 9,05. 6 Febbraio Domenica. Allarme dalle 6,15 alle 7. Passaggio di numerose formazioni verso Nord. Allarme dalle 9,45 alle 10,10. 7 Febbraio Lunedì. Allarme dalle 13,22 alle 14,00. 14 Febbraio Lunedì. Nevica. Allarme dalle 12,35 alle 15,15. Passaggio forti aliquote di bombardieri e caccia. Bombardamento lontano e scariche, vicine, di mitraglia. 15 Febbraio Martedì. Ore 2,15: passaggio di aerei, bassi, poi… l’allarme, fino alle 9,50. Alle 18,30 giro su Fano di tre apparecchi, bassi, in picchiata, come alla ricerca di qualcosa (Non scatta alcun allarme). Fifa sino alle 19,00. Di nuovo apparecchi sulla città sino alle 20,20, con allarme, sino alle 20,45. Bombe verso S. Costanzo e Monteschiantello. 16 Febbraio Mercoledì. Allarme alle 11,35 sino alle 12,00. Bombardamento lontano. Allarme dalle 12,15 alle 13,20; dalle 18,55 alle 19,15; dalle 20,30 alle ...(mi sono addormentato, stracco da buttare). • La “Giulia” popolare venditrice di castagne 9 Febbraio Mercoledì. Ore 6,30: passaggio di aerei. Fulmini e tuoni contemporanei fanno sobbalzare la gente. Sembra un grosso bombardamento, questo secco temporale su Fano. Allarme dalle 16,15 alle 16,38. (Il mio cronometro dà minuti e secondi precisi: è uno strumento che porto addosso dal periodo della attività sportiva, quando ero giudice-arbitro nazionale della FlDAL). 10 Febbraio Giovedì. Tempo cattivo. Riposo. Cannonate sul mare. 11 Febbraio Venerdì. Tempo piovoso. Freddo. Qualche spruzzata di neve (Pesaro: bomba contro auto tedesca). 12 Febbraio Sabato. Ore 15,40 passaggio di un apparecchio nemico, senza che vi sia allarme nel tempo debito. Freddo. 13 Febbraio Domenica. Ore 21,00: passaggio di aerei: anche oggi senza allarme. Alle 22,00 sino alle ore 23,50, allarme per sorvolo e giro turistico sulla città. Ritorna a nevicare, restiamo tranquilli. 17 Febbraio Giovedì. (Grasso) Nulla. La gente “frigge”; in certe case si balla; il “Municipio” concede la mezza festa. Senza commenti. 18 Febbraio Venerdì. Nulla da segnalare. Bombardamento assai lontano, senza allarme cittadino. 19 Febbraio Sabato. Il solito ricognitore serale. Null’altro all’ infuori di un poco di neve, al mattino (Meglio delle bombe). 20 Febbraio Domenica. Ore 1,45 di notte. Passaggio di aerei pesanti (Senza allarme: ma dormono per noi?). Allarme dalle 11,30 alle 12,30. Alle 16,00 passaggio di apparecchi in grosso numero sul mare, verso Ancona. Il coprifuoco resta alle ore 20,00. Notizie: la calma di questi giorni da noi, si identifica con la forte battaglia di Nettuno, ove i germanici tentano di ricacciare in mare gli anglo-americani. 21 Febbraio Lunedì. Allarme dalle 12,00 alle 12,30. Passaggio di un apparecchio; allarme dalle 17,00 alle 17,10. Passaggio e volteggio di un aereo su Fano dalle 21,30 alle 22,30. Finalmente....l’allarme sino alle 23,15. 22 Febbraio Martedì. Dal mattino nevica, sempre più fitta- mente. Allarme a martello (non funzio- 66 na la sirena) dalle 10,40 alle 11,30: la 67 chiusura con la sirena, essendo ritornata la corrente elettrica. 23 Febbraio Mercoledì. Neve al mattino. Allarme a martello dalle 23,15 alle 24 e 16 minuti oltre. Passaggio aerei su Fano. 24 Febbraio Giovedì. Allarme dalle 9 alle 9,35, quando già un aereo era passato su di noi. Poi dalle 15,30 alle 15,45; dalle 19,40 alle 20,40. Alle ore 23,15 passaggio di aerei, bassi, senza allarme. (Vatti a fidare di chi è preposto ad avvisarci....). 25 Febbraio Venerdì. Allarme dalle 9,15 alle 9,25, dalle 11,13 alle 11,27. 26 Febbraio Sabato. Riposo. Davvero: “sabato inglese” (Ma gli apparecchi sono passati, al largo sul mare, senza che venisse dato l’allarme). 27 Febbraio Domenica. Riposo. Finalmente possiamo andare al cinematografo, senza batticuore dopo un paio di mesi. Tempo buono, primaverile. Durerà? Allarme dalle 11,13 alle 12,10. 28 Febbraio Bisestile. Martedì notte, passaggio di aerei provenienti dal mare; altri girano su Fano, senza che i nostri diano l’allarme; ore 23,00 circa: ho l’orologio sul comodino e non posso accendere la luce per vederlo. 1° Marzo Mercoledì. A differenza di ieri, ultimo giorno in Febbraio con giornata primaverile (18 gradi), stamane piove; fa freddo; lampi e tuoni. Allarme dalle 9,20 alle 9,30. Bombardamento lontano, che si confonde con i tuoni del maltempo. Vi è da fidarsi delle sirene? 2 Marzo Giovedì. Allarme dalle 9,20 - come ieri - alle 9,45. Seguita il maltempo; 6 gradi, e non è poi tanto freddo. Allarme dalle 11,30 alle 12,00 e dalle 13,30 alle 13,57. Viene il sole. Si sente bombardare Ancona. Bombardamento, pare, alle 15,30 circa. Non c’è allarme da noi. 3 Marzo Venerdì. Tempo buono. Allarme dalle 9,25 - more solito - alle 9,35; dalle 10,30 alle 11,15. Passaggio lontano di aerei. bombardamenti attorno. Allarme dalle 15,35 alle 16,53. Bombardamento lontano, apparecchi isolati. Drappo rosso alle “Scuole L. Rossi”. 4 Marzo Sabato. Pioggia nel pomeriggio (d’acqua). Allarme 15,40 - 11,15. Passaggio lontano di qualche aereo. 12 Marzo Domenica. Nulla; tempo buono. Vi sarete chiesti perché segno, di fianco alla data, i giorni della settimana? Semplice: Non ho più il calendario per guardare e questa trascrizione mi ‘conduce’ egregiamente. 5 Marzo Domenica. Piove continuamente, tutta la giornata e nella notte. 6 Marzo Lunedì. Piove come sopra. Non si ha affatto voglia di declamare la poesia di D’Annunzio “La pioggia nel pineto”, perché i nostri poveri pini marittimi sono ridotti a pezzi, dalla Arzilla al Metauro. 7 Marzo Martedì. Pioviggina. Allarme dalle 9,00 alle 9,20. Il solito amico ricognitore, basso, verso Ancona. 8 Marzo Mercoledì. Pioviggina, fa freddo. Forte esplosione alle 10,35: dove? Un attentato? Mio cognato lo afferma. 13 Marzo Lunedì. Allarme dalle 7,50 alle 8,25. Passaggio ricognitori. Allarme dalle 10,55 alle 12,10. Bombardamento forte, lontano. Cessato l’allarme ancora si sentono i bombardamenti (Vatti a fidare delle segnalazioni!). Nuovo allarme dalle 13,10 alle 14,20 e dalle 16,40 alle 17. 14 Marzo Martedì. Allarme dalle 9,00 alle 9,40, dalle 15,00 alle 15,20: passaggio solito di ricognitori. Nella notte, passaggio di altri aerei, senza che vi sia allarme. 15 Marzo Mercoledì. Allarme dalle 8,05 alle 8,45. 16 Marzo Giovedì. Allarme dalle 11,05 alle 11,35. 17 Marzo Venerdì. Allarme dalle 11,30 alle 12,10. 18 Marzo Sabato. Allarme dalle 11,00 alle 13,00. (Bombardamento a Foligno, molto sentito). 20 Marzo Domenica. Allarme dalle 20,05 alle 20,45. Aerei. • Scritte fasciste sui muri di Fano 9 Marzo Giovedì. Riposo. Bombardamento lontano. Nella notte, sparatoria intensa; scritte sui muri di case cittadine. 10 Marzo Venerdì. Bel tempo. Allarme dalle 22,45 alle 23,45. Nella notte, passaggio di aerei, bassi. Sparatoria verso Piazza d’Armi con lancio di bengala. Bandiere rosse al pennone dei giardini Roma (Pincio). 11 Marzo Sabato. Allarme dalle 7,20 alle 7, 55; dalle 8,35 alle 9,15.Passaggio di ricognitori; forti 20 Marzo Lunedì. Allarme dalle 9,30 alle 10,15. Ricognitori. 21 Marzo Martedì. Allarme dalle 12,00 alle 12,15. Ricognitore e cannoneggiamento lontano, oltre a bombardamento aereo. Allarme dalle 13,45 alle 15,00. 22 Marzo Mercoledì. Allarme dalle 13,00 alle 14,20, poi dalle 14,25 alle 17,30. Passaggi di forti aliquote di una divisione aerea da bombardamento e caccia, sul mare e città. Bombardamento intenso oltre Pesaro. L’Artiglieria contraerea pesarese in azio- ne; così a Rimini ed oltre. Allarme dalle 20,25 alle 23,45, con passaggio di altre formazioni sul mare (Verso Padova, già bombardata). Molta gente, durante il giorno, è scappata nelle nostre campagne. 23 Marzo Giovedì. Allarme dalle 16,30 alle 17,30. Bombardamenti verso Ancona. Allarme dalle 21,00 alle 22,15. 6° bombardamento: apparecchi su Fano. Bombe a Ponte Metauro e mitragliamento da parte di un apparecchio. Passaggio di autocolonne militari verso Ancona. 24 Marzo Venerdì. Allarme dalle 9,55 alle 10,27, dalle 11,25 alle 13,37. Passaggio di un centinaio di quadrimotori su Fano. Bombardamenti poco oltre Pesaro e verso Senigallia ed Ancona al ritorno. (Anche Carignano, Lucrezia, Cartoceto, sotto le bombe di frangia; la contraerea di Pesaro spesso in azione). Fifa a ripetizione anche questa volta. Allarme dalle 14,15 alle 14,45, contemporaneo al passaggio su Fano -provenienti dal mare - di undici bombardieri e sei caccia, i quali sganciano bombe a Ponte Metauro (e siamo al settimo!). Altro “spaghetto”! Due donne gravemente ferite, oltre a bestiame da stalla. Parecchie case colpite o lesionate dalle oltre cento bombe. I ponti stradale e ferroviario intatti. Allarme dalle 20,50 alle 22,00. Passaggio ricognitori. 25 Marzo Sabato. Passaggio di aerei, senza allarme, al mattino, ore 8,00. Allarme dalle 11,35 alle 12,05; dalle 13,55 alle 15,00. I soliti ricognitori. 26 Marzo Domenica. Allarme dalle 8,45 alle, 9,10, dalle 10,10 alle 10,40. Passaggio di ricognitori. Allarme dalle 12,15 alle 13,50. Sorvolo di 19 apparecchi; la contraerea di Pesaro in azione. Al ritorno, dei bombardieri danno sgancio su Pesaro ed oltre. Allarme dalle 19,55 alle 20,55. Passaggio di formazioni verso Bologna. Ed anche nella notte, idem. 27 Marzo Lunedì. Allarme dalle 7,00 alle 7,15; dalle 8,00 alle 9,15 (Apparecchi già passati). Due caccia verso Ancona. Allarme dalle 10,15 alle 11,20. Quasi immediata (8° bombardamento) la presenza di nove bombardieri su Fano, ma sganciano bombe a sud dell’ aeroporto-pineta Ponte Metauro; sono le 10,20 precise, altre formazioni bombardano Pesaro o paraggi. Allarme dalle 16 alle 16,20; apparecchio ricognitore già passato. Dalle 20,30 alle 21,15 idem. Nella notte alta, lontano passaggio di aerei verso il Nord. 28 Marzo Martedì. ...(due parole illeggibili causa l’inchiostro scolorito)...Poi: ...3 apparecchi. .. ore 7,35….illeggibile…. sul Metauro mitragliano lanciano (9° bombardamento) grosse bombe a scoppio ritardato sul Ponte. Molto panico ed allarme... alle 7,40 tutto era stato fatto, prima della sirena. Cessato allarme alle 8,00. Allarme dalle 10,45 alle 13,55, quando un aereo già si era allontanato. Lontani bombardamenti verso l’Umbria ed Ancona. Nelle tre ore dell’allarme, passaggio di varie formazioni in andata e ritorno sul mare e su Fano. 29 Marzo Mercoledì. Notte; allarme dallo 0,5 all’1,15. Passaggio di formazioni. Allarme dalle 10,50 alle 12,15. Passaggio di oltre 150 bombardieri a stormi e caccia su Fano, diretti verso la Toscana sulla via indicata dal mare su per il Metauro. Altre formazioni dal mare, al di là di Pesaro. Si sente la contraerea pesarese in azione. Subito dopo allarme, dalle 12,20 alle 13,50; altri apparecchi in ritorno. Bombardamenti lontani, oltre l’Appennino. Allarme dalle 20,30 alle 22,05. (C’è la luna).Tre apparecchi in volo di molestia (!) sulla città. Lanciano razzi illuminanti ed una decina, circa, di bombe a Ponte Metauro: colpita in parte la ferrovia da questo undicesimo bombardamento. Allarme dalle 22,25 alle 23,00. Passaggio aereo. 30 Marzo Giovedì. Cielo semicoperto, fa ancora freddo. Allarme dalle 12,15 alle 13,00. Passaggio di aerei, mitragliamento verso Calcinelli. Arrivano due feriti gravi all’Ospedale di Fano. (Tutte le notizie dell’Ospedale mi vengono passate da mio padre, in radiologia). Allarme dalle 13,20 alle 13,50; dalle 14,50 alle 15,10. Il solito ricognitore, che passa al cessato allarme. Dalle 16,00 alle 17,15 undici bombardieri a tuffo, con quaranta bombe a scoppio ritardato, sulla ferrovia del Ponte Metauro. Poi mitragliamento. Pochi danni alle strutture portanti. È il 12° bombardamento su Fano. 31 Marzo Venerdì. Allarme dalle 6 alle 6,55. Venticinque aerei verso ....(illeggibile..) e Lucrezia, già passati anticipando l’all’arme, ripetuto dalle alle 21. 1° Aprile Sabato. (scherzo ignobile). Allarme dalle 6,32 alle 7,15. Aerei bassissimi, da intontirci e farci scoppiare il sangue. Anche questa è una forma sadica di “destabilizzazione”? Dalle 8,15 alle 8,37 e dalle 19,55 alle 23,20, allarmi per passaggi d’aerei. 2 Aprile Domenica. Già aerei sulla testa, senza allarme, e presto. Allarme dalle 9,10 alle 10,20; dalle 10,25 alle 11, 20. Alle 10,40, 25 apparecchi trimotori sganciano a singole ondate bombe sul Ponte Metauro-ferrovia. Bombe anche a scoppio ritardato con passaggi molto bassi. Questa volta, al 13° bombardamento, purtroppo il ponte viene colpito. Allarme dalle 11,35 alle 12,00: aereo già passato; dalle 12,25 alle 13,50, idem, passato. Dalle 14,05 alle 14,30, come sopra. Dalle 15,00 alle 15,20 con allarme quasi tempestivo (?); dalle 16,05 alle 17,30; dalle 19,55 alle 22,30; dalle 22,45 alle..?.. Record, sino ad oggi, degli allarmi, 8 nella giornata. 3 Aprile Lunedì. Allarme dalle 4,10 alle 4,50 e dalle 9,00 alle 10,07. 14° bombardamento. Apparecchi a tuffo e caccia sganciano prima le bombe sul ponte Metauro (strada e ferrovia, spazzando totalmente una arcata ferroviaria) quindi iniziano il mitragliamento alla stazione ferroviaria e scalo merci, su vagoni carichi di paglia, cavalli e materiale militare tedesco, incendiandone alcuni; poi mitragliamento del Mattatoio civile e dell’aeroporto. Allarme dalle 13,10 alle 13,50. Due aerei bassi sulla zona dal Ponte alla Stazione. Dalla esplosione alle 8,20 di bombe nella Caserma Paolini, risultano una decina di soldati feriti, quattro gravi all’Ospedale: per “attentato” (?). Più verosimilmente per disgrazia nel trasporto o imprudenza nel maneggiare le casse dai ricoveri ai camion, secondo alcune frasi uscite di bocca ai militari e raccolte da mio padre 68 mentre scattava loro radiografie sulle 69 parti colpite. 4 Aprile Martedì. Allarme dalle 9,00 alle 9,15; dalle 9,59 alle 10,12; dalle 11,15 alle 11,45. Nessun apparecchio in vista (Ma uno era già passato, verso le 8,00 del mattino). 5 Aprile Mercoledì. Cielo coperto. Allarme dalle 8,10 alle 8,35; dalle 11,00 alle 12,00; dalle 13,25 alle 14,20 (il solito fotografo aereo); dalle 15,10 alle 15,55. Passaggio di formazioni al mare. E passaggio, poi, di altre formazioni verso Ancona, senza allarme. Coprifuoco alle ore 19,00 come per i polli (Fino alle 20,20, ora legale, ci si vede ancora). 6 Aprile Giovedì. Allarme dalle 12,20 alle 12,40. Dalle 15,25 alle 15,55. Bombardamenti lontani, verso Jesi (?). Passaggio di formazioni aeree sul mare. 7 Aprile Venerdì. Allarme dalle 12,20 alle 12,55. Passaggio di aerei verso Ancona e ricognitore su Fano, alto tra la nebbia. Udiamo colpi e bombardamenti lontani. Alle 13,15, d’improvviso, una grande formazione vira su Fano-Molino Albani e Piazza d’Armi - e sgancia grosse bombe da cinque quintali sulla zona del Ponte Metauro - strada nazionale - abbattendo numerose case ai lati della via e nelle stradette adiacenti, soltanto a 100 metri dal Ponte. Nessuna vittima da quei diciannove aerei. L’allarme viene dato dopo lo sgancio delle bombe. (C’era fitta nebbia). Il cessato allarme alle ore 15,00. E con questo, siamo a 15 affettuosi ricordini anglo-americani. Il coprifuoco sempre alle ore 19,00. 8 Aprile Sabato (vigilia di Pasqua) Allarme dalle 10,30 alle 11,15; dalle 11,50 alle 12,15 (Nell’aeroporto, esplosioni di mine, previo avviso. Si interrompono le piste con buche ed altro). Allarme dalle 13,15 alle 13,30. Un ricognitore da Pesaro ad Ancona. La contraerea di Pesaro spara due colpi. Il cielo si chiude, pioviggina. Mantenimento del coprifuoco. 9 Aprile Domenica. Pasqua 1944. Nella notte, forti esplosioni verso Ponte Metauro. (Cannoneggiamento dal mare contro Ancona). Allarme dalle 7,45 alle 8,40. Passaggio di aerei. Verso le 11,00, esplosioni lontane. Bombardamenti? Passaggio di apparecchi sul mare, lontani. Pasqua col coprifuoco sempre alle 19,00. Piove. Allarme dalle 22,40 alle 23,45. Bombe lontane. 10 Aprile Lunedì da ricordare. Cielo sereno. Allarme dalle 9,45 alle 10,20. Passaggio di aerei verso Ancona. Al cessato allarme forte bombardamento lontano, prolungato (Vatti a fidare delle segnalazioni!) Allarme dalle 11,45 alle 12,20. Passa un aereo: spaghetto. Allarme dalle 13,30 alle 14,45. Una decina di bombardieri in picchiata e caccia sganciano una quarantina di bombe a Ponte Metauro-Ferrovia. Altre quattro arcate di centro abbattute (totale otto, con l’altra, di ieri, sulla ferrovia). Poi, mitragliamento alla Stazione ferroviaria, sui militari fuggiti per gli orti, ai vagoni in attesa, ecc. Nessuna vittima; nessun ferito all’Ospedale; un camion incendiato sul P. Metauro. Poche abitazioni sforacchiate. Allarme dalle 16,00 alle 16,30. Alle 18,15 passaggio di un aereo, basso, sul mare verso Ancona. Ricognitore? Fifa per domani. (Il coprifuoco sempre alle ore 19,00). Sparatorie dalle 19,45 delle solite pattuglie (o incoscienti o sparafantasmi). Sesto allarme dalle 21,35 alle 23,00. Passaggio di un apparecchio a bassa quota. Nella notte, forti esplosioni, distanziate di un’ora una dall’altra, verso Ponte Metauro. (Attentati o bombe a tempo?). 11 Aprile Martedì. Tempo sereno. Allarme dalle 1,30 alle 2,20 poi dalle 7,35 alle 8,30. Passaggio di aerei, sul mare, in formazione verso nord. Allarme dalle 9,15 alle 10,15 (Bombardamento verso Falconara-Ancona), prolungato. Subito dopo altro allarme dalle 10,20 alle 11,15; già passato il ricognitore. Bombe lontane. Allarme dalle 13,00 alle 13,30; dalle 14,40 alle 16,20; dalle 17,00 alle 17,40; dalle 18,30 alle 18,50; dalle 21,30 alle 23,30. Totale nove allarmi nella giornata. 12 Aprile Mercoledì. Allarme dalle 0,30 alla 1,00; dalle 2,30 alle 3,35. Bombardieri su Fano, a molestia: bengala, spezzoni incendiari e bombe a Ponte Metauro e dintorni. Un pezzo d’arcata del ponte stradale colpito e demolito; una capanna incendiata. Paura. Allarme dalle 7,20 alle 7,35 - ricognitore -; dalle 10,15 alle 11,25; dalle 12,05 alle 13,40; dalle 14,15 alle 14,35; dalle 16,22 alle 17,00; dalle 17,30 alle 18,10. Passano ricognitori; bombardamento lontano. All’aeroporto fanese esplodono mine per far saltare il campo e costruzioni. Il coprifuoco è sempre alle 19,00. Allarme dalle 21,30 alle 24,00. Passaggio di infinite formazioni pesanti, nei due sensi, verso le 23,25. Fifa a ripetizione, in noi, sotto le volte sotterranee dell’Ospedale civile. 13 Aprile Giovedì. Nella notte, altri passaggi di aerei pesanti, senza, però, allarme locale. Cielo sereno. Allarme dalle 9,20 alle 10,05; dalle 10,45 alle 11,20 ( È il ricognitore solito, ormai familiare, dato che il pilota è uscito da un Corso allievi-sottufficiali A.A. di Fano). Allarme dalle 18,55 alle 19,15; dalle 21,20 alle 21,45. Nella giornata, bombardamenti lontani ed assai forti. 14 Aprile Venerdì. Cielo nebbioso; freddo. Allarme dalle 7,05 alle 7,55; dalle 9,00 alle 9,30; dalle 21,30 alle 23,50. Sorvolo di apparecchi e getto di alcune bombe. 15 Aprile Sabato. Allarme dalle 6,30 alle 6,45 (Ricognitori). Ancora dalle 9,30 alle 11,10 (bombardamento lontano); idem dalle 15,20 alle 17,00. Bombardieri su Fano, in varie formazioni, sganciano nella zona di “Sottomonte”- Stazione Ferroviaria - Molino Albani - Consorzio Agrario-Sottostazione Piazza d’Armi - Dopolavoro “Duca D’Aosta”. Case distrutte e lesionate gravemente. Morti e feriti in alto numero con questo 19° bombardamento e mitragliamento a bassa quota. Purtroppo anche la casa del sottoscritto, in Piazza d’Armi 2, è stata colpita in alcune strutture. Diverse bombe inesplose ed altre a scoppio ritardato: quest’ultime per aumentare vittime e spavento. Allarme dalle 17,10 in poi, a martello. Passaggio di aerei, senza sgancio (Risultano colpite anche le zone attorno all’Ospedale ed Ospizio Cronici, con bom- be da una tonnellata circa; altre, fuori Fano, esploderanno a notte). 