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scenario sanita` nazionale - Ordine dei Medici di Ferrara

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scenario sanita` nazionale - Ordine dei Medici di Ferrara
SCENARIO SANITA' NAZIONALE
Rassegna Stampa del 07 ottobre 2013
La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o
parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue;
MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto
specificato nei contratti di adesione al servizio.
INDICE
SCENARIO SANITA' NAZIONALE
05/10/2013 Corriere della Sera - Milano
«Galeazzi, ospedale d'eccellenza perché operiamo 7 giorni su 7»
7
05/10/2013 Corriere della Sera - Roma
«Ottobre rosa»: ecco la campagna di prevenzione contro i tumori
8
05/10/2013 Corriere della Sera - Nazionale
Risoluzione europea sulla Circoncisione le Ragioni e le Zone d'Ombra
9
06/10/2013 Corriere della Sera - Milano
Famiglie in fila per i farmaci dell'Opera San Francesco
10
06/10/2013 Corriere della Sera - Nazionale
La frutta e la prevenzione del diabete
11
06/10/2013 Corriere della Sera - Nazionale
Tre cuori operati a «scatola chiusa»
12
06/10/2013 Corriere della Sera - Nazionale
il Diritto alla Serenità
15
06/10/2013 Corriere della Sera - Nazionale
Ticket impazziti
16
06/10/2013 Corriere della Sera - Nazionale
Disuguaglianze e alti costi negano di fatto il diritto alla salute
18
06/10/2013 Corriere della Sera - Nazionale
Più esenzioni per «povertà»
19
06/10/2013 Corriere della Sera - Nazionale
Può convenire pagare tutto di tasca propria
21
06/10/2013 Corriere della Sera - Nazionale
Un disturbo scatenato anche dal rene o dal fegato
23
06/10/2013 Corriere della Sera - Nazionale
Unità dedicate con diverse specializzazioni
24
06/10/2013 Corriere della Sera - Nazionale
Una tecnica riservata a terapeuti che hanno molta esperienza
25
06/10/2013 Corriere della Sera - Nazionale
Le «voci» interne cancellate con un avatar
26
06/10/2013 Corriere della Sera - Nazionale
La rete informa sulla distrofia muscolare
28
07/10/2013 Corriere della Sera - Milano
Vaccinazioni al risparmio «Ma sono meno efficaci»
29
07/10/2013 Corriere della Sera - Nazionale
Foto choc sui pacchetti di sigarette, la battaglia in Europa
30
05/10/2013 Il Sole 24 Ore
Pressing sulla direttiva antifumo
32
07/10/2013 Il Sole 24 Ore
Le performance ricostituenti dell'omeopatia
33
05/10/2013 La Repubblica - Nazionale
Farmaci taroccati, l'Aifa chiude la Geymonat
34
05/10/2013 La Repubblica - Nazionale
Bologna, muore in ospedale donna incinta aveva appena fatto un'amniocentesi
35
05/10/2013 La Repubblica - Roma
"Tor Vergata, 70 pazienti abbandonati sulle barelle"
36
05/10/2013 La Repubblica - Bologna
Perde il bimbo al quinto mese e muore al S. Orsola
37
06/10/2013 La Repubblica - Napoli
Salute mentale, lite tra manager senza casa 2300 disagiati psichici
39
06/10/2013 La Repubblica - Bologna
"Un'infezione massiccia mai vista una cosa simile in trent'anni di ospedale"
40
06/10/2013 La Repubblica - Firenze
Ammalati ma felici oggi l'Open Day del Dynamo Camp
41
06/10/2013 La Repubblica - Torino
Città della Salute, indagato il manager l'antincendio del Cto non è a norma
42
07/10/2013 La Repubblica - Nazionale
In sala operatoria si scoprono nuovi esiti
43
03/10/2013 La Stampa - Nazionale
Valdese, mancano all'appello diecimila mammografie
44
06/10/2013 La Stampa - Nazionale
Niente certificato anti-incendi Indagato il direttore del Cto
45
07/10/2013 La Stampa - Nazionale
Veronesi: "Perché difendo l'eutanasia"
46
06/10/2013 Il Messaggero - Roma
Ma ci sono da pagare ancora 15 milioni per i ricoveri dei libici
47
05/10/2013 Il Giornale - Milano
La frase choc del medico indagato «Chi entra in ospedale è già morto»
48
06/10/2013 Il Giornale - Nazionale
Stimolazione plantare per aiutare la mobilità
49
06/10/2013 Il Giornale - Nazionale
Muoversi per non cadere
50
06/10/2013 Il Giornale - Nazionale
Alle Molinette stimoli elettrici per curare la distonia
51
05/10/2013 QN - Il Resto del Carlino - Ancona
Eusebi: «Ormone della crescita, perché ci costa 8 milioni di euro?»
52
05/10/2013 Avvenire - Nazionale
L'ULTIMO STRAPPO LO HA FATTO L'URUGUAY
53
05/10/2013 Avvenire - Nazionale
Sanità, quasi 60mila gli stranieri che ci lavorano Gli infermieri professionali sono più
della metà
54
06/10/2013 Avvenire - Nazionale
«Ottobre rosa» nelle strutture sanitarie della regione
55
06/10/2013 Il Gazzettino - Venezia
Sanità, manager accusati di truffa
56
05/10/2013 Il Manifesto - Nazionale
La controriforma che fa la corte a 30 miliardi. Le sinistre tacciono
57
06/10/2013 Libero - Nazionale
La tolleranza che salva la vita
58
06/10/2013 Libero - Nazionale
Malattie vascolari, italiani in pole position
59
06/10/2013 Libero - Nazionale
Atrial Fibrillation Association e Boston Scientific collaborano contro il rischio di
ictus nel mondo
60
06/10/2013 Il Secolo XIX - Genova
«Kit per diabetici, risarcite 4,5 milioni»
61
05/10/2013 Il Tempo - Roma
Policlinico Tor Vergata al collasso
62
05/10/2013 ItaliaOggi
Tabacco, Europa divisa sulle norme
63
05/10/2013 QN - La Nazione - Firenze
Incognita Serristori. Ma Cgil e Cisl non scioperano
64
07/10/2013 La Repubblica - Affari Finanza
Dall'archivio alle terapie sanitarie dacci la nostra nuvola quotidiana
65
07/10/2013 Corriere Economia
Il complicato paracadute dei medici
67
07/10/2013 Corriere Economia
Professionisti A caccia di 300 mila polizze
68
05/10/2013 Gente
Troppi antibiotici e il germe se la ride
70
05/10/2013 Gente
Aiuto, fermAte l'Assedio di stAminA
72
04/10/2013 Il Venerdi di Repubblica
AI MEDICI BRASILIANI PROPRIO NON PIACCIONO QUELLI CUBANI
74
04/10/2013 Il Venerdi di Repubblica
VENTI CHILOMETRI DI VELENI: COSI SI UCCIDE UN TERRITORIO
75
04/10/2013 Il Venerdi di Repubblica
Ora lo chef è a fumetti e insegna ai bambini a combattere il diabete
76
05/10/2013 Il Fatto Quotidiano
Un crimine tra mito e realtà
77
05/10/2013 La Notizia Giornale
attacchi di panico per 10 milioni di italiani
78
05/10/2013 La Notizia Giornale
Per vincere il cancro del colon Una colonscopia ogni 10 anni
79
05/10/2013 La Notizia Giornale
Contro la tubercolosi killer In arrivo un nuovo vaccino
80
04/10/2013 Corriere della Sera - Sette
**Il diritto di tutti all'Eubiosia, la buona vita
81
SCENARIO SANITA' NAZIONALE
63 articoli
05/10/2013
Corriere della Sera - Milano
Pag. 7
(diffusione:619980, tiratura:779916)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Il 62 per cento dei pazienti operato al femore entro 48 ore
«Galeazzi, ospedale d'eccellenza perché operiamo 7 giorni su 7»
Primario Siamo già arrivati all'83 per cento di pazienti operati entro le 48 ore Riccardo Accetta
Alessandra Dal Monte
Sessantadue pazienti su cento operati al femore entro le 48 ore dall'arrivo in pronto soccorso, contro una
media italiana del 40,16 per cento. Nel report dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas),
che ogni anno valuta le prestazioni degli ospedali del Paese, l'istituto ortopedico Galeazzi di Milano si
posiziona tra le strutture eccellenti. Primo in città e quattordicesimo in Lombardia nella classifica relativa al
trattamento delle fratture al collo del femore. Un successo per il team di Riccardo Accetta, 59 anni,
responsabile dell'unità di Traumatologia e Pronto Soccorso del Galeazzi.
