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Rivelatori di Particelle

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Rivelatori di Particelle
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Rivelatori di Particelle
Introduzione
La storia della ricerca sperimentale nel campo della Fisica Nucleare e Subnucleare è sempre stata
strettamente connessa con il progresso tecnologico degli acceleratori e dei rivelatori di particelle.
La ricerca dei costituenti elementari della materia (partoni) ha richiesto lo studio sempre più
dettagliato dei processi di diffusione e di annichilazione a energie del centro di massa sempre
maggiori. Questo ha portato a costruire acceleratori e anelli di accumulazione di grandi dimensioni e
funzionanti ad energie disponibili nel centro di massa sempre crescenti. Tale miglioramento nelle
caratteristiche degli acceleratori sarebbe comunque risultato vano se, parallelamente, non ci fossero
stati grandi sviluppi tecnologici e invenzioni di nuovi sistemi per la rivelazione delle particelle
fondamentali prodotte.
Tre sono stati i livelli di sviluppo più importanti che hanno interessato i rivelatori negli ultimi anni.
•
L'aumento delle dimensioni degli apparati sperimentali per facilitare la misurazione
dell'impulso delle particelle notevolmente incrementato e per meglio rivelare le reazioni con sezioni
d'urto più piccole dei processi rari.
•
L'incremento della velocità di acquisizione dei dati relativi agli eventi prodotti. Mentre con
le camere a bolle o con quelle a scintilla si era limitati a 1-10 eventi per ogni interazione tra fasci,
con l'invenzione delle camere proporzionali e a deriva questo numero è migliorato di un fattore 100.
•
Il terzo livello di evoluzione riguarda il notevole aumento della complessità degli apparati
sperimentali. Il numero di informazioni analogiche indipendenti per un esperimento moderno può
superare facilmente il valore di 104 e dopo la digitalizzazione ciò significa circa 105 bit di
informazione per ciascun evento. Tuttavia, in contrapposizione alla complessità dei grandi
esperimenti, il principio fondamentale sul quale tutti i rivelatori di particelle sono basati e' lo stesso:
il trasferimento di tutta o di parte dell'energia della particella alla massa sensibile del rivelatore
nella quale essa e' successivamente convertita in una forma diversa, più' accessibile alla percezione
degli strumenti a disposizione dell'uomo.
Come sappiamo attraversando la materia le particelle cariche cedono la loro energia tramite urti di
natura elettromagnetica con gli elettroni del mezzo provocando l'eccitazione o la ionizzazione degli
atomi che lo compongono. Quelle neutre, invece, devono prima interagire attraverso una interazione
intermediaria che produca nello stato finale almeno una particella carica che a sua volta induca
processi di eccitazione e ionizzazione atomica.
La forma in cui appare l'energia convertita dipende, in parte, dal tipo di rivelatore. Se il volume
sensibile permette la migrazione delle cariche elettriche prodotte come, ad es., nei gas o, sotto
particolari condizioni, nei materiali semiconduttori, in genere, queste vengono direttamente raccolte
in modo da formare un segnale elettrico rilevabile per le successive elaborazioni, invece negli
scintillatori ovvero in quei materiali in cui una parte dell'energia della particella viene convertita in
radiazione di luminescenza qualunque sia lo stato della massa sensibile (solido, liquido o gassoso) la
luce prodotta viene convertita in un segnale elettrico utilizzabile tramite particolari dispositivi detti
fotomoltiplicatori.
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Diversamente nei rivelatori realizzati con emulsioni fotografiche, la ionizzazione prodotta induce
reazioni chimiche locali che evidenziano il passaggio della particella e concorrono alla formazione
della sua traccia, nelle camere a nebbia o a bolle la traiettoria della particella e' visualizzata dai
centri di condensazione o dalle bolle formatesi lungo il suo percorso. Radiazione elettromagnetica
linearmente polarizzata e' invece prodotta in quei rivelatori basati sull'effetto Cerenkov che avendo la
particolarità di possedere una soglia inferiore d'innesco del processo legata alla velocità della
particella, permette, in particolari condizioni, anche la sua identificazione.
Nei moderni rivelatori di particelle, l'informazione, sia essa locale o globale, e' trasformata in
impulso elettrico in modo da poter essere facilmente e rapidamente trattata da circuiti elettronici
esterni che ne estraggono il massimo contenuto d'informazione possibile.
Come tutti gli strumenti, i rivelatori di particelle, sono classificabili attraverso le grandezze fisiche
misurabili come posizione, tempo, massa, energia e impulso ovvero tramite le informazioni da essi
ottenibili che ne determinano, quindi, le caratteristiche prevalenti. Così avremo rivelatori per la
misurazione dell'energia totale della particella, detti perciò calorimetri, per i quali sarà importante
avere una buona risoluzione energetica, per la determinazione della posizione, a deriva, a proiezione
temporale, a bolle, ai quali si richiederà una buona risoluzione spaziale, per la misurazione relativa
del tempo (Rivelatori a scintillazione, Contatori a scintilla, Contatori a piani resistivi) che dovranno
esibire doti di risoluzione temporale e per la identificazione della particella cioè della sua massa
(Contatori Cerenkov, Rivelatori a radiazione di transizione, Sistemi per la misurazione del tempo di
volo).
Classificazione dei Rivelatori
Possiamo definire un rivelatore di particelle o di radiazione come un dispositivo (sistema) che
produce una risposta intelligibile quando è attraversato o colpito da una particella o radiazione
(eccitazione). Quasi tutti i rivelatori oggi conosciuti (sviluppati) sono basati sull'interazione
elettromagnetica della particella (radiazione) con le molecole o gli atomi del materiale che
costituisce il rivelatore (sistema). I differenti processi d'interazione (per lo più la ionizzazione) e i
diversi principi di "amplificazione" dell'interazione, distinguono i differenti tipi di rivelatori. Il
neutrone che non esibisce una manifesta carica elettrica viene rivelato attraverso diversi metodi:
Collisione elastica con i protoni o i nuclei del materiale e conseguente segnale elettromagnetico.
Produzione di fissione e successiva rivelazione dei frammenti
Possiamo quindi tentare una classificazione dei rivelatori in:
• Rivelatori a scintillazione (organici e inorganici)
• Rivelatori a semiconduttori (singoli e microstrip)
• Rivelatori a ionizzazione gassosi (geiger- camere proporzionali, camere a ionizzazione, camere
a "drift", contatori a piatti resistivi,..)
• Rivelatori a effetto Cerenkov
• Rivelatori a radiazione di transizione
• Rivelatori misti (semiconduttori-gas)
• Bolometri (diamante)
Indipendentemente dal tipo, ad un rivelatore, considerato come sistema capace di dare una risposta
alla sollecitazione di una particella, si richiedono le seguenti proprietà:
• Sensibilità: definisce la minima energia che può essere depositata per produrre un segnale di
uscita. E' correlata con il rapporto segnale/disturbo all'uscita.
• Risoluzione in energia: In quei rivelatori nei quali la particella perde tutta, o quasi, la sua
energia , definisce la possibilità di distinguere particelle di energia diversa (∆E/E)
137
•
•
Risoluzione in tempo: la capacità di distinguere, in uscita, due particelle che arrivano allo stesso
tempo. E' correlato al tempo assoluto del sistema.
Efficienza: specifica la frazione rivelata del flusso incidente. Può essere molto alta per particelle
cariche e molto piccola (qualche %) per neutri e fotoni.
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Caratteristiche Generali.
Sensibilità'.
La caratteristica fondamentale di un r. di particelle e' la sua sensibilità' cioè' la capacita' di produrre
in uscita un segnale utilizzabile per una data radiazione e per un dato intervallo di energia. Allo stato
attuale non esistono rivelatori in grado di essere sensibili a tutte le radiazioni e a tutte le energie. In
generale quindi si può' dire che la sensibilità', relativamente ad una particolare radiazione e in un
determinato intervallo di energia, dipende : (a) dalla sezione d'urto di ionizzazione per quella
radiazione nella massa sensibile del rivelatore; (b) dalla massa totale attiva; (c) dal materiale di
protezione che circonda inevitabilmente il volume attivo. La sezione d'urto e la massa determinano la
probabilità' che la particella incidente converta tutta o parte della sua energia sotto forma di
ionizzazione. Se essa e' altamente ionizzante sono sufficienti anche materiali con bassa densità' e
volumi relativamente modesti come nei rivelatori a gas. Per le particelle neutre, poiché' la
ionizzazione e' prodotta come processo secondario, e' invece necessario, in genere, avere alta densità'
oppure grandi volumi. Si pensi che per rivelare una particella come il neutrino sono stati realizzati
rivelatori con masse dell'ordine delle tonnellate. Diversamente per i neutroni veloci, cioè' con energia
molto maggiore di quella termica, si preferiscono materiali a basso numero atomico per ottenere il
massimo trasferimento di energia nella collisione primaria. In genere vengono usati grandi volumi di
sostanze idrogenate o deuterate scintillanti.
Il rumore intrinseco e lo spessore del materiale con cui e' costruito il contenitore del volume attivo
costituiscono un limite inferiore all'energia che può' essere rivelata. Il primo in quanto e' necessario
che il segnale conseguente alla ionizzazione prodotta sia almeno superiore al livello di rumore
sempre presente in qualsiasi rivelatore, il secondo perché' si richiede che la radiazione incidente
penetri all'interno della massa sensibile.
Risoluzione in energia.
Per quei rivelatori costruiti per la misurazione dell'energia delle particelle, e' importante che la
risoluzione energetica, ossia la capacita' di distinguere tra due valori di energia diversi ma molto
prossimi, sia la migliore possibile. Se il rivelatore avesse una risposta alla radiazione incidente simile
ad una delta di Dirac, fosse cioè' un picco di larghezza nulla, qualsiasi differenza di energia sarebbe
rivelabile. Purtroppo non e' questo il caso reale. Infatti a causa delle fluttuazioni sul numero medio di
eventi di ionizzazione e eccitazione prodotti per una data energia incidente, la risposta avrà' una
larghezza finita. Possiamo allora definire la risoluzione R come :
R= ∆E/E
Essa viene generalmente data in termini di larghezza totale ∆E misurata a meta' altezza in
corrispondenza del massimo (FWHM). Se indichiamo con w l'energia media, dipendente dal
materiale, per produrre un evento di ionizzazione e con E l'energia della particella incidente, allora il
numero medio di eventi di ionizzazione e' N= E/w. Nel caso in cui il rivelatore e' considerato sottile,
l'energia depositata al suo interno e' solo una piccola frazione dell'energia totale ( misure di dE/dx) e
si può' quindi assumere che le fluttuazioni seguano la statistica di Poisson. Allora la varianza σ2
della distribuzione e' :
σ2= N,
la fluttuazione relativa e' σ/N e infine la risoluzione R risulta:
R= 2.35 σ/N= 2.35 (w/E)1/2
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avendo introdotto il fattore 2.35 di ragguaglio tra la definizione della FWHM e la deviazione
standard di una distribuzione gaussiana. Se invece il rivelatore e' capace di assorbire tutta l'energia
della radiazione non si può' più' considerare applicabile la statistica di Poisson. Infatti l'energia
depositata e' ora una quantità' fissa e non può' più' fluttuare liberamente come nel caso precedente.
Questo vuol dire, dal punto di vista statistico, che gli eventi di ionizzazione non sono tutti
indipendenti e quindi il processo non può' essere descritto con la statistica di Poisson. Quando si e' in
tali condizioni ci si aspetta che la varianza sia minore e si scrive:
σ2= FN con F<=1
in cui F e' una funzione complicata di tutti i processi fondamentali che avvengono nel materiale e
che non producono ionizzazione ( eccitazione di fononi,...) detto fattore di U.Fano dal nome di colui
che lo introdusse per primo. La risoluzione totale dipende anche da altri fattori che riguardano il
rumore dei circuiti elettronici esterni, effetti associati alla intercalibrazione nei calorimetri
settorizzati e cosi via. Sempre nell'assunzione che tali effetti siano indipendenti e distribuiti in modo
normale si può' scrivere la risoluzione totale come
(∆E)2= (∆E)2riv + (∆E)2el + (∆E)2int +.......
Risoluzione temporale e tempo morto.
Un'altra caratteristica molto importante per un rivelatore e' il tempo di risposta cioè' il tempo che
esso impiega a formare un segnale di uscita in conseguenza del passaggio di una particella.
Specialmente con l'avvento di nuovi acceleratori ad alta luminosità come il Large Hadron Collider
(LHC) al CERN di Ginevra, il tempo di risposta sta diventando una delle proprietà' di grande
rilevanza per un rivelatore. Infatti l'aumento della luminosità', necessario per poter indagare processi
rari, viene ottenuto, oltre che con particolari metodi di focalizzazione dei fasci, anche con l'aumento
del numero d' interazioni fascio-fascio per giro. Con LHC si dovrebbe arrivare ad un periodo non
molto superiore a 10 ns. Ovviamente quello che si richiede e' un tempo di risposta breve e una
velocità' di crescita o formazione del segnale quanto più' alta e' possibile in modo da fornire in uscita
un segnale ripido e di breve durata. Infatti un nuovo evento non potrà' essere accettato fintanto che il
rivelatore non finisce di elaborare il precedente ovvero accadrà' che l'evento successivo si
sovrapporrà' al precedente (effetto Pile-up) causando distorsione nel segnale d'uscita e quindi
fluttuazioni nel tempo di risposta. Il tempo che impiega il rivelatore a processare un evento e' detto
tempo morto ed e' naturalmente correlato con quello di risposta. Nell'uso normale di un rivelatore il
tempo morto può' manifestarsi in due modalità' differenti:
(a) fisso o non estensibile
(b) variabile o estensibile.
Dal punto di vista teorico si tratta di
due diversi modelli che permettono di
stabilire la frequenza media vera ν
delle particelle che colpiscono il
rivelatore noti il tempo morto τ e il
numero di eventi k rivelati nel tempo t.
Se si applica il modello relativo alla
modalità' (a) cioè si fa l'ipotesi che il
rivelatore stia funzionando a tempo
morto fisso, nel qual caso si intende
che esso rimane completamente
insensibile ad ogni altro evento
dovesse intercorrere durante il tempo τ, si può' facilmente dedurre ν dalla considerazione che il
numero di eventi veri che il rivelatore avrebbe dovuto processare nel tempo t , cioè νt, deve
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uguagliare la somma di quelli effettivamente registrati, k, e di quelli persi durante il tempo morto
totale , kτ, cioè νkτ:
ν= (k/t)/[1- (k /t) τ]
Diversamente la determinazione di ν, nel modello a tempo morto variabile, vale a dire nel caso in cui
il rivelatore accetta eventi anche durante il tempo morto che perciò' continua ad estendersi (v. figura)
portando alla paralisi momentanea del rivelatore, comporta delle ipotesi di tipo statistico che
conducono ad una equazione risolvibile numericamente che ammette due soluzioni per ogni
frequenza di conteggio osservata.