16 Aprile Domenica. Lavorio febbrile nello sgombero di macerie in ville e case abbattute. Si cercano altre presumibili vittime, mancando tre persone al conto. Si sgombera anche la città dei rimasti fanesi. Molti, precettati per ragioni di attività assistenziali, logistiche, religiose, debbono rimanere in sede. Proseguono le esplosioni di bombe a scoppio ritardato. Si vocifera su getto di materiale vario e piccolo (matite, penne, orologini, ecc.) per colpire gli incauti raccoglitori. É propaganda? Per cause varie e comprensibili il mio “Diario” sintetico cessa con questa data. Prenderò appunti volanti con l’intento di batterli poi a macchina, a fine guerra. Sto ancora cercando il “Diario” del 1943 anche se dubito di averlo smarrito (?) durante un allarme e fuga con gente addosso, tra via Vittorio Veneto ed i sotterranei dell’Ospedale Civile. 1944; gli sfuggono così due episodi: il gravissimo bombardamento del 17 aprile 1944 quando le bombe sganciate da dodici Marauders sud africani, scortati da sei Spitfires, colpirono duramente via Nolfi. Fra gli edifici colpiti la filanda Solazzi, la vecchia sede delle Maestre Pie Venerini, la farmacia S. Elena che si trovava nell’Istituto tecnico commerciale (ex ospedale di S. Croce), il portico e la chiesa di S. Croce. Fu colpita anche la chiesa di S. Agostino dove crollò il soffitto. Secondo episodio il 30 aprile 1944 quando nel tardo pomeriggio due partigiani lanciarono due bombe nella caserma Paolini dal cancello di via Negusanti. Tredici soldati della RSI furono feriti: uno, abbastanza gravemente. Il giorno dopo, fasciati e incerottati, li fecero sfilare lungo il Corso, affinché tutti si rendessero conto dell’attacco “terroristico” (c.m.). • Bombardiere Marauders Note parte prima *1) In effetti il 21 gennaio 1944, intorno alle 21.10, la borgata di Montecchio fu semidistrutta dallo scoppio accidentale di mine ed esplosivi. A tutt’oggi non è accertato il numero delle vittime, che secondo i testimoni e i ricercatori furono almeno una trentina. *2) Domenica 23 gennaio 1944, alle 12.42, mentre i fedeli uscivano dalla messa in cattedrale, Urbania subì un devastante bombardamento da parte dell’aviazione statunitense. L’effetto fu disastroso, grappoli di bombe caddero tra la folla, altre colpirono il centro storico che per buona parte venne distrutto: le vittime furono più di 250 (alcune famiglie decimate) e 515 i feriti (su una popolazione di nemmeno 6.000 abitanti); i danni agli edifici privati e pubblici enormi (284 abitazioni distrutte, oltre 1500 danneggiate). Rasi al suolo gran parte di corso Vittorio Emanuele, la via principale della città, insieme a palazzi antichi e loggiati rinascimentali, oltre ad alcuni edifici pubblici e di culto, fra cui un’ala del cinquecentesco Palazzo Ducale e la chiesa dello Spirito Santo. Fra i primi instancabili soccorritori, il vescovo Giovanni Capobianco, il clero locale e i Carissimi di Fano, i Fratelli delle Scuole Cristiane del Collegio S. Arcangelo che erano sfollati ad Urbania. *3) Giulia Battistelli, popolare venditrice di castagne. Era stata la balia del pilota fanese Walter Omiccioli, asso della caccia. Il diario di Ateno Spezi si ferma al 16 aprile Parte seconda il molino albani Fano, 18 Aprile 1944 Ieri è cominciato l’assalto al Molino Albani da parte della popolazione. Alle 18,00 l’incendio crepitava nella zona destra dell’edificio. Il fumo, alzatosi di colpo dal grande silo di cemento, s’era aperto per distendersi nel cielo azzurro. Gli operai e i tedeschi di guardia stavano fermi nel piazzale di centro, indecisi o incapaci di ogni reazione. Dalle colline gli sfollati potevano distinguere la sagoma del grigio complesso e quel fumo, poi biancastro, allungarsi pigramente verso il Metauro col vento dell’Alpe. I vigili del fuoco erano accorsi - quei pochi rimasti - un’ora dopo. Dovettero girare oltre i fabbricati colpiti, scavalcando massi e buche provocati dalle bombe del sabato avanti. I macchinari ardevano unitamente alla farina insaccata ed al grano sparso attorno. Chi passava sollecito - dei rari che potevano passare di fronte - osservava sgomento. Alcuni uomini entrati nel retropiazzale, tra le macerie di cinta, si erano avvicinati prima indecisi verso i sacchi di grano e farina, gettati fuori nello sgombero di salvezza, poi, al sorridere dei tedeschi indifferenti e nell’inutile fatica dissuasiva degli operai e vigili, di furia a buttarsi sui mucchi indenni per mettere a spalla il peso che potevano rapidamente trasportare. Il bianco pennacchio chiamava i lontani. Alla foce di una insperata agonia scendevano e affluivano violenti e rissosi i fanesi, i borghigiani, il bracciantato oscuro, molti dei poveracci che del grano e della farina stavano perdendone sapore e sazietà. L’allarme aereo non spaventava anime sorde; e nemmeno la minaccia di crolli o di fuoco incuteva paura. Avevano racimolato o portato carriole, carrette, biciclette, sacchi e zaini; o usavano la loro schiena. C’erano pure donne discinte sudate bercianti - e ragazze: quelle a mala-copia di un anno avanti, allora a passeggio invidiate e ‘signorili’ lungo il Corso di Fano. Il Molino, chiuso da mesi, si offriva improvviso, verso a coloro che nella nebbia di guerra lo avevano isolato entro una cinta ferrata. Discesa la sera erano ancora varie le ombre degli ultimi accorsi, nonostante il coprifuoco in atto. Domani, o dopodomani al massimo, non ci saranno più le impazzite formiche bi- 70 pedi nelle bruciate viscere. Resteranno 71 le sparse macerie di case - larve di umani - e null’altro! Poco lontano, verso Piazza d’Armi, anche il complesso del “Consorzio Agrario” subiva lo stesso assalto di gente scesa a febbrili razzie di granoturco, accatastato nei capannoni poco o nulla vigilati. Da una finestra scassata di casa posta di fronte al Molino, osservavo gesta e volti per trarne cronaca. Era purtroppo il giorno d’un abbandono forzato, con i miei, dopo il ‘preavviso’ di sabato 14 scorso; quando mia madre e mio fratello rimasero bloccati nel rifugio di famiglia, sotto strati di tufo e terriccio, per l’improvviso bombardamento aereo dal mare al Molino, agli orti di Giommi e Pierini (Pirìn), ove sorgono le nuove modeste abitazioni su gli alzi a sinistra della Statale Adriatica. 22 Aprile 1944 Oggi, 22 aprile 1944, sperduto fra l’ anonime genti sfollate e sofferenti per la guerra, è morto il concittadino M° Mezio Agostini, già direttore del Conservatorio Musicale “Benedetto Marcello di Venezia”. Colpito da emiplegia nel 1938, non si era più rimesso in salute. Aveva 69 anni. (*1) • Mezio Agostini, dipinto di Ateno Spezi (1940) Il 1o maggio col palloncino rosso 1o Maggio 1944 Nonostante la guerra un po’ d’aria festaiola v’è ancora a spirare sul viso e nel desiderio di certuni. Anziché andare per rifugi da sfollati ora si va per campi con l’intento di pasteggiare al verde Maggio. Io e Fride, nella imminenza del nostro matrimonio, andiamo invece alla cerca d’un paio di camere e cucina. Su, verso Centinarola o Rosciano. Via Fanella è una stradina nascosta, con alberi cespugli e fossatelli; poche case, ancora fuori di portata cittadina. Da lì si può filare dritti e riparati verso le mete foranee. Al primo tratto di muro posteriore del Seminario Regionale sentiamo rombi nel cielo. Stiamo fermi pressati ai mattoni; ci orizzontiamo. Alto v’è un aereo, staccato dal gruppo, che sgancia un qualcosa. Sembra scendere verso noi un globetto rosso con una coda biancastra e fumogena simile a cordicella sfilacciata: ondeggia quale un palloncino sperduto, quindi precipita di colpo. È intuizione istantanea. Ci appiattiamo fra muretto e colafosso. Un tremendo getto d’aria a radere cespugli e capelli a filo-zero, poi lo schianto secco nel fumo o polvere o nebbia acidula. Non c’è aereo; c’è solo un grano di cuore a battere. Pavido l’alzare del capo e degli occhi. A destra, pochi metri più avanti, una grossa casa affettata in verticale, sullo spigolo sud. E’ quella di ‘Berlusina el fatòr’: al secolo “Giuliani”. Non c’è bisogno di indugi o proseguimento di ricerca. Scappiamo - ed altri con noi sulla strada - col ricordo di una certa bomba ad aria liquida, piccola rossa sorpresa odierna fra le altre della RAF maggiolina. *** Gli ultimi colori 12 Maggio 1944 All’alba d’oggi saliamo in bici per ripassare i segni d’un viaggio d’amore: quello del 15/16luglio 1941 svoltosi fra casolari e fattorie di amici allora trovati, forse alcuni perduti. D’obbligo uno sguardo dalla piccola collina di Bellaria. Prati e campi inerpicati o distesi, concavi od avvolgenti. Alla base, il Metauro: variato di prode e lucente di ciottoli fra le dirupe di Fossombrone e Montemaggiore. Scendendo, il fiume esalta i centri agricoli di S. Costanzo, Cerasa, Piagge, Orciano, San Giorgio e Mondavio. In piano v’è Calcinelli col suo ponte già ritto, ora sfatto sul bianco del greto; nelle gobbe il cimitero di Santa Maria Maggiore contro il cielo opale, Villa del Monte, Barchi, Sorbolongo, il Convento di Santa Vittoria di Frat- terosa... Saltara, sul versante mancino, scopre i suoi tetti, vecchi ed asimmetrici dai coppi terrosi; S. Ippolito d’alabastro è a destra, raggrumato dietro S. Martino dai cipressi scuri frementi sui campi del grano: un’esaltazione d’impasti per Van Gogh! Alto, il grande fabbricato dei Gesuiti chiede il ‘memento’. Il Catria azzurreggia a sfondo, oltre l’indaco d’arcobaleno a velo sul Passo del Furlo. La collina di Cartoceto, il ‘Beato Sante’, Montegiove, e Novilara al limite di Fano, corrono all’Adriatico. Sera. Il caldo resta nell’aria. Gli animali sostano appisolati. Gli uomini rimasti hanno disertato i campi dopo gli ultimi passaggi aerei. Ogni fattoria è rinchiusa in se stessa. Sparse, ferite, case silenti degli Orciani, Berardi, Bertozzi e Sanchioni, Renzoni, Pellegrini e Grandoni, di Rivelli, Angeletti, ed altre. Svaniscono, nel ritorno, con i profili degli alberi schiantati tra il bruno di pagliai indenni, ora santuari agresti dallo stollo a croce. *** Don Vinnico e “San Pasquale Baylon” al poggio Maggio1944 A S.Pasquale Baylon - convento fra San Giorgio ed Orciano - tempo addietro svolgemmo dei restauri alla “Cappella del Crocefisso” unitamente a ‘Pèp’ Imperatori ed Enzo Bonetti. Era parroco Don Vinnico; con lui vivevano sua sorella ed una taciturna fantesca. C’era pure un tizio, maestro e factotum delle sacre opere, a sollecitarci l’esecuzione. Passata la festa patronale del 17 maggio - sono pochi giorni - alcuni fatti legati a quel periodo ci portarono lassù per rivedere le passate opere ed il ‘Coro’ ligneo, opera di un Maestro intagliatore fanese del XVI secolo, nonché salutare il vecchio prete (*2). Poca gente sul sagrato ed in chiesa. A sistemare intorno pietre e legni, alcuni uomini anziani ancora in timore dopo il mitragliamento-spezzonamento aereo sui pellegrini al Santuario - poi seguito dalla retata di giovani da parte dei tedeschi. Da allora si stava sempre all’erta. Un rombo di macchina giù nella strada verso il Convento; un fischio: gli uomini presenti, dal sussulto passano alla fuga tra cespugli e solchi di grano. Un veicolo frana alla siepe. Vuoto d’attesa. La sagoma sorridente del fac- totum locale si profila a lato di un individuo in abito sgualcito, occhiali scuri sul volto, tasche rigonfie, scarponi d’alpe. (Don Vinnico dà uno sguardo attorno e mi si pone affianco; Fride cerca la mia mano, fissando i due personaggi). Il ‘giovin’ maestro presenta al sacerdote il ‘Tenente M...’, dell’esercito repubblicano. Non afferriamo bene il cognome, forse di comodo. Vuol mostrargli, tal guida, la costruzione ed i lavori di restauro nella “Cappella del 500”, col suo Crocefisso dei miracoli. Prima di seguirli nella navata mi faccio animo: un impulso. Chiedo al “Tenente M.” se è di ritorno da Serrungarina (tentiamo di avere notizie circa il fermo - si diceva - di alcuni conoscenti colà sfollati e di quanto avvenuto giorni avanti). L’interpellato risponde che vi andrà dopo la visita al Santuario. Impudentemente (?), senza osservare il maestro ‘T’ che fa gesti di sollecito, si dà al racconto di quelli e di altri fermi, vantandosi della ‘cerca’ di giovani renitenti. Don Vinnico sulla soglia del tempio aveva alzato gli occhi al cielo, per non doverli portare verso il campo ove erano fuggiti i suoi parrocchiani. Diventava finalmente chiara, per noi, quella vestizione da pania del “Tenente M.”…. Venti minuti dopo il brigatista ripartiva in macchina, ad affiancarlo, altri militi in borghese. Il parroco silenziosamente s’era avviato all’altare: in ginocchio già pregava, estraneo totalmente a noi. Eravamo abbastanza scossi. Usciti all’aperto, con le vecchie ‘bici’ giù a pedalare sulle polverose strade delle “Ripe”. • Convento di San Pasquale Baylon 30 Maggio 1944 Tornavo ieri in bicicletta da S. Giorgio di Pesaro, diretto alla casa di sfollamento. Fuori di paese, al bivio, mi ferma con ampio gesto il “maestro T”. Inizia sùbito a raccontare: “Si ricorda di quel tenente al ‘Poggio’, diretto a Serrungarina? Ebbene, un attentato da quelle parti; una bomba, la macchina giù per un dirupo... Sembra siano morti tutti e quattro gli occupanti. Al santuario certuni mi fanno minacce...”. Non avevo ancora aperto bocca. L’ho piantato di scatto, buttandomi senza freni per la discesa. A metà strada mi fermo, bloccato da strane immagini. Appare in una nebbia argentea Don Vinnico inginocchiato verso l’altare, in totale ascesi. Dove sarà andato; cosa avrà chiesto, Lassù? Rammento il vecchio pastore al mattino: quando prima della veste talare si metteva in abiti borghesi e andava a caccia armato di una arcana doppietta; quando prima di laurearsi sacerdote era stato ufficiale nella guerra del ‘15/18 e conosceva per sofferta vita ogni efferatezza di uomini nella bufera d’armi; penso all’urna con un mozzicone di braccio annerito ch’egli teneva in camera: un macabro ricordo della sua ‘fidanzatina’ di quel tempo, carbonizzata in un rogo atroce. Vedo e mi par di sentire la pazzia di sua sorella urlante nella notte di luna piena lungo il corridoio delle celle (e noi, ignari e sgomenti - io ed Imperatori - a barricarci dietro le porte); ed è ombra grande negli occhi della memoria anche la nera silente fantesca, vedova nella ‘Grande Guerra’. Ecco: la guerra, le atrocità degli uomini, la follia, l’urlo alla luna simile all’urlo degli Stukas in picchiata. Ancora m’appare scorto dal trespolo da cui ritoccavo la grande tela di S. Pasquale Baylon - quell’inconsueto gonfiore alla base d’altro quadro sulla porta interna del Santuario, atto a coprire una grossa nicchia satura d’armi ivi deposte. ...(E don Vinnico, pallido in una benedizione di ringraziamento, provvedere con me cautamente a far sparire ogni traccia di quel tremendo incarico e rischio paterno). Nel bruno della discesa verso Fano, con la luna più alta sulla testa, collego i frammenti di tali vicissitudini e ritorno all’ultimo don Vinnico, esangue, inginocchiato alla preghiera. Quasi contemporaneamente all’Amen, lontani, una bomba che esplode, la macchina...il dirupo... Dio, non posso credere. *** Il “ campo di aviazione” Primi di giugno 1944 Ho assistito alla distruzione dei rimasti fabbricati del “Campo di aviazione”. Già l’8/12 aprile u.s. mine e bombe aeree avevano bucato il grande terreno e scalzato alcune primarie strutture; l’aratro, poi, aveva steso una ragnatela di grossi solchi fra crateri aperti a varia distanza. Mi è presente la fotografia, in mente ottica, di ogni operazione. Le grosse cariche squarciano, fanno crollare gli edifici adibiti a Scuola di aeronautica per sottufficiali piloti di 1° grado. Vi è appena una stasi di tempo, eppoi nuovi violenti scoppi alzano al cielo fumate grigiastre mentre cadono legni ‘a farfalla’, pezzi di muratura e di cemento. Appaiono al sole le nervature delle caserme e dei villini, dei complessi per servizi e comandi, delle lucide rimesse. Scheletri fra serbatoi cupi spalancati sulla terra, e neri getti di residui oleosi al vento. Le balaustre s’alzano, contorte sculture frammentate, quali leggeri tragici monumenti ad un periodo di pochi anni nei quali la città ‘tifava’ attorno al ‘suo’ Aeroporto dedicato ad Enzo Omiccioli, biondo fanese pilota, medaglia d’oro al v.m. Qualcuno giorni avanti, d’accordo con persona del ‘servizio’ (ultimi avieri bloccati per mansioni correnti dopo l’8 settembre e due civili addetti a compiti diversi), cautamente, in più sere, era entrato tra infissi e basse recinzioni aperte per asportare le ultime brande e lettini, i teli della ‘manutenzione’ - pulita o sporca -. In periferica installazione altri individui, anche non locali, erano andati per sacchi di scarpe già nascosti tra i rifiuti, e per indumenti rimasti sotto il crollo del magazzino. Sparita anche la camionetta-bus del servizio avieri, mimetizzata prima ad arte fra spezzoni ed ondulati. Il vuoto totale del momento fra gli allarmi e le bombe di aerei, nella fuga e latitanza tedesca, serviva comodamente anche di giorno alle varie ruberie. Ora è fumo e macerie. Otto tedeschi danno gli ultimi sguardi alla loro opera. Sono i guastatori di Kesserling. Becchini dei mille sogni d’una città che credeva poc’anzi di ‘volare’….… A casa una notizia serale, tonico per il morale di tutti noi: -”gli ‘alleati’ della V Armata - nei giorni attuali 4/7 - sono giunti a Roma, in contemporanea allo sbarco in Norman- dia delle altre Armate anglo-americane”. 72 (Si comprende la fretta tedesca per la 73 totale distruzione del nostro aeroporto). • Una delle poche foto esistenti con le palazzine dell’aeroporto fanese *** 10 giugno 1944: altra data storica (Questa mattina mi sono sposato. Matrimonio nella guerra) Dalle ore 10 in poi, ad ondate terrificanti, gli aerei americani hanno incominciato a bombardare la città, sulla Statale Adriatica. Il reverendo Don ‘Checco’ Guerrieri, officiante al nostro rito matrimoniale, è corso filato in bicicletta alla sua parrocchia di S. Marco, per costatare quanto in essa accaduto; e tornare pel racconto dello scempio nella zona. Non dice, ai miei, della ‘nostra casa’; non accenna, agli altri, delle loro case; no: ma di quelle vicine alla Stazione ferroviaria, di un po’ di case sulla Nazionale...Non c’è da agitarsi. Lo sapremo, del vero misfatto, nel pomeriggio inoltrato: quando io, Fride e mio cognato Evo decidiamo di buttarci fra i campi e la polvere per andare a vedere gli esiti dei bombardamenti. Della casa ove abitavo con mio padre non c’erano in piedi - come dicesi a totalizzare - nemmeno i ferri del cancello. Mucchi di mattoni e spezzoni vari nei terreni sconvolti; e buche, buche nel retro-spazio agreste di nove bombe, semi sparsi come su un’ irreale carta da gioco. (...La casa tornava fuori ad ogni esplosione - un film mentale - attraverso un suo distendersi e ricomporsi a cumuli e fosse sulle macerie d’altre case morte ai suoi lati. Svanita con gli inamovibili miei beni d’arte in essa lasciati e coi ricordi d’una parte di gioventù ivi trascorsa). Fride aveva tolto l’abito bianco da sposa, indossato quando siamo andati nell’ora di luce - a sbalzi su di un landeau una carrozza ed un biga per il corteo nuziale sino a “Tre Ponti”. Per dire ‘Sì’ in una specie di capanna-alias Chiesina e “Dopolavoro” con un albero biforcuto e barra a sorreggere la campana. Gli amici stavan fuori un poco a guardare Don Achille far da spalla all’Officiante, e molto più il cielo, presaghi di un qualcosa dall’alto a scendere non certamente divino (Io mi trovavo nella sospensione del rito, ancora preso dalla assoluzione pietosa datami dal caro Don Guido rimasto coi militari alla Caserma Paolini). (*3). Nel mattino d’oggi è stata affossata una “prima vita” con la distruzione delle nostre tracce. Sposandoci in contemporanea, una seconda età n’è sorta dalla immane tragedia, radicata a memorie. Le ho viste nel rosso tramonto lapideo, con Fride, le sparse tronche ricordanze. Come quando in viaggio di nozze si vanno a ritrovare quelle di Ercolano e di Pompei. Scomparsa la rabbia è subentrata la rassegnazione. Il nostro viaggio di sposi si è concluso con l’ultimo pellegrinaggio mentale verso Piazza d’Armi e Villa Uscenti, intuendo altre fosse tumuli e relitti, laggiù, ove abitavano i genitori e fratelli e familiari di mia moglie. Sono parecchi i morti civili ‘di giornata’. Per la cronaca posso aggiungere i cinque militi tedeschi uccisi mentre fuggivano dallo Scalo merci della Stazione ferroviaria per mettersi in salvo entro il rifugio comunale, nel Bastione del Sangallo. Il ”sussidio” 24 giugno 1944 Per i sinistrati di guerra hanno fissato un sussidio: poche centinaia di lire, a discrezione dei “delegati”. Decisi alla richiesta, spinti dalla assoluta necessità, abbiamo... trovato chi ci ha fatto girare verso i reparti decentrati, e dentro cinta, con la domanda da consegnare agli addetti e seccamente respinta per... “Mancata presentazione tempestiva. Aggiornarsi!”