“valore normale” tra imposte sui redditi e imposta di registro
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“valore normale” tra imposte sui redditi e imposta di registro
Luiss Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli CERADI Centro di ricerca per il diritto d’impresa Il dualismo “corrispettivo” – “valore normale” tra imposte sui redditi e imposta di registro Federico Rasi [novembre 2006] © Luiss Guido Carli. La riproduzione è autorizzata con indicazione della fonte o come altrimenti specificato. Qualora sia richiesta un’autorizzazione preliminare per la riproduzione o l’impiego di informazioni testuali e multimediali, tale autorizzazione annulla e sostituisce quella generale di cui sopra, indicando esplicitamente ogni altra restrizione (*) SOMMARIO: 1. Il caso all’attenzione della Corte di Cassazione nella sentenza 8 agosto 2005, n. 16700 – 2. Il ruolo svolto dalla nozione di valore venale in comune commercio nel sistema dell’imposta di registro – 3. Il ruolo svolto dalla nozione di valore normale nel sistema delle imposte dirette – 4. Il ruolo svolto dalla nozione di valore normale nel sistema dell’accertamento – 5. Considerazioni conclusive. 1. Il caso all’attenzione della Corte di Cassazione nella sentenza 8 agosto 2005, n. 16700. – La controversia in esame trae origine da un avviso di accertamento relativo all'IRPEF e all'ILOR, in cui viene contestato al contribuente, tra l’altro, l’ammontare di una plusvalenza conseguita a seguito della cessione di un capannone, ponendo a sostegno della rettifica una stima dell’Ufficio Tecnico Erariale nella quale viene accertata una sensibile differenza tra il corrispettivo dichiarato ed il valore venale del bene ceduto. Su tale punto di diritto, i giudici di merito respingono il ricorso del contribuente, che si rivolge così alla Cassazione, lamentando la violazione degli artt. 52 e 54 (ora artt. 56 e 86), d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (t.u.i.r.), relativamente alle modalità di quantificazione della plusvalenza, avendo l'Ufficio applicato ad una fattispecie relativa all'accertamento dell'imposta sul reddito principi validi per l'imposta di registro. La Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso del contribuente, richiama la sua più recente giurisprudenza (1), puntualizzando che i principi (*) Il presente lavoro è stato pubblicato in Giurisprudenza Italiana, n. 8/9, 2006, pag. 1761. La sentenza commentata si trova in calce al presente contributo. (1) In passato, la Cassazione, sulla base di un’asserita presunzione di corrispondenza tra il corrispettivo della cessione di un bene ed il suo valore di mercato, aveva consentito agli Uffici di ricostruire induttivamente il reddito dei contribuenti avvalendosi delle valutazioni operate ai fini dell’imposta di registro. Cfr.: Cass., sent. 15 marzo 1990, n. 2114, in Foro it. Rep. 1990, voce Tributi in genere, n. 521; Cass., sent. 14 marzo 1990, n. 2101, in Foro it. Rep. 1990, voce Ricchezza mobile, n. 34; Cass., sent. 20 novembre 2001, n. 14581, in Foro it. Mass., 1158; Cass., sent. 6 novembre 2000, n. 14448, in Foro it. Rep. 2000, voce Tributi in genere, n. 1170; Cass., sent. 15 marzo 1990, n. 2113, in Foro it. Rep. 1990, voce cit., n. 581; Cass., sent. 1° agosto 1986, n. relativi alla determinazione del valore di un bene sono diversi a seconda dell'imposta che si deve applicare: se si tratta di imposta di registro, è al valore di mercato del bene che occorre riferirsi, mentre quando si discute, come nella specie, di una plusvalenza realizzata nell'ambito del reddito di impresa, si deve prendere in considerazione il prezzo di cessione dichiarato dalle parti. Corrispettivo pattuito e valore normale di un bene, pur potendo, infatti, dal punto di vista quantitativo, coincidere, differiscono da quello qualitativo, in quanto registrano fenomeni differenti. Per valore venale si intende il valore di scambio di un bene derivante dall’interazione della domanda e dell’offerta in una libera contrattazione di mercato, il quale può non corrispondere al prezzo di acquisto (2). Esso è un parametro di valutazione di un bene tendenzialmente oggettivo dipendente solo da qualità intrinseche del bene stesso; il prezzo, invece, benché naturalmente influenzato dal valore oggettivo del bene, è un parametro per sua natura soggettivo legato alla volontà, alle esigenze e a circostanze individuali proprie delle parti contraenti (3). Ne consegue che, in assenza di un’espressa previsione legislativa, tali due valori non sono intercambiabili (4). Pertanto, le valutazioni effettuate dall'Ufficio Tecnico Erariale, prosegue la Cassazione, “non possono ... rappresentare da sole elementi sufficienti per giustificare una rettifica in contrasto con le risultanze contabili, ma possono ... essere vagliate nel contesto della situazione contabile ed economica dell'impresa e, ove concorrano con altre indicazioni documentali o presuntive precise e concordanti, possono costituire elementi validi 4914, in Foro it., 1987, I, 495. La giurisprudenza di merito, invece, sin da allora, aveva escluso che il valore di cessione di un bene ai fini dell’imposta di registro potesse esplicare efficacia automatica agli effetti delle imposte sui redditi. Cfr. Comm. trib. Centrale, sent. 18 aprile 1996, n. 1732, in Foro it. Rep., 1996, voce Redditi (imposte), n. 485; Comm. trib. Centrale, sent. 6 ottobre 1998, n. 4717, in Foro it. Rep. 1999, voce Redditi (imposte), n. 379; nel senso che il valore venale accertato ai fini dell’imposta di registro può avere solo carattere indicativo, Comm. trib. Centrale, sent. 5 luglio 1990, n. 5016, in Foro it. Rep. 1990, voce cit., n. 328. (2) A. URICCHIO, L’accertamento di valore nel nuovo Testo Unico dell’imposta di registro, in Dir. prat. trib., 1987, pag. 1267; ID. Commento all’art. 51, d.P.R. n. 131 del 26 aprile 1986, in La nuova disciplina dell’imposta di registro, a cura di N. D’Amati, Torino, 1989, pag. 314. (3) Per le problematiche che pone l’espressione “valore normale” in quanto semanticamente vaga v. G. MELIS, L’interpretazione nel diritto tributario, Padova, 2003, pag. 111 ss. (4) M. MANENTE, Trasferimenti immobiliari: il problema del prezzo-valore. Un’occasione persa (nota a Cass., sent. 9 settembre 2004, n. 18150), in Il Fisco, 2005, pag. 4062. per la determinazione dei redditi da accertare" (5). Nel caso in esame, invece, l’Ufficio, oltre all’indicazione del valore venale del bene ceduto, non ha utilizzato altri elementi per far fondatamente ritenere che la contabilità formalmente regolare tenuta dal contribuente fosse, in realtà, inattendibile e che il corrispettivo ricavato fosse diverso da quello denunziato, così da giustificare una differente determinazione della plusvalenza. Il percorso logico utilizzato dalla Corte di Cassazione per giungere a tali conclusioni muove dall’analisi del ruolo svolto dalla nozione di “valore venale” nei differenti sistemi impositivi (in particolare, nell’imposta di registro o nelle imposte dirette) (6), sicché è su di esso che dovremo soffermare la nostra attenzione. 2. Il ruolo svolto dalla nozione di valore venale in comune commercio nel sistema dell’imposta di registro. – Come noto, ai fini dell’imposta di registro, la base imponibile si determina ai sensi del combinato disposto degli artt. 43 e 51, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, c.d. Testo unico dell’imposta di registro. In particolare, l’art. 43 prevede che per i contratti a titolo oneroso traslativi o costitutivi di diritti reali, la base imponibile è costituita dal “valore” del bene o del diritto, mentre l’art. 51 offre la definizione di valore, precisando che tale è “quello dichiarato dalle parti nell'atto” (comma 1), salvo che per gli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari, dove “... si intende per valore il valore venale in comune commercio" (comma 2). Come chiarito dalla dottrina (7) e dalla prevalente giurisprudenza (8), ciò che rileva ai fini dell’imposta di registro è il corrispettivo dichiarato dalle parti. La dichiarazione delle parti contraenti in un atto sottoposto a registrazione è, infatti, il punto incontrovertibile cui deve ancorarsi il tributo. Neppure il riferimento al valore venale in comune commercio di cui (5) Cosi anche Cass., sent. 6 novembre 2000, n. 14448, in Il Fisco, 2001, pag. 3613 con nota di A. BUSCEMA, Art. 54 del Tuir: il valore venale può costituire presunzione?; Cass., sent. 16 maggio 2003, n. 7689, in Giur. imp., 2003, p. 1434. (6) P. BORIA, Riflessioni sul concetto di valore normale nella sistematica delle imposte dirette, in Riv. Guardia di Finanza, 1992, pag. 681. (7) A. URICCHIO, Commento all’art. 51, d.P.R. n. 131 del 26 aprile 1986, cit., pag. 314; F. CASTELLI, Il valore venale dell’immobile determina la base imponibile (nota a Cass., sent. 9 settembre 2004, n. 18150), in Corr. trib., 2004, pag. 3725. (8) Cass., sent. 9 settembre 2004, n. 18150. al comma 2 autorizza a prescindere dal prezzo indicato in contratto. La conferma di tale conclusione si trova nel successivo comma 3 