In pratica il problema che sorge e' quello di stabilire se al rivelatore, o più' spesso, all'insieme di
rivelatori che costituiscono il sistema di rivelazione, debba essere applicato un modello oppure l'altro.
Questione non sempre risolvibile specie se il sistema stesso e' composto da rivelatori diversi tra loro e
con un tempo morto variabile in funzione della frequenza media di conteggio. La soluzione spesso
adottata e' quella di forzare un tempo morto fisso maggiore di quello di ciascun elemento in modo da
poter applicare con sicurezza uno dei modelli anche se in questo modo si utilizza il sistema in un
modo non ottimale.
Funzione di risposta
In particolare nelle misurazioni di energia e' importante conoscere la funzione di risposta del
rivelatore a quella particolare radiazione incidente per poter determinare il più' esattamente possibile
il valore dell'energia della particella. Operativamente vuol dire determinare la distribuzione delle
ampiezze dei segnali in uscita dal rivelatore quando su di esso si fa incidere una radiazione
strettamente monoenergetica. La risposta ideale dovrebbe avere la forma di una riga ossia una
funzione dell'energia E della particella senza alcuna larghezza ( ∆Ε=0 ), simile ad una delta di Dirac,
la cui ampiezza e' una misura, attraverso opportuni fattori di conversione, dell'energia della
particella. Sfortunatamente non e' cosi e la risposta e' piuttosto complicata e dipende da molti fattori
come
(a) il tipo di radiazione incidente che condiziona fortemente le differenti interazioni attraverso le
quali la radiazione stessa rilascia la sua energia
(b) il modo di realizzare il rivelatore
(c) la geometria del rivelatore.
La funzione di risposta osservata, PH(E), sarà allora, in generale, espressa dall'integrale di
convoluzione :
PH(E)= ∫ S(E') R(E,E') dE'
in cui R(E,E') rappresenta la risposta all'energia E' e S(E') e' lo spettro della radiazione incidente. Da
ciò' risulta evidente l'importanza di avere R(E,E')=δ(E,E'). Per una discussione più' ampia e
dettagliata sulle molte funzioni di risposta rimandiamo ai diversi specifici rivelatori.
Efficienza.
L'efficienza totale o assoluta etot di un rivelatore e' definita come il rapporto
εtot= Nriv/Ns
tra il numero di eventi rivelati e quello emesso dalla sorgente. Essa e' quindi una funzione della
geometria sorgente-rivelatore e della probabilità' d'interazione della radiazione incidente. Nel caso,
piuttosto semplice, di una sorgente puntiforme che emetta una radiazione con una distribuzione
angolare P(θ)dΩ, l'efficienza totale può essere scritta:
ε tot= ∫V I(θ,µ) P(θ) dΩ
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in cui I(θ,µ) e' la probabilità' che una particella che entra nel volume V sensibile del rivelatore abbia
in esso una interazione con coefficiente di assorbimento µ. In generale la funzione I(θ,µ) e'
esprimibile come :
I(θ,µ)= 1- exp( -µx)
in cui x e' il percorso della particella entro il rivelatore. Allora se x non varia molto e se µ e' molto
grande, come accade in molti casi, l'efficienza assoluta può' essere fattorizzata come prodotto
dell'efficienza intrinseca εi e di quella geometrica εg detta anche accettanza del rivelatore.
εtot ~= εi εg
in cui εi e' definita come il rapporto :
εi= Nriv/Ni
tra il numero di eventi rivelati e il numero di quelli che colpiscono il rivelatore. Naturalmente ora la
εi e' funzione del tipo di radiazione, della sua energia e del materiale con cui e' costruito il rivelatore
mentre la εg dipende esclusivamente dall'accettanza dello stesso cioè dalla geometria del sistema
rivelatore-sorgente ed e' funzione della distribuzione angolare con cui quest'ultima emette la
radiazione.
Nei casi più' complicati cioè' quando non si può' assumere come puntiforme la sorgente, quando più'
rivelatori sono posti in coincidenza tra loro, quando la geometria non e' semplificabile, per il calcolo
dell'efficienza totale si ricorre all'uso di metodi di simulazione come, ad esempio, il metodo
Montecarlo.
Elaborazione dei segnali.
In un esperimento di fisica delle alte energie, per giungere alle grandezze fisiche che identifichino
completamente lo stato finale dell'evento, è indispensabile che i segnali generati dai rivelatori che
compongono l'apparato sperimentale siano elaborati opportunamente allo scopo di poter estrarre da
essi il massimo contenuto di informazione ottenibile. Data la natura elettrica di tali segnali, i
dispositivi che operano la manipolazione sono dei circuiti elettronici.
In generale quasi tutti i rivelatori che non fanno uso di fotomoltiplicatori che provvedono essi stessi
sia alla conversione ottico-elettronica che all'amplificazione, hanno necessità di preamplificare il
debole segnale in uscita. Normalmente, per ovvii motivi di riduzione del rumore elettronico, tali
preamplificatori vengono inseriti il più vicino possibile al rivelatore stesso.
Quindi il primo stadio della manipolazione del segnale è la preamplificazione. Esistono tre metodi
fondamentali per operare questa elaborazione.
(a) Quello sensibile alla tensione
(b) Quello sensibile alla corrente
(c) Quello sensibile alla carica.
Ciascuno più adatto a un certo tipo di rivelatore. Così , ad es., si preferisce un preamplificatore
sensibile alla carica per un rivelatore a semiconduttore allo scopo di minimizzare l'influenza della
variazione della capacità intrinseca in funzione della temperatura sul segnale di uscita. Diversamente
per un rivelatore a scintillazione è utilizzato il metodo sensibile alla tensione che è poi il più diffuso.
In seguito alla preamplificazione e soprattutto a causa della inevitabile successiva amplificazione,
uno dei problemi maggiori che si incontrano nel trattamento del segnale è quello del rumore
elettronico. Esso è introdotto nella catena di elaborazione a partire dal rivelatore stesso e
successivamente da tutti gli altri stadi di manipolazione.
Si può dimostrare che il miglior rapporto segnale-rumore si ottiene qualora la forma del segnale da
manipolare è gaussiana. Purtroppo è impossibile realizzare elettronicamente un impulso che abbia la
forma di una funzione gaussiana ideale. E' però possibile ottenere una formazione semi gaussiana
attraverso l'impiego in cascata di uno stadio derivatore CR seguito da molti ( 5 sono sufficienti) stadi
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integratori RC. Tale segnale presenta però, per sua natura, una coda temporale molto lunga che
limita la frequenza massima di accettazione degli eventi se non si vuol incorrere nella probabile
sovrapposizione di un impulso sulla coda del precedente con conseguente distorsione del segnale e
perdita di proporzionalità con la grandezza fisica rivelata. Fenomeno ben noto col nome di pile-up.
Inoltre si deve considerare che un'altra informazione importante relativa a un evento è il tempo di
occorrenza dello stesso. Per rendere minime le sue fluttuazioni è necessario che la formazione
dell'impulso sia tale da consentire un tempo di salita il più rapido possibile. Infatti se σn è la
deviazione standard nell'ampiezza V del segnale dovuta al rumore elettronico, allora la deviazione
standard σt sul tempo è data da :
σt =σn /(dV/dt)
Tale esigenza implica che la catena di amplificazione abbia la più ampia banda passante possibile il
che contrasta fortemente con la necessità di introdurre filtri RC e CR per ottimizzare il rapporto
segnale-rumore. Esiste cioè un conflitto tra la formazione del segnale necessaria per una buona
analisi di ampiezza ( forma gaussiana) e quella imposta da una corretta analisi temporale (rapido
tempo di salita). E' comunque possibile risolvere questa apparente incompatibilità costruendo due
canali indipendenti di elaborazione. Si può, partendo dallo stesso segnale, formarne due, uno
ottimizzato per la temporizzazione e l'altro per l'analisi di ampiezza. Questo è il noto metodo attuato
dalla catena elettronica detta fast-slow. Tale differenziazione del segnale può avvenire sia a livello
dello stesso rivelatore, come avviene, ad es. nelle camere proporzionali o in quelle a deriva nelle
quali l'informazione temporale e quella in ampiezza vengono prelevate in punti diversi, sia
duplicando l'unico segnale disponibile come avviene nei rivelatori a scintillazione. In questi ultimi, a
volte, si preferisce, se si ha a disposizione un fotomoltiplicatore come dispositivo di conversione
ottico-elettronica, prelevare il segnale per l'analisi di ampiezza dall'ultimo dinodo e l'altro dall'anodo.
Da quanto detto risulta evidente che il segnale di riferimento temporale deve avere caratteristiche di
rapidità e non di proporzionalità quindi esso viene successivamente elaborato da circuiti chiamati
discriminatori di ampiezza che lo trasformano in segnale logico. Quello analogico, invece, viene
inviato a dispositivi capaci di analizzare l'ampiezza come, ad es., l' MCA ( Multi Channels
Analyzer) o gli ADC ( Analog to Digital Converter).
Spesso accade che le esigenze della ricerca nella fisica subnucleare richieda l'uso di più rivelatori con
caratteristiche anche diverse. Infatti l'interazione tra particelle elementari ad alta energia (0.1-1
TeV), sia essa prodotta dall'urto tra fasci o tra un fascio e un bersaglio fisso o tramite la componente
cosmica dura, genera nello stato finale un numero e una varietà di particelle secondarie molto
elevato. Il riconoscimento di ognuna di esse e la determinazione delle grandezze fisiche necessarie
alla ricostruzione globale dell'evento non può essere fatto, attualmente, da un solo rivelatore di
particelle ma dalla concorrenza di tanti di essi a formare un complesso apparato sperimentale. In
questo caso si ha la necessità di stabilire un insieme di condizioni per identificare un determinato
tipo o diverse particelle o una particolare configurazione dello stato finale dell'evento. Occorre quindi
che più rivelatori, quali dipenderà dalle necessità del caso, segnalino la presenza o il passaggio delle
particelle contemporaneamente. Ciò viene realizzato mettendo in coincidenza tutti i segnali di
riferimento temporale di quei rivelatori che si suppone debbano essere coinvolti in base alla scelta
delle condizioni di identificazione fatta. Questa procedura, che è la parte cruciale dei moderni
esperimenti, viene detta composizione del trigger. L'occorrenza di un cosiddetto evento di trigger
darà il consenso all'acquisizione di tutti i segnali analogici e logici dell'apparato.
La complessità e le dimensioni di quest'ultimo unita alla notevole frequenza di ripetizione delle
interazioni fascio-fascio ( fino a 10 MHz attualmente a HERA che diventerà circa 100 MHz con il
costruendo LHC) comporta il trasferimento di un gran flusso di informazioni dal primo stadio, che
può essere individuato nei rivelatori, fino all'ultimo che è, normalmente, il dispositivo di
memorizzazione di massa di un calcolatore. Si passa quindi da una informazione elementare che
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deve essere gestita in tempo reale all'immagazzinamento, in forma digitale, di un evento comunque
complesso tramite un dispositivo, il calcolatore, che, per quanto rapido possa essere, non potrà mai
emulare la velocità con cui affluiscono le singole informazioni primarie. Risulta perciò necessario
adeguare le diverse velocità di manipolazione delle informazioni interponendo nel canale in cui
scorrono i dati uno o più filtri che riducano la quantità d'informazione da memorizzare alla sola
necessaria e sufficiente evitando così l'elaborazione di quella ridondante. Si parla allora di trigger di
primo livello ( il più rapido), di secondo e così via ognuno con velocità di elaborazione minore ma
con capacità decisionali crescenti. Una volta che le informazioni digitalizzate e separate evento per
evento sono rese disponibili sul calcolatore, tramite l'uso di speciali programmi di lettura e di
ricostruzione, sarà possibile riprodurre gli eventi così come sono stati generati e quindi analizzarli
secondo diversi criteri connessi con le specifiche grandezze fisiche che si intende estrarre ( ad es.
sezione d'urto di un particolare processo, vita media di una determinata particella,...)
Rivelatori a Scintillazione
Brevi cenni storici:
Le particelle alfa, che sono le più intensamente ionizzanti tra le radiazioni provenienti da materiali
radioattivi, producono su uno schermo di solfuro di zinco delle scintillazioni singole che possono
essere osservate visivamente attraverso un microscopio in una stanza oscura. Un tale metodo di
osservazione è "molto tedioso" e la frequenza di osservazione è limitata "fisiologicamente" a circa 60
scintillazioni al minuto. Nonostante ciò il conteggio visuale della scintillazione ha giocato un ruolo
molto importante nella ricerca nucleare sin dalla sua introduzione da Crookes e Regener nel 1908
fino al 1930. Si racconta che, in un famoso laboratorio, durante questo periodo, gli studenti che
volevano fare ricerca venivano selezionati in base alla loro capacità di contare accuratamente le
scintillazioni in una camera oscura. Solo coloro che superavano nella accuratezza del conteggio un
certo standard venivano accettati; gli altri venivano avvisati di prendere un'alternativa
Nello storico esperimento sulla diffusione di particelle alfa di Geiger & Marsden (1909) che
condusse alla scoperta del nucleo atomico (Rutherford 1911) e in successive verifiche (Geiger &
Marsden 1913; Chadwick 1920), il numero relativo di particelle alfa, deflesse ad un certo angolo
nell'attraversare un foglio sottile, sono
state determinate attraverso un
conteggio visuale.
Ancora con lo stesso metodo sono
state fatte misure di range straggling
delle particelle alfa, in aria, usando
uno schermo di solfuro di Zinco.
In figura : Range, in aria, delle
particelle alfa del Po 210 ( 5.3 MeV)
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Processi di Scintillazione. Generalità
I materiali scintillanti sono suddivisi in due grandi categorie (a) scintillatori inorganici di cui fanno
parte gli alogenuri alcalini attivati con altri elementi come lo NaI(Tl), lo CsI(Te), lo LiI(Eu) in forma
di cristalli; le polveri cristalline come il ZnS(Ag); i vetri scintillanti come il Ce attivato con Li e,
infine i gas nobili come l'Argon, lo Xenon, il Kripton e l'Elio a volte anche miscelati tra loro. (b)
scintillatori organici in forma di cristalli come l'Antracene, Trans-Stilbene e Naftalene; in soluzioni
solide ovvero uno o più' soluti in un solvente plastico solido; in soluzioni liquide cioè' uno o più'
soluti organici in un solvente organico.