. Settimana successiva, risposta beffarda: “Non abbiamo soldi; tornate più avanti”. Di nuovo, fra le pause dei bombardamenti, altra comunicazione: “Causa assalto agli uffici, distruzione carteggi e scasso di scrivanie... per mancanza di tali elementi utili, vengono sospesi i sussidi”. “L’ E.C.A. - voce del presidente Bracci cui ci eravamo rivolti - “oggi non è più soggetta a tale assistenza, in quanto disposta dal Fascio repubblicano... seppure a Fano questo ancora governi (?). Spiacente, Buona sera”. (I tedeschi avevano avallato i loro collaboratori, temporanei reggitori amministrativi del paese, con il Commissario Libero Montesi, responsabile della Città). Nel frattempo i funzionari civili dei vari uffici, assistenziali o meno - tranne alcuni aderenti al nuovo Fascio ed altri precettati per la “salute pubblica” - avevano abbandonato i loro posti pretendendo, prima, tre mesi di stipendio anticipato. A somiglianza della richiesta fatta, ed esaudita, dagli addetti municipali d’ogni ordine e grado. Se vero quanta sopra, correva bene il sospetto sulla mancanza di briciole in lire per gli invisi e veri sinistrati come noi. Siamo tornati sfiniti e scornati ai luoghi di sfollamento...per cercare patate di scarto, nei campi, se volevamo “ignobilmente vivere”. *** La ritirata delle bici 25 Giugno 1944 • Don Checco (Francesco Guerrieri) *** Da giorni stanno requisendo le biciclette. I tedeschi, naturalmente. Chi ne ha, scava buche e nasconde l’ultimo bene mobile di valore (*4). Quando corre la necessità di spostamenti, si mandano staffette di ragazzi a localizzare eventuali agguati al di fuori dalle normali strade di transito. Fa caldo. Gli aerei volteggiano, s’abbassano, mitragliano. Nonostan- te ciò sulla Flaminia, ancora impettiti, passano gli ariani. Pedalano sulle bici di ogni tipo, rigidi, a braccia tese. Altri commilitoni camminano tenendole al manubrio: forse non sanno cavalcarle, o sono attendenti pronti al cambio per qualche ufficiale appiedato. Sembra una ritirata dei poveri, osservando anche il passaggio sempre più frequente di armati su cicli, carri, calessi, traini ed auto civili. O fatta appositamente, per eludere gli aerei in esplorazione sulla direttrice gotica-nord? Nella vecchia colonia nascondono tutto quanto resta possibile occultare. Ciò che gli alleati non hanno distrutto, quello che gli sfollati hanno trasferito dai luoghi temporaneamente lasciati (purtroppo il resto agli sciacalli civili) ogni altra cosa che si suppone faccia gola ai predatori. Gigi, mio suocero, ancora non ha interrata la sua cara bicicletta da donna. “Chi vorrebbe una carretta simile?” (La mia bici l’hanno già presa i nazi nell’ultima razzia). Questa due-ruote ingrigita - mezzo di lavoro e svago - Gigi la tiene sotto il letto, confidando nella intramontabile italica buona stella. Purché l’ultimo hitleriano in ritirata non salga proprio su quest’ultima arrugginita s(t)ella! *** I frati questuanti a mano armata 26 Giugno 1944 Vennero in tre. Solo armati di mitragliatore alle spalle, rivoltelle nelle fondine, bombe a mano in tasca e cartuccere sul petto (ombre tragiche dei Pancho Villa d’un cinema andato!). Vollero, perentori: “Salame formaggio pane uova e lardo. Essere svelti”. Braccarono in ogni piano, nei ripostigli e nelle stalle, nella cucina e nelle camere da letto. Quindi il vino, a richiesta naturale; e poi bere, “bere buon vino”, ad abbrutirsi. Barcollando, caricarono i sacchi con tutto ciò che poterono ottenere. Ripartirono, forse insoddisfatti, verso altri coloni. Per altro “bottino di guerra”. La guerra del vino e della fame. 26 Giugno Scesero in due, con un somarello stanco trainante un calessino. In discesa dalla stradicciola che porta alla casa colonica di noi sfollati, si rovesciarono sul bordo del fosso per metà calesse. Si rialzarono abbandonando un fucile, arrabattarono tra stanghe e buricchio, giunsero zoccolando sino a noi. Non erano affatto simili ai tre di ieri, s’accontentarono di uova e di null’altro. Ebbero del pane. Non dissero ”Arrivederci”. Voltarono la schiena quasi con umiltà; uno d’essi portava gli occhiali: forse non vedeva manco le orecchie del ciuchino, avviato sulla strada del Canale Albani. Mi rammentarono, chissà perché, i frati questuanti di S. Paterniano e fra Porfirio frusagliano. 26 Giugno Altri sono venuti. In otto, armati di pale, vanghe e sacchi: organizzazione perfetta. Volevano patate, patate. Ne pretendevano 150 chili. Come se la terra, la poca terra di questi contadini, potesse all’istante gettar fuori i tuberi ‘alla Sesamo’, come venivan fuori i pidocchi dal dosso dei russi in prigionia e lavori forzati ai margini del nostro campo. Si misero a rivoltare la terra in cerca di tuberi. Alle suppliche della vecchia padrona, due graduati dissero di accontentarsi della metà di quanto richiesto, purché i coloni arrostissero, tempo mezz’ora, trequattro galli con contorno di patate... per i camerati cercatori. Sgomento! Alla fine, non ricevendo risposta anche a tale menù, si accontentarono di una mezza lonza, di due fiaschi di vino e pane e ciliege. Poi riposarono. Più avanti passarono “a patate” da altri coloni, togliendo prima dall’aia una... carretta a mano. 29 giugno, mattino “San Pietro”. Altri armigeri sono arrivati su due birocci carichi di cibarie (precedenti razzie) venendo da Senigallia. Si sono fermati brevemente per dissetarsi a ciliege , ma con il reale scopo di cercare uomini al servizio dei quattro bovini ai carri. “Mezzo chilo, voler pagare...”; ed un gotto d’acqua fresca di pozzo. L’hanno bevuta diverse volte, quell’acqua dal secchio, meglio sì con del vino. Hanno raccolto loro stessi, bontà solidale, diverse volte le ciliege dagli alberi - una goffa a testa - eppoi via, senza trovar civili validi, su per la strada assolata. “Arrivederci!”, hanno gridato acidamente. I contadini brontolavano a denti stretti, senza osare alcuna richiesta di paga- mento. Temiamo che il non pagare degli armati verrà a pesare certamente su di noi sfollati, come rivalsa, quando si andrà a chiedere ciliege ai coloni, non certo per dessert. *** Tempo scaduto ! 29 Giugno 1944 Alle ore 20 di oggi scade l’accesso alla città, per una proclamata ‘cinta nazionale’. Ciò ha valore non tanto per scongiurare altre vittime da incursioni aeree, quanto per evitare razzie ed incendi da parte di sciacalli paesani. Con gli ultimi carretti da poche cose, sgocciola l’esodo finale. Un professore carica un pesante tavolo di caldo noce; M.G. - Ufficiale A.A. - dal palazzo in Piazza Costanzi spinge la carretta per un salottino accatastato. L’attorniano signore a sogguardare Fride con distacco: dobbiamo credere ch’esse vadano...a diporto verso amate piagge, o da uno sfollato antiquario per la stima dei legni. Dei russi, in via Malagodi, dall’italiano stentato, ci chiedono del pane. Hanno il viso mongolico; uno d’essi si alza, sorridendo, offrendoci due sigarette, anche a nome del figlio con lui prigioniero, dice, da un paio d’anni. Rientrando al ‘covo’, sulla pista destra del Canale Albani ci attira la sosta d’altro carretto a mano con due nuove reti metalliche adagiate. Un giovane amico avvocato, vedendoci, sorride a denti stretti, semi appoggiato alle stanghe.“Vuoi una mano, Guido?”. Scuote il capo, l’interpellato, affiancandosi alla moglie ferma dall’altra parte. Ci distacchiamo rapidi da loro perché vediamo nel cielo un’ombra d’aerei. Restiamo zitti fra le canne del canale. Ecco i tre velivoli inglesi della malora scendere e sparare rabbiosi sul vicino ‘Ponte Rosso’, quali ubriachi pistoleri al Luna Park. Alla virata, svaniscono sul mare. Torniamo sulla strada. C’è la carretta abbandonata; le reti trillano con l’argentana ai ferri. L’amico avvocato mediterà amaramente su quei metalli, forse rei di aver calamitato il fuoco degli inglesi sulla sua diurna sfacchinata di giovane sposo. *** Le ripe di Ferriano 1 Luglio 1944 In una casa colonica alle Ripe di Ferriano ieri i tedeschi sono entrati per la requisizione di bestiame. Alla porta c’era una vecchia ottantenne con un bimbo di pochi anni sulle ginocchia. Determinati, i nuovi padroni hanno sciolto due bovini dalla stalla spingendoli sull’aia; quindi, negati viatori per andare ‘a testa’, cioè innanzi ai buoi razziati, hanno tolto dal grembo senile l’ignaro essere ed imposto alla donna di aggiogare i ruminanti e condurli alla mano, su per l’erta, verso una data pista. La vecchia, supplice, deve camminare per forza sotto quel sole di sesto mese, mentre il nipotino strilla impaurito, seminudo, tentando di inerpicarsi sulla ripa, dietro la bisnonna. Nei campi lontani, di sotto, lavorano gli uomini; non fanno caso alle grida del bimbo. Poi capiscono, arrivano di corsa con le donne, ma è già tardi. La ‘capoccia’ è sparita: non vedono che un vuoto nella casa e nella stalla. C’è presente il pianto del piccolo; e, nell’aria, il sentore d’Attila….. Sul filo di queste arenarie scendenti a calanchi verso il Metauro e la secca del guado, corre una lunga strada serpentina ad unire dal basso all’alto della fiancata destra le varie case coloniche. In vista s’erge un casone, detto ‘de Scufin’, cupo mezzadro di un ebreo romano. In un riparto della fattoria, liberata dal colono e sua numerosa famiglia, s’è allogata a pagamento la triade casalinga di mio padre. “Quassù qualcosa di buono ci sarebbe” - dice mio fratello - Meno le pulci”. Certe innumerevoli colonie di pulci da scuffinare, tanto che gli uomini alla notte dormono nudi; e nude le femmine, quelle giovani, quando si trovano con i fidanzati ad amoreggiare. I miei si sono accorti troppo tardi dei pestiferi insetti, ed ora non è possibile scappare in altri lidi. Debbono rimanere sul posto, coi fumogeni; più ragazze accaldate e loro pulci. La vita, lassù, è bella solo per tali femmine. *** “Arrivano gli indiani!” 2 Luglio 1944 Le donne di casa sono in orgasmo. Gridano, si tappano in camera, roteano 74 75 e perdono la testa. “Gli indiani! -”I negri...!” - “Gli africani...!”. Da fuori dei campi tre spose arrivano spaventate, sgomente, piagnucolanti. Chiediamo: “Gli indiani, dove sono?” (I pianti di queste spose provengono dal dolore carnale di altre simili della Fano sfollata). Gli indiani ci sono. Con barba o senza, con mitragliatore e turbante, giovani e vecchi. Ex prigionieri, mercenari, collaboratori dei tedeschi da terre asiatiche antinglesi. Violenti, liberi da freni e disciplina. Diversi di tali barbuti - almeno cinque - nella piana dei “Tre Ponti”, armi alla mano e picchiando un anziano coniuge, hanno tentato di violentare donne del luogo, e sfollate dal sinistro di Piazza d’Armi del 10 giugno. Tornati di notte con scale ed aperti varchi alle finestre di basse abitazioni, madri e ragazze sono state ‘prese’; altre, dopo lunga fuga, si sono salvate nel guado. A due maritate, ferme coi loro uomini, tre indiani hanno tolto le loro poche gioie addosso; i coniugi insultati e schiaffeggiati, ammutoliti dalle armi puntate contro (Già prima, verso la “chiusa”, una donna incinta ebbe grazia per la sua vicina maternità, ma una vecchia, purtroppo, subì violenza due volte). Al comando tedesco di Bellocchi - ormai si era al colmo - vari civili sono corsi a protestare vivacemente per tali offese bestiali. Individuati al campo base alcuni degli stupratori, costoro sono stati immediatamente fucilati. Altri indù, che avevano tentato violenza ad una fanese e bastonato suo marito sottraendogli poi vestiti e scarpe, dopo essersi rasati si sono dati alla macchia. Amen! Palafittari 6 Luglio 1944 Oggi la banda indiana, aggregata alle truppe tedesche è partita dai ‘Passeggi’ - ov’era accampata con armi e masserizie - per destinazione ignota. Anche fra noi, purtroppo, c’è del fosco movimento. Nelle genti sfollate lungo il Metauro, alle case sulla piana-, - e tra i nativi della zona - s’è incuneata la smania distruttrice degli alberi isolati e di quelli posti agli argini a salvaguardia dalle piene. A decine uomini e donne, con asce e scuri, segacci e roncole, usando birocci e carrette, si sono messi a schiantare, svellere asportare ogni pianta, senza paura né pause. Avidi esseri, rodono come castori e formano un tortuoso via-vai quali accecate termiti. Creano rifugi, cataste lignee per il fuoco invernale; fanno speculazioni di mercato, o vandalismo totale, nella incoscienza collettiva. Avviene così, oggi, come accadde in lontani tempi per in sondabili nefasti avvenimenti, precipitati sugli òmini primi. La ‘guerra in pelle’ fa sragionare. Si ritorna negli anfratti della psicosi oscura. In questi mesi, da saltuari cavernicoli alle Ripe, passiamo a palafittari in trincee a filoraso. Non corre affatto il pensiero del risveglio cosciente, quando si uscirà dalle trincee, fosse e cunicoli scavati nel tufo! Lo dico amaramente perché anch’io, con i nuovi familiari uniti agli sfollati ed abitanti di queste grosse case, purtroppo spinto dall’onda pazza ed annebbiante del momento, sono sceso a raccogliere e trasportare tronchi per costruire un ‘nostro rifugio’ fuori dall’umidore dell’arenaria metaurense, oltre le case sbrecciate, ormai inserito come gli altri nel grande branco di anonimi sbandati di guerra. *** Cianfrusaglie in corso 8 Luglio 1944 • Soldati Indiani *** La città è abbandonata al saccheggio tedesco e nostrano: i locali non si distinguono da quelli di fuori mura. É fuggito il Capo del Comune. Con lui i dodici “repubblichini” che lo avevano affiancato. La gente brancola nella nebbia estesa di una situazione caotica. Le confische cosiddette “popolari”, od espropri, aumentano senza che si sappia qual sia la diffe- renza fra legalità e rapina. Di pari passo vi sono quelle simili, tedesche, che noi subiamo. Entro la vecchia cinta, dato che nessun civile dovrebbe oltrepassarla, pattuglie armate - anziché restare in guardia oltre mura, nelle pseudo-ronde sfondano negozi alberghi case ed uffici, per asportare ciò che rimane o fa comodo al momento. Si carica su mezzi in attesa, come per un normale trasloco. Alla farmacia Gamba, aperta con la fiamma ossidrica da quattro tedeschi guidati da un sergente con bracciale azzurro, hanno tolto ogni rimanenza. Un certo fanese B...(racconta sincero) avviato sul Corso per ragioni di assoluta necessità con visto tedesco e accompagnato da un maresciallo di sanità, trovò la fortuna tra il bottino farmaceutico rilevando due cinti erniari giusti per la sua inguinale destra. Al ritorno poté anche apparigliare guanti, parure e calze tra le mercerie sparse del negozio “La casa delle calze”, sventrato sul Corso del Popolo, già Corso Vittorio Emanuele, di fronte alla Farmacia Ilari. Il centro di Fano sembra lo squarcio d’un corpo esposto al sole ed alla pioggia. ‘Scarafaggi’ d’ogni buco hanno pasto. Da giorni la RAF non infierisce sulla città. San Paterniano Vescovo, per la sua festività del 10 prossimo - dicono i fedeli - ci anticipa la sua protezione. Durasse! *** tratto il vecchio al carro, gli rifila…mezzo chilo di salina. “Tenere, babbo: noi pagare”. E ride, sguaiato, il beota Salisburghese. Adesso, piangendo, Benofi pianterà il sale per avere patate? Ed ai passanti mostrerà la porca vuota, i suoi occhi arrossati ed i pochi peli bianchi sul mento tremante, maledicendo quei... “Lazzari di padri di figli di... “ che lo affameranno ancora di più in quest’anno di guerra. Mi dice, il poveromo che tento di consolare: “Almeno una patata potevano lasciarmi, per tagliarla ed interrarne gli occhi. Adesso, che interro, gli occhi miei?” Chiedo se posso aiutarlo a cercarne qualcuna, non vista, fuori campo. Scuote il capo; conclude, amaro: “I tedeschi, per le patate, hanno il fiuto dei cani quando vanno a trifole. Se ne hanno scartati dei pezzi, è segno che quelli erano maledettamente marci”. Solo, Benofi rimane col capo fra le mani nella sua amara filosofia. *** Il vino di ‘Bafòn’ 14 Luglio 1944 A sera, in casa, mio suocero ci racconta che giorni fa, a Bellocchi, dei ‘giovani del popolo’ hanno fatto aprire una cantina di ‘Bafòn’ Del Medico - già fattore dei conti Bracci - per vendere alla gente tutto il vino trovato. Benofi (le patate ed il sale) 13 Luglio 1944 Dal vecchio Benofi, qui sul ponticello del Canale Albani presso “Munticèll” - alla svolta del fosso romano -, i tedeschi asportano un sacco di patate dalla porca che il Nòstro, con tanta fatica, aveva preparato. Non sono bene accolti pianti e lamenti. “Niente, babbo; volere patate...”.”Ma sono tutte queste, della terra. Se me le portate via, morirò di fame”. “Non capire, babbo”. “Babbo un corno! Ho detto che sono solo, che ho fame, che questa è tutta la mia fortuna... É il mio pane. Vivo di carità cristiana. Vedete come sono? Qui c’è tutto me stesso. Ma siete dei ladri?” ( Vuole proseguire nelle geremiadi. Lo stoppano) “Basta! Non capire voi...”. Intanto due armati caricano quel sacco di patate sul carro, fermo dinnanzi alla capanna solinga del depredato. Poi uno di loro, ‘a discrezione’; poi, messo un freno alla ressa - e tessere alla mano - soltanto un certo quantitativo di vino è stato distribuito pro-capite. Nulla di sgradevole, ad eccezione di una conversa azione: chè, prima, diversi familiari dei giovanotti predetti avevano ben riempito svariati capaci contenitori d’un vino ‘diversamente degustato’, ma non proprio con tessere alla mano. Salute! La Balilla gialla (Targa WL.535714 - D) 15 Luglio 1944 Trascrivo senza soste le razzie diurne e notturne, vuoi dei borghesi, vuoi dei militari. Smesso di contare gli allarmi spezzonamenti - raids aerei - tiri al bersaglio, ho nascosto per sicurezza il cronometro appetito da alcuni. Oggi i nazisti sono passati in tre, su di una ‘Balilla’ ingiallita. Diretti alla stalla ed al pollaio di Renelli, detto ‘Nazarin’, hanno sùbito allungato le mani su di una stia quasi vuota. Correvano le 19 ore. Uno dei razziatori era italiano: Renato, interprete presso il comando tedesco distaccato a Bellocchi. Alle raccomandazioni della moglie di ‘Nazarìn’ s’accontentarono di quei due galletti e della pollastra, ultimi ospiti pennuti. Chiesto dalla donna il pagamento, quelli ghignarono salendo in macchina, rispondendo: “Pagare? niente pagare; se venire inglesi-scozzesi, anche loro niente pagare: è la guerra!” (l’italiano, tramite l’interprete in armi, l’avevano imparato assai presto). • Una vecchia Balilla • Al centro vestito di scuro el Bafòn Prezzo: venti lire al fiasco, secondo un piano di vendita e disciplina di mercato fissato autonomamente, di fronte agli sbalorditi proprietari. Inizialmente gli accorsi acquirenti sono stati serviti Ma dal colono Nardini, ove successivamente i tre messeri s’erano recati sempre per polli, alla vista di setteotto uomini ancora con gli attrezzi in mano e nient’affatto intenzionati a farsi spennare, si accontentarono dei semplici...“Arrivederci…non scendere, 76 essere buio”; filarono a luci accese verso 77 Bellocchi. Si sparge una buona notizia. I polacchi in avanguardia e gli ‘alleati’ hanno occupato Ancona (Il capoluogo già dal 16 ottobre dello scorso anno soffriva le continue atrocità belliche). *** La ‘cerca’ delle armi (cronaca semiseria) 18 Luglio 1944 Questa notte c’é stata visita alla casa di sfollamento di mio padre, alle Ripe di Ferriano, da ‘Scufìn’. Dei tizi hanno circondato ‘El Casòn’, chiedendo a secca voce di “uno Spezi”. E’ disceso mio fratello per sapere che volessero. “Armi!”