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Agonia di paese. Ateno Spezi - Fondazione Cassa di Risparmio di

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Agonia di paese. Ateno Spezi - Fondazione Cassa di Risparmio di
Ateno Spezi
Agonia di paese
Diario di guerra 1943-’44
A cura di
Carlo Moscelli
“La vita è memoria”
(Isaac Singer)
Prefazione
Le sofferenze, le privazioni ed i lutti di una guerra non sono patiti solo dai
soldati al fronte, peraltro anche in grado di difendersi, ma anche dalle popolazioni civili, quasi sempre indifese e soggette ad attacchi dal mare, da terra
e dal cielo. Si muore spesso o per una bomba d’aereo, o per una mina o per
pallottole nemiche; le ferite allo spirito ed al corpo, le mutilazioni, il ricordo
di momenti di terrore restano per una vita. Si muore anche di fame, per le
malattie che non trovano cure e medicine; si debbono abbandonare le proprie
case ed i propri beni per trovare rifugio in luoghi più nascosti e tranquilli,
arrangiandosi in ogni modo e rischiando quotidianamente la vita, spettatori
talora di piccole o grandi tragedie. Ecco allora il dramma degli sfollati, soprattutto donne, anziani, bambini. Un dramma che fortunatamente le nostre
ultime generazioni non hanno conosciuto se non dai racconti dei genitori o
dei nonni. Ecco perché quando una amica di Facebook, Silvia Montesi, mi
ha fatto avere “Agonia di paese”, un quadernetto con il diario di guerra
1943/1945 di suo nonno, Ateno Spezi, ho subito pensato che queste memorie, illustrate dallo stesso autore, dovessero essere stampate e diffuse perché
anche i fanesi più giovani, che non hanno conosciuto le sofferenze di una
terribile guerra patite anche da chi non era al fronte, le potessero conoscere.
Potranno così meglio apprezzare i vantaggi della Pace. Ateno Spezi (Fano
1908-2011) volle che il suo diario di “sfollato” mi fosse consegnato conoscendo
il mio grande interesse per le cose di Fano ed in particolare della Fano in
guerra. Il grande artista fanese Ateno Spezi è stato docente all’Istituto d’Arte
“Adolfo Apolloni”, pittore, scultore, poeta, medaglista e grafico (suoi manifesti
e carri allegorici del Carnevale sono ancor oggi apprezzati); è stato anche
corrispondente del Resto del Carlino, inviato del Popolo di Roma ed uno tra i
fondatori della mostra d’arte “Accolta dei Quindici”. Ringrazio la Fondazione
Carifano che ha accolto la mia proposta di inserire il Diario di Ateno Spezi in
una sua pubblicazione per il Settantennale della Liberazione di Fano.
Carlo Moscelli
• A lato, Ateno Spezi e sua moglie
Fride.
• Nelle pagine precedenti, il ponte
della ferrovia sopra il portocanale
fatto saltare dai tedeschi in fuga e
un disegno autografo del prof. Spezi,
datato 1 settembre’44, sulle rovine del
Teatro della Fortuna,riportato dal suo
dattiloscritto originale.
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Introduzione
“Agonia di paese” corrisponde ad una
cronaca quasi giornaliera tracciata inizialmente in telegrafiche note ‘ad ore’
per ogni allarme o avvenimento connessi con atti di guerra; poi espressa attraverso ‘pezzi’ e pagine complete riguardanti stati d’animo, spoliazioni, esodi
e lacerazioni di carne e beni materiali
durante i successivi svolgimenti bellici
avvenuti dal Maggio 1944 a quello del
1945. È andato purtroppo smarrito o distrutto il primo ‘diario’ del 1943 - dalla
fine di Luglio a Dicembre - con righe sui
vari allarmi, paure, reazioni e restrizioni
di vita locale. Resta comunque sufficiente quanto è stato trascritto nel secondo
‘quaderno’ e fogli successivi, per capire
fatti e misfatti - piccoli e grandi - avvenuti in un periodo del quale parecchi non
vorrebbero sentirne il racconto, dicendo
quasi infastiditi: “É storia passata!”. Oggi
torniamo ad interrogarci sulle tragiche
radici di questi ultimi cinquant’anni per
chiarire un presente ancora in conflitto.
Nelle seguenti pagine di cronaca e storia
di minore entità forse taluni si ritroveranno: nomi espressi sul calendario dei
‘tempi vivi’ e dei ricordi, ove le alterne
vicende di una Città che visse, soffrì e
risorse, furono soprattutto quelle di sue
anonime genti che - a volte uguali a noi
nel turbine e angosce di sfollati - le rimasero fedeli sino alla fine.
Agonia di paese
Parte prima
Alcuni fogli sparsi del 1943
Il nostrano 25 luglio
26 luglio 1943
Questa mattina abbiamo appreso tramite la radio italiana e “Radio Londra” di
quanto avvenuto ieri, a Roma, nella riunione del “Gran Consiglio del fascismo”.
L’ “Ordine del giorno” presentato dal Ministro degli Esteri Dino Grandi, portante
la mozione di sfiducia verso il duce e la
richiesta delle sue dimissioni da capo
del governo, metteva in minoranza Mussolini: di conseguenza il regime, con la
sua caduta, veniva esautorato dalla guida della nazione.
Per le strade di Fano non si vede alcun
cittadino, - impiegato o insegnante, grosso “camerata” o anonimo ‘sottostante’ non tanto privo di camicia nera addosso,
imposta soprattutto a qualsiasi dipendente dello Stato, quanto di ‘cimice’, il
distintivo fascista inserito all’occhiello
della giacca. I militari sono bloccati in
caserma; fanno ‘servizio’ picchetti e ronde armate dell’esercito italiano secondo
le disposizioni di Badoglio, nominato dal
re al posto di Mussolini. Proibite riunioni
di civili, è in atto il coprifuoco.
Ateno Spezi (Fano, 1994)
• La “cimice” del Partito Nazionale Fascista
28 luglio 1943
Un drappello di soldati autotrasportati comandati da un ufficiale munito di
Settembre. Da questa data la snella campana quattrocentesca che da S. Michele
a sera dava i bassi rintocchi per i nostri
Caduti, ha cessato di far sentire la sua
voce di preghiera. Rimane quella stridula, per allarme, della ‘sirena comunale’
a ricordarci che...“La guerra continua”.
duplice foglio con ordine di requisizione, si è fatto aprire dal custode Lisotta
-”Palano”- l’armeria del “Fascio” e della
“GIL”, in via De’ Cuppis; ha caricato le
varie armi da esercitazione ivi esistenti
ed il materiale ausiliario per trasportare
“il tutto” nel deposito-casamatta della locale “Caserma Paolini”. Analogo viaggio
è stato fatto, con esito dubbio, verso la
sede della “Milizia” in via Arco d’Augusto.
Tre duri colpi per Fano
1943: ultimi di Settembre
In questi giorni la città vede i primi ‘casati’ di cittadini abbandonare le loro
nobili dimore sotto la minaccia dei bombardamenti aerei o navali. Diverse famiglie partono per Roma; altre verso i loro
feudi non lontani. È anche uno sparire
di qualche gerarca, spaventato dagli avvenimenti e dalla chiusura di istituzioni
militari, culturali, ‘patriottiche’ sorte a
Fano in tempi diversi. Già con ordinanza urgente del “Ministero della Guerra”
datata 8 Giugno 1943, la “Scuola Allievi
Ufficiali di Complemento” veniva dichiarata chiusa, ed i corsisti precettati.
Successivamente le specifiche attrezzature finivano altrove ed il personale militare -escluso quello di stanza a Fanoritornava aggregato alle Sedi operative
di appartenenza. Il “Collegio-Convitto
Nazionale Nolfi” - che accoglieva giovani
Dalmati, Istriani e di altre regioni d’Italia - alla fine di quest’anno scolastico è
stato sospeso dalla sua quasi centenaria
‘attività formativa’. La chiusura del ‘Collegio bersaglieresco’ fa da corollario alla
odierna forzata smobilitazione del ‘Campo di aviazione’, con lo spostamento in
altre zone degli aerei, officine e uomini
di questa invidiata “Scuola Allievi sottufficiali piloti di Aeronautica”, attiva dai
primi di marzo del 1940 coi suoi velivoli
da esercitazione ‘Breda 25’, R0-41, Saiman 202, F.N.3I5, ecc. Fano si avvia al
definitivo letargo dopo il ‘lampo’ dell’8
7 Gennaio Venerdì.
Allarme dalle 12,00 alle 12,30; dalle
19,20 alle 20,40; dalle 20,55 alle 22;05.
Pranzo e cena in malora. Tutta la pace
passata è stata “ripagata”.
8 Gennaio Sabato.
Allarme dalle 10,15 alle 11,35; dalle
14,10 alle 15,20; dalle 20,20 alle 22,30.
(Se si è mangiato a mezzodì, la cena,
ahinoi, è stata pessima).
9 Gennaio Domenica.
Allarme dalle 9,45 alle 12,30; dalle 12,35
alle 13,40; dalle 19,30 alle 21,35. Sorvolo
di aerei nemici (Da tre giorni, tre allarmi
pro-die).
• La campanella di Palazzo San Michele
Diario di guerra (anno 1944)
Trascrizioni giornaliere
degli allarmi dal 1° gennaio 1944
e dei vari bombardamenti subiti
1° Gennaio Sabato.
Rispetto della “festività”: nessun allarme
dalle nuove sirene cittadine.
2 Gennaio Domenica.
Ancor oggi, festa. Due giorni consecutivi
di pace: sembra davvero impossibile.
3 Gennaio Lunedì.
Allarme dalle ore 14,00 alle ore 14,30.
Primo del nuovo anno: la gente “se lo
lega al dito”.
4 Gennaio Martedì.
Allarme dalle ore 1 alle 3,30 del mattino.
Bombardamento navale a Pesaro.
La nostra Fano “sfolla”, temendo…uno
sbarco dal mare.
I tre cacciatorpedinieri nemici hanno
riempito di panico la città, con piccole
bordate a 12 Km.
Allarme dalle 12,30 alle 13,30.
5 Gennaio Mercoledì.
Nessun allarme. E’ bastata la “fifa”’ della
notte trascorsa in piedi.
I poveri morti di Pantano di Pesaro hanno interceduto per i comprovinciali fanesi.
6 Gennaio Giovedì.
Epifania. Nessun allarme. I Magi vogliono libero il cammino in terra ed in cielo.
10 Gennaio Lunedì a notte.
Allarme dalle 1,30 alle 2,30; dalle 11,00
alle 11,30; dalle 12,30 alle 14,15; dalle
14,25 alle 15,15; dalle 22,00 alle 23,15.
Ventiquattro bombardieri e sei caccia di
scorta, dopo le 14, mettono del timore
addosso. Passano su Fano, virano sul
mare e si allontanano verso Ancona.
Sentiremo di lì a poco i boati del bombardamento.
11 Gennaio Martedì.
Allarme dalle 14,00 alle 14,30; dalle
21,00 alle 23,30. I soliti ricognitori.
12 Gennaio Mercoledì.
Allarme dalle 11,30 alle 11,45; dalle
12,20 alle 12,45; dalle 14,25 alle 15,15;
dalle 21,00 alle 24,10 (Nulla in vista.
Esplosioni lontane).
13 Gennaio Giovedì.
Allarme dalle 12,00 alle 13,30; dalle
14,20 alle 15,10; dalle 15,35 alle 16,20.
Cinque caccia nemici si sono abbassati
a mitragliare verso Torrette di Fano. Un
cavallaro e cavalli uccisi.
14 Gennaio Venerdì.
Un po’ di riposo, dopo tanta tensione di
nervi, non fa male (Giornata di...magro
per le sirene comunali). Si “ripassano” i
rifugi, a tema di peggior futuro.
15 Gennaio Sabato.
Allarme dalle 12,00 alle 14,00; s’è fatto
in tempo a buttar giù la pasta... per vederla scuocere, coi nervi tesi.
16 Gennaio Domenica.
Notte. Allarme dalle 24,03 alle 2,15. Tre
bombardieri leggeri nemici, dopo aver 64
sorvolato lungamente la città - e dopo 65
aver lanciato un solo razzo iniziale, hanno sganciato una ventina di bombe sulle
case ed in periferia.
Sei bombe al centro, tra Via Roma - Via
Rainerio ed il cortile del Dopolavoro
delle Forze Armate. Palazzi crollati e
danneggiati. Una donna morta e due feriti, per l’Ospedale, lievi. Sei bombe in
Borgata popolare di Viale A. Giuglini - C.
Ciano. Case scoperchiate, feriti leggeri,
per piccoli crolli interni. Nessun obiettivo militare o giustificabile vicino. Bombe
lanciate a sei per volta, linearmente. Allarme dalle 12,30 alle 14,30; dalle 21,00
alle 22,30 (Sorvolo di apparecchi). Dalle
22,45 alle 24,00 circa, più aerei non precisati. Lo sfollamento dalla nostra città
avviene febbrilmente dopo questa notte. Pure la campagna in quanto a bombe
non viene risparmiata. Il clima si mantiene mite, e questa è davvero una fortuna
per chi vive nelle stalle o nelle capanne.
17 Gennaio Lunedì.
Allarme dalle 4,30 alle 4,45. Passaggio
di aerei; allarme dalle 11,00 alle 11,40
(id. aerei); dalle 13,00 alle 14,00 (forte
bombardamento lontano); dalle 14,20
alle 14,50. Il desinare non s’è fatto. La
nebbia dal mattino alla sera ci rende...
più tranquilli.
Riepilogando: dal 1° al 17 gennaio vi
sono stati 35 allarmi, più o meno brevi.
Due morti e sei feriti in seguito ai bombardamenti. I negozi da giorni hanno
incominciato a serrare le porte: resta
difficile, in questi tempi, l’approvvigionamento.
18 Gennaio Martedì.
Allarme dalle 2,45 alle 3,20. Gli aerei fra
la nebbia, vorrebbero colpire, poi desistono! Allarme dalle 8,50 alle 9,10; dalle
12,50 alle 14,35; dalle 16,15 alle 16,50;
dalle 19,45 alle 21,30. Passano aerei alle
20,00 circa: sono andati a bombardare
Orciano (Quali obiettivi?).
19 Gennaio Mercoledì.
Allarme dalle 11,45 alle 13,15. Trentaquattro aerei di passaggio verso l’interno, poi il ritorno dopo lo sgancio lontano. Allarme dalle 19,50 alle 21,20. Sei
cannonate dal mare - o sul mare - verso
Pesaro. Cacciatorpediniere in Adriatico,
con “segnalazioni” bianche.
20 Gennaio Giovedì
Finalmente riposo!
Gabicce. Tremendo. Da Fano partono i
soccorsi per Urbania.(*2)
21 Gennaio Venerdì.
Allarme dalle 8,45 alle 9,20; dalle 9,35
alle 10,15 (passaggio aerei isolati); dalle 10,25 alle 11,25, dalle 12 alle 14,35,
aerei ancora isolati; rombi lontani, aerei
tedeschi verso il Nord. Dalle 21,30 alle
22,15 fortissime esplosioni verso Pesaro. La polveriera di Montecchio è stata
fatta saltare (?) con danni gravissimi attorno (*1).
24 Gennaio Lunedì.
(Notizie da Urbania: amici del “Sant’Arcangelo”. Lassù, 200/250 morti attorno
alla chiesa, dopo la messa). Allarme dalle 12,05 alle 12,30; dalle 13,10 alle 14,05.
Intervalli ed allarmi sino alle 21,30. Ricognitori su Fano, alternati.
gio ricognitori. Allarme dalle 10,30 alle
13,15: passaggio di apparecchi in formazione, lontani sul mare ascendenti verso Ancona (200 aerei?) e caccia isolati;
molti bombardamenti lontani.
29 Gennaio Sabato.
Allarme dalle 11,00 alle 13,25. Bombardamento forte, lontano. Alle 12,50 passaggio lontano, sul mare, di un centinaio
di apparecchi diretti verso Ancona. Allarme dalle 14,40 alle 15,15 (Sei aerei,
bassi, all’ improvviso) e dalle 21,15 alle
21,50, dalle 22,20 alle 23,50. Passaggio
numerosi aerei.
8 Febbraio Martedì.
Allarme dalle 8,55 alle 9,30; dalle 11,50
alle 13,00 ( Bombardamento lontano),
dalle 20,15 alle 22,00 - passaggio aerei
ricognitori - ; lancio di bengala e spezzoni attorno Fano. Danni ad abitazioni ed
uccisione di bestiame: due buoi ed un
asino alla ‘Galassa’. Tempo piovoso, minaccia di temporale. Muore “La Giulia”,
tipica fanese. (*3)
30 Gennaio Domenica.
Allarme dalle 10,35 alle 12,30. Passaggio aerei, bombardamento molto ‘lungi’
(Anche dopo il cessato allarme, rombi
lontani). Allarme dalle 14,15 alle 15,00.
Allarme dalle 21,15 alle 21,50; dalle
22,10 alle 24 e qualche minuto.
• Montecchio dopo l’esplosione della polveriera
22 Gennaio Sabato.
Voci di persone giunte da Pesaro dicono
che vi è stata una esplosione continua
di mine e polveri da fuoco nel deposito
coperto da pini a mimetizzare, adibito
ai lavori di fortificazione della “Gotica”,
e causata, forse, da un vicino bivacco
di militi a guardia. Da qui l’estensione
dell’incendio ed il ‘salto’ della polveriera. Altre voci sono per un attentato di
partigiani. Il paesino di Montecchio, totalmente squarciato, viene quasi dimezzato di abitanti fra morti e feriti. Ansie
per mia sorella e famiglia ivi sfollata.
Allarme dalle 9,25 alle 9,50; dalle 11,30
alle 14,50. Passaggio di ‘ricognitori’;
bombardamento lontano (Gli “Alleati”
sbarcano ad Anzio: le notizie via radio
ancora si ricevono di nascosto).
23 Gennaio Domenica.
Allarme dalle 7,25 alle 7,35; dalle 10,30
alle 11,25 (sorvolo aerei); dalle 11,45
alle 14,00. Forte bombardamento lontano di aerei, una quarantina passati prima
su Fano. Allarme dalle 18,45 alle 20,15
(tre razzi rossi lontani); dalle 21,15 alle
22,00. Il bombardamento udito verso le
ore 12,30 era su Urbania e S. Maria di
• Ad Urbania dopo il bombardamento ci sono
anche i Carissimi fra i soccorritori
25 Gennaio Martedì.
Allarme dalle 6,10 alle 7,15. Tre passaggi
di ricognitori mattinieri.
26 Gennaio Mercoledì.
Allarme dalle 18,00 alle 19,00. Razzi
verso Marotta e lampi ad intermittenza.
Sorvolo di aerei a bassa quota, in ampi
giri, con centro Ponte Metauro (?). Coprifuoco alle ore 19,00. Militi sguinzagliati alla ricerca di presumibili paracadutisti lanciati dagli aerei nemici. Spari
con moschetti e bombe a mano. Allarme
dalle 20,05 alle 21,45. Passaggio di aerei.
27 Gennaio Giovedì.
Allarme dalle ore 4,30 alle 4,45 (Verso
le 6,00/6,30 passaggio di aerei, ma senza
segnali di allarme). Allarme dalle 11,00
alle 12,00. Passo di aerei isolati. Dopo il
cessato allarme, forte bombardamento
lontano. Allarme dalle 12,18 alle 12,55;
dalle 13,20 alle 14,10; dalle 19,15 alle
21,45.
28 Gennaio Venerdì.
Allarme dalle 2,10 alle 2, 50: passag-
31 Gennaio Lunedì.
Allarme dalle 1,20 alle 2,50. Navi si largo. Attentato a Fosso Sejore, nella nottata (Tratto ferroviario sul ponticello,
fatto saltare da tre ignoti con cariche di
dinamite. Transito interrotto). Allarme
dalle 10,30 alle 11,00. Passaggio aereo.
Allarme dalle 11,25 alle 13,55.
1° Febbraio Martedì.
Allarme dalle 11,07 alle 11,20; dalle
12,40 alle 12,55; dalle 13,12 alle 13,35.
Spezzonamento (?) verso Ancona.
2 Febbraio Mercoledì.
Riposo. Bella giornata di sole.
3 Febbraio Giovedì.
Allarme dalle 11,45 alle 13,20. Passaggio
di ricognitori?
4 Febbraio Venerdì.
Riposo: si gode il sole ed il tempo “primaverile”.
5 Febbraio Sabato.
Allarme dalle 8,25 alle 9,05.
6 Febbraio Domenica.
Allarme dalle 6,15 alle 7. Passaggio di
numerose formazioni verso Nord.
Allarme dalle 9,45 alle 10,10.
7 Febbraio Lunedì.
Allarme dalle 13,22 alle 14,00.
14 Febbraio Lunedì.
Nevica. Allarme dalle 12,35 alle 15,15.
Passaggio forti aliquote di bombardieri e
caccia. Bombardamento lontano e scariche, vicine, di mitraglia.
15 Febbraio Martedì.
Ore 2,15: passaggio di aerei, bassi, poi…
l’allarme, fino alle 9,50. Alle 18,30 giro
su Fano di tre apparecchi, bassi, in picchiata, come alla ricerca di qualcosa
(Non scatta alcun allarme). Fifa sino
alle 19,00. Di nuovo apparecchi sulla città sino alle 20,20, con allarme, sino alle
20,45. Bombe verso S. Costanzo e Monteschiantello.
16 Febbraio Mercoledì.
Allarme alle 11,35 sino alle 12,00. Bombardamento lontano. Allarme dalle
12,15 alle 13,20; dalle 18,55 alle 19,15;
dalle 20,30 alle ...(mi sono addormentato, stracco da buttare).
• La “Giulia” popolare venditrice di castagne
9 Febbraio Mercoledì.
Ore 6,30: passaggio di aerei. Fulmini e
tuoni contemporanei fanno sobbalzare
la gente. Sembra un grosso bombardamento, questo secco temporale su Fano.
Allarme dalle 16,15 alle 16,38. (Il mio
cronometro dà minuti e secondi precisi:
è uno strumento che porto addosso dal
periodo della attività sportiva, quando
ero giudice-arbitro nazionale della FlDAL).
10 Febbraio Giovedì.
Tempo cattivo. Riposo. Cannonate sul
mare.
11 Febbraio Venerdì.
Tempo piovoso. Freddo. Qualche spruzzata di neve (Pesaro: bomba contro auto
tedesca).
12 Febbraio Sabato.
Ore 15,40 passaggio di un apparecchio
nemico, senza che vi sia allarme nel tempo debito. Freddo.
13 Febbraio Domenica.
Ore 21,00: passaggio di aerei: anche oggi
senza allarme. Alle 22,00 sino alle ore
23,50, allarme per sorvolo e giro turistico sulla città. Ritorna a nevicare, restiamo tranquilli.
17 Febbraio Giovedì.
(Grasso) Nulla. La gente “frigge”; in certe case si balla; il “Municipio” concede la
mezza festa. Senza commenti.
18 Febbraio Venerdì.
Nulla da segnalare. Bombardamento assai lontano, senza allarme cittadino.
19 Febbraio Sabato.
Il solito ricognitore serale. Null’altro all’
infuori di un poco di neve, al mattino
(Meglio delle bombe).
20 Febbraio Domenica.
Ore 1,45 di notte. Passaggio di aerei pesanti (Senza allarme: ma dormono per
noi?). Allarme dalle 11,30 alle 12,30.
Alle 16,00 passaggio di apparecchi in
grosso numero sul mare, verso Ancona.
Il coprifuoco resta alle ore 20,00.
Notizie: la calma di questi giorni da noi,
si identifica con la forte battaglia di Nettuno, ove i germanici tentano di ricacciare in mare gli anglo-americani.
21 Febbraio Lunedì.
Allarme dalle 12,00 alle 12,30. Passaggio
di un apparecchio; allarme dalle 17,00
alle 17,10. Passaggio e volteggio di un
aereo su Fano dalle 21,30 alle 22,30.
Finalmente....l’allarme sino alle 23,15.
22 Febbraio Martedì.
Dal mattino nevica, sempre più fitta-
mente. Allarme a martello (non funzio- 66
na la sirena) dalle 10,40 alle 11,30: la 67
chiusura con la sirena, essendo ritornata
la corrente elettrica.
23 Febbraio Mercoledì.
Neve al mattino. Allarme a martello dalle 23,15 alle 24 e 16 minuti oltre.
Passaggio aerei su Fano.
24 Febbraio Giovedì.
Allarme dalle 9 alle 9,35, quando già un
aereo era passato su di noi.
Poi dalle 15,30 alle 15,45; dalle 19,40
alle 20,40. Alle ore 23,15 passaggio di
aerei, bassi, senza allarme. (Vatti a fidare di chi è preposto ad avvisarci....).
25 Febbraio Venerdì.
Allarme dalle 9,15 alle 9,25, dalle 11,13
alle 11,27.
26 Febbraio Sabato.
Riposo. Davvero: “sabato inglese” (Ma
gli apparecchi sono passati, al largo sul
mare, senza che venisse dato l’allarme).
27 Febbraio Domenica.
Riposo. Finalmente possiamo andare al
cinematografo, senza batticuore dopo
un paio di mesi. Tempo buono, primaverile. Durerà? Allarme dalle 11,13 alle
12,10.
28 Febbraio Bisestile.
Martedì notte, passaggio di aerei provenienti dal mare; altri girano su Fano,
senza che i nostri diano l’allarme; ore
23,00 circa: ho l’orologio sul comodino
e non posso accendere la luce per vederlo.