dell’art. 51, secondo cui per gli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari l'Ufficio del registro, ai fini dell'eventuale rettifica, “controlla il valore di cui al comma 1”, cioè il valore dichiarato dalle parti. Anche il successivo art. 52 ribadisce che l’Ufficio procede ad accertamento soltanto ove ritenga che i beni o i diritti di cui al comma 3 dell’art. 51 hanno un valore venale superiore “al valore dichiarato o al corrispettivo pattuito” (9). Il giudizio di congruità che deve effettuare l’Ufficio si esplica, quindi, sul valore dichiarato ai sensi del comma 1, allo scopo di verificare se lo stesso sia almeno pari a quello di mercato, secondo quanto stabilito dal comma 2 (10). La base imponibile dell’imposta di registro è, perciò, data dal corrispettivo dichiarato dalle parti che, in caso di trasferimento di beni immobili, non può essere inferiore al valore venale del bene medesimo. L'attività di controllo svolta dagli Uffici sugli atti sottoposti a registrazione è, in definitiva, finalizzata a ricercare il "giusto valore di mercato" dei beni che formano oggetto di trasferimento (11). Pertanto il corrispettivo dichiarato in atto è suscettibile di controllo da parte dell'ufficio finanziario competente soltanto ove non lo ritenga coincidente con il "valore in comune commercio" praticato nel luogo di ubicazione del bene. Lo stesso d.P.R. n. 131 del 1986, nell’attribuire tale potere, limita peraltro il suo stesso esercizio, stabilendo che non sono sottoposti a rettifica i valori o i corrispettivi degli immobili iscritti in catasto non inferiori a quelli ottenuti moltiplicando il reddito dominicale o il reddito dei fabbricati rivalutato per determinati coefficienti (si tratta del c.d. “criterio di valutazione automatica” di cui all’art. 52, co. 4, d.P.R. n. 131 del 1986) (12). Tale principio, rappresentando esclusivamente un limite posto all’attività accertatrice degli Uffici, non introduce tuttavia una deroga agli illustrati criteri di (9) L’art. 51, co. 3, d.P.R. n. 131 del 1986 stabilisce che l'Ufficio del registro deve provvedere a controllare il “valore di cui al comma 1” avendo riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell'atto o a quella in cui se ne produce l'effetto traslativo o costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni, ovvero al reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente applicato alla detta data e nella stessa località per gli investimenti immobiliari, nonché ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai comuni. (10) F. CASTELLI, Il valore venale dell’immobile determina la base imponibile (nota a Cass., sent. 9 settembre 2004, n. 18150), cit., pag. 3725. (11) F. P. D’ORSOGNA, Quale la base imponibile, ai fini, dell’imposta di registro, nei trasferimenti immobiliari? Il valore catastale non equivale a quello di mercato (nota a Cass., sent. 9 settembre 2004, n. 18150), in Il Fisco, 2004, pag. 7429. (12) Occorre inoltre precisare che l’indicazione di un importo calcolato secondo il predetto metodo, se differente dall’effettivo corrispettivo pattuito dalle parti, non esclude accertamenti ai fini delle imposte dirette o dell’imposta sul valore aggiunto. determinazione della base imponibile e alla rilevanza attribuita al corrispettivo pattuito dalle parti in caso di trasferimenti immobiliari (13). Nel sistema dell’imposta di registro, in conclusione, il criterio del corrispettivo pattuito e quello del valore venale concorrono su di un piano paritetico alla determinazione del reddito imponibile degli atti aventi per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari, sicché eventuali scostamenti del primo rispetto al secondo (rettificato secondo il criterio di valutazione automatica) legittimano l’attivazione di procedure di accertamento e costituiscono “prova diretta” di un’eventuale evasione. 3. Il ruolo svolto dalla nozione di valore normale nel sistema delle imposte dirette. – Nel sistema delle imposte dirette, il legislatore tributario ha invece individuato nel corrispettivo pattuito tra le parti il parametro fondamentale per la determinazione del reddito (14); tuttavia, in talune ipotesi, ha ritenuto doversi fare ricorso a criteri differenti e, in particolare, a quello del “valore normale”. L’art. 9, t.u.i.r. precisa che per valore normale si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Esso è utilizzato per la quantificazione dei componenti reddituali quando sono espressi in natura o quando risulta del tutto assente l’indicazione di un corrispettivo. Così devono essere valorizzate al valore normale, a titolo di esempio, le cessioni di beni o le prestazioni di servizi effettuate a titolo gratuito, la destinazione di beni o servizi all'uso privato dell'imprenditore o comunque a finalità estranee all'esercizio di impresa. Il criterio del valore normale, previsto ai soli fini della determinazione del trattamento fiscale di qualunque componente reddituale non monetizzato (13) Corte cost., sent. 26 ottobre 1995, n. 463; A. URICCHIO, Commento all’art. 52, d.P.R. n. 131 del 26 aprile 1986, in La nuova disciplina dell’imposta di registro, a cura di N. D’Amati, Torino, 1989, pag. 321. Per le problematiche inerenti l’accertamento nell’imposta di registro cfr. A. FEDELE, Le presunzioni nella disciplina delle imposte di registro e sull’incremento di valore degli immobili, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1985, pag. 547. (14) A. RENDA e G. STANCATI, Vincolanti i valori definiti per l’imposta di registro ai fini delle imposte sui redditi (nota a Cass., sent. 22 marzo 2002, n. 4117), in Corr. trib., 2002, pag. 2362. (15), riveste come tale una posizione subordinata rispetto al criterio del corrispettivo. In alcune ipotesi tale rapporto è, però, rovesciato; infatti, il legislatore, pur in presenza di un corrispettivo pattuito tra le parti, ha talvolta imposto di quantificare un’operazione al valore normale piuttosto che al corrispettivo, anche se pattuito e dichiarato dalle parti. Tale ribaltamento di prospettiva opera, ad esempio, in tema di transfer pricing internazionale o in caso di cessione di contratti di locazione finanziaria (16), come tutela verso eventuali abusi a cui si presterebbe il ricorso al principio del corrispettivo (17). Nel sistema del t.u.i.r., il criterio del corrispettivo pattuito e quello del valore normale del bene sono, quindi, dotati di differenti ambiti applicativi: il principio del valore obiettivo di scambio ha valenza generale e ad esso è consentito derogare soltanto in presenza di giustificati motivi quali il perseguimento di finalità antievasive e/o antielusive (18). Si tratta di casi eccezionali (19) tassativamente predeterminati dal legislatore (20); diversamente, (15) L. CARPENTIERI, Redditi in natura e valore normale nelle imposte sui redditi, Milano, 1997, pag. 17. (16) L'art. 110, comma 7, t.u.i.r. consente all’Amministrazione finanziaria di sostituire al prezzo il valore normale dei beni oggetto del trasferimento in presenza di transazioni tra imprese estere così da evitare che i rapporti tra società residenti e non divengano il mezzo per effettuare dei trasferimenti elusivi di materia imponibile fra società del gruppo con l'obiettivo di minimizzare il carico fiscale complessivo. Attraverso l’art. 88, comma 5, t.u.i.r., invece, l’ordinamento mira a contrastare la prassi di cedere il contratto di leasing ad un corrispettivo dichiarato corrispondente alla somma delle rate ancora da pagare e del prezzo di riscatto, consentendo così al cedente di occultare parte del corrispettivo effettivo dopo aver recuperato il costo iniziale del bene attraverso la precedente deduzione dei canoni. Per le problematiche inerenti all’utilizzo del valore normale in sede di determinazione di singoli elementi reddituali, amplius L. CARPENTIERI, Redditi in natura e valore normale nelle imposte sui redditi, cit., pag. 203 (17) D. STEVANATO, Rettifiche dei corrispettivi intragruppo e transfer pricing interno (nota a Comm. Trib. Prov. Milano , sent. 28 ottobre 1997, n. 577), in Rass. trib., 1999, pag. 236; F. TESAURO, Esegesi delle regole generali sul calcolo del reddito d’impresa, in AA.VV., Commentario al Testo unico delle imposte sui redditi ed altri scritti. Studi in onore di Granelli A.E., Roma - Milano, 1990, pag. 217. 