. Cercavamo “le armi nascoste” (Una voce, alla siepe, sussurrava che noi sapevamo qualcosa su armi occultate). Al capo, silente nell’ombra, si dava invito ad entrare in casa. No: non desideravano farsi vedere. Si erano qualificati ‘partigiani’. Se così davvero - diceva mio fratello - dovevano conoscere la figura del vecchio anarchico Spezi. Quindi inutili i bisbiglii da sacrestia. Una pausa. Delle voci basse e…“Vai!”. Avanzò un tale, alto, col berretto in capo da graduato di marina, maglia bianca, addosso (bel modo di mimetizzarsi tra le frasche!) e qualcosa in mano, forse una rivoltella. Rivolto al ‘vecchio’ ad osservarlo da una finestra del primo piano, gli disse che io, per l’attività cronistica svolta, dovevo sapere dov’eran state poste certe armi in accenno. Ebbe secca risposta. Il ‘nominato’ non era sfollato nella zona alta; ed essi, partigiani dell’ombra così male conoscitori di vicende dall’8 Settembre scorso in Fano, avevano preso un granchio marchiano; di più, stavano facendo una misera figura sotto le vesti di tardivi cercatori a naso. Tale comandante biondastro - mentre mio padre, conoscendolo, lo invitava ad entrare per evitargli peggior nomea fra i coloni ghignanti alle finestre - guardò in alto ed attorno, titubò un poco, quindi facendo un aperto gesto ai suoi si ritirò scomparendo per le ripe. (Quell’uomo era soprannominato “El Bavòs”; un suo affiancatore era ‘Fabian’, portatore di bovini al mercato del sabato). *** Sotto, coi polli! 18 Luglio 1944 Il Fronte si avvicina 20 Luglio 1944 Anche oggi sono tornati. In due, su biciclette nuove ‘alla sport’, prese a giovani imprudenti. Non avevano sacchi, c’era soltanto una guaina per maschera antigas appesa al manubrio di una bici. Forse volevano le note cose: “Uova, lardo formaggio, salame e vino”. Erano armati di un moschetto a tracolla; la voce grossa non veniva usata: a che pro, se vi era in casa soltanto una donna? (Noi sfollati non contavamo!). Indugiarono invece nella stalla a legare per il collo il vitellino, con l’intento di portarselo via. La contadina piegava le mani, piangendo. “Sono sola ho il marito all’ospedale; sono una povera donna... La bestiola è malata, lasciatela stare...”. (Il marito, veramente, era con altri al lavoro nei campi; la donna ora applicava la tecnica... della difesa). Uno dei due militi tirava la fune, l’altro ascoltava; poi fingendosi impietosito - diverso inganno - accennò al compagno di smettere. Lasciarono libera la bestia. “Però voi dovete darci lardo e uova tante”. La contadina trovò subito il lardo e sei uova: ci guadagnava, nel cambio! Volevano del vino fresco. “Fare caldo...”. Diversi contadini, arrivati a tempo, risposero che “altri camerati” l’avevano portato via. I due tedeschi, anche se non convinti, se ne andarono col solito “Arrivederci...”. Gli uomini sopraggiunti dissero di averli riconosciuti, quei due, quali addetti ai servizi nella stazione ferroviaria di Fano. Quindi rintracciabili, dato che non potevano - se attuato il prelievo - togliere bestiame senza i “buoni di requisizione”. (La nostra colona, paventando il peggio domani, questa sera s’è buttata ad ammazzare polli, offrendone un paio anche a noi sfollati. Per denaro contante, non per carità cristiana). Il fronte si avvicina. Il cannone confonde i suoi rombi con lo scoppio delle mine e le esplosioni degli sganci aerei. A Ponte Metauro gli apparecchi sono tornati in picchiata; debole la risposta contraerea. Altra incursione: dalla Sottostazione elettrica alla Officina del Gas s’è distesa una nuvolaglia nerastra (Le bombe notturne tra il chiarore dei bengala aprono varchi sempre più larghi nelle strutture nodali al porto e nei moli deserti). Adesso forze aeree mitragliano sulla strada da Pergola ed Orciano, bombardano verso Rimini ed Ancona. Si preparano altri rifugi e buche rinforzate per le casse di biancheria o per fusti di vino. Si sgozzano polli al fine di ‘realizzare’(?); la frutta marcisce sugli alberi e per terra saziando sul tardo giorno i rari porci nascosti sotto i grossi truogoli, nello strame puzzolente. Intimoriti scaviamo buche vicino al forno per nascondere tegami e stoviglie di novelli sposi. Seguiamo i vicini negli atti della paura, febbrilmente, senza un perché di quegli oggetti utiliinutili sotto terra o sotto cenere. E dovremo scavare più ‘a fondo’, ci dicono, se vogliamo salvare materassi ‘ed eccetera’: perché i tedeschi asporteranno il meglio e gli ‘alleati’ colpiranno il resto. • Un ricognitore Lysander 20 Luglio: notte • Un “bunker” tedesco nelle mura romane *** Passano i carriaggi: elementi di una ritirata che allunga e stringe la fuga quale mantice di un organetto in perdita di fiato. Tante fila di mezzi; poi uno, solo, lontano: spazio silente. Quindi altri mezzi; una pausa, eppoi alti ancora più fitti sino a far coda sul ponte di assi e ferro reimpiantato nella notte. Scendono dalla collina - forse da Caminate -, s’inerpicano dopo il guado, svoltano, vanno verso Fano. Voci irose, voci rauche; muggiti, nitriti. Poi ordini: tutto tace. Si aspetta, muti, tesi in ogni fibra (Fuori è silenzio: un nulla totale). Da levante avanza il rumore ben noto dell’aereo. É vicino, il “Pippo” (*5): volteggia, s’abbassa; bagliore d’un bengala, del secondo...d’un terzo! Una fiammata, uno scoppio tremendo. Nella casa tutto vibra. Ecco, è già fatto. Non è niente fra noi; è passato. Si respira. (É il solito ricognitore che toma alla base: farà rifornimento e darà le coordinate se avrà visto i tedeschi con i carri in fuga). Sicure un paio d’ore di sonno. I militi nel frattempo riusciranno meglio a mimetizzare i loro grigi traini o seguiteranno ancora nella notte la ritirata verso la “Gotica”. 21 Luglio Nelle case coloniche vi è subbuglio. Gli uomini si sono radunati di corsa. Attraversano i campi, diretti verso di noi. Conciliaboli nell’aia. Anche le donne sbucano dai covoni, dal granturco; le ragazze, timide, si accodano alle madri. Voci affannate. Un capoccia dice: “Calma… calma”. Ascoltiamo quello che ci raccontano. Nella notte hanno tolto ed infranta la tabella indicativa per le colonne tedesche in movimento, posta allo svolto sotto il cipresso del “Ranocchiaro”. Un maresciallo delle ‘SS’ in motocicletta ha chiamato i coloni e gli uomini sfollati (in quell’ora io ero assente). Perentoriamente ha imposto la vigilanza diurna e notturna della nuova targa,”UmleitungSenigallia”. La eventuale scomparsa di questa secca indicazione provocherà l’immediato arresto e fucilazione degli uomini abitanti nelle case coloniche attorno; poi scatterà l’inevitabile incendio di esse. Lo ‘spauracchio’ è tragico! Le donne piangono; v’è un guardarsi allibiti. “Ma non hanno pensato alle gravi conseguenze sui civili, quegli imbecilli o bravacci che han tolto la targa?”. Si stabiliscono turni di guardia nella notte, a quattro. I primi contadini scelti - con occhi fissi al nuovo cartello di deviazione - si accucciano sotto il cipresso armati... di bastoni. Prosegue lo scorrere dei carriaggi nello sganciamento tedesco. Qualche cannone di media portata, coperto di frasche o reti mimetiche, è già svanito su ruote gommate, in silenzio. Di buon mattino si diradano le presenze civili nelle case coloniche. Gli sfollati cercano nuovi asili lontani dai passaggi, al di là del fiume a dei colli. L’esodo attacca. Si propaga col solito ingombro di carrette, fagotti e gerle a spalla. I volti sono terrei. Le “SS” hanno messo in tutti una paura maledetta (La gente sa per cruda esperienza che tali brigate sparano senza preavviso e fanno sul serio ogni loro atto). V’è sentore di fastidio anche da parte di sconosciuti, ultimi arrivati. Il popolino - quello da residui di stradini - s’è riversato nella campagna e nei paesi per vivacchiare con ogni mezzo; e per spargere voci allarmistiche. Prevede attentati, sabotaggi di ‘partigiani’, rappresaglie teutoniche sulla pelle degli inermi (v’è qualche scopo in tutto ciò?). Si allarga la voce su di un prossimo attentato alle passerelle e guadi sul Metauro ancora indenni (stare al largo). “Attaccheranno i camion sulla strada minata”...”. “Forse alle colonne in ritirata sulle forre...”. Si vocifera come a mercato. “Sss..: se lo sentono ‘quelli’!”. Qualcuno dei nuovi arrivati, deambula oltre le siepi con aria di mistero. Da credere, quel tizio, informatore od osservatore segreto, forse di quelli sganciati - come si dice nelle notti cupe da silenti aerei americani. In alcune case - v’è chi giura -sono ben nascosti pezzi di seta da paracadute. Corre l’appoggio - o l’invidia? - verso quelle donne possessive pratiche o previdenti nel caos tragicomico di oggi, creatosi fra queste zone dimenticate. 24 Luglio 1944 Prime ore; notte. L’aereo è tornato a curiosare: s’è messo in giro sulla zona pronto a sganciare bengala e ‘fuochi terrestri ‘ sull’obbiettivo X. Si osserva quel calabrone dalle finestre socchiuse, assonnati, appena intimoriti. L’avio gira, s’abbassa, sgancia di colpo tre globi uniti, s’innalza rapido: un solo urlo di motore a scia sulle teste. Mentre il Funesto passa e scompare - ombra nera negli ultimi neri del cielo - , una fantastica visione “d’un tutto reale” d’ambiente impensato, entro un vuoto pneumatico, si staglia negli occhi di tutti (Non è l’attimo d’un miraggio, né metafisica assoluta). Nel boato, di là del chiuso canale romano da terra sprizzano accecanti colorate scintille ad immensa raggiera; contemporaneamente urtano il petto acuti schianti di un’aria ghiacciata. Urla di donne. Scende il silenzio. Grandi pu- pille incrociate sui volti: tutti incolumi, stretti-avvinghiati-insieme quale blocco di pietra. Il fumo la polvere bruciante l’acre nebbia scompaiono. Si corre discinti ai rifugi, scalzi a calpestare viottoli. Ore 4 del mattino Le bombe ad aria liquida cadute sull’abitazione di Uguccioni, il colono della ‘casa nuova’, l’hanno decapitata sul piano grezzo. L’impatto con la ‘morte annunciata’ mette una decisione rapida nei presenti: trovare subito altri luoghi più sicuri per la scarna pelle, lontani da guadi e piste. L’alba vedrà il trasporto a spalla di materassi e di indumenti primari su per l’erta dei calanchi, oltre i colli del Metauro, verso genti amiche. Le vittime di quest’atto rimarranno senza preci. Di guardia staranno i vecchi nel silenzio dei campi. E’ il terzo sfollamento in atto dal mese di Aprile. Oltre Senigallia si combatte aspramente. no; al ritorno saranno cotti dal sole. 25 luglio, ore 21 D’attorno vi sono ‘infatuati’, o imbecilli, a scherzare. “È Sant’Anna” dicono “Perché non dobbiamo fare i fuochi?” (Quassù si vedono le campagne, ogni collina, costellate di fuochi e fuochi: ampi, piccoli, stelline e pagliai di fiamma). Ma sono matti? Con gli aerei sul capo, con le batterie che sparano! “È Sant’Anna - rispondono - Bisogna festeggiarla come da tradizione”. “Sant’Anna ci ha sempre protetti”. “Farà finire la guerra”. La guerra, sì, finirà prima per questi incoscienti balzati sull’aia; ed anche per noi, imbucati nei rifugi a proteggerci da Sant’Anna e da San Giorgio degli Inglesi (*6). *** I ‘Buoni’ ed i fuochi di Sant’Anna 25 Luglio 1944 Oggi il volto dei coloni Fontemaggi s’è trasfigurato. Nella stalla - ore 10 - tre tedeschi hanno preso una ‘bestia’, rilasciando il loro giallo pezzo di carta. Inizialmente valutando il peso della mucca sui tre quintali, alle proteste dei contadini ne hanno trascritti cinque. Denaro a saldo prelevabile a Imola, sede amministrativa del comando tedesco di occupazione. “A Imola?”. Il viso bruno del ‘capoccia’ passa al nero. “É una parola!”. Rivolgersi allora alle autorità del luogo, Fano (Chi sono? dove stanno?). Un correre alla ricerca di cotesta fantomatica somma a rimborso, presso l’ufficio fanese preposto all’uopo. Il “Comitato di salute pubblica” (?) cui è stato demandato l’incarico di tutelare gli interessi dei cittadini (“innanzitutto i propri” dicono i maligni) dopo la minaccia di incendio della città da parte dei tedeschi, se non si collabora, non sa più cosa fare. Ai Fontemaggi dichiarano che sì, il ‘buono’ è buono, ma...di soldi non c’è ombra alcuna. Quindi andare a Imola, oppure aspettare il nuovo governo ‘Alleato’, quando arriverà, e se emanerà leggi per saldare gli espropri. I depredati sbianca- • Casa colonica colpita *** Un cammino di fuoco 26 Luglio 1944 La città è nel suo cammino di fuoco. Con essa tutto il retroterra. Si scorgono fiamme alzarsi dal porto alla segheria ai depositi di legname e nafta. Cresce l’angoscia ad ogni fumata. • Panorama di Fano 78 79 Per orizzontarci i campanili lontani sono i nostri aghi nella bussola dell’apprensione. “San Paterniano” è laggiù; l’altro è ‘quello’ di piazza. Oltre, cosa arde? La Filanda, no; forse i rimasti scheletri dei pescherecci allo squero. Da giorni non esistono più i tralicci dell’alta tensione: abbattuti! Ieri qui sotto, alle 17, un colpo ha dato avviso che alla Cerbara era ‘saltato’ il molino; eppoi alla ‘chiusa’ del canale un altro colpo: l’acqua tornava a fluire rapida nell’alveo del fiume. Ogni boato un attimo di vita tradotto in apnea. Fano sarà risparmiata dalle truppe alleate”. Deo gràtias. “Esse passeranno fuori, oltre gli otto chilometri della cinta comunale”. Otto chilometri dalla casa del nostro: Montemaggiore è quindi sulla direttrice delle truppe, oltre la cinta di sicurezza!. “Dio mi salvi le figlie”. ‘Nazarìn’ - ben più del Vescovo - è credente. Dall’alto mitragliano gli aerei, per il viottolo vede esplodere bombe lungo il suo itinerario. Fa il ‘Nome del Padre’ e seguita avanti col suo ottimismo. 27 Luglio Mattino avanzato, ore 11, grossi calibri a ‘Sant’Angelo alle Grotte’ avviano la loro sinfonia di guerra. Ad intervalli di quarti d’ora, poi di minuti, sino a sincronizzarsi totalmente. Sulla piana del Metauro rotola e corre il rombo; poi s’alza, s’allontana, si spande dai colli al mare in grigio. A Cerasa i tedeschi hanno fatto evacuare le migliori case - poche ore di tempo per sloggiare - facendo lasciare in esse materassi e lenzuola. Lenzuola pulite naturalmente, perché gli ufficiali ariani ci tengono molto... alla pulizia. A Bellocchi, là dove un ‘Comitato’ affigge manifesti di macchia per l’alimentazione di quella frazione, divenuta nella componente civica netta parte staccata, i tedeschi in arrivo invadono i luoghi e piantano la tende mimetizzate oltre la strada dei guadi, facendo sentire senza equivoci di non ammettere scherzi ‘separatisti’ né d’altra maniera. I loro raids d’affamati sono all’ordine del giorno sul nostro versante. In tre - sembravano ragazzi - sono venuti quassù da Gambioli con un cesto già a mezzo di uova. Ne volevano ancora, in altro recipiente, per “loro camerati”. Dentro casa, viste sulla tavola le sfoglie per la pastasciutta (consumavano polli, uova e farina a tutto spiano, i contadini), hanno lasciato l’ordine di prepararne anche per loro, “ore 13,30” precise. Sono quindi scesi al fiume ed estratte le rivoltelle fuoco a sventagliate rapide, mentre noi entro il rifugio intenti al rinforzo del tavolame sentivamo il piombo fischiare ed il rotolio degli oggetti colpiti. Gli spari s’ingigantivano nel riparo: ci sembrava di essere presi sotto mira da bravacci in libero sfogo domenicale. I coloni, spaventati, sbracciavano per avvisare i tre giovinastri in divisa di un qualcosa di nero che si avvicinava: ma quelli, alzando le spalle, seguitavano a scendere Duramente alle nostre spalle soffre la frazione di Cerasa. In essa hanno minato degli edifici; il deposito dell’acqua è crollato a pezzi. Gente sconvolta, ferma, guarda quel fiocco salire biancastro sulla collinetta inumidita. “Ora...l’acqua?” Una domanda tremante in tutti (I quattro minatori tedeschi fingendo incomprensione a tanto sussulto ritirano calmi il percussore, i fili e la cassetta degli esplosivi. A lavoro ultimato lenti se ne vanno, frusciando nei pantaloni di tela). Rumore di mezzi fra le siepi, abbasso. Voci incupite. Hanno cercato la strada di “Sant’Angelo alle Grotte”; poi sono arrivati con la macchina scoperta mimetizzata in verde. Scendono degli ufficiali, chiedono delle casa padronale, di un “castello”. I contadini si guardano, sbiancati. “Vogliono far saltare la rupe?”. Più tardi capiscono. Alle ‘grotte’ scaricano munizioni - altri arrivati - e sotto gli alberi gli artiglieri puntano le varie bocche da fuoco dei loro cannoni. “Il grande fusto”, nascosto, più tardi alzerà i gradi verso Senigallia. Nella fattoria di Renelli alcuni tedeschi volevano di nuovo prelevare bestiame:”Solo un capo”. La stalla era vuota. La giovane sposa - la ‘nova’infuriata mostrava loro le ricevute dei prelievi fatti nel mese; ...”e della capra da latte per il bambino, dell’altro giorno, e del maiale di ieri, “Ma ci volete spolpare?”- strillava indemoniata. I camerati hanno capito qualcosa di quella corda troppo tesa accontentandosi di normale minutaglia mangereccia. Tranquillo, ’Nazarìn’ è partito per Montemaggiore. A riprendere le sue due figliole. Gli hanno detto - voce di popolo che corre ed àltera le notizie -: “I1 Vescovo ha notificato che la città di 28 Luglio e sparare, sfogandosi con l’ultima cartuccera sui covoni ai margini del campo. Non si capiva se fossero esaltati, stufi, oppure bestiali. Stralunati, rossi, eccoli in cucina dopo una sosta dai Cornacchini per caccia al vino con lonza. Dopo il pranzo taciturno, via al ritorno coi cesti stracolmi, sbronzati netti. (Tale comportamento poteva essere la sintomatologia di una rottura psichica per un mito che crollava? Stavamo zitti. I colpi di coda sono terribili quando provengono da simili giovani armati!). zie”. Proseguo per l’erta, rintronato. Da “Scufìn” ci viene a trovare mio suocero. Novità? Quasi niente; sono giunti dei tedeschi ed hanno laggiù requisito la tua camera: reti e materassi. Un biglietto sulla porta dice: “A disposizione ns/ Ufficiali. Tenere in ordine!”. Guardo, ammutolito, la faccia bianca di mia moglie. *** Ieri i tedeschi sono arrivati all’alba. Per bloccare gli ambienti e le case più sicure. Viaggiano di notte in ritirata silenziosa. Da ‘Scufìn’ in ripa alta (dove ci siamo fermati dai miei in uno spazio delle squallide soffitte, sconnesse in ogni parte) due militi hanno scosso la testa guardandoci commiserevoli. Visto il grammofono in un angolo l’hanno fatto suonare, vecchi dischi di Caruso, canzonette napoletane tra i solchi fruscianti. L’ufficiale del gruppo, in buon italiano, s’era messo a discorrere con mio padre di Verdi e di Wagner. Diceva di amare il melodramma: “Un grande Ottocento!”. Alle 13, armi alla mano, dei graduati hanno invaso la cucina. Volevano gli uomini per ‘machine’. Inutili bugie e lamenti, ferite in mostra o certificati di invalidità. “Abbiamo bisogno di venti persone. Qui sotto lavorare”. (Sguardi smarriti fra i presenti). “Due giorni solo. Stasera ore sette tornare a casa”. Da un tizio, la risposta: “Ma se non abbiamo messo sotto i denti manco un tozzo !”