1° Marzo Mercoledì.
A differenza di ieri, ultimo giorno in
Febbraio con giornata primaverile (18
gradi), stamane piove; fa freddo; lampi e
tuoni. Allarme dalle 9,20 alle 9,30. Bombardamento lontano, che si confonde
con i tuoni del maltempo. Vi è da fidarsi
delle sirene?
2 Marzo Giovedì.
Allarme dalle 9,20 - come ieri - alle 9,45.
Seguita il maltempo; 6 gradi, e non è poi
tanto freddo. Allarme dalle 11,30 alle
12,00 e dalle 13,30 alle 13,57. Viene il
sole. Si sente bombardare Ancona. Bombardamento, pare, alle 15,30 circa. Non
c’è allarme da noi.
3 Marzo Venerdì.
Tempo buono. Allarme dalle 9,25 - more
solito - alle 9,35; dalle 10,30 alle 11,15.
Passaggio lontano di aerei.
bombardamenti attorno. Allarme dalle
15,35 alle 16,53. Bombardamento lontano, apparecchi isolati. Drappo rosso alle
“Scuole L. Rossi”.
4 Marzo Sabato.
Pioggia nel pomeriggio (d’acqua). Allarme 15,40 - 11,15. Passaggio lontano di
qualche aereo.
12 Marzo Domenica.
Nulla; tempo buono. Vi sarete chiesti
perché segno, di fianco alla data, i giorni
della settimana? Semplice: Non ho più
il calendario per guardare e questa trascrizione mi ‘conduce’ egregiamente.
5 Marzo Domenica.
Piove continuamente, tutta la giornata e
nella notte.
6 Marzo Lunedì.
Piove come sopra. Non si ha affatto voglia di declamare la poesia di D’Annunzio “La pioggia nel pineto”, perché i nostri poveri pini marittimi sono ridotti a
pezzi, dalla Arzilla al Metauro.
7 Marzo Martedì.
Pioviggina. Allarme dalle 9,00 alle 9,20.
Il solito amico ricognitore, basso, verso
Ancona.
8 Marzo Mercoledì.
Pioviggina, fa freddo. Forte esplosione
alle 10,35: dove? Un attentato? Mio cognato lo afferma.
13 Marzo Lunedì.
Allarme dalle 7,50 alle 8,25. Passaggio ricognitori. Allarme dalle 10,55 alle 12,10.
Bombardamento forte, lontano. Cessato
l’allarme ancora si sentono i bombardamenti (Vatti a fidare delle segnalazioni!).
Nuovo allarme dalle 13,10 alle 14,20 e
dalle 16,40 alle 17.
14 Marzo Martedì.
Allarme dalle 9,00 alle 9,40, dalle 15,00
alle 15,20: passaggio solito di ricognitori.
Nella notte, passaggio di altri aerei, senza che vi sia allarme.
15 Marzo Mercoledì.
Allarme dalle 8,05 alle 8,45.
16 Marzo Giovedì.
Allarme dalle 11,05 alle 11,35.
17 Marzo Venerdì.
Allarme dalle 11,30 alle 12,10.
18 Marzo Sabato.
Allarme dalle 11,00 alle 13,00. (Bombardamento a Foligno, molto sentito).
20 Marzo Domenica.
Allarme dalle 20,05 alle 20,45. Aerei.
• Scritte fasciste sui muri di Fano
9 Marzo Giovedì.
Riposo. Bombardamento lontano. Nella notte, sparatoria intensa; scritte sui
muri di case cittadine.
10 Marzo Venerdì.
Bel tempo. Allarme dalle 22,45 alle
23,45. Nella notte, passaggio di aerei,
bassi. Sparatoria verso Piazza d’Armi
con lancio di bengala. Bandiere rosse al
pennone dei giardini Roma (Pincio).
11 Marzo Sabato.
Allarme dalle 7,20 alle 7, 55; dalle 8,35
alle 9,15.Passaggio di ricognitori; forti
20 Marzo Lunedì.
Allarme dalle 9,30 alle 10,15. Ricognitori.
21 Marzo Martedì.
Allarme dalle 12,00 alle 12,15. Ricognitore e cannoneggiamento lontano, oltre
a bombardamento aereo. Allarme dalle
13,45 alle 15,00.
22 Marzo Mercoledì.
Allarme dalle 13,00 alle 14,20, poi dalle 14,25 alle 17,30. Passaggi di forti
aliquote di una divisione aerea da bombardamento e caccia, sul mare e città.
Bombardamento intenso oltre Pesaro.
L’Artiglieria contraerea pesarese in azio-
ne; così a Rimini ed oltre. Allarme dalle
20,25 alle 23,45, con passaggio di altre
formazioni sul mare (Verso Padova, già
bombardata). Molta gente, durante il
giorno, è scappata nelle nostre campagne.
23 Marzo Giovedì.
Allarme dalle 16,30 alle 17,30. Bombardamenti verso Ancona. Allarme dalle
21,00 alle 22,15. 6° bombardamento:
apparecchi su Fano. Bombe a Ponte Metauro e mitragliamento da parte di un
apparecchio. Passaggio di autocolonne
militari verso Ancona.
24 Marzo Venerdì.
Allarme dalle 9,55 alle 10,27, dalle 11,25
alle 13,37. Passaggio di un centinaio di
quadrimotori su Fano. Bombardamenti
poco oltre Pesaro e verso Senigallia ed
Ancona al ritorno. (Anche Carignano,
Lucrezia, Cartoceto, sotto le bombe di
frangia; la contraerea di Pesaro spesso
in azione). Fifa a ripetizione anche questa volta. Allarme dalle 14,15 alle 14,45,
contemporaneo al passaggio su Fano
-provenienti dal mare - di undici bombardieri e sei caccia, i quali sganciano
bombe a Ponte Metauro (e siamo al settimo!). Altro “spaghetto”!
Due donne gravemente ferite, oltre a
bestiame da stalla. Parecchie case colpite o lesionate dalle oltre cento bombe. I
ponti stradale e ferroviario intatti.
Allarme dalle 20,50 alle 22,00. Passaggio
ricognitori.
25 Marzo Sabato.
Passaggio di aerei, senza allarme, al
mattino, ore 8,00.
Allarme dalle 11,35 alle 12,05; dalle
13,55 alle 15,00. I soliti ricognitori.
26 Marzo Domenica.
Allarme dalle 8,45 alle, 9,10, dalle 10,10
alle 10,40.
Passaggio di ricognitori. Allarme dalle
12,15 alle 13,50. Sorvolo di 19 apparecchi; la contraerea di Pesaro in azione. Al
ritorno, dei bombardieri danno sgancio
su Pesaro ed oltre. Allarme dalle 19,55
alle 20,55. Passaggio di formazioni verso
Bologna. Ed anche nella notte, idem.
27 Marzo Lunedì.
Allarme dalle 7,00 alle 7,15; dalle 8,00
alle 9,15 (Apparecchi già passati). Due
caccia verso Ancona. Allarme dalle
10,15 alle 11,20. Quasi immediata (8°
bombardamento) la presenza di nove
bombardieri su Fano, ma sganciano
bombe a sud dell’ aeroporto-pineta Ponte Metauro; sono le 10,20 precise, altre
formazioni bombardano Pesaro o paraggi. Allarme dalle 16 alle 16,20; apparecchio ricognitore già passato. Dalle 20,30
alle 21,15 idem. Nella notte alta, lontano
passaggio di aerei verso il Nord.
28 Marzo Martedì.
...(due parole illeggibili causa l’inchiostro scolorito)...Poi: ...3 apparecchi. ..
ore 7,35….illeggibile…. sul Metauro mitragliano lanciano (9° bombardamento)
grosse bombe a scoppio ritardato sul
Ponte. Molto panico ed allarme... alle
7,40 tutto era stato fatto, prima della
sirena.
Cessato allarme alle 8,00. Allarme dalle
10,45 alle 13,55, quando un aereo già si
era allontanato. Lontani bombardamenti
verso l’Umbria ed Ancona.
Nelle tre ore dell’allarme, passaggio di
varie formazioni in andata e ritorno sul
mare e su Fano.
29 Marzo Mercoledì.
Notte; allarme dallo 0,5 all’1,15. Passaggio di formazioni. Allarme dalle 10,50
alle 12,15. Passaggio di oltre 150 bombardieri a stormi e caccia su Fano, diretti verso la Toscana sulla via indicata dal
mare su per il Metauro. Altre formazioni
dal mare, al di là di Pesaro. Si sente la
contraerea pesarese in azione. Subito
dopo allarme, dalle 12,20 alle 13,50; altri
apparecchi in ritorno. Bombardamenti lontani, oltre l’Appennino. Allarme
dalle 20,30 alle 22,05. (C’è la luna).Tre
apparecchi in volo di molestia (!) sulla
città. Lanciano razzi illuminanti ed una
decina, circa, di bombe a Ponte Metauro: colpita in parte la ferrovia da questo
undicesimo bombardamento. Allarme
dalle 22,25 alle 23,00. Passaggio aereo.
30 Marzo Giovedì.
Cielo semicoperto, fa ancora freddo. Allarme dalle 12,15 alle 13,00. Passaggio
di aerei, mitragliamento verso Calcinelli. Arrivano due feriti gravi all’Ospedale
di Fano. (Tutte le notizie dell’Ospedale
mi vengono passate da mio padre, in radiologia). Allarme dalle 13,20 alle 13,50;
dalle 14,50 alle 15,10. Il solito ricognitore, che passa al cessato allarme. Dalle 16,00 alle 17,15 undici bombardieri
a tuffo, con quaranta bombe a scoppio
ritardato, sulla ferrovia del Ponte Metauro. Poi mitragliamento. Pochi danni
alle strutture portanti. È il 12° bombardamento su Fano.
31 Marzo Venerdì.
Allarme dalle 6 alle 6,55. Venticinque
aerei verso ....(illeggibile..) e Lucrezia,
già passati anticipando l’all’arme, ripetuto dalle alle 21.
1° Aprile Sabato.
(scherzo ignobile). Allarme dalle 6,32
alle 7,15. Aerei bassissimi, da intontirci
e farci scoppiare il sangue. Anche questa è una forma sadica di “destabilizzazione”? Dalle 8,15 alle 8,37 e dalle 19,55
alle 23,20, allarmi per passaggi d’aerei.
2 Aprile Domenica.
Già aerei sulla testa, senza allarme, e
presto. Allarme dalle 9,10 alle 10,20;
dalle 10,25 alle 11, 20. Alle 10,40, 25 apparecchi trimotori sganciano a singole
ondate bombe sul Ponte Metauro-ferrovia. Bombe anche a scoppio ritardato
con passaggi molto bassi. Questa volta,
al 13° bombardamento, purtroppo il
ponte viene colpito. Allarme dalle 11,35
alle 12,00: aereo già passato; dalle 12,25
alle 13,50, idem, passato. Dalle 14,05
alle 14,30, come sopra. Dalle 15,00 alle
15,20 con allarme quasi tempestivo (?);
dalle 16,05 alle 17,30; dalle 19,55 alle
22,30; dalle 22,45 alle..?.. Record, sino
ad oggi, degli allarmi, 8 nella giornata.
3 Aprile Lunedì.
Allarme dalle 4,10 alle 4,50 e dalle 9,00
alle 10,07. 14° bombardamento.
Apparecchi a tuffo e caccia sganciano
prima le bombe sul ponte Metauro (strada e ferrovia, spazzando totalmente una
arcata ferroviaria) quindi iniziano il mitragliamento alla stazione ferroviaria e
scalo merci, su vagoni carichi di paglia,
cavalli e materiale militare tedesco, incendiandone alcuni; poi mitragliamento
del Mattatoio civile e dell’aeroporto. Allarme dalle 13,10 alle 13,50. Due aerei
bassi sulla zona dal Ponte alla Stazione.
Dalla esplosione alle 8,20 di bombe nella
Caserma Paolini, risultano una decina di
soldati feriti, quattro gravi all’Ospedale:
per “attentato” (?). Più verosimilmente
per disgrazia nel trasporto o imprudenza nel maneggiare le casse dai ricoveri
ai camion, secondo alcune frasi uscite di
bocca ai militari e raccolte da mio padre 68
mentre scattava loro radiografie sulle 69
parti colpite.
4 Aprile Martedì.
Allarme dalle 9,00 alle 9,15; dalle 9,59
alle 10,12; dalle 11,15 alle 11,45. Nessun apparecchio in vista (Ma uno era già
passato, verso le 8,00 del mattino).
5 Aprile Mercoledì.
Cielo coperto. Allarme dalle 8,10 alle
8,35; dalle 11,00 alle 12,00; dalle 13,25
alle 14,20 (il solito fotografo aereo); dalle 15,10 alle 15,55. Passaggio di formazioni al mare. E passaggio, poi, di altre
formazioni verso Ancona, senza allarme.
Coprifuoco alle ore 19,00 come per i polli (Fino alle 20,20, ora legale, ci si vede
ancora).
6 Aprile Giovedì.
Allarme dalle 12,20 alle 12,40. Dalle
15,25 alle 15,55. Bombardamenti lontani, verso Jesi (?). Passaggio di formazioni aeree sul mare.
7 Aprile Venerdì.
Allarme dalle 12,20 alle 12,55. Passaggio
di aerei verso Ancona e ricognitore su
Fano, alto tra la nebbia.
Udiamo colpi e bombardamenti lontani. Alle 13,15, d’improvviso, una grande
formazione vira su Fano-Molino Albani e
Piazza d’Armi - e sgancia grosse bombe
da cinque quintali sulla zona del Ponte
Metauro - strada nazionale - abbattendo numerose case ai lati della via e nelle
stradette adiacenti, soltanto a 100 metri
dal Ponte.
Nessuna vittima da quei diciannove aerei. L’allarme viene dato dopo lo sgancio
delle bombe. (C’era fitta nebbia).
Il cessato allarme alle ore 15,00.
E con questo, siamo a 15 affettuosi ricordini anglo-americani. Il coprifuoco
sempre alle ore 19,00.
8 Aprile Sabato
(vigilia di Pasqua) Allarme dalle 10,30
alle 11,15; dalle 11,50 alle 12,15 (Nell’aeroporto, esplosioni di mine, previo avviso. Si interrompono le piste con buche
ed altro).
Allarme dalle 13,15 alle 13,30. Un ricognitore da Pesaro ad Ancona.
La contraerea di Pesaro spara due colpi.
Il cielo si chiude, pioviggina. Mantenimento del coprifuoco.
9 Aprile Domenica.
Pasqua 1944. Nella notte, forti esplosioni verso Ponte Metauro. (Cannoneggiamento dal mare contro Ancona). Allarme dalle 7,45 alle 8,40. Passaggio di
aerei. Verso le 11,00, esplosioni lontane.
Bombardamenti? Passaggio di apparecchi sul mare, lontani. Pasqua col coprifuoco sempre alle 19,00. Piove. Allarme
dalle 22,40 alle 23,45. Bombe lontane.
10 Aprile Lunedì da ricordare.
Cielo sereno. Allarme dalle 9,45 alle
10,20. Passaggio di aerei verso Ancona.
Al cessato allarme forte bombardamento lontano, prolungato (Vatti a fidare
delle segnalazioni!) Allarme dalle 11,45
alle 12,20. Passa un aereo: spaghetto.
Allarme dalle 13,30 alle 14,45. Una decina di bombardieri in picchiata e caccia sganciano una quarantina di bombe
a Ponte Metauro-Ferrovia. Altre quattro
arcate di centro abbattute (totale otto,
con l’altra, di ieri, sulla ferrovia). Poi,
mitragliamento alla Stazione ferroviaria,
sui militari fuggiti per gli orti, ai vagoni
in attesa, ecc. Nessuna vittima; nessun
ferito all’Ospedale; un camion incendiato sul P. Metauro.
Poche abitazioni sforacchiate. Allarme
dalle 16,00 alle 16,30. Alle 18,15 passaggio di un aereo, basso, sul mare verso
Ancona. Ricognitore? Fifa per domani.
(Il coprifuoco sempre alle ore 19,00).
Sparatorie dalle 19,45 delle solite pattuglie (o incoscienti o sparafantasmi).
Sesto allarme dalle 21,35 alle 23,00. Passaggio di un apparecchio a bassa quota.
Nella notte, forti esplosioni, distanziate
di un’ora una dall’altra, verso Ponte Metauro. (Attentati o bombe a tempo?).
11 Aprile Martedì.
Tempo sereno. Allarme dalle 1,30 alle
2,20 poi dalle 7,35 alle 8,30. Passaggio
di aerei, sul mare, in formazione verso nord. Allarme dalle 9,15 alle 10,15
(Bombardamento verso Falconara-Ancona), prolungato.
Subito dopo altro allarme dalle 10,20
alle 11,15; già passato il ricognitore.
Bombe lontane. Allarme dalle 13,00 alle
13,30; dalle 14,40 alle 16,20; dalle 17,00
alle 17,40; dalle 18,30 alle 18,50; dalle
21,30 alle 23,30. Totale nove allarmi nella giornata.
12 Aprile Mercoledì.
Allarme dalle 0,30 alla 1,00; dalle 2,30
alle 3,35. Bombardieri su Fano, a molestia: bengala, spezzoni incendiari e bombe a Ponte Metauro e dintorni. Un pezzo
d’arcata del ponte stradale colpito e demolito; una capanna incendiata. Paura.
Allarme dalle 7,20 alle 7,35 - ricognitore
-; dalle 10,15 alle 11,25; dalle 12,05 alle
13,40; dalle 14,15 alle 14,35; dalle 16,22
alle 17,00; dalle 17,30 alle 18,10. Passano ricognitori; bombardamento lontano.
All’aeroporto fanese esplodono mine
per far saltare il campo e costruzioni. Il
coprifuoco è sempre alle 19,00. Allarme
dalle 21,30 alle 24,00. Passaggio di infinite formazioni pesanti, nei due sensi,
verso le 23,25. Fifa a ripetizione, in noi,
sotto le volte sotterranee dell’Ospedale
civile.
13 Aprile Giovedì.
Nella notte, altri passaggi di aerei pesanti, senza, però, allarme locale. Cielo
sereno.
Allarme dalle 9,20 alle 10,05; dalle 10,45
alle 11,20 ( È il ricognitore solito, ormai
familiare, dato che il pilota è uscito da un
Corso allievi-sottufficiali A.A. di Fano).
Allarme dalle 18,55 alle 19,15; dalle
21,20 alle 21,45. Nella giornata, bombardamenti lontani ed assai forti.
14 Aprile Venerdì.
Cielo nebbioso; freddo. Allarme dalle
7,05 alle 7,55; dalle 9,00 alle 9,30; dalle
21,30 alle 23,50. Sorvolo di apparecchi e
getto di alcune bombe.
15 Aprile Sabato.
Allarme dalle 6,30 alle 6,45 (Ricognitori). Ancora dalle 9,30 alle 11,10 (bombardamento lontano); idem dalle 15,20
alle 17,00. Bombardieri su Fano, in varie
formazioni, sganciano nella zona di “Sottomonte”- Stazione Ferroviaria - Molino
Albani - Consorzio Agrario-Sottostazione Piazza d’Armi - Dopolavoro “Duca
D’Aosta”. Case distrutte e lesionate gravemente. Morti e feriti in alto numero
con questo 19° bombardamento e mitragliamento a bassa quota. Purtroppo
anche la casa del sottoscritto, in Piazza
d’Armi 2, è stata colpita in alcune strutture. Diverse bombe inesplose ed altre
a scoppio ritardato: quest’ultime per
aumentare vittime e spavento. Allarme
dalle 17,10 in poi, a martello.
Passaggio di aerei, senza sgancio (Risultano colpite anche le zone attorno all’Ospedale ed Ospizio Cronici, con bom-
be da una tonnellata circa; altre, fuori
Fano, esploderanno a notte).
16 Aprile Domenica.
Lavorio febbrile nello sgombero di macerie in ville e case abbattute. Si cercano
altre presumibili vittime, mancando tre
persone al conto. Si sgombera anche la
città dei rimasti fanesi. Molti, precettati
per ragioni di attività assistenziali, logistiche, religiose, debbono rimanere in
sede. Proseguono le esplosioni di bombe
a scoppio ritardato. Si vocifera su getto di materiale vario e piccolo (matite,
penne, orologini, ecc.) per colpire gli incauti raccoglitori.
É propaganda? Per cause varie e comprensibili il mio “Diario” sintetico cessa
con questa data. Prenderò appunti volanti con l’intento di batterli poi a macchina, a fine guerra. Sto ancora cercando il “Diario” del 1943 anche se dubito di
averlo smarrito (?) durante un allarme
e fuga con gente addosso, tra via Vittorio Veneto ed i sotterranei dell’Ospedale
Civile.
1944; gli sfuggono così due episodi: il gravissimo bombardamento del 17 aprile 1944 quando
le bombe sganciate da dodici Marauders sud
africani, scortati da sei Spitfires, colpirono duramente via Nolfi. Fra gli edifici colpiti la filanda Solazzi, la vecchia sede delle Maestre Pie
Venerini, la farmacia S. Elena che si trovava
nell’Istituto tecnico commerciale (ex ospedale
di S. Croce), il portico e la chiesa di S. Croce.
Fu colpita anche la chiesa di S. Agostino dove
crollò il soffitto. Secondo episodio il 30 aprile
1944 quando nel tardo pomeriggio due partigiani lanciarono due bombe nella caserma
Paolini dal cancello di via Negusanti. Tredici
soldati della RSI furono feriti: uno, abbastanza
gravemente. Il giorno dopo, fasciati e incerottati, li fecero sfilare lungo il Corso, affinché tutti si rendessero conto dell’attacco “terroristico”
(c.m.).
• Bombardiere Marauders
Note parte prima
*1) In effetti il 21 gennaio 1944, intorno alle
21.10, la borgata di Montecchio fu semidistrutta dallo scoppio accidentale di mine ed esplosivi. A tutt’oggi non è accertato il numero delle
vittime, che secondo i testimoni e i ricercatori
furono almeno una trentina.
*2) Domenica 23 gennaio 1944, alle 12.42,
mentre i fedeli uscivano dalla messa in cattedrale, Urbania subì un devastante bombardamento da parte dell’aviazione statunitense.
L’effetto fu disastroso, grappoli di bombe caddero tra la folla, altre colpirono il centro storico
che per buona parte venne distrutto: le vittime
furono più di 250 (alcune famiglie decimate)
e 515 i feriti (su una popolazione di nemmeno
6.000 abitanti); i danni agli edifici privati e
pubblici enormi (284 abitazioni distrutte, oltre
1500 danneggiate). Rasi al suolo gran parte
di corso Vittorio Emanuele, la via principale
della città, insieme a palazzi antichi e loggiati
rinascimentali, oltre ad alcuni edifici pubblici e di culto, fra cui un’ala del cinquecentesco
Palazzo Ducale e la chiesa dello Spirito Santo.
Fra i primi instancabili soccorritori, il vescovo
Giovanni Capobianco, il clero locale e i Carissimi di Fano, i Fratelli delle Scuole Cristiane
del Collegio S. Arcangelo che erano sfollati ad
Urbania.
*3) Giulia Battistelli, popolare venditrice di
castagne. Era stata la balia del pilota fanese
Walter Omiccioli, asso della caccia.
Il diario di Ateno Spezi si ferma al 16 aprile
Parte seconda
il molino albani
Fano, 18 Aprile 1944
Ieri è cominciato l’assalto al Molino Albani da parte della popolazione.
Alle 18,00 l’incendio crepitava nella
zona destra dell’edificio. Il fumo, alzatosi
di colpo dal grande silo di cemento, s’era
aperto per distendersi nel cielo azzurro.
Gli operai e i tedeschi di guardia stavano fermi nel piazzale di centro, indecisi
o incapaci di ogni reazione. Dalle colline
gli sfollati potevano distinguere la sagoma del grigio complesso e quel fumo, poi
biancastro, allungarsi pigramente verso
il Metauro col vento dell’Alpe. I vigili del
fuoco erano accorsi - quei pochi rimasti - un’ora dopo. Dovettero girare oltre
i fabbricati colpiti, scavalcando massi e
buche provocati dalle bombe del sabato
avanti. I macchinari ardevano unitamente alla farina insaccata ed al grano sparso attorno. Chi passava sollecito - dei
rari che potevano passare di fronte - osservava sgomento. Alcuni uomini entrati
nel retropiazzale, tra le macerie di cinta,
si erano avvicinati prima indecisi verso i
sacchi di grano e farina, gettati fuori nello sgombero di salvezza, poi, al sorridere dei tedeschi indifferenti e nell’inutile
fatica dissuasiva degli operai e vigili, di
furia a buttarsi sui mucchi indenni per
mettere a spalla il peso che potevano rapidamente trasportare.
Il bianco pennacchio chiamava i lontani.
Alla foce di una insperata agonia scendevano e affluivano violenti e rissosi i fanesi, i borghigiani, il bracciantato oscuro, molti dei poveracci che del grano e
della farina stavano perdendone sapore
e sazietà. L’allarme aereo non spaventava anime sorde; e nemmeno la minaccia di crolli o di fuoco incuteva paura.
Avevano racimolato o portato carriole,
carrette, biciclette, sacchi e zaini; o usavano la loro schiena. C’erano pure donne discinte sudate bercianti - e ragazze:
quelle a mala-copia di un anno avanti,
allora a passeggio invidiate e ‘signorili’
lungo il Corso di Fano.