L'energia dissipata da una particella carica (per ionizzazione o per eccitazione) è trasformata in
emissione di luminescenza. Per luminescenza si intende il fenomeno per cui alcune sostanze sono
capaci di riemettere, sotto forma di radiazione elettromagnetica, una parte dell'energia assorbita in
precedenza sotto varie forme.
A seconda delle cause dell'eccitazione si distinguono vari tipi di luminescenza (chemiluminescenza,
elettroluminescenza,...) ma i fenomeni atomici ed elettronici responsabili sono indipendenti
dall'agente eccitato.
Se l'emissione avviene in tempi dell'ordine 10-8s o meno si parla di Fluorescenza. Invece se
l'emissione è molto più lunga, >= 10-4 si parla di Fosforescenza. In generale la Luminescenza
(visibile o ultravioletta) avviene a energia minore di quella assorbita dalla radiazione incidente.
Processi di Scintillazione nei Materiali Organici
Gli scintillatori organici sono composti della serie aromatica contenente anelli benzenici. Nei
materiali a struttura cristallina la luminescenza e' da considerarsi un processo molecolare ed ha
origine dalle transizioni fatte dagli elettroni appartenenti agli orbitali molecolari π.
La struttura delle molecole organiche è largamente determinata dalla struttura elettronica dell'atomo
di Carbonio. La struttura del carbonio è la seguente:
C Z = 6 1s2 2s2 2p2.
Generalmente nel formare composti, un elettrone del livello 2s può essere considerato eccitato nello
stato 2p (Coulson 1952) per cui la struttura atomica del C, "preparato per il legame", è 1s2 2s1 2p3.
Nel descrivere le tre valenze del C, (4, 3, 2), si pensa che i quattro elettroni di valenza, 1 2s e 3 2p,
risultano miscelati in 3 configurazioni alternative.
1-sp3
Non luminescente
2-sp2
Luminescente (π electrons )
3-sp
Luminescente
Un tipico diagramma dei livelli energetici di questi orbitali e' rappresentato nella seguente figura in
cui con S0, S1, S2, S3..si sono indicati gli stati elettronici di singoletto e con T1, T2, T3..quelli di
tripletto, mentre con il secondo suffisso, cioè' S00, S01, S02,..i corrispondenti sotto-livelli
vibrazionali.
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Transizioni di fluorescenza S1 → S0
Assorbimento S0 →S1, S2, S3
Transizioni di fosforescenza T1 → S0
Inter-system crossing S1 → T1
Vi sono tre tipi di processi di luminescenza che possono avvenire in queste semplici molecole
organiche: (a) fluorescenza; (b) fosforescenza; (c) fluorescenza ritardata.
La fluorescenza, che e' il processo principale, e' dovuta alle transizioni radiative dallo stato S10 agli
stati S0. La vita media radiativa del livello S1 e' dell'ordine di 10-8 - 10-9 s che e' molto grande se
confrontato con il periodo di vibrazione delle molecole (~10-12 s). Allora queste raggiungono
l'equilibrio termico molto prima dell'emissione e la transizione radiativa avviene solo dal livello S10
verso tutti i possibili sotto-livelli dello stato fondamentale S00, S01, S02,...Poiché' la struttura dei sottolivelli di S1 e di S0 sono molto simili, lo spettro di fluorescenza e' un'immagine speculare di quello di
assorbimento e quindi tra i due esiste spesso una parziale sovrapposizione.
L'intensità della radiazione decade esponenzialmente nel tempo secondo la legge:
I = I oe
t
τ
in cui Io, I sono, rispettivamente le intensità al tempo t = 0 e τ, è la costante di tempo di decadimento
di fluorescenza. Una descrizione più dettagliata sui processi che portano a questo andamento sarà
fatto più avanti.
Da misure (Clar, 1941) risulta E2 ∼ 1.35 E1 e una teoria per dar conto della spaziatura, in energia, è
stata data da Dewar e Longuet-Higgins (1954) e Pople (1955) dalla quale risulta anche che la
spaziatura è simile in tutte le molecole aromatiche che sono usate come scintillatori organici. Per
ciascun livello elettronico ci sono diversi livelli vibrazionali con una spaziatura di circa 0.16 eV. Vi
sono anche livelli elettronici di tripletto T1, T2, T3,.. ciascuno più basso in energia del
corrispondente livello di singoletto. Sebbene la transizione S0 → T1 è spin-proibita, il livello di
tripletto può essere popolato in altri modi. Un'altra caratteristica particolare è che, nonostante le vite
medie radiative dei livelli S2, S3 siano minori di quelle di S1 non, sono mai state osservate
transizioni tra S2 → S0; S3 → S0. Questo fenomeno è spiegato con la considerazione che la
conversione interna tra stati eccitati adiacenti è molto rapida (circa 10-11 s.). Essa è dovuta
all'accoppiamento tra stati elettronici eccitati. Allora la molecola eccitata in qualsiasi stato di
singoletto, attraverso la conversione interna e successivamente per mezzo della degradazione termica
dell'eccesso di energia vibrazionale, raggiunge il livello S10 dal quale decade nello stato
fondamentale emettendo luce di fluorescenza.
146
La Fosforescenza è una emissione a frequenza minore, esponenziale, con τ maggiore della
fluorescenza (10-4s.). Questa è anche chiamata: slow fluorescence. Una frazione delle molecole
eccitate, in seguito ad assorbimento, nel livello S1, attraverso una transizione senza emissione di
radiazione, decadono nello stato di tripletto T1. Questa transizione, ancora non del tutto chiara,
avviene attraverso uno spin-flip (inversione dello spin) causato dall'inversione spin-orbita. Il livello
T1 è a vita media molto lunga (10-4 ÷ 1 s) e la fosforescenza corrisponde appunto alla transizione T1
→ S0.
La Fluorescenza ritardata ha lo stesso spettro della fluorescenza con una vita media molto lunga e
non segue il decadimento esponenziale. Una frazione delle molecole che hanno subito la transizione
S1 → T1 senza emissione di radiazione possono essere rieccitate termicamente al livello S1
emettendo una radiazione di fluorescenza ritardata.
Spettro di assorbimento dell'antracene in cicloesano
Spettro di fluorescenza dell'antraceme in
cicloesano
Classificazione degli Scintillatori Organici
Sistemi Unitari :
Cristalli Puri (Antracene, Trans-stilbene)
Liquidi Puri (Xilene)
Plastici Puri (Polistirene)
Troppo bassa eff.
per essere usati
Sistemi Binari :
Soluzioni Liquide Binarie (p-terfenile in toluene)
Soluzioni Plastiche Binarie (p-terfenile in toluene)
Soluzioni di Cristalli Binarie (antracene in naftalina)
Sistemi Ternari :
Soluzioni Liquide Ternarie (p-terfenile, POPOP, in toluene)
147
Soluzioni Plastiche Ternarie (p-terfenile, POPOP in polistirene)
Meccanismi di Scintillazione
Facendo riferimento alla schematizzazione già fatta possiamo schematizzare come segue:
X = costituente principale di un sistema unitario; solvente di un sistema binario
Y = soluto primario
Z = soluto secondario
Con questa nomenclatura la classificazione diventa:
Sistema Unitario
→
X
Sistema Binario →
X+Y
Sistema Ternario
→
X+Y+Z
Un evento di scintillazione può
essere convenientemente scomposto
in due fasi:
1)
2)
Processi Primari
Processi Secondari
Processi
Processi
primari
secondari
X
Energia
e.m.
Diseccitazione
n = no e-t/ τ
Eccitazione
sistema
I Processi Primari corrispondono al trasferimento di energia dalla radiazione ionizzante ad
eccitazione del sistema X.
I Processi Secondari sono l'insieme dei possibili canali o modi in cui può andare l'energia di
eccitazione di X.
Diversi studi dei processi secondari realizzati usando sia radiazione U.V. esterna che radiazione
ionizzante, hanno dimostrato:
• l'indipendenza dei processi secondari dal modo di eccitazione e quindi la possibilità di
studiare separatamente i due processi.
Processi Primari
I processi primari competitivi cioè i diversi canali di eccitazione del sistema X possono essere così
suddivisi :
1.
Eccitazione degli stati di singoletto dei π-electrons
2.
Ionizzazione dei π-electrons
3.
Eccitazione di altri stati (per esempio 1s)
4.
Ionizzazione di altri elettroni diversi dai π-electrons.
La eccitazione degli stati di tripletto T1,T2,... non sono state considerate in quanto sono otticamente
proibite ma questo non significa che questo canale non possa esistere in assoluto, magari eccitato in
modo non e. m.
•
•
•
Il processo 1 è responsabile della cosiddetta Fast-component della scintillazione
Quando avviene il processo 2 si è visto, da studi e osservazioni sperimentali (Buck, 1960), che la
successiva ricombinazione avviene preponderantemente (75%) in uno stato di tripletto. Quindi
questo canale sembra essere il responsabile della cosiddetta Slow-component della scintillazione.
La ricombinazione nello stato di singoletto (π-electrons) è responsabile solo del 12% circa della
scintillazione.
Il canale 3 non contribuisce alla fluorescenza in quanto l'energia viene dissipata termicamente.
148
•
Il canale 4, poiché ionizza elettroni non delle configurazioni π o dell'1S ma più "interne",
provoca un danneggiamento temporaneo o permanente del sistema molecolare X. Se è
temporaneo esso può diventare un centro di quenching che porta ad una graduale diminuzione
della efficienza di scintillazione. Nel caso di danneggiamento temporaneo, una eventuale
ricombinazione ionica in un livello eccitato non π-electron porta ad una dissipazione termica
dell'energia.
Efficienza di Eccitazione Primaria P
Definiamo la quantità P = efficienza di eccitazione primaria.
Una frazione P dell'energia incidente è spesa per l'eccitazione del canale 1, e la rimanente frazione
(1 - P) per gli altri canali 2, 3, 4 che non danno contributo alla scintillazione se non nel modo 2 che
però "pesa" molto poco con la Slow-component.
Purtroppo non esistono molte misure né valutazioni teoriche complete sul valore della efficienza di
eccitazione primaria P. Birks (1961) ha proposto un metodo semi empirico che porta al valore P ∼
2/3. Ciò vuol dire che circa il 70% dell'energia incidente viene spesa per l'eccitazione del sistema
molecolare. Poiché solo gli elettroni π contribuiscono alla fluorescenza, se si indica con Fπ la
frazione di π-electrons nel sistema X, allora risulta:
2
P = Fπ
3
il valore di Fπ è sensibilmente uguale per tutte le sostanze scintillanti organiche di nostro interesse.
Quindi risulta : P ≈ 0.1.
L'eccitazione del sistema molecolare X avviene preferibilmente ai livelli eccitati S2, S3 se quindi
calcoliamo il valore medio dell'energia di eccitazione, troviamo che essa, Ee, vale: Ee≈1.5E1 in cui
E1 è l'energia del livello S1.
In sostanza una frazione P ≈ 0.1 dell'energia incidente è spesa nell'eccitazione diretta degli stati di
singoletto-π del sistema molecolare X ad una energia media di eccitazione Ee (Ee ≈ 1.5E1). Questo è
il processo primario.
L'energia Ee sarà successivamente convertita in fluorescenza attraverso canali diversi dando luogo ai
processi secondari con una efficienza complessiva che chiameremo Q. Possiamo quindi definire già
da ora, la efficienza assoluta di scintillazione S=PQ che ricaveremo più avanti
S=P⋅Q
Processi Secondari dei Sistemi Unitari
Nella figura sono schematizzati i livelli elettronici di due molecole con indicati i diversi canali di
diseccitazione o perdita dell'energia di eccitazione primaria Ee.
149
5.
•
Conversione interna : E' dovuta all'accoppiamento tra gli stati eccitati S2, S3 che decadono in
S1 senza emettere radiazione.
Si può definire una efficienza quantistica qic di conversione interna al primo livello di
singoletto S1 dagli stati eccitati S2, S3
qic ≈ 0.2÷0.4 benzene, p-terfenile ; 0.5 ÷ 0.8 p-xilene
Si può definire anche una efficienza in energia C
•
q
E
C = 1 qic ≅ ic ≅ 0.13 - 0.26 benzene ;
Ee
1.5
≅ 0.33 - 0.53 p - xilene
6.
Emissione di fluorescenza: transizione S1 → S0, responsabile della scintillazione secondo
il fattore Kf.
7.
Quenching Interno : L'energia E1 viene dissipata non radiativamente o attraverso una
transizione di quenching al livello S0 o attraverso una transizione termica al livello di tripletto T1. Il
fattore che tiene conto di questo canale è Ki.
Migrazione radiativa : Il fotone di fluorescenza emesso nella transizione S1 → S0 è
assorbito da un'altra molecola di tipo X, nella frazione, a⋅Kf, e migra radiativamente da una molecola
8.
all'altra.
9.
Migrazione non radiativa : L'energia E1 viene scambiata tra molecole di tipo X per mezzo
di un processo non radiativo detto diffusione eccitonica. (Kt)
Fuga dell'emissione : L'emissione di fluorescenza S1 → S0 fugge dal sistema, cioè non è
catturata da un'altra molecola di tipo X e quindi si rende disponibile all’utilizzazione. Il fattore che
ne tiene conto è (1 - a)Kf.
Il parametro a rappresenta la frazione della emissione di fluorescenza riassorbita nel materiale.
Esso, ovviamente, dipende dalla sovrapposizione degli spettri di emissione e di assorbimento della
sostanza e dallo spessore d dello scintillatore
− εd
10.
[
]
I (ν ) 1 − e
dν
a=∫
∫ I (ν )dν
in cui ε è detto coefficiente di estinzione di X alla frequenza ν e I(ν) è l'intensità relativa di
fluorescenza.
Efficienza quantica di fluorescenza qp:
La definiamo come il rapporto tra la frazione dei fotoni "utili" di fluorescenza generati nella
transizione S1→S0 e il totale dei possibili decadimenti dal livello S1 → S0. Quindi:
qp =
K f (1 − a)
Ki + K f
questa è valida per un solo sistema molecolare X. Se consideriamo l'insieme dei sistemi X presenti
nel materiale dovremo anche considerare i processi di assorbimento (aKf)e di successiva riemissione.
Si ha quindi:
qp=q0(1-a)[1+q0 a+q02a2+...]
in cui
q0 =
Kf
Ki + K f
150
rappresenta l'efficienza di fluorescenza nel caso in cui a = 0 cioè quando non si ha auto assorbimento
delle radiazioni di fluorescenza emesse dall'i-esino sistema molecolare X. La serie converge al
valore:
q (1 − a)
qp = 0
1 − q0 a
che è generale e vale sia per i cristalli spessi che per quelli sottili.