-“Mangiare dopo”. Occhi incrociati; silenzio. Alla fine concedono dieci minuti per un boccone. Uno dei militari aspetterà di sotto, tra portone ed aia, scudisciando le gambe biondastre (ha pantaloncini d’Africa) per scacciare le mosche cavalline. Con altri, man mano presi nelle case vicine, giù al Metauro tra gli alberi del boschetto e tra i rimasti filari di olmi, ove stavano pronti i grossi autocarri colmi di munizioni, artiglieria e benzina. Una pala, una vanga, un piccone, a scelta. Poi scavare enormi buche per interrare a mezzo i ‘nuovi Fiat’ già dell’esercito italiano, lavorando e sudando sino ‘alle sette’, come aveva detto il sergente. Sono stato lasciato con le dita lacerate dalla pala. Sveglia stamattina alle sei, ancora per i lavori di ‘poche ore’. Naturalmente inquadrati da militari. Altre buche, gli “Umorismo tedesco” 30 Luglio 1944 Sant’Angelo. Le grosse batterie dei tedeschi tacciono. Corre voce che, sbagliando i calcoli, abbiano sparato sui loro camerati uccidendone circa duecento. Certamente qualcosa di grave dev’essere accaduto coi primi dodici tiri della mattina. E’ un andirivieni di macchine ed ufficiali (si vocifera pure di un attentato a Hitler nel 15 di questo mese). Intanto da ‘Battistella’ cinquanta soldati hanno invaso la casa, ucciso il maiale, tanti polli e obbligato le donne a preparare pastasciutta con trent’ ova, scolandosi poi sull’aia un quattordici bottiglioni di vino. ‘Battistella’ è senza fiato. Ore 10,00. Passato il guado scorgo una macchina civile ferma sulla strada. Un tedesco, affannato su di una ruota a terra, mi fa un cenno. “Prego, signore” (Cos’è questa gentilezza? Temo una nuova trappola dato che porto sulle spalle alcuni paletti). “Piccolo lavoro”. Fisso la macchina, depongo i legni. L’autista ora sorridente finisce di bullonare la ruota in cricco. Mi chiede poi di mostrargli le mani. Le osserva, alza le sopracciglia,commenta: “Student?”. “Ya”, rispondo. Mi consegna una pompa, e... ”Gonfiare, prego”. Gonfiare una ruota d’auto non è grande fatica, ma io ho in mano una pompa da motorino. Mentre ‘pompo’ sotto il sole - e sudo - il teutonico-cinese si sdraia sotto un albero, m’osserva ad occhi socchiusi. “Caldo; molto caldo...” ribadisce, col sorriso fine. Sono bagnato da bestia. “Ho finito posso andare?”. “Molto lontano?”. “Ancora tre chilometri di salita”. “Gra- *** Dobbiamo scavare ancora 1o Agosto 1944, ore 23 uomini. Le donne dei campi e le sfollate di città a mondare patate e patate per la grande cucina militare da campo, giù da ‘Grossi’ , installata per preparare pasti utili a cinquecento combattenti del fronte hitleriano impegnati al Cesano. Anche oggi, come ieri, le donne in un lavoro snervante e pericoloso sotto i tiri dall’ alto, alla cieca. Per noi appena una mezz’ora in concessione a metà giornata, per mangiare un qualcosa sul bordo delle fosse (alcuni contadini, già fuggiti dall’esercito, si dicevano - e noi davvero sentivamo brividi di gelo -...“A la fin, ce lasciaràn dentra dop’ un colp in t’la schina?”. Ognuno toccava ferro). 3 Agosto (Sono andati alla malora altri appunti di queste ultime due giornate di lavoro coatto. I tedeschi sono stati gentili con noi, lasciandoci per regalo alcuni pacchetti di sigarette. Quel contadino della mia buca non credeva a questo “colpo di grazia” così diversamente ricevuto). 4 Agosto Un malato, capitato alla cerca d’un medico dalle nostre parti, mi chiede consiglio. Deve andare all’Ospedale di Fano, ma come? Chi lo può trasportare? (I giovani vengono ‘requisiti’ per lavori di scavo, gli anziani coloni debbono di forza abbandonare i campi per condurre oltre Pesaro il bestiame razziato... Da Volpini, laggiù, quindici paia di buoi aspettano ancora di essere trasferiti lontano. Mancano i carri o gli uomini capaci di guidarli al passo. Diversi ragazzi già presi per tale lavoro sono andati a nascondersi in altri lidi...). Quale consiglio posso dare a questo Lazzaro mai soccorso? Gli enumero alla meglio la situazione ‘assistenziale’. All’Ospedale di Fano non c’è più acqua potabile né luce. I malati debbono portare candele ed acqua da bere. Già dovevano procurarsi le specialità mediche, introvabili da noi, ed anche farina e zucchero. Ora questa: acqua e candele. Crede il ‘malato’ di avere bisogno dei “Raggi X”? Niente da fare. Da noi il gabinetto Radiologico non funziona, mancando quasi tutto il materiale; è ‘attiva’ soltanto la “Chirurgia”; qualcosa si faceva in “Medicina”, ma questo reparto è stato trasferito a Saltara. L’ Ospizio Cronici è a Cartoceto, la “Maternità” e l’ “Oculistica” a Serrungarina. Più altro? 80 Le Amministrazioni dirottate in diversi 81 lontani punti. I servizi? Il malato, che aspetta un nostro consiglio - manco io fossi medico! - ci guarda perplesso. “E se crepo?”, esclama, apprensivo. Séguito: l’Ambulanza è stata requisita, i carri funebri - toccate ferro - inutilizzati: persino le ruote hanno rubato in quei giorni di razzia civile. Ricordate? Dall’Ospedale una vecchia, colà defunta, dai parenti venne trasportata al cimitero su una carretta a mano. Al traino d’un asinello un malato grave se n’andò al Nosocomio: e davanti ed attorno i familiari a scrutare la strada perché i tedeschi non razziassero anche quel somarello da San Giuseppe in peste. L’immaginario malato si gratta la testa. “Allora?”. Sentite, buon uomo: un consiglio. State in casa. Mandate in giro ancora a cercare un medico sfollato, sempre che riusciate a pescarne uno. Sennò.... aspettate che passi il fronte. Non pensate al vostro stomaco: è un fatto nervoso; non è un’ulcera, non è un cancro. Fatevi delle camomille: i fiori ce ne sono a josa, nei campi. Voi direte che questo è sadismo, cinismo bell’e buono. Ma no! Il buon uomo ci ha ringraziati e s’è fatto preparare subito un litro di camomilla. E’ diventato nostro amico e cliente per altri consigli. Tutto gratis. *** Italiani - tedeschi 7 Agosto 1944: lunedì Siamo giunti alla casa di ‘Nazarìn’, sulla piana, sporchi, sfiniti, indolenziti come presi a bastonate. Conseguenze del nostro rifugiarci nelle umide ripe di Ferriano, lassù, durante il bombardamento notturno. Al primo guado del ritorno l’acqua torbida del Metauro metteva brividi addosso. Tra erbe, al passaggio sulla sponda ed alla ricerca di un sentiero, un lavacro sino alle cosce era obbligato. Faticoso il camminare nella melma della strada (?). Il fiume aveva raccolto tutta l’acqua gialla del Furlo, limacciosa e colma di ciarpame da inondazione. L’alba, da una notte mai passata trascorsa in piedi entro il rifugio pieno di gente e robe, ci aveva sorpresi in un dormiveglia di automi scaricati. Ora, qui da ‘Nazarìn’ - purtroppo a stomaco vuoto - trascrivo altri grani di cronaca. Per molte ore alternate da pause ieri s’era svolta sulla vicina collina una battaglia fra aerei e artiglieria avversa. Bombe inglesi sulle batterie di Cerasa. Una “Croce Rossa” a correre silente verso una casa crollata. All’imbrunire, paventando il peggio, sotto i fischi dei proiettili, siamo corsi al rifugio grande. Pause e scoppi. Rumori di ruote e cingoli sulla strada. Passavano in ritirata le batterie tedesche forse dirette dal guado a Montegiove ed oltre (Cercavamo “ad orecchi” i luoghi di postazione). Sulla paglia di fondo buca un uomo racconta a strappi : “Eravamo nel nostro rifugio presso la casa dei Cornacchini. Si parlava sotto voce. I “nazi’ sono saliti silenziosi sul monticello di protezione, hanno lanciato una bomba a mano contro l’apertura nostra. Salvi per miracolo! Credevano fossimo dei ‘ribelli’. Ci hanno buttati fuori a spinte, con le creature spaventate. Occupata anche la casa; presa la vitella rimasta. Ora siamo qui”. parte di ‘fascisti’ in divisa tedesca. Perplessità dei coloni nel vedere giovani italiani con emblemi di morte sulle loro giacche grigiastre. I ‘giovani’ chiedevano urbanamente al capoccia del formaggio, pane, alcune uova, e da bere. Tutto a pagamento, se necessario. Incertezza nei presenti sorpresi anche da quell’italiano pulito. Poi l’irrigidimento collettivo ed il balbettio di un rifiuto alle richieste loro: scusandosi con precedenti razzie. La voce pacata d’un milite è tagliente: “Come! vi chiediamo pane e formaggio. perché da giorni non lo mangiamo: voi ce lo negate; e lo avete. Ad altri lo avreste offerto. Perché con questa divisa non siamo più italiani, né degni, per voi. Nevvero? Una divisa buttataci addosso quando ci rastrellarono: “O metterla, o crepare fucilati!”. Se fossimo tedeschi, ci rifiutereste il pane? no: subito a servirci”. Muti i Fontemaggi a fissare i mitra al piede dei giovani...ed un foglio giallo di requisizione. Arranca su dal forno la ‘Vecchia’ che non sa né di tedesco né di italiano. In mano ha un ‘filone’ di pane nero, teso tra il figlio maggiore ed i figli sconosciuti. L’aria è ferma, secca; non corrono parole. *** L’agonia del paese incomincia 10 Agosto 1944 • SS italiane 8 Agosto Ci siamo! Gli armati requisiscono camere e stalla. Le prime per dodici uomini del ‘servizio’, le greppie per diciotto cavalli; quindi noi, inquadrati con altri civili, per mezz’ora (?) a fienare... pro-bestie. Alle undici il ritorno degli aerei. Fuga generale. Bombe a picco sui duecento metri dal rifugio casalingo. Con quest’ultima incursione noto la fine di un giovane sposo, il ferimento di due villici e due ‘nazi’ “caputt”. “Niente paura” - dice un sergente -: “Normalità di guerra”. Dai Fontemaggi l’usuale richiesta di cibo - e requisizione di due bestie da lavoro da Questa notte si è reso evidente lo sganciamento di una grossa parte delle truppe tedesche già poste al Cesano. Un temporale durissimo rende aspra ogni strada; i lampi brucianti delle scariche elettriche danno all’esodo dei complessi, di cingolati, carriaggi e quadrupedi, macchie goyesche. Le cannonate degli ‘alleati’ cadono sparse sulle teste e case e strade, tra le colline strabattute. Nessun apparecchio di ricognizione. La “ritirata” si svolge quasi con ‘sicurezza’ nel maltempo da supporre programmata. I guadi si presentano assai duri ed i viottoli, a tratti, impraticabili. Nonostante ciò le truppe scorrono con poche soste. Il clima stranamente per la stagione si è incrudito. Ore 10,00: séguita il temporale. I rifugi di tufo incominciano ad inumidirsi, le crepe ad ampliarsi; la terra s’impasta gialliccia sotto le scarpe. Si alternano gli allarmi, le fughe i ritorni tra scosse di tuono e presenze d’armati. Gli hitleriani non danno pace estraendo i civili dai ricoveri per il trasbordo di materiale dai carri bloccati, o per trasporto di tronchi necessari alle riparazioni della passerella e dei guadi danneggiali dall’ acqua, violenta (Dei carristi danno cappottine cerate per coprirci). Siamo con altri giovanotti impauriti a sfacchinare. Tre di essi provengono da un rastrellamento fatto sotto Mondolfo. I militi riposano nelle stalle o sui loro semoventi coperti da teloni quando c’è sosta; gli ufficiali a gruppi, vanno a dormire nelle camere requisite. Ciò avviene ad un ritmo di tre-quatt’ore per dar posto ai nuovi scaglioni in ritirata. Il tempo bestiale non permette a noi sfollati né fuga né riposo. *** Ferragosto di ferro e di morte 14/15 Agosto 1944 Nell’ora mattutina ho fatto un largo giro, non sempre facile, per giungere all’Ospedale Civile e farmi visitare. Nei giorni avanti non fu possibile muovermi per il cattivo tempo e per i ‘lavori forzati’. I medici mi hanno rassicurato sulle mie condizioni di salute. Con mia moglie ad affiancarmi abbiamo percorso nel ritorno chilometri di strada con il sole - ben tornato!- e su viottoli abbastanza rassodati. L’animo è sereno. Dobbiamo fermarci sotto gli olmi, purtroppo, per una nuova diversa apprensione. Alla nostra destra v’è fumo che s’alza di grosso da una casa colonica nella piana. Due ragazzi, incrociandoci agli alberi, riferiscono che quell’abitazione...” è stata incendiata da poco nel suo esterno dai tedeschi, con molta gente chiusa dentro ‘ad affumicare’ per rappresaglia”. Scariche di mitra sul vertice collinare del ‘Prelato’. Forse di SS alle calcagna di contadini sfuggiti ai rastrellamenti per aggiogare e condurre buoi, o di giovani supposti renitenti o disertori di guerra. Finalmente con Fride guado il fiume tra palustri in mezzo. E lì rimaniamo di sale! Nell’arco di cielo a sovrastarci, urlando, tre aerei usciti improvvisi dal lato collinare si fissano sulla nostra platea, a mitraglia aperta. Tuffi e cabrate fra due caccia inglesi ed un ricognitore tedesco. Un ‘Reale’ vira sull’alto quale falco; i due monoala avversari s’avventano, rompono l’aria con rabbia di proietti tentando d’ognuno dorso e coda scoperti. Noi, sotto in sacrificale, a memorizzare scie e strisce e spruzzi a raggiera di piombo e acciaio e fango da capo a scarpe. Chi, nella giostra di morte, scamperà alla ruota? Ecco: l’aereo a svastica, preso di fila, perdendo fumo grigiastro dalla timoniera sbanca il sommolo ed abbassa il muso verso il mare. Pax! Gli inglesi dirottano. Le nostre statue si sciolgono di ogni liquido addosso. Lontano in una anonima chiesina lento è il rintocco della campana bassa. Segno di dolore per quanto oggi è stato compiuto da tedeschi inferociti. Come iene hanno inseguito alcuni giovani scappati forse da un forzato condurre di buoi razziati. Raggiuntili, è scattata la mitraglia dei boia a colpire quegli inermi su una soglia amica, laggiù, dai Volpini, ove il ventenne ‘Aldo de Jacucc’ (Jacucci) - come riferiranno quei coloni - cadrà ucciso da una raffica al torace. Il compagno di fuga, benché ferito, rimarrà salvo nella corsa alla vita. (A casa nel semibuio - attorniando la vegliarda Palma nonna di mia moglie - le donne sgomente avviano le preghiere per i defunti; e per la salvezza delle nostre anime). catena a trattenere l’animale inferocito; i tedeschi espropriatori più inferociti ancora tiravano a metà maglie dalla parte del suino. La catena è saltata al centro, e il collare ed il resto che bloccavano quel quintale e più di carne e lardo sono rimasti in ‘mano annata’. Niente da fare! “Nazarin” col buono in tasca di L. 1.250 sorrideva pacato, seppure amaro (Chi s’accontenta...). Contenti, invece, non si sono dimostrati i miei suoceri e cognati a quanto pare cointeressati all’ingrasso del maiale. Questa mattina debbo portare del latte fresco a mia madre ammalata. Mio suocero mi consiglia di andare per le Ripe con la sua vecchia ‘bici’ da donna. “Dài, arrivi prima e ti stanchi meno...” (Di certo v’è dell’ottimismo anche in lui). “E se mi pescano? In bicicletta possono individuarmi meglio”. Mi rassicurano. Parto. Fatto un chilometro o poc’altro d’alberato tre tedeschi mi bloccano alle canne del bivio, sul guado. “Signore, bicicletta...” “Permesso bicicletta?” Tento delle spiegazioni mostrando il latte per ‘Mutter’. Niente. Uno d’essi, graduato vociante, minaccia duro e tira a strappi la bici (penso al ...maiale di “Nazarin”). Preso il mezzo quell’Unno vi salta sopra di balzo pedalando verso la piana di Fano. Inseguimento con la bottiglia del latte, sotto il tiro di un caccia a mitragliarci secchi. Peripezie di noi quattro tra canneti e fossi. Addio alla bici ed al latte! Addio anche all’ottimismo di mio suocero. *** L’ufficiale... napoleonico 20 Agosto 1944, domenica • Ateno Spezi, Palma, la nonna di mia moglie 11 Giugno 1944 - Appunti di guerra *** L’ottimismo dei vecchi 17 Agosto “Nazarin” è tuttora ottimista. In ferragosto, a sera, gli hanno scoperto il nascondiglio del porcello e si sono appropriati della bestia. La Santina, moglie del colono, strillava e tirava il capo della lunga L’altro ieri il fiume s’è ingrossato all’improvviso forse per le piogge sull’Appennino, forse per le dighe aperte. Travolti dall’acqua alcuni civili, dei militari e loro mezzi. Fronte di scontri diretti a diecidodici chilometri da noi. Da ‘Nazarìn’ ci sono stati ospiti di riguardo: una brigata col ‘teschio’, comandata da un ufficiale gentile e sorridente (sofferente di ulcera gastrica la comprimeva o l’accarezzava a scaldarla sotto la camicia, alla...napoleonica). Non sorridevano ‘Nazarìn’ ed il figlio Francesco; ma lo ricorderanno, quell’ufficiale, per quanto egli ha fatto caricare sull’autocarro in partenza: tre vitelle, le nascoste rimanenze mangerec- ce più anatre dal fosso, e fiaschi di vino 82 nero. I militi volevano asportare anche i 83 nostri due materassi di lana. Al dolore e preghiere di Fride e di suo padre, il tenente, osservato l’ingombrante instabile carico, li grazia a terra. Poi, col saluto d’addio, lascia... una buona notizia. “Da domani o dopo dimane voi essere qui in prima linea. Si ritira ultima nostra difesa. Fuoco, bombe; rifugiatevi!”. Ci siamo! Due o tre giorni al massimo di crude ansiose attese; poi... Sull’alba, a sorpresa, coi primi rombi e scoppi, un nucleo di guastatori ci requisisce casa, mobili e rifugio, buttandoci fuori. “E noi?”. “Tutti caput! Perchè restare qui? Fuggire. Qui grande fronte. Tutti sparare a zero!’’. Sgomento nei presenti. Con determinazione, mentre Francesco con Pucci e loro attrezzi vengono presi per scavare fonde buche per mitragliatrici od altro, di là, lungo i dossi del fiume , prendo zaino e borsa, fo calzare mia moglie di scarponi, saluto in fretta ed abbandono il posto per andare ‘oltre il fronte’ non avendo più nulla da contendere. Conoscendolo, ci resta facile guadare il fiume (Alla base dei gabbioni v’è il gorgo ove per la piena sono spariti due tedeschi con un cavallo, travolti dalla corrente). Una ragazza sorge improvvisa, dalle stoppie, sulla nostra strada, spettrale visione contro la ripa ocrata, agita le braccia per la nostra attenzione. Ci avverte a fiato rotto che...”Di là del canale...sette uomini sono stati sorpresi dai tedeschi con roba...materiale...fili; non sò; uno dei giovani fucilato...”. L’apparizione si dilegua di corsa. Frastornato o distratto sto mettendo piede in un campo di mine. Mia moglie mi blocca strattonandomi, avvistando in tempo il pericolo. In salita ci appiccichiamo da paperi lungo la scorciatoia. Al ‘Casone’...spuntano i tedeschi armati. “Ma non sono andati via tutti?” esclamiamo. “Tutti? Se qui ci sarà il combattimento - stride un allucinato colono - prima del salto finale. Sloggiate, siete in tempo!”. Via, coi fagotti raccolti in fretta da terra, a cercare un posto nel grosso solito rifugio dove stanno giungendo altri fuggiaschi. Ritroviamo mia sorella Tina e famiglia già scampati dall’inferno esploso in Montecchio di Pesaro. Siamo in ventisei, o più, accatastati sinora qui dentro. (Alcuni degli ultimi arrivati, tra le varie dichiarazioni di sofferenza, precisano che gli uccisi al Canale Albani sono Giocondo Giardini, ‘Bubona’ Diotallevi, ed anche Santinelli ‘Gusto’; il giovane ‘Bocasciuta’ svelto a scappare tra il granoturco si è salvato dalle scariche dei mitra alle spalle...“per vero miracolo”. *** Un figlio assassinato 20 Agosto 1944 Prosegue l’intontimento di tutti quanti ingolfati in quest’antro. Da fuori arrivano schiaffate d’aria calda sulla portella. Una granata scoppia di fronte al rifugio: fumo tra le canne a mascherare l’ingresso. Pezzi di creta si staccano sul nostro capo. C’è pericolo di crolli? Tentativi per raddrizzare travi e pali maneggiando sulla porta in ombra. Dalla riva sinistra del fiume, alla ‘chiusa’, partono due colpi di moschetto. Un sibilo, un grido di donna. Una pallottola è giunta bruciando di striscio le fasce addosso ad un poppante, e, forando un pannolino appeso alla trave, s’è incastrata nel tufo. I cecchini tedeschi sono appostati e pronti in attesa delle avanguardie nemiche (intanto si esercitano su di noi, ombre nemiche dell’ultimo guado). Le preghiere delle donne danno brividi; i ragazzini, silenziosi in fondo alla grotta - sotto il diaframma dell’uscita di sicurezza mascherata dai cespugli - restano vigilati dai parenti. Altri appunti in questa calca ed attesa snervante non è possibile tracciarli. Passano le ore: si soffoca, bagnati di sudore addosso e nauseabondo. Viene il buio totale. In due tentano di prendere cautamente aria e vedere fuori. Dall’alto, soffocata, una voce avverte che i tedeschi, tutti, da questi posti si sono ritirati. Vi è della incredulità; non azzardiamo far voce. Breve parlottare fra i maggiorenti, poi un’ombra chiede: “ Tutti?”. “Torniamo alle nostre case?”