Il Molino, chiuso da mesi, si offriva improvviso, verso a coloro che nella nebbia
di guerra lo avevano isolato entro una
cinta ferrata. Discesa la sera erano ancora varie le ombre degli ultimi accorsi,
nonostante il coprifuoco in atto.
Domani, o dopodomani al massimo, non
ci saranno più le impazzite formiche bi- 70
pedi nelle bruciate viscere. Resteranno 71
le sparse macerie di case - larve di umani
- e null’altro! Poco lontano, verso Piazza
d’Armi, anche il complesso del “Consorzio Agrario” subiva lo stesso assalto di
gente scesa a febbrili razzie di granoturco, accatastato nei capannoni poco o
nulla vigilati. Da una finestra scassata di
casa posta di fronte al Molino, osservavo gesta e volti per trarne cronaca. Era
purtroppo il giorno d’un abbandono forzato, con i miei, dopo il ‘preavviso’ di sabato 14 scorso; quando mia madre e mio
fratello rimasero bloccati nel rifugio di
famiglia, sotto strati di tufo e terriccio,
per l’improvviso bombardamento aereo
dal mare al Molino, agli orti di Giommi
e Pierini (Pirìn), ove sorgono le nuove
modeste abitazioni su gli alzi a sinistra
della Statale Adriatica.
22 Aprile 1944
Oggi, 22 aprile 1944, sperduto fra l’ anonime genti sfollate e sofferenti per la
guerra, è morto il concittadino M° Mezio
Agostini, già direttore del Conservatorio
Musicale “Benedetto Marcello di Venezia”. Colpito da emiplegia nel 1938, non
si era più rimesso in salute. Aveva 69
anni. (*1)
• Mezio Agostini, dipinto di Ateno Spezi (1940)
Il 1o maggio col palloncino rosso
1o Maggio 1944
Nonostante la guerra un po’ d’aria festaiola v’è ancora a spirare sul viso e nel
desiderio di certuni. Anziché andare per
rifugi da sfollati ora si va per campi con
l’intento di pasteggiare al verde Maggio.
Io e Fride, nella imminenza del nostro
matrimonio, andiamo invece alla cerca
d’un paio di camere e cucina. Su, verso Centinarola o Rosciano. Via Fanella è
una stradina nascosta, con alberi cespugli e fossatelli; poche case, ancora fuori
di portata cittadina.
Da lì si può filare dritti e riparati verso
le mete foranee. Al primo tratto di muro
posteriore del Seminario Regionale
sentiamo rombi nel cielo. Stiamo fermi
pressati ai mattoni; ci orizzontiamo. Alto
v’è un aereo, staccato dal gruppo, che
sgancia un qualcosa. Sembra scendere
verso noi un globetto rosso con una coda
biancastra e fumogena simile a cordicella sfilacciata: ondeggia quale un palloncino sperduto, quindi precipita di colpo.
È intuizione istantanea. Ci appiattiamo
fra muretto e colafosso. Un tremendo
getto d’aria a radere cespugli e capelli a
filo-zero, poi lo schianto secco nel fumo
o polvere o nebbia acidula. Non c’è aereo; c’è solo un grano di cuore a battere.
Pavido l’alzare del capo e degli occhi. A
destra, pochi metri più avanti, una grossa casa affettata in verticale, sullo spigolo sud. E’ quella di ‘Berlusina el fatòr’:
al secolo “Giuliani”. Non c’è bisogno di
indugi o proseguimento di ricerca. Scappiamo - ed altri con noi sulla strada - col
ricordo di una certa bomba ad aria liquida, piccola rossa sorpresa odierna fra le
altre della RAF maggiolina.
***
Gli ultimi colori
12 Maggio 1944
All’alba d’oggi saliamo in bici per ripassare i segni d’un viaggio d’amore: quello
del 15/16luglio 1941 svoltosi fra casolari e fattorie di amici allora trovati, forse
alcuni perduti. D’obbligo uno sguardo
dalla piccola collina di Bellaria. Prati e
campi inerpicati o distesi, concavi od avvolgenti.
Alla base, il Metauro: variato di prode
e lucente di ciottoli fra le dirupe di Fossombrone e Montemaggiore. Scendendo, il fiume esalta i centri agricoli di S.
Costanzo, Cerasa, Piagge, Orciano, San
Giorgio e Mondavio. In piano v’è Calcinelli col suo ponte già ritto, ora sfatto sul
bianco del greto; nelle gobbe il cimitero
di Santa Maria Maggiore contro il cielo
opale, Villa del Monte, Barchi, Sorbolongo, il Convento di Santa Vittoria di Frat-
terosa... Saltara, sul versante mancino,
scopre i suoi tetti, vecchi ed asimmetrici
dai coppi terrosi; S. Ippolito d’alabastro
è a destra, raggrumato dietro S. Martino dai cipressi scuri frementi sui campi del grano: un’esaltazione d’impasti
per Van Gogh! Alto, il grande fabbricato
dei Gesuiti chiede il ‘memento’. Il Catria azzurreggia a sfondo, oltre l’indaco
d’arcobaleno a velo sul Passo del Furlo.
La collina di Cartoceto, il ‘Beato Sante’,
Montegiove, e Novilara al limite di Fano,
corrono all’Adriatico. Sera. Il caldo resta
nell’aria. Gli animali sostano appisolati. Gli uomini rimasti hanno disertato i
campi dopo gli ultimi passaggi aerei.
Ogni fattoria è rinchiusa in se stessa.
Sparse, ferite, case silenti degli Orciani,
Berardi, Bertozzi e Sanchioni, Renzoni,
Pellegrini e Grandoni, di Rivelli, Angeletti, ed altre. Svaniscono, nel ritorno,
con i profili degli alberi schiantati tra il
bruno di pagliai indenni, ora santuari
agresti dallo stollo a croce.
***
Don Vinnico e “San Pasquale Baylon”
al poggio
Maggio1944
A S.Pasquale Baylon - convento fra San
Giorgio ed Orciano - tempo addietro
svolgemmo dei restauri alla “Cappella
del Crocefisso” unitamente a ‘Pèp’ Imperatori ed Enzo Bonetti. Era parroco
Don Vinnico; con lui vivevano sua sorella ed una taciturna fantesca. C’era
pure un tizio, maestro e factotum delle
sacre opere, a sollecitarci l’esecuzione.
Passata la festa patronale del 17 maggio
- sono pochi giorni - alcuni fatti legati a
quel periodo ci portarono lassù per rivedere le passate opere ed il ‘Coro’ ligneo,
opera di un Maestro intagliatore fanese
del XVI secolo, nonché salutare il vecchio prete (*2). Poca gente sul sagrato
ed in chiesa. A sistemare intorno pietre
e legni, alcuni uomini anziani ancora in
timore dopo il mitragliamento-spezzonamento aereo sui pellegrini al Santuario - poi seguito dalla retata di giovani
da parte dei tedeschi. Da allora si stava
sempre all’erta. Un rombo di macchina
giù nella strada verso il Convento; un
fischio: gli uomini presenti, dal sussulto
passano alla fuga tra cespugli e solchi di
grano. Un veicolo frana alla siepe. Vuoto
d’attesa. La sagoma sorridente del fac-
totum locale si profila a lato di un individuo in abito sgualcito, occhiali scuri sul
volto, tasche rigonfie, scarponi d’alpe.
(Don Vinnico dà uno sguardo attorno e
mi si pone affianco; Fride cerca la mia
mano, fissando i due personaggi). Il ‘giovin’ maestro presenta al sacerdote il ‘Tenente M...’, dell’esercito repubblicano.
Non afferriamo bene il cognome, forse
di comodo. Vuol mostrargli, tal guida, la
costruzione ed i lavori di restauro nella
“Cappella del 500”, col suo Crocefisso
dei miracoli. Prima di seguirli nella navata mi faccio animo: un impulso. Chiedo al “Tenente M.” se è di ritorno da
Serrungarina (tentiamo di avere notizie
circa il fermo - si diceva - di alcuni conoscenti colà sfollati e di quanto avvenuto
giorni avanti). L’interpellato risponde
che vi andrà dopo la visita al Santuario.
Impudentemente (?), senza osservare
il maestro ‘T’ che fa gesti di sollecito, si
dà al racconto di quelli e di altri fermi,
vantandosi della ‘cerca’ di giovani renitenti. Don Vinnico sulla soglia del tempio aveva alzato gli occhi al cielo, per
non doverli portare verso il campo ove
erano fuggiti i suoi parrocchiani. Diventava finalmente chiara, per noi, quella
vestizione da pania del “Tenente M.”….
Venti minuti dopo il brigatista ripartiva
in macchina, ad affiancarlo, altri militi in
borghese.
Il parroco silenziosamente s’era avviato all’altare: in ginocchio già pregava,
estraneo totalmente a noi. Eravamo abbastanza scossi. Usciti all’aperto, con le
vecchie ‘bici’ giù a pedalare sulle polverose strade delle “Ripe”.
• Convento di San Pasquale Baylon
30 Maggio 1944
Tornavo ieri in bicicletta da S. Giorgio di
Pesaro, diretto alla casa di sfollamento.
Fuori di paese, al bivio, mi ferma con
ampio gesto il “maestro T”. Inizia sùbito
a raccontare: “Si ricorda di quel tenente
al ‘Poggio’, diretto a Serrungarina? Ebbene, un attentato da quelle parti; una
bomba, la macchina giù per un dirupo...
Sembra siano morti tutti e quattro gli
occupanti. Al santuario certuni mi fanno minacce...”. Non avevo ancora aperto
bocca. L’ho piantato di scatto, buttandomi senza freni per la discesa. A metà
strada mi fermo, bloccato da strane immagini. Appare in una nebbia argentea
Don Vinnico inginocchiato verso l’altare, in totale ascesi. Dove sarà andato;
cosa avrà chiesto, Lassù? Rammento il
vecchio pastore al mattino: quando prima della veste talare si metteva in abiti borghesi e andava a caccia armato di
una arcana doppietta; quando prima di
laurearsi sacerdote era stato ufficiale
nella guerra del ‘15/18 e conosceva per
sofferta vita ogni efferatezza di uomini
nella bufera d’armi; penso all’urna con
un mozzicone di braccio annerito ch’egli teneva in camera: un macabro ricordo della sua ‘fidanzatina’ di quel tempo,
carbonizzata in un rogo atroce. Vedo e
mi par di sentire la pazzia di sua sorella
urlante nella notte di luna piena lungo
il corridoio delle celle (e noi, ignari e
sgomenti - io ed Imperatori - a barricarci dietro le porte); ed è ombra grande
negli occhi della memoria anche la nera
silente fantesca, vedova nella ‘Grande
Guerra’. Ecco: la guerra, le atrocità degli uomini, la follia, l’urlo alla luna simile
all’urlo degli Stukas in picchiata. Ancora m’appare scorto dal trespolo da cui
ritoccavo la grande tela di S. Pasquale
Baylon - quell’inconsueto gonfiore alla
base d’altro quadro sulla porta interna
del Santuario, atto a coprire una grossa
nicchia satura d’armi ivi deposte. ...(E
don Vinnico, pallido in una benedizione
di ringraziamento, provvedere con me
cautamente a far sparire ogni traccia di
quel tremendo incarico e rischio paterno). Nel bruno della discesa verso Fano,
con la luna più alta sulla testa, collego i
frammenti di tali vicissitudini e ritorno
all’ultimo don Vinnico, esangue, inginocchiato alla preghiera. Quasi contemporaneamente all’Amen, lontani, una bomba che esplode, la macchina...il dirupo...
Dio, non posso credere.
***
Il “ campo di aviazione”
Primi di giugno 1944
Ho assistito alla distruzione dei rimasti
fabbricati del “Campo di aviazione”. Già
l’8/12 aprile u.s. mine e bombe aeree
avevano bucato il grande terreno e scalzato alcune primarie strutture; l’aratro,
poi, aveva steso una ragnatela di grossi
solchi fra crateri aperti a varia distanza.
Mi è presente la fotografia, in mente ottica, di ogni operazione. Le grosse cariche squarciano, fanno crollare gli edifici
adibiti a Scuola di aeronautica per sottufficiali piloti di 1° grado. Vi è appena
una stasi di tempo, eppoi nuovi violenti
scoppi alzano al cielo fumate grigiastre
mentre cadono legni ‘a farfalla’, pezzi di
muratura e di cemento. Appaiono al sole
le nervature delle caserme e dei villini,
dei complessi per servizi e comandi, delle lucide rimesse. Scheletri fra serbatoi
cupi spalancati sulla terra, e neri getti di
residui oleosi al vento. Le balaustre s’alzano, contorte sculture frammentate,
quali leggeri tragici monumenti ad un
periodo di pochi anni nei quali la città
‘tifava’ attorno al ‘suo’ Aeroporto dedicato ad Enzo Omiccioli, biondo fanese
pilota, medaglia d’oro al v.m.
Qualcuno giorni avanti, d’accordo con
persona del ‘servizio’ (ultimi avieri
bloccati per mansioni correnti dopo l’8
settembre e due civili addetti a compiti
diversi), cautamente, in più sere, era entrato tra infissi e basse recinzioni aperte
per asportare le ultime brande e lettini, i teli della ‘manutenzione’ - pulita o
sporca -. In periferica installazione altri
individui, anche non locali, erano andati per sacchi di scarpe già nascosti tra
i rifiuti, e per indumenti rimasti sotto il
crollo del magazzino. Sparita anche la
camionetta-bus del servizio avieri, mimetizzata prima ad arte fra spezzoni ed
ondulati.
Il vuoto totale del momento fra gli allarmi e le bombe di aerei, nella fuga e
latitanza tedesca, serviva comodamente
anche di giorno alle varie ruberie. Ora
è fumo e macerie. Otto tedeschi danno
gli ultimi sguardi alla loro opera. Sono
i guastatori di Kesserling. Becchini
dei mille sogni d’una città che credeva
poc’anzi di ‘volare’….… A casa una notizia serale, tonico per il morale di tutti noi: -”gli ‘alleati’ della V Armata - nei
giorni attuali 4/7 - sono giunti a Roma, in
contemporanea allo sbarco in Norman-
dia delle altre Armate anglo-americane”. 72
(Si comprende la fretta tedesca per la 73
totale distruzione del nostro aeroporto).
• Una delle poche foto esistenti con le palazzine
dell’aeroporto fanese
***
10 giugno 1944: altra data storica
(Questa mattina mi sono sposato.
Matrimonio nella guerra)
Dalle ore 10 in poi, ad ondate terrificanti, gli aerei americani hanno incominciato a bombardare la città, sulla Statale
Adriatica. Il reverendo Don ‘Checco’
Guerrieri, officiante al nostro rito matrimoniale, è corso filato in bicicletta alla
sua parrocchia di S. Marco, per costatare quanto in essa accaduto; e tornare pel
racconto dello scempio nella zona. Non
dice, ai miei, della ‘nostra casa’; non accenna, agli altri, delle loro case; no: ma
di quelle vicine alla Stazione ferroviaria,
di un po’ di case sulla Nazionale...Non
c’è da agitarsi. Lo sapremo, del vero misfatto, nel pomeriggio inoltrato: quando
io, Fride e mio cognato Evo decidiamo
di buttarci fra i campi e la polvere per
andare a vedere gli esiti dei bombardamenti. Della casa ove abitavo con mio
padre non c’erano in piedi - come dicesi
a totalizzare - nemmeno i ferri del cancello. Mucchi di mattoni e spezzoni vari
nei terreni sconvolti; e buche, buche
nel retro-spazio agreste di nove bombe,
semi sparsi come su un’ irreale carta da
gioco. (...La casa tornava fuori ad ogni
esplosione - un film mentale - attraverso
un suo distendersi e ricomporsi a cumuli
e fosse sulle macerie d’altre case morte
ai suoi lati. Svanita con gli inamovibili
miei beni d’arte in essa lasciati e coi ricordi d’una parte di gioventù ivi trascorsa). Fride aveva tolto l’abito bianco da
sposa, indossato quando siamo andati
nell’ora di luce - a sbalzi su di un landeau una carrozza ed un biga per il corteo
nuziale sino a “Tre Ponti”. Per dire ‘Sì’
in una specie di capanna-alias Chiesina
e “Dopolavoro” con un albero biforcuto e barra a sorreggere la campana. Gli
amici stavan fuori un poco a guardare
Don Achille far da spalla all’Officiante, e
molto più il cielo, presaghi di un qualcosa dall’alto a scendere non certamente
divino (Io mi trovavo nella sospensione
del rito, ancora preso dalla assoluzione
pietosa datami dal caro Don Guido rimasto coi militari alla Caserma Paolini).
(*3). Nel mattino d’oggi è stata affossata
una “prima vita” con la distruzione delle
nostre tracce. Sposandoci in contemporanea, una seconda età n’è sorta dalla
immane tragedia, radicata a memorie.
Le ho viste nel rosso tramonto lapideo,
con Fride, le sparse tronche ricordanze. Come quando in viaggio di nozze si
vanno a ritrovare quelle di Ercolano e di
Pompei. Scomparsa la rabbia è subentrata la rassegnazione. Il nostro viaggio
di sposi si è concluso con l’ultimo pellegrinaggio mentale verso Piazza d’Armi e
Villa Uscenti, intuendo altre fosse tumuli e relitti, laggiù, ove abitavano i genitori
e fratelli e familiari di mia moglie. Sono
parecchi i morti civili ‘di giornata’. Per la
cronaca posso aggiungere i cinque militi
tedeschi uccisi mentre fuggivano dallo
Scalo merci della Stazione ferroviaria
per mettersi in salvo entro il rifugio comunale, nel Bastione del Sangallo.
Il ”sussidio”
24 giugno 1944
Per i sinistrati di guerra hanno fissato
un sussidio: poche centinaia di lire, a
discrezione dei “delegati”. Decisi alla richiesta, spinti dalla assoluta necessità,
abbiamo... trovato chi ci ha fatto girare
verso i reparti decentrati, e dentro cinta, con la domanda da consegnare agli
addetti e seccamente respinta per...
“Mancata presentazione tempestiva.
Aggiornarsi!”. Settimana successiva,
risposta beffarda: “Non abbiamo soldi;
tornate più avanti”. Di nuovo, fra le pause dei bombardamenti, altra comunicazione: “Causa assalto agli uffici, distruzione carteggi e scasso di scrivanie... per
mancanza di tali elementi utili, vengono
sospesi i sussidi”. “L’ E.C.A. - voce del
presidente Bracci cui ci eravamo rivolti
- “oggi non è più soggetta a tale assistenza, in quanto disposta dal Fascio repubblicano... seppure a Fano questo ancora
governi (?). Spiacente, Buona sera”.
(I tedeschi avevano avallato i loro collaboratori, temporanei reggitori amministrativi del paese, con il Commissario Libero Montesi, responsabile della Città).
Nel frattempo i funzionari civili dei vari
uffici, assistenziali o meno - tranne alcuni aderenti al nuovo Fascio ed altri precettati per la “salute pubblica” - avevano
abbandonato i loro posti pretendendo,
prima, tre mesi di stipendio anticipato.
A somiglianza della richiesta fatta, ed
esaudita, dagli addetti municipali d’ogni
ordine e grado. Se vero quanta sopra,
correva bene il sospetto sulla mancanza di briciole in lire per gli invisi e veri
sinistrati come noi. Siamo tornati sfiniti
e scornati ai luoghi di sfollamento...per
cercare patate di scarto, nei campi, se
volevamo “ignobilmente vivere”.
***
La ritirata delle bici
25 Giugno 1944
• Don Checco (Francesco Guerrieri)
***
Da giorni stanno requisendo le biciclette. I tedeschi, naturalmente. Chi ne ha,
scava buche e nasconde l’ultimo bene
mobile di valore (*4). Quando corre la
necessità di spostamenti, si mandano
staffette di ragazzi a localizzare eventuali agguati al di fuori dalle normali strade
di transito. Fa caldo. Gli aerei volteggiano, s’abbassano, mitragliano. Nonostan-
te ciò sulla Flaminia, ancora impettiti,
passano gli ariani. Pedalano sulle bici
di ogni tipo, rigidi, a braccia tese. Altri
commilitoni camminano tenendole al
manubrio: forse non sanno cavalcarle,
o sono attendenti pronti al cambio per
qualche ufficiale appiedato. Sembra una
ritirata dei poveri, osservando anche il
passaggio sempre più frequente di armati su cicli, carri, calessi, traini ed auto
civili. O fatta appositamente, per eludere gli aerei in esplorazione sulla direttrice gotica-nord? Nella vecchia colonia
nascondono tutto quanto resta possibile
occultare. Ciò che gli alleati non hanno
distrutto, quello che gli sfollati hanno
trasferito dai luoghi temporaneamente
lasciati (purtroppo il resto agli sciacalli civili) ogni altra cosa che si suppone
faccia gola ai predatori. Gigi, mio suocero, ancora non ha interrata la sua cara
bicicletta da donna. “Chi vorrebbe una
carretta simile?” (La mia bici l’hanno già
presa i nazi nell’ultima razzia). Questa
due-ruote ingrigita - mezzo di lavoro e
svago - Gigi la tiene sotto il letto, confidando nella intramontabile italica buona
stella. Purché l’ultimo hitleriano in ritirata non salga proprio su quest’ultima
arrugginita s(t)ella!
***
I frati questuanti a mano armata
26 Giugno 1944
Vennero in tre. Solo armati di mitragliatore alle spalle, rivoltelle nelle fondine,
bombe a mano in tasca e cartuccere sul
petto (ombre tragiche dei Pancho Villa
d’un cinema andato!). Vollero, perentori: “Salame formaggio pane uova e lardo.
Essere svelti”. Braccarono in ogni piano,
nei ripostigli e nelle stalle, nella cucina e
nelle camere da letto. Quindi il vino, a richiesta naturale; e poi bere, “bere buon
vino”, ad abbrutirsi.
Barcollando, caricarono i sacchi con tutto ciò che poterono ottenere. Ripartirono, forse insoddisfatti, verso altri coloni.
Per altro “bottino di guerra”. La guerra
del vino e della fame.
26 Giugno
Scesero in due, con un somarello stanco
trainante un calessino. In discesa dalla
stradicciola che porta alla casa colonica
di noi sfollati, si rovesciarono sul bordo
del fosso per metà calesse. Si rialzarono
abbandonando un fucile, arrabattarono
tra stanghe e buricchio, giunsero zoccolando sino a noi. Non erano affatto simili
ai tre di ieri, s’accontentarono di uova e
di null’altro. Ebbero del pane. Non dissero ”Arrivederci”. Voltarono la schiena quasi con umiltà; uno d’essi portava
gli occhiali: forse non vedeva manco le
orecchie del ciuchino, avviato sulla strada del Canale Albani. Mi rammentarono,
chissà perché, i frati questuanti di S. Paterniano e fra Porfirio frusagliano.
26 Giugno
Altri sono venuti. In otto, armati di pale,
vanghe e sacchi: organizzazione perfetta. Volevano patate, patate. Ne pretendevano 150 chili. Come se la terra, la
poca terra di questi contadini, potesse
all’istante gettar fuori i tuberi ‘alla Sesamo’, come venivan fuori i pidocchi dal
dosso dei russi in prigionia e lavori forzati ai margini del nostro campo. Si misero a rivoltare la terra in cerca di tuberi. Alle suppliche della vecchia padrona,
due graduati dissero di accontentarsi
della metà di quanto richiesto, purché i
coloni arrostissero, tempo mezz’ora, trequattro galli con contorno di patate...
per i camerati cercatori. Sgomento! Alla
fine, non ricevendo risposta anche a tale
menù, si accontentarono di una mezza
lonza, di due fiaschi di vino e pane e ciliege. Poi riposarono. Più avanti passarono “a patate” da altri coloni, togliendo
prima dall’aia una... carretta a mano.
29 giugno, mattino
“San Pietro”. Altri armigeri sono arrivati
su due birocci carichi di cibarie (precedenti razzie) venendo da Senigallia. Si
sono fermati brevemente per dissetarsi
a ciliege , ma con il reale scopo di cercare uomini al servizio dei quattro bovini ai
carri. “Mezzo chilo, voler pagare...”; ed
un gotto d’acqua fresca di pozzo. L’hanno bevuta diverse volte, quell’acqua dal
secchio, meglio sì con del vino. Hanno
raccolto loro stessi, bontà solidale, diverse volte le ciliege dagli alberi - una
goffa a testa - eppoi via, senza trovar civili validi, su per la strada assolata. “Arrivederci!”, hanno gridato acidamente. I
contadini brontolavano a denti stretti,
senza osare alcuna richiesta di paga-
mento. Temiamo che il non pagare degli
armati verrà a pesare certamente su di
noi sfollati, come rivalsa, quando si andrà a chiedere ciliege ai coloni, non certo per dessert.
***
Tempo scaduto !
29 Giugno 1944
Alle ore 20 di oggi scade l’accesso alla
città, per una proclamata ‘cinta nazionale’. Ciò ha valore non tanto per scongiurare altre vittime da incursioni aeree,
quanto per evitare razzie ed incendi da
parte di sciacalli paesani. Con gli ultimi
carretti da poche cose, sgocciola l’esodo
finale. Un professore carica un pesante
tavolo di caldo noce; M.G. - Ufficiale A.A.
- dal palazzo in Piazza Costanzi spinge
la carretta per un salottino accatastato. L’attorniano signore a sogguardare
Fride con distacco: dobbiamo credere
ch’esse vadano...a diporto verso amate
piagge, o da uno sfollato antiquario per
la stima dei legni.