206. (18) L. CARPENTIERI, Redditi in natura e valore normale nelle imposte sui redditi, cit., pag. (19) F. GALLO, Limiti e caratteristiche degli acquisti con prevalente finalità fiscale, in Acquisizioni di società e pacchetti azionari di riferimento, a cura di F. Bonelli e M. De Andrè, Milano, 1990, pag. 334; L. CARPENTIERI, Redditi in natura e valore normale nelle imposte sui redditi, cit., pag. 197; G. SEPIO, Limiti all’efficacia dell’accertamento tributario tra valore venale dei beni e corrispettivo pattuito (nota a Cass., sent. 22 marzo 2002, n. 4117), in Rass. trib., 2002, pag. 1357; R. LUPI, Valore normale, interposizione e dintorni: in che limiti gli uffici possono sindacare le scelte di impresa?, in Rass. trib., 1997, pag. 1664; B. BENAZZI, Sulla rilevanza delle stime UTE al fine di rettifica dei ricavi d’impresa (nota a Comm. trib. centr., sent. 12 giugno 1991, n. 4714), in Dir. prat. trib. 1993, pag. 714; C. SCALINCI, “Rilevanza fiscale” del corrispettivo contrattuale ed accertamento contabile analitico induttivo (Nota a Cass., sent. 22 maggio 2002 – 14 gennaio 2003, n. 398), in Riv. dir. trib., 2003, II, pag. 504. si verrebbero a sostituire con regole empiriche le basi giuridiche e costituzionali su cui poggia la qualificazione della base imponibile fiscalmente rilevante (21). L’applicazione generalizzata del criterio del valore normale rischierebbe di sottoporre ad imposizione un reddito nominale e non il reddito effettivo (22). Il valore normale non è, infatti, altro che un principio di “medietà” che lascia all’interprete diversi profili di discrezionalità sulla concreta determinazione del prezzo di mercato (23). L’Amministrazione finanziaria non può quindi utilizzare una discrepanza tra corrispettivo dichiarato e valore normale di un bene quale “prova diretta” di un’evasione (24); le norme del t.u.i.r. escludono che si possa (20) Nel t.u.i.r, il valore normale sostituisce il valore obiettivo di scambio all’art. 9, comma 2, all’art. 85, comma 2, all’art. 86, comma 1, lettera c), all’art. 88, comma 5, all’art. 110, comma 7, ed all’art. 160, comma 2, t.u.i.r.. (21) G. TINELLI, Il principio di inerenza nella determinazione del reddito di impresa, in Riv. dir. trib., 2002, pag. 462; A. FEDELE, I principi costituzionali e l’’accertamento tributario, in Riv. dir. trib., 1996, pag. 241. (22) F. GALLO, Il dilemma reddito normale o reddito effettivo: il ruolo dell’accertamento induttivo, in Rass. trib., 1989, pag. 459 ss. (23) M FORMENTIN, L’utilizzo del “valore normale” in sede di rettifica dei corrispettivi contrattuali ai fini dell’IVA e delle imposte sui redditi, in Riv. dir. trib., 2001, pag. 173; L. TOSI, Le predeterminazioni normative nell’imposizione reddituale, Contributo alla trattazione sistematica dell’imposizione su basi forfettarie, Milano, 1999, pag. 277; G. RUSSO, Transfer pricing interno, valore normale e deducibilità delle componenti negative di reddito (nota a Cass, sent. 24 luglio 2002, n. 10802), in Riv. dir. trib., 2003, pag. 379. (24) Gli Uffici, erroneamente, hanno talora fatto ricorso al criterio del valore normale per sindacare, da un punto di vista quantitativo, l’economicità delle scelte economiche effettuate dall’imprenditore. Come noto, si tratta del problema della dimensione quantitativa dell’inerenza dei componenti reddituali. L’inerenza è una regola generale dell’imposizione sul reddito che consente di analizzare il collegamento di un componente economico ad un’attività e non ad un soggetto, in modo da giungere alla corretta valutazione dei risultati di tale attività, indipendentemente dai condizionamenti derivanti dalla riferibilità di tale attività ad un soggetto (per tutti G. TINELLI, Il principio di inerenza nella determinazione del reddito di impresa, cit., pag. 450 e 466; A. FANTOZZI, Sindacabilità delle scelte imprenditoriali e funzione nomofilattica della Cassazione, in Riv. dir. trib., 2003, II, pag. 556). L’inerenza è una “qualità” di un componente reddituale che deve essere riconosciuta ogniqualvolta un atto sia compiuto dall’imprenditore nell’esercizio di impresa. La valutazione della congruità dell’ammontare di un componente reddituale si pone, invece, su di un piano diverso: concerne il rapporto tra tale valore e il risultato concretamente perseguito. Cfr. E. MARELLO, Involuzione del principio di inerenza, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2002, pag. 500; G. VANZ, “Vendita con dote” di partecipazione di società in crisi: destinazione di beni a finalità ricorrere al valore normale ai fini della sua automatica sostituzione con il corrispettivo pattuito. In definitiva, nel sistema delle imposte dirette, viene tutelato il principio dell’intangibilità dell’autonomia contrattuale (25), attribuendo all’Amministrazione finanziaria il compito di controllare il corretto adempimento dell'obbligazione tributaria e tutelare gli interessi dell'Erario, senza disconoscere sul piano fiscale diritti costituzionalmente garantiti, quale quello della libera determinazione delle scelte economiche dei privati. 4. Il ruolo svolto dalla nozione di valore normale nel sistema dell’accertamento. Tuttavia, il ricorso ai criteri di normalità è possibile nella fase successiva di accertamento, qualora si utilizzino gli strumenti presuntivi di cui all'art. 39 (commi 1 e 2), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (26). Il legislatore non ha, infatti, sottovalutato il fatto che dichiarare un corrispettivo sensibilmente inferiore al valore normale di un bene possa essere sintomo di eventuali anomalie, sicché ha previsto che, nel rispetto di talune condizioni, tale circostanza possa valere quale “prova indiretta” (27) di un’eventuale evasione o elusione (28). La discrepanza tra corrispettivo e valore normale deve, di norma, estranee all’esercizio di impresa? (nota a Comm. reg. Torino, sent. 9 maggio 2000, n. 11), in Rass. trib., 2001, pag. 1724. (25) F. GALLO, Limiti e caratteristiche degli acquisti con prevalente finalità fiscale, cit., pag. 340. (26) F. MOSCHETTI, La proposta di tassazione del reddito normale: valutazioni critiche e profili di illegittimità costituzionale, in Rass. trib., 1990, pag. 57. (27) N. DOLFIN, Sulla rilevanza probatoria della perizia dell’Ufficio tecnico erariale ai fini della rettifica dei ricavi d’impresa (nota a Cass., sent. 13 ottobre 1986, n. 1479), in Rass. trib. 1987, pag. 646. (28) Come noto, l’elusione consiste nell'aggiramento, sovente tramite l'abuso di forme negoziali nominate anche combinate tra loro, di regimi fiscali tipici, ossia di quel trattamento impositivo al quale il contribuente sarebbe andato soggetto se avesse adoperato gli strumenti negoziali fisiologici per la composizione di un determinato assetto di interessi e non avesse fatto ricorso ad un'operazione al solo fine di ottenere un vantaggio fiscale. In particolare, e più precisamente, i comportamenti elusivi sono sintetizzabili in due fondamentali categorie: a) quella del ricorso a figure negoziali che consentono di raggiungere un determinato risultato economico attraverso una scansione contrattuale insolita od inutilmente complessa ed articolata rispetto agli strumenti tipici a disposizione del contribuente per perseguire i medesimi effetti economici; considerarsi sintomo di un’evasione: all’Amministrazione finanziaria si pone, infatti, come nel caso oggetto della sentenza in esame, il problema di dimostrare una simulazione parziale del prezzo, non già quello di “riqualificare” uno o più negozi collegati tra loro posti in essere con esclusive o prevalenti finalità fiscali (29). Per accertare la sussistenza di un’attività volta all’occultamento di un presupposto di imposta già realizzato, gli Uffici si avvalgono dello strumento dell’accertamento analitico – induttivo (30). Ai sensi dell’art. 39, co. 1, lett. d), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, gli Uffici procedono a rideterminare analiticamente il reddito quando eventuali incompletezze, falsità o inesattezze degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risultano dall'ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui agli artt. 32 e 33, d.P.R. n. 600 del 1973, oppure quando l'esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti (31). b) l'altra consistente nel procedere ad un'operazione, preordinata ad ottenere un vantaggio fiscale, che si pone in palese contrasto con la funzione tipica dell'istituto giuridico nel quale essa si inquadra. F. GALLO, Brevi spunti in tema di elusione e frode alla legge (nel reddito di impresa), in Rass. trib., 1989, pag. 11; P. RUSSO, Brevi note in tema di disposizioni antielusive, in Rass. trib., 1999, pag. 68; P. PACITTO, Attività negoziale, evasione ed elusione tributaria: spunti problematici, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1987, pag. 726; P. PICCONE FERRAROTTI, Riflessioni sulla norma antielusiva introdotta dall’art. 7 del D.Lgs. n. 358/1997, in Rass. trib., 1997, pag. 1152. (29) F. GALLO, Limiti e caratteristiche degli acquisti con prevalente finalità fiscale, cit., pag. 342. (30) L. CARPENTIERI, Redditi in natura e valore normale nelle imposte sui redditi, cit., pag. 211; R. LUPI, Metodi induttivi e presunzioni nell’accertamento tributario, Milano, 1988, pag. 226; F. GALLO, Limiti e caratteristiche degli acquisti con prevalente finalità fiscale, cit., pag. 3336; G. M. CIPOLLA, La prova tra procedimento e processo tributario, Padova, 2005, pag. 499; C. LAZZERI, Elusione, evasione o legittima espressione di autonomia contrattuale (nota a Trib. Rieti, sent. 30 novembre 1999), in Rass. trib., 2000, pag. 1330. (31) Questo tipo di accertamento opera in presenza di scritture contabili regolarmente tenute dal punto di vista formale, ma affette da incompletezze, inesattezze ed infedeltà tali da giustificare, in