Dottore, come si organizza l'ospedale per raggiungere questo risultato?
«Facciamo in modo che tutti i casi che ci arrivano seguano un iter preciso: valutiamo subito l'entità del danno
e il livello di operabilità del paziente. Chi arriva da noi spesso è anziano e ha altri problemi, perciò noi
traumatologi siamo sempre affiancati dai cardiologi e dagli anestesisti per valutare insieme come procedere».
Il primo ospedale nella graduatoria lombarda raggiunge un punteggio del 93,2 per cento (l'istituto
Poliambulanza di Brescia). Cosa manca al Galeazzi per arrivare a quel livello?
«Ci stiamo avvicinando: i dati del report risalgono al 2012, nel 2013 siamo già arrivati all'83 per cento di
pazienti operati entro le 48 ore».
Come ci siete riusciti?
«Continuando a migliorare la rapidità degli esami pre-operatori e intensificando il lavoro di team. Poi,
lavorando sette giorni su sette: da quest'anno operiamo anche il sabato e la domenica».
Qual è il livello massimo di efficienza che pensate di ottenere?
«Puntiamo al 90 per cento»
La ricetta, quindi, è lavoro di squadra sette giorni su sette.
«Sì, ma non solo. C'è anche la grande preparazione dei nostri medici. E tanta esperienza: il Galeazzi opera
173 femori all'anno, secondo a Milano per numero di interventi dopo il Gaetano Pini che ne tratta all'incirca
200. Ed essendo un Irccs, istituto di ricovero e cura a carattere scientifico, il Galeazzi fa anche molta ricerca
sulle tecniche di operazione chirurgica».
RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
7
05/10/2013
Corriere della Sera - Roma
Pag. 4
(diffusione:619980, tiratura:779916)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Salute donna
«Ottobre rosa»: ecco la campagna di prevenzione contro i tumori
F. D. F.
Ottobre è il mese della prevenzione e dell'informazione per la tutela della salute della donna con incontri,
consigli, visite e accertamenti gratuiti. La Regione Lazio ha lanciato in tutte le Asl la campagna per tutte le
cittadine tra i 25 e i 64 anni (per il tumore al collo dell'utero) e tra i 50 e i 69 anni (per il tumore al seno). Il
programma è stato chiamato «Ricordati di te». L'obiettivo è aumentare la percentuale di chi aderisce alla
prevenzione, già gratuita tra i 50 e i 69 anni, estendendoli anche alle fasce 45-49 e 70-74 anni. All'iniziativa
contribuisce anche il Campus Biomedico di Trigoria: dall'8 ottobre ogni martedì del mese sarà possibile
effettuare uno screening senologico gratuito. Pure il Policlinico Umberto I partecipa alla campagna il 18
ottobre nella sede di Palazzo Baleani (Corso Vittorio Emanuele II, 244) e il 25 ottobre nella Radiologia
centrale. La catena Hard Rock Café, in collaborazione con l'Airc, lancia la 14° edizione di «Pinktober», la
campagna mondiale per raccogliere fondi contro il tumore al seno: sono in vendita nei café magliette,
braccialetti e altri gadget a tema. Prevenzione e informazioni pure sui treni dell'alta velocità con la terza
edizione di «Frecciarosa», promossa da Fs Italiane insieme all'Associazione «IncontraDonna», con il
patrocinio del ministero della Salute: dal lunedì al venerdì, a bordo di due Frecciarossa Roma-Milano, medici
e specialisti danno consigli alle viaggiatric.
RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
8
05/10/2013
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 58
(diffusione:619980, tiratura:779916)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Risoluzione europea sulla Circoncisione le Ragioni e le Zone d'Ombra
Marco Ventura
Fino a che punto possono spingersi gli Stati nel tutelare l'integrità fisica del minore? Hanno il diritto di sfidare
le religioni? La polemica esplose in Germania un anno fa, quando la Corte d'appello di Colonia prosciolse
dall'accusa di lesioni un medico che aveva circonciso un bambino su richiesta dei genitori musulmani, ma
dichiarò illegale la circoncisione. Nel dicembre 2012 il Parlamento tedesco sconfessò i giudici, blindando per
legge la circoncisione maschile.
Ora, una risoluzione dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa riapre la questione. Il documento
invita i 47 Stati membri a proteggere i minori, quando minacciati da violazioni dell'integrità fisica non
giustificate da ragioni mediche. Si chiede agli Stati di sanzionare gli interventi «più dannosi», come le
mutilazioni genitali femminili, e di definire a quali condizioni è legittima la circoncisione maschile di minori
praticata «in seno a certe comunità religiose». Il Consiglio d'Europa invita a un «dialogo interreligioso e
interculturale», nel quale i rappresentanti confessionali cooperino con le autorità pubbliche per verificare che i
metodi impiegati siano sicuri e rispettosi dell'interesse dei minori. Inoltre, quando «appropriato e possibile», si
raccomanda che il minore sia coinvolto nella decisione.
Il ministero degli Esteri israeliano ha duramente condannato la Risoluzione e ne ha chiesto la revoca. Si
tratta, recita il comunicato, di un «attacco intollerabile contro un'antica e rispettabile tradizione religiosa
radicata nella cultura europea»; un attacco privo di fondamento alla luce della «moderna scienza medica». La
Risoluzione, secondo il governo israeliano, infanga moralmente il Consiglio d'Europa e incoraggia l'odio
razzista nel Vecchio Continente. Sono fondate le critiche alle zone d'ombra del documento votato a
Strasburgo, a partire dall'equiparazione delle mutilazioni genitali alla circoncisione. Tuttavia, le religioni non
sono un'isola: se vorranno difendere le proprie prerogative dovranno mostrarsi sensibili alla preoccupazione
dell'Europa su autonomia e salute dei minori.
RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
9
06/10/2013
Corriere della Sera - Milano
Pag. 7
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Famiglie in fila per i farmaci dell'Opera San Francesco
La responsabile Suor Annamaria: ormai serviamo più pazienti esterni, cioè mandati dai medici di base, che
interni Il Banco farmaceutico «Contro questa "povertà sanitaria" partiremo con una raccolta mirata delle
terapie più richieste»
Nadia Galliano
Aumentano le persone incapaci di sostenere le spese per la propria salute e che si rivolgono agli enti
caritatevoli. Anche i più piccoli: «Abbiamo notato una crescita della domanda di farmaci per i bambini:
richieste che non fanno riferimento a cure particolari, ma a terapie di routine per patologie comuni. I tipici
medicinali dell'infanzia: caso lampante gli antipiretici per la febbre - evidenzia la dottoressa Villa suor
Annamaria, responsabile del poliambulatorio dell'Opera San Francesco per i poveri -. Così come gli anziani
che richiedono farmaci di fascia C, cioè a carico del cittadino».
Campanelli d'allarme che mostrano il volto articolato della crisi economica, capace di colpire punti già di per
sé sensibili come le fasce più deboli. Non solo: «Il nostro servizio di farmacia ha superato le erogazioni
esterne rispetto a quelle interne: serve cioè un maggior numero di pazienti che ci vengono inviati dai medici di
base rispetto a quelli visitati presso il nostro centro».
Più richieste arrivate da cittadini che hanno accesso al sistema sanitario nazionale rispetto ad immigrati
senza permesso di soggiorno, homeless e bisognosi. Detto in altri termini, una maggiore domanda per
terapie croniche e stagionali da parte di pazienti apparentemente non in condizioni di povertà estrema, ma
che faticano a sostenere il peso della propria salute.