Dei russi, in via Malagodi, dall’italiano
stentato, ci chiedono del pane. Hanno il
viso mongolico; uno d’essi si alza, sorridendo, offrendoci due sigarette, anche a
nome del figlio con lui prigioniero, dice,
da un paio d’anni. Rientrando al ‘covo’,
sulla pista destra del Canale Albani ci attira la sosta d’altro carretto a mano con
due nuove reti metalliche adagiate. Un
giovane amico avvocato, vedendoci, sorride a denti stretti, semi appoggiato alle
stanghe.“Vuoi una mano, Guido?”. Scuote il capo, l’interpellato, affiancandosi
alla moglie ferma dall’altra parte. Ci distacchiamo rapidi da loro perché vediamo nel cielo un’ombra d’aerei. Restiamo
zitti fra le canne del canale. Ecco i tre
velivoli inglesi della malora scendere e
sparare rabbiosi sul vicino ‘Ponte Rosso’, quali ubriachi pistoleri al Luna Park.
Alla virata, svaniscono sul mare. Torniamo sulla strada. C’è la carretta abbandonata; le reti trillano con l’argentana ai
ferri. L’amico avvocato mediterà amaramente su quei metalli, forse rei di aver
calamitato il fuoco degli inglesi sulla sua
diurna sfacchinata di giovane sposo.
***
Le ripe di Ferriano
1 Luglio 1944
In una casa colonica alle Ripe di Ferriano ieri i tedeschi sono entrati per la requisizione di bestiame. Alla porta c’era
una vecchia ottantenne con un bimbo di
pochi anni sulle ginocchia. Determinati,
i nuovi padroni hanno sciolto due bovini
dalla stalla spingendoli sull’aia; quindi,
negati viatori per andare ‘a testa’, cioè
innanzi ai buoi razziati, hanno tolto dal
grembo senile l’ignaro essere ed imposto alla donna di aggiogare i ruminanti
e condurli alla mano, su per l’erta, verso una data pista. La vecchia, supplice,
deve camminare per forza sotto quel
sole di sesto mese, mentre il nipotino
strilla impaurito, seminudo, tentando di
inerpicarsi sulla ripa, dietro la bisnonna.
Nei campi lontani, di sotto, lavorano gli
uomini; non fanno caso alle grida del
bimbo. Poi capiscono, arrivano di corsa
con le donne, ma è già tardi. La ‘capoccia’ è sparita: non vedono che un vuoto
nella casa e nella stalla. C’è presente il
pianto del piccolo; e, nell’aria, il sentore d’Attila….. Sul filo di queste arenarie
scendenti a calanchi verso il Metauro e
la secca del guado, corre una lunga strada serpentina ad unire dal basso all’alto
della fiancata destra le varie case coloniche.
In vista s’erge un casone, detto ‘de Scufin’, cupo mezzadro di un ebreo romano.
In un riparto della fattoria, liberata dal
colono e sua numerosa famiglia, s’è allogata a pagamento la triade casalinga di
mio padre. “Quassù qualcosa di buono
ci sarebbe” - dice mio fratello - Meno
le pulci”. Certe innumerevoli colonie di
pulci da scuffinare, tanto che gli uomini
alla notte dormono nudi; e nude le femmine, quelle giovani, quando si trovano
con i fidanzati ad amoreggiare. I miei si
sono accorti troppo tardi dei pestiferi
insetti, ed ora non è possibile scappare
in altri lidi. Debbono rimanere sul posto,
coi fumogeni; più ragazze accaldate e
loro pulci. La vita, lassù, è bella solo per
tali femmine.
***
“Arrivano gli indiani!”
2 Luglio 1944
Le donne di casa sono in orgasmo. Gridano, si tappano in camera, roteano
74
75
e perdono la testa. “Gli indiani! -”I negri...!” - “Gli africani...!”.
Da fuori dei campi tre spose arrivano
spaventate, sgomente, piagnucolanti.
Chiediamo: “Gli indiani, dove sono?” (I
pianti di queste spose provengono dal
dolore carnale di altre simili della Fano
sfollata). Gli indiani ci sono. Con barba o
senza, con mitragliatore e turbante, giovani e vecchi. Ex prigionieri, mercenari,
collaboratori dei tedeschi da terre asiatiche antinglesi. Violenti, liberi da freni e
disciplina. Diversi di tali barbuti - almeno cinque - nella piana dei “Tre Ponti”,
armi alla mano e picchiando un anziano
coniuge, hanno tentato di violentare
donne del luogo, e sfollate dal sinistro
di Piazza d’Armi del 10 giugno. Tornati
di notte con scale ed aperti varchi alle
finestre di basse abitazioni, madri e ragazze sono state ‘prese’; altre, dopo lunga fuga, si sono salvate nel guado. A due
maritate, ferme coi loro uomini, tre indiani hanno tolto le loro poche gioie addosso; i coniugi insultati e schiaffeggiati,
ammutoliti dalle armi puntate contro
(Già prima, verso la “chiusa”, una donna
incinta ebbe grazia per la sua vicina maternità, ma una vecchia, purtroppo, subì
violenza due volte). Al comando tedesco
di Bellocchi - ormai si era al colmo - vari
civili sono corsi a protestare vivacemente per tali offese bestiali. Individuati
al campo base alcuni degli stupratori,
costoro sono stati immediatamente fucilati. Altri indù, che avevano tentato
violenza ad una fanese e bastonato suo
marito sottraendogli poi vestiti e scarpe,
dopo essersi rasati si sono dati alla macchia. Amen!
Palafittari
6 Luglio 1944
Oggi la banda indiana, aggregata alle
truppe tedesche è partita dai ‘Passeggi’
- ov’era accampata con armi e masserizie - per destinazione ignota. Anche fra
noi, purtroppo, c’è del fosco movimento. Nelle genti sfollate lungo il Metauro,
alle case sulla piana-, - e tra i nativi della
zona - s’è incuneata la smania distruttrice degli alberi isolati e di quelli posti
agli argini a salvaguardia dalle piene. A
decine uomini e donne, con asce e scuri,
segacci e roncole, usando birocci e carrette, si sono messi a schiantare, svellere asportare ogni pianta, senza paura
né pause. Avidi esseri, rodono come castori e formano un tortuoso via-vai quali
accecate termiti. Creano rifugi, cataste
lignee per il fuoco invernale; fanno speculazioni di mercato, o vandalismo totale, nella incoscienza collettiva. Avviene
così, oggi, come accadde in lontani tempi per in sondabili nefasti avvenimenti,
precipitati sugli òmini primi. La ‘guerra
in pelle’ fa sragionare. Si ritorna negli
anfratti della psicosi oscura. In questi
mesi, da saltuari cavernicoli alle Ripe,
passiamo a palafittari in trincee a filoraso. Non corre affatto il pensiero del risveglio cosciente, quando si uscirà dalle
trincee, fosse e cunicoli scavati nel tufo!
Lo dico amaramente perché anch’io, con
i nuovi familiari uniti agli sfollati ed abitanti di queste grosse case, purtroppo
spinto dall’onda pazza ed annebbiante
del momento, sono sceso a raccogliere e trasportare tronchi per costruire
un ‘nostro rifugio’ fuori dall’umidore
dell’arenaria metaurense, oltre le case
sbrecciate, ormai inserito come gli altri
nel grande branco di anonimi sbandati
di guerra.
***
Cianfrusaglie in corso
8 Luglio 1944
• Soldati Indiani
***
La città è abbandonata al saccheggio tedesco e nostrano: i locali non si distinguono da quelli di fuori mura. É fuggito
il Capo del Comune. Con lui i dodici “repubblichini” che lo avevano affiancato.
La gente brancola nella nebbia estesa di
una situazione caotica. Le confische cosiddette “popolari”, od espropri, aumentano senza che si sappia qual sia la diffe-
renza fra legalità e rapina. Di pari passo
vi sono quelle simili, tedesche, che noi
subiamo. Entro la vecchia cinta, dato
che nessun civile dovrebbe oltrepassarla, pattuglie armate - anziché restare in
guardia oltre mura, nelle pseudo-ronde
sfondano negozi alberghi case ed uffici,
per asportare ciò che rimane o fa comodo al momento. Si carica su mezzi in attesa, come per un normale trasloco. Alla
farmacia Gamba, aperta con la fiamma
ossidrica da quattro tedeschi guidati da
un sergente con bracciale azzurro, hanno tolto ogni rimanenza. Un certo fanese
B...(racconta sincero) avviato sul Corso
per ragioni di assoluta necessità con visto tedesco e accompagnato da un maresciallo di sanità, trovò la fortuna tra il
bottino farmaceutico rilevando due cinti
erniari giusti per la sua inguinale destra.
Al ritorno poté anche apparigliare guanti, parure e calze tra le mercerie sparse
del negozio “La casa delle calze”, sventrato sul Corso del Popolo, già Corso Vittorio Emanuele, di fronte alla Farmacia
Ilari. Il centro di Fano sembra lo squarcio d’un corpo esposto al sole ed alla
pioggia. ‘Scarafaggi’ d’ogni buco hanno
pasto. Da giorni la RAF non infierisce
sulla città. San Paterniano Vescovo, per
la sua festività del 10 prossimo - dicono
i fedeli - ci anticipa la sua protezione.
Durasse!
***
tratto il vecchio al carro, gli rifila…mezzo chilo di salina. “Tenere, babbo: noi
pagare”. E ride, sguaiato, il beota Salisburghese. Adesso, piangendo, Benofi
pianterà il sale per avere patate? Ed ai
passanti mostrerà la porca vuota, i suoi
occhi arrossati ed i pochi peli bianchi
sul mento tremante, maledicendo quei...
“Lazzari di padri di figli di... “ che lo affameranno ancora di più in quest’anno di
guerra. Mi dice, il poveromo che tento di
consolare: “Almeno una patata potevano lasciarmi, per tagliarla ed interrarne
gli occhi. Adesso, che interro, gli occhi
miei?” Chiedo se posso aiutarlo a cercarne qualcuna, non vista, fuori campo.
Scuote il capo; conclude, amaro: “I tedeschi, per le patate, hanno il fiuto dei
cani quando vanno a trifole. Se ne hanno
scartati dei pezzi, è segno che quelli erano maledettamente marci”. Solo, Benofi rimane col capo fra le mani nella sua
amara filosofia.
***
Il vino di ‘Bafòn’
14 Luglio 1944
A sera, in casa, mio suocero ci racconta che giorni fa, a Bellocchi, dei ‘giovani
del popolo’ hanno fatto aprire una cantina di ‘Bafòn’ Del Medico - già fattore
dei conti Bracci - per vendere alla gente
tutto il vino trovato.
Benofi (le patate ed il sale)
13 Luglio 1944
Dal vecchio Benofi, qui sul ponticello
del Canale Albani presso “Munticèll”
- alla svolta del fosso romano -, i tedeschi asportano un sacco di patate dalla
porca che il Nòstro, con tanta fatica,
aveva preparato. Non sono bene accolti pianti e lamenti. “Niente, babbo; volere patate...”.”Ma sono tutte queste,
della terra. Se me le portate via, morirò
di fame”. “Non capire, babbo”. “Babbo
un corno! Ho detto che sono solo, che
ho fame, che questa è tutta la mia fortuna... É il mio pane. Vivo di carità cristiana. Vedete come sono? Qui c’è tutto
me stesso. Ma siete dei ladri?” ( Vuole
proseguire nelle geremiadi. Lo stoppano) “Basta! Non capire voi...”. Intanto
due armati caricano quel sacco di patate
sul carro, fermo dinnanzi alla capanna
solinga del depredato. Poi uno di loro,
‘a discrezione’; poi, messo un freno alla
ressa - e tessere alla mano - soltanto un
certo quantitativo di vino è stato distribuito pro-capite. Nulla di sgradevole, ad
eccezione di una conversa azione: chè,
prima, diversi familiari dei giovanotti
predetti avevano ben riempito svariati
capaci contenitori d’un vino ‘diversamente degustato’, ma non proprio con tessere
alla mano. Salute!
La Balilla gialla
(Targa WL.535714 - D)
15 Luglio 1944
Trascrivo senza soste le razzie diurne
e notturne, vuoi dei borghesi, vuoi dei
militari. Smesso di contare gli allarmi spezzonamenti - raids aerei - tiri al bersaglio, ho nascosto per sicurezza il cronometro appetito da alcuni. Oggi i nazisti sono passati in tre, su di una ‘Balilla’
ingiallita. Diretti alla stalla ed al pollaio
di Renelli, detto ‘Nazarin’, hanno sùbito allungato le mani su di una stia quasi
vuota. Correvano le 19 ore. Uno dei razziatori era italiano: Renato, interprete
presso il comando tedesco distaccato
a Bellocchi. Alle raccomandazioni della
moglie di ‘Nazarìn’ s’accontentarono di
quei due galletti e della pollastra, ultimi ospiti pennuti. Chiesto dalla donna il
pagamento, quelli ghignarono salendo in
macchina, rispondendo: “Pagare? niente
pagare; se venire inglesi-scozzesi, anche
loro niente pagare: è la guerra!” (l’italiano, tramite l’interprete in armi, l’avevano imparato assai presto).
• Una vecchia Balilla
• Al centro vestito di scuro el Bafòn
Prezzo: venti lire al fiasco, secondo un
piano di vendita e disciplina di mercato fissato autonomamente, di fronte
agli sbalorditi proprietari. Inizialmente
gli accorsi acquirenti sono stati serviti
Ma dal colono Nardini, ove successivamente i tre messeri s’erano recati
sempre per polli, alla vista di setteotto uomini ancora con gli attrezzi in
mano e nient’affatto intenzionati a
farsi spennare, si accontentarono dei
semplici...“Arrivederci…non scendere, 76
essere buio”; filarono a luci accese verso 77
Bellocchi. Si sparge una buona notizia.
I polacchi in avanguardia e gli ‘alleati’
hanno occupato Ancona (Il capoluogo
già dal 16 ottobre dello scorso anno soffriva le continue atrocità belliche).
***
La ‘cerca’ delle armi
(cronaca semiseria)
18 Luglio 1944
Questa notte c’é stata visita alla casa di
sfollamento di mio padre, alle Ripe di
Ferriano, da ‘Scufìn’. Dei tizi hanno circondato ‘El Casòn’, chiedendo a secca
voce di “uno Spezi”. E’ disceso mio fratello per sapere che volessero. “Armi!”.
Cercavamo “le armi nascoste” (Una
voce, alla siepe, sussurrava che noi sapevamo qualcosa su armi occultate). Al
capo, silente nell’ombra, si dava invito
ad entrare in casa. No: non desideravano farsi vedere. Si erano qualificati ‘partigiani’. Se così davvero - diceva mio fratello - dovevano conoscere la figura del
vecchio anarchico Spezi. Quindi inutili
i bisbiglii da sacrestia. Una pausa. Delle voci basse e…“Vai!”. Avanzò un tale,
alto, col berretto in capo da graduato
di marina, maglia bianca, addosso (bel
modo di mimetizzarsi tra le frasche!) e
qualcosa in mano, forse una rivoltella.
Rivolto al ‘vecchio’ ad osservarlo da una
finestra del primo piano, gli disse che io,
per l’attività cronistica svolta, dovevo
sapere dov’eran state poste certe armi
in accenno. Ebbe secca risposta. Il ‘nominato’ non era sfollato nella zona alta;
ed essi, partigiani dell’ombra così male
conoscitori di vicende dall’8 Settembre
scorso in Fano, avevano preso un granchio marchiano; di più, stavano facendo
una misera figura sotto le vesti di tardivi
cercatori a naso. Tale comandante biondastro - mentre mio padre, conoscendolo, lo invitava ad entrare per evitargli
peggior nomea fra i coloni ghignanti alle
finestre - guardò in alto ed attorno, titubò un poco, quindi facendo un aperto
gesto ai suoi si ritirò scomparendo per le
ripe. (Quell’uomo era soprannominato
“El Bavòs”; un suo affiancatore era ‘Fabian’, portatore di bovini al mercato del
sabato).
***
Sotto, coi polli!
18 Luglio 1944
Il Fronte si avvicina
20 Luglio 1944
Anche oggi sono tornati. In due, su biciclette nuove ‘alla sport’, prese a giovani
imprudenti. Non avevano sacchi, c’era
soltanto una guaina per maschera antigas appesa al manubrio di una bici. Forse volevano le note cose: “Uova, lardo
formaggio, salame e vino”. Erano armati
di un moschetto a tracolla; la voce grossa non veniva usata: a che pro, se vi era
in casa soltanto una donna? (Noi sfollati
non contavamo!).
Indugiarono invece nella stalla a legare
per il collo il vitellino, con l’intento di
portarselo via. La contadina piegava le
mani, piangendo. “Sono sola ho il marito
all’ospedale; sono una povera donna...
La bestiola è malata, lasciatela stare...”.
(Il marito, veramente, era con altri al lavoro nei campi; la donna ora applicava
la tecnica... della difesa). Uno dei due
militi tirava la fune, l’altro ascoltava; poi
fingendosi impietosito - diverso inganno - accennò al compagno di smettere.
Lasciarono libera la bestia. “Però voi dovete darci lardo e uova tante”. La contadina trovò subito il lardo e sei uova:
ci guadagnava, nel cambio! Volevano del
vino fresco. “Fare caldo...”. Diversi contadini, arrivati a tempo, risposero che
“altri camerati” l’avevano portato via. I
due tedeschi, anche se non convinti, se
ne andarono col solito “Arrivederci...”.
Gli uomini sopraggiunti dissero di averli
riconosciuti, quei due, quali addetti ai
servizi nella stazione ferroviaria di Fano.
Quindi rintracciabili, dato che non potevano - se attuato il prelievo - togliere
bestiame senza i “buoni di requisizione”.
(La nostra colona, paventando il peggio
domani, questa sera s’è buttata ad ammazzare polli, offrendone un paio anche
a noi sfollati. Per denaro contante, non
per carità cristiana).
Il fronte si avvicina. Il cannone confonde
i suoi rombi con lo scoppio delle mine e
le esplosioni degli sganci aerei. A Ponte
Metauro gli apparecchi sono tornati in
picchiata; debole la risposta contraerea.
Altra incursione: dalla Sottostazione
elettrica alla Officina del Gas s’è distesa
una nuvolaglia nerastra (Le bombe notturne tra il chiarore dei bengala aprono
varchi sempre più larghi nelle strutture
nodali al porto e nei moli deserti). Adesso forze aeree mitragliano sulla strada
da Pergola ed Orciano, bombardano verso Rimini ed Ancona. Si preparano altri
rifugi e buche rinforzate per le casse di
biancheria o per fusti di vino. Si sgozzano polli al fine di ‘realizzare’(?); la frutta
marcisce sugli alberi e per terra saziando sul tardo giorno i rari porci nascosti sotto i grossi truogoli, nello strame
puzzolente. Intimoriti scaviamo buche
vicino al forno per nascondere tegami e
stoviglie di novelli sposi. Seguiamo i vicini negli atti della paura, febbrilmente,
senza un perché di quegli oggetti utiliinutili sotto terra o sotto cenere. E dovremo scavare più ‘a fondo’, ci dicono,
se vogliamo salvare materassi ‘ed eccetera’: perché i tedeschi asporteranno il
meglio e gli ‘alleati’ colpiranno il resto.
• Un ricognitore Lysander
20 Luglio: notte
• Un “bunker” tedesco nelle mura romane
***
Passano i carriaggi: elementi di una ritirata che allunga e stringe la fuga quale
mantice di un organetto in perdita di
fiato. Tante fila di mezzi; poi uno, solo,
lontano: spazio silente. Quindi altri mezzi; una pausa, eppoi alti ancora più fitti
sino a far coda sul ponte di assi e ferro
reimpiantato nella notte. Scendono dalla
collina - forse da Caminate -, s’inerpicano dopo il guado, svoltano, vanno verso
Fano. Voci irose, voci rauche; muggiti,
nitriti. Poi ordini: tutto tace. Si aspetta,
muti, tesi in ogni fibra (Fuori è silenzio: un nulla totale). Da levante avanza
il rumore ben noto dell’aereo. É vicino,
il “Pippo” (*5): volteggia, s’abbassa; bagliore d’un bengala, del secondo...d’un
terzo! Una fiammata, uno scoppio tremendo. Nella casa tutto vibra. Ecco, è
già fatto. Non è niente fra noi; è passato. Si respira. (É il solito ricognitore che
toma alla base: farà rifornimento e darà
le coordinate se avrà visto i tedeschi con
i carri in fuga). Sicure un paio d’ore di
sonno. I militi nel frattempo riusciranno
meglio a mimetizzare i loro grigi traini o
seguiteranno ancora nella notte la ritirata verso la “Gotica”.
21 Luglio
Nelle case coloniche vi è subbuglio. Gli
uomini si sono radunati di corsa. Attraversano i campi, diretti verso di noi. Conciliaboli nell’aia. Anche le donne sbucano dai covoni, dal granturco; le ragazze,
timide, si accodano alle madri. Voci
affannate. Un capoccia dice: “Calma…
calma”. Ascoltiamo quello che ci raccontano. Nella notte hanno tolto ed infranta
la tabella indicativa per le colonne tedesche in movimento, posta allo svolto
sotto il cipresso del “Ranocchiaro”. Un
maresciallo delle ‘SS’ in motocicletta ha
chiamato i coloni e gli uomini sfollati (in
quell’ora io ero assente). Perentoriamente ha imposto la vigilanza diurna e
notturna della nuova targa,”UmleitungSenigallia”. La eventuale scomparsa di
questa secca indicazione provocherà
l’immediato arresto e fucilazione degli
uomini abitanti nelle case coloniche attorno; poi scatterà l’inevitabile incendio
di esse. Lo ‘spauracchio’ è tragico! Le
donne piangono; v’è un guardarsi allibiti. “Ma non hanno pensato alle gravi
conseguenze sui civili, quegli imbecilli
o bravacci che han tolto la targa?”. Si
stabiliscono turni di guardia nella notte,
a quattro. I primi contadini scelti - con
occhi fissi al nuovo cartello di deviazione
- si accucciano sotto il cipresso armati...
di bastoni. Prosegue lo scorrere dei carriaggi nello sganciamento tedesco. Qualche cannone di media portata, coperto
di frasche o reti mimetiche, è già svanito
su ruote gommate, in silenzio. Di buon
mattino si diradano le presenze civili
nelle case coloniche. Gli sfollati cercano
nuovi asili lontani dai passaggi, al di là
del fiume a dei colli. L’esodo attacca. Si
propaga col solito ingombro di carrette, fagotti e gerle a spalla. I volti sono
terrei. Le “SS” hanno messo in tutti una
paura maledetta (La gente sa per cruda
esperienza che tali brigate sparano senza preavviso e fanno sul serio ogni loro
atto). V’è sentore di fastidio anche da
parte di sconosciuti, ultimi arrivati. Il popolino - quello da residui di stradini - s’è
riversato nella campagna e nei paesi per
vivacchiare con ogni mezzo; e per spargere voci allarmistiche. Prevede attentati, sabotaggi di ‘partigiani’, rappresaglie
teutoniche sulla pelle degli inermi (v’è
qualche scopo in tutto ciò?). Si allarga
la voce su di un prossimo attentato alle
passerelle e guadi sul Metauro ancora
indenni (stare al largo). “Attaccheranno
i camion sulla strada minata”...”. “Forse
alle colonne in ritirata sulle forre...”. Si
vocifera come a mercato. “Sss..: se lo
sentono ‘quelli’!”. Qualcuno dei nuovi
arrivati, deambula oltre le siepi con aria
di mistero. Da credere, quel tizio, informatore od osservatore segreto, forse di
quelli sganciati - come si dice nelle notti
cupe da silenti aerei americani. In alcune case - v’è chi giura -sono ben nascosti pezzi di seta da paracadute. Corre
l’appoggio - o l’invidia? - verso quelle
donne possessive pratiche o previdenti
nel caos tragicomico di oggi, creatosi fra
queste zone dimenticate.
24 Luglio 1944
Prime ore; notte. L’aereo è tornato a
curiosare: s’è messo in giro sulla zona
pronto a sganciare bengala e ‘fuochi terrestri ‘ sull’obbiettivo X.
Si osserva quel calabrone dalle finestre
socchiuse, assonnati, appena intimoriti.
L’avio gira, s’abbassa, sgancia di colpo
tre globi uniti, s’innalza rapido: un solo
urlo di motore a scia sulle teste. Mentre il Funesto passa e scompare - ombra nera negli ultimi neri del cielo - ,
una fantastica visione “d’un tutto reale”
d’ambiente impensato, entro un vuoto
pneumatico, si staglia negli occhi di tutti
(Non è l’attimo d’un miraggio, né metafisica assoluta).
Nel boato, di là del chiuso canale romano da terra sprizzano accecanti colorate scintille ad immensa raggiera;
contemporaneamente urtano il petto
acuti schianti di un’aria ghiacciata. Urla
di donne. Scende il silenzio. Grandi pu-
pille incrociate sui volti: tutti incolumi,
stretti-avvinghiati-insieme quale blocco
di pietra. Il fumo la polvere bruciante l’acre nebbia scompaiono. Si corre discinti
ai rifugi, scalzi a calpestare viottoli.
Ore 4 del mattino
Le bombe ad aria liquida cadute sull’abitazione di Uguccioni, il colono della ‘casa nuova’, l’hanno decapitata sul
piano grezzo. L’impatto con la ‘morte
annunciata’ mette una decisione rapida
nei presenti: trovare subito altri luoghi
più sicuri per la scarna pelle, lontani da
guadi e piste.