In quest'ultimo caso, a = 0, e si riconduce a : q 0 =
Kf
Ki + K f
per i cristalli sottili
Efficienza quantica dei Processi Secondari Q:
Considerando il processo di conversione interna che ci dà una misura della probabilità che si abbia un
decadimento al livello S1, di energia E1, partendo da una energia media di eccitazione primaria Ee,
e tenendo conto di tutti gli altri "canali" 6 ÷ 10, possiamo scrivere l'efficienza quantica dei processi
secondari Q.
Ep
Ep
E
qp = C
qp
Q = 1 qic
Ee
E1
E1
in cui Ep è l'energia dei fotoni di fluorescenza, C è l'efficienza di conversione interna e il termine
Ep
q p tiene conto di tutti gli altri canali 6÷10 con l'ipotesi che il processo 9 avviene con efficienza
E1
unitaria. Questo equivale a dire che le molecole sono indistinguibili cioè che l'insieme dei processi
alternativi alla emissione di fluorescenza, qualora avvenisse il processo 9, possono accadere su un
altro sistema molecolare.
Efficienza assoluta di scintillazione S :
Tiene conto di tutti i processi primari e secondari ed è già stata definita come S=PQ in cui P è la
frazione dell’energia incidente disponibile per l’eccitazione del sistema molecolare. Quindi :
S = PC
Ep
E1
qp
questa formula è valida per i Sistemi Unitari o Cristalli Puri.
Per gli altri sistemi si possono ricavare formule simili con ragionamenti analoghi.
Si può scrivere, estendendo la considerazioni fatte per il sistema unitario X:
E
S y = PC PY f xyq0Y
E1x
per un Sistema Binario in cui la molecola di solvente (principale) X trasferisce alla molecola di
soluto Y, presente in piccola percentuale, la radiazione di fluorescenza con efficienza fxy.
Ed anche:
E
S z = PC PZ f xy f yz q0 Z
E1x
per un Sistema Ternario in cui l'emissione della molecola Y viene convertita in luce visibile con
efficienza fyz. Si è usato il termine conversione perché, in generale, i sistemi ternari sono ottenuti da
quelli binari, nei quali l'emissione di fluorescenza cade in un intervallo di frequenze dell'ultra
151
violetto, aggiungendo una sostanza particolare, Z, che assorbe la radiazione U.V. e la riemette nel
campo visibile. Queste sostanze, come il POPOP, sono chiamate appunto wavelenght-shifter (WLS).
Modi di Decadimento della Fluorescenza e della Scintillazione in un Sistema
Unitario
Il modo di decadimento della fluorescenza di un cristallo puro è largamente determinato dalla
transizione S1 → S0.
Da un gran numero di esperimenti (McDonald, Dunn e Braddock, 1960) si è potuto dedurre che i
tempi di decadimento della scintillazione e della fluorescenza sono identici.
Se n0 è il numero di molecole eccitate al tempo t = 0 ed n è il numero di quelle eccitate al tempo t,
possiamo scrivere che:
−
[
dn
= (1 − a ) K f + K i ]n
dt
cioè il numero di quelle che si diseccitano nell'intervallo dt, è proporzionale, ovviamente, al numero
di quelle eccitate al tempo t tramite una costante [...] che tiene conto della frazione di decadimenti
che non sono riassorbiti, [(1-a)Kf], più la frazione di decadimenti per quenching interno (Ki). Si
arriva quindi:
n = n0e(-t/τ)
in cui τ=1/[(1-a)Kf+Ki ] . Questa formula è generale.
Nel caso di un sistema unitario molto sottile, (a ≈ 0), si ha: τ0 = 1/(Kf+Ki) dalla quale si deduce che:
in un cristallo spesso la costante di tempo è maggiore.
Questo fenomeno è spiegato con la semplice considerazione che in un cristallo spesso la diminuzione
di n nell'unità di tempo è ridotto dal fenomeno del riassorbimento. Cioè la frazione aKfndt di
molecole eccitate contribuiscono anch'esse alla radiazione di luminescenza.
•
Spesso vuol dire maggiore di pochi millimetri per l'Antracene.
•
E' stato inoltre osservato, tramite un calcolo M.C. che simulava i processi di successivi
assorbimenti e riemissioni, che, se la probabilità media di assorbimento si mantiene costante nelle
successive generazioni, allora il decadimento rimane esponenziale. Se invece accade che la
probabilità media di assorbimento varia da una generazione di fotoni ad un'altra, allora il
decadimento non è più un semplice esponenziale. Questo può accadere in un mezzo non omogeneo.
Un esempio di tale fenomeno si ha in un cristallo di Antracene con le superfici ossidate
152
Alcuni valori caratteristici dell'Antracene
L'Antracene è un sistema unitario, cioè un cristallo puro. Esso, per le sue caratteristiche, è preso
come scintillatore organico Standard.
A seconda di come si eccita il cristallo e di come si "preleva" l'emissione si possono distinguere
almeno tre casi:
1.
Eccitazione di volume:
Possono essere ottenute tramite eccitazione di raggi X, raggi γ o altre radiazioni penetranti attraverso
il volume.
2.
Eccitazioni di superficie 1:
Si possono ottenere tramite eccitazioni con fotoni U.V., particelle α di bassa energia che eccitano
solo una regione molto vicina alla superficie del cristallo, e l'emissione è osservata in riflessione della
superficie irradiata.
3.
Eccitazione di superficie 2
Come il caso precedente con la differenza che l'emissione è osservata attraverso il cristallo.
Nei tre diversi casi, a, coefficiente di auto assorbimento, è diverso.
Facendo riferimento alla figura relativa agli spettri di fluorescenza dell'antracene, possiamo fare le
seguenti considerazioni:
•
•
Nello spettro molecolare ( M in figura), a ≈ 0.
Facendo il rapporto tra l'area degli spettri in trasmissione ( T )e in riflessione ( R ) otteniamo
una misura di (1-a), cioè della probabilità di fuga della radiazione di fluorescenza.
In seguito a tali osservazioni otteniamo:
In trasmissione
a ≈ 0.76;
In riflessione
a ≈ 0.54.
• Birks e Cameron (1959) trovarono:
Ep =
h ∫ i (ν )dν
≅ 2.63 eV
∫ I (ν )dν
E1 ≅ 3.15 eV
q (1 − a)
qp o
≅ 0.68
1 − qo a
dalla quale si ricava: q0 ≈ 0.89
153
•
Bowenetal.(1949) ricava: τ0 = 1/(Kf+Ki) ≈ 10 ns
da qui otteniamo: τv=τ0/(1- aq0) ≈ 31,6 ns (con a ≈ 0.76) in eccellente accordo con le misure di
Saungster e Irvine (1956), τv= (31 ± 2) ns ottenuto come media delle osservazioni fatte su un
cristallo spesso eccitato con raggi γ. Se invece sostituiamo
a ≈ 0.54 otteniamo τr (riflessione) ≈ 19.4 ns
•
Kallmann e Brucker (1957), eccitando l'Antracene con α da 5 Mev, trovarono :
τr = (16 ± 2.6) ns
Il leggero disaccordo è probabilmente dovuto ad una leggera ossidazione della superficie del
campione che ha l'effetto di ridurre τ.
Nel caso di osservazioni in trasmissione ed eccitazione superficiale, il valore effettivo di a è il valore
medio tra riflessione con eccitazione superficiale ed eccitazione di volume, e si ottiene: a≈0.65 che
da: τt(trasmissione) ≈ 24.1 ns
Alcuni valori tipici
S = PC
Ep
E1
qp
essendo P≅0.1 e assumendo C ≅ 2/3 con qic = 1 con qp ≅ 0.68 si ottiene: S≅0.038
Se si eccita il cristallo con un elettrone da 1 Mev
N=
Pc
q p 10 6
E1
Quindi si ottiene, per S ≅ 0.038,: N=S⋅106/Ep ≅ 1.44⋅104 fotoni oppure:
Ei/N ≅ 69 ev/fotone.
Comportamento con la Temperatura
Il coefficiente di auto assorbimento a, aumenta con T, in quanto con T aumenta la larghezza degli
spettri di assorbimento e di emissione e
quindi aumenta la sovrapposizione tra i
due. In conseguenza dell'aumento di a,
con T, si ha l'aumento di τv e la
diminuzione di qp come mostrato in
figura.
Risposta di Scintillazione a diverse Radiazioni Ionizzanti
Se una particella ionizzante manifesta un basso valore di dE/dr i sistemi molecolari eccitati o
ionizzati intorno alla traccia della particella risultano spaziati parecchie distanze molecolari.
Sotto tali condizioni, la risposta di scintillazione L, è proporzionale all'energia E che la particella
dissipata nello scintillatore. Quindi, ad esempio, per un e- relativistico (cioè al minimo di
ionizzazione, MIP) si ha:
L = S⋅E
154
o, in forma differenziale
dL/dr = SdE/dr
in cui S è l'efficienza di scintillazione, dE/dr è la perdita di energia specifica e dL/dr è la
fluorescenza specifica (energia emessa per unita' di percorso.
Per particelle più pesanti come, p, α ed e- di bassa energia (<125 Kev), mentre dE/dr aumenta, si
osserva che dL/dr diminuisce, (è ridotta al disotto di S), e la risposta integrale L non è più lineare
con E.
• Birks (1951) ha proposto una relazione semi empirica che tiene conto di questo fenomeno
attribuito al quenching dell'eccitazione primaria a causa dell'alta densità di molecole eccitate e
ionizzate lungo il percorso.
dL
SdE / dr
=
dr 1 + KBdE / dr
in cui BdE/dr è la densità specifica di molecole ionizzate ed eccitate lungo la traccia della particella,
B è una costante e K è il parametro di quenching. Questa è valida nell'ipotesi di quenching
unimolecolare.
Per piccoli valori di dE/dr cioè quando KBdE/dr << 1, si ha:
dL/dr=SdE/dr che approssima bene l’andamento lineare in condizioni di bassa densità di centri
ionizzati lungo il percorso della particella, mentre per grandi valori di dE/dr (particelle altamente
ionizzanti) cioè per KBdE/dr >> 1, si ha : dL/dr = S/KB = costante
In quest'ultimo caso si può dedurre una conseguenza importante: per particelle altamente ionizzanti,
L varia linearmente con il range residuo, r, della particella nello scintillatore.
L=
S
r
KB
Questa caratteristica è stata verificata in parecchi esperimenti usando scintillatori come Antracene,
trans-stilbene, Ne102.
2
Il valore di KB più ricorrente è KB ≅ 9 mg/cm /MeV
155
Cinetica del Quenching
Blane ed altri (1962) hanno formulato una teoria generale sulla cinetica del quenching.
Si consideri una particella ionizzante che eccita un numero ∆N0 di molecole, nello stato di
singoletto, in un elemento ∆r del suo cammino nello scintillatore. Chiameremo queste eccitazioni
eccitoni anche se questo termine può essere propriamente usato solo nei cristalli. Si suppone che gli
eccitoni diffondano radialmente e diano luogo a due soli tipi di processi.
Fluorescenza
Quenching
cioè possono generare fotoni fluorescenti oppure sparire per quenching.
L'equazione generale che dà la variazione della densità di eccitoni n(r,t) in un certo punto M a una
distanza r dalla traccia e al tempo t, è data da:
∞
∂n
= D∇ 2 n − f (r , t )n − g (r , t )n 2 − ∑ hi (r , t )n i + R(r , t )
∂t
i =3
in cui D è il coefficiente di diffusione eccitonico, f, g, n, hini sono, rispettivamente le probabilità di
diseccitazione unimolecolare, bimolecolare e i-molecolare al secondo e R(r,t) è il numero di fotoni di
fluorescenza assorbiti per unità di tempo e di volume intorno al punto M. L'autore ha considerato la
soluzione di questa equazione trascurando solo il termine di diseccitazione i-molecolare. Con questa
restrizione e usando i simboli a noi già noti possiamo riscrivere l'equazione:
∂n
= D 2 n − ( K f + K i )n − αn 2 + R(r , t )
∂t
La soluzione di questa equazione ci dà il numero totale di eccitoni ∆N/∆r per unità di lunghezza al
tempo t. Facendo l'ipotesi che la diseccitazione diminuisca ∆N/∆r ma non cambi la distribuzione
spaziale degli eccitoni si ricava:
∆N ∆N 0
e −u
∆r
dove
=
∆r
e −u0 −
α ∆N 0
{E i (− u 0 ) − E i (− u )}
8πD ∆r
156
 r2 
u = (1 − a )K f + K i  t + 0 
πD


[
]
e
E i (−u ) = − ∫u∞
−u
du
u
∆N0/∆r è il numero totale di eccitoni per unità di lunghezza al tempo t = 0 e r0 è la distanza media
iniziale dell'eccitone dal cammino della particella.
Considerando che l'intensità specifica di fluorescenza, ∆I/∆r, è data da:
∆I
∆N
= (1 − a )K f
∆r
∆r
e ponendo:
∆N 0
∆I
= (1 − a )K f
∆r
∆r t =0
e
∆N 0
dE
=A
dr
∆r
si può scrivere l'intensità specifica di fluorescenza come:
e−u
∆I ∆I
=
∆r ∆r t =0 e−u0 − α dE {E (− u ) − E (− u )}
i
0
i
8πD dr
Nel caso dell'Antracene si ottiene:
•
elettrone relativistico
−[(1− a )K f + Ki ]t
∆I
∆I
⋅e
=
∆r e ∆r t = 0
che rappresenta il decadimento esponenziale della fluorescenza già ottenuta per altra via.
•
particella molto ionizzante
− (1− a )K f + Ki t
[
e
∆I ∆I
≈
∆r ∆r t =0 1 + 5 αA dE
8πD dr
]
per t ≥
τ
5
avendo assunto:
-4
D = 5⋅10 cm2s-1
e-u0 ≅ 1
r0 = 0.5⋅10-6 cm
Ei(-u0) = -5
L'espressione è valida per t ≥ τ/5 poiché da uno studio grafico della funzione -Ei(-u) si vede che essa
è trascurabile rispetto a -Ei(-u0)
157
Efficienza di Scintillazione
L'efficienza, per particelle α è data da:
∞ ∆I
Sα =
∫0
∆r
∆N 0
∆r
Per gli elettroni sarà invece:
Se =
Facciamo notare il termine
dt
≈
(1 − a )K f
(1 − a )K f + K i
(1 − a )K f
(1 − a )K f + K i
1
5αA dE
1+
8πD dr α
1
5αA dE
1+
8πD dr e
(1 − a )K f
(1 − a )K f + K i
= qp
•
Con questa teoria disponiamo di una espressione dell'efficienza di scintillazione che non è
più indipendente da dE/dr come lo era in quella dedotta precedentemente in modo semi-empirico.