«È un trend che riconferma lo scenario del 2012. L'anno scorso i nostri pazienti hanno subito un aumento del
13,48% rispetto al 2011 e sono state distribuite 11.018 confezioni di farmaci in più: una crescita del 21,19%
riguardo terapie destinate soprattutto a pazienti esterni. Ma se l'anno scorso quest'ultimi superavano
solamente gli interni, ora siamo arrivati pressoché al 100% di richieste da parte di assistiti coperti dal sistema
sanitario». Una cosiddetta «povertà sanitaria» che dilaga sul territorio: «Questa crescita ci ha indotto ad
aprire un focus di valutazione per evitare che la maggior domanda esterna mettesse a rischio l'erogazione
agli interni. Abbiamo mappato i medici di base per capire che cosa stia succedendo - valutare se, oltre alle
difficoltà economiche, ci siano ulteriori variabili da prendere in considerazione -. Il passo successivo sarà
partire con una campagna ad hoc per responsabilizzare prescrittori e pazienti senza abbandonarli nel
percorso terapeutico».
Facendo un passo indietro ed osservando i dati relativi alle terapie erogate nel 2012 dall'Opera, ai primi posti
svettano antinfiammatori, antibiotici e antipertensivi: medicinali per cure continuative o stagionali che,
assieme ai dati del 2013, sanciscono una reale tendenza in crescita piuttosto che un semplice picco
circoscritto. «Il Banco Farmaceutico - che fornisce gran parte dei medicinali da banco distribuiti dall'ente
caritatevole - partirà con una raccolta mirata sulle terapie più richieste», tentativo per trovare una soluzione
all'incapacità di sopportare le spese per la salute all'interno delle mura domestiche. Preoccupazione concreta
quest'ultima che, oltre a stringere la cinghia sul consumo di farmaci, porta con sé ulteriori patologie: «Il 3040% dei soggetti che prendiamo in carico direttamente, monitorandone la diagnosi, manifesta segni di
somatizzazione fisica legata al periodo storico: disturbi quindi causati da un disagio personale che si
concretizza in un malessere nel corpo». Contratture riflesse, acidità di stomaco, dolori ginecologici, problemi
osteomuscolari, mal di testa ne sono solo alcuni esempi.
RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: La coda Si allunga la fila per un pasto all'Opera San Francesco
Foto: Le cure Assistenza medica gratuita in via Bertoni
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
10
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Il fenomeno Solo così molti bambini e anziani riescono a curarsi
06/10/2013
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 51
(diffusione:619980, tiratura:779916)
La frutta e la prevenzione del diabete
C. F.
a pagina 59
C onsumare frutta (e verdura) in abbondanza è una delle raccomandazioni che si sentono ripetere più
spesso, la frutta, però, è anche zuccherina, e può quindi venire naturale chiedersi se questa
raccomandazione possa valere anche per la prevenzione del diabete di tipo 2. Poiché dagli studi finora non
era emersa una risposta chiara, alcuni scienziati, guidati da ricercatori della Harvard School of Public Health
di Boston (USA), hanno ipotizzato che più che la quantità di frutta, sia il tipo di frutta a influenzare il rischio di
diabete di tipo 2.
Per verificarlo, in uno studio, recentemente pubblicato sul British Medical Journal on line, i ricercatori hanno
esaminato i dati raccolti in ben 24 anni su più di 187 mila adulti partecipanti a tre vasti studi longitudinali. Tali
studi prevedevano il monitoraggio dello stato di salute e di vari fattori legati allo stile di vita, compreso il
consumo di frutta e di specifici tipi di frutta. I ricercatori hanno osservato che chi consumava almeno due
porzioni alla settimana di mirtilli o uva o mele e pere aveva un rischio di ammalarsi di diabete 2
rispettivamente del 23%, del 18% e del 15% inferiore rispetto a chi ne mangiava meno di una porzione al
mese. Al contrario, chi consumava una o più porzioni al giorno di succo di frutta aumentava il rischio di
soffrire di diabete 2 di circa il 21% rispetto a chi ne consumava meno di una porzione alla settimana.
«Alcuni tipi di frutta - commenta Gabriele Riccardi, professore di Malattie del Metabolismo, Università
Federico II di Napoli - sembrano particolarmente efficaci nella prevenzione del diabete tipo 2, probabilmente
in ragione degli antiossidanti che contengono. Lo stress ossidativo, prodotto dal l'iperglicemia, danneggia la
funzione delle beta cellule pancreatiche che producono insulina e quindi si genera un circolo vizioso che
causa livelli di glicemia sempre più elevati. Le sostanze antiossidanti della frutta, in particolare quelle
appartenenti alla famiglia dei polifenoli, tra cui le antocianine (che danno il colore blu ai mirtilli) o l'acido
clorogenico (presente in mele e pere ma anche nel caffè) o il resveratrolo (contenuto nell'uva nera) hanno
un'azione protettiva nei confronti delle beta cellule e favoriscono l'utilizzazione del glucosio nel muscolo. I
succhi di frutta, che non hanno più la struttura compatta del frutto originario e vengono rapidamente digeriti
nell'intestino tenue, generano un brusco innalzamento della glicemia che neutralizza tutti i benefici degli
antiossidanti».
RIPRODUZIONE RISERVATA
A tavola
Nuove scoperte rendono più «gustoso» prevenire l'iperglicemia
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
11
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Alimentazione
06/10/2013
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 51
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Tre cuori operati a «scatola chiusa»
a pagina 60
U na ragazza che non voleva cicatrici a ricordarle un'operazione al cuore. Un culturista di mezza età, ex
guardia del corpo, muscolosissimo, nel quale tagliare lo sterno sarebbe stata un'impresa e che non avrebbe
potuto sostenere la circolazione extracorporea necessaria per un intervento a cuore aperto. Un professore in
pensione con la valvola aortica da sostituire, in condizioni tanto critiche da rendere impossibile la
cardiochirurgia.
Tre storie completamente diverse, tre casi risolti grazie a tecniche all'avanguardia di cardiochirurgia
mininvasiva al Dipartimento Cardiotoracovascolare De Gasperis dell'ospedale Niguarda di Milano: oggi,
infatti, non sempre è indispensabile tagliare il torace per sostituire valvole cardiache, fare bypass coronarici o
riparare "difetti" del cuore. A volte basta un piccolo taglio per introdurre telecamera e strumenti, ottenendo gli
stessi risultati possibili con il bisturi classico. Le storie dei tre pazienti curati a Milano dall'equipe di Luigi
Martinelli (nel disegno), che dirige la struttura complessa di Cardiochirurgia al De Gasperis, ne sono la prova.
«I pazienti spesso non sanno che esiste la possibilità di operare il cuore senza aprire lo sterno, perfino in
situazioni relativamente complesse - dice Martinelli -. Così si impauriscono anche solo a sentire parlare di
cardiochirurgia. Invece, la tecnologia ha consentito una piccola rivoluzione anche in questo settore».
N on aveva idea che il cuore potesse essere operato senza aprire lo sterno la ventottenne arrivata al De
Gasperis con un'insufficienza grave della valvola mitrale, che però sapeva bene che cosa significasse un
intervento a cuore aperto, per averne viste le conseguenze sulla madre. La mamma della ragazza, infatti, in
passato era stata operata per sostituire con una protesi la valvola mitrale e la figlia, ora, era terrorizzata al
pensiero del taglio sul torace e della grossa cicatrice che aveva imparato a conoscere; temeva inoltre le
terapie a base di anticoagulanti successive all'intervento: le avrebbero reso più difficile avere un bambino,
come lei invece, in procinto di sposarsi, desiderava tanto.
L'operazione, tuttavia, era inevitabile, perché la ragazza aveva già uno scompenso cardiaco iniziale: i medici
le proposero allora il metodo mininvasivo, una piccola incisione sotto il seno attraverso cui arrivare all'atrio
destro del cuore per riparare la valvola. «Con l'apertura del torace, - sottolinea Martinelli - per il medesimo
risultato lei avrebbe patito conseguenze psicologiche pesanti: avrebbe sempre avuto davanti il ricordo della
malattia, sarebbe sempre stata in imbarazzo con una cicatrice deturpante. Oggi, invece, può dimenticarsi
questa brutta avventura, perché sta bene, la valvola è stata riparata e non le servono neppure le cure con gli
anticoagulanti».