L’alba vedrà il trasporto a spalla di materassi e di indumenti primari su per l’erta dei calanchi, oltre i colli del Metauro,
verso genti amiche.
Le vittime di quest’atto rimarranno senza preci. Di guardia staranno i vecchi nel
silenzio dei campi. E’ il terzo sfollamento in atto dal mese di Aprile. Oltre Senigallia si combatte aspramente.
no; al ritorno saranno cotti dal sole.
25 luglio, ore 21
D’attorno vi sono ‘infatuati’, o imbecilli,
a scherzare.
“È Sant’Anna” dicono “Perché non dobbiamo fare i fuochi?” (Quassù si vedono
le campagne, ogni collina, costellate di
fuochi e fuochi: ampi, piccoli, stelline e
pagliai di fiamma). Ma sono matti? Con
gli aerei sul capo, con le batterie che
sparano!
“È Sant’Anna - rispondono - Bisogna festeggiarla come da tradizione”.
“Sant’Anna ci ha sempre protetti”. “Farà
finire la guerra”. La guerra, sì, finirà prima per questi incoscienti balzati sull’aia;
ed anche per noi, imbucati nei rifugi a
proteggerci da Sant’Anna e da San Giorgio degli Inglesi (*6).
***
I ‘Buoni’ ed i fuochi di Sant’Anna
25 Luglio 1944
Oggi il volto dei coloni Fontemaggi s’è
trasfigurato. Nella stalla - ore 10 - tre
tedeschi hanno preso una ‘bestia’, rilasciando il loro giallo pezzo di carta. Inizialmente valutando il peso della mucca
sui tre quintali, alle proteste dei contadini ne hanno trascritti cinque. Denaro
a saldo prelevabile a Imola, sede amministrativa del comando tedesco di occupazione. “A Imola?”. Il viso bruno del
‘capoccia’ passa al nero. “É una parola!”.
Rivolgersi allora alle autorità del luogo,
Fano (Chi sono? dove stanno?). Un correre alla ricerca di cotesta fantomatica
somma a rimborso, presso l’ufficio fanese preposto all’uopo. Il “Comitato di
salute pubblica” (?) cui è stato demandato l’incarico di tutelare gli interessi
dei cittadini (“innanzitutto i propri” dicono i maligni) dopo la minaccia di incendio della città da parte dei tedeschi,
se non si collabora, non sa più cosa fare.
Ai Fontemaggi dichiarano che sì, il ‘buono’ è buono, ma...di soldi non c’è ombra
alcuna. Quindi andare a Imola, oppure
aspettare il nuovo governo ‘Alleato’,
quando arriverà, e se emanerà leggi per
saldare gli espropri. I depredati sbianca-
• Casa colonica colpita
***
Un cammino di fuoco
26 Luglio 1944
La città è nel suo cammino di fuoco.
Con essa tutto il retroterra. Si scorgono
fiamme alzarsi dal porto alla segheria ai
depositi di legname e nafta. Cresce l’angoscia ad ogni fumata.
• Panorama di Fano
78
79
Per orizzontarci i campanili lontani sono
i nostri aghi nella bussola dell’apprensione. “San Paterniano” è laggiù; l’altro è
‘quello’ di piazza. Oltre, cosa arde?
La Filanda, no; forse i rimasti scheletri
dei pescherecci allo squero. Da giorni
non esistono più i tralicci dell’alta tensione: abbattuti! Ieri qui sotto, alle 17,
un colpo ha dato avviso che alla Cerbara
era ‘saltato’ il molino; eppoi alla ‘chiusa’
del canale un altro colpo: l’acqua tornava a fluire rapida nell’alveo del fiume.
Ogni boato un attimo di vita tradotto in
apnea.
Fano sarà risparmiata dalle truppe alleate”. Deo gràtias. “Esse passeranno fuori,
oltre gli otto chilometri della cinta comunale”. Otto chilometri dalla casa del
nostro: Montemaggiore è quindi sulla
direttrice delle truppe, oltre la cinta di
sicurezza!. “Dio mi salvi le figlie”. ‘Nazarìn’ - ben più del Vescovo - è credente. Dall’alto mitragliano gli aerei, per il
viottolo vede esplodere bombe lungo il
suo itinerario. Fa il ‘Nome del Padre’ e
seguita avanti col suo ottimismo.
27 Luglio
Mattino avanzato, ore 11, grossi calibri
a ‘Sant’Angelo alle Grotte’ avviano la
loro sinfonia di guerra. Ad intervalli di
quarti d’ora, poi di minuti, sino a sincronizzarsi totalmente. Sulla piana del Metauro rotola e corre il rombo; poi s’alza,
s’allontana, si spande dai colli al mare in
grigio. A Cerasa i tedeschi hanno fatto
evacuare le migliori case - poche ore di
tempo per sloggiare - facendo lasciare
in esse materassi e lenzuola. Lenzuola
pulite naturalmente, perché gli ufficiali
ariani ci tengono molto... alla pulizia. A
Bellocchi, là dove un ‘Comitato’ affigge
manifesti di macchia per l’alimentazione
di quella frazione, divenuta nella componente civica netta parte staccata, i tedeschi in arrivo invadono i luoghi e piantano la tende mimetizzate oltre la strada
dei guadi, facendo sentire senza equivoci di non ammettere scherzi ‘separatisti’
né d’altra maniera. I loro raids d’affamati
sono all’ordine del giorno sul nostro versante. In tre - sembravano ragazzi - sono
venuti quassù da Gambioli con un cesto
già a mezzo di uova. Ne volevano ancora,
in altro recipiente, per “loro camerati”.
Dentro casa, viste sulla tavola le sfoglie
per la pastasciutta (consumavano polli,
uova e farina a tutto spiano, i contadini),
hanno lasciato l’ordine di prepararne anche per loro, “ore 13,30” precise. Sono
quindi scesi al fiume ed estratte le rivoltelle fuoco a sventagliate rapide, mentre
noi entro il rifugio intenti al rinforzo del
tavolame sentivamo il piombo fischiare
ed il rotolio degli oggetti colpiti. Gli spari s’ingigantivano nel riparo: ci sembrava
di essere presi sotto mira da bravacci in libero sfogo domenicale. I coloni,
spaventati, sbracciavano per avvisare i
tre giovinastri in divisa di un qualcosa
di nero che si avvicinava: ma quelli, alzando le spalle, seguitavano a scendere
Duramente alle nostre spalle soffre la
frazione di Cerasa. In essa hanno minato degli edifici; il deposito dell’acqua è
crollato a pezzi. Gente sconvolta, ferma,
guarda quel fiocco salire biancastro sulla collinetta inumidita. “Ora...l’acqua?”
Una domanda tremante in tutti (I quattro minatori tedeschi fingendo incomprensione a tanto sussulto ritirano calmi il percussore, i fili e la cassetta degli esplosivi. A lavoro ultimato lenti se
ne vanno, frusciando nei pantaloni di
tela). Rumore di mezzi fra le siepi, abbasso. Voci incupite. Hanno cercato la
strada di “Sant’Angelo alle Grotte”; poi
sono arrivati con la macchina scoperta
mimetizzata in verde. Scendono degli
ufficiali, chiedono delle casa padronale,
di un “castello”. I contadini si guardano,
sbiancati. “Vogliono far saltare la rupe?”.
Più tardi capiscono. Alle ‘grotte’ scaricano munizioni - altri arrivati - e sotto gli
alberi gli artiglieri puntano le varie bocche da fuoco dei loro cannoni. “Il grande
fusto”, nascosto, più tardi alzerà i gradi
verso Senigallia. Nella fattoria di Renelli
alcuni tedeschi volevano di nuovo prelevare bestiame:”Solo un capo”. La stalla
era vuota. La giovane sposa - la ‘nova’infuriata mostrava loro le ricevute dei
prelievi fatti nel mese; ...”e della capra
da latte per il bambino, dell’altro giorno,
e del maiale di ieri, “Ma ci volete spolpare?”- strillava indemoniata. I camerati
hanno capito qualcosa di quella corda
troppo tesa accontentandosi di normale minutaglia mangereccia. Tranquillo,
’Nazarìn’ è partito per Montemaggiore.
A riprendere le sue due figliole. Gli hanno detto - voce di popolo che corre ed
àltera le notizie -:
“I1 Vescovo ha notificato che la città di
28 Luglio
e sparare, sfogandosi con l’ultima cartuccera sui covoni ai margini del campo.
Non si capiva se fossero esaltati, stufi,
oppure bestiali. Stralunati, rossi, eccoli
in cucina dopo una sosta dai Cornacchini per caccia al vino con lonza.
Dopo il pranzo taciturno, via al ritorno
coi cesti stracolmi, sbronzati netti. (Tale
comportamento poteva essere la sintomatologia di una rottura psichica per un
mito che crollava? Stavamo zitti. I colpi
di coda sono terribili quando provengono da simili giovani armati!).
zie”. Proseguo per l’erta, rintronato. Da
“Scufìn” ci viene a trovare mio suocero.
Novità? Quasi niente; sono giunti dei tedeschi ed hanno laggiù requisito la tua
camera: reti e materassi. Un biglietto
sulla porta dice: “A disposizione ns/ Ufficiali. Tenere in ordine!”. Guardo, ammutolito, la faccia bianca di mia moglie.
***
Ieri i tedeschi sono arrivati all’alba.
Per bloccare gli ambienti e le case più
sicure. Viaggiano di notte in ritirata silenziosa. Da ‘Scufìn’ in ripa alta (dove
ci siamo fermati dai miei in uno spazio
delle squallide soffitte, sconnesse in
ogni parte) due militi hanno scosso la
testa guardandoci commiserevoli. Visto
il grammofono in un angolo l’hanno fatto
suonare, vecchi dischi di Caruso, canzonette napoletane tra i solchi fruscianti.
L’ufficiale del gruppo, in buon italiano,
s’era messo a discorrere con mio padre
di Verdi e di Wagner. Diceva di amare il
melodramma: “Un grande Ottocento!”.
Alle 13, armi alla mano, dei graduati hanno invaso la cucina. Volevano gli uomini
per ‘machine’. Inutili bugie e lamenti,
ferite in mostra o certificati di invalidità. “Abbiamo bisogno di venti persone.
Qui sotto lavorare”. (Sguardi smarriti
fra i presenti). “Due giorni solo. Stasera ore sette tornare a casa”. Da un tizio,
la risposta: “Ma se non abbiamo messo
sotto i denti manco un tozzo !”-“Mangiare dopo”. Occhi incrociati; silenzio. Alla
fine concedono dieci minuti per un boccone. Uno dei militari aspetterà di sotto,
tra portone ed aia, scudisciando le gambe biondastre (ha pantaloncini d’Africa)
per scacciare le mosche cavalline. Con
altri, man mano presi nelle case vicine, giù al Metauro tra gli alberi del boschetto e tra i rimasti filari di olmi, ove
stavano pronti i grossi autocarri colmi
di munizioni, artiglieria e benzina. Una
pala, una vanga, un piccone, a scelta. Poi
scavare enormi buche per interrare a
mezzo i ‘nuovi Fiat’ già dell’esercito italiano, lavorando e sudando sino ‘alle sette’, come aveva detto il sergente. Sono
stato lasciato con le dita lacerate dalla
pala. Sveglia stamattina alle sei, ancora
per i lavori di ‘poche ore’. Naturalmente
inquadrati da militari. Altre buche, gli
“Umorismo tedesco”
30 Luglio 1944
Sant’Angelo. Le grosse batterie dei tedeschi tacciono. Corre voce che, sbagliando i calcoli, abbiano sparato sui loro
camerati uccidendone circa duecento.
Certamente qualcosa di grave dev’essere accaduto coi primi dodici tiri della
mattina. E’ un andirivieni di macchine ed
ufficiali (si vocifera pure di un attentato
a Hitler nel 15 di questo mese). Intanto
da ‘Battistella’ cinquanta soldati hanno
invaso la casa, ucciso il maiale, tanti polli e obbligato le donne a preparare pastasciutta con trent’ ova, scolandosi poi
sull’aia un quattordici bottiglioni di vino.
‘Battistella’ è senza fiato.
Ore 10,00.
Passato il guado scorgo una macchina
civile ferma sulla strada. Un tedesco, affannato su di una ruota a terra, mi fa un
cenno. “Prego, signore” (Cos’è questa
gentilezza? Temo una nuova trappola
dato che porto sulle spalle alcuni paletti). “Piccolo lavoro”. Fisso la macchina,
depongo i legni. L’autista ora sorridente
finisce di bullonare la ruota in cricco.
Mi chiede poi di mostrargli le mani. Le
osserva, alza le sopracciglia,commenta:
“Student?”. “Ya”, rispondo. Mi consegna
una pompa, e... ”Gonfiare, prego”. Gonfiare una ruota d’auto non è grande fatica, ma io ho in mano una pompa da motorino. Mentre ‘pompo’ sotto il sole - e
sudo - il teutonico-cinese si sdraia sotto
un albero, m’osserva ad occhi socchiusi. “Caldo; molto caldo...” ribadisce, col
sorriso fine. Sono bagnato da bestia. “Ho
finito posso andare?”. “Molto lontano?”.
“Ancora tre chilometri di salita”. “Gra-
***
Dobbiamo scavare ancora
1o Agosto 1944, ore 23
uomini. Le donne dei campi e le sfollate
di città a mondare patate e patate per
la grande cucina militare da campo, giù
da ‘Grossi’ , installata per preparare pasti utili a cinquecento combattenti del
fronte hitleriano impegnati al Cesano.
Anche oggi, come ieri, le donne in un
lavoro snervante e pericoloso sotto i tiri
dall’ alto, alla cieca. Per noi appena una
mezz’ora in concessione a metà giornata, per mangiare un qualcosa sul bordo
delle fosse (alcuni contadini, già fuggiti
dall’esercito, si dicevano - e noi davvero
sentivamo brividi di gelo -...“A la fin, ce
lasciaràn dentra dop’ un colp in t’la schina?”. Ognuno toccava ferro).
3 Agosto
(Sono andati alla malora altri appunti
di queste ultime due giornate di lavoro
coatto. I tedeschi sono stati gentili con
noi, lasciandoci per regalo alcuni pacchetti di sigarette. Quel contadino della
mia buca non credeva a questo “colpo di
grazia” così diversamente ricevuto).
4 Agosto
Un malato, capitato alla cerca d’un medico dalle nostre parti, mi chiede consiglio. Deve andare all’Ospedale di Fano,
ma come? Chi lo può trasportare? (I
giovani vengono ‘requisiti’ per lavori
di scavo, gli anziani coloni debbono di
forza abbandonare i campi per condurre oltre Pesaro il bestiame razziato...
Da Volpini, laggiù, quindici paia di buoi
aspettano ancora di essere trasferiti lontano. Mancano i carri o gli uomini capaci
di guidarli al passo. Diversi ragazzi già
presi per tale lavoro sono andati a nascondersi in altri lidi...). Quale consiglio
posso dare a questo Lazzaro mai soccorso? Gli enumero alla meglio la situazione
‘assistenziale’. All’Ospedale di Fano non
c’è più acqua potabile né luce. I malati
debbono portare candele ed acqua da
bere. Già dovevano procurarsi le specialità mediche, introvabili da noi, ed anche
farina e zucchero. Ora questa: acqua e
candele. Crede il ‘malato’ di avere bisogno dei “Raggi X”? Niente da fare. Da noi
il gabinetto Radiologico non funziona,
mancando quasi tutto il materiale; è ‘attiva’ soltanto la “Chirurgia”; qualcosa si
faceva in “Medicina”, ma questo reparto è stato trasferito a Saltara. L’ Ospizio
Cronici è a Cartoceto, la “Maternità” e
l’ “Oculistica” a Serrungarina. Più altro? 80
Le Amministrazioni dirottate in diversi 81
lontani punti. I servizi? Il malato, che
aspetta un nostro consiglio - manco io
fossi medico! - ci guarda perplesso. “E
se crepo?”, esclama, apprensivo. Séguito: l’Ambulanza è stata requisita, i carri
funebri - toccate ferro - inutilizzati: persino le ruote hanno rubato in quei giorni
di razzia civile. Ricordate? Dall’Ospedale una vecchia, colà defunta, dai parenti venne trasportata al cimitero su una
carretta a mano. Al traino d’un asinello
un malato grave se n’andò al Nosocomio:
e davanti ed attorno i familiari a scrutare
la strada perché i tedeschi non razziassero anche quel somarello da San Giuseppe in peste. L’immaginario malato si
gratta la testa. “Allora?”. Sentite, buon
uomo: un consiglio. State in casa. Mandate in giro ancora a cercare un medico
sfollato, sempre che riusciate a pescarne uno. Sennò.... aspettate che passi il
fronte. Non pensate al vostro stomaco: è
un fatto nervoso; non è un’ulcera, non è
un cancro. Fatevi delle camomille: i fiori
ce ne sono a josa, nei campi. Voi direte che questo è sadismo, cinismo bell’e
buono. Ma no! Il buon uomo ci ha ringraziati e s’è fatto preparare subito un litro
di camomilla. E’ diventato nostro amico
e cliente per altri consigli. Tutto gratis.
***
Italiani - tedeschi
7 Agosto 1944: lunedì
Siamo giunti alla casa di ‘Nazarìn’, sulla
piana, sporchi, sfiniti, indolenziti come
presi a bastonate. Conseguenze del nostro rifugiarci nelle umide ripe di Ferriano, lassù, durante il bombardamento
notturno. Al primo guado del ritorno
l’acqua torbida del Metauro metteva brividi addosso. Tra erbe, al passaggio sulla sponda ed alla ricerca di un sentiero,
un lavacro sino alle cosce era obbligato.
Faticoso il camminare nella melma della
strada (?). Il fiume aveva raccolto tutta l’acqua gialla del Furlo, limacciosa e
colma di ciarpame da inondazione. L’alba, da una notte mai passata trascorsa
in piedi entro il rifugio pieno di gente e
robe, ci aveva sorpresi in un dormiveglia
di automi scaricati. Ora, qui da ‘Nazarìn’
- purtroppo a stomaco vuoto - trascrivo
altri grani di cronaca. Per molte ore alternate da pause ieri s’era svolta sulla
vicina collina una battaglia fra aerei e
artiglieria avversa. Bombe inglesi sulle
batterie di Cerasa. Una “Croce Rossa”
a correre silente verso una casa crollata. All’imbrunire, paventando il peggio,
sotto i fischi dei proiettili, siamo corsi al
rifugio grande. Pause e scoppi. Rumori
di ruote e cingoli sulla strada. Passavano in ritirata le batterie tedesche forse
dirette dal guado a Montegiove ed oltre
(Cercavamo “ad orecchi” i luoghi di postazione).
Sulla paglia di fondo buca un uomo racconta a strappi : “Eravamo nel nostro
rifugio presso la casa dei Cornacchini.
Si parlava sotto voce. I “nazi’ sono saliti
silenziosi sul monticello di protezione,
hanno lanciato una bomba a mano contro l’apertura nostra. Salvi per miracolo!
Credevano fossimo dei ‘ribelli’. Ci hanno buttati fuori a spinte, con le creature spaventate. Occupata anche la casa;
presa la vitella rimasta. Ora siamo qui”.
parte di ‘fascisti’ in divisa tedesca. Perplessità dei coloni nel vedere giovani
italiani con emblemi di morte sulle loro
giacche grigiastre. I ‘giovani’ chiedevano
urbanamente al capoccia del formaggio,
pane, alcune uova, e da bere. Tutto a pagamento, se necessario. Incertezza nei
presenti sorpresi anche da quell’italiano pulito. Poi l’irrigidimento collettivo
ed il balbettio di un rifiuto alle richieste
loro: scusandosi con precedenti razzie.
La voce pacata d’un milite è tagliente:
“Come! vi chiediamo pane e formaggio.
perché da giorni non lo mangiamo: voi
ce lo negate; e lo avete. Ad altri lo avreste offerto. Perché con questa divisa
non siamo più italiani, né degni, per voi.
Nevvero? Una divisa buttataci addosso
quando ci rastrellarono: “O metterla, o
crepare fucilati!”. Se fossimo tedeschi, ci
rifiutereste il pane? no: subito a servirci”. Muti i Fontemaggi a fissare i mitra
al piede dei giovani...ed un foglio giallo
di requisizione. Arranca su dal forno la
‘Vecchia’ che non sa né di tedesco né di
italiano. In mano ha un ‘filone’ di pane
nero, teso tra il figlio maggiore ed i figli
sconosciuti. L’aria è ferma, secca; non
corrono parole.
***
L’agonia del paese incomincia
10 Agosto 1944
• SS italiane
8 Agosto
Ci siamo! Gli armati requisiscono camere
e stalla. Le prime per dodici uomini del
‘servizio’, le greppie per diciotto cavalli;
quindi noi, inquadrati con altri civili, per
mezz’ora (?) a fienare... pro-bestie. Alle
undici il ritorno degli aerei. Fuga generale. Bombe a picco sui duecento metri
dal rifugio casalingo. Con quest’ultima
incursione noto la fine di un giovane
sposo, il ferimento di due villici e due
‘nazi’ “caputt”. “Niente paura” - dice un
sergente -: “Normalità di guerra”. Dai
Fontemaggi l’usuale richiesta di cibo - e
requisizione di due bestie da lavoro da
Questa notte si è reso evidente lo sganciamento di una grossa parte delle truppe tedesche già poste al Cesano. Un
temporale durissimo rende aspra ogni
strada; i lampi brucianti delle scariche
elettriche danno all’esodo dei complessi, di cingolati, carriaggi e quadrupedi,
macchie goyesche. Le cannonate degli
‘alleati’ cadono sparse sulle teste e case
e strade, tra le colline strabattute. Nessun apparecchio di ricognizione. La “ritirata” si svolge quasi con ‘sicurezza’ nel
maltempo da supporre programmata. I
guadi si presentano assai duri ed i viottoli, a tratti, impraticabili. Nonostante
ciò le truppe scorrono con poche soste.
Il clima stranamente per la stagione si è
incrudito.
Ore 10,00: séguita il temporale. I rifugi
di tufo incominciano ad inumidirsi, le
crepe ad ampliarsi; la terra s’impasta
gialliccia sotto le scarpe. Si alternano
gli allarmi, le fughe i ritorni tra scosse di
tuono e presenze d’armati. Gli hitleriani
non danno pace estraendo i civili dai ricoveri per il trasbordo di materiale dai
carri bloccati, o per trasporto di tronchi
necessari alle riparazioni della passerella e dei guadi danneggiali dall’ acqua,
violenta (Dei carristi danno cappottine
cerate per coprirci). Siamo con altri giovanotti impauriti a sfacchinare. Tre di
essi provengono da un rastrellamento
fatto sotto Mondolfo. I militi riposano
nelle stalle o sui loro semoventi coperti da teloni quando c’è sosta; gli ufficiali
a gruppi, vanno a dormire nelle camere requisite. Ciò avviene ad un ritmo di
tre-quatt’ore per dar posto ai nuovi scaglioni in ritirata. Il tempo bestiale non
permette a noi sfollati né fuga né riposo.
***
Ferragosto di ferro e di morte
14/15 Agosto 1944
Nell’ora mattutina ho fatto un largo
giro, non sempre facile, per giungere
all’Ospedale Civile e farmi visitare. Nei
giorni avanti non fu possibile muovermi
per il cattivo tempo e per i ‘lavori forzati’. I medici mi hanno rassicurato sulle
mie condizioni di salute. Con mia moglie
ad affiancarmi abbiamo percorso nel
ritorno chilometri di strada con il sole
- ben tornato!- e su viottoli abbastanza
rassodati. L’animo è sereno. Dobbiamo
fermarci sotto gli olmi, purtroppo, per
una nuova diversa apprensione. Alla nostra destra v’è fumo che s’alza di grosso
da una casa colonica nella piana. Due
ragazzi, incrociandoci agli alberi, riferiscono che quell’abitazione...” è stata
incendiata da poco nel suo esterno dai
tedeschi, con molta gente chiusa dentro
‘ad affumicare’ per rappresaglia”. Scariche di mitra sul vertice collinare del
‘Prelato’. Forse di SS alle calcagna di
contadini sfuggiti ai rastrellamenti per
aggiogare e condurre buoi, o di giovani
supposti renitenti o disertori di guerra.
Finalmente con Fride guado il fiume
tra palustri in mezzo. E lì rimaniamo di
sale! Nell’arco di cielo a sovrastarci, urlando, tre aerei usciti improvvisi dal lato
collinare si fissano sulla nostra platea, a
mitraglia aperta. Tuffi e cabrate fra due
caccia inglesi ed un ricognitore tedesco.
Un ‘Reale’ vira sull’alto quale falco; i due
monoala avversari s’avventano, rompono l’aria con rabbia di proietti tentando
d’ognuno dorso e coda scoperti. Noi,
sotto in sacrificale, a memorizzare scie
e strisce e spruzzi a raggiera di piombo
e acciaio e fango da capo a scarpe. Chi,
nella giostra di morte, scamperà alla ruota? Ecco: l’aereo a svastica, preso di fila,
perdendo fumo grigiastro dalla timoniera sbanca il sommolo ed abbassa il muso
verso il mare. Pax! Gli inglesi dirottano.