presenza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni qualificate, l’uso del potere di rettifica. A. FANTOZZI, Accertamento tributario, in Enc. Giur., vol. I, Roma. 1988, pag. 1ss.; ID, I presupposti dell’accertamento sintetico e induttivo, in Riv. not., 1977, pag. 887 ss.; R. LUPI, Metodi induttivi e presunzioni nell’accertamento tributario, cit., pag.198; ID., Il disconoscimento della contabilità regolare ma irragionevole: alla scoperta dell’ovvio, in Rass. trib., 1995, pag. 1689; G. M. CIPOLLA, La prova tra procedimento e processo tributario, cit., pag. 407. In giurisprudenza, v. Cass., Come noto, le presunzioni agevolano gli Uffici nella fase iniziale della procedura di accertamento (32). Infatti, ai sensi del menzionato art. 39, lett. d), l’Amministrazione Finanziaria, in prima battuta, deve dimostrare sulla base di presunzioni qualificate l’infedeltà del singolo corrispettivo palesato dalle parti (pars destruens), poi, una volta che tale infedeltà risulta sufficientemente dimostrata, procedere a ricostruire le operazioni omesse o infedelmente registrate, di nuovo anche tramite presunzioni o altre prove eventualmente reperite (pars construens) (33). Occorre precisare che si tratta di due dimostrazioni distinte (34) ed il legislatore ha richiesto solo nella fase destruens che le presunzioni utilizzate dall’Ufficio siano qualificate, nulla prevedendo per quelle utilizzabili nella fase construens. Pertanto, si ritiene che per la successiva corretta quantificazione della posta contabile ripresa a tassazione, l’Ufficio potrà avvalersi di presunzioni non qualificate (35). Si considerano qualificate le presunzioni gravi, precise e concordanti. La gravità attiene al grado di continuità logica tra il fatto noto e quello ignoto: è grave l’inferenza presuntiva più attendibile tra le diverse inferenze desumibili dallo stesso fatto. A tal fine è considerato sufficiente dalla giurisprudenza (36) che l’esistenza del fatto ignoto sia desunta con ragionevole certezza, anche sent. 17 aprile 1998, n. 8494 e Cass., sent. 4 marzo 1998, n. 8535, in Rass. trib., 1998, pag. 1671 con nota di A. VIGNOLI, La stima del volume d'affari in base alle caratteristiche aziendali tra primo e secondo comma dell'art. 39 D.P.R. n. 600/1973, nella prima, la Corte ha affermato che la presenza di una contabilità regolare non impedisce l’accertamento analitico-induttivo del maggior reddito complessivo prodotto; nella seconda, ha sottolineato come gli elementi indiziari raccolti ai sensi dell’art. 39, co. 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, abbiano rilevanza duplice, valendo ai fini della dimostrazione sia dell’inattendibilità dei dati contabili, sia della diversa determinazione del reddito. (32) Amplius G. TINELLI, Presunzioni – II) Diritto tributario, in Enc. Giur., vol. XXIV, Roma, 1991, pag. 1; P. RUSSO, Diritto e processo nella teoria dell’obbligazione tributaria, Milano, 1969, pag. 389 ss.; per il loro utilizzo in sede processuale cfr. F. TESAURO, Le presunzioni nel processo tributario, in Le presunzioni in materia triburia, AA. VV., a cura di A. E. Granelli, Rimini, 1987, pag. 39 ss.. (33) R. LUPI, Metodi induttivi e presunzioni nell’accertamento tributario, cit., pag. 217; L. CARPENTIERI, Redditi in natura e valore normale nelle imposte sui redditi, cit., pag. 219 (34) Ancorché esse possano coincidere, in quanto un’identica argomentazione probatoria è sufficientemente attendibile per entrambi i fini. (35) G. M. CIPOLLA, La prova tra procedimento e processo tributario, cit., pag. 444. (36) Cass., sent. 22 marzo 2001, n. 4168. probabilistica. Sono considerati gravi quegli elementi presuntivi oggettivamente ed intrinsecamente consistenti e resistenti alle possibili obiezioni. Il requisito della precisione impone, invece, che i fatti noti da cui muovere il ragionamento probabilistico non siano vaghi, ma ben determinati nella loro realtà storica; per “precisa”, si deve intendere l’inferenza presuntiva più probabile intorno al fatto da provare (37). Sono quindi precisi gli elementi esatti, dotati di specificità, concretezza e non suscettibili di diversa (o più verosimile) interpretazione (38). Con il requisito della concordanza si prescrive, invece, che la prova sia fondata su una pluralità di fatti noti convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto e non smentiti da altri dati ugualmente certi. Essa attiene al significato da attribuire ad una serie di elementi indiziari che presentino, almeno, singolarmente, una soltanto parziale rilevanza positiva. La Corte di Cassazione (39) ha però precisato che “gli elementi assunti a fonte di presunzione, ai sensi dell’art. 2729 c.c., non debbono essere necessariamente più d’uno, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su di un solo elemento – purché grave e preciso – e dovendosi il requisito della “concordanza” ritenere menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi”. Tale indirizzo, rispetto al quale si segnalano peraltro pronunce di segno opposto (40), si fonda sull’interpretazione (37) Cass., sent. 6 agosto 2003, n. 11906. (38) G. M. CIPOLLA, La prova tra procedimento e processo tributario, cit., pag. 447. (39) Cass., sent. 26 marzo 2003, n. 4472; Cass., sent. 3 febbraio 1999, n. 914; Cass., sent. 11 dicembre 1998, n. 12482; Cass., sent. 11 dicembre 1998, n. 12481 con nota critica di A. VOGLINO, Osservazioni sul regime della prova presuntiva nell'accertamento analitico-induttivo dei redditi determinati in base alle scritture contabili, in Boll. trib., 1999, pag. 1151. (40) In altre occasioni (cfr. Cass. sent. 1 giugno 1994, n. 1628; Cass., sent. 3 aprile 1995, n. 9265; Cass., sent. 1° giugno 1994, n. 10850), la Cassazione ha ritenuto che un singolo fatto “non può, proprio perché "solo", valere a dare per vero un fatto ignorato che sia argomentato da esso, e da esso soltanto, non esistendo altri fatti "noti", dalla cui valutazione congiunta pervenire a quello ignorato e da provare”. L'insufficienza del singolo fatto noto a dar fondamento alla prova presuntiva discenderebbe dalla stessa formulazione dell'art. 2729 c.c., che fa riferimento a più presunzioni "concordanti", confermando così che il giudizio critico deve applicarsi ad una valutazione globale dei fatti storicamente verificabili. Tale conclusioni sono state utilizzate dalla Cassazione in materia tributaria in relazione al problema degli accertamenti fondati sulle percentuali di ricarico per affermare che “l’ufficio che procede alla rettifica del reddito di impresa, ai sensi del 1º comma, letterale degli art. 2727 e 2729 c.c., i quali definiscono come presunzioni le conseguenze che possono essere tratte da “un fatto noto”, per risalire ad un fatto ignoto. I più recenti orientamenti giurisprudenziali non esigono che il fatto ignoto sia desumibile da una pluralità di fatti noti, cioè da una pluralità di fonti certe che convergano verso un identico risultato logico-deduttivo, ma ritengono sufficiente anche un unico fatto noto, purché tutti gli aspetti di esso, in assenza di circostanze di valenza contraria, siano chiaramente ed univocamente concordanti sul verificarsi del fatto ignoto. In tale prospettiva, ne deriva che se un singolo elemento è idoneo a fornire una presunzione grave e precisa, non vi sono preclusioni all’utilizzo di quest’unica inferenza induttiva (41). In definitiva, la verifica della sussistenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza è una valutazione che non si può effettuare a priori ed in via astratta, trattandosi di una questione di fatto da risolvere caso per caso secondo i descritti criteri di rilevanza e ammissibilità (42). Questo giudizio è necessario anche qualora l’Ufficio ponga a base della dimostrazione dell’infedeltà del singolo corrispettivo dichiarato il principio del valore normale. Infatti, per quanto concerne il requisito della gravità, benché ad un primo esame possa apparire che il criterio del valore normale sia idoneo a produrre una probabilità sufficiente a far ritenere accertato il fatto ignoto, non si può tralasciare il fatto che il concetto di valore normale richiami già un valore “medio” emergente dalla comparazione e dal raffronto di una molteplicità di corrispettivi pattuiti in relazione a trasferimenti concernenti lett. d), dell’art. 39 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, … non può fornire la prova della omessa contabilizzazione di specifici elementi di reddito e, quindi, della esistenza di attività non dichiarate, in base all’unico dato della difformità della percentuale di ricarico, applicata dal contribuente sul costo del “venduto”, dalla percentuale di ricarico mediamente riscontrata nel settore di appartenenza”. Per un’analisi di tale posizione giurisprudenziale ed ulteriori riferimenti cfr. A. VOGLINO, Osservazioni sul regime della prova presuntiva nell'accertamento analitico-induttivo dei redditi determinati in base alle scritture contabili, cit., pag. 1151. (41) G. M. CIPOLLA, La prova tra procedimento e processo tributario, cit., pag. 449. (42) L. CARPENTIERI, Redditi in natura e valore