In altri casi non è stato il timore delle conseguenze estetiche e psicologiche della cardiochirurgia standard a
far pendere la bilancia verso le tecniche mininvasive. Quando al Niguarda arrivò quel culturista di mezza età,
con diversi acciacchi e una coronaria occlusa per un lungo tratto, i medici dovettero scartare sia l'ipotesi
dell'angioplastica sia quella dell'intervento a cuore aperto.
«L'angioplastica sarebbe stata molto complessa, e in più avrebbe richiesto una terapia antiaggregante
protratta nel tempo che per le condizioni dell'uomo sarebbe stata rischiosa - racconta il cardiochirurgo -.
D'altro canto, aprire lo sterno sarebbe stato parecchio difficile per la presenza, intorno, di muscoli iper
sviluppati, che avrebbero reso più complicata anche la guarigione della cicatrice. E non solo: in passato al
paziente era stata asportata la milza e due lobi polmonari, per cui di fatto viveva con un polmone soltanto. La
circolazione extracorporea necessaria per un intervento "aperto" sarebbe stata perciò pericolosa».
«Quindi - aggiunge lo specialista - abbiamo deciso di operarlo entrando attraverso un piccolo taglio sotto il
pettorale sinistro; non abbiamo dovuto fermargli il cuore e abbiamo realizzato un bypass della coronaria
ostruita. Oggi, a distanza di due anni, l'uomo sta benissimo».
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
12
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Storia
06/10/2013
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 51
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
13
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
S ta bene anche un altro paziente, ultra75enne con una stenosi aortica moderata, curato al Niguarda con le
tecniche mininvasive. Con la stenosi - un restringimento ostruttivo della valvola che si trova fra il ventricolo
cardiaco sinistro e l'aorta - il sangue non esce più bene dal cuore, affaticandolo e si tratta di un problema
abbastanza frequente in età avanzata (dopo i 75 anni riguarda il 7-10% delle persone). L'ex professore non
era in buone condizioni, aveva già un certo grado di insufficienza cardiaca e l'intervento a cuore aperto era
fuori discussione, troppo pericoloso. Ma era impraticabile anche l'altra opzione che da qualche tempo esiste
per i pazienti più anziani, l'impianto di valvola aortica transcatetere (TAVI), che consente di sostituire la
valvola senza aprire il torace, portandola al posto giusto attraverso un catetere inserito nel sistema vascolare.
«Sulla valvola dell'anziano signore c'era un'infezione batterica abbastanza estesa, dovevamo ripulire tutta la
zona prima di mettere la nuova valvola e con l'approccio tramite catetere non sarebbe stato possibile - spiega
Martinelli -. Così scegliemmo la cardiochirurgia mininvasiva, una "via di mezzo" che in questo caso era l'unica
a garantirci un buon margine di manovra per eliminare il tessuto infetto, senza essere "pesante" come
un'operazione a cuore aperto».
T ra i vantaggi della mininvasiva, infatti, ci sono anche la minor perdita di sangue, la riduzione del dolore postoperatorio e dei rischi di infezione, il recupero più rapido e il ricovero più breve.
«Ovviamente non è possibile operare tutti con la cardiochirurgia "soft". Se si devono sostituire due valvole o
fare diversi bypass, ad esempio, la chirurgia standard è ancora necessaria - specifica Martinelli -. Quando
però i risultati che si possono ottenere con i due approcci sono sovrapponibili è giusto scegliere questa via,
più "dolce" e meno demolitiva, che oggi grazie a telecamere e strumenti speciali ci consente di intervenire
senza troppi traumi per il paziente anche in molte situazioni in cui non si può percorrere la via meno invasiva
di tutte, ovvero il trattamento attraverso cateteri inseriti nei vasi, per cui non serve neppure un taglio
chirurgico».
La cardiochirurgia mininvasiva richiede un continuo aggiornamento delle tecnologie e molta esperienza; in
Italia però ci sono già diversi Centri dove è una prassi consolidata.
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In sala operatoria
Tre vicende esemplari testimoniano grandi progressi tecnologici
La Fondazione De Gasperis
Il Dipartimento Cardiotoracovascolare dell'Ospedale Niguarda Cà Granda di Milano è affiancato dalla
Fondazione De Gasperis, che è impegnata, fra l'altro, nella promozione della ricerca, nella formazione e
nell'aggiornamento dei medici e del personale infermieristico. Grande attenzione viene prestata soprattutto
alle borse di studio per giovani medici per l'apprendimento nei luoghi di eccellenza.
Vantaggi
Il sangue non circola all'esterno
Il taglio sullo sterno necessario per gli interventi di cardiochirurgia classici
è un elemento di rischio perché l'osso può non consolidarsi bene, allungando il processo di guarigione, e
perché espone pazienti più «fragili» (ad esempio diabetici, malati di broncopneumopatia cronica, obesi) a una
maggiore probabilità
di complicanze postoperatorie.
Il taglio di pochi centimetri (massimo 6-8), invece, riduce fortemente i rischi: viene inciso lo spazio fra le
costole, senza tagliare ossa ma solo pelle e muscoli, così anche il recupero è più veloce. Altro pregio delle
tecniche mininvasive è la possibilità di evitare la circolazione extracorporea, perché anche questa è molto
pesante per l'organismo: il sangue circola all'esterno del corpo e cuore e polmoni vengono fermati, uno
«stress» per la maggior parte dei pazienti che oggi arrivano sul tavolo operatorio, più anziani rispetto al
passato e più fragili per colpa di altre malattie.La «Tavi» Solo di recente si è riusciti a sostituire o a riparare le
valvole cardiache senza fare neppure un piccolo taglio, attraverso cateteri inseriti nei vasi nella cosiddetta
«via percutanea». Pochi anni, ma i risultati clinici fanno ben sperare: di recente sono stati presentati i dati di
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Corriere della Sera - Ed. nazionale
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un registro di circa 2.700 pazienti sottoposti all'impianto transcatetere della valvola aortica (TAVI) in 93 centri
di 17 Paesi (450 casi sono stati trattati in 5 centri italiani), secondo cui la sopravvivenza a un anno è di circa
l'80% e le complicazioni di rilievo sono scarse. Risultati che mostrano come sia andata ancora meglio nel
"mondo reale" rispetto a quanto successo nelle sperimentazioni precedenti, dove ci si era fermati a una
sopravvivenza attorno al 75%: merito di valvole sempre migliori e dell'esperienza acquisita dai medici. Resta
ora da far sì che l'accesso alla TAVI sia garantito a tutti coloro che ne hanno bisogno: solo alcune Regioni
hanno previsto una tariffa di rimborso per questo intervento, così molti pazienti sono costretti a farsi curare
lontano da casa.
06/10/2013
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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Il 10 ottobre si celebra la Giornata mondiale sulla salute mentale
CLAUDIO MENCACCI*
I disturbi mentali sono frequenti e disabilitanti:
in Italia interessano circa 17 milioni di cittadini
(il 23% degli uomini e il 30% delle donne), provocando la più alta percentuale di disabilità fra tutte le
patologie. Oltre il 50% delle persone nel corso della vita sviluppa una condizione di disturbo mentale,
il cui rischio aumenta dopo i 75 anni. Non sempre si tratta di disturbi severi e cronici, nei due terzi dei casi
sono episodici o ripetuti e solo un terzo è persistente. Nonostante l'esistenza di efficaci interventi
farmacologici e psicologici, meno della metà delle persone con un disturbo mentale entra in contatto con un
medico e meno del 15% con uno psichiatra. E così, a causa del considerevole ritardo nella diagnosi e nel
trattamento, meno del 10% riceve una cura adeguata. La crisi economica amplifica
il fenomeno e sono soprattutto le classi meno abbienti
a risentirne. Il 10 ottobre si celebra la Giornata mondiale sulla salute mentale
e per la prima volta in Italia 75 Ospedali con i Bollini rosa, e che hanno un Dipartimento di Salute Mentale,
aderiscono a un Open Day dedicato alla salute mentale femminile promosso da O.N.Da insiema a SIP
(Società Italiana di Psichiatria).