. Alcuni desiderano rimanere per la notte: c’è in essi ancora la paura. Con Fride, carponi, per timore di colpi dalla riva sinistra risaliamo cautamente le arenarie. Alla grigia casa, nella stradina, c’è intenzione di riposarci e dormire nel retrostalla. Cerco del materiale per il giaciglio. Un ragazzo ci fa notare che nella paglia, su di una coperta, riposa un giovane molto malato. Preferibile salire al primo piano. Faccio passare nella cantina affianco mia moglie e mio fratello aggregatosi a noi, quindi vado a preparare di sopra dei paglieric- ci. Da lontano un rumore di grossa moto giù a precipizio; si ferma. Crepita secca una scarica di mitra. La macchina fugge per la salita. Balzo alla porta della scala, chiamo mio fratello: non risponde. Un orribile presentimento. Torno a chiamare, piano. Piano ho la risposta: “Stai zitto, hanno sparato di là”. Attendo in silenzio. Scendono alcune donne: quelle d’ima famiglia di coloni arrivati da pochi giorni. Passi nello stallatico. Grida, lamenti, imprecazioni. Dallo sportello esterno hanno sventagliato piombo, colpendo il giovane infermo. “L’hanno ucciso!” urlano le donne; chiamano: “Renzo, Renzo !.. “ Nemmeno un rantolo. Da collo e clavicola esce e si allarga il sangue. Non è morto (Grida di aiuto. Aiuto, ma da chi, nella notte, ora che ritornano a mitragliare anche su cumuli e ombre?). Tentativi di tamponare la ferita e l’uscita del sangue alla meglio, a lume di candela; anche di versare in bocca al giovane un goccio di cognac. Ritorno al piano superiore lasciando il morente alle cure dei familiari. Di nuovo, al fiume, raffiche, bengala, spezzonamenti aerei. Più tardi da sotto casa vengono su le donne portando entro un grosso telo retto a tre per parte sui bordi opposti - il figlio adagiato. Ci guardiamo sbalorditi, io e Fride, pensando immediatamente al “Cristo deposto” di Raffaello, alla Galleria Borghese. Una nostra mano a collocare su di un materasso quel corpo insanguinato. La gola squarciata da gorgoglii cupi. • A. Spezi “La Madre e il Figlio” olio *** 21 Agosto Presto sono saliti gli altri parenti dal rifugio grande. Mio padre nel pacco del pronto soccorso non ha materiale adeguato alla gravità della ferita del giovane. È terribile non potere far nulla ed assistere ammutoliti ad una lunga agonia. Alle 18,45 Renzo Ricci, ad occhi aperti, termina il suo rantolare. Diciannove anni portati via dalla Morte sul calibro brunito della nostra barbarie. È buio alle sette di sera: le finestre chiuse ci isolano dalla vita esterna. Siamo disfatti. La camera ardente col suo lume a petrolio staglia sullo schermo di parete i nostri volti incavati. I tedeschi tirano da sotto ripa con obici. É un buttarsi tutti dalla parte opposta della casa - come relitti in un vascello sbattuto dalla burrasca - tra muri scala e ripiani. Così vestiti (da quanti giorni?) si dorme in sussulti aspettando un nuovo chiarore di cielo. parte del pendio riparato, al di fuori dal tiro dei ‘cecchini’. Ormai è ‘vivere sull’altra sponda’. Gli scoppi di mine tedesche sotto i ponti della Flaminia e nei “Passeggi” di Fano non danno più angoscia. Purtroppo è verità. *** Addio, bel campanile ! 22 Agosto 1944, sera *** I primi liberatori 22 Agosto 1944 Sulle colline all’alba appaiono i primi carri armati inglesi. Ancora lontani, grigi; sembrano serie ripetute come profili di cartone al tirassegno. È l’ “Ottava Armata”. Scendono lentamente, codeste ombre, a ventaglio. Si fermano. Quindi riprendono ad avvolgimento, in parte scompaiono oltre i versanti. Rassicurati, i parenti dell’ucciso tengono consiglio. Vestono la salma, la posano sul carro agricolo, passano per i campi verso la casa natale nell’ansa di Cerasa ove attendeva un sacerdote. E’ da brividi vedere quelle sagome nere del carro e delle donne stagliarsi nette sul crinale terroso, precedute da un bimbo reggente un’asta con panno bianco, e andare verso le altre sagome d’acciaio con il primo lasciapassare della morte. È struggente il silenzio d’un funerale nel silenzio d’un istante esteso per tutta la valle martoriata. Alle 10,40 calano dall’erta polverosa tre ‘inglesi’, a piedi, disarmati. S’avvicinano muovendo in alto le braccia. “Inglesi?”, si chiede loro. “No: siamo polacchi; qui combatte la Divisione polacca!” (Ci tengono a farlo sapere). Sono esploratori, parlano italiano. Sostano a bere acqua, offrono sigarette, ripartono dopo varie interrogazioni. Sul mezzogiorno ne appariranno altri, armati, sempre dalla va? - per le eventuali necessità del caso. E’ breve il suo passo taumaturgico. Nella adiacente abitazione invocato da alcune donne assiste una partoriente in minaccia grave: una maluscita del pargolo (già sotto le colline circostanti e fra i campi si profilano le prime pattuglie polacche). Con calma il medico provvede al parto, si lava, porge agli astanti i necessari consigli per la prosecuzione delle cure... ed esce silenzioso dal retro-casa. Passa tra le siepi ed i foraggi, scompare alla vista, giù verso Fano. Le genti sono attonite, alcune commosse. “Che Dio ti protegga, Dottore!” • Carri armati anglo-americani Dal mattino di ieri le mine tedesche ci hanno soppresso il conforto dei vecchi campanili e delle torri, guardie sull’orizzonte marino. Tutti vandalicamente abbattuti in un’ora di rabbia blasfema! Nel pomeriggio abbiamo sofferto il crollo della Torre campanaria in Piazza, rimasta indenne alla prima accensione degli esplosivi innescati. *** “Arrivederci, Dottore” 22 Agosto 1944 Da ‘Nazarìn’ il bimbo Edo Ambrosi - sfollato coi suoi - è steso nella cuna febbricitante e gonfio al ventre. Sirio, suo padre, ‘incavolato netto’ l’ha riportato indietro dall’Ospedale di Fano, là ove due allievi medici in servizio di pronto soccorso dalle sintomatologie pescate nel malatino non sapevano che pesci trarre. Hanno iniziato soltanto consigli generici per le cure in famiglia. Nella casa i presenti s’affannano sul cosa poter fare nel loro vuoto assoluto di cognizioni, anche empiriche. Appreso che nella vicina casa colonica per il soccorso ad un infermo s’era... ”materializzato un essere ancora ligio al precetto di Ippocrate” (Un Ufficiale medico tedesco), il padre del Piccolino e la nonna Marietta corrono verso la insperata provvidenza, sommando speranze e suppliche. Non v’è necessità. Il medico visita a fondo il bimbo, lo cura paternamente, dà morale ai familiari increduli e lascia loro delle compresse di sulfamidici - chi le trova- • Rovine della torre civica abbattuta dalle mine naziste A Cuccurano e Carrara nella colpa di correre al cielo le ciminiere di cotto già subirono atterramento. L’ago verticale della ‘Fanum Fortunae’ in quest’oggi è sparito dagli indicativi storici d’una 84 scassata bussola locale. Per qualche 85 tempo noi vivi ricorderemo quelle lontane distinte fumate bianche sugli estesi tetti rossastri, i rombi successivi, lo ‘sfondamento’ del cielo con la dissolvenza di immagini care. I piccoli campanili di San Marco e di San Francesco di Paola alla Stazione, sfuggiti alla furia, rimarranno muti testimoni d’un inconcepibile scempio. Davvero è la fine di una Città. Che vorrà dire, per essa, “Liberazione”? Qui, isolati sul piano aperto del ‘Casòn’, non si vedono al voltar di testa soldati alleati o nemici lontani. E nessun civile. Visi sbigottiti in noi. Volano diversi aerei in ricognizione a spirale su varie quote. Non sono sintomi buoni in una calma bellica: siamo àuguri certi osservando il continuo girare di tali avvoltoi sul ventre conteso e lacerato del corpo metaurense. (*7) *** Ultimi giorni di trincea 23 Agosto 1944 Oggi alle 14 v’è un colpo di fulmine. Ci avvisano che il crinale è luogo pericoloso per noi. Meglio abbandonare la grossa casa. Sbrigarsi in fretta: i tedeschi possono riprendere l’offensiva in contrattacco e picchiare qui sopra. Ma gli inglesi dove sono? (Quelle che abbiamo visto erano pattuglie esploranti, i “fiuta-mine’). Dicono i coloni che le truppe alleate sono ancora lontane, a tre-quattro chilometri (quassù i chilometri valgono a ‘linea d’aria’; e nelle azioni di guerra elastica talvolta raddoppiano). Dal nulla, improvvisi, tre carri armati appaiono al dosso, sparando; quindi deviano verso le ripe. Colpi di cannone da sotto. Vado a vedere correndo dietro le siepi. Distante scende un Panzer teso al guado del Metauro. Assisto alla “guerra dei bisonti”? Strillano da casa: mi richiamano, preoccupati. Gli aerei di ieri debbono aver visto nella piana qualcosa di insolito. I contadini caricano a spalla i bimbi, le donne fuggono. Noi prepariamo le valigie e gli zaini alle soglie. Sarà un falso allarme quello ricevuto? Mandiamo due giovani a vedere di qualche pattuglia polacca. L’esodo è facoltativo; si consiglia l’allontanamento di coloro che non hanno lavori pressanti come la cura del bestiame sul posto. “Presto, è fronte di guerra!” Si mangia lestamente qualcosa in cantina, dato che i tedeschi hanno incominciato a tirarci addosso abbastanza precisi. Con l’ultimo scoppio di razzi ci prende la ‘fifa’. Questa volta dobbiamo fuggire, tutti! Affannosi carichi su due birocci e in un calessino, ove ognuno cerca di mettere il possibile. Nel buio poco si vede; si alza uno spicchio giallo di luna sulle arenarie a trasfigurare ancora ombre di sgomento. Bisogna filare presto, altrimenti diverremo bersagli netti sul primo tratto di strada in salita. Lasciata la casa, via dietro ai buoi e cavalli verso l’interno senza meta precisa. Decideremo più avanti col beneplacito degli inglesi. Le donne trascinano i piedi. Sono le 21,30; i bimbi, assonnati, presto si addormenteranno in braccio. Ci siamo: pattuglie e sentinelle ci fermano ad ogni sgambata sbucando neri dai cespugli e dalle siepi. Danno la buona notte, scompaiono. Sadica, la luna illumina a tratti buche, ramaglie, spettri arsi di gola imbiancati dalla polvere dei traini. “Proseguire... proseguire...”. Ancora avanti. Ad un comando d’alt facciamo sosta. Ci danno un pass obbligato di transito per le retrovie. Nuove strade aperte da centinaia di automezzi, case sventrate. Mezzanotte. Si cammina ancora in saliscendi, riposando pochi muniti o per raccogliere qualche pacco che si perde lungo la strada tortuosa e buia tale a un labirinto. C’è un bivio. Ci proibiscono di proseguire a destra. “Via!” Deviare ad ampio raggio dopo il ‘colle ‘fantasma’, scendere per Monteporzio sulla Cesanense. Non sapevamo in quel buio a fughe di luna di esserci tanto impegolati. Ma non sapevamo nemmeno di essere andati a capofitto nella grande sacca di tutta l’Armata alleata! “Chi ce l’ha fatto fare”! 24 Agosto Camminiamo: automi come una frangia di ebrei senza Mosè. Bivio di altro versante. Ci interrogano le sentinelle; poi... “Andare ancora…”. Un militare di scorta - siamo sempre a vista - crede di aver afferrato qualcosa di sospetto in un nostro dialogo. Ci invita deciso al suo Comando di settore (I carri seguitano il rotolio senza di noi). Restiamo venti minuti fuori d’una porta. Dentro, una camera rischiarata da un lume a bassa tensione. Volti assonnati di quattro ufficiali inglesi. Indicano uno sgabello al muro; preferisco una sedia di fronte al tavolo. L’interprete interroga, il comandante in mutandine e maglietta guarda una carta topografica alla parete. La ricetrasmittente nasconde un terzo ufficiale, il quarto scorre una carta delle Marche. Controllano le nostre indicazioni circa i cannoni a Sant’Angelo alle Ripe (Fride, esausta, avrà finalmente un bicchiere di thè). Ci trattengono oltre un’ora, poi decidono di farci pernottare nella casa “per verifiche”. Giochiamo in dialettica e mimica per avere il lasciapassare; faccio notare mia moglie incinta e bisognosa di cure. Usciamo: un sergente ci accompagna per un tratto. Siamo con gli altri. Le donne hanno sete: si chiede acqua in una casa, gli M.P. alla guardia fanno opposizione. Un colono impietosito ce ne offre una brocca: viene strattonato unitamente alla moglie. Ci rendiamo conto che tedeschi, inglesi e polacchi in questi momenti non ci stimano affatto. Specialmente gli inglesi. Ore 3,20: notte dal 23 al 24 Agosto. Sosta presso un’altra casa colonica occupata da molti sfollati. E’ un buttarci sui gradini a mattoni di un’erta scala, libera...per riposarci. All’alba si va alla cerca di una abitazione ove sia permesso occupare la capanna a lato. Trovatala, ci assiepiamo in essa. Ventun persone su venti metri quadrati ‘piancito’. Un’ora dopo arrivano altri polacchi: invadono l’edificio rurale visto da noi poco prima; ci lasciano come siamo nella baracca malandata a loro non confacente. Sulle strade e campi delle colline circostanti passano, scendono, sostano autocarri, traini e macchine in enorme misura. I cannoni spaventano per quantità e calibro. Delle coltivazioni vengono ‘tessute al radar’, i covoni rovesciati, i vigneti distrutti dai carri armati stridenti, accaniti a tranciare filari. Vie nuove, nuovi passi sui terreni resi sicuri mentre ancora i crucchi battono le piste delle vecchie mappe o postazioni di passati rilievi. Una casa semidistrutta viene testardamente bombardata a colpi regolari, forse da una batteria alzata in Montegiove di Fano. Nel pomeriggio arrivano ancora sfollati fuggiti da Lucrezia e da altri borghi lasciati al di là del Metauro, lungo la Flaminia, sotto il tiro incrociato di guerra. Raccontano i nuovi esuli di fasti e nefasti tedeschi svoltisi fra Carrara e Lucrezia sfasciate dal tiro degli inglesi nei giorni avanti. Come già fatto da noi in precedenza , gli ultimi randagi vanno in cerca di paglia e capanne per riposare. Riflettono la nostra odissea. *** Compleanno con spumante 25 Agosto 1944 Oggi è il mio compleanno. Arrivano bombe micidiali, improvvise, seppure a lunghe pause di tempo. Brucia qualcosa di grosso oltre S. Giorgio, ad alte fiamme. Nel ‘campo’ la radio annuncia in inglese e francese la presa di Parigi da parte degli alleati. Anche Marsiglia e Tolone libere. Quindi la caduta della Romania; altri sbarchi. E sul nostro fronte? Ecco: “Il paese di Acqualagna... raggiunto dalle truppe che hanno attraversato le forre“ (sono soltanto pattuglie di prima scoperta o per disturbo). A pranzo - col poco da mettere sotto i denti - mio padre ci fa una gradita sorpresa. Per festeggiare il mio compleanno tira fuori dal suo ‘armamentario’ una bottiglia di spumante. L’aveva messa da parte per berla con i ‘liberatori’. Ma, visto come vanno le cose...be’, seppure non freddo, pròsit: un sorso a testa, e via! 26 Agosto: buio pesto noi calore e fumo (Siamo distesi sulla paglia, addossati nella promiscuità, con orecchie tappate ed occhi chiusi). É il primo grande attacco contro la “Linea Gotica”. Sporadiche risposte tedesche verso il cimitero di Cerasa e sopra le alture di Piagge e Montemaggiore. Pazzesco andirivieni di jeeps, ombre nel polverone, lampi ad aggredire i vedenti. La nostra porta - assai grande - viene spalancata per non crepare soffocati. Nelle pause si sentono ‘tempi’ e comandi di tiro. Voci in francese dei canadesi bilingue, voci in polacco... che per noi è russo. Due... tre ore d’inferno. *** Le Am-Lire 27 Agosto 1944 Le sei del mattino. Ancora vivi. L’azione ha un momento di tregua. Finalmente permettono ai rintronati cristi di uscire all’aperto... a respirare (?) e per areare i vani. Alle nove - dicono - Fano e stata ‘reticolata’ dalle avanguardie polacche di Anders. Volano sull’alto, gli aerei a proseguire oltre Pesaro raids e bombardamenti. Ambulanze e sminatori che rastrellano le piste di avanzata. Gli sfollati invece restano sdraiati per terra - l’erba è scomparsa - sfiniti, totalmente ignorati. Dalle frasi scambiate tra euforici militari si comprende che l’attacco alla ‘Linea Verde’ - o ‘Linea Gotica’ - è stato presenziato da Winston Churchill appostato nella zona di Montemaggiore con Anders, i Generali Alexander e Leese ed altri arrivati da Firenze. 27 Agosto. Mezzogiorno Lunghi fusti in movimento. Preparativi di partenza senza affanno. Le truppe motorizzate si radunano nelle ampie conche. Sono al di là del ‘corpo di Fano’ i mezzi celeri con le punte canadesi, e le prime fasce della Divisione polacca “Fucilieri dei Carpazi”. Vediamo ufficiali USA. C’è in noi un desiderio di tornare da ‘Nazarin’ frammisti ai coloni (ai quali viene concesso il rientro alle case per la cura di esse e del bestiame salvato) passando isolati fra le strette scorciatoie e i secchi fossati, inservibili per le truppe. Due aerei leggeri puntano la discesa sul nostro campo di aviazione ove stridono alcune ruspe. Per i lavori di pulizia personale o per acquisti vari i militari offrono in pagamento le ‘Am-lire’: moneta accolta sorridendo da alcuni; altri, scettici, la definiscono carta da collezione come i ‘buoni di requisizione’ dei tedeschi. *** Due fucilati 28 Agosto 1944 27 agosto. I coloni vicini avevano svol- 86 to... il compito - ad elogio - di generale 87 ospitalità, allestendo in continuazione per i militari a difesa tavolate di pastasciutta benedetta dal vinello bianco del Metauro. Quattro giorni di pacchia, alla faccia nostra! 29 Agosto Prosegue il rastrellamento e controllo degli sbandati e dei tedeschi vestiti da civili, nascosti nei rifulgi e fra i campi per sfuggire alla prigionia o per compiere - dicono alcuni - atti di sabotaggio. Il fiuto dei cercatori di Anders è terribile. Pescati da una pattuglia due hitleriani in divisa - seppure i nemici fossero disarmati e con le mani alzate - avviene il loro allontanamento dal viottolo e l’immediata fucilazione alla schiena, non molto lontano dai nostri sguardi d’orrore. Data la mezza giornata di pausa decido di fare una sgambata verso Fano, con Fride. Armato di bastone a puntale (indosso usati scarponcini polacchi ed una camicia militare a collo aperto) e dell’inseparabile album degli appunti, scendiamo lungo le Ripe assolate per salutare ‘alla mano’ le nostre Mura di levante. Anche ieri la battaglia seguitava violenta ed estesa oltre il medio Metauro, verso il Foglia. Stamane partiamo in sei, con mio fratello ad affiancarmi, misti ai genieri della ‘Sirena Armata’ -”Divisione 350” polacca - primi civili aggregati... per scavare buche e fosse settiche (*8). I canadesi dal diverso berretto e distintivi del ‘Bisonte’ ci incrociano nei loro turni; motociclisti guidano nelle rotte o fanno servizio alle deviazioni. • Soldati tedeschi prigionieri *** I campi di mine 30 Agosto 1944 • Montemaggiore al M. 25/26 Agosto 1944. Winston Churchill studia i piani d’attacco al nemico sullo stesso luogo del Salinatore, ventun secoli e mezzo dopo. Viene sferrata l’offensiva notturna con centinaia di bocche da fuoco qui attorno. Ogni calibro spara senza pausa facendo sobbalzare case e capanne. L’aria si espande, vibra, la terra respira come • Auto dell’Armata polacca con lo stemma di Varsavia • Cartamoneta emessa dal “comando militare Alleato” durante la “Campagna d’Italia”. Le AM-Lire Giungiamo al ‘Casòn’ con la gola secca, dopo ore di fatica. Venticinque polacchi erano rimasti per vedetta e segnalazioni nella grossa abitazione rurale dal 24 al Abbiamo varcato il fiume evitando minaccia di mine. Molte erano esplose ai vari passaggi, altre, rastrellate, si mostravano allarmanti ai margini dei sentieri o nei fossati. Il Metauro n’è pieno come le strade laterali del Canale Albani. Innumeri cartelli paletti e strisce colorate indicano il grave pericolo nascosto un palmo sotto terra. Davanti ai nostri occhi un giovane pastore, al greto, è ‘saltato in aria’ a pezzi. All’argine v’è una macchi- na fracassata dalle esplosioni anticarro. Lungo il viottolo butterato da una parte e dall’altra di nicchie a riparo e buche da cannonate giacciono bombe a mano e tubi di esplosivi. In fondo allo stradone di casa - la prima di sfollamento dei genitori di mia moglie - tra la massa di canne bruciate puzzano due cadaveri di soldati tedeschi, squarciati da mitraglia di carri d’assalto. Nessun civile prima di noi ha percorso questa traccia per scendere al piano. Annotazioni affrettate. Nell’arco del giorno secchi boati: qualcosa o qualcuno viene dilaniato là dove gli addetti ai