•
Il quenching viene introdotto in modo naturale e non forzato come nell'espressione di dL/dr
dedotta da Birks
Sostituendo i valori numerici otteniamo:
αA
= 1.8 ⋅ 10 −3 cm MeV -1
8πD
possiamo scrivere la forma generale dell'intensità specifica di fluorescenza:
−[(1− a )K f + Ki ]t
e
∆I ∆I
⋅
=
dE
∆r ∆r 0
1 + 1.8 ⋅ 10 −3
[5 + E i (−u)]
dr
valida
per
particelle
altamente
ionizzanti
come la particella α .
Il
"picco"
iniziale,
previsto da questa teoria,
è previsto anche nella
teoria di Wright (1953) e
lo stesso ha dato evidenze
indirette
per
questo
fenomeno, ma mancano
prove
sperimentali
dirette.
158
Processi di Scintillazione nei Cristalli Inorganici
La luminescenza di un cristallo organico ( per esempio l'antracene) è una proprietà inerente la
molecola e quindi caratteristica del materiale anche in fasi diverse: gassose, in soluzione... .
Al contrario, per un sistema inorganico, è una proprietà cristallina e quindi non è esibita
normalmente in un'altra fase. La condizione generale per la luminescenza in un cristallo inorganico
è legata alla presenza, nel reticolo, di un centro di emissione. Questo centro può essere costituito da:
Una impurità introdotta allo scopo
Una imperfezione del reticolo cristallino
Un locale eccesso di ioni
Cristalli Perfetti
Vediamo lo schema delle bande in un cristallo isolante perfetto
•
Le bande si estendono attraverso il
cristallo e gli elettroni sono liberi di
muoversi in esse senza l'apporto di energia
addizionale. Questo moto non costituisce
una conduzione elettrica poiché un uguale
numero di elettroni si muovono in direzioni
opposte.
•
La più alta delle bande piene, quella
di valenza, è separata dalla più bassa delle
bande vuote, quella di conduzione, da una
gap di pochi eV.
•
In seguito all'assorbimento di energia dall'esterno un elettrone della banda di valenza può
raggiungere la banda di conduzione lasciando, nella prima, una lacuna che manifesta una carica
positiva.
•
Alternativamente l'elettrone eccitato può rimanere legato al buco positivo e formare un
eccitone.
•
Analogamente alla singola molecola, lo spostamento di un elettrone dalla banda di valenza a
quella eccitonica costituisce un processo di eccitazione mentre una transizione nella banda di
conduzione costituisce una ionizzazione.
•
Gli elettroni nella banda di conduzione e le buche nella banda di valenza, possono
successivamente ricombinarsi e formare un eccitone in modo simile alla formazione di una molecola
eccitata dalla ricombinazione di un elettrone e di uno ione positivo.
159
Cristalli Imperfetti
Banda di conduzione
C entro
T rap po la
Lum inescenza
Q uen chin g
Eccita zion e
Banda di valenza
In un cristallo imperfetto, i difetti del reticolo
oppure le impurità presenti, producono locali
livelli elettronici nella banda proibita tra la banda
di valenza e quella di conduzione. Se questi livelli
sono liberi, gli elettroni o gli eccitoni, muovendosi
nella banda di conduzione in loro vicinanza,
possono occuparli.
I centri, prodotti dalle impurità o dalle
imperfezioni, possono essere di tre tipi:
Centri di luminescenza
Per questi, una transizione al livello fondamentale porta una emissione di radiazione luminescente.
Centri di quenching
Una transizione al livello fondamentale è accompagnato da una emissione termica.
Trappole
Sono livelli metastabili dai quali l'elettrone o l'eccitone può:
a) Ritornare nella banda di conduzione acquistando energia termica
b) Cadere nella banda di valenza senza emettere radiazione luminescente.
•
I centri di luminescenza e di quenching in generale sono dovuti a impurità o a ioni
interstiziali. Essi introducono, quindi, dei livelli discreti di energia dal livello fondamentale a quelli
eccitati. Una cosa importante da notare è che l'eccitazione di un centro richiede la cattura di un
elettrone nella banda di conduzione e la cattura di una buca in quella di valenza.
•
Le trappole sorgono da altre imperfezioni del reticolo. Esse fanno sorgere livelli, per
elettroni, sotto la banda di conduzione e/o livelli, per buche, sopra la banda di valenza.
Condizioni per la Luminescenza di un Centro
Le condizioni per la luminescenza di un centro
può essere discussa sulla base di un modello
(von Hippel ,1936) che è valido per tutti i
materiali luminescenti organici ed inorganici.
Le curve aa' e bb' rappresentano,
rispettivamente, le ampiezze vibrazionali di un
centro nello stato elettronico fondamentale ed
eccitato.
•
L'assorbimento di un fotone di energia
hν da parte del centro provoca una transizione
A→C. Poiché la diseccitazione in una
molecola avviene in tempi (10-11s) più brevi
dei movimenti atomici, a causa dell'accoppiamento tra gli stati eccitati, anziché riemettere ritornando
al punto iniziale A, il centro decade rapidamente al minimo dello stato eccitato dissipando l'eccesso
di energia per via termica. Il sistema rimane in questo stato eccitato per un tempo dipendente dalla
probabilità della transizione ottica BD che dà origine all'emissione di fluorescenza.
Dopo questa transizione, il sistema, ormai nel suo stato fondamentale, ritorna al minimo dissipando
termicamente l'eccesso di energia vibrazionale.
160
Con riferimento a quanto detto e alla figura si possono fare le seguenti considerazioni:
Lo spettro di emissione ha una energia media minore di quello di assorbimento
La sovrapposizione dei due spettri dipende dalla posizione relativa delle curve di energia
potenziale del livello fondamentale e di quello eccitato.
La struttura vibrazionale negli spettri deriva dai sub-livelli vibrazionali degli stati eccitati e
fondamentale.
Questa "microstruttura" che è tipica nelle molecole organiche, si ha solo in qualche caso nei cristalli
inorganici. In generale, nei fosfori inorganici, si osservano delle bande senza struttura a causa
dell'allargamento dovuto al moto termico e a interazione con il reticolo cristallino.
A causa della forma delle curve di energia potenziale dello stato eccitato e di quello fondamentale, ci
può essere un punto in cui esse si intersecano o sono molto prossime, (FF1) nel grafico. Si può
quindi verificare che un centro luminescente, nel suo stato eccitato raggiunga il punto F e faccia una
transizione non radiativa verso il punto F1 dello stato fondamentale dissipando termicamente
l'eccesso di energia. Questo fenomeno è noto come quenching interno che compete con l'emissione di
fluorescenza. Usando la stessa simbologia dei cristalli organici chiamiamo Kf, Ki rispettivamente le
probabilità relative per emissione di fluorescenza e per quenching interno e quindi l'efficienza
quantica di luminescenza, per auto assorbimento nullo (a = 0) è:
q0 =
Kf
K f + Ki
e, seguendo la statistica di Boltzmann, la probabilità che si abbia una eccitazione termica al punto F
nello stato eccitato è:
−W KT
K i = be q
in cui Wq è l'energia del punto F rispetto al minimo del livello eccitato. Quindi si ha:
q0 =
1
1 + ce
−Wq KT
in cui b e c = b/Kf sono delle costanti che ci danno la variazione dell'efficienza quantica di
luminescenza con la temperatura T. Questo comportamento può giustificare l'evidenza sperimentale
che alcune sostanze, non luminescenti a temperatura ambiente, lo sono a bassa temperatura.
Meccanismi di Scintillazione
La sequenza probabile dei processi che producono una scintillazione in seguito all'eccitazione, ad
esempio, di un elettrone di 1 MeV (visto come sonda) sono:
1.
Produzione di coppie elettrone-buca:
Elettrone nella banda di conduzione e buca in quella di valenza. Gli elettroni prodotti hanno pochi
eV di energia cinetica e quindi degenerano rapidamente al fondo (al minimo) della banda di
conduzione in seguito a diffusione. Si può calcolare che il cammino libero medio λ di un elettrone è
circa λ = 10-6 cm.
Gli elettroni e le buche possono successivamente andare nei seguenti canali:
2.
Ricombinarsi per produrre un eccitone cioè uno stato legato nella banda eccitonica.
3.
Possono essere catturati da una trappola nel reticolo .
4.
Possono continuare la diffusione nelle rispettive bande fino a essere catturate da una
trappola o da un centro.
Gli eccitoni ( canale 2) diffondono attraverso il reticolo (migrazione non radiativa), finché sono
catturati :
161
5.
6.
7.
da un centro luminescente aggiunto, ad esempio Tl+,
da un centro luminescente del reticolo;
da un centro di quenching.
Il centro luminescente aggiunto, (Tl+), può anche essere eccitato nel modo seguente:
8.
da elettroni e buche che diffondono verso un centro Tl+.
9.
dopo il processo 6, il centro reticolare emette e la radiazione è assorbita da un centro Tl+.
10.
tramite trasferimento non radiativo da parte di un reticolo eccitato o di una "vacanza" al
centro luminescente, Tl+.
La bassa efficienza di luminescenza, a temperatura ambiente, dello NaI "puro" esclude praticamente
il processo 9 come causa di un significativo contributo all'eccitazione del centro luminescente (Tl+)
Il processo 10 è equivalente al 5 con la differenza che il primo, in seguito al tempo richiesto per il
trasferimento non radiativo, può dar luogo ad emissione ritardata.
L'osservazione che la mobilità degli elettroni e delle buche (10 cm2V-1s-1) è piccola a temperatura
ambiente, fa concludere Murray e Meyer che:
Il processo fondamentale attraverso il quale l'eccitazione del reticolo è trasferita al centro
luminescente Tl+ è la diffusione eccitonica.
L'energia di eccitazione trasferita al centro luminescente è rapidamente termalizzata e l'eccesso viene
trasformato in vibrazioni del reticolo o fononi.
Si ha quindi un altro canale possibile
11.
Attivazione termica, per cattura di fononi, in seguito a emissione di un centro luminescente.
Quindi la probabile sequenza che porta all'emissione della parte principale, rapida, della
luminescenza è:
1 → 2(3) → 5(7) → 11(..)
tra parentesi sono indicati i processi competitivi.
Efficienza Assoluta di Scintillazione S
Si può fare una interessante analogia tra i processi di scintillazione nei sistemi binari organici e i
cristalli inorganici attivati con impurità. In questo caso indichiamo con X il cristallo (solvente) e con
Y l'impurità (soluto). In questa ipotesi si può scrivere:
S y = PC
E py
E1x
f xy q0 y
in cui PC è l'efficienza di conversione dell'energia E della particella ionizzante in energia di
eccitazione media E1x di X. Quindi:
PC =
E1x
Ewx
n0
ne
dove Ewx è l'energia persa dalla particella ionizzante per produrre una coppia buca-elettrone, ne è il
numero di coppie elettrone-buca prodotte (E=neEwx ), e n0 è il numero di eccitoni di energia E1x.
prodotti.
Murray e Meyer (1961) hanno proposto una semplice espressione:
n0
Kr ne
αn e
=
=
n e K t {T }+ K r n e 1 + αn e
162
in cui Krne è la probabilità di produzione di un eccitone e Kt{T} la probabilità di cattura di una
trappola nel reticolo, essendo {T} la concentrazione delle trappole e avendo posto:
α=
Kr
K t {T }
chiamato coefficiente di ricombinazione elettrone-buca.
•
Il coefficiente fxy rappresenta l'efficienza quantica di trasferimento dell'energia E1x degli
eccitoni da X a Y.
•
Il coefficiente q0y rappresenta l'efficienza quantica di luminescenza di Y per l'emissione di
fotoni di energia Epy.
f xy =
σ xy {Y }
1 + σ xy {Y }
in cui σxy è il branching ratio tra i canali 5,6,7 rispettivamente di cattura di un eccitone da parte di
un centro luminescente Tl+; cattura da parte di una trappola o un reticolo luminescente, cattura da
parte di un centro quenching.
{Y} è la concentrazione dei centri attivatori.
Sempre per analogia si può scrivere:
q0 y =
(q0 y )0
1 + σ cy {Y }
in cui σcy rappresenta il branching-ratio tra il quenching dovuto agli attivatori che interagiscono con
i "primi vicini" e il quenching interno. Combinando insieme le formule scritte si ottiene:
Sy =
E py n0
f xy q0 y
Ewy ne
Allora il numero di fotoni emessi per luminescenza di energia media Epy(eV), prodotti con una
"sonda" di un elettrone da 1 MeV è:
Ny =
1 n0
f xyq0 y ⋅ 106
Ewy ne
Teoria della Risposta di Scintillazione (Modello di Murrey-Meyer)
Il modello adottato da Murray e Meyer (1961) fa le seguenti assunzioni:
1.
dL/dE è una funzione monotona di dE/dr
2.
L'energia rilasciata dalla particella ionizzante è spesa quasi esclusivamente per la creazione
di coppie elettrone-buca e il loro numero, per unità di lunghezza, è proporzionale a dE/dr
2b.
La formazione diretta di eccitoni è trascurabile.
3.
4.
5.
6.
La creazione e migrazione di δ-ray è trascurata.
le coppie elettrone-lacuna si ricombinano prontamente per formare eccitoni oppure sono
intrappolate.
Il trasporto di energia avviene esclusivamente per diffusione di eccitoni che avviene
radialmente dalla traiettoria della particella e viene descritta con una geometria cilindrica.
Il processo è trattato considerando un sottile cristallo di spessore dr, l'energia persa è dE e la
luce prodotta dL è assunta essere proporzionale al numero di eccitoni catturati dai centri
Tl+.
163
La diffusione degli eccitoni è descritta da un'equazione di diffusione unidimensionale:
1 ∂n
= D∇ 2 n − n{N eσ e + N a ( z , t )σ a }
v ∂t
in cui: n(z,t) è la densità degli eccitoni liberi, v è la velocità degli eccitoni (presa costante e uguale
alla velocità termica), D è la costante di diffusione degli eccitoni, Na è la densità dei posti attivatori
non occupati, Ne è la densità delle trappole reticolari, σa è la sezione d'urto per cattura di eccitoni in
un posto attivatore, σe è la sezione d'urto per la cattura di un eccitone in un posto trappola.
•
Concisamente il modello è il seguente:
Una particella ionizzante che attraversa il cristallo produce ne coppie elettrone-buca; di queste, n0
si ricombinano lungo la traccia della particella e formano eccitoni. La diffusione di questi n0
eccitoni è descritta dalla precedente equazione di diffusione. Durante questa diffusione gli eccitoni
possono essere intrappolati (σe) oppure possono produrre luminescenza (σa).