Con una formula già sperimentata per altre patologie, gli Ospedali messi in rete offrono gratuitamente
counselling, visite psichiatriche, test di screening, test di valutazione
del rischio di depressione e di ansia, organizzano incontri nelle loro sedi, accolgono e informano sulle
principali patologie psichiche. Un motore di ricerca dedicato sul sito www.bollinirosa.it consente
l'individuazione dell'Ospedale più vicino e dei servizi erogati. Avvicinare più persone
alle cure è uno sforzo da compiere, nella convinzione
di quanto poco informata sia la popolazione e di quanta scarsa fiducia nutra nella possibilità di guarire.
Occorre uno sforzo a livello nazionale, per modificare la scarsa consapevolezza delle Istituzioni e delle
persone, per garantire innovazione, ricerca e cure. È importante che non vi siano tagli lineari, ma, al
contrario, potenziamento dei servizi sul territorio, garantendo le cure più appropriate. Le malattie mentali
ricevono purtroppo
solo un decimo dei fondi per la ricerca.
*Presidente Società Italiana di Psichiatria
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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il Diritto alla Serenità
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Cifre in aumento, differenze regionali, incongruenze. La «compartecipazione alla spesa» per esami e visite,
nel clima di disagio economico diffuso, mette in difficoltà molti assistiti
Servizi di M. Giovanna Faiella alle pagine 52-54 Cifre in aumento, differenze regionali, incongruenze. R
acconta un'assistita piemontese: «Ho problemi alla tiroide e ogni anno devo fare i controlli: analisi del sangue,
ecografia, visita dallo specialista; ho anche noduli al seno da monitorare e quindi devo fare annualmente pure
l'ecografia mammaria. Io non ho diritto a esenzioni perché, almeno fino ad oggi, è andato tutto bene. Ma da
quando hanno inserito i superticket non posso più sostenere queste spese e ho dovuto rimandare i controlli:
la sola ecografia al seno mi costerebbe circa 50 euro di ticket, mentre prima ne pagavo 36. Altro che
prevenzione e diagnosi precoce...». E un assistito ligure: «Ho fatto un ecocolordoppler presso la mia Asl: 11
mesi di attesa e quasi 50 euro di ticket. Poi il medico mi ha detto che in intramoenia (regime privato in
ospedale, ndr) l'esame mi sarebbe costato la stessa cifra e non avrei dovuto aspettare tutto quel tempo».
Sono solo alcune delle segnalazioni (giunte da diverse regioni al Pit salute del Tribunale dei diritti del malatoCittadinanzattiva) da parte di persone messe in difficoltà dalla cosiddetta "compartecipazione" alla spesa
sanitaria, soprattutto dopo l'introduzione nell'estate 2011 dei "superticket" su visite specialistiche ed esami
diagnostici erogati dal Servizio sanitario: un'ulteriore quota di 10 euro da pagare (con rare eccezioni di
qualche Regione, lievi "modulazioni" in altre, ma anche "maggiorazioni" in altre ancora, vedi sotto) che va ad
aggiungersi ai ticket che già si dovevano (fino a un massimo di 36,15 euro).
Superticket, dunque, che pesano sulle tasche degli italiani, con cifre diverse da regione a regione, a volte
addirittura più "salati" dei rimborsi regionali alle strutture che erogano le prestazione (vedi tabella);
compartecipazioni alla spesa sanitaria che sembrano impazzite, e che fanno male anche alla salute.
«Quest'anno per la prima volta abbiamo registrato tra i principali ostacoli nell'accesso alle cure anche il
"peso" dei ticket sulla diagnostica e la specialistica - conferma Tonino Aceti, coordinatore nazionale del
Tribunale dei diritti del malato - . I cittadini che ci contattano ritengono il superticket una "tassa sulla salute"
ingiusta, che li costringe sempre più spesso a rinunciare alle cure o a rimandarle, oppure a pagare di tasca
propria quando, per esempio, c'è il sospetto di una malattia grave. E i disagi maggiori li stanno affrontando
coloro che vivono in Regioni sottoposte ai cosiddetti piani di rientro».
Fermo restando che, secondo i dati del Ministero della Salute, circa 6 italiani su 10 usufruiscono di esenzioni
(per patologia, per reddito o per altre condizioni, vedi articolo a destra), per gli altri che devono sottoporsi a
esami o visite, i superticket stanno diventando un salasso, per molti insopportabile. E, da un anno all'altro,
sono diminuite di quasi il 9% le prestazioni specialistiche ambulatoriali, come rilevano i dati raccolti in 11
Regioni dall'Agenzia nazionale dei servizi sanitari (Agenas) nell'ambito del programma ReMoLet (Rete di
Monitoraggio Lea tempestiva). Lo studio ha messo a confronto le prestazioni erogate nel primo semestre del
2012 con quelle dello stesso periodo dell'anno precedente. «Il calo arriva al 17,2% nella fascia di popolazione
che non ha esenzioni né per patologie né per reddito - fa notare il direttore di Agenas, Fulvio Moirano - .
Questo dato suggerisce che, a causa dei maggiori costi delle prestazioni nel Servizio sanitario, un cittadino
su cinque ha deciso di non richiederle o di acquistarle dalle strutture private (o in intramoenia, si veda articolo
nelle pagine successive)».
«Non fare accertamenti necessari significa rinunciare alla prevenzione, ma anche non curare in tempo le
malattie, con maggiori costi futuri, peraltro, a carico del Servizio sanitario - sottolinea Walter Ricciardi,
direttore dell'Istituto di igiene all'Università Cattolica-Policlinico Gemelli di Roma e coordinatore di
Osservasalute, l'Osservatorio che monitora da 10 anni la salute degli italiani -. Per esempio, una donna che
deve fare la mammografia perché presenta fattori di rischio, come noduli al seno e familiarità, può arrivare in
qualche Regione a spendere anche 70-80 euro, e in tempo di crisi spesso decide di non farla».
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Ticket impazziti
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«Nell'ultimo periodo - continua Ricciardi - abbiamo verificato che la compartecipazione alla spesa è tra i
principali fattori che disincentivano la prevenzione, oltre che uno strumento di sperequazione, perché fa
aumentare la differenza tra persone che possono permettersi di pagare per curarsi e quelle che invece sono
in difficoltà economiche, soprattutto nell'Italia Centro-meridionale».
«L'attuale sistema dei superticket va corretto perché sta negando ad alcuni cittadini il diritto alla salute, ma
mette anche a rischio la tenuta del Servizio sanitario - interviene Valerio Alberti, presidente di Fiaso, la
Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere -. Stiamo preparando una proposta per rendere più
equo l'accesso alle prestazioni e, al tempo stesso,salvaguardare la sostenibilità del sistema. Ma, per
risparmiare e offrire migliori servizi, occorre anche mettere in rete le "buone pratiche" e puntare sulla qualità
dei manager delle aziende sanitarie». Sulla revisione della compartecipazione alla spesa sta lavorando anche
la Conferenza Stato-Regioni. Nel frattempo, è stata sospesa l'introduzione di nuovi ticket (importo
complessivo stimato, 2 miliardi annui) a partire da gennaio 2014. Ma tocca alla prossima Legge di stabilità
assicurare la copertura di quel gettito.
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Disuguaglianze e alti costi negano di fatto il diritto alla salute
S iamo tra i più longevi nell'Unione europea e in questi anni abbiamo ridotto più degli altri Stati i tassi di
mortalità infantile, ma il nostro Paese "incassa" quasi il doppio di segnalazioni dei cittadini sugli «ostacoli»
che si incontrano nell'accesso ai servizi sanitari: 6,9% rispetto al 3,5% della media europea. Lo rileva un
recente rapporto della Commissione europea sulle disuguaglianze in materia di salute tra gli Stati membri.
Tra gli ostacoli che impediscono di avere cure adeguate spiccano le liste di attesa troppo lunghe, il disagio di
affrontare i "viaggi della salute" in luoghi lontani da casa, i costi elevati delle prestazioni.
Dallo studio, inoltre, emerge che il 10% della popolazione italiana presenta "gravi privazioni materiali", come
l'impossibilità di pagare l'affitto o le bollette, di far fronte a spese impreviste, di riscaldare adeguatamente la
propria abitazione. Gli italiani in condizioni di grave povertà sono il doppio rispetto a francesi, tedeschi e
inglesi.