normale nelle imposte sui redditi, cit., pag. 214; G. M. CIPOLLA, La prova tra procedimento e processo tributario, cit., pag. 450; F. TESAURO, Prova (diritto tributario), in Enc. dir. Agg., vol. III, Milano, 1999, pag. 882 ss.. immobili aventi analoghe caratteristiche (43). Ne conseguirebbe che 1'unico elemento posto a base del ragionamento presuntivo sarebbe a sua volta il frutto di un processo di astrazione e generalizzazione. Tale inferenza logica non può pertanto essere inquadrata nell’ambito dell’id quod plerumque accidit, così da attribuirle il requisito di gravità richiesto dalla legge. Motivazioni analoghe conducono pure ad affermare la mancanza del requisito della precisione. Un ragionamento che muove dal valore normale si fonda su un elemento (quello venale) caratterizzato da un’intrinseca genericità e astrattezza, e quindi inidoneo ad implicare conclusioni inequivoche. Le stime del valore normale non forniscono, infatti, un importo preciso, ma un ambito di valori con cui deve essere messa in relazione la cifra contabilizzata. Pertanto, finché quest’ultima si mantiene compatibile con tale fascia di ragionevolezza, si possono trarre ulteriori presunzioni in ordine all'entità del corrispettivo pattuito, anch’esse dotate dello stesso grado di attendibilità o comunque di gradi di attendibilità non diversificati. Ciò rende impossibile la scelta di un'ipotesi e il rigetto di un'altra (44). Quanto al requisito della concordanza, se si accede a quell’orientamento giurisprudenziale che ritiene soddisfatto tale requisito in presenza di una pluralità di fatti convergenti, il mero rinvio alle sole perizie dell’U.T.E. risulterà del tutto insufficiente a sostenere eventuali pretese dell’Amministrazione finanziaria (45). Alla medesima conclusione si perviene anche qualora si acceda al più recente orientamento giurisprudenziale che fonda un ragionamento presuntivo anche su di un solo elemento, purché tutti gli aspetti di esso siano chiaramente ed univocamente concordanti sul (43) M FORMENTIN, L’utilizzo del “valore normale” in sede di rettifica dei corrispettivi contrattuali ai fini dell’IVA e delle imposte sui redditi, cit., pag. 173; L. TOSI, Le predeterminazioni normative nell’imposizione reddituale, Contributo alla trattazione sistematica dell’imposizione su basi forfettarie, cit., pag. 277; G. RUSSO, Transfer pricing interno, valore normale e deducibilità delle componenti negative di reddito (nota a Cass, sent. 24 luglio 2002, n. 10802), cit., pag. 379. Cfr. anche L. SALVINI, Commento all’art. 11, d.l. 2 marzo 1989, n. 69, in Le nuove leggi civili commentate, 1990, pag. 1091. (44) La dottrina spiega tale conclusioni con un esempio numerico: poiché il valore normale, ad esempio 150, è il risultato di una media di valori che oscilla tra 100 e 200, da tale premessa (il valore normale ammonta a 150) possono trarsi una molteplicità di conclusioni possibili tra loro incompatibili, ossia può logicamente inferirsi che il prezzo nella specie pattuito sia 110 o 130 o 180 e così via enumerando. Cfr. R. LUPI, Metodi induttivi e presunzioni nell’accertamento tributario, cit., pag. 235; N. DOLFIN, Sulla rilevanza probatoria della perizia dell’Ufficio tecnico erariale ai fini della rettifica dei ricavi d’impresa (nota a Cass., sent. 13 ottobre 1986, n. 1479), cit. pag. 647. (45) N. DOLFIN, Sulla rilevanza probatoria della perizia dell’Ufficio tecnico erariale ai fini della rettifica dei ricavi d’impresa (nota a Cass. sent. 13 ottobre 1986, n. 1479), cit. pag. 647. verificarsi del fatto ignoto (46). Le argomentazioni precedentemente addotte per negare i requisiti della gravità e previsione valgono anche ora per negare che lo scostamento del corrispettivo dichiarato dal valore normale sia una presunzione forte ed univocamente interpretabile. In conclusione, un accertamento fondato su un’unica presunzione basata sullo scostamento tra corrispettivo e valore venale confligge con i precetti dell’art. 2729 c.c. anche sotto il profilo della carenza del requisito di concordanza. La possibilità per l'Amministrazione finanziaria di utilizzare con successo, ai fini dell'accertamento, presunzioni basate sul valore normale per la rettifica dei corrispettivi dichiarati sfocia, in conclusione, in una questione di prova, da esaminare caso per caso, con riferimento alle particolarità della situazione concreta. È nel grado di attendibilità del rapporto di consequenzialità che deve intercorrere fra fatto noto e fatto ignoto che risiede la forza dimostrativa di questo particolare mezzo probatorio. Tali conclusioni sono condivise dalla giurisprudenza prevalente della Corte di Cassazione (47), che le ripercorre anche nella sentenza in esame, ove ribadisce che le valutazioni effettuate dagli Uffici Tecnici Erariali non rappresentano da sole elementi sufficienti per giustificare una rettifica in contrasto con le risultanze contabili. Esse devono essere vagliate nel contesto della situazione contabile ed economica complessiva dell'impresa, e soltanto ove concorrano con altre indicazioni documentali o presuntive precise e concordanti, possono costituire elementi validi per la determinazione dei redditi da accertare (48). Una presunzione basata sul criterio del valore normale non possiede di per sé i requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 39, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973; occorrerà, invece, analizzare le particolarità del caso concreto. Con ciò non si esclude, quindi, in radice qualsivoglia rilevanza probatoria alle perizie dell'Ufficio Tecnico Erariale (49); (46) G. M. CIPOLLA, La prova tra procedimento e processo tributario, cit., pag. 500. (47) Cass., sent. 6 novembre 2000, n. 14448; Cass., sent. 16 maggio 2003, n. 7689. (48) A. STESURI, Alienazione di terreni non edificabili, ma ugualmente suscettibili di utilizzazione lucrativa e rettifica del reddito (nota a Cass., sent. 8 maggio 2000, n. 5769), in Riv. giur. trib., 2001, pag. 35. (49) Circa il valore da attribuire alle perizie redatte dall’U.T.E., cfr. Cass., sent. 6 giugno 2000, n. 7590 e Cass., sent. 25 gennaio 2000,n. 793 secondo le quali detta perizia è rispettivamente una “valutazione estimativa” o una “stima tout court”. Amplius F. TESAURO, Nuovi orientamenti su “estimazione semplice” ed “estimazione complessa”? (Nota a Cass., sez. un., sent. 13 l'Ufficio potrà tenerle in debito conto, purché verifichi anche la ricorrenza di altri elementi e circostanze che, per altra via, giustifichino ulteriori illazioni circa l’occultamento parziale del ricavo (50). Il notevole scostamento sussistente tra prezzo contabilizzato e valore venale costituisce, quindi, un indizio (51), che se considerato isolatamente è del tutto inadeguato e insufficiente a fondare una valida prova presuntiva in ordine all'entità del prezzo pattuito; diversamente, in luglio 1976, n. 2689), in Giur.it., 1977, pag. 597; ID., Osservazioni sulla nozione di valutazione estimativa, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1978, pag. 11 ss.. (50) La dottrina ha cercato di individuare alcuni degli ulteriori elementi e circostanze che possono essere utilizzati dagli Uffici a fondamento delle proprie pretese (R. LUPI, Metodi induttivi e presunzioni nell’accertamento tributario, cit., pag. 234 e ss.). A questi fini, è stata sottolineata la necessità di analizzare il contesto complessivo in cui è venuta in essere l’operazione. Per effettuare tale indagine si può utilmente utilizzare il costo di acquisto o di produzione dei beni ceduti. Inoltre, anche la situazione finanziaria dell'impresa cedente o le condizioni di pagamento del corrispettivo possono essere elementi per attribuire o sottrarre attendibilità all'argomentazione in esame, nonché anche particolari caratteristiche o difetti dei beni ceduti. Dal punto di vista del cessionario, potranno, inoltre, essere rilevanti tutte le circostanze che possono averlo indotto ad acquistare un bene o un servizio a un importo più elevato rispetto al prezzo di mercato; ad esempio, un corrispettivo superiore alla fascia di valori attribuibili al bene acquistato può spiegarsi con la necessità di approvvigionarsi urgentemente di una materia prima indispensabile a continuare una certa lavorazione industriale. Si può poi fare leva sulla circostanza che mentre acquirenti quali enti pubblici e grandi società sono interessati alla piena documentazione del costo, al contrario, soggetti di modeste dimensioni sono più disponibili ad accettare gli occultamenti del prezzo reale (l'occultamento di corrispettivi è, infatti, più frequente in imprese di modeste dimensioni ed organizzate in modo elementare). La presenza di vincoli di gruppo tra acquirente e venditore, infine, può spiegare la sproporzione in esame in un modo diverso dall'infedele contabilizzazione del corrispettivo. Le medesime risultanze possono però essere utilizzate dal contribuente per spiegare le ragioni della discrepanza dal valore normale. Esse, infatti, paiono idonee a dimostrare la maggiore probabilità di un evento incompatibile con quello affermato dall’Ufficio. Cfr. R. LUPI, Metodi induttivi e presunzioni nell’accertamento tributario, cit., pag. 231; ID., Postilla a A. RENDA e G. STANCATI, Vincolanti i valori definiti per l’imposta di registro ai fini delle imposte sui redditi, (nota a Cass., sent. 22 marzo 2002, n. 4117), in Corr. trib., 2002, pag. 2365; F. TESAURO, L’onere della prova nel processo tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1986, pag. 88. (51) G. RUSSO, Transfer pricing interno, valore normale e deducibilità delle componenti negative di reddito (nota a Cass, sent. 24 luglio 2002, n. 10802), cit.., 2003, pag. 380; I. MANZONI, Potere di accertamento e tutela del contribuente nelle imposte dirette e nell'Iva, Milano, 1994, pagg. 187 e seguenti. concorrenza con altri elementi e circostanze posti a base di ulteriori presunzioni sullo stesso fatto ignoto, può produrre una probabilità sufficiente a far ritenere accertato il factum probandum (52). 