Le nostre statue si sciolgono di ogni liquido addosso. Lontano in una anonima
chiesina lento è il rintocco della campana bassa. Segno di dolore per quanto
oggi è stato compiuto da tedeschi inferociti. Come iene hanno inseguito alcuni
giovani scappati forse da un forzato condurre di buoi razziati. Raggiuntili, è scattata la mitraglia dei boia a colpire quegli
inermi su una soglia amica, laggiù, dai
Volpini, ove il ventenne ‘Aldo de Jacucc’
(Jacucci) - come riferiranno quei coloni
- cadrà ucciso da una raffica al torace. Il
compagno di fuga, benché ferito, rimarrà salvo nella corsa alla vita. (A casa nel
semibuio - attorniando la vegliarda Palma nonna di mia moglie - le donne sgomente avviano le preghiere per i defunti;
e per la salvezza delle nostre anime). catena a trattenere l’animale inferocito;
i tedeschi espropriatori più inferociti ancora tiravano a metà maglie dalla parte
del suino. La catena è saltata al centro, e
il collare ed il resto che bloccavano quel
quintale e più di carne e lardo sono rimasti in ‘mano annata’. Niente da fare!
“Nazarin” col buono in tasca di L. 1.250
sorrideva pacato, seppure amaro (Chi
s’accontenta...). Contenti, invece, non si
sono dimostrati i miei suoceri e cognati
a quanto pare cointeressati all’ingrasso
del maiale.
Questa mattina debbo portare del latte
fresco a mia madre ammalata. Mio suocero mi consiglia di andare per le Ripe
con la sua vecchia ‘bici’ da donna. “Dài,
arrivi prima e ti stanchi meno...” (Di certo v’è dell’ottimismo anche in lui). “E se
mi pescano? In bicicletta possono individuarmi meglio”.
Mi rassicurano. Parto. Fatto un chilometro o poc’altro d’alberato tre tedeschi mi
bloccano alle canne del bivio, sul guado. “Signore, bicicletta...” “Permesso
bicicletta?” Tento delle spiegazioni mostrando il latte per ‘Mutter’. Niente. Uno
d’essi, graduato vociante, minaccia duro
e tira a strappi la bici (penso al ...maiale
di “Nazarin”). Preso il mezzo quell’Unno
vi salta sopra di balzo pedalando verso la piana di Fano. Inseguimento con
la bottiglia del latte, sotto il tiro di un
caccia a mitragliarci secchi. Peripezie di
noi quattro tra canneti e fossi. Addio alla
bici ed al latte! Addio anche all’ottimismo di mio suocero.
***
L’ufficiale... napoleonico
20 Agosto 1944, domenica
• Ateno Spezi, Palma, la nonna di mia moglie
11 Giugno 1944 - Appunti di guerra
***
L’ottimismo dei vecchi
17 Agosto
“Nazarin” è tuttora ottimista. In ferragosto, a sera, gli hanno scoperto il nascondiglio del porcello e si sono appropriati
della bestia. La Santina, moglie del colono, strillava e tirava il capo della lunga
L’altro ieri il fiume s’è ingrossato all’improvviso forse per le piogge sull’Appennino, forse per le dighe aperte. Travolti
dall’acqua alcuni civili, dei militari e loro
mezzi. Fronte di scontri diretti a diecidodici chilometri da noi. Da ‘Nazarìn’ ci
sono stati ospiti di riguardo: una brigata
col ‘teschio’, comandata da un ufficiale
gentile e sorridente (sofferente di ulcera
gastrica la comprimeva o l’accarezzava
a scaldarla sotto la camicia, alla...napoleonica). Non sorridevano ‘Nazarìn’ ed
il figlio Francesco; ma lo ricorderanno,
quell’ufficiale, per quanto egli ha fatto
caricare sull’autocarro in partenza: tre
vitelle, le nascoste rimanenze mangerec-
ce più anatre dal fosso, e fiaschi di vino 82
nero. I militi volevano asportare anche i 83
nostri due materassi di lana. Al dolore e
preghiere di Fride e di suo padre, il tenente, osservato l’ingombrante instabile
carico, li grazia a terra. Poi, col saluto
d’addio, lascia... una buona notizia. “Da
domani o dopo dimane voi essere qui in
prima linea. Si ritira ultima nostra difesa. Fuoco, bombe; rifugiatevi!”. Ci siamo! Due o tre giorni al massimo di crude
ansiose attese; poi... Sull’alba, a sorpresa, coi primi rombi e scoppi, un nucleo
di guastatori ci requisisce casa, mobili e
rifugio, buttandoci fuori. “E noi?”. “Tutti
caput! Perchè restare qui? Fuggire. Qui
grande fronte. Tutti sparare a zero!’’.
Sgomento nei presenti. Con determinazione, mentre Francesco con Pucci e
loro attrezzi vengono presi per scavare
fonde buche per mitragliatrici od altro,
di là, lungo i dossi del fiume , prendo
zaino e borsa, fo calzare mia moglie di
scarponi, saluto in fretta ed abbandono
il posto per andare ‘oltre il fronte’ non
avendo più nulla da contendere. Conoscendolo, ci resta facile guadare il fiume
(Alla base dei gabbioni v’è il gorgo ove
per la piena sono spariti due tedeschi
con un cavallo, travolti dalla corrente).
Una ragazza sorge improvvisa, dalle
stoppie, sulla nostra strada, spettrale visione contro la ripa ocrata, agita le braccia per la nostra attenzione. Ci avverte a
fiato rotto che...”Di là del canale...sette
uomini sono stati sorpresi dai tedeschi
con roba...materiale...fili; non sò; uno
dei giovani fucilato...”. L’apparizione si
dilegua di corsa. Frastornato o distratto sto mettendo piede in un campo di
mine. Mia moglie mi blocca strattonandomi, avvistando in tempo il pericolo. In
salita ci appiccichiamo da paperi lungo
la scorciatoia. Al ‘Casone’...spuntano i
tedeschi armati. “Ma non sono andati via
tutti?” esclamiamo. “Tutti? Se qui ci sarà
il combattimento - stride un allucinato
colono - prima del salto finale. Sloggiate,
siete in tempo!”. Via, coi fagotti raccolti in fretta da terra, a cercare un posto
nel grosso solito rifugio dove stanno
giungendo altri fuggiaschi. Ritroviamo
mia sorella Tina e famiglia già scampati dall’inferno esploso in Montecchio di
Pesaro. Siamo in ventisei, o più, accatastati sinora qui dentro. (Alcuni degli
ultimi arrivati, tra le varie dichiarazioni
di sofferenza, precisano che gli uccisi al
Canale Albani sono Giocondo Giardini,
‘Bubona’ Diotallevi, ed anche Santinelli
‘Gusto’; il giovane ‘Bocasciuta’ svelto a
scappare tra il granoturco si è salvato
dalle scariche dei mitra alle spalle...“per
vero miracolo”.
***
Un figlio assassinato
20 Agosto 1944
Prosegue l’intontimento di tutti quanti
ingolfati in quest’antro. Da fuori arrivano schiaffate d’aria calda sulla portella.
Una granata scoppia di fronte al rifugio:
fumo tra le canne a mascherare l’ingresso. Pezzi di creta si staccano sul nostro
capo. C’è pericolo di crolli? Tentativi per
raddrizzare travi e pali maneggiando
sulla porta in ombra. Dalla riva sinistra
del fiume, alla ‘chiusa’, partono due colpi
di moschetto. Un sibilo, un grido di donna. Una pallottola è giunta bruciando di
striscio le fasce addosso ad un poppante, e, forando un pannolino appeso alla
trave, s’è incastrata nel tufo. I cecchini
tedeschi sono appostati e pronti in attesa delle avanguardie nemiche (intanto
si esercitano su di noi, ombre nemiche
dell’ultimo guado). Le preghiere delle
donne danno brividi; i ragazzini, silenziosi in fondo alla grotta - sotto il diaframma dell’uscita di sicurezza mascherata
dai cespugli - restano vigilati dai parenti.
Altri appunti in questa calca ed attesa
snervante non è possibile tracciarli. Passano le ore: si soffoca, bagnati di sudore
addosso e nauseabondo. Viene il buio totale. In due tentano di prendere cautamente aria e vedere fuori. Dall’alto, soffocata, una voce avverte che i tedeschi,
tutti, da questi posti si sono ritirati. Vi
è della incredulità; non azzardiamo far
voce. Breve parlottare fra i maggiorenti,
poi un’ombra chiede: “ Tutti?”. “Torniamo alle nostre case?”. Alcuni desiderano
rimanere per la notte: c’è in essi ancora
la paura. Con Fride, carponi, per timore di colpi dalla riva sinistra risaliamo
cautamente le arenarie. Alla grigia casa,
nella stradina, c’è intenzione di riposarci
e dormire nel retrostalla. Cerco del materiale per il giaciglio. Un ragazzo ci fa
notare che nella paglia, su di una coperta, riposa un giovane molto malato. Preferibile salire al primo piano. Faccio passare nella cantina affianco mia moglie
e mio fratello aggregatosi a noi, quindi
vado a preparare di sopra dei paglieric-
ci. Da lontano un rumore di grossa moto
giù a precipizio; si ferma. Crepita secca
una scarica di mitra.
La macchina fugge per la salita. Balzo
alla porta della scala, chiamo mio fratello: non risponde. Un orribile presentimento. Torno a chiamare, piano. Piano
ho la risposta: “Stai zitto, hanno sparato
di là”. Attendo in silenzio. Scendono alcune donne: quelle d’ima famiglia di coloni arrivati da pochi giorni. Passi nello
stallatico. Grida, lamenti, imprecazioni.
Dallo sportello esterno hanno sventagliato piombo, colpendo il giovane infermo. “L’hanno ucciso!” urlano le donne;
chiamano: “Renzo, Renzo !.. “ Nemmeno
un rantolo. Da collo e clavicola esce e si
allarga il sangue. Non è morto (Grida di
aiuto. Aiuto, ma da chi, nella notte, ora
che ritornano a mitragliare anche su cumuli e ombre?). Tentativi di tamponare
la ferita e l’uscita del sangue alla meglio,
a lume di candela; anche di versare in
bocca al giovane un goccio di cognac. Ritorno al piano superiore lasciando il morente alle cure dei familiari. Di nuovo, al
fiume, raffiche, bengala, spezzonamenti
aerei.
Più tardi da sotto casa vengono su le
donne portando entro un grosso telo retto a tre per parte sui bordi opposti - il
figlio adagiato. Ci guardiamo sbalorditi,
io e Fride, pensando immediatamente al “Cristo deposto” di Raffaello, alla
Galleria Borghese. Una nostra mano a
collocare su di un materasso quel corpo
insanguinato. La gola squarciata da gorgoglii cupi.
• A. Spezi “La Madre e il Figlio” olio
***
21 Agosto
Presto sono saliti gli altri parenti dal rifugio grande. Mio padre nel pacco del
pronto soccorso non ha materiale adeguato alla gravità della ferita del giovane. È terribile non potere far nulla ed assistere ammutoliti ad una lunga agonia.
Alle 18,45 Renzo Ricci, ad occhi aperti,
termina il suo rantolare. Diciannove
anni portati via dalla Morte sul calibro
brunito della nostra barbarie. È buio alle
sette di sera: le finestre chiuse ci isolano dalla vita esterna. Siamo disfatti. La
camera ardente col suo lume a petrolio
staglia sullo schermo di parete i nostri
volti incavati. I tedeschi tirano da sotto
ripa con obici. É un buttarsi tutti dalla
parte opposta della casa - come relitti
in un vascello sbattuto dalla burrasca
- tra muri scala e ripiani. Così vestiti
(da quanti giorni?) si dorme in sussulti
aspettando un nuovo chiarore di cielo.
parte del pendio riparato, al di fuori dal
tiro dei ‘cecchini’. Ormai è ‘vivere sull’altra sponda’. Gli scoppi di mine tedesche
sotto i ponti della Flaminia e nei “Passeggi” di Fano non danno più angoscia.
Purtroppo è verità.
***
Addio, bel campanile !
22 Agosto 1944, sera
***
I primi liberatori
22 Agosto 1944
Sulle colline all’alba appaiono i primi
carri armati inglesi. Ancora lontani, grigi; sembrano serie ripetute come profili di cartone al tirassegno. È l’ “Ottava
Armata”. Scendono lentamente, codeste
ombre, a ventaglio. Si fermano. Quindi
riprendono ad avvolgimento, in parte
scompaiono oltre i versanti. Rassicurati,
i parenti dell’ucciso tengono consiglio.
Vestono la salma, la posano sul carro
agricolo, passano per i campi verso la
casa natale nell’ansa di Cerasa ove attendeva un sacerdote. E’ da brividi vedere quelle sagome nere del carro e delle donne stagliarsi nette sul crinale terroso, precedute da un bimbo reggente
un’asta con panno bianco, e andare verso le altre sagome d’acciaio con il primo
lasciapassare della morte. È struggente
il silenzio d’un funerale nel silenzio d’un
istante esteso per tutta la valle martoriata. Alle 10,40 calano dall’erta polverosa
tre ‘inglesi’, a piedi, disarmati. S’avvicinano muovendo in alto le braccia. “Inglesi?”, si chiede loro. “No: siamo polacchi; qui combatte la Divisione polacca!”
(Ci tengono a farlo sapere). Sono esploratori, parlano italiano. Sostano a bere
acqua, offrono sigarette, ripartono dopo
varie interrogazioni. Sul mezzogiorno ne
appariranno altri, armati, sempre dalla
va? - per le eventuali necessità del caso.
E’ breve il suo passo taumaturgico. Nella
adiacente abitazione invocato da alcune
donne assiste una partoriente in minaccia grave: una maluscita del pargolo (già
sotto le colline circostanti e fra i campi
si profilano le prime pattuglie polacche).
Con calma il medico provvede al parto,
si lava, porge agli astanti i necessari consigli per la prosecuzione delle cure... ed
esce silenzioso dal retro-casa. Passa tra
le siepi ed i foraggi, scompare alla vista,
giù verso Fano. Le genti sono attonite,
alcune commosse. “Che Dio ti protegga,
Dottore!”
• Carri armati anglo-americani
Dal mattino di ieri le mine tedesche ci
hanno soppresso il conforto dei vecchi
campanili e delle torri, guardie sull’orizzonte marino. Tutti vandalicamente abbattuti in un’ora di rabbia blasfema! Nel
pomeriggio abbiamo sofferto il crollo
della Torre campanaria in Piazza, rimasta indenne alla prima accensione degli
esplosivi innescati.
***
“Arrivederci, Dottore”
22 Agosto 1944
Da ‘Nazarìn’ il bimbo Edo Ambrosi - sfollato coi suoi - è steso nella cuna febbricitante e gonfio al ventre. Sirio, suo
padre, ‘incavolato netto’ l’ha riportato
indietro dall’Ospedale di Fano, là ove
due allievi medici in servizio di pronto
soccorso dalle sintomatologie pescate
nel malatino non sapevano che pesci
trarre. Hanno iniziato soltanto consigli
generici per le cure in famiglia. Nella
casa i presenti s’affannano sul cosa poter fare nel loro vuoto assoluto di cognizioni, anche empiriche. Appreso che
nella vicina casa colonica per il soccorso
ad un infermo s’era... ”materializzato un
essere ancora ligio al precetto di Ippocrate” (Un Ufficiale medico tedesco), il
padre del Piccolino e la nonna Marietta
corrono verso la insperata provvidenza,
sommando speranze e suppliche. Non
v’è necessità. Il medico visita a fondo il
bimbo, lo cura paternamente, dà morale
ai familiari increduli e lascia loro delle
compresse di sulfamidici - chi le trova-
• Rovine della torre civica abbattuta dalle
mine naziste
A Cuccurano e Carrara nella colpa di
correre al cielo le ciminiere di cotto già
subirono atterramento. L’ago verticale della ‘Fanum Fortunae’ in quest’oggi
è sparito dagli indicativi storici d’una 84
scassata bussola locale. Per qualche 85
tempo noi vivi ricorderemo quelle lontane distinte fumate bianche sugli estesi tetti rossastri, i rombi successivi, lo
‘sfondamento’ del cielo con la dissolvenza di immagini care. I piccoli campanili
di San Marco e di San Francesco di Paola alla Stazione, sfuggiti alla furia, rimarranno muti testimoni d’un inconcepibile
scempio. Davvero è la fine di una Città.
Che vorrà dire, per essa, “Liberazione”?
Qui, isolati sul piano aperto del ‘Casòn’,
non si vedono al voltar di testa soldati
alleati o nemici lontani. E nessun civile.
Visi sbigottiti in noi. Volano diversi aerei
in ricognizione a spirale su varie quote.
Non sono sintomi buoni in una calma
bellica: siamo àuguri certi osservando il
continuo girare di tali avvoltoi sul ventre
conteso e lacerato del corpo metaurense. (*7)
***
Ultimi giorni di trincea
23 Agosto 1944
Oggi alle 14 v’è un colpo di fulmine. Ci
avvisano che il crinale è luogo pericoloso per noi. Meglio abbandonare la grossa
casa. Sbrigarsi in fretta: i tedeschi possono riprendere l’offensiva in contrattacco
e picchiare qui sopra. Ma gli inglesi dove
sono? (Quelle che abbiamo visto erano
pattuglie esploranti, i “fiuta-mine’). Dicono i coloni che le truppe alleate sono
ancora lontane, a tre-quattro chilometri
(quassù i chilometri valgono a ‘linea d’aria’; e nelle azioni di guerra elastica talvolta raddoppiano). Dal nulla, improvvisi, tre carri armati appaiono al dosso,
sparando; quindi deviano verso le ripe.
Colpi di cannone da sotto. Vado a vedere
correndo dietro le siepi. Distante scende un Panzer teso al guado del Metauro.
Assisto alla “guerra dei bisonti”? Strillano da casa: mi richiamano, preoccupati.
Gli aerei di ieri debbono aver visto nella
piana qualcosa di insolito. I contadini caricano a spalla i bimbi, le donne fuggono.
Noi prepariamo le valigie e gli zaini alle
soglie. Sarà un falso allarme quello ricevuto? Mandiamo due giovani a vedere
di qualche pattuglia polacca. L’esodo è
facoltativo; si consiglia l’allontanamento
di coloro che non hanno lavori pressanti
come la cura del bestiame sul posto.
“Presto, è fronte di guerra!” Si mangia
lestamente qualcosa in cantina, dato che
i tedeschi hanno incominciato a tirarci
addosso abbastanza precisi. Con l’ultimo scoppio di razzi ci prende la ‘fifa’.
Questa volta dobbiamo fuggire, tutti!
Affannosi carichi su due birocci e in un
calessino, ove ognuno cerca di mettere
il possibile. Nel buio poco si vede; si alza
uno spicchio giallo di luna sulle arenarie a trasfigurare ancora ombre di sgomento. Bisogna filare presto, altrimenti
diverremo bersagli netti sul primo tratto
di strada in salita. Lasciata la casa, via
dietro ai buoi e cavalli verso l’interno
senza meta precisa. Decideremo più
avanti col beneplacito degli inglesi. Le
donne trascinano i piedi. Sono le 21,30;
i bimbi, assonnati, presto si addormenteranno in braccio. Ci siamo: pattuglie e
sentinelle ci fermano ad ogni sgambata
sbucando neri dai cespugli e dalle siepi. Danno la buona notte, scompaiono.
Sadica, la luna illumina a tratti buche,
ramaglie, spettri arsi di gola imbiancati
dalla polvere dei traini. “Proseguire...
proseguire...”. Ancora avanti. Ad un comando d’alt facciamo sosta. Ci danno un
pass obbligato di transito per le retrovie.
Nuove strade aperte da centinaia di automezzi, case sventrate. Mezzanotte. Si
cammina ancora in saliscendi, riposando pochi muniti o per raccogliere qualche pacco che si perde lungo la strada
tortuosa e buia tale a un labirinto. C’è
un bivio. Ci proibiscono di proseguire a
destra. “Via!” Deviare ad ampio raggio
dopo il ‘colle ‘fantasma’, scendere per
Monteporzio sulla Cesanense. Non sapevamo in quel buio a fughe di luna di
esserci tanto impegolati. Ma non sapevamo nemmeno di essere andati a capofitto nella grande sacca di tutta l’Armata
alleata! “Chi ce l’ha fatto fare”!
24 Agosto
Camminiamo: automi come una frangia di ebrei senza Mosè. Bivio di altro
versante. Ci interrogano le sentinelle;
poi... “Andare ancora…”. Un militare di
scorta - siamo sempre a vista - crede di
aver afferrato qualcosa di sospetto in un
nostro dialogo. Ci invita deciso al suo
Comando di settore (I carri seguitano
il rotolio senza di noi). Restiamo venti
minuti fuori d’una porta. Dentro, una camera rischiarata da un lume a bassa tensione. Volti assonnati di quattro ufficiali
inglesi. Indicano uno sgabello al muro;
preferisco una sedia di fronte al tavolo.
L’interprete interroga, il comandante in
mutandine e maglietta guarda una carta topografica alla parete. La ricetrasmittente nasconde un terzo ufficiale,
il quarto scorre una carta delle Marche.
Controllano le nostre indicazioni circa i
cannoni a Sant’Angelo alle Ripe (Fride,
esausta, avrà finalmente un bicchiere
di thè). Ci trattengono oltre un’ora, poi
decidono di farci pernottare nella casa
“per verifiche”. Giochiamo in dialettica e
mimica per avere il lasciapassare; faccio
notare mia moglie incinta e bisognosa di
cure. Usciamo: un sergente ci accompagna per un tratto. Siamo con gli altri.
Le donne hanno sete: si chiede acqua in
una casa, gli M.P. alla guardia fanno opposizione.
Un colono impietosito ce ne offre una
brocca: viene strattonato unitamente
alla moglie. Ci rendiamo conto che tedeschi, inglesi e polacchi in questi momenti non ci stimano affatto. Specialmente
gli inglesi.
Ore 3,20: notte dal 23 al 24 Agosto. Sosta presso un’altra casa colonica occupata da molti sfollati. E’ un buttarci sui
gradini a mattoni di un’erta scala, libera...per riposarci. All’alba si va alla cerca
di una abitazione ove sia permesso occupare la capanna a lato. Trovatala, ci
assiepiamo in essa. Ventun persone su
venti metri quadrati ‘piancito’. Un’ora
dopo arrivano altri polacchi: invadono
l’edificio rurale visto da noi poco prima;
ci lasciano come siamo nella baracca
malandata a loro non confacente. Sulle
strade e campi delle colline circostanti
passano, scendono, sostano autocarri,
traini e macchine in enorme misura. I
cannoni spaventano per quantità e calibro. Delle coltivazioni vengono ‘tessute
al radar’, i covoni rovesciati, i vigneti distrutti dai carri armati stridenti, accaniti
a tranciare filari. Vie nuove, nuovi passi sui terreni resi sicuri mentre ancora
i crucchi battono le piste delle vecchie
mappe o postazioni di passati rilievi.
Una casa semidistrutta viene testardamente bombardata a colpi regolari, forse da una batteria alzata in Montegiove
di Fano. Nel pomeriggio arrivano ancora sfollati fuggiti da Lucrezia e da altri
borghi lasciati al di là del Metauro, lungo la Flaminia, sotto il tiro incrociato di
guerra. Raccontano i nuovi esuli di fasti
e nefasti tedeschi svoltisi fra Carrara e
Lucrezia sfasciate dal tiro degli inglesi
nei giorni avanti. Come già fatto da noi
in precedenza , gli ultimi randagi vanno
in cerca di paglia e capanne per riposare. Riflettono la nostra odissea.
***
Compleanno con spumante
25 Agosto 1944
Oggi è il mio compleanno. Arrivano
bombe micidiali, improvvise, seppure
a lunghe pause di tempo. Brucia qualcosa di grosso oltre S. Giorgio, ad alte
fiamme. Nel ‘campo’ la radio annuncia
in inglese e francese la presa di Parigi
da parte degli alleati. Anche Marsiglia e
Tolone libere. Quindi la caduta della Romania; altri sbarchi. E sul nostro fronte?
Ecco: “Il paese di Acqualagna... raggiunto dalle truppe che hanno attraversato
le forre“ (sono soltanto pattuglie di prima scoperta o per disturbo). A pranzo
- col poco da mettere sotto i denti - mio
padre ci fa una gradita sorpresa. Per festeggiare il mio compleanno tira fuori
dal suo ‘armamentario’ una bottiglia di
spumante. L’aveva messa da parte per
berla con i ‘liberatori’. Ma, visto come
vanno le cose...be’, seppure non freddo,
pròsit: un sorso a testa, e via!
26 Agosto: buio pesto
noi calore e fumo (Siamo distesi sulla
paglia, addossati nella promiscuità, con
orecchie tappate ed occhi chiusi).
É il primo grande attacco contro la “Linea Gotica”. Sporadiche risposte tedesche verso il cimitero di Cerasa e sopra
le alture di Piagge e Montemaggiore.
Pazzesco andirivieni di jeeps, ombre nel
polverone, lampi ad aggredire i vedenti. La nostra porta - assai grande - viene
spalancata per non crepare soffocati.
Nelle pause si sentono ‘tempi’ e comandi di tiro. Voci in francese dei canadesi
bilingue, voci in polacco... che per noi è
russo. Due... tre ore d’inferno.
***
Le Am-Lire
27 Agosto 1944
Le sei del mattino. Ancora vivi. L’azione
ha un momento di tregua. Finalmente
permettono ai rintronati cristi di uscire
all’aperto... a respirare (?) e per areare
i vani. Alle nove - dicono - Fano e stata
‘reticolata’ dalle avanguardie polacche
di Anders. Volano sull’alto, gli aerei a
proseguire oltre Pesaro raids e bombardamenti. Ambulanze e sminatori che rastrellano le piste di avanzata. Gli sfollati
invece restano sdraiati per terra - l’erba
è scomparsa - sfiniti, totalmente ignorati. Dalle frasi scambiate tra euforici
militari si comprende che l’attacco alla
‘Linea Verde’ - o ‘Linea Gotica’ - è stato
presenziato da Winston Churchill appostato nella zona di Montemaggiore con
Anders, i Generali Alexander e Leese ed
altri arrivati da Firenze.