«Il nostro studio evidenzia che il divario tra ricchi e poveri, è molto ampio» afferma Paola Testori Coggi,
direttore generale "Salute e consumatori" della Commissione europea. Ed è stato calcolato che una persona
in stato di "grave privazione materiale" rischia cinque volte più degli altri cattive o pessime condizioni di
salute. Per combattere le discriminazioni nell'assistenza sanitaria tra gruppi sociali, Stati membri e anche al
loro interno, lo scorso febbraio la Commissione europea ha approvato, nell'ambito della strategia Europa
2020, il documento "Investire in salute", che invita appunto i Paesi dell'Unione a investire sulla salute dei
cittadini.
«Riuscire a ridurre le disuguaglianze spezza il circolo vizioso della salute precaria che contribuisce alla
povertà e ne è allo stesso tempo una causa - commenta Paola Testori Coggi - . I dati di cui disponiamo
suggeriscono che l'accesso universale ai servizi sanitari può contribuire a ridurre la povertà».
«Eventuali misure volte a contenere la spesa pubblica, come l'aumento dei costi a carico degli utenti, devono
essere valutate attentamente, in quanto possono causare una limitazione dell'accesso all'assistenza sanitaria
proprio per la parte più vulnerabile della popolazione e aggravare il suo disagio economico - continua la
dirigente della Commissione europea - . Più in generale, lottare contro le disuguaglianze in campo sanitario
richiede un approccio plurisettoriale che affronti i fattori di rischio che incidono sulla salute.
A tal fine occorre garantire redditi sufficienti nonché condizioni di vita e di lavoro adeguate».
Il documento non è vincolante per gli Stati membri, ma ha già ricevuto reazioni positive riguardo all'approccio
che suggerisce. «Ora siamo in attesa di conoscere meglio le azioni previste dall'Italia» conclude Coggi.
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Europa Un documento invita gli Stati a salvaguardare le fasce deboli
06/10/2013
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Più esenzioni per «povertà»
In ritardo quelle per 6 malattie croniche e 110 rare C'è una normativa a livello nazionale, con possibilità di
estensioni a livello locale In un anno le ricette «gratuite» per motivi di reddito sono state 2,7 milioni in più
L' esenzione da ticket e superticket su esami e visite spetta, secondo la normativa in vigore a livello
nazionale, a chi soffre di una malattia cronica o rara (tra quelle inserite in appositi elenchi e per le prestazioni
inerenti la patologia), a chi ha un'invalidità, per determinate attività di prevenzione (per esempio, la diagnosi
precoce di alcuni tumori e il test per l'HIV), nel periodo della gravidanza. Sono esenti, inoltre, anche alcune
categorie di cittadini individuate in base al l'associazione tra condizioni personali, sociali e di reddito: in
quest'ultimo caso, da un paio di anni non basta più l'autocertificazione ma il medico di famiglia, in base alle
informazioni fornitegli dall'Asl, deve apporre il relativo codice di esenzione sulla ricetta per l'esame o la visita
specialistica, come già faceva - e continua a fare - per le patologie.
Spesso le Regioni hanno esteso le esenzioni previste a livello nazionale a ulteriori condizioni di salute, o
hanno innalzato i limiti di reddito. «Anche le tipologie di esenzione variano da Regione a Regione - spiega
Isabella Morandi, esperta di Agenas -. Per esempio, in alcune è prevista l'esenzione per i figli a carico dal
terzo in poi; in altre non pagano i ticket i disoccupati, i lavoratori in cassa integrazione o in mobilità o con
contratto di solidarietà; in altre ancora sono esenti gli infortunati sul lavoro o chi ha una malattia
professionale, oppure i danneggiati da vaccinazione obbligatoria, trasfusioni o somministrazione di
emoderivati; in alcune regioni sono esenti anche le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata e i
loro familiari».
Secondo i dati del Ministero della Salute, nel 2012 circa 144 milioni di ricette per visite specialistiche ed esami
erano esenti da ticket; di queste, quasi la metà (67 milioni) per motivi legati allo scarso reddito dei cittadini, le
altre per patologia. Rispetto al 2011 le ricette con esenzione per reddito sono aumentate di circa 2,7 milioni.
Va precisato comunque che una persona può avere diritto a più esenzioni "parziali", per esempio una donna
con ipertensione (che dà diritto ad alcune prestazioni esenti) e in gravidanza (con altre esenzioni specifiche)
e che più ricette possono essere riferite a una stessa persona.
«Probabilmente alcuni pazienti che non avevano fatto valere il loro diritto all'esenzione per patologia, in
presenza di un aumento dei ticket hanno deciso di chiederla per potersi curare - spiega il direttore di Agenas,
Fulvio Moirano -. Le variazioni degli esenti per reddito possono essere dovute anche a un cambiamento di
status, per esempio, la perdita del lavoro da un anno all'altro».
Però, ricorda Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale dei diritti del malato: «Ci sono anche malati
cronici che avrebbero diritto all'esenzione ma pagano ticket e superticket: i nuovi Livelli essenziali di
assistenza (Lea), ancora non entrati in vigore, prevedono il riconoscimento di altre sei malattie croniche e
delle relative prestazioni esenti da ticket. Dopo più di 10 anni, poi, anche l'elenco delle prestazioni
attualmente esenti andrebbe aggiornato». E i nuovi Lea contengono anche l'elenco delle 110 malattie rare cui
spetterebbe l'esenzione. «I pazienti le attendono da sei anni - sottolinea Renza Galluppi, presidente di
Uniamo-Federazione italiana malattie rare -. In alcune Regioni sono state estese le esenzioni a qualcuna di
queste malattie, ma nella maggioranza dei casi si è costretti a un notevole esborso economico per curarsi o
quantomeno per non peggiorare».
M. R., per esempio, vive in Lombardia e ha la sarcoidosi, malattia che può interessare diversi organi ma
attacca principalmente i polmoni e le ghiandole linfatiche: è inserita nella lista delle 110 patologie rare in
attesa del riconoscimento nei Lea. «Nel 2009 mi sono aggravata - racconta -. Devo effettuare visite ed esami
periodici per tenere sotto controllo la malattia: esami ematici ogni tre mesi, radiografie e Tac al torace,
spirometria, biopsie al fegato, e poi visite dallo pneumologo, dal medico specializzato in malattie autoimmuni,
dall'otorino per i problemi alle corde vocali causati dalla sarcoidosi. L'anno scorso ho speso circa 1400 euro di
ticket. E come me ci sono tanti altri malati rari, cui viene negato un diritto».
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Effetto crisi Incremento delle richieste legate al crescente disagio economico
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Può convenire pagare tutto di tasca propria
Concorrenza agguerrita dei centri privati Analisi «perse» La «fuga» dalla Sanità nel 2012 ha riguardato prima
di tutto gli esami di laboratorio Scelte di mercato Prezzi «strategici» delle strutture accreditate, per non dover
aspettare i rimborsi
Maria Giovanna Faiella
U n cittadino residente nel Lazio: «Sulla ricetta, oltre al superticket di 10 euro, si pagano altri 4 euro, anche se
viene prescritto un solo esame di laboratorio: così, può capitare che per controllare la glicemia, con un'analisi
che costa 1.70 euro, se ne spendono 15.70; per l'emocromo da 3.31 euro si passa a 17.31; per l'esame delle
urine, che costa 1.14 euro, si pagano 15.14». E un paziente che vive in Lombardia: «Devo eseguire
un'ecografia all'addome inferiore e la mia Asl mi ha detto che c'è posto tra sei mesi. Ho chiesto allora a un
poliambulatorio convenzionato vicino casa che mi ha proposto lo stesso esame tra 2 giorni, a pagamento. La
differenza di prezzo è di pochi euro euro: circa 40 euro nel servizio pubblico tra 180 giorni, 50 euro nel
privato, tra 2 giorni».
Per alcune prestazioni specialistiche ambulatoriali spesso è diventato più conveniente rivolgersi a strutture
private, piuttosto che pagare ticket e superticket con la ricetta rossa della nostra Sanità. L'Agenzia nazionale
dei servizi sanitari l'ha definita "fuga dal Servizio sanitario", una fuga verso strutture private che offrono esami
e visite a tariffe concorrenziali.