5. Considerazioni conclusive. – Il principio del valore normale svolge nel sistema tributario nazionale ruoli differenti: costituisce il criterio principale di determinazione della base imponibile nell’imposta di registro, mentre rappresenta un criterio soltanto subordinato nelle imposte sui redditi o un argomento di tipo presuntivo da utilizzare in sede di accertamento. Nel settore dell’I.V.A., valgono le medesime conclusioni cui si è giunti relativamente alle imposte dirette. Anche in tale settore, il legislatore ha ritenuto di non poter prescindere dal corrispettivo dichiarato contrattualmente tra le parti, e anche la relativa attività di controllo e di accertamento è condizionata all'acquisizione da parte dell'ufficio I.V.A. di elementi e/o documenti che comprovino la percezione di corrispettivi superiori a quelli fatturati. Ai sensi dell'art. 54, comma 2, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, infatti, l'Ufficio può rettificare l'entità del ricavo dichiarato o fornendo la prova diretta (52) Non appaiono pertanto condivisibili le conclusioni cui è pervenuta la Cassazione nella recente sentenza 30 gennaio 2006, n. 2005, ove afferma che “la mancata indicazione nel bilancio di una società di un'entrata derivante dalla vendita di un bene, il cui valore sia accertato in sede di registro, legittima di per sé l'Amministrazione a procedere ad accertamento induttivo restando a carico del contribuente l'onere probatorio circa la reale corrispondenza del prezzo incassato rispetto a quello dichiarato”. Dalla motivazione non risulta, infatti, che i giudici di legittimità abbiano tenuto conto, per legittimare il ricorso all’art. 39, lett. d), D.P.R. n. 600 del 1973, di alcuna circostanza diversa dall’indicazione in bilancio di un'entrata inferiore al valore venale del bene. La Cassazione (cfr. anche Cass., sent. 15 marzo 1990, n. 211) si sofferma poi sulla questione della ripartizione dell’onere della prova, richiedendo al contribuente la prova del mancato maggiore incasso. Ciò potrebbe rappresentare una violazione dell'art. 24 Cost. che impedisce di porre a carico di chi esercita il diritto di difesa (il contribuente) il rischio della mancata prova del fatto costitutivo della pretesa fiscale (F. TESAURO, Giusto processo e processo tributario, in Rass. Trib., 2006, 11; G. M. CIPOLLA, Riflessioni sull’onere della prova nel processo tributario, in Rass. Trib., 1998, 671). R. LUPI, Manuale giuridico professionale di diritto tributario: principi generali e questioni di diritto positivo, Milano, 2001, pag. 535; L. CARPENTIERI, Redditi in natura e valore normale nelle imposte sui redditi, cit., pag. 215; N. DOLFIN, Sulla rilevanza probatoria della perizia dell’Ufficio tecnico erariale ai fini della rettifica dei ricavi d’impresa (nota a Cass., sent. 13 ottobre 1986, n. 1479), cit., pag. 648; M. RAVACCIA, Valutazioni UTE e rettifiche del reddito d’impresa (nota a Cass. sent. 1° agosto 2000, n. 10049), in Riv. giur. trib., 2001, pag. 1236; ID., Le stime dell’UTE non giustificano da sole la rettifica del reddito di impresa (nota a Cass., sent. 7 aprile 1999, n. 3352), in Riv. giur. trib, 1999, pag. 1023; ID., Definizione di azienda e utilizzabilità del valore venale definito per l’imposta di registro anche ai fini dell’IRPEF (nota a Comm. Prov. Milano, sent. 2 marzo 1999, n. 86), in Riv. giur. trib., 2000, pag. 168. della falsità dell'importo, oppure adducendo un fatto noto, grave, preciso e concordante dal quale risalire in via presuntiva al fatto ignoto dell'esistenza di un maggiore ricavo (53). Le differenti norme che regolano la determinazione delle basi imponibili delle imposte applicabili ai trasferimenti immobiliari e le differenti regole che disciplinano l’attività di accertamento hanno suggerito ai contribuenti la nota prassi di dichiarare negli atti di trasferimento di beni immobili corrispettivi inferiori a quelli realmente pattuiti, ma non inferiori a quelli ottenuti secondo il menzionato criterio di valutazione automatica, così da porsi al riparo da accertamenti, almeno ai fini dell’imposta di registro (54). Il legislatore ha tuttavia tentato di contrastare tale prassi con vari interventi. A tale riguardo, l’art. 15 del decreto legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito con modificazioni dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, che si applica alle cessione di immobili soggette ad I.V.A., ha previsto che “ai fini dell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto non si procede a rettifica del corrispettivo delle cessioni di fabbricati classificati o classificabili nei gruppi A, B e C, salvo che da atto o documento il corrispettivo risulti di maggiore ammontare, se lo stesso è indicato nell'atto in misura non inferiore al valore determinato ai sensi dell'articolo 52, comma 4, del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, approvato con d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131” (55). La disposizione in questione limita, in via generale, il potere di rettifica dell'imponibile dichiarato dalle parti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto allorché lo stesso sia non inferiore al valore derivante dalle risultanze catastali. Essa non introduce una deroga al principio disposto dal d.P.R. n. 633 del 1972 secondo il quale l'imposta si applica comunque sul corrispettivo convenuto; né potrebbe essere altrimenti, dal momento che l’introduzione, per le operazioni effettuate dagli esercenti imprese, di un parametro di riferimento degli obblighi tributari diverso dal corrispettivo costituirebbe un’anomalia difficilmente giustificabile. La norma in esame si limita ad individuare situazioni che suggeriscono l'opportunità di eseguire controlli da cui possano emergere elementi concreti che gli uffici I.V.A. possono utilizzare per l'esercizio dei (53) Amplius G. M. CIPOLLA, L’accertamento contabile e l’accertamento extracontabile negli artt. 54 e 55 d.P.R. n. 633/1972, in Riv. dir. trib., 2000, pag. 615 ss.. (54) E. ZANETTI e S. CERATO, La divergenza tra corrispettivo e valore di mercato come presupposto per l’accertamento ai fini delle imposte sul reddito, in Il Fisco, 2003, pag. 4713. (55) S. CAPOLUPO, Iva sui fabbricati - Una soluzione contraddittoria, in Il Fisco, 1995, pag. 4414; S. DUS, Misure antielusive e valore degli immobili, in Corr. trib., 1995, pag. 1451. poteri di accertamento (56). Il c.d. “valore automatico” costituisce così non una base imponibile minima non suscettibile di rettifica, come in tema di imposta di registro, bensì un criterio selettivo, idoneo ad indirizzare l'attività di controllo degli uffici I.V.A. (57). Nonostante la disposizione in esame, il criterio di determinazione della base imponibile riferito ai trasferimenti di fabbricati resta, infatti, l'ammontare complessivo del corrispettivo dovuto al cedente secondo le condizioni contrattuali. Qualora tale valore risulti inferiore al valore catastale rettificato, allora l'Ufficio potrà avviare gli idonei procedimenti di verifica nei confronti dei soggetti interessati. Nello svolgere tale attività, l’Ufficio incontra, però, secondo la norma in esame, un’ulteriore limitazione: le prove richieste per l'effettuazione di tale rettifica devono essere necessariamente di natura documentale, escludendosi così la possibilità di ricorrere ad argomentazioni di tipo presuntivo (58). Il ricorso ad argomentazioni presuntive è possibile non solo in sede di accertamento per i soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili (art. 39, d.P.R. n. 600 del 1973, art. 54, d.P.R. n. 633 del 1972), ma anche in sede di accertamento dei redditi dichiarati dalle persone fisiche, dove pure (art. 38, co. 3, d.P.R. n. 600 del 1973) gli Uffici possono desumere “l'incompletezza, la falsità e l'inesattezza dei dati indicati nella dichiarazione, …anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti” (59). Anche in tale settore il legislatore ha ritenuto di dover intervenire. Si comprende così l’art. 1, comma 497, legge 23 dicembre 2005, n. 266 secondo il quale “in deroga alla disciplina di cui all'articolo 43 