27 Agosto. Mezzogiorno
Lunghi fusti in movimento. Preparativi
di partenza senza affanno. Le truppe
motorizzate si radunano nelle ampie
conche. Sono al di là del ‘corpo di Fano’
i mezzi celeri con le punte canadesi, e
le prime fasce della Divisione polacca
“Fucilieri dei Carpazi”. Vediamo ufficiali
USA.
C’è in noi un desiderio di tornare da ‘Nazarin’ frammisti ai coloni (ai quali viene
concesso il rientro alle case per la cura
di esse e del bestiame salvato) passando
isolati fra le strette scorciatoie e i secchi
fossati, inservibili per le truppe. Due aerei leggeri puntano la discesa sul nostro
campo di aviazione ove stridono alcune
ruspe. Per i lavori di pulizia personale
o per acquisti vari i militari offrono in
pagamento le ‘Am-lire’: moneta accolta
sorridendo da alcuni; altri, scettici, la
definiscono carta da collezione come i
‘buoni di requisizione’ dei tedeschi.
***
Due fucilati
28 Agosto 1944
27 agosto. I coloni vicini avevano svol- 86
to... il compito - ad elogio - di generale 87
ospitalità, allestendo in continuazione
per i militari a difesa tavolate di pastasciutta benedetta dal vinello bianco del
Metauro. Quattro giorni di pacchia, alla
faccia nostra!
29 Agosto
Prosegue il rastrellamento e controllo
degli sbandati e dei tedeschi vestiti da
civili, nascosti nei rifulgi e fra i campi
per sfuggire alla prigionia o per compiere - dicono alcuni - atti di sabotaggio. Il
fiuto dei cercatori di Anders è terribile.
Pescati da una pattuglia due hitleriani in
divisa - seppure i nemici fossero disarmati e con le mani alzate - avviene il loro
allontanamento dal viottolo e l’immediata fucilazione alla schiena, non molto
lontano dai nostri sguardi d’orrore. Data
la mezza giornata di pausa decido di fare
una sgambata verso Fano, con Fride. Armato di bastone a puntale (indosso usati
scarponcini polacchi ed una camicia militare a collo aperto) e dell’inseparabile
album degli appunti, scendiamo lungo le
Ripe assolate per salutare ‘alla mano’ le
nostre Mura di levante.
Anche ieri la battaglia seguitava violenta
ed estesa oltre il medio Metauro, verso
il Foglia. Stamane partiamo in sei, con
mio fratello ad affiancarmi, misti ai genieri della ‘Sirena Armata’ -”Divisione
350” polacca - primi civili aggregati...
per scavare buche e fosse settiche (*8).
I canadesi dal diverso berretto e distintivi del ‘Bisonte’ ci incrociano nei loro
turni; motociclisti guidano nelle rotte o
fanno servizio alle deviazioni.
• Soldati tedeschi prigionieri
***
I campi di mine
30 Agosto 1944
• Montemaggiore al M. 25/26 Agosto 1944. Winston Churchill studia i piani d’attacco al nemico sullo stesso luogo del Salinatore, ventun
secoli e mezzo dopo.
Viene sferrata l’offensiva notturna con
centinaia di bocche da fuoco qui attorno. Ogni calibro spara senza pausa facendo sobbalzare case e capanne. L’aria
si espande, vibra, la terra respira come
• Auto dell’Armata polacca con lo stemma
di Varsavia
• Cartamoneta emessa dal “comando militare
Alleato” durante la “Campagna d’Italia”. Le
AM-Lire
Giungiamo al ‘Casòn’ con la gola secca,
dopo ore di fatica. Venticinque polacchi
erano rimasti per vedetta e segnalazioni
nella grossa abitazione rurale dal 24 al
Abbiamo varcato il fiume evitando minaccia di mine. Molte erano esplose ai
vari passaggi, altre, rastrellate, si mostravano allarmanti ai margini dei sentieri o nei fossati. Il Metauro n’è pieno
come le strade laterali del Canale Albani.
Innumeri cartelli paletti e strisce colorate indicano il grave pericolo nascosto un
palmo sotto terra. Davanti ai nostri occhi
un giovane pastore, al greto, è ‘saltato in
aria’ a pezzi. All’argine v’è una macchi-
na fracassata dalle esplosioni anticarro.
Lungo il viottolo butterato da una parte
e dall’altra di nicchie a riparo e buche
da cannonate giacciono bombe a mano
e tubi di esplosivi. In fondo allo stradone di casa - la prima di sfollamento dei
genitori di mia moglie - tra la massa di
canne bruciate puzzano due cadaveri di
soldati tedeschi, squarciati da mitraglia
di carri d’assalto. Nessun civile prima di
noi ha percorso questa traccia per scendere al piano. Annotazioni affrettate.
Nell’arco del giorno secchi boati: qualcosa o qualcuno viene dilaniato là dove
gli addetti ai rastrellamenti degli ordigni
hanno bucato, o non sono ancora giunti.
Dopo l’apprensione per le bombe sulla
testa ora la minaccia di ‘pignatte’ nel pedaggio del ritorno. I contadini sentono
la necessità dei lavori. Dei giovani cauti,
con lunghe aste a peso sondano passo
passo varie zone del loro campo prima
di ridargli vita. La campagna è arsa dal
sole e dal fuoco; i rimasti covoni sono al
limite della cenere.
Nota aggiunta: In breve tempo sui terreni minati resteranno uccisi altri uomini
dopo i conosciuti fanesi ‘Bìn’ Del Vecchio e l’armaiolo Etelredo Mazza.
Ragione’ la Sala Verdi sventrata; quando le macerie della ‘Torre del Bonamici’
mi hanno confermato la distruzione del
settecentesco Campanile da me visto
cadere il 21 dello scorso Agosto. Ed ancora sgomento al ruotar d’occhi senza le
tracce del piccolo campanile della Madonna di Piazza - S. Silvestro, della Torre di Casa Palazzi in via De Cuppis e del
campanile di S. Maria Nuova.
Per giungere a queste notazioni, con un
amico ufficiale della ‘Brigata Garibaldi’
sono passato sulle rovine delle case di
Gaudenzi e Baldrati e Bellini; oltre v’erano quelle di casa Battistoni, dove spesso
da ‘Peppino’- del sottostante ‘Caffè delle
Scienze’ - sedevamo ai tavolini esterni.
Era stretta la visione dei negozi sventrati e delle vetrine infrante in rapporto
allo scempio a tutto schermo del Teatro e della struttura del Palazzo Civico!
Scavalcando i residui conci e profili con
Menghetti e Ricci e Pagnoni, vaganti
come noi fra i resti di pietra, misuravamo ad occhi e a palmi l’arte infranta
rimasta coi moduli e modanature in poche decine di centimetri. Il vero calvario
della città era stato qui elevato. I ruderi,
i cumuli del cotto e dei bianchi pezzi di
pietra d’Istria del campanile morto erano simboli profani d’un terzo Golgota.
Ebbi il tempo di buttar giù una ‘impressione’ grafica.
• Etelredo Mazza, armaiolo, consigliere Carnevalesca e Somarata
***
La città morta
1° Settembre, notte
Oggi sono davvero entrato in Fano! A
metà Corso la prima grande emozione.
Quando m’è apparsa, attraverso l’enorme apertura angolata del ‘Palazzo della
• “La città morta” di A. Spezi, 1 Sett. ‘44
Al ritorno i frati amici di San Paterniano
ci mostrarono l’immane sfascio dell’altar
maggiore e dell’abside lignea compressi dai massi del campanile crollato. Dal
basso dell’ampio squarcio il cielo era visibile in un azzurro intenso - e lucente di
tramonto alla base - quale immensa vela
giottesca.
Una pausa per una “croce” nel diario
5 Settembre 1944
***
In questi luoghi di sfollamento - ora
manca il ponticello che ci univa - non
c’è più il ‘nostro’ Benofi con il quale si
filosofeggiava alla buona. Dopo il furto
tedesco delle patate c’era in lui un’ansia
cocente per la sorte del suo asinello. Gli
aveva creato lavorando al buio un rifugio che era diventato quasi una camera,
dalla stalla astutamente mascherata sul
basso canale. Ma i tedeschi, quel giorno
testardamente cercavano il suo ciuccio,
in precedenza mai visto. E lo portarono
via, con Benofi a condurlo - sfiancato
ed implorante - verso l’ex campo base
di Bellocchi. Lungo la strada il vecchio
piangeva lacrime bianche. Più tardi lo
lasciarono. “Vai... Tu andare a casa”.
Lì, Benofi ebbe un sussulto. “Alla casa?
Magari, una casa: è una capanna. Capanna, capite? Ci dovreste vivere voi!”.
Gli altri non comprendevano tale sfogo.
“Camminare, andare via!” .“Vado... vado;
cammino...”. (Cammina, Benofi, ammiccando nella sua miopia. Trasandato, a
scarpe rotte. Un pensiero; poi si volta,
forse a ritornare. “Il mio somarello, volevo dire”. Fa un gesto, uno strano gesto
verso l’alto come a indicare Dio o gli aerei. Fissa gli hitleriani. “Già, andare, ma
da chi? Ora il somaro è tra voi”. Scuote
la testa arruffata; volta la schiena. Una
scarica di moschetto, una sghignazzata.
Forse sente un colpo alla spalla: è il primo; il secondo è al fianco. Barcolla, s’inginocchia, distende le braccia in avanti.
Da un casolare tutto hanno visto; e sentito il suo parlare. L’asinello non è lontano, fra cotante belve. Ecco un raglio: il
primo e l’ultimo della sua vita di recluso
cui il filosofo aveva insegnato a tacere.
Sui vicini cipressi alto il silenzio. Poi:
“Hanno ucciso Benofi!” “Hanno ucciso
Benofi!”, grideranno le donne entrando
nel deserto della strada. Era il 24 Agosto
1944.
Una casa in città
3 Settembre
Siamo tornati in città per trovare fra conoscenti ed amici un buco abitabile. Nessun posto, nessuna possibilità di alloggio!
Ogni villa, palazzo, scuola, magazzino e
scantinato è sotto occupazione per truppe, ospedali, comandi, ritrovi militari d’ogni nazione razza e colore, o assistenza
religiosa. Quei sinistrati rimasti in vicine
precarie abitazioni, e dei furbi di mestiere, solerti hanno occupato appartamenti
e case libere da padroni ancora lontani e
di camerati in fuga. Manifesti - volantini
- editti ; soldati e relitti. Non c’è acqua,
niente luce, niente di niente. Nemmeno
i mobili della nostra camera matrimoniale già nascosti da un falegname: spariti!
Alla ‘Sapor’ - forno e panetteria - macerie, residuati di fuoco. C’è un posteggio di
pronto soccorso. E’ domenica, Sant’Antonio. Tutti sono al ‘Borgo’ sotto il sole a
rivedersi e parlare. Gli uomini col vestito
buono la cravatta il cappello; e le vocianti
donne, beate. Ma ‘Chi’ è passato allora?
Oggi è festa, perché pensarci? Pensare
a che pro se hai tutto cui dover pensare. Gente che ride conscia-inconscia nelle
strade e fuor di chiesa tra sparsi indefinibili raggrumi di cose. La guerra è già ‘un
passato’, per alcuni; ma per tanti altri è
incubo vivo. (Lungo la ‘Nazionale’ corrono veloci e pazzeschi camion e jeeps alleati colmi o vuoti di armati e materiali,
radendo le curve e le case, incuranti di
fracassarsi contro i muri o di schiacciare,
come spesso avviene, gente sbadata o imprudente se non talvolta ‘Agnelli di Dio’).
Si sentono il cannone ed il bombardamento lontani: tutto assai bene. E’ quindi
‘presente’, questa guerra, in un tempo e
spazio relativi. Purtroppo Einstein non è
l’uomo del quotidiano, e mai potrà dare
una risposta alla domanda relativa al nostro ‘buco’ temporale. Il buco ove ‘passare’, io e mia moglie.(*9) - Prima vittima
delle furie alleate: la giovanissima ‘Lena’
Tombari, schiacciata sulla soglia della ‘Sapor’ - nella curva della Nazionale al Borgo
da una forsennata jeep condotta da anonimi polacchi in arme.
***
***
Fine d’un carro armato
8 Settembre 1944
Il nostro passo di memorie ci porta al
carro armato tedesco, vicino alla nostra
prima casa di sfollamento. Il relitto è ancora nascosto tra il canneto ed i pioppi,
all’argine del fiume. Cauti percorriamo
la sponda infida per raggiungere la carcassa annerita, schiacciata nel fango.
Non c’è più il nero seggiolo divelto presso il grosso cespuglio di rovi, allora con
una coppella d’acqua piovana dentro. Su
quest’argine completo le note di quel 23
Agosto, osservatore nascosto d’una tragica caccia. ... Quel blindato scendeva
dalla ripa destra inseguito da tre carri
armati inglesi sparacchianti a ventaglio.
Il Panzer col cannoncino bloccato non
poteva reagire. Attraversava il guado
zigzagando.
• Panzer tedesco distrutto
Era quasi in salvo. Ma nell’ultimo arrancare di cingoli uno sfriggìo a vuoto: la
melma saltava e l’acqua verdastra d’una
mascherata gora girava in vortice col digrignare dei ruotini a folle. Lassù puntavano gli Sherman, ora fermi accentranti
la mira. Il cingolato era in trappola! Una
pastoia ad ogni tentativo di attrito, un
affossamento continuo a metterlo quasi
in verticale nel trabocchetto, di limo e
radici. Gli inglesi osservavano l’agonia,
con deliberata flemma. Poi altra immagine di quel momento indelebile. Due ‘anime’ tra il fumo spalancano la portella,
s’immergono nell’acqua sino alla cintola,
vanno alla riva sbattendo le braccia dietro ai cassoni, scompaiono. Ecco, v’è una
mano alzata: un proiettile giunto dall’alto svuota la sponda sul muso del Panzer.
L’eco d’un urlo più secco esce dal ventre dell’ acciaio in panne: una carica fa
saltare la parte superiore della torretta,
che in ogivale parabola rossa lucente di
fuoco precipita e si spegne affossata a
riva. Dei tre carri armati - ancora in sosta - uno d’essi ora alza il tiro sui pioppi:
“God save the Queen!”.
***
Il pranzo è servito
10 Settembre 1944
Cerchiamo disperatamente casa. Quel-
la assegnataci quali sinistrati è occupa- 88
ta da ufficiali. “Aspettare!”. Ma dove? Il 89
tempo minaccia; alla notte è già fresco.
“Arrangiarsi - ci dicono - Qui a Fano la
guerra è finita”. Per noi senza roba né
casa la ‘guerra civile’ incomincia ora.
Mio padre spera di portarci a dormire
all’Ospedale negli scantinati, dove avevamo ‘riposato’ nei primi tempi degli
allarmi aerei e bombardamenti. Presso
gli ‘alleati’ da giorni ho trovato una soluzione per quanto riguarda il sostentamento. L’amico Gustavo Marini - ‘Barzilai’- mi ha indirizzato ad un comando
inglese di settore locato nella villa Blasi
(*10). Avevano colà bisogno di un ‘vero
artista’ (...”A real Academy artist”) per
dipingere scene di guerra delle loro formazioni aeree e navali, nonché decorare
ambienti ed alloggiamenti militari sparsi
per la città. In tali basi avrò richieste di
pitture particolari: scene con figure femminili, visioni di luoghi di origine, emblemi caratteristici, caricature… Il rancio
è servito; ed anche tè, latte e uova in
polvere, brioches e marmellate. Pochi
spiccioli USA. Una considerazione per le
svariate sconcertanti improvvise tematiche. Nei distinti ‘clan’ e raggruppamenti
per etnie e nazionalità d’oltremare, in
quei luoghi fatti intimi e nostalgici o di
crudo distacco osservo e ‘rappresento’
diversità di pensieri, contrasti di culture, discrepanze sociali, ironie crudeli.
Maggiori quest’ultime verso gli inglesi - e
degli inglesi verso gli americani. Trascrivo a sera tali impressioni. Alcune stranamente si ricollegano ai miei trascorsi
periodi d’opere e vita a Marsiglia, con
volti e gesti e sguardi usuali in legionari,
ombre sui carghi partenti per l’Algeria
senza scie di affetti umani.
Settembre
Mio padre dopo la riattivazione dei gabinetti di radiologia e terapia fisica all’Ospedale ‘Santa Croce’, per poter svolgere in essi le sue mansioni ha ottenuto
dal Town Major di Fano una abitazione
nel palazzo Arceci (già Carnaroli), in
via Nolfi, requisito dal comando alleato.
Per dormire siamo a posto! Nel frattempo sono diventato ‘cooperatore’ regolare in un reparto operativo di genieri,
con l’assegno di una anonima divisa di
giornata e piastrina di riconoscimento
per libera circolazione -’pass’- durante
il coprifuoco, di stivaletti, d’un basco
che non mi va, e di una grossa cinghia di
cuoio nera a fibbia di lucido ottone, da
tenere sempre ‘efficiente’ (Posso usare
la mia ‘canna’ con puntale). Prosegue la
ricerca-requisizione-attivazione di ville
e costruzioni sul litorale sino a Cattolica. Il sergente alleato, con la camionetta
colma di materiale da apprestamento
mi rileva al mattino presto per scaricarmi nel tardo rientro a casa. Lui andrà a
sbronzarsi da una sua collega. Nella attività specifica saltiamo Pesaro ove per altro gruppo di zona operano alcuni amici
artisti (‘Promozioni culturali’). Il comandante americano Davidson (o Dawson?)
delegato coi suoi per collegamento col
nostro reparto dell’ “Ottava” dopo il rapido ritratto a tempera da me fattogli in
alloggio, è rimasto fissato. Mostrandomi
le fotografie di sua moglie e figliola mi ha
proposto -andando lui in licenza per un
mese- di portarmi, previo un salto ‘alla
base’, nella sua casa in Florida per ritrarlo ad olio con le sue gioie femminili. Dice:
“Niente paura, cielo libero”. Conoscendo
il cliente trovo modo di rimandare cortesemente l’invito affermando di poter
essere più libero, io, a fine guerra... I canadesi occupano palazzo Montevecchio.
Scaricano e portano il materiale nelle
varie sale, sbalorditi nell’ampio respiro dello scalone. L’ufficiale addetto alla
‘ambientazione’ mi indica i piani di lavoro da eseguire - ci parliamo in francese
- dandoci appuntamento ‘a domani’ per
la sala comando e per il ‘teatrino di corte’, malandato. Arrivo il mattino dopo.
Sul posto un trambusto di macchine in
partenza, soldati a caricare materiale di
sussistenza e di ufficio; un correre per
rampe... uscire salire partire... Chiedo e
mi rispondono: “Via,via...: pericolo!”.
Non trovo il Tenente addetto agli allestimenti. Uno degli ultimi mi spiega. Tutto
il carico con gli ausiliari, lassù al secondo piano, ha provocato il cedimento di
alcune travi; il teatrino si sfalda sulle
colonne di legno con stucchi e cannicce. Vengono giù intonaci a battere chiodi e tirare cavi. Paura di rimanere sotto
le macerie... (E noi cosa dobbiamo dire
d’un tempo vicino passato sotto le loro
bombe in caduta libera, senza preavviso?). “Peccato, dice ancora il canadese,
è proprio bella ‘questa casa’: l’avrei goduta un poco, davvero!”.
Saliamo sulla camionetta. Gli altri sono
lungo la Flaminia a bloccare un casamentone con parco. Senza ‘Teatrino di
Corte’. Non occorre: capiscono di essere ancora sul palcoscenico di un vero
teatro di guerra. Al mio ufficialetto di
Montreal è sparita anche la voglia di farsi ritrarre. Nell’affare ci rimetto diverse
‘Am-lire’ per lavoro sfumato. Dopo, rancio al ‘Regina Elena’ presso gli americani
ove ‘Tom il cuciniere’ mi passa patate e
carne su di un vassoio libero, mentre in
argilla abbozzo al naturale il suo ritratto
a mezzo busto.
dei canadesi del Gen. Burns - pure quelli
di Palazzo Montevecchio - spesso rallentando per dare posto ai carichi bianchi
di morti e feriti scendenti verso la costa.
Ad uno stop parte della colonna americana curva a sinistra, lentamente, con
quella inglese del Gen. Leese. Le nostre
jeeps corrono di nuovo alla marina. Dal
mattino del giorno 20 Rimini è caduta
davanti a noi. Si arranca sull’Adriatica.
Altra massa motorizzata da qui prende
l’avvio per Sant’Arcangelo o Forlì; si
sfrangia fra dossi e filari. Sosta alle prime case d’un paese silente. Vanno avanti canadesi, polacchi e pattuglie inglesi.
Scovati due fabbricati presso la spiaggia
viene installato “per pochi giorni”(?) il
centro assistenza. Trovo altro graduato
inglese a sollecitarmi pitture per il suo
nuovo gruppo.
***
Per me la guerra finisce in Romagna
Ottobre 1944
• A. Spezi “Tom il cuciniere” 1944/45 - Gesso
***
Oltre la Linea Gotica
Fine Settembre 1944
Il mio sergente dopo le giornate d’andirivieni in Jeep mattino e sera tra Fano ed
il fronte Coriano-Riccione - sul quale mi
era venuta la pelle d’oca - viene d’impeto
in casa per buttarmi giù dal letto e caricarmi su di una camionetta. Con armi
e bagagli m’avvia con l’autista verso la
direttrice adriatica intenzionato a bloccarmi lassù, oltre la ‘Linea Verde’ aperta
al di là del Foglia sul versante romagnolo
nella metà del mese tramite l’operazione
‘Olive’. L’alleato ci segue con altra ‘merce’ formata da due muratori di Fenile di
Fano e sacchi di cemento e gesso a presa rapida. Quest’accidenti di factotum
è spiccio di modi e pesante nel parlare
(Capisco da tempo che la sua mansione
consiste nell’attivare una specie di subappalto da impresa per la ‘relax bellica’ di certi settori. Tutto è ‘business by
America’).
Aggregati a grossi plotoni gonfi di materiale e truppa usiamo le piste bonificate verso Riccione, ed oltre, ad opera
L’ottobrata bellica avviata dal Rubicone - capovolgendo i piani di Cesare - ci
sta avvicinando lentamente al Savio. I
camion giganti sono già disposti verso
questa meta con materiale per ponti,
passerelle e piste di atterraggio. Siamo
sotto Cesenatico. Corrono ordini come
frustate, ci incurvano freddi tiri di vento. Requisizioni di case ville e zone a
‘maglia aperta’ per coprire temporaneamente comandi, truppe, servizi di assistenza. Esplosioni di bombe a grappoli
verso l’interno; la zona mare viene quasi
‘sollevata’ forse per la presenza di navi
al largo. Noi tre fanesi guardiamo preoccupati il cielo rossastro sul fronte attivato, arco da cui provengono proiettili da
tiri impazziti - e talvolta a scheggiarci.
(Penso a quello che potrebbe diventare Ravenna, fra poco nell’allargamento
eventuale d’una battaglia blasfema).
Nel sopralluogo coi due muratori una
costruzione con porticato viene fissata dal sergente (...è un geometra?) per
adibirla a ‘ristoro-bar’ con servizio al
volo per jeeps in corsa, moto sparate ed
altri accidenti rotanti. “Ma qui ci vorrà
del tempo”, dice uno degli uomini del
Fenile. Il capoccia non ha tempo. Grida:
“Tutti lavorare!”. Per lo spazio mescita e sale di sosta mi viene assegnato il
piano operativo ed un graduato armato
di compressore, e aerografo a più stadi,
per spruzzare coloranti sintetici. Anco-
ra il ‘capo’, passandomi del materiale in
busta: “Fare subito disegni, guardare
nostre foto ‘Girls’ da pitturare grandi e
nude, a colori. Tutto capito?”. “O.K.” da
parte mia col pollice alto. Dall’altra parte
della costruzione i muratori incominciano ad aprire un muro verso il carrabile.
Cooperando nelle odierne ‘operazioni
belliche’ debbo costatare evidenti lacune nella mia Cultura Militare (fatta
materia obbligatoria di studio e valutata
con un buono agli esami di maturità liceale): colpa - o merito?- di un testo purgato che non portava in pagina bordelli
mobili dati in appalto; ed artisti figurativi, alias ‘cartografi ufficiali’, in Romans
(Go) ed altrove, in retrovia, durante gli
anni mediani di stasi e logoramento della Grande Guerra 1915/’18. L’astuto alleato in questi frangenti dà apporto alla
vecchia materia con nuove sottili tecniche ‘puritane’ (c’è fifa al Comando degli
armati per banali cadute ero(t)iche),
coadiuvato da artisti-illustratori ispirati
non più all’Italico Stellone, ma a certune
Starlette patinate, made in U.S.A. Tutto
per un volgare companatico!) ...............
Le avanguardie polacche e canadesi,
con altre forze a sfondare, hanno oltrepassato Cesenatico per attestarsi da
Cervia al Savio. Non abbiamo variazioni.
E’ notte. Il sergente - è con due ufficiali
- mi dice di seguirlo in città per parlare
con il “Town Major”, il Sindaco. Capisco.