rastrellamenti degli ordigni hanno bucato, o non sono ancora giunti. Dopo l’apprensione per le bombe sulla testa ora la minaccia di ‘pignatte’ nel pedaggio del ritorno. I contadini sentono la necessità dei lavori. Dei giovani cauti, con lunghe aste a peso sondano passo passo varie zone del loro campo prima di ridargli vita. La campagna è arsa dal sole e dal fuoco; i rimasti covoni sono al limite della cenere. Nota aggiunta: In breve tempo sui terreni minati resteranno uccisi altri uomini dopo i conosciuti fanesi ‘Bìn’ Del Vecchio e l’armaiolo Etelredo Mazza. Ragione’ la Sala Verdi sventrata; quando le macerie della ‘Torre del Bonamici’ mi hanno confermato la distruzione del settecentesco Campanile da me visto cadere il 21 dello scorso Agosto. Ed ancora sgomento al ruotar d’occhi senza le tracce del piccolo campanile della Madonna di Piazza - S. Silvestro, della Torre di Casa Palazzi in via De Cuppis e del campanile di S. Maria Nuova. Per giungere a queste notazioni, con un amico ufficiale della ‘Brigata Garibaldi’ sono passato sulle rovine delle case di Gaudenzi e Baldrati e Bellini; oltre v’erano quelle di casa Battistoni, dove spesso da ‘Peppino’- del sottostante ‘Caffè delle Scienze’ - sedevamo ai tavolini esterni. Era stretta la visione dei negozi sventrati e delle vetrine infrante in rapporto allo scempio a tutto schermo del Teatro e della struttura del Palazzo Civico! Scavalcando i residui conci e profili con Menghetti e Ricci e Pagnoni, vaganti come noi fra i resti di pietra, misuravamo ad occhi e a palmi l’arte infranta rimasta coi moduli e modanature in poche decine di centimetri. Il vero calvario della città era stato qui elevato. I ruderi, i cumuli del cotto e dei bianchi pezzi di pietra d’Istria del campanile morto erano simboli profani d’un terzo Golgota. Ebbi il tempo di buttar giù una ‘impressione’ grafica. • Etelredo Mazza, armaiolo, consigliere Carnevalesca e Somarata *** La città morta 1° Settembre, notte Oggi sono davvero entrato in Fano! A metà Corso la prima grande emozione. Quando m’è apparsa, attraverso l’enorme apertura angolata del ‘Palazzo della • “La città morta” di A. Spezi, 1 Sett. ‘44 Al ritorno i frati amici di San Paterniano ci mostrarono l’immane sfascio dell’altar maggiore e dell’abside lignea compressi dai massi del campanile crollato. Dal basso dell’ampio squarcio il cielo era visibile in un azzurro intenso - e lucente di tramonto alla base - quale immensa vela giottesca. Una pausa per una “croce” nel diario 5 Settembre 1944 *** In questi luoghi di sfollamento - ora manca il ponticello che ci univa - non c’è più il ‘nostro’ Benofi con il quale si filosofeggiava alla buona. Dopo il furto tedesco delle patate c’era in lui un’ansia cocente per la sorte del suo asinello. Gli aveva creato lavorando al buio un rifugio che era diventato quasi una camera, dalla stalla astutamente mascherata sul basso canale. Ma i tedeschi, quel giorno testardamente cercavano il suo ciuccio, in precedenza mai visto. E lo portarono via, con Benofi a condurlo - sfiancato ed implorante - verso l’ex campo base di Bellocchi. Lungo la strada il vecchio piangeva lacrime bianche. Più tardi lo lasciarono. “Vai... Tu andare a casa”. Lì, Benofi ebbe un sussulto. “Alla casa? Magari, una casa: è una capanna. Capanna, capite? Ci dovreste vivere voi!”. Gli altri non comprendevano tale sfogo. “Camminare, andare via!” .“Vado... vado; cammino...”. (Cammina, Benofi, ammiccando nella sua miopia. Trasandato, a scarpe rotte. Un pensiero; poi si volta, forse a ritornare. “Il mio somarello, volevo dire”. Fa un gesto, uno strano gesto verso l’alto come a indicare Dio o gli aerei. Fissa gli hitleriani. “Già, andare, ma da chi? Ora il somaro è tra voi”. Scuote la testa arruffata; volta la schiena. Una scarica di moschetto, una sghignazzata. Forse sente un colpo alla spalla: è il primo; il secondo è al fianco. Barcolla, s’inginocchia, distende le braccia in avanti. Da un casolare tutto hanno visto; e sentito il suo parlare. L’asinello non è lontano, fra cotante belve. Ecco un raglio: il primo e l’ultimo della sua vita di recluso cui il filosofo aveva insegnato a tacere. Sui vicini cipressi alto il silenzio. Poi: “Hanno ucciso Benofi!” “Hanno ucciso Benofi!”, grideranno le donne entrando nel deserto della strada. Era il 24 Agosto 1944. Una casa in città 3 Settembre Siamo tornati in città per trovare fra conoscenti ed amici un buco abitabile. Nessun posto, nessuna possibilità di alloggio! Ogni villa, palazzo, scuola, magazzino e scantinato è sotto occupazione per truppe, ospedali, comandi, ritrovi militari d’ogni nazione razza e colore, o assistenza religiosa. Quei sinistrati rimasti in vicine precarie abitazioni, e dei furbi di mestiere, solerti hanno occupato appartamenti e case libere da padroni ancora lontani e di camerati in fuga. Manifesti - volantini - editti ; soldati e relitti. Non c’è acqua, niente luce, niente di niente. Nemmeno i mobili della nostra camera matrimoniale già nascosti da un falegname: spariti! Alla ‘Sapor’ - forno e panetteria - macerie, residuati di fuoco. C’è un posteggio di pronto soccorso. E’ domenica, Sant’Antonio. Tutti sono al ‘Borgo’ sotto il sole a rivedersi e parlare. Gli uomini col vestito buono la cravatta il cappello; e le vocianti donne, beate. Ma ‘Chi’ è passato allora? Oggi è festa, perché pensarci? Pensare a che pro se hai tutto cui dover pensare. Gente che ride conscia-inconscia nelle strade e fuor di chiesa tra sparsi indefinibili raggrumi di cose. La guerra è già ‘un passato’, per alcuni; ma per tanti altri è incubo vivo. (Lungo la ‘Nazionale’ corrono veloci e pazzeschi camion e jeeps alleati colmi o vuoti di armati e materiali, radendo le curve e le case, incuranti di fracassarsi contro i muri o di schiacciare, come spesso avviene, gente sbadata o imprudente se non talvolta ‘Agnelli di Dio’). Si sentono il cannone ed il bombardamento lontani: tutto assai bene. E’ quindi ‘presente’, questa guerra, in un tempo e spazio relativi. Purtroppo Einstein non è l’uomo del quotidiano, e mai potrà dare una risposta alla domanda relativa al nostro ‘buco’ temporale. Il buco ove ‘passare’, io e mia moglie.(*9) - Prima vittima delle furie alleate: la giovanissima ‘Lena’ Tombari, schiacciata sulla soglia della ‘Sapor’ - nella curva della Nazionale al Borgo da una forsennata jeep condotta da anonimi polacchi in arme. *** *** Fine d’un carro armato 8 Settembre 1944 Il nostro passo di memorie ci porta al carro armato tedesco, vicino alla nostra prima casa di sfollamento. Il relitto è ancora nascosto tra il canneto ed i pioppi, all’argine del fiume. Cauti percorriamo la sponda infida per raggiungere la carcassa annerita, schiacciata nel fango. Non c’è più il nero seggiolo divelto presso il grosso cespuglio di rovi, allora con una coppella d’acqua piovana dentro. Su quest’argine completo le note di quel 23 Agosto, osservatore nascosto d’una tragica caccia. ... Quel blindato scendeva dalla ripa destra inseguito da tre carri armati inglesi sparacchianti a ventaglio. Il Panzer col cannoncino bloccato non poteva reagire. Attraversava il guado zigzagando. • Panzer tedesco distrutto Era quasi in salvo. Ma nell’ultimo arrancare di cingoli uno sfriggìo a vuoto: la melma saltava e l’acqua verdastra d’una mascherata gora girava in vortice col digrignare dei ruotini a folle. Lassù puntavano gli Sherman, ora fermi accentranti la mira. Il cingolato era in trappola! Una pastoia ad ogni tentativo di attrito, un affossamento continuo a metterlo quasi in verticale nel trabocchetto, di limo e radici. Gli inglesi osservavano l’agonia, con deliberata flemma. Poi altra immagine di quel momento indelebile. Due ‘anime’ tra il fumo spalancano la portella, s’immergono nell’acqua sino alla cintola, vanno alla riva sbattendo le braccia dietro ai cassoni, scompaiono. Ecco, v’è una mano alzata: un proiettile giunto dall’alto svuota la sponda sul muso del Panzer. L’eco d’un urlo più secco esce dal ventre dell’ acciaio in panne: una carica fa saltare la parte superiore della torretta, che in ogivale parabola rossa lucente di fuoco precipita e si spegne affossata a riva. Dei tre carri armati - ancora in sosta - uno d’essi ora alza il tiro sui pioppi: “God save the Queen!”. *** Il pranzo è servito 10 Settembre 1944 Cerchiamo disperatamente casa. Quel- la assegnataci quali sinistrati è occupa- 88 ta da ufficiali. “Aspettare!”. Ma dove? Il 89 tempo minaccia; alla notte è già fresco. “Arrangiarsi - ci dicono - Qui a Fano la guerra è finita”. Per noi senza roba né casa la ‘guerra civile’ incomincia ora. Mio padre spera di portarci a dormire all’Ospedale negli scantinati, dove avevamo ‘riposato’ nei primi tempi degli allarmi aerei e bombardamenti. Presso gli ‘alleati’ da giorni ho trovato una soluzione per quanto riguarda il sostentamento. L’amico Gustavo Marini - ‘Barzilai’- mi ha indirizzato ad un comando inglese di settore locato nella villa Blasi (*10). Avevano colà bisogno di un ‘vero artista’ (...”A real Academy artist”) per dipingere scene di guerra delle loro formazioni aeree e navali, nonché decorare ambienti ed alloggiamenti militari sparsi per la città. In tali basi avrò richieste di pitture particolari: scene con figure femminili, visioni di luoghi di origine, emblemi caratteristici, caricature… Il rancio è servito; ed anche tè, latte e uova in polvere, brioches e marmellate. Pochi spiccioli USA. Una considerazione per le svariate sconcertanti improvvise tematiche. Nei distinti ‘clan’ e raggruppamenti per etnie e nazionalità d’oltremare, in quei luoghi fatti intimi e nostalgici o di crudo distacco osservo e ‘rappresento’ diversità di pensieri, contrasti di culture, discrepanze sociali, ironie crudeli. Maggiori quest’ultime verso gli inglesi - e degli inglesi verso gli americani. Trascrivo a sera tali impressioni. Alcune stranamente si ricollegano ai miei trascorsi periodi d’opere e vita a Marsiglia, con volti e gesti e sguardi usuali in legionari, ombre sui carghi partenti per l’Algeria senza scie di affetti umani. Settembre Mio padre dopo la riattivazione dei gabinetti di radiologia e terapia fisica all’Ospedale ‘Santa Croce’, per poter svolgere in essi le sue mansioni ha ottenuto dal Town Major di Fano una abitazione nel palazzo Arceci (già Carnaroli), in via Nolfi, requisito dal comando alleato. Per dormire siamo a posto! Nel frattempo sono diventato ‘cooperatore’ regolare in un reparto operativo di genieri, con l’assegno di una anonima divisa di giornata e piastrina di riconoscimento per libera circolazione -’pass’- durante il coprifuoco, di stivaletti, d’un basco che non mi va, e di una grossa cinghia di cuoio nera a fibbia di lucido ottone, da tenere sempre ‘efficiente’ (Posso usare la mia ‘canna’ con puntale). Prosegue la ricerca-requisizione-attivazione di ville e costruzioni sul litorale sino a Cattolica. Il sergente alleato, con la camionetta colma di materiale da apprestamento mi rileva al mattino presto per scaricarmi nel tardo rientro a casa. Lui andrà a sbronzarsi da una sua collega. Nella attività specifica saltiamo Pesaro ove per altro gruppo di zona operano alcuni amici artisti (‘Promozioni culturali’). Il comandante americano Davidson (o Dawson?) delegato coi suoi per collegamento col nostro reparto dell’ “Ottava” dopo il rapido ritratto a tempera da me fattogli in alloggio, è rimasto fissato. Mostrandomi le fotografie di sua moglie e figliola mi ha proposto -andando lui in licenza per un mese- di portarmi, previo un salto ‘alla base’, nella sua casa in Florida per ritrarlo ad olio con le sue gioie femminili. Dice: “Niente paura, cielo libero”. Conoscendo il cliente trovo modo di rimandare cortesemente l’invito affermando di poter essere più libero, io, a fine guerra... I canadesi occupano palazzo Montevecchio. Scaricano e portano il materiale nelle varie sale, sbalorditi nell’ampio respiro dello scalone. L’ufficiale addetto alla ‘ambientazione’ mi indica i piani di lavoro da eseguire - ci parliamo in francese - dandoci appuntamento ‘a domani’ per la sala comando e per il ‘teatrino di corte’, malandato. Arrivo il mattino dopo. Sul posto un trambusto di macchine in partenza, soldati a caricare materiale di sussistenza e di ufficio; un correre per rampe... uscire salire partire... Chiedo e mi rispondono: “Via,via...: pericolo!”. Non trovo il Tenente addetto agli allestimenti. Uno degli ultimi mi spiega. Tutto il carico con gli ausiliari, lassù al secondo piano, ha provocato il cedimento di alcune travi; il teatrino si sfalda sulle colonne di legno con stucchi e cannicce. Vengono giù intonaci a battere chiodi e tirare cavi. Paura di rimanere sotto le macerie... (E noi cosa dobbiamo dire d’un tempo vicino passato sotto le loro bombe in caduta libera, senza preavviso?). “Peccato, dice ancora il canadese, è proprio bella ‘questa casa’: l’avrei goduta un poco, davvero!”. Saliamo sulla camionetta. Gli altri sono lungo la Flaminia a bloccare un casamentone con parco. Senza ‘Teatrino di Corte’. Non occorre: capiscono di essere ancora sul palcoscenico di un vero teatro di guerra. Al mio ufficialetto di Montreal è sparita anche la voglia di farsi ritrarre. Nell’affare ci rimetto diverse ‘Am-lire’ per lavoro sfumato. Dopo, rancio al ‘Regina Elena’ presso gli americani ove ‘Tom il cuciniere’ mi passa patate e carne su di un vassoio libero, mentre in argilla abbozzo al naturale il suo ritratto a mezzo busto. dei canadesi del Gen. Burns - pure quelli di Palazzo Montevecchio - spesso rallentando per dare posto ai carichi bianchi di morti e feriti scendenti verso la costa. Ad uno stop parte della colonna americana curva a sinistra, lentamente, con quella inglese del Gen. Leese. Le nostre jeeps corrono di nuovo alla marina. Dal mattino del giorno 20 Rimini è caduta davanti a noi. Si arranca sull’Adriatica. Altra massa motorizzata da qui prende l’avvio per Sant’Arcangelo o Forlì; si sfrangia fra dossi e filari. Sosta alle prime case d’un paese silente. Vanno avanti canadesi, polacchi e pattuglie inglesi. Scovati due fabbricati presso la spiaggia viene installato “per pochi giorni”(?) il centro assistenza. Trovo altro graduato inglese a sollecitarmi pitture per il suo nuovo gruppo. *** Per me la guerra finisce in Romagna Ottobre 1944 • A. Spezi “Tom il cuciniere” 1944/45 - Gesso *** Oltre la Linea Gotica Fine Settembre 1944 Il mio sergente dopo le giornate d’andirivieni in Jeep mattino e sera tra Fano ed il fronte Coriano-Riccione - sul quale mi era venuta la pelle d’oca - viene d’impeto in casa per buttarmi giù dal letto e caricarmi su di una camionetta. Con armi e bagagli m’avvia con l’autista verso la direttrice adriatica intenzionato a bloccarmi lassù, oltre la ‘Linea Verde’ aperta al di là del Foglia sul versante romagnolo nella metà del mese tramite l’operazione ‘Olive’. L’alleato ci segue con altra ‘merce’ formata da due muratori di Fenile di Fano e sacchi di cemento e gesso a presa rapida. Quest’accidenti di factotum è spiccio di modi e pesante nel parlare (Capisco da tempo che la sua mansione consiste nell’attivare una specie di subappalto da impresa per la ‘relax bellica’ di certi settori. Tutto è ‘business by America’). Aggregati a grossi plotoni gonfi di materiale e truppa usiamo le piste bonificate verso Riccione, ed oltre, ad opera L’ottobrata bellica avviata dal Rubicone - capovolgendo i piani di Cesare - ci sta avvicinando lentamente al Savio. I camion giganti sono già disposti verso questa meta con materiale per ponti, passerelle e piste di atterraggio. Siamo sotto Cesenatico. Corrono ordini come frustate, ci incurvano freddi tiri di vento. Requisizioni di case ville e zone a ‘maglia aperta’ per coprire temporaneamente comandi, truppe, servizi di assistenza. Esplosioni di bombe a grappoli verso l’interno; la zona mare viene quasi ‘sollevata’ forse per la presenza di navi al largo. Noi tre fanesi guardiamo preoccupati il cielo rossastro sul fronte attivato, arco da cui provengono proiettili da tiri impazziti - e talvolta a scheggiarci. (Penso a quello che potrebbe diventare Ravenna, fra poco nell’allargamento eventuale d’una battaglia blasfema). Nel sopralluogo coi due muratori una costruzione con porticato viene fissata dal sergente (...è un geometra?) per adibirla a ‘ristoro-bar’ con servizio al volo per jeeps in corsa, moto sparate ed altri accidenti rotanti. “Ma qui ci vorrà del tempo”, dice uno degli uomini del Fenile. Il capoccia non ha tempo. Grida: “Tutti lavorare!”. Per lo spazio mescita e sale di sosta mi viene assegnato il piano operativo ed un graduato armato di compressore, e aerografo a più stadi, per spruzzare coloranti sintetici. Anco- ra il ‘capo’, passandomi del materiale in busta: “Fare subito disegni, guardare nostre foto ‘Girls’ da pitturare grandi e nude, a colori. Tutto capito?”. “O.K.” da parte mia col pollice alto. Dall’altra parte della costruzione i muratori incominciano ad aprire un muro verso il carrabile. Cooperando nelle odierne ‘operazioni belliche’ debbo costatare evidenti lacune nella mia Cultura Militare (fatta materia obbligatoria di studio e valutata con un buono agli esami di maturità liceale): colpa - o merito?- di un testo purgato che non portava in pagina bordelli mobili dati in appalto; ed artisti figurativi, alias ‘cartografi ufficiali’, in Romans (Go) ed altrove, in retrovia, durante gli anni mediani di stasi e logoramento della Grande Guerra 1915/’18. L’astuto alleato in questi frangenti dà apporto alla vecchia materia con nuove sottili tecniche ‘puritane’ (c’è fifa al Comando degli armati per banali cadute ero(t)iche), coadiuvato da artisti-illustratori ispirati non più all’Italico Stellone, ma a certune Starlette patinate, made in U.S.A. Tutto per un volgare companatico!) ............... Le avanguardie polacche e canadesi, con altre forze a sfondare, hanno oltrepassato Cesenatico per attestarsi da Cervia al Savio. Non abbiamo variazioni. E’ notte. Il sergente - è con due ufficiali - mi dice di seguirlo in città per parlare con il “Town Major”, il Sindaco. Capisco. Sotto una arcata troviamo l’abitazione dell’eletto. Suono ripetutamente, s’accende una luce sul lunotto della porta. “Che volete?”, trema una voce. “Signor Sindaco - attacco - vi sono ufficiali alleati i quali vorrebbero parlarle”. Pausa; ci guardiamo. Sarà fuggito? Piano si apre il battente: a fondo scala c’è un omino in camicia da notte a coprire una donna magra, appena in chiarore. Spaventato l’essere guarda i tre ‘alleati’ posti alla mia schiena. Apre bocca: “É molto tardi, che volete?”. Sparo la richiesta: “Signor sindaco, i presenti sono rappresentanti di ufficiali dell’ “Ottava”. Desiderano festeggiare la breve sosta dei loro gruppi a Cesenatico... e vorrebbero conoscere ‘Miss di ceto bene’ delle città per brindare, uniti, in questo avvenimento”. Quello ci guarda sbalordito. “Cosa? E’ quasi mezzanotte. Dove le trovo, io, tali signorine?”. Nel frattempo due giovani ragazze s’erano affacciate oltre le spalle del capo-città. Il Tenente inglese mi sgomita ed esclama: “Ecco, trovate due Miss!”. L’anima in camicia da notte dà un sobbalzo ed urla: “No! Ma siete matti? Queste sono le mie figliole: non si toccano!”. Poi si calma. Quasi furbescamente ci suggerisce: “Sentite. Ormai è troppo tardi. Chi è ‘sfollata’, chi ‘dorme’ fuori casa. Una proposta, se vi garba. A giorno nell’ora di ufficio farò passare parola ed invito per tutta Cesenatico. Avviserò del ‘quartieramento’ degli AMERICANI. Vedrete: a questa parola tutte le... puttane della Romagna saranno qui con voi” (testuale). Ci guardiamo al lusco del lumino. Gli alleati capiscono qualcosa del romagnolo da me corretto e dolcificato. Con le jeeps torniamo agli alloggiamenti. Mi infilo nel sacco a pelo. Il Serg. sorride soddisfatto: “Affare concluso” - “Good night!”