del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, per le sole cessioni fra persone fisiche che non agiscano nell'esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, all'atto della cessione e su richiesta della parte acquirente resa al notaio, la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali è costituita dal valore dell'immobile determinato ai sensi dell'articolo 52, commi 4 e 5, del citato testo unico di cui (56) Così testualmente la Risoluzione 29 aprile 1996, n. 62/E. (57) G. TABET, La determinazione automatica ai fini Iva del valore dei fabbricati ceduti, in Il Fisco, 1997, pag. 10947; A. BUSCEMA, Art. 54 del Tuir: il valore venale può costituire presunzione?, in Il Fisco, 2001, pag. 3613. (58) L. DEL FEDERICO, Trasferimento di immobili e base imponibile ai fini IVA, in Il Fisco, 2005, pag. 2118. (59) P. RUSSO, Manuale di diritto tributario, Milano, 2002, pag. 297. al decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, indipendentemente dal corrispettivo pattuito indicato nell'atto”. Questa nuova disciplina ha carattere opzionale e riguarda soltanto alcune fattispecie di trasferimenti immobiliari caratterizzate da particolari requisiti oggettivi e soggettivi. Per quanto concerne i requisiti oggettivi, il comma 497 considera gli atti aventi per oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze; per quanto concerne i requisiti soggettivi, essa può applicarsi solo alle cessioni fra persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali. In sostanza, opera solo per i contratti stipulati in ambito privato, escludendosi quelli in cui l’operazione potrebbe avere riflessi in altri ambiti tributari (I.V.A. ovvero determinazione del reddito d’impresa o di lavoro autonomo) e, quindi, quelli in cui figurino come parte venditrice o come parte acquirente una persona fisica che agisce nell’esercizio delle attività precedentemente menzionate, ovvero una società o un ente. Il comma 497 costituisce una rilevante deroga al tradizionale criterio di determinazione della base imponibile dell’imposta di registro, dal momento che tale imposta, "indipendentemente dal corrispettivo pattuito indicato nell'atto", in presenza di una volontà specifica da parte dell'acquirente resa al notaio, potrà essere determinata a partire dal valore automatico. In altri termini, nei rogiti, oltre al prezzo, può ora essere riportato il valore catastale dell'immobile rettificato, al quale sarà dunque applicata l'aliquota d'imposta. La portata innovativa del comma 497 risiede, soprattutto, nell'assolutezza del valore ricavato dal calcolo automatico che può dare la certezza di non incorrere in rettifiche della base imponibile anche a fronte di un corrispettivo pattuito ed indicato nell'atto in misura diversa. Tale secondo valore assume, invece, rilievo per altri fini: costituisce il dato di riferimento per il calcolo delle eventuali plusvalenze tassabili in sede di imposizione sui redditi. Le stesse plusvalenze, in base alla disposizione del comma 496, possono poi essere assoggettate ad imposizione applicando l’imposta sostitutiva del 12,50 per cento prevista da tale disposizione (60). (60) Si tratta della disposizione che prevede che in sede di cessione di un immobile, il cedente, manifestandone l’intenzione al notaio, possa chiedere l’applicazione sulla eventuale plusvalenza di un'imposta sostitutiva del 12,50% in luogo dell’IRPEF altrimenti dovuta. Possono beneficiare di tale regime solo le cessioni tra persone fisiche diverse dagli imprenditori, ovvero tra soggetti che non agiscano nell'ambito di attività commerciali, artistiche Se il contribuente si avvale congiuntamente delle suddette normative rimane preclusa agli uffici la possibilità di effettuare accertamenti, rispettivamente, agli effetti delle imposte sui redditi secondo i criteri dell’art. 38, co. 3, d.P.R. n. 600 del 1973, ed agli effetti delle imposte d’atto secondo i criteri dell’art. 52, co. 1, d.P.R. n. 131 del 1986 (62). (61), In definitiva, il doppio binario per la tassazione dei trasferimenti immobiliari (63) varato dalla Finanziaria 2006 sottolinea ancora una volta l’imprescindibile necessità di parametrare le imposte dirette al corrispettivo pattuito e la possibilità di commisurare la base imponibile dell’imposta di registro al valore normale (rettificato) del bene trasferito. FEDERICO RASI Università Luiss Guido Carli o professionali. Si deve trattare di cessioni di immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni o cessioni di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria. (61) Così Circolare Assonime 7 febbraio 2006, n. 7. (62) Nonché dai controlli di cui al comma 495 che prevede che nel quadro delle attività di contrasto all'evasione fiscale, l'Agenzia delle entrate e il Corpo della Guardia di finanza destinino quote significative delle loro risorse al settore delle vendite immobiliari, avvalendosi delle facoltà rispettivamente previste dal titolo IV del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e dagli articoli 51 e 52 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131. (63) A. BUSCEMA, Plusvalenze immobiliari e compravendite: la nuova tassazione in base al valore catastale, in Diritto e giustizi@, quotidiano di informazioni giuridica, disponibile presso il sito www.dirittoegiustizia.it, 11 gennaio 2006; F. P. D’ORSOGNA, I pseudo premi per l’acquisto della casa previsti dalla Finanziaria 2006: i commi 496, 497, 498 della l. 23 dicembre 2005, n. 266, in Il Fisco, 2006, pag. 508. Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sent. 8 agosto 2005, n. 16700 Riggio Pres., D’Alonzo Rel. Svolgimento del processo Con ricorso notificato al Ministero delle Finanze il 9 giugno 1999 (depositato il 21 giugno 1999), T. N. - premesso che il 6 settembre 1989 l'Ufficio delle Imposte di Este (PD) gli aveva notificato un avviso di accertamento relativo all'IRPEF ed all'ILOR afferente all'anno 1984 contestandogli (1) di avere operato in detto anno "detrazioni al netto degli investimenti per percentuali notevolmente superiori a quelle previste dalla legge Visentini ter del 17 febbraio 1985" e (2) di non aver dichiarato la plusvalenza (pari a Lire 95.000.000) derivante dalla vendita, effettuata nello stesso anno, di un capannone ultimato l'anno precedente, per il quale (a) era stato dichiarato il prezzo di Lire 30.000.000 che, però, non era stato ritenuto corrispondente al "valore venale" (stimato nella misura della plusvalenza), e (b) erano state disconosciute le "spese di costruzione" -, in forza di DUE motivi chiedeva di cassare la sentenza n. 98/04/98 depositata il 22 giugno 1998 dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto la quale aveva accolto (limitatamente al riconoscimento di parte dei "costi di costruzione") il gravame da lui proposto contro la decisione (n. 62/03/96) con cui l'allora Commissione Tributaria di primo grado di Padova aveva respinto il ricorso col quale egli aveva impugnato l'avviso predetto. Il Ministero intimato non si costituiva né svolgeva attività difensiva. Motivi della decisione 1. Con la sentenza gravata la Commissione Tributaria Regionale dopo avere esposto (1) che l'Ufficio, (a) aveva accertato i ricavi in Lire 53.200.000 "partendo da elementi assertivamente certi quali il costo dei beni impiegati, il numero delle opere prestate dal dipendente e quelle del titolare pari a poco più di tre ore lavorative su 245 giorni in considerazione della ridotta capacità lavorativa" e (b) imputato a plusvalenza il prezzo di mercato (Lire 95.000.000) del capannone ceduto con atto registrato il 27 luglio 1984 "per il prezzo dichiarato di lire 30.000.000" nonché (2) che "il contribuente ha appellato ... affermando la eccessività dell'accertamento e il suo difetto di motivazione" ha respinto il gravame del T. (testualmente) osservando unicamente che - "è congruo il numero delle opere prestate dal titolare ... pari a poco più di tre ore lavorative su 245 giorni, tenuto conto della sua inabilità pari al 42%"; - "ex bono ex aequo può ammettersi la deduzione dei costi di costruzione dichiarata dal contribuente in lire 10.257.216, dalla valutazione del bene come operata dall'Ufficio in Lire 95.000.000". 