Il rapporto tra il numero di coppie prodotte ne e il numero delle ricombinazioni n0 é:
n0
αne
αK (dE / dr )
=
=
≤1
ne 1 + αne 1 + αK (dE / dr )
in cui si è posto ne=K(dE/dr) in virtù dell'ipotesi 2 cioè che il numero di coppie prodotto è
proporzionale all'energia rilasciata dalla particella. E' pleonastico osservare che n0/ne ≤1 ed è uguale
a 1 negli scintillatori organici in cui, ovviamente, il numero di eccitoni e il numero di elettroni
coincidono.
Ricordando l'espressione dell'efficienza assoluta di scintillazione possiamo scrivere:
dL
1
=
dE Ewx
 n0 
′ qoy
  ⋅ f xy
 ne 
fotoni /eV
dove
f'xy rappresenta ancora l'efficienza con cui viene trasferita l'energia E1x dal reticolo X
all'attivatore Y o anche la probabilità che un centro attivatore Y catturi un eccitone. In questo caso
f'xy tiene conto anche di alti valori di dE/dr.
La quantità qoy è ancora l'efficienza di fluorescenza che tiene conto del quenching dovuto ai centri
attivatori Y.
In termini di σa e di σe si può riscrivere:
f xy =
σ a / σ e {Y }
1 + σ a σ e {Y }
in cui si è posto σxy= σa/σe . La probabilità fxy, nel caso di particelle altamente ionizzanti, è una
funzione di dE/dr. Quindi la dipendenza di dL/dE da dE/dr deriva dal prodotto dei due termini f'xy e
n0/ne. Murray e Meyer desumono dal loro modello la curva sottostante.
164
Assumendo il valore di αK = 2 [mg/cm2*keV] nell'espressione di n0/ne , si ottiene il "best" fit con i
dati sperimentali su un cristallo di NaI(Tl).
Per bassi valori di dE/dr, cioè per elettroni, la curva aumenta fino al valore di circa uno, poi cade
rapidamente per più alti valori di dE/dr.
Poiché la dipendenza di f'xy da dE/dr è rilevante solo ad alti valori di dE/dr, la dipendenza della
funzione dL/dE dalle perdite specifiche dE/dr nel primo tratto della curva, (bassi dE/dr), è tutta
dovuta al rapporto n0/ne e poiché la teoria prevede che αK non dipende dalla concentrazione dei
centri Tl+, se ne deduce che la risposta non lineare agli elettroni è una proprietà intrinseca del
cristallo.
Essa potrebbe essere influenzata, eventualmente, dalla concentrazione di difetti o dalla temperatura.
Murray e Meyer, ottengono i valori di f'xy come funzione di ne e della concentrazione {Y}, dalla
soluzione dell'equazione di diffusione usando una approssimazione che riduce l'equazione
differenziale non lineare a un insieme di equazioni di Bessel. Non ne viene quindi fuori una
espressione analitica per f'xy ma una soluzione grafica. Il modello predice che: f'xy , cioè la
probabilità che un eccitone ha di essere catturato da un centro attivatore, dovrebbe diminuire con
l'aumentare di ne cioè del numero di coppie elettrone-lacuna prodotto e quindi con dE/dr, a causa
della saturazione dei centri attivatori Tl+ vicino alla traccia della particella. Con questo meccanismo
di saturazione gli autori intendono, in qualche maniera, tenere conto della dipendenza di dL/dE da
dE/dr.
Come vedremo la conclusione non è corretta.
Un'alternativa al modello di Murray-Meyer è rappresentata dal cosiddetto modello ionization
quenching il quale fa uso dell'analogia che esiste tra i meccanismi di scintillazione dei materiali
organici solidi binari e quelli occorrenti nei cristalli inorganici. Da questa analogia si può ricavare
un'espressione per la dL/dE della forma:
σ xy {Y }
dL n 0
1
1
∝
dE n e 1 + B ′dE / dr 1 + σ xy {Y } 1 + σ c {Y }
in cui ricordiamo: σxy è il branching-ratio tra i canali di cattura da un centro luminescente e cattura
da un centro quenching più cattura da trappola dell'eccitone formato; σc è il branching-ratio dei
canali di quenching dovuto ai centri attivatori e quenching dovuto a processi interni.
Questa formula tende a quella dei composti organici solidi binari nel limite di
n0/ne ≅ 1, cioè per dE/dr > 20 [keV cm2 mg-1].
Riscriviamo per confronto la dL/dE secondo Murray-Meyer:
q0 y
dL n 0 σ xy {Y }
∝
⋅
⋅
⋅ F (dE / dr )
dE n e 1 + σ xy {Y } 1 + σ c {Y }
165
Le due sono essenzialmente uguali a meno del termine
1
1 + B ′dE / dr
che, nel modello ionization quenching determina in modo dominante l'andamento di dL/dE da dE/dr.
Questo termine, si ricorda, è strutturalmente uguale al termine di quenching della formula semi
empirica di Birks successivamente spiegata teoricamente da Blane come dovuto a quenching della
radiazione primaria.
I risultati sperimentali ottenuti eccitando CsI(Tl) con p, α , C12 confermano un buon accordo con il
secondo termine della formula (n0/ne=1 ; {Y}=cost.). Invece il modello di Murray-Meyer non dà un
buon accordo sperimentale con questi dati essendo, il miglior fit, al di sotto del 10-15%. Il terzo e il
quarto termine della formula sono stati provati eccitando NaI(Tl) con γ (dE/dr = cost.) e si è trovato
un buon accordo della dipendenza di dL/dE dalla concentrazione {Y}delle impurità.
Possiamo concludere il confronto tra i due modelli osservando:
•
Il modello di Murray-Meyer predice che esiste una chiara dipendenza della dL/dE dalla
concentrazione {Y} dei centri attivatori Tl+ non tenendo conto, separatamente, del processo di
quenching dovuto alla ionizzazione.
•
Il modello ionization quenching, diversamente, afferma che dL/dE non dipende dalla
concentrazione {Y} dei centri attivatori Tl+ se non per alti valori di {Y} e determina l'andamento di
dL/dE come funzione del quenching dovuto alla ionizzazione provocata dalla particella.
Gwin (1962) ha misurato la risposta di diversi CsI(Tl) con diverse concentrazioni di Tl+ ed eccitati
da e-, p, α ed ha concluso che:
dL/dE non dipende dalla concentrazione {Y} mostrando quindi che il modello di Murray-Meyer
basato sulla saturazione dei centri attivatori non è valido.
Inoltre Blue e Lin (1962) hanno osservato lo stesso fenomeno di quenching sia in cristalli puri che
attivati.
Si può quindi concludere che:
Il processo di quenching da ionizzazione è il responsabile dell'andamento di dL/dE con dE/dr e
che inoltre tale processo avviene essenzialmente nel cristallo ed è largamente indipendente
dalla concentrazione dell'attivatore. Solo per alti valori di { Y}
} si è osservata una debole
dipendenza di dL/dE da { Y}
} , dovuta probabilmente ad eccitazione diretta dei centri attivatori
Y da parte della particella ionizzante.
Concludiamo quindi affermando che:
Il quenching da ionizzazione è un processo primario che avviene nel cristallo ed è ben descritto
dall'equazione semi-empirica:
166
dL n0
∝
⋅
dE ne
1
1+ B′
dE
dr
La diminuizione di dL/dE a bassi dE/dr per NaI(Tl) dipende dal termine no/ne.
Tempo di Salita e Costante di Decadimento
La forma dell'impulso di scintillazione generato da un cristallo inorganico attivato è complessa. Essa
dipende:
1.
Dalle proprietà del cristallo (reticolo)
2.
Dal tipo di attivatore
3.
Dalla concentrazione dell'attivatore
4.
Dall'energia specifica dE/dr rilasciata dalla particella ionizzante.
5.
Dalla temperatura.
6.
Dalla concentrazione dei difetti.
Esaminiamo come esempio un cristallo di NaI(Tl).
Eby e Jentschke (1954) hanno osservato la forma degli impulsi di scintillazione sotto diverse
condizioni di eccitazioni e di concentrazioni dei centri attivatori Tl+. In particolare hanno usato:
•
Deutoni da 11.5 MeV
•
α da 5.3 MeV e da 23 MeV
Dall'esame delle osservazioni fatte si possono distinguere quattro processi separati che caratterizzano
la forma della scintillazione:
1.
Il tempo di salita (∼60 ns) della componente principale dell'impulso.
2.
Il tempo di decadimento (∼230 ns) della componente principale dell'impulso.
3.
Un "picco" che compare sul fronte di salita degli impulsi quando la concentrazione degli
ioni Tl+ è bassa, che decade poi con τ ∼ 12 ns.
4.
Un primo rapido decadimento τ ∼ 12 ns in cristalli con alta concentrazione di Tl+
I processi 1, 2 corrispondono all'emissione principale (λ ∼ 4200 Å).
Il tempo di salita (60 ns) è indipendente dalla concentrazione dei centri Tl+ e dal modo di
eccitazione.
Il tempo di decadimento dipende dalla concentrazione dei centri attivatori Tl+.
Esso va da ∼ 350 ns a basse concentrazioni fino a ∼ 230 ns per concentrazioni "normali" cioè ∼
(1÷5)10 -3.
•
Il processo 2, probabilmente, è associato ad una attivazione termica dal
3P → 3P dei centri Tl+.
0
1
167
•
Il processo 1 alla vita media radiativa della transizione 3P1 → 1S0. Questo giustificherebbe
il "lento" decadimento di origine termica e il " rapido " tempo di salita dovuto al processo
immediatamente radiativo.
•
Il processo 3 corrisponde ad una emissione nell'ultravioletto (λ ∼ 3100 Å) da parte di un
cristallo a bassa concentrazione di Tl+. Una tale emissione si osserva anche in un cristallo non
attivato. Questo fa concludere che tale processo corrisponde ad una emissione del reticolo che è quasi
completamente soppressa a più alte concentrazioni di Tl+.
•
Il processo 4 non è ben compreso e ci sono diverse spiegazioni:
a) Cattura di più di un eccitone durante il trasferimento di energia da X a Y.
b) Potrebbe essere associato a centri doppi di Tl+.
c) Emissione proveniente direttamente dalla "colonna" di ionizzazione dove c'è un'alta densità di
centri attivatori eccitati e di centri reticolari.
Altre osservazioni sono state fatte circa la forma dell'impulso di scintillazione:
• Owen (1959) ha osservato una differenza nella forma dell'impulso di scintillazione se eccitato con
γ o con α.
• Con particelle α l'impulso raggiunge rapidamente il massimo e successivamente decade quasi
esponenzialmente con un τ ∼ 230 ns.
• Con γ, l'impulso raggiunge rapidamente il massimo (60 ns) ma dopo rimane pressoché costante
fino a circa 150 ns dall'inizio dell'impulso, per poi decadere con la costante di tempo τ ∼ 230 ns.
Questo significa che con la particella α si ha un picco molto "acuto" mentre con il γ si ha un
massimo quasi "piatto".
Questo diverso comportamento è spiegabile con il tempo di ricombinazione elettrone-buca, che è
molto piccolo nel caso di alta densità di ionizzazione ( α), e più grande, viceversa, quando la
particella ionizza poco (γ).
•
Robertson e Lynch (1961) hanno osservato, in un NaI(Tl) con concentrazione Tl ∼ 10-3
eccitato da γ, α, una componente più lenta della principale a 230 ns. Il tempo di decadimento di
questa componente è stato misurato ed è τ ∼ 1.5 µs e il 40% della luce totale in uscita è dovuta a tale
componente anche se la frazione varia scarsamente con dE/dr. A causa di tale componente, il
decadimento medio, sul primo µs, diventa τ ∼ 330 ns per α e τ ∼ 350 ns per γ. E' possibile che
questo processo corrisponda, come il processo 2, ad una attivazione termica da un livello metastabile
più interno al livello radiativo 3P1, oppure ad una diffusione binaria ritardata di elettroni e buche
rilasciati da trappole del reticolo.
Dipendenza dalla Temperatura
E’ possibile schematizzare un centro luminescente, tenendo conto dei processi che lo coinvolgono,
come costituito di un livello eccitato, dal quale avviene la transizione radiativa, sotto il quale
168
giacciono uno o più livelli metastabili e sopra uno o più livelli che rappresentano il processo di
"quenching" dai quali avvengono transizioni non radiative.
Q
Wq
F
Kq
Kf
Wf
Per semplicità consideriamo un modello consistente di 3
soli livelli:
M : livello metastabile
F : livello radiativo.
Q :livello "quenching" non radiativo.
Sia f(T) la probabilità di eccitazione di un centro da parte
di un eccitone e assumiamo che sia funzione della
temperatura T. Indichiamo con Kf la probabilità di una
transizione radiativa dal livello F, con Kq la probabilità di
una transizione non radiativa dal livello Q, con Wf
l'energia di eccitazione da M a F e con Wq l'energia di
M
eccitazione da F a Q.
Allora alla temperatura T le popolazioni relative dei livelli M, F, Q sono rispettivamente : 1, exp(Wf/KT), exp[-(Wf+Wq)/KT] e l'efficienza quantica di luminescenza sarà data da:
q=
f (T ) ⋅ K f ⋅ e
K f ⋅e
−W f KT
−W f KT
+ Kq ⋅ e
(
)
− W f +Wq / KT
che si può anche scrivere:
q=
f (T )
1 + ( Kq / K f ) ⋅ e
( )
− Wq / KT
dalla quale si deduce, ricordando il procedimento seguito per gli scintillatori organici, che:
τ =
1
K f ⋅e
−W f KT 
⋅ 1 + ( K q / K f ) ⋅ e

( )
− Wq / KT 


Si fa osservare che per valori di T tali che Wf/KT << 1 e Wq/KT << 1 si ottiene:
τ≅
1
K f + Kq
che è appunto il τ ricavato per gli scintillatori organici nel caso in cui l'autoassorbimento sia
trascurabile (a = 0).
Dall'espressione di q, si deduce che, supponendo f(T) = cost., l'efficienza quantica di luminescenza q
diminuisce all'aumentare di T,. Questo comportamento è stato osservato anche sperimentalmente nei
cristalli puri però solo fino a una certa temperatura Tmax, al di sopra di questa il comportamento
della formula non è più consistente con l'ipotesi f(T) = cost.. Infatti si è osservato sperimentalmente
che invece τ continua a diminuire all'aumentare di T per ogni temperatura.