Sotto una arcata troviamo l’abitazione
dell’eletto. Suono ripetutamente, s’accende una luce sul lunotto della porta.
“Che volete?”, trema una voce. “Signor
Sindaco - attacco - vi sono ufficiali alleati i quali vorrebbero parlarle”. Pausa; ci
guardiamo. Sarà fuggito? Piano si apre
il battente: a fondo scala c’è un omino
in camicia da notte a coprire una donna
magra, appena in chiarore. Spaventato
l’essere guarda i tre ‘alleati’ posti alla
mia schiena. Apre bocca: “É molto tardi,
che volete?”. Sparo la richiesta: “Signor
sindaco, i presenti sono rappresentanti
di ufficiali dell’ “Ottava”. Desiderano festeggiare la breve sosta dei loro gruppi
a Cesenatico... e vorrebbero conoscere
‘Miss di ceto bene’ delle città per brindare, uniti, in questo avvenimento”.
Quello ci guarda sbalordito. “Cosa? E’
quasi mezzanotte. Dove le trovo, io, tali
signorine?”. Nel frattempo due giovani
ragazze s’erano affacciate oltre le spalle del capo-città. Il Tenente inglese mi
sgomita ed esclama: “Ecco, trovate due
Miss!”. L’anima in camicia da notte dà un
sobbalzo ed urla: “No! Ma siete matti?
Queste sono le mie figliole: non si toccano!”. Poi si calma. Quasi furbescamente
ci suggerisce: “Sentite. Ormai è troppo
tardi. Chi è ‘sfollata’, chi ‘dorme’ fuori
casa. Una proposta, se vi garba. A giorno nell’ora di ufficio farò passare parola
ed invito per tutta Cesenatico. Avviserò
del ‘quartieramento’ degli AMERICANI.
Vedrete: a questa parola tutte le... puttane della Romagna saranno qui con voi”
(testuale).
Ci guardiamo al lusco del lumino. Gli alleati capiscono qualcosa del romagnolo
da me corretto e dolcificato. Con le jeeps torniamo agli alloggiamenti. Mi infilo
nel sacco a pelo. Il Serg. sorride soddisfatto: “Affare concluso” - “Good night!”.
***
Piccoli fasti
(Annotazione marginale nel ritorno)
L’amico alleato mi riporta a casa dal
fronte per forzata stasi bellica. Con noi
due, in macchina, anche un ufficiale ferito ed un ‘M.P’ ad accompagnarlo verso
il porto di Ancona. A Fano nell’incrocio
tra via Garibaldi e via Nolfi scorgo al
portone di palazzo Arceci, dove abito,
un tale - detto ‘Bartulòn’- discutere animatamente con mio padre. Guardinghi,
poco lontani, tre o quattro affiancatori
dell’uomo; uno d’essi ha un fazzoletto
rosso al collo. Capisco. Aggancio tali
presenze e comportamenti alla attuale
situazione politica fanese. Dò lo stop immediato, indicando la nostra abitazione
che il sergente ben conosce. Egli vede
ed esclama seccamente: “Artist, cosa
fare big man with your father”. Rispondo: “L’uomo grosso non offende il babbo; quello e gli altri cercano me. Sono
‘compagni comunisti’ che vorrebbero a
loro modo chiarimenti: forse non mi ritengono loro...estimatore”. “What? They
are comunist?... Vogliono picchiarti?”.
Infuriato alla parola comunisti sobbalza
e ‘prende mazza’; l’ M.P. e l’ufficiale si
alzano con me sulla camionetta (siamo
in tenuta da campo; l’ M.P. calca il tipico elmetto stampato). Mio padre ci vede
ed indica all’omone il nostro gruppo.
‘Bartulòn’ e gli altri allibiscono; il primo
bofonchia una frase, saluta con rispetto
il mio genitore, sgomita il vicino, si dilegua con i compagni oltre San Marco e
le Mura del Sangallo. In un attimo siamo
alla porta di casa. “Have you seen, hai vi- 90
sto Artist?: noi mettere K.O. this kind of 91
bad people!”, stride lo yankee verso tal
fuggita gente. Poi, calmo, alza la mano:
“Good bye, Athèno”. Ridendo, parte
sparato. Mio padre saluta il sergente con
la mano destra alta alla tempia: “Ciao,
collega di guerra!” (Babbo era sottufficiale del ‘genio’, al fronte, nel 1915/18).
***
Pagine sparse
Senza data
Del periodo di cooperazione con gli alleati rimangono esemplari alcuni episodi.
Il primo - avvenuto giorni dopo la liberazione di Fano - riguarda la requisizione
della villa Blasi, in viale Mariotti, per il
comando dei servizi sanitari. Operazione: “Disinfezione, disinfestazione, nebulizzazione aerea della città con ondate
notturne di ‘D.D.T.’. La nomea di zona
già soggetta a calamità tipo ‘Spagnola’,
malaria, ed altre ‘di riporto’ (?), tratta
forse da una cartina sanitaria della guerra del 1915/18, deve aver dato di testa al
Colonnello inglese medico responsabile
della salute degli armati del Commonwealth giunti alle nostre rive. Passata la
visita alla villa Blasi (già Orsi) in ogni sua
parte, il Dirigente dà immediato ordine
di imbiancare tutti gli ambienti utilizzabili per la sua équipe: “White, White...!”;
con tempere e smalti anche su mobili e
porte, senza perdere tempo. ‘White’ anche nel locale esterno, ove debbono essere accatastate casse di Mineral Water.
Sentito ciò, tramite l’interprete faccio
notare al Comandante che sarebbe un
peccato rovinare una sala in stile Rinascimento dai mobili in legno pregiato, intagliato, ed a vetrine piombate di
grande valore. Uno sguardo gelido addosso: “Niente! Tutti i mobili e pareti in
bianco; pulire!”. E così accade, su ogni
cosa indicata. Vengono lasciate soltanto
le pareti dell’ingresso e di una stanza di
raccordo al piano terra, perché in esse
io possa dipingere a tempera varie scene
di guerra tratte da foto scattate durante
e dopo i bombardamenti aereo-navali di
Ancona. “Attenzione!: Mettere in risalto
simboli e sigle delle Reali Unità Operative”. Sul lungo tavolato a ponte - a
mezza altezza della prima parete da illustrare - guardando le tragiche foto di
quei giorni eterni rimango bloccato e
commosso. Inizio l’opera riflettendomi
in occhi grigi la visione dei terribili bombardamenti di un 14 Ottobre 1943, data
d’agonia e morte - nel grande rifugio anconetano - di trecento civili tuttora colà
sepolti (*11). Mentre dipingo i lati della sala posso osservare di volta in volta
ufficiali di varia nazionalità e grado (in
massima parte anglosassoni), staffette
in transito, giovani donne in divisa da
ausiliarie, entrare di getto nei locali, sedersi o passare attorno al lungo tavolo
di centro, servirsi su vassoi di metallo a
più funzioni (gratuito riscontro sul metodo del ‘Self- service’) con tè, bevande
in barattoli colorati, noccioline e salatini
vari; nonché estrarre uscendo altre ‘cosucce’ indecifrabili da una scatola aperta
posata su di una mensola, verso porta,
targata con un simbolo sanitario. Automatico è nei presenti - dai capelli alla
divisa a posto - quel prendere, sorbire,
mangiucchiare, far due chiacchiere da
salotto, o con rapidità; se postisi in fila
all’americana, via i riguardi fra sesso e
grado, urgenza o meno, essere gallese o
canadese. Talvolta c’è un ordine esposto
all’albo, o scritto su lavagnetta: un saluto secco degli interessati e...fuori, con
un salto dalla strada alle jeeps sempre a
motore acceso.
Nonostante i loro sguardi, in quell’ambiente - io, lassù in trespolo - per gli Inglesi NON ESISTEVO. Esempio nell’indiretto operar bellico di quel vecchio
istituto sociale che non conoscevo ancora: ‘Il Circolo Britannico’.
si e chiudersi su coppie in bassa voce
(Bei visi conosciuti! L’interprete locale
è come le tre scimmie). Sento gridii di
sorpresa: un paio di ragazze si eclissano
stridendo il mio nome.
Ho l’obbligo di uscire con discrezione
nella notte avanzata.
La festa prosegue sino all’alba. A Palazzo Saladini-Ferri s’è installato comodamente un comando inglese con molte
ausiliarie della assistenza ‘YMCA’. Le
Miss, oltre ai cartelli di varia indicazione
nell’atrio e nei piani di sosta per i tanti
commilitoni, vogliono decorazioni nelle
loro tre camere rosa con storie di ‘Bamby’. Pagano con margarina, tè, latte in
polvere. Mi ingozzano di pasticcini. Nel
salone dal grande caminetto dipingo ai
lati del manufatto, in grandezza naturale, due ‘Guardie Svizzere’ con elmo e costume michelangiolesco, reggenti uno la
paletta e l’altro l’attizzatoio (Sghignazzano sommessi gli ufficiali; al centro cappa mi disegnano l’arme di Papa Sisto
V, marchigiano, Tiara e doppia scure).
Lo sanno i ‘Sir’ di occupare un palazzo di
nobiltà nera? O sfoggiano appositamente il black-umor tipico degli albionici di
razza e stile, memori delle lotte fra Sisto
ed Elisabetta?).
***
Una scuola risorge dallo sfacelo
***
• Palazzo Castracane
Miseria e nobiltà
***
C’è in programma una ‘Soirée’ a Palazzo Castracane per ufficiali inglesi di varia caratura. Servizio di bibite fredde e
calde nonché buffet del ‘Caffè Centrale’.
Mi introduce l’amico Generali (fratello
del pittore Fra Tarcisio) interprete nella
“Ottava”. Dobbiamo installare addobbi
ed alcune rapide decorazioni d’Arma su
cartoni predisposti. Sere dopo alla festa
in abito buono e cravatta; muti, a disposizione. Salone nobile col sole a raggiera
in centro-soffitto: lampadario acceso di
candele. Molte signorine di blasone fanese, diverse studentesse, altre giovani incognite ‘foreste’. Musica discreta;
fumo di pipe e sigarette. Porte ad aprir-
trecentesche, semplicità di taglio, tinte piatte. Non ricordo per quale opera
scespiriana in cartellone. Si esprimeva
l’ufficiale interlocutore in buon italiano,
dicendomi di conoscere ed amare l’arte
umbro-toscana: Assisi, Firenze, Pisa,
Siena. Gli promisi di passargli, per una
migliore corrispondenza alla ‘realtà fittizia’ di scena, alcune tavole giottesche
a colori (Avevo salvato le pubblicazioni
di ‘Civiltà’, la rivista letteraria uscita nel
‘Quaranta’ per l’Esposizione Universale
di Roma). Ci ritrovammo giorni dopo: gli
consegnai quattro riproduzioni a colori
degli affreschi di Giotto in Assisi. Rimase sorpreso, quasi commosso nel rivedere quelle pitture estese nella Chiesa
superiore cosi stupende; ed oggi rare,
in una limitata pubblicazione interrotta.
Ci presentammo secondo persone civili;
il suo nome: Richard Llewellyn. Mentre
lo scrittore stava curando l’anteprima
dell’opera venni assegnato ad altri lavori e ci perdemmo di vista. Si preparava
l’offensiva e l’avanzata oltre la Romagna
per l’ultimo colpo alla ‘LineaGotica’. Capivo che dalla ‘elevazione dell’effimero’
- secondo Llewellyn - purtroppo si stava
passando alla distruzione dell’eleatismo.
(*12)
Il verde dell’Umbria scespiriana
Al Cinema-Arena Corso - ‘da Malandra’gli inglesi, a sollazzo della truppa, oltre
che sistemare e tinteggiare coi due colori del loro Gruppo di combattimento
il soffitto della sala e la balaustra della
galleria, hanno deciso di sfruttare anche
il palcoscenico e lo spazio della ‘Arena’.
Perciò l’esperto designato al ‘programma
culturale’ dell’Arma mi ha rilevato dalle
pitture estemporanee in atto nella villetta di Viali, per coadiuvarlo alla realizzazione di alcune strutture sceniche da lui
progettate. Squadrature architettoniche
Scuola Artistico-Industriale “Adolfo
Apolloni” a palazzo Marcolini, requisita dagli inglesi per essere adibita ad
Ospedale Militare di 2a Base. Già rapinata all’interno sia dai tedeschi che dai
nativi: dagli uni dei macchinari pesanti
e ferramenta, dagli altri di imposte, porte, banchi e materiale vario accatastato
nel magazzino (in previsione di bombardamenti e sfollamento scolastico le attrezzature di maggior valore - o di reale
necessità didattica - erano state riunite
e murate fra due arconi nel sotterraneo
del palazzo, a cura dell’allora Direttore
della Scuola Architetto Preziotti. Nel
primo solaio per diverse settimane aveva trovato rifugio, nascosta ai tedeschi
ad inizio di persecuzioni, una famiglia di
ebrei italiani). Nel piazzale dell’Istituto
eravamo presenti alle musiche del sabato, delle festività militari e dell’ “estremo
addio”, quando la banda militare scozzese in gonnellino e nappe e fiocchi suonava con pifferi e cornamuse, richiaman-
do alle finestre feriti ed ammalati: un
ritrovare, con esse, le familiari voci ed
immagini di lontane nordiche brume. Li
sentiremo ancora, quei canti e pifferi e
calor di saghe, nella pausa invernale del
fronte emiliano-romagnolo del 1944/45;
e nella primavera di una guerra finale.
Nell’ ottobre-novembre 1945 abbiamo
messo mano fra colleghi e collaboratori
alle prime urgenti attivazioni dell’Istituto. In esso, quale insegnante, sono tornato alla vita culturale ed artistica.
É doveroso ricordare, dei duri mesi di
quell’oscuro impagato lavoro, gli amici carissimi Gaetano Bartolucci - Direttore - e Maria Baroffio, Rino Fucci,
Carlo Zonghetti, Donatello Stefanucci,
Giovanni Napoleone, Giovanni Tonelli,
Giuseppe Monaldi, Giuseppe Nicolini,
Arturo Bacchiocchi, insegnanti, nonchè
il segretario Alceo Boiani, e Baldini e
Curina, bidelli. Da quell’inverno 1945/46
l’edificio settecentesco ritornava finalmente “Scuola viva”!
Brevi note di chiusura
Augusto Simoncelli
Il compagno d’Accolta, Simoncelli, pittore ‘tornato di Francia’, mi racconta
d’essere stato chiamato a ‘Villa Blasi’
per restaurare gli ambienti lasciati dagli
inglesi. Il proprietario, ignorando fatti e
leggi di guerra, chiedeva il nome di colui
che gli aveva ‘imbrattato’ le sale per…rifarsi dei danni subiti. “Lo conosci, Spezi?”
- mi domanda l’ironico amico. Certo che
lo conosco! È il medesimo sotto il quale
sparirono reperti romani e medioevali
nascosti o murati quale la ‘raccolta’ OrsiBlasi. Si chiama Colonnello D.W., inglese
della “Ottava Armata” di passaggio a Fano
per un week-end di guerra bianca.
Agosto 1946
....Invece Pasquale Pandolfi, nel cui magazzino avevo dipinto scene varie per australiani e neozelandesi, mi dice di tenersele care, quelle pitture; e le mostra con
piacere ai suoi clienti di olio e granaglie,
sorpresi di quello stralcio inconsueto e
ignorato della guerra da poco finita.
A Fano, nella ‘Accolta dei 15’, ebbe poi 92
modo di mostrare le sue capacità artisti- 93
che e l’albionico humor. É morto abbandonato nell’Ospizio Cronici locale.
Commiato
A mente fredda, leggendo le ricomposte
pagine di una odissea di guerra ormai
dissolta, mi esce di nuovo quella esclamazione di sconforto emessa durante la
umiliante notte del 23/24 agosto 1944:
“CHI CE L’HA FATTO FARE !”: Scommetto che nessun’altra famiglia fanese
- o d’altre sponde metaurensi - sia andata a finire “caparbiamente-inconsciamente-scalognatamente” a capofitto in
mezzo a tanti guai, così come è avvenuto alla nostra sconnessa maglia di sfollati, nell’altalenante vita, dalla piana alle
‘Ripe’ alle martoriate colline attorno al
vecchio argilloso fiume. In questa “Agonia di paese” c’è stata, forse in positivo,
una mia ritrovata volontà di fare presenza, analisi, cronaca, lungo i tanti giorni
che si sgranavano in un calendario da
tempo paesano, senza il barlume di una
scadenza vicina e rassicurante.
A Richard Llewellyn (1906-1983)
Non dimenticherò il quasi coetaneo
scrittore Richard, innamorato della sua
verde terra gallese e dell’ Umbria giottesca, perché oggi avrò modo di leggere
il suo romanzo “Com’era verde la mia
vallata”.
A Thomas (Tom) Storer
(Tynemouth-Worthgields, 1915 - Fano,
1973)
Ateno Spezi, Fano 1994
.
• L’autore di queste “cronache” con Italo
Pecora - I residuati bellici posti nei “Parchi
di Rimembranze” oggi servono ai radi curiosi
quali tappe fotografiche.
• Richard Llewellyn
La vallata di tutti coloro che se ne son
andati. Simili a quei tanti “andati” della
mia Val Metauro.
Febbraio 1946.
Note parte seconda
• Tom Storer
P.S.: Caro, l’amico pittore Tom Storer,
conosciuto al ‘fronte gotico’ in un locale da me affrescato per gli alleati. Egli
era lassù capitano degli ‘engineers’ inglesi nei momenti cruciali della guerra!.
(*1) Mezio Agostini, compositore e direttore
d’orchestra, era nato da una famiglia di
musicisti. Si diplomò al Liceo Musicale “G.
Rossini” di Pesaro in pianoforte (1893) e
composizione (1894). Risale al 1893 la sua
prima composizione, “Ouverture n.1” per
orchestra. Nel 1897 diresse tutte le recite del
carnevale e della stagione estiva al Teatro
della Fortuna. Nel 1900 fu chiamato da
Mascagni ad insegnare Armonia principale
nel Liceo “G. Rossini”. Scrisse otto opere, 3
sinfonie 3 suites e 15 pezzi vari per orchestra,
6 quartetti per archi, un centinaio di pagine
di musica da camera, due sonate ed una
sinfonia. (c.m.)
(*2) L’ebanista fanese Giuseppe Tacchetti
(c.m.)
Il Giornale di Fano liberata
Bibliografia di primo riferimento
A. Dal Pont, Simonetta Carolini,
L’Italia dissidente e antifascista, La
Pietra, Milano 1981.
G. Perugini, Fano e la seconda guerra
mondiale, Bologna 1949.
N. Ferri, Documenti e riferimenti
sugli ultimi giorni di occupazione
nazista a Fano, in ‘Fano, supplemento
al Notiziario di informazione sui
problemi cittadini del 1981’, Fano 1982.
G. Mari, Guerriglia sull’Appennino,
Urbino 1965.
(*3) Ateno Spezi cita qui tre popolari ed
amati sacerdoti fanesi: don Checco (Francesco
Guerrieri), don Achille (Achille Sanchioni) e
don Guido (Guido Berardi) (c.m.)
E. Capalozza, Un diario fanese:
integrazioni e rettifiche per gli anni
1943 e 1944, Fano, Supplemento al n.
4, 1967, del Notiziario d’informazione
sui problemi cittadini, Fano 1967.
(*4) Mia madre sotterrò (prima di sfollare
non molto lontano, in via Oberdan) nel
giardino della Villa Fiori, ove abitavamo
(la villa di fronte alla caserma Paolini) una
bicicletta Bianchi, una macchina fotografica
ed un cronometro. Quando tornammo dallo
sfollamento non trovammo più niente. (c.m.)
E. Capalozza, Un diario fanese:
integrazioni e rettifiche per gli anni
1943 e 1944, in ‘Fano Supplemento al
Notiziario 1967’ , Fano 1968.
(*5) Fu dato il soprannome “Pippo” ai
ricognitori Alleati, che spesso sganciavano
anche bombe: i disarmati Lysander o i cacciabombardieri Beaufighter oppure i Mosquito.
(c.m.)
(*6) Insieme ai Fuochi della Madonna (notte
dell’8 dicembre) i Fuochi di S. Anna erano
un’antica tradizione popolare contadina che
sopravvive in alcune regioni del sud Italia.
(c.m.)
(*7) Le mine naziste abbatteranno, oltre alla
torre civica, i campanili di San Paterniano,
della Cattedrale, di Santa Maria Nova, di San
Silvestro, di S.Arcangelo, di San Domenico,
il faro, il mastio della Rocca Malatestiana, la
torre di Palazzo Palazzi, la centrale elettrica
della Liscia e un angolo fra il Corso e la
Piazza (c.m.)
(*8) Nello stemma civico di Varsavia c’è una
sirena armata di spada e scudo (c.m.)
(*9) Secondo lo storico fanese Giuseppe
Perugini morirono più fanesi in incidenti
stradali che per bombardamenti o mine (c.m.)
(*10) Gustavo Marini (“Barzilai”) diventerà
un ottimo maestro carrista (c.m.)
L. Santini, I cattolici nella resistenza,
tesi di laurea, Università degli Studi di
Urbino,1972.
V. Paolucci, La Repubblica Sociale
nelle Marche, Urbino 1973.
AA.VV., Fano, Notiziario di
informazione sui problemi cittadini,
maggio-agosto 1974, anno 10, n.
3 (Numero speciale dedicato al 30o
anniversario della Liberazione di Fano).
E. Capalozza, Dettagli di revisione
critica sulla storiografia della
Resistenza a Fano, in ‘Fano
Supplemento al n. 5, 1974 del Notiziario
di informazione sui problemi cittadini’,
Fano 1975.
AA.VV. Pesaro e Urbino dall’Unità
alla Resistenza, Urbino 1975.
Provincia di Pesaro e Urbino, Anpi
Provinciale, La 5a Brigata Garibaldi
“Pesaro”, Pesaro 1980.
(*11) In realtà quello che fu il primo
bombardamento Alleato su Ancona avvenne
non il 14 ma il 16 ottobre 1942. Il rifugio, che
era in via Birarelli, fu invece colpito il 1°
novembre 1943 e vi morirono 724 persone fra
le quali molti ospiti di un vicino orfanotrofio
(c.m.)
A. Boldrini, Enciclopedia della
Resistenza, Bologna 1980.
(*12) Richard Llewellyn fu un famoso
scrittore. Dal suo romanzo “Com’era verde la
mia valle” venne tratto un noto film (c.m.)
AA.VV., Pesaro Urbino, dal Metauro
alla Linea Gotica, Periodico della
Provincia di Pesaro e Urbino, n. 8, 1981.
C. Moscioni Negri, Linea Gotica,
l’Arciere Cuneo 1980.
B. Puglielli (a cura), Cos’è stata la
Resistenza, dalla caduta del fascismo
alla Costituzione repubblicana, Roma
1982.
AA.VV., La provincia di Pesaro e
Urbino nel regime fascista, Il Lavoro
editoriale, Ancona 1986.
S. Presti, Leda Antinori eroica
staffetta partigiana, in ‘Memoria viva’,
Pesaro, n. 2, 1994.
Indice
• Il Giornale di Fano liberata
6 Prefazione/Paolo Giannotti
8 Le piccole città tra presente
e passato/Mario Omiccioli
11 Le radici e l’avvio della seconda guerra
mondiale
15 Fano nella Guerra
e dopo l’8 settembre 1943
23 L’attraversamento alleato del Metauro
e l’’attacco alla Linea Gotica
27 La Resistenza a Fano/Elmo Santini
33 Bruno Venturini
35 La strage dei Campanili/Nino Ferri
Sul filo della memoria
G. Mazzanti, Dalle vie del cielo a
quelle della città, Fano nella guerra
1939/45, Fano 1995.
N. Ferri, La torre civica: infamia e
resurrezione, in ‘Nuovi studi fanesi’, n.
10, Fano 1995.
C. Venturoli, La violenza taciuta.
Percorsi di ricerca sugli abusi
sessuali fra il passaggio e l’arrestarsi
del fronte, in D. Gagliani, ‘Donne
guerra politica. Esperienze e memorie
della Resistenza’, CLUEB, Bologna
2000.
E. Volpini, Era una pianta fertile e
ghiaiosa. Memorie di un ventennio
difficile (1926-47), Falconara 2004.
A. Deli, I merli di Fano, a cura di
E. Uguccioni, Fondazione Cassa di
Risparmio di Fano, Fano 2008.
39 Ricordi di ragazzo/Franco Battistelli
41 En avemi più paura/Bianca Zandri
42 Lo stridìo dei rondoni sulla torre
che non c’era più/Antonio G. Casanova
Antologia minima
Scritti di:
44 Aldo Deli
50 Angelo Sferrazza
52 Mario Omiccioli
53 Valerio Volpini
56 Marco Ferri
57 La guerra sul corpo delle donne
58 Giuseppe Perugini
• Agonia di paese
R. Giacomini, Ribelli e partigiani. La
Resistenza nelle Marche 1943-1944,
Affinità elettive, Ancona 2008
63 Prefazione/Carlo Moscelli
G. Mandolini, I frati minori nelle
Marche, il passaggio del Fronte, la
Resistenza, gli sfollati, gli Ebrei, BM
Grafica, Osimo 2014.
94 Bibliografia di Fano liberata
64 Agonia di paese
Diario di guerra di Ateno Spezi
94
95
Finito di stampare
per conto della
Fondazione Cassa di Risparmio di Fano
nel mese di Settembre 2014
presso le
Arti Grafiche Stibu di Urbania
Fly UP