2. Con il primo motivo il T. lamenta, in relazione alla previsione del n. 3 dell'art. 360 c.p.c., "violazione" degli artt. "52 - 54 TUIR" (scilicet, DPR 22 dicembre 1986 n. 917) adducendo, in riferimento alla plusvalenza, che "l'Ufficio accertatore" e il giudice a quo hanno confuso tra loro l'imposta sul reddito delle persone fisiche (in ordine alla quale la lettera a) dell'art. 53 DPR n. 917 del 1986 cit. considera "ricavi ... i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa") con l'imposta di registro (per la quale il secondo comma dell'art. 51 DPR 26 aprile 1986 n. 131 stabilisce che "per gli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari e per quelli che hanno per oggetto aziende o diritti reali su di esse, si intende per valore il valore venale in comune commercio") per cui, avendo rilevanza, "ai fini delle imposte dirette", "non il valore venale in comune commercio dell'immobile venduto ma il prezzo effettivamente negoziato", l'accertamento con cui si procede alla "rettifica dei ricavi dichiarati basandosi sul valore venale" è nullo; "quando si fa generico riferimento a "fabbricati similari", difetta ogni elemento ed addirittura vi è carenza totale di motivazione"; "nel ... caso, non vi è stato accertamento da parte dell'Ufficio del registro", essendo stato l'Ufficio delle imposte dirette a richiedere all'UTE, "esulando dai propri poteri", "una valutazione"; "la vendita era soggetta alla corresponsione dell'IVA, il cui ufficio non ha sollevato alcun rilievo ai fini di una conclamata (ma inesistente) "sottofatturazione"". Il motivo deve essere accolto perché fondato. A. Ammettendo, sia pure "ex bono ex aequo", la deduzione dei "costi dichiarati" dalla "valutazione del bene come operata dall'Ufficio in Lire 95.000.000", invero, il giudice a quo ha implicitamente ma in maniera assolutamente non equivoca affermato la legittimità giuridica della "valutazione del bene ... operata dall'Ufficio": tanto conferma l'asserzione fattuale del ricorrente secondo cui la rettifica della dichiarazione IRPEF è stata effettuata dall'Ufficio delle imposte dirette non già sulla scorta della (assunta od accertata) pattuizione di un "corrispettivo" diverso da quello dichiarato ma per l'asserita difformità di questo rispetto al "valore venale" del bene ceduto. La tesi giuridica fondante sul punto la decisione gravata non può dirsi corretta atteso che, come denunciato dal contribuente, il giudice tributario ha applicato alla fattispecie, relativa all'accertamento dell'imposta sul reddito, principi validi per la determinazione del valore del bene trasferito ai fini dell'imposta di registro. Questa Corte (Cass., trib., 6 novembre 2000 n. 14448), invero, ha già chiarito che - tenuto conto (Cass., trib., 16 maggio 2003 n. 7689) dell'"inequivoco significato del termine "corrispettivo"" - i principi relativi alla determinazione del valore di un bene che viene trasferito sono diversi a seconda dell'imposta che si deve applicare perché quando si discute di imposta di registro si ha riguardo al valore di mercato del bene mentre quando si discute, come nella specie, di una plusvalenza realizzata nell'ambito di un impresa occorre verificare la differenza realizzata tra il prezzo di acquisto e il prezzo di cessione. Questa Corte, inoltre, ha affermato (Cass., I, 7 aprile 1999 n. 3352, in dichiarata parziale difformità con precedenti decisioni (rese "sia sotto il vigore del T.U. n. 645 del 1958 (Cass. 11 febbraio 1987 n. 1479), che sotto quello dell'art. 39 del DPR n. 600 del 1973 (Cass. 7 dicembre 1995 n. 12594)") relative, peraltro, a fattispecie caratterizzate dalla "presenza di incompletezza di dichiarazione e di scritture contabili") e, quindi, ribadito (Cass., trib., 28 luglio 2000 n. 9949; id., trib., primo agosto 2000 n. 10049; id., trib., 28 gennaio 2002 n. 1035) il principio (che va confermato per carenza di qualsivoglia convincente argomentazione contraria) secondo cui in materia di accertamento delle imposte sui redditi - anche se "la presenza di contabilità formalmente regolare non impedisce l'accertamento in rettifica di cui all'art. 39, comma 1, lettera d) del DPR 29 settembre 1973 n. 600" (il quale prevede un tipo "di accertamento definibile, in base al processo logico adottato, analitico induttivo") quante volte le "scritture contabili regolarmente tenute dal punto di vista formale" risultino "affette" ("in virtù di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti") "da incompletezze, inesattezze ed infedeltà tali da giustificare il motivato uso del potere di rettifica (Cass. 26 agosto 1998 n. 8494; Cass. 6 maggio 1998 n. 4555)" - "le valutazioni effettuate dall'UTE non possono ... rappresentare da sole elementi sufficienti per giustificare una rettifica in contrasto con le risultanza contabili, ma possono ... essere vagliate nel contesto della situazione contabile ed economica dell'impresa e, ove concorrano con altre indicazioni documentali o presuntive precise e concordanti, possono costituire elementi validi per la determinazione dei redditi da accertare". B. Nel caso il giudice a quo, oltre all'accertamento del valore venale, non ha indicato nessun altro elemento, proposto dall'Ufficio, idoneo (per gravità precisione e concordanza) a far fondatamente ritenere, prima, che la contabilità formalmente regolare in realtà fosse inattendibile e, poi, che il corrispettivo ricavato fosse diverso da quello denunziato ma pari a quello del valore venale per cui il punto in questione della decisione impugnata deve essere cassato perché fondato su errata interpretazione delle specifiche norme delle quali il contribuente ha denunziato la violazione e falsa applicazione. 3. Con il secondo (ed ultimo) motivo il contribuente dopo avere esposto che l'Ufficio "ha ... accertato ... un aumento di reddito decurtando l'incidenza delle spese sui ricavi, dichiarata nella percentuale del 66,28%, mentre per l'anno successivo (esso T.) l'avrebbe indicata nella percentuale del 36%" - lamenta, in relazione alla previsione del n. 3 dell'art. 360 c.p.c., "violazione" dell'art. 39 del DPR n. 600 del 1973 adducendo che l'Ufficio ha errato ad "avvalersi dell'accertamento induttivo" rifacendosi "alla lettera d)" dell'art. 39 detto in quanto "le presunzioni ivi richiamate devono avere le caratteristiche previste dall'art. 2729 cod. civ. e devono essere desunte da dati obiettivi"; "non si può ... (ed è omessa motivazione) fare un richiamo generico ad "aziende operanti nella zona"" avendo "la giurisprudenza ... ormai definitivamente dichiarato illegittimo tale metodo"; "la legge Visentini ter" (la quale "ha previsto una detrazione di costi puramente forfettaria ed al di fuori di ogni logica economica, tanto ... che successivamente è stata disapplicata essendo intervenuti altri sistemi di accertamento") è entrata in vigore nel 1985 e, quindi, non è "applicabile nel 1984" e "non può essere posta a base di un accertamento che esige, oltre alle caratteristiche di cui all'art. 2729 cod. civ., concreti e significativi elementi offerti nella singola fattispecie". Il motivo è inammissibile (ex art. 366 c.p.c.) perché del tutto carente sia nella indicazione degli indispensabili elementi fattuali rilevanti ai fini della sua decisione che nella esposizione dei conferenti argomenti giuridici: dalla lettura complessiva del ricorso, infatti, non si evincono né i fatti (pacifici o meno) né (1) i motivi del ricorso al giudice di primo grado e, soprattutto, (2) quelli posti a sostegno del gravame proposto avverso la sfavorevole decisione della Commissione Tributaria Provinciale. Il giudice di appello, dal proprio canto, nell'esposizione dei motivi di ricorso in appello, accenna in maniera del tutto generica ad una "eccessività dell'accertamento" e ad un "difetto di motivazione" dell'accertamento stesso che sarebbero stati dedotti dal contribuente, senza però nessuna ulteriore precisazione e/o specificazione. Con il motivo de quo, inoltre, nella sostanza si chiede - peraltro sub specie (art. 360 n. 3 c.p.c.) di violazione di legge e non già (art. 360 n. 5 c.p.c.) di vizio (carenza, omissione e/o insufficienza) motivazionale - un riesame (assolutamente non consentito) dei fatti da parte di questa Corte, in totale assenza di qualsivoglia giudizio in ordine agli stessi da parte del giudice di appello. Questi, infatti e comunque, non fa alcun cenno alla questione (posta dal motivo di ricorso) relativa a pretesa "detrazione di costi" e nessuna doglianza è stata neppure allegata in ordine a tale carenza da parte del ricorrente. Il vizio di motivazione dedotto con il motivo, peraltro, non riguarda la sentenza d'appello ma l'avviso di accertamento impugnato, la valutazione del cui contenuto fattuale, come noto, anche a fini della verifica della congruità della sua motivazione, spetta al giudice del merito ed è sindacabile, quando effettuata, unicamente per vizi attinenti alla motivazione di tal contenuto. 4. L'accoglimento del primo motivo di ricorso impone la cassazione della sentenza gravata relativamente al punto relativo alla valutazione della plusvalenza operata dall'Ufficio; la causa, però, in ordine a tale punto non abbisogna di nessun ulteriore accertamento di fatto e, perciò, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., deve essere decisa nel merito con declaratoria di esclusione, dal reddito accertato, del valore della plusvalenza indicato dall'Ufficio, giusta le aderenti osservazioni fatte in precedenza. 5. Le spese processuali del giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti ai sensi del secondo comma dell'art. 92 c.p.c. P.q.m. La Corte accoglie il primo motivo del ricorso; rigetta il secondo; cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, in accoglimento del punto del ricorso di primo grado del contribuente, esclude dal reddito accertato il valore della plusvalenza indicato dall'Ufficio; compensa integralmente tra le parti le spese processuali dell'intero giudizio.