Secondo lo studio dell'Agenas, la diminuzione delle prestazioni specialistiche nel 2012 si è verificata
soprattutto per gli esami di laboratorio e per le altre prestazioni meno costose. Il calo, inoltre, è stato più
accentuato per le prestazioni offerte da strutture private accreditate: 11,8% in meno rispetto al 7,6% in meno
registrato nei centri pubblici.
«È evidente: nei casi in cui avrebbero dovuto pagare ticket maggiori del costo stesso della prestazione, gli
utenti hanno preferito "acquistarla" direttamente - commenta il direttore di Agenas, Fulvio Moirano -. Così
come è probabile che gli erogatori privati accreditati (anche per avere soldi cash, senza dover aspettare i
tempi lunghi dei rimborsi (soprattutto nelle Regioni in difficoltà economiche), abbiano adottato prezzi più
convenienti rispetto ai superticket».
«Ci sono Regioni, come la Campania, che, oltre alla quota fissa "nazionale" di 10 euro, hanno introdotto
ulteriori ticket regionali - fa notare Silvestro Scotti, vicesegretario nazionale della Federazione dei medici di
medicina generale (Fimmg) - . Per gli esami di laboratorio, poi, ogni ricetta non può contenere più di 8
prestazioni: oltre questo limite occorre compilarne un'altra, che si paga a parte».
Che ci sia stata una "fuga nel privato", accentuata dall'introduzione dei cosiddetti superticket, lo conferma
anche una recente indagine del Censis. L'istituto di ricerca ha stimato che circa 12 milioni di italiani nel 2012
hanno fatto maggior ricorso, rispetto al passato, a prestazioni sanitarie pagate di tasca propria, in particolare
per visite ortopediche e ginecologiche, ecografia all'addome e colonscopia. Se il 60% degli intervistati si è
rivolto a strutture private (o all'intramoenia) a causa delle lunghe liste di attesa nei centri pubblici, ben 4
italiani su 10 lo hanno fatto perché hanno riscontrato un costo dei ticket superiore, o di poco inferiore, a quello
della parcella da pagare nella sanità privata.
«Molti italiani ormai sopportano il carico di costi aggiuntivi gravosi, spesso improcrastinabili, con grande
stress psicologico, perché temono di non riuscire a curarsi - afferma Carla Collicelli, vicepresidente del
Censis -. E negli ultimi due anni la situazione è peggiorata».
«Non si può inseguire il risparmio negando a chi non può permetterselo l'accesso a prestazioni necessarie
alla salute - ammonisce Costantino Troise, segretario dell'Anaao-Assomed, l'Associazione dei medici dirigenti
-. Spendiamo per la Sanità meno della media europea. La crisi economica non deve portare allo
smantellamento del sistema sanitario universalistico, che è ancora uno dei migliori al mondo».
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Tariffe Dati dell'Agenzia nazionale dei servizi sanitari
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06/10/2013
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Un disturbo scatenato anche dal rene o dal fegato
Un segnale di allarme e di difesa che può essere innescato anche da coliche renali e biliari o da emicrania
ANTONELLA SPARVOLI
T utti prima o poi possono soffrire di nausea o vomito. In gran parte dei casi sono conseguenza di condizioni
non gravi, come un pasto troppo abbondante o un viaggio in auto tutto curve. «A volte però nausea e vomito
possono essere spia di condizioni più serie, come nel, fortunatamente raro, vomito encefalico, segnale di una
patologia cerebrale - spiega Salvatore Badalamenti, del Dipartimento di medicina, Istituto clinico Humanitas di
Milano -. Non solo: in alcuni casi, per esempio quando si ingeriscono sostanze pericolose o corpi estranei, il
vomito svolge una vera e propria funzione di difesa, aiutando l'organismo a espellere qualcosa che può
nuocere. Diversi dal vomito sono il conato e il rigurgito. Il conato non comporta espulsione del contenuto
gastrico, perché non si apre il cardias, lo sfintere tra esofago e stomaco.
Il rigurgito è, invece, la fuoriuscita di materiale esofageo, non ancora giunto nello stomaco».
Quali sono le cause più comuni?
«Nella maggior parte dei casi il vomito è conseguenza di disturbi dell'apparato digerente, come
gastroenterite, ulcera od occlusione intestinale. Però nausea e vomito possono accompagnare anche una
crisi di emicrania o una colica renale o biliare. In questi casi sono sempre presenti sintomi che aiutano a
identificare la causa scatenante. Molte persone, poi, soffrono di nausea e vomito quando vanno in
automobile, in nave, o in aereo (mal di movimento o cinetosi). Il vomito, in particolare se accompagnato da
vertigini, può essere associato anche a disturbi del labirinto (il sistema di controllo della posizione del corpo
nello spazio situato nell'orecchio). Anche alcuni farmaci possono provocare questi fastidi, soprattutto
chemioterapici, digitale e morfina. Infine, una delle cause più comuni di nausea e vomito nelle donne è la
gravidanza, specie nel primo trimestre».
Che cosa si deve fare?
«Nella maggior parte dei casi nausea e vomito possono essere gestiti autonomamente, però se
i sintomi continuano per giorni, sono molto forti o non si riesce a trattenere nulla di ciò che si mangia o si
beve, bisogna rivolgersi al medico, soprattutto per il rischio di disidratazione. Questa complicanza può essere
molto insidiosa nei bambini, negli anziani o in chi soffre di malattie croniche».
Quali sono i rimedi?
«Dipende dalla causa. Alcuni accorgimenti però sono quasi sempre validi. Per esempio, è buona regola
introdurre i liquidi persi, bevendo acqua zuccherata a piccoli sorsi; evitare di mangiare alimenti difficili da
digerire e preferire spuntini anziché pasti abbondanti. Il ricorso a farmaci procinetici, cioè che accelerano il
transito degli alimenti, o antiemetici (antinausea) può giovare nei casi in cui i disturbi siano legati a condizioni
gastrointestinali. Nausea e vomito in gravidanza si combattono con precauzioni, come evitare di assumere
troppo liquidi alla mattina e facendo piccoli spuntini con cibi secchi».
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Foto: Salvatore Badalamenti
Foto: Istituto Clinico
Humanitas,
Milano
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Mi spieghi dottore Di che cosa è sintomo la nausea? Lo specialista
06/10/2013
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Unità dedicate con diverse specializzazioni
I Centri di medicina del sonno riconosciuti dall'Associazione Italiana Medicina del Sonno (AIMS), presieduta
dal professor Liborio Parrino, sono distinti in tre categorie. Ci sono quelli
a prevalente indirizzo cardiorespiratorio, che si occupano sostanzialmente dei disturbi respiratori nel sonno.
Ci sono poi quelli ad indirizzo neuropsichiatrico, che si occupano delle insonnie e della sindrome delle gambe
senza riposo. Infine i Centri ad indirizzo prevalentemente pediatrico e ad indirizzo otorinolaringoiatricomaxillofacciale, i primi per i bambini e i secondi dedicati
alla terapia chirurgica della sindrome delle apnee ostruttive nel sonno. Esistono anche Centri multidisciplinari
che, dietro riconoscimento di AIMS, possono trattare sia disturbi cardiorespiratori che neuropsichiatrici. In
questi Centri, i medici hanno sviluppato una serie di competenze multidisciplinari
e sono attivati percorsi e collaborazioni tra diverse discipline all'interno della struttura sanitaria locale.
La Medicina del sonno è una disciplina che interessa moltissime specialità mediche.
In alcuni Paesi europei è riconosciuta come specialità
a se stante. Ma non in Italia.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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I Centri
06/10/2013
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(diffusione:619980, tiratura:779916)
Una tecnica riservata a terapeuti che hanno molta esperienza
Paura da superare Per molti pazienti c'è voluto coraggio per affrontare i loro «alter ego»
D. D. D.
L a terapia con avatar suscita un elevato interesse un pò in tutto il mondo, considerato che circa un malato di
schizofrenia su quattro non risponde ai trattamenti farmacologici e quindi non riesce a liberarsi del tormento
delle voci che sente nella sua testa.