. *** Piccoli fasti (Annotazione marginale nel ritorno) L’amico alleato mi riporta a casa dal fronte per forzata stasi bellica. Con noi due, in macchina, anche un ufficiale ferito ed un ‘M.P’ ad accompagnarlo verso il porto di Ancona. A Fano nell’incrocio tra via Garibaldi e via Nolfi scorgo al portone di palazzo Arceci, dove abito, un tale - detto ‘Bartulòn’- discutere animatamente con mio padre. Guardinghi, poco lontani, tre o quattro affiancatori dell’uomo; uno d’essi ha un fazzoletto rosso al collo. Capisco. Aggancio tali presenze e comportamenti alla attuale situazione politica fanese. Dò lo stop immediato, indicando la nostra abitazione che il sergente ben conosce. Egli vede ed esclama seccamente: “Artist, cosa fare big man with your father”. Rispondo: “L’uomo grosso non offende il babbo; quello e gli altri cercano me. Sono ‘compagni comunisti’ che vorrebbero a loro modo chiarimenti: forse non mi ritengono loro...estimatore”. “What? They are comunist?... Vogliono picchiarti?”. Infuriato alla parola comunisti sobbalza e ‘prende mazza’; l’ M.P. e l’ufficiale si alzano con me sulla camionetta (siamo in tenuta da campo; l’ M.P. calca il tipico elmetto stampato). Mio padre ci vede ed indica all’omone il nostro gruppo. ‘Bartulòn’ e gli altri allibiscono; il primo bofonchia una frase, saluta con rispetto il mio genitore, sgomita il vicino, si dilegua con i compagni oltre San Marco e le Mura del Sangallo. In un attimo siamo alla porta di casa. “Have you seen, hai vi- 90 sto Artist?: noi mettere K.O. this kind of 91 bad people!”, stride lo yankee verso tal fuggita gente. Poi, calmo, alza la mano: “Good bye, Athèno”. Ridendo, parte sparato. Mio padre saluta il sergente con la mano destra alta alla tempia: “Ciao, collega di guerra!” (Babbo era sottufficiale del ‘genio’, al fronte, nel 1915/18). *** Pagine sparse Senza data Del periodo di cooperazione con gli alleati rimangono esemplari alcuni episodi. Il primo - avvenuto giorni dopo la liberazione di Fano - riguarda la requisizione della villa Blasi, in viale Mariotti, per il comando dei servizi sanitari. Operazione: “Disinfezione, disinfestazione, nebulizzazione aerea della città con ondate notturne di ‘D.D.T.’. La nomea di zona già soggetta a calamità tipo ‘Spagnola’, malaria, ed altre ‘di riporto’ (?), tratta forse da una cartina sanitaria della guerra del 1915/18, deve aver dato di testa al Colonnello inglese medico responsabile della salute degli armati del Commonwealth giunti alle nostre rive. Passata la visita alla villa Blasi (già Orsi) in ogni sua parte, il Dirigente dà immediato ordine di imbiancare tutti gli ambienti utilizzabili per la sua équipe: “White, White...!”; con tempere e smalti anche su mobili e porte, senza perdere tempo. ‘White’ anche nel locale esterno, ove debbono essere accatastate casse di Mineral Water. Sentito ciò, tramite l’interprete faccio notare al Comandante che sarebbe un peccato rovinare una sala in stile Rinascimento dai mobili in legno pregiato, intagliato, ed a vetrine piombate di grande valore. Uno sguardo gelido addosso: “Niente! Tutti i mobili e pareti in bianco; pulire!”. E così accade, su ogni cosa indicata. Vengono lasciate soltanto le pareti dell’ingresso e di una stanza di raccordo al piano terra, perché in esse io possa dipingere a tempera varie scene di guerra tratte da foto scattate durante e dopo i bombardamenti aereo-navali di Ancona. “Attenzione!: Mettere in risalto simboli e sigle delle Reali Unità Operative”. Sul lungo tavolato a ponte - a mezza altezza della prima parete da illustrare - guardando le tragiche foto di quei giorni eterni rimango bloccato e commosso. Inizio l’opera riflettendomi in occhi grigi la visione dei terribili bombardamenti di un 14 Ottobre 1943, data d’agonia e morte - nel grande rifugio anconetano - di trecento civili tuttora colà sepolti (*11). Mentre dipingo i lati della sala posso osservare di volta in volta ufficiali di varia nazionalità e grado (in massima parte anglosassoni), staffette in transito, giovani donne in divisa da ausiliarie, entrare di getto nei locali, sedersi o passare attorno al lungo tavolo di centro, servirsi su vassoi di metallo a più funzioni (gratuito riscontro sul metodo del ‘Self- service’) con tè, bevande in barattoli colorati, noccioline e salatini vari; nonché estrarre uscendo altre ‘cosucce’ indecifrabili da una scatola aperta posata su di una mensola, verso porta, targata con un simbolo sanitario. Automatico è nei presenti - dai capelli alla divisa a posto - quel prendere, sorbire, mangiucchiare, far due chiacchiere da salotto, o con rapidità; se postisi in fila all’americana, via i riguardi fra sesso e grado, urgenza o meno, essere gallese o canadese. Talvolta c’è un ordine esposto all’albo, o scritto su lavagnetta: un saluto secco degli interessati e...fuori, con un salto dalla strada alle jeeps sempre a motore acceso. Nonostante i loro sguardi, in quell’ambiente - io, lassù in trespolo - per gli Inglesi NON ESISTEVO. Esempio nell’indiretto operar bellico di quel vecchio istituto sociale che non conoscevo ancora: ‘Il Circolo Britannico’. si e chiudersi su coppie in bassa voce (Bei visi conosciuti! L’interprete locale è come le tre scimmie). Sento gridii di sorpresa: un paio di ragazze si eclissano stridendo il mio nome. Ho l’obbligo di uscire con discrezione nella notte avanzata. La festa prosegue sino all’alba. A Palazzo Saladini-Ferri s’è installato comodamente un comando inglese con molte ausiliarie della assistenza ‘YMCA’. Le Miss, oltre ai cartelli di varia indicazione nell’atrio e nei piani di sosta per i tanti commilitoni, vogliono decorazioni nelle loro tre camere rosa con storie di ‘Bamby’. Pagano con margarina, tè, latte in polvere. Mi ingozzano di pasticcini. Nel salone dal grande caminetto dipingo ai lati del manufatto, in grandezza naturale, due ‘Guardie Svizzere’ con elmo e costume michelangiolesco, reggenti uno la paletta e l’altro l’attizzatoio (Sghignazzano sommessi gli ufficiali; al centro cappa mi disegnano l’arme di Papa Sisto V, marchigiano, Tiara e doppia scure). Lo sanno i ‘Sir’ di occupare un palazzo di nobiltà nera? O sfoggiano appositamente il black-umor tipico degli albionici di razza e stile, memori delle lotte fra Sisto ed Elisabetta?). *** Una scuola risorge dallo sfacelo *** • Palazzo Castracane Miseria e nobiltà *** C’è in programma una ‘Soirée’ a Palazzo Castracane per ufficiali inglesi di varia caratura. Servizio di bibite fredde e calde nonché buffet del ‘Caffè Centrale’. Mi introduce l’amico Generali (fratello del pittore Fra Tarcisio) interprete nella “Ottava”. Dobbiamo installare addobbi ed alcune rapide decorazioni d’Arma su cartoni predisposti. Sere dopo alla festa in abito buono e cravatta; muti, a disposizione. Salone nobile col sole a raggiera in centro-soffitto: lampadario acceso di candele. Molte signorine di blasone fanese, diverse studentesse, altre giovani incognite ‘foreste’. Musica discreta; fumo di pipe e sigarette. Porte ad aprir- trecentesche, semplicità di taglio, tinte piatte. Non ricordo per quale opera scespiriana in cartellone. Si esprimeva l’ufficiale interlocutore in buon italiano, dicendomi di conoscere ed amare l’arte umbro-toscana: Assisi, Firenze, Pisa, Siena. Gli promisi di passargli, per una migliore corrispondenza alla ‘realtà fittizia’ di scena, alcune tavole giottesche a colori (Avevo salvato le pubblicazioni di ‘Civiltà’, la rivista letteraria uscita nel ‘Quaranta’ per l’Esposizione Universale di Roma). Ci ritrovammo giorni dopo: gli consegnai quattro riproduzioni a colori degli affreschi di Giotto in Assisi. Rimase sorpreso, quasi commosso nel rivedere quelle pitture estese nella Chiesa superiore cosi stupende; ed oggi rare, in una limitata pubblicazione interrotta. Ci presentammo secondo persone civili; il suo nome: Richard Llewellyn. Mentre lo scrittore stava curando l’anteprima dell’opera venni assegnato ad altri lavori e ci perdemmo di vista. Si preparava l’offensiva e l’avanzata oltre la Romagna per l’ultimo colpo alla ‘LineaGotica’. Capivo che dalla ‘elevazione dell’effimero’ - secondo Llewellyn - purtroppo si stava passando alla distruzione dell’eleatismo. (*12) Il verde dell’Umbria scespiriana Al Cinema-Arena Corso - ‘da Malandra’gli inglesi, a sollazzo della truppa, oltre che sistemare e tinteggiare coi due colori del loro Gruppo di combattimento il soffitto della sala e la balaustra della galleria, hanno deciso di sfruttare anche il palcoscenico e lo spazio della ‘Arena’. Perciò l’esperto designato al ‘programma culturale’ dell’Arma mi ha rilevato dalle pitture estemporanee in atto nella villetta di Viali, per coadiuvarlo alla realizzazione di alcune strutture sceniche da lui progettate. Squadrature architettoniche Scuola Artistico-Industriale “Adolfo Apolloni” a palazzo Marcolini, requisita dagli inglesi per essere adibita ad Ospedale Militare di 2a Base. Già rapinata all’interno sia dai tedeschi che dai nativi: dagli uni dei macchinari pesanti e ferramenta, dagli altri di imposte, porte, banchi e materiale vario accatastato nel magazzino (in previsione di bombardamenti e sfollamento scolastico le attrezzature di maggior valore - o di reale necessità didattica - erano state riunite e murate fra due arconi nel sotterraneo del palazzo, a cura dell’allora Direttore della Scuola Architetto Preziotti. Nel primo solaio per diverse settimane aveva trovato rifugio, nascosta ai tedeschi ad inizio di persecuzioni, una famiglia di ebrei italiani). Nel piazzale dell’Istituto eravamo presenti alle musiche del sabato, delle festività militari e dell’ “estremo addio”, quando la banda militare scozzese in gonnellino e nappe e fiocchi suonava con pifferi e cornamuse, richiaman- do alle finestre feriti ed ammalati: un ritrovare, con esse, le familiari voci ed immagini di lontane nordiche brume. Li sentiremo ancora, quei canti e pifferi e calor di saghe, nella pausa invernale del fronte emiliano-romagnolo del 1944/45; e nella primavera di una guerra finale. Nell’ ottobre-novembre 1945 abbiamo messo mano fra colleghi e collaboratori alle prime urgenti attivazioni dell’Istituto. In esso, quale insegnante, sono tornato alla vita culturale ed artistica. É doveroso ricordare, dei duri mesi di quell’oscuro impagato lavoro, gli amici carissimi Gaetano Bartolucci - Direttore - e Maria Baroffio, Rino Fucci, Carlo Zonghetti, Donatello Stefanucci, Giovanni Napoleone, Giovanni Tonelli, Giuseppe Monaldi, Giuseppe Nicolini, Arturo Bacchiocchi, insegnanti, nonchè il segretario Alceo Boiani, e Baldini e Curina, bidelli. Da quell’inverno 1945/46 l’edificio settecentesco ritornava finalmente “Scuola viva”! Brevi note di chiusura Augusto Simoncelli Il compagno d’Accolta, Simoncelli, pittore ‘tornato di Francia’, mi racconta d’essere stato chiamato a ‘Villa Blasi’ per restaurare gli ambienti lasciati dagli inglesi. Il proprietario, ignorando fatti e leggi di guerra, chiedeva il nome di colui che gli aveva ‘imbrattato’ le sale per…rifarsi dei danni subiti. “Lo conosci, Spezi?” - mi domanda l’ironico amico. Certo che lo conosco! È il medesimo sotto il quale sparirono reperti romani e medioevali nascosti o murati quale la ‘raccolta’ OrsiBlasi. Si chiama Colonnello D.W., inglese della “Ottava Armata” di passaggio a Fano per un week-end di guerra bianca. Agosto 1946 ....Invece Pasquale Pandolfi, nel cui magazzino avevo dipinto scene varie per australiani e neozelandesi, mi dice di tenersele care, quelle pitture; e le mostra con piacere ai suoi clienti di olio e granaglie, sorpresi di quello stralcio inconsueto e ignorato della guerra da poco finita. A Fano, nella ‘Accolta dei 15’, ebbe poi 92 modo di mostrare le sue capacità artisti- 93 che e l’albionico humor. É morto abbandonato nell’Ospizio Cronici locale. Commiato A mente fredda, leggendo le ricomposte pagine di una odissea di guerra ormai dissolta, mi esce di nuovo quella esclamazione di sconforto emessa durante la umiliante notte del 23/24 agosto 1944: “CHI CE L’HA FATTO FARE !”: Scommetto che nessun’altra famiglia fanese - o d’altre sponde metaurensi - sia andata a finire “caparbiamente-inconsciamente-scalognatamente” a capofitto in mezzo a tanti guai, così come è avvenuto alla nostra sconnessa maglia di sfollati, nell’altalenante vita, dalla piana alle ‘Ripe’ alle martoriate colline attorno al vecchio argilloso fiume. In questa “Agonia di paese” c’è stata, forse in positivo, una mia ritrovata volontà di fare presenza, analisi, cronaca, lungo i tanti giorni che si sgranavano in un calendario da tempo paesano, senza il barlume di una scadenza vicina e rassicurante. A Richard Llewellyn (1906-1983) Non dimenticherò il quasi coetaneo scrittore Richard, innamorato della sua verde terra gallese e dell’ Umbria giottesca, perché oggi avrò modo di leggere il suo romanzo “Com’era verde la mia vallata”. A Thomas (Tom) Storer (Tynemouth-Worthgields, 1915 - Fano, 1973) Ateno Spezi, Fano 1994 . • L’autore di queste “cronache” con Italo Pecora - I residuati bellici posti nei “Parchi di Rimembranze” oggi servono ai radi curiosi quali tappe fotografiche. • Richard Llewellyn La vallata di tutti coloro che se ne son andati. Simili a quei tanti “andati” della mia Val Metauro. Febbraio 1946. Note parte seconda • Tom Storer P.S.: Caro, l’amico pittore Tom Storer, conosciuto al ‘fronte gotico’ in un locale da me affrescato per gli alleati. Egli era lassù capitano degli ‘engineers’ inglesi nei momenti cruciali della guerra!. (*1) Mezio Agostini, compositore e direttore d’orchestra, era nato da una famiglia di musicisti. Si diplomò al Liceo Musicale “G. Rossini” di Pesaro in pianoforte (1893) e composizione (1894). Risale al 1893 la sua prima composizione, “Ouverture n.1” per orchestra. Nel 1897 diresse tutte le recite del carnevale e della stagione estiva al Teatro della Fortuna. Nel 1900 fu chiamato da Mascagni ad insegnare Armonia principale nel Liceo “G. Rossini”. Scrisse otto opere, 3 sinfonie 3 suites e 15 pezzi vari per orchestra, 6 quartetti per archi, un centinaio di pagine di musica da camera, due sonate ed una sinfonia. (c.m.) (*2) L’ebanista fanese Giuseppe Tacchetti (c.m.) Il Giornale di Fano liberata Bibliografia di primo riferimento A. Dal Pont, Simonetta Carolini, L’Italia dissidente e antifascista, La Pietra, Milano 1981. G. Perugini, Fano e la seconda guerra mondiale, Bologna 1949. N. Ferri, Documenti e riferimenti sugli ultimi giorni di occupazione nazista a Fano, in ‘Fano, supplemento al Notiziario di informazione sui problemi cittadini del 1981’, Fano 1982. G. Mari, Guerriglia sull’Appennino, Urbino 1965. (*3) Ateno Spezi cita qui tre popolari ed amati sacerdoti fanesi: don Checco (Francesco Guerrieri), don Achille (Achille Sanchioni) e don Guido (Guido Berardi) (c.m.) E. Capalozza, Un diario fanese: integrazioni e rettifiche per gli anni 1943 e 1944, Fano, Supplemento al n. 4, 1967, del Notiziario d’informazione sui problemi cittadini, Fano 1967. (*4) Mia madre sotterrò (prima di sfollare non molto lontano, in via Oberdan) nel giardino della Villa Fiori, ove abitavamo (la villa di fronte alla caserma Paolini) una bicicletta Bianchi, una macchina fotografica ed un cronometro. Quando tornammo dallo sfollamento non trovammo più niente. (c.m.) E. Capalozza, Un diario fanese: integrazioni e rettifiche per gli anni 1943 e 1944, in ‘Fano Supplemento al Notiziario 1967’ , Fano 1968. (*5) Fu dato il soprannome “Pippo” ai ricognitori Alleati, che spesso sganciavano anche bombe: i disarmati Lysander o i cacciabombardieri Beaufighter oppure i Mosquito. (c.m.) (*6) Insieme ai Fuochi della Madonna (notte dell’8 dicembre) i Fuochi di S. Anna erano un’antica tradizione popolare contadina che sopravvive in alcune regioni del sud Italia. (c.m.) (*7) Le mine naziste abbatteranno, oltre alla torre civica, i campanili di San Paterniano, della Cattedrale, di Santa Maria Nova, di San Silvestro, di S.Arcangelo, di San Domenico, il faro, il mastio della Rocca Malatestiana, la torre di Palazzo Palazzi, la centrale elettrica della Liscia e un angolo fra il Corso e la Piazza (c.m.) (*8) Nello stemma civico di Varsavia c’è una sirena armata di spada e scudo (c.m.) (*9) Secondo lo storico fanese Giuseppe Perugini morirono più fanesi in incidenti stradali che per bombardamenti o mine (c.m.) (*10) Gustavo Marini (“Barzilai”) diventerà un ottimo maestro carrista (c.m.) L. Santini, I cattolici nella resistenza, tesi di laurea, Università degli Studi di Urbino,1972. V. Paolucci, La Repubblica Sociale nelle Marche, Urbino 1973. AA.VV., Fano, Notiziario di informazione sui problemi cittadini, maggio-agosto 1974, anno 10, n. 3 (Numero speciale dedicato al 30o anniversario della Liberazione di Fano). E. Capalozza, Dettagli di revisione critica sulla storiografia della Resistenza a Fano, in ‘Fano Supplemento al n. 5, 1974 del Notiziario di informazione sui problemi cittadini’, Fano 1975. AA.VV. Pesaro e Urbino dall’Unità alla Resistenza, Urbino 1975. Provincia di Pesaro e Urbino, Anpi Provinciale, La 5a Brigata Garibaldi “Pesaro”, Pesaro 1980. (*11) In realtà quello che fu il primo bombardamento Alleato su Ancona avvenne non il 14 ma il 16 ottobre 1942. Il rifugio, che era in via Birarelli, fu invece colpito il 1° novembre 1943 e vi morirono 724 persone fra le quali molti ospiti di un vicino orfanotrofio (c.m.) A. Boldrini, Enciclopedia della Resistenza, Bologna 1980. (*12) Richard Llewellyn fu un famoso scrittore. Dal suo romanzo “Com’era verde la mia valle” venne tratto un noto film (c.m.) AA.VV., Pesaro Urbino, dal Metauro alla Linea Gotica, Periodico della Provincia di Pesaro e Urbino, n. 8, 1981. C. Moscioni Negri, Linea Gotica, l’Arciere Cuneo 1980. B. Puglielli (a cura), Cos’è stata la Resistenza, dalla caduta del fascismo alla Costituzione repubblicana, Roma 1982. AA.VV., La provincia di Pesaro e Urbino nel regime fascista, Il Lavoro editoriale, Ancona 1986. S. Presti, Leda Antinori eroica staffetta partigiana, in ‘Memoria viva’, Pesaro, n. 2, 1994. Indice • Il Giornale di Fano liberata 6 Prefazione/Paolo Giannotti 8 Le piccole città tra presente e passato/Mario Omiccioli 11 Le radici e l’avvio della seconda guerra mondiale 15 Fano nella Guerra e dopo l’8 settembre 1943 23 L’attraversamento alleato del Metauro e l’’attacco alla Linea Gotica 27 La Resistenza a Fano/Elmo Santini 33 Bruno Venturini 35 La strage dei Campanili/Nino Ferri Sul filo della memoria G. Mazzanti, Dalle vie del cielo a quelle della città, Fano nella guerra 1939/45, Fano 1995. N. Ferri, La torre civica: infamia e resurrezione, in ‘Nuovi studi fanesi’, n. 10, Fano 1995. C. Venturoli, La violenza taciuta. Percorsi di ricerca sugli abusi sessuali fra il passaggio e l’arrestarsi del fronte, in D. Gagliani, ‘Donne guerra politica. Esperienze e memorie della Resistenza’, CLUEB, Bologna 2000. E. Volpini, Era una pianta fertile e ghiaiosa. Memorie di un ventennio difficile (1926-47), Falconara 2004. A. Deli, I merli di Fano, a cura di E. Uguccioni, Fondazione Cassa di Risparmio di Fano, Fano 2008. 39 Ricordi di ragazzo/Franco Battistelli 41 En avemi più paura/Bianca Zandri 42 Lo stridìo dei rondoni sulla torre che non c’era più/Antonio G. Casanova Antologia minima Scritti di: 44 Aldo Deli 50 Angelo Sferrazza 52 Mario Omiccioli 53 Valerio Volpini 56 Marco Ferri 57 La guerra sul corpo delle donne 58 Giuseppe Perugini • Agonia di paese R. Giacomini, Ribelli e partigiani. La Resistenza nelle Marche 1943-1944, Affinità elettive, Ancona 2008 63 Prefazione/Carlo Moscelli G. Mandolini, I frati minori nelle Marche, il passaggio del Fronte, la Resistenza, gli sfollati, gli Ebrei, BM Grafica, Osimo 2014. 94 Bibliografia di Fano liberata 64 Agonia di paese Diario di guerra di Ateno Spezi 94 95 Finito di stampare per conto della Fondazione Cassa di Risparmio di Fano nel mese di Settembre 2014 presso le Arti Grafiche Stibu di Urbania