Questo significa che il solo quenching interno, di cui tiene conto l'espressione di q, non è sufficiente
a giustificare il comportamento reale dello scintillatore e occorre introdurre un quenching esterno al
centro che è associato ad una diminuzione di f(T) a basse temperature.
169
Nella figura è riportato l’andamento di τ in funzione della temperatura.
Risposta degli Scintillatori ad una Eccitazione γ
La risposta di uno scintillatore, cioè lo spettro in energia, che si ottiene eccitandolo con fotoni è
abbastanza complesso in quanto coinvolge una serie di interazioni e dipende sensibilmente da fattori
geometrici propri dello scintillatore (dimensioni, rapporti tra le diverse dimensioni, ecc..) e dovuti
alla geometria del set-up sperimentale. Possiamo schematizzare il sistema come segue:
La G(E) dipende (se hν è una eccitazione monocromatica):
1. Geometria del cristallo
2. Rapporto tra le dimensioni del cristallo
3. Divergenza dei fotoni entranti
4. Geometria sperimentale (set-up)
non volendo, per ora, comprendere l'influenza che su G(E) ha la
raccolta di luce del sistema scintillatore.
Per arrivare a comprendere la risposta di uno scintillatore ad una eccitazione γ è conveniente
suddividere l'analisi nelle sue componenti essenziali e trattarle separatamente e successivamente
determinare la risposta complessiva " sommando " i diversi contributi (sovrapposizione degli effetti).
Come sappiamo un fotone interagisce con la materia essenzialmente attraverso i seguenti processi:
• Effetto Fotoelettrico
• Effetto Compton
• Creazione di coppie elettrone-positrone
L'energia rilasciata dal fotone incidente all'interno dello scintillatore è ceduta ad esso dagli elettroni
secondari prodotti da tali processi attraverso i meccanismi di ionizzazione ed eccitazione, come già
visto nei capitoli precedenti. E' facile quindi intuire già sin d'ora quale sia l'incidenza delle
dimensioni dello scintillatore sulla risposta in energia.
Se esso fosse "infinito" l'energia, E0, portata dal fotone sarebbe
totalmente assorbita al suo interno e, se la risoluzione dello scintillatore
fosse infinita (∆E/E = 0), la risposta, riportata in un istogramma si
presenterebbe come in figura cioè assomiglierebbe ad una delta di Dirac.
I motivi che provocano l'allargamento della riga saranno discussi
quantitativamente più avanti.
Nc
0
E0
L'interpretazione di tale risposta è ovvia:
•
Tutti i fotoni incidenti depositano tutta la loro energia all'interno dello scintillatore.
In un rivelatore con dimensioni finite la risposta è più complicata e l'assorbimento deve
necessariamente essere analizzato più in dettaglio nelle sue diverse componenti.
E
170
Assorbimento Fotoelettrico
In tale processo il fotone, di energia E0, interagisce con gli elettroni legati agli atomi del cristallo
espellendone uno della shell più interna, in genere K. L'elettrone prodotto ha quindi una energia
cinetica pari a:
T = E0-Eb
in cui Eb è l’energia di legame (binding energy) di una delle shell dell’atomo dello scintillatore. Per
lo NaI(Tl)si ha Eb = 28 keV che corrisponde all'energia di legame dell'elettrone K nell'atomo di
iodio. Successivamente all'assorbimento fotoelettrico del fotone, l'energia di legame dell'atomo
appare come fotoni X.
Quindi ora si possono verificare due casi:
1. I raggi X prodotti sono riassorbiti e/o producono altri elettroni fotoelettrici
2. I raggi X prodotti non interagiscono all'interno del volume dello scintillatore ma fuggono
all'esterno.
Tutte le volte che si verifica l'evento 1 si avrà un assorbimento totale, viceversa tutte le volte che si
verificherà l'evento 2 avremo una energia depositata minore di E0 e pari a T = E0-Eb. Questo
secondo evento dà luogo, nella risposta, ad un picco che va sotto il nome, dovuto alla sua origine, di
escape-peak. La risposta si presenterà quindi come in N
figura:
In generale, a causa della risoluzione finita dello
scintillatore (∆E/E ≠ 0) in pratica questo picco di N
fuga è visibile solo negli NaI(Tl) per energie E0 <
Fotopicco
Picco di fuga
100 keV. Per meglio evidenziare il processo, lo N
schematizziamo tramite un diagramma a blocchi:
0
T=E - E
E
E' intuitivo osservare che l'altezza relativa dei due
picchi è sensibilmente influenzato dal punto,
Fotone
NaI(Tl)
all'interno del volume dello scintillatore, in cui
Foto elettrico
incidente
Effettofotoelettrico
NaI(Tl)
avviene l'interazione fotoelettrica. Quindi
Luce
dipenderà sia dalle dimensioni del cristallo sia
Raggi X
dall’angolo con il quale il fotone incidente
colpirà il rivelatore.
Assorbimento
Se indichiamo con Ne il numero delle volte che
si verifica una fuga e con Np il numero delle
c
p
Full peak
Escape peak
e
0
B
0
volte che si ha un assorbimento totale, allora:
Fuga
p( E ) =
Ne
Ne + N p
rappresenta la probabilità che un fotone che subisce un effetto fotoelettrico dia un evento di fuga e la
probabilità relativa tra i processi di assorbimento totale e di fuga sarà:
P( E ) =
N
p(E )
= e
1 − p(E ) N p
in cui 1-p(E) = Fp(E) è la cosiddetta photofraction.
Un valore per p(E) rispondente alla situazione sperimentale progettata o comunque reale si può
determinare solo con un calcolo di M.C. che simuli di volta in volta la geometria complessiva
sorgente-rivelatore, comunque, a titolo di esempio, citiamo un calcolo di Mott e Sutton (1958) nel
caso di un fascio di fotoni collimato incidente su un cristallo di NaI(Tl) le cui dimensioni lineari
sono grandi comparate con il libero cammino medio dei raggi X provenienti dal K-edge. Siamo cioè
E
171
in condizioni in cui le fughe rilevanti avvengono essenzialmente attraverso la superficie anteriore o
d'entrata del cristallo. Essi ottengono:
tπ 2
1
p( E ) = ω kδ kτ ∫ ∫ e −(µ + µ k sec θ )x sinθdθdx
2
0 0
in cui:
µ k = coefficien te di assorbimen to lineare dei raggi X del K - edge
τ = coefficien te di assorbimen to lineare fotoelettrico
µ = coefficien te di assorbimen to lineare
δ k = frazione degli eventi fotoelettrici che danno K - shell
ω k = spettro di fluorescen za - K dello iodio
x = distanza di penetrazione dei fotoni incidenti nel cristallo di spessore t
θ = angolo tra la normale alla superficie di entrata e i raggi X del K - shell
Poiché la fuga è piccola già per x ∼ 2 mm e t → ∞, si ha:

µ
1
τ  µ
p( E ) = ω k δ k 1 − k ln 1 +
2
µ  µ
 µk



che dà la probabilità di fuga relativa alla superficie di entrata del rivelatore. [Dimostrazione in
MATHCAD]
•Meyerhaf e West (1954) Axel (1954)
(geometria non nota)
In figura è rappresentato il rapporto
P(E) tra il numero di eventi nel picco
di fuga e quello nel fotopicco in un
cristallo con dimensioni grandi
rispetto al libero cammino medio dei
raggi X (nessuna fuga né dal fondo né
dalle superfici laterali).
I Fascio γ collimato incidente
perpendicolare
II Radiazione incidente in un cono
θ/2 ∼ 60°
III Radiazione incidente in un cono
θ/2 ∼ 90°
172
Assorbimento per Effetto Compton
Quando il fotone incidente ha un'interazione Compton, una parte della sua energia viene trasferita
all'elettrone. Esso acquisterà un'energia cinetica Ec pari a:
Ec = E0 −
cioè
Ec =
E0
1 + γ (1 − cos θ )
E 0 ⋅ γ (1 − cos θ )
1 + γ (1 − cos θ )
dalla quale si vede che l'energia cinetica Ec dipende dall'angolo di diffusione θ che può variare tra θ
= 0° e θ = 180° con uguale probabilità. Quindi ci aspettiamo che la risposta del rivelatore sia uno
spettro continuo che va da un minimo Ec = 0 per
(θ = 0°) fino ad un massimo Ece (per θ = 180°). Il valore di tale massimo è:
E ce =
2γE 0
E0
=
1
1 + 2γ
1+
2γ
e viene usualmente chiamato Compton edge. Quindi l'energia che il fotone incidente può trasferire
all'elettrone Compton è compresa nei limiti :
0 ≤ Ec ≤ Ece
Il fotone derivante dalla diffusione, per E0 < 2me ha i seguenti canali:
N
c
F o to p ic c o
C o m p to n E d g e
0
E ce
E0
E
a) Può essere assorbito tramite un effetto fotoelettrico
b) Può essere assorbito tramite successive interazioni
Compton e fotoelettrico
c) Può fuggire dal rivelatore senza dar luogo ad altre
interazioni.
Nei primi due casi l'evento cadrà nella regione del
picco di assorbimento totale (full-energy peak). Nel
caso c invece esso darà luogo ad uno spettro continuo
da 0 a Ece. La risposta sarà quindi del tipo illustrato in
figura
Vi è ancora un altro fenomeno che contribuisce allo
spettro per dare un picco ad energia bassa, minore del Compton edge. In generale accade che i fotoni
provenienti dalla sorgente subiscano una diffusione Compton sul materiale circostante il rivelatore
che può essere esterno allo stesso o far
Nc
parte dell’involucro che contiene il
cristallo. Quando tale diffusione avviene
con un angolo θ = π e il fotone diffuso
rientra nel volume sensibile, esso ha
Fotopicco
un'energia Eb uguale a:
Backscattered peak
Eb =
E0
1 + 2γ
Tutte le volte che si ha questo evento e il
fotone diffuso viene successivamente
Compton Edge
0
Eb
Ece
E0
E
173
assorbito totalmente, si ha un picco (backscattering peak) nello spettro ad energia Eb. Se invece parte
dell'energia viene perduta, quella
Elettroni
Fotone
NaI(Tl)
depositata è minore e non
Compton
contribuisce al picco. In seguito ad
assorbimento Compton si può
quindi concludere che la risposta si
presenta come nella figura a lato.
Lo schema a blocchi dei processi
che portano alla risposta del
rivelatore alla diffusione Compton
è il seguente:
incidente
EffettoCompton
NaI(Tl)
Luce
Gammadiffusi
Fuga
Elettroni fotoelettrici
Effettofotoelettrico
Assorbimento per Creazione di Coppie e+eSe un fotone incide su uno scintillatore con E0 > 2me si apre il canale di creazione di coppie.
La coppia e+e- generata ha una energia cinetica Ep = E0 - 2me. L'elettrone viene assorbito nel
rivelatore mentre il positrone può dar luogo ad annichilazione in quiete producendo quindi 2γ di
energia Eγ = 0.511 MeV ciascuno i quali possono andare nei seguenti canali:
a) Possono essere assorbiti entrambi attraverso i processi già menzionati (effetto fotoelettrico e effetto
Compton).
b) Un fotone può essere assorbito e l'altro può fuggire
N
c
senza subire alcuna interazione.
c) I fotoni possono fuggire entrambi
Il canale a) dà luogo ad un evento di foto picco. Il
canale b) dà luogo ad un evento di energia pari a E0Fotopicco
me. Il canale c) dà luogo ad un evento di energia pari a
DEP
SEP
E0-2me.. Quindi la risposta spettrale si presenta come
illustrato nella figura a lato.
0
E -2m e E0-me
0
Il diagramma a blocchi del processo si può
schematizzare come segue:
Elettroni
NaI(Tl)
Fotone
incidente
NaI(Tl)
Produzione coppie
Positroni
Fuga di 1 o 2 γ
Annichilazione
Elettroni fotoelettrici
o
Effetto fotoelettrico
o
Compton
Compton
Luce
E0
E
174
Efficienza di uno scintillatore cilindrico (Calcolo con MATHCAD)
Come abbiamo visto la "forma" della risposta in energia di uno scintillatore dipende dalla geometria
relativa sorgente-rivelatore. Anche l'efficienza totale tra il numero di fotoni rivelati e quelli incidenti,
dipende dalla geometria del sistema rivelatore-sorgente. Nel caso di un rivelatore sufficientemente
grande rispetto alla profondità di penetrazione dello sciame eccitato da un fascio di fotoni parallelo
incidente normalmente alla superficie d'entrata del rivelatore, si può approssimare
l'efficienza con la formula:
parallel beam
ε = 1 − e − µt
in cui µ è il coefficiente di assorbimento totale (foto più compton più coppie).
Nel caso invece di una geometria costituita da una sorgente puntiforme posta a una distanza h dalla
finestra d'entrata del rivelatore di altezza t e raggio r, l'efficienza si scrive:
− µx
(
∫ dΩ 1 − e
ε=Ω
)
∫ dΩ
Ω
(
Se consideriamo una geometria cilindrica si ha:
ε=
α
∫0 2 dα 1 − e
α
− µx (α )
)sinα
∫0 2 sinαdα
in cui x(α) è il percorso del fotone all'interno dello scintillatore.
x = t secα
per 0≤α≤α1 = arctan [r/(h+t)]
x = r cosecα - h secα
per α1≤α≤α2 = arctan (r/h)
S
α
2
h
α1
α
x(α)
t
r
Un'altra quantità utile per l'analisi di uno spettro è
rappresentata dal cosiddetto Peak-to-total ratio o
efficienza di fotopicco:
p=
Np
Nt
con Np numero di eventi nel fotopicco e Nt quelli
totali.
175
Facciamo un quadro riassuntivo dei picchi rilevanti nello spettro della risposta di uno scintillatore
inorganico, come ad esempio lo NaI(Tl), riportato nella tabella a seguire.
E fuga
0
me
2me
E′ =
E
1 + 2γ
Origine
fotoelettrico;
raggi X; processi multipli di
assorbimento
coppie e fuga di un fotone di
annichilazione
coppie e fuga di due fotoni di
annichilazione
compton a
θ=π
E del picco
E0
Nome usuale
fotopicco
E0-me
SEP
E0-2me
DEP
E
c
=
E0
1 + 1 2γ
E'→E0
singola diffusione compton
Ec → 0
Ek= 29 keV
fuga di raggi X del K-edge
E-Ek
E0 fugge ma E'
compton esterno a θ = π
E′ =
E
1 + 2γ
Compton edge
Single compton
distribution
iodine escape peak
backscatter peak
entra
Pulse Amplitude Resolution
Un assemblaggio tipico di un rivelatore a scintillazione deve prevedere le seguenti parti:
a) Cristallo o scintillatore in generale
b) Un sistema per la raccolta della luce
c) Un sistema per la conversione della luce in segnale elettrico
In termini di schema a blocchi si ha:
In alcuni casi la guida di
luce non è necessaria e si
Convertitore
assembla lo scintillatore
luce segnale
Fotone
Guida di luce
NaI(Tl)
direttamente
sul
convertitore luce-segnale
incidente
nella maggioranza
Segnale che
dei casi è costituito da un
fotomoltiplicatore.