La ricerca realizzata dal gruppo inglese ha tuttavia anche messo in evidenza quelli che potrebbero essere i
limiti di questa nuova forma di trattamento. Ad esempio, il fatto che alcuni pazienti non ce l'hanno fatta a
sostenere l'incontro così vivido con i loro persecutori, e hanno abbandonato il trattamento. L'abbandono si è
verificato in circa il 30 per cento dei soggetti trattati, che comunque in totale sono ancora pochi, visto che si è
in una fase sperimentale. «Il rifiuto di quattro pazienti di accettare l'offerta di questa terapia, e di altri cinque di
completarne il percorso si spiegano soprattutto con la paura instillata dalle loro voci - dice Julian Leff, lo
psichiatra che ha condotto lo studio -. «Infatti si tratta spesso di voci che minacciano i pazienti che tentano di
disobbedire. Due pazienti invece sentivano voci multiple e quindi avevano difficoltà a concentrarsi sull'avatar,
dal momento che le altre voci parlavano nello stesso tempo a un volume troppo elevato». In ogni caso, per
molte di queste persone c'è stato bisogno di una buona dose di coraggio per riuscire ad affrontare i loro
avatar. «Quello che abbiamo imparato dal nostro studio è che l'avatar-terapia non è praticabile con tutti i
pazienti - dice il professor Leff -. Ma questo studio pilota fornisce la prova del fatto che si tratta di una terapia
efficace per coloro che riescono a tollerarla».
Per cercare di capire fino in fondo quanto questo nuovo trattamento possa essere davvero efficace, sicuro e
praticabile, ora si sta cercando di replicare lo studio, e anche in Italia ci si sta muovendo in tal senso. Il dottor
Angelo Fioritti, direttore del Dipartimento di salute mentale del l'Azienda Usl di Bologna, che è in contatto
diretto con il professor Leff, ha messo a punto un progetto per valutare la praticabilità dell'avatar- terapia
anche in Italia.
«I sintomi allucinatori cronici possono essere estremamente disabilitanti e causa di profonda sofferenza per i
pazienti - dice il dottor Fioritti -. Purtroppo una quota rilevante dei trattamenti farmacologici o psicologici sin
qui adottati risultano inefficaci e l'avatar-terapia è il primo metodo che sembra promettere qualcosa di
realmente nuovo. Si basa di fatto su alcune nozioni di psicopatologia classica elaborate negli anni Trenta del
secolo scorso e le utilizza attraverso nuove tecnologie informatiche di basso costo. Richiede al terapista una
grande esperienza con i pazienti psichiatrici gravi e una capacità di rappresentazione che potremmo definire
teatrale, dovendo il terapeuta assumere il ruolo del soggetto allucinato. Il Dipartimento di Salute Mentale di
Bologna e l'Università di Vienna, nella persona della professoressa Micaela Amering, si sono candidati alla
replicazione di questa sperimentazione e il professor Leff ha garantito di poter provvedere alla formazione e
alle tecnologie necessarie. Sarebbe per noi motivo di particolare soddisfazione riuscire ad offrire tra i primi al
mondo questa opportunità ai nostri pazienti più bisognosi».
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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I requisiti Per il trattamento è necessario un training specifico
06/10/2013
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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Le «voci» interne cancellate con un avatar
Ricerche precedenti avevano dimostrato che i pazienti che riescono a iniziare un dialogo con le loro voci
acquisiscono molto più controllo su di esse Il metodo Alle parole udite dal malato viene dato un volto, dietro al
quale agisce lo psichiatra
Danilo Di Diodoro
P arlare con un avatar, rappresentazione digitale di un essere umano, può aiutare le persone affette da
schizofrenia, o da altre forme di psicosi allucinatorie, a tenere sotto controllo le allucinazioni uditive. Lo indica
una ricerca di un gruppo guidato dallo psichiatra inglese Julian Leff, pubblicata sul British Journal of
Psychiatry.
Il metodo utilizzato prevede che il paziente possa contribuire alla costruzione di un volto mediante un
software simile a quelli usati dalla polizia per fare gli identikit. Il volto viene poi animato digitalmente, per
creare un avatar, che avrà anche lo stesso tono della voce che la persona sente nella sua testa.
Ma dietro quell'avatar in realtà c'è, in un'altra stanza, lo psichiatra, che interagisce con il malato attraverso il
volto e la voce del'avatar. In tal modo, lo aiuta a prendere un pò alla volta il controllo delle voci, rendendole
meno minacciose. In alcuni casi, come ha dimostrato la ricerca, si arriva addirittura alla scomparsa vera e
propria delle voci, anche se tormentavano il malato da molti anni. Spiega in proposito il professor Leff:
«Abbiamo verificato che tre dei nostri pazienti hanno smesso di sentire le voci, due di loro dopo solo un paio
di sessioni e uno dopo cinque sessioni. Si trattava di persone che sentivano le voci rispettivamente da 16, 13
e 4 anni, nonostante fossero trattate con antipsicotici. E le voci sono risultate assenti anche al controllo
effettuato dopo 3 mesi dalla fine del trattamento».
Questa terapia ha preso avvio dall'osservazione che, quando alle persone viene chiesto quale sia l'aspetto
peggiore del sentire le voci, la loro risposta è, invariabilmente, il senso di impotenza che esse generano. Dice
ancora Julian Leff: «Ricerche precedenti avevano dimostrato che i pazienti che riescono a iniziare un dialogo
con le loro voci acquisiscono molto più controllo su di esse». Si tratta di una posizione in contrasto con il
consiglio che in genere gli psichiatri danno ai loro pazienti, che è provare a ignorare le voci. Invece, è proprio
da questa osservazione recentemente emersa dalle ricerche che il gruppo del professor Leff ha sviluppato
l'idea della avatar-terapia, poi man mano perfezionata. Un aspetto importante è anche la trasformazione di
personalità che lo psichiatra fa fare all'avatar durante la terapia.
All'inizio, nell'interazione con il malato, l'avatar/psichiatra è aggressivo e minaccioso, proprio come sono le
voci che il malato sente nella sua testa, ma un pò alla volta, durante il trattamento, diventa più gentile e
supportivo. Così il malato riesce a tenergli testa e smette di esserne terrorizzato, trasferendo poi questo
atteggiamento nuovo e positivo anche nei confronti delle vere voci che sente nella sua testa.
Per ottenere questi risultati in genere sono sufficienti poche sedute. Nel corso della ricerca realizzata dal
gruppo inglese per tutti i pazienti non si è andati oltre le sei sedute, ciascuna della durata di circa mezz'ora.
La sessione è stata anche registrata e trasformata in un file MP3 che il malato poteva copiare nel suo lettore,
in modo da poterla riascoltare più volte per rinforzare il messaggio ricevuto. I risultati ottenuti sia alla fine delle
sedute settimanali, sia al controllo effettuato a tre mesi dal trattamento, sono stati considerati molto
incoraggianti. Dalle varie scale di valutazione utilizzate è emerso che i pazienti trattati con l'avatar-terapia,
rispetto al gruppo di controllo che invece ha effettuato solo le cure usualmente utilizzate, hanno manifestato
una riduzione nella frequenza e nell'intensità delle voci. Si è modificato sensibilmente anche il vissuto di
onnipotenza e di malevolenza delle voci, un aspetto che viene segnalato dai malati come uno degli elementi
di maggiore sofferenza. Al controllo a tre mesi risultava poi sensibilmente migliorato anche il tono dell'umore,
con una riduzione significativa del livello di depressione.
Ci sono diverse possibili spiegazioni dell'efficacia della avatar-terapia. «Il terapeuta - spiega il professor Leff prende le esperienze dei pazienti per buone e li assiste nel rendere concreto il loro persecutore, validando
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Psichiatria L'informatica contro le allucinazioni
06/10/2013
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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l'esperienza dei malati. Sebbene i pazienti interagiscano con l'avatar come se fosse una persona reale, dato
che è una loro creazione, sanno che non può far loro del male, al contrario delle voci, delle quali hanno
terrore. Con l'avatar possono rischiare, opporsi e dirgli energicamente di lasciarli in pace, comportamento che
non si azzarderebbero ad avere con il loro persecutore delirante».
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Tecnologia
Una strategia completamente nuova per un problema spesso difficile
Foto: Tre avatar utilizