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pubblico/privato
PUBBLICO/PRIVATO* Qualche anno fa si aprì una discussione accanita fra studiosi sul significato de “Il Grande Fratello”, il fortunato format televisivo rapidamente diffusosi a livello globale. Il dibattito divenne subito anche etico e ci si divise, come al solito, fra “apocalittici” e “integrati”: fra quanti vedevano nella trasmissione un esempio dell’inarrestabile declino culturale dell’Occidente e quanti, invece, vi scorgevano, non si sa bene come, inedite possibilità espressive. Gli uni e gli altri non avevano considerato che la nostra società assimila tutto, si abitua al nuovo e lo considera già vecchio e superato in men che non si dica. Oggi GF è un format in crisi di audience, ovunque. Alcuni elementi emersi in quel dibattito restano però validi: in particolare la notazione che ai nostri tempi ogni barriera fra ciò che siamo e ciò che appariamo, fra essere e immagine pubblica, sia ormai del tutto (o quasi) scomparsa. È il fenomeno della pubblicizzazione o politicizzazione del privato, la messa in scena che la società capitalistica fa del suo modo di declinare un fortunato slogan del Sessantotto: “Il privato è pubblico”. Certo, i rivoluzionari di allora avevano altre idee per la testa. Ma tant’è. Il capitalismo consumistico prende tutto, ovunque, e tutto trasforma: la vera “rivoluzione permanente” di cui parlava il buon Trotski. Infatti è “capitalistica” quella rivoluzione sessuale (o dei corpi) cui pure quei contestatori anelavano. Oggi le donne vanno in giro discinte, ma il nudo non viene messo in mostra in modo naturale: tutto è accuratamente conforme ai dettami di Sua Maestà la Moda. Qualche anno fa era moda mostrare la biancheria intima che spuntava dai vestiti, tutti rigorosamente a vita bassa. Si trattava però di biancheria con la griffe bene in vista e a tono con il colore del top. Quasi una metafora del nostro tempo e del nostro tema: l’intimo si faceva pubblico e il pubblico, i vestiti, si ritiravano; il sotto diventava il sopra. Ma è solo un aspetto della questione. Vale anche l’inverso: mentre il privato si pubblicizza, il pubblico e la politica si privatizzano. Non solo perché i politici hanno spesso buoni affari privati da tutelare o da concludere; anche nel senso che le campagne elettorali si giocano sui messaggi soprattutto fisici che i candidati riescono a trasmettere attraverso i media. Giuliano Ferrara, che non è sospettabile né di antiberlusconismo né di antiamericanismo, ha definito Sarah Palin una Brambilla (nel senso di Vittoria) americana: un mix di vicinanza alla gente (leggi: incompetenza politica), attaccamento ai sacri valori (Dio, Patria e Famiglia) e avvenenza fisica (per bucare lo schermo). Altro esempio: se in passato il politico poteva essere un grande statista e in privato (purché non desse scandalo) un puttaniere, oggi egli viene giudicato prima di tutto per la sua vita privata, anche illegalmente intercettata. La privacy non è più un valore: la democrazia esige un’accecante trasparenza. Ecco il punto. La distinzione fra pubblico e privato è un fatto storico, non strutturale: il privato è invenzione della modernità, coincide con lo spazio dell’individuo. Il liberalismo, che della modernità è il frutto migliore, si fonda su una certa quota di segretezza; sul fatto che quanto vale per il foro interiore non abbia peso nel pubblico agone. Se la modernità è alla fine, le alternative sono solo due: o muore anche il liberalismo; o la teoria ha il coraggio di rispondere alla sfida del cambiamento ridefinendosi. AAA. Cercasi studiosi di buona volontà per questo secondo compito, immane ma vitale. Bibliografia minima: H. Arendt, Vita activa. La condizione umana (1958), Bompiani, Milano 1994 A. O. Hirschman, Felicità privata e felicità pubblica (1982), Il Mulino, Bologna 1983. M. Iacub, Dal buco della serratura. Una storia del pudore pubblico dal XIX al XXI secolo (2008), a cura di G. Durante, Dedalo, Bari 2009. R. Sennett, Il declino dell’uomo pubblico (1974), Bruno Mondadori, Milano 2006 A. Tonelli, Stato spettacolo. Pubblico e privato dagli anni ’80 a oggi, Bruno Mondadori, Milano 2010. * Questa è una delle 15 voci da me scritte per il volume: Le parole del tempo. Repertorio della Seconda Modernità, a cura di Pierfranco Pellizzetti, che Manifestolibri pubblicherà prossimamente (autori, oltre a me e a Pellizzetti, Mauro Barberis, Alessandro Dal Lago e Michele Marchesiello). Le altre mie voci sono: biopolitica; complessità; disincanto, evoluzione; igiene verbale; individuo; istruzione; laicità; modernità; riconoscimento; riformismo; secolarismo; sostenibilità; Stato.