Luce
Quest'ultimo è un sistema
più che un componente in quanto è costituito da un fotocatodo che è il vero convertitore e da un
amplificatore di carica elettrica basato sulla emissione secondaria di dinodi messi in cascata. Non
vogliamo, almeno in questa fase, entrare nei dettagli costitutivi dei fotomoltiplicatori per non
allontanarci troppo dallo scopo di questo paragrafo. Vogliamo solo osservare che esso è costituito da
n dinodi e se δ è il fattore di emissione secondaria, allora il guadagno totale M del fotomoltiplicatore
è dato da:
n
M = ∏ δ i gi
i =1
in cui g è la frazione di elettroni secondari raccolti dal dinodo successivo. Se possiamo considerare
che tutti gli stadi sono uguali e se la tensione interdinodale è uguale allora si ha:
M = Rn
avendo posto Ri = δigi che rappresenta il guadagno di un dinodo.
176
In generale δ dipende dal materiale con cui sono fatte le superfici dei dinodi e di conseguenza dalla
tensione interdinodale applicata. Alcuni esempi:
δ ∼ 0.2V0.7 per dinodi di Sb-Cs
δ ∼ 0.025V per dinodi di AgMgO-Cs
quindi il guadagno totale può essere anche scritto nel seguente modo:
M=KnGnVnm
avendo indicato con K il fattore moltiplicativo di δ e con m la potenza di V.
•
Se la riflessione e la trasmissione della luce prodotta nello scintillatore è sufficientemente
indipendente dalla lunghezza d'onda, possiamo scrivere che il numero Npe di foto-elettroni che
arrivano al primo dinodo del fotomoltiplicatore è:
Npe=gcmCpGNp
in cui
Np è il numero di fotoni prodotti dalla scintillazione
G è il coefficiente di raccolta della luce
Cp è l'efficienza quantica del fotocatodo del fotomoltiplicatore
gc è l'efficienza di raccolta di elettroni dal fotocatodo al primo dinodo
m è il fattore di spectral-matching tra lo spettro di emissione dello scintillatore I(λ) e la risposta
spettrale del fotocatodo η(λ) che può essere scritto nella forma:
'
'
∞
∫0 I (λ ) ⋅ η (λ − λ ')dλ
m(λ ) =
∞
∫0 I (λ )dλ
Il numero totale di elettroni raccolti in uscita, Q0, cioè all'anodo del fotomoltiplicatore, è dato quindi
da: Q0 = Np p M
in cui p=gcmCpG è l'efficienza di trasferimento o la probabilità che un fotone di scintillazione
produca un elettrone al primo dinodo D1, mentre M è il guadagno totale del fotomoltiplicatore.
Vediamo ora l'effetto della raccolta di luce nella guida qualora questa avvenga in una sola direzione
verso il fotomoltiplicatore e all'interno della guida vi è
θ > θc
riflessione totale.
Abbiamo:
θi
1 2π 90−θc
1
(1 − sinθ c )
G
=
d
ϕ
sin
θ
d
θ
=
θc
∫
∫
Fotomol.
4π 0
2
0
Poiché
n2 = n
ni
=1
sinθ i naria
=
sinθ r. nxtol
e visto che la riflessione
totale ci dà: θr. = π/2
allora sinθc = 1 e sinθi ∼ 1/nx. Allora abbiamo per G la
seguente situazione:
G=
1
1
1 −
2  nx



Se prendiamo in considerazione il plastico (NE102) e il BGO abbiamo i seguenti valori nx(plastico)
∼ 1.58
nx(BGO) ∼ 2.2
Allora otteniamo:
G(plastico) ∼ 0.18
G(BGO) ∼ 0.27
Tenendo conto dell'efficienza del fotocatodo Cp ∼ 0.2), l'efficienza totale η = G⋅Cp sarà:
η ∼ 0.18⋅0.2 ∼ 0.036 (plastico)
η ∼ 0.27⋅0.2 ∼ 0.054 (BGO)
177
Bilancio energetico in uno scintillatore organico
Riprendiamo la seguente formula:
Ec = Ei⋅P⋅Q = Ei⋅S
dove Ei = energia persa per ionizzazione; Ec = energia convertita in "luce"; P = efficienza nei
processi primari; Q = efficienza nei processi secondari.
Mettiamo ora qualche numero:
P ∼ 0.1 ; Q ∼ 0.2 ÷ 0.4
Supponiamo una perdita di energia per ionizzazione Ei ∼ 1 MeV. Allora:
Ec ∼ 106⋅0.1⋅0.4 ∼ 40 keV
Se l' energia media dei fotoni di luminescenza è Ep ∼ 3 eV, il numero di fotoni prodotti per
scintillazione è:
Np ≅
E c 40 ⋅ 10 3
=
≅ 13000 fotoni
3
Ep
Studio Statistico della Risoluzione
La varianza di una grandezza x è definita:
var( x ) = x 2 − x 2
e la varianza relativa come:
v(x) =
Per una distribuzione Poissoniana:
var(x)
x2
var( x ) = x
e
1
v(x) =
x
Si può dimostrare che per una successione di n eventi, usando la funzione generatrice (Shockley e
Pierce , Proc. I.R.E., Vol.26,3, 1938) si ha:
x = x1 ⋅ x 2 ⋅ x 3 ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ x n
e
v(x) = v(x 1 ) +
v(x 2 )
v(x n )
+ ....... +
x1
x 1 ⋅ x 2 ⋅ ⋅ ⋅ ⋅x n -1
Applichiamo questo teorema al caso del fattore di moltiplicazione elettronico del fotomoltiplicatore
M
n
M = ∏ Ri
i =1
Si ottiene quindi:
M = R1 ⋅ R2 ⋅ R3 ......Rn
e
v(M) = v(R 1 ) +
v(R 3)
v(R 2 )
v(R n )
+
+ .... +
R1
R1 ⋅ R 2 ⋅ R 3
R 1 ⋅ R 2 ⋅ R 3 ...R n −1
178
Se facciamo l'approssimazione ragionevole che tutti gli stadi operano allo stesso guadagno medio R
ed hanno la stessa varianza v(R), allora si ha:
n
1
v(M) = v(R) ∑
k =1 R
k −1
che converge a:
v( M ) = v( R )
R n −1
(R − 1) ⋅ R n−1
e poiché R n >> 1 si ha:
v(M) = v(R)
R
R −1
che risulta essere indipendente dal numero di stadi n. Se le fluttuazioni di R seguono una
distribuzione Poissoniana, allora:
v ( R) =
1
R
e quindi:
v( M ) =
•
1
R −1
Generalmente accade che per massimizzare gc cioè l'efficienza di raccolta di elettroni al
primo dinodo, si alimenta con una tensione più alta il D1 e quindi risulta R1 > R .
In questo caso si ha che la varianza percentuale vale :
v' (M) = v(R 1 ) + v(R) ⋅
R
R 1 ⋅ (R − 1)
e se ancora assumiamo che R1 e R fluttuano in modo Poissoniano, otteniamo
v' (M) =
1
1
1 1
1
)
+
=
(1 +
R -1
R 1 R 1 R -1 R 1
ed infine:
v ′(M) =
R
R 1 (R − 1)
che confrontata con la precedente, v(M), dà:
v ′(M) =
R
⋅ v(M)
R1
dalla quale possiamo trarre le seguenti importanti considerazioni:
1) La varianza relativa è moltiplicata per il rapporto R / R1 e quindi per diminuire le
variazioni è conveniente aumentare quanto più è possibile R 1, rispetto agli altri R.
2) Le fluttuazioni del fattore di moltiplicazione del fotomoltiplicatore sono fortemente
influenzate dalle condizioni di lavoro del primo dinodo D1.
Calcoliamo ora la varianza percentuale del numero di elettroni totali prodotti all'anodo, cioè del
segnale in uscita. Cominciamo con l'ipotesi che qualsiasi fotone di scintillazione ha la stessa
probabilità p di produrre un elettrone sul D1. Allora il numero medio di elettroni disponibili
sull'anodo sarà:
Q0 = N p ⋅ p ⋅ M
e quindi la sua varianza è data da:
179
v(Q 0 ) = v(N p ) +
p(1 − p)
Npp2
+
v(M)
Npp
che può essere messa nella forma più interessante:

1  1 + v(M)
v(Q 0 ) =  v(N p ) +
N p 
Npp

dalla quale si vede che se la varianza della scintillazione è poissoniana, allora v(N p ) =
1
e
Cp
quindi la varianza di Q0 si riduce a:
v(Q 0 ) =
1 + v(M)
Npp
Facciamo notare che se le fluttuazioni del guadagno del fotomoltiplicatore sono nulle, v(M)=0, e se
tutti i fotoni di scintillazione prodotti vengono raccolti al primo dinodo, p=1, allora si ottiene:
v(Qo) =
1
Np
come è giusto che sia se, come abbiamo ipotizzato, le fluttuazioni del numero di fotoni prodotti per
scintillazione, sono solo statistiche e di tipo poissoniano.
In pratica nei rivelatori, l'efficienza di trasferimento p non è costante. Essa dipende in modo
complesso da molti fattori:
a) Punto di origine del fotone nello scintillatore
b) La sua direzione iniziale e successive riflessioni
c) Dalla sua energia
d) Dal punto e dalla direzione di incidenza sul fotocatodo.
e) Dalla probabilità che questo emette un elettrone.
f) Dalla probabilità che questo raggiunge D1.
Quindi in una trattazione statistica accurata, p, è mediato su tutti i fotoni di ciascuna scintillazione. I
singoli valori medi di pi così ottenuti si presenteranno con una frequenza qi in una serie di molte
scintillazioni, per cui:
p = ∑ qi pi
i
L'impulso di uscita medio è dato ora da:
Q0 = N p ⋅ p ⋅ M
e la sua varianza relativa è:

1  1 + v(M)
v(Q 0 ) = v(p) + [1 + v(p)]⋅  v(N p ) −
+
N p 
Np p

che può anche essere riscritta:
[
]
v(Q 0 ) = v(N p ) + v(p) 1 + v(N p ) +
1 + v(M) - p[1 + v(p)]
Npp
e se v(p) << 1 e v(Np) << 1 si ha:
v(Q 0 ) ≅ v(p) + v(N p ) +
1 + v(M) - p
Npp
notare come il termine dipendente dal fattore di moltiplicazione M dipende anche in modo inverso
dal numero medio di fotoni di scintillazione prodotti e quindi dalla energia E della particella
180
incidente. Quando N p è grande, la distribuzione delle ampiezze osservate in uscita per l'eccitazione
di una particella monoenergetica, è gaussiana e quindi tra v(Q0) e la risoluzione
sussiste la nota relazione:
η2 = 5.56 v(Q0)
η = ∆E/E
invece per N p piccolo, la distribuzione delle ampiezze in uscita è sensibilmente asimmetrica a causa
del piccolo numero di fotoelettroni prodotti.
Fattori che contribuiscono alla larghezza di riga
Suddividiamo le origini della larghezza di riga osservata sperimentalmente in quattro cause
principali:
Fluttuazioni del numero Np di fotoni di scintillazione
I contributi a queste fluttuazioni possono derivare da:
•
Variazioni della efficienza di scintillazione S nel volume dello scintillatore dovuto a
disuniformità del drogaggio e/o difetti reticolari.
•
Diverse dissipazioni di energia per particelle successive dovuto a diversa storia della stessa.
•
Dipendenza della risposta L e quindi S da dE/dr e quindi a modi diversi di perdere la stessa
energia corrisponde un'ampiezza d'uscita diversa.
•
Se la varianza di Np è normale, dovuta a semplice fluttuazione statistica, non si ha
contributo di Np a v(Q0).
Fluttuazioni nella raccolta dei fotoni prodotti
Le variazioni nella raccolta di luce cioè nel fattore G dipendono:
•
Dal punto in cui viene generato il fotone luminescente all'interno del cristallo in quanto esso
subisce diverse riflessioni, diverso assorbimento da parte del cristallo, diverse perdite per riflessione
(se non è in condizioni di riflessione totale), diversa efficienza della guida di luce. Tutti questi fattori
fanno diminuire G, efficienza di raccolta luce, e quindi determinano un aumento della sua v(G) (oggi
si fa tramite un calcolo di M.C.) per un cristallo trasparente, otticamente accoppiato ad un fotocatodo
uniforme e con le altre facce lavorate in modo da avere una riflettività costante ρ. Con buona
approssimazione la varianza di G si può esprimere:
2
v(G) ≅ (1 − ρ ) σ 2 (r)
in cui σ 2 (r ) è la varianza di r numero medio di riflessioni che un fotone subisce prima di arrivare
sul fotocatodo. Per uno scintillatore cubico o cilindrico si ha σ 2 (r ) = 0,15. Secondo questa formula,
v(G), in condizioni ideali dà un contributo alla risoluzione η dell'ordine di 0,9(1-ρ) ossia 9% per ρ
= 0,9; 3,6% per ρ = 0,96.
Fluttuazioni sul numero di fotoelettroni e raccolta su D1
Il fattore mCpgc dipende in modo complesso dalla lunghezza d'onda λ e dal punto d'incidenza sul
fotocatodo.
Il fattore m dipende dalle risposte del fotocatodo e dallo spettro di emissione di fluorescenza.
Cp dipende dal materiale del catodo e dal suo spessore.
Per gc si ha la dipendenza dalla struttura del dinodo D1 e dal potenziale catodo-D1.
181
Cpgc dipende dal grado di uniformità del fotocatodo. Ad esempio una variazione del 10% da
punto a punto produce una v(p) ≅ 10-3 cioè un contributo a
η ∼ 7%.
Fluttuazioni nel processo di moltiplicazione elettronica
Come abbiamo già visto una tensione catodo-D1 alta determina una diminuzione della varianza v(M)
del fattore R1 / R , un aumento della tensione interdinodale V determina un aumento di R e quindi
un miglioramento di v(M). L'aumento di V, che si può limitare ai primi stadi è limitato però
dall'emissione per effetto di campo. In generale, compatibilmente con gli effetti di carica spaziale
degli ultimi dinodi che introducono effetti non lineari, per minimizzare v(M), è conveniente
prendere l'impulso d'uscita dopo i primi dinodi e lavorare a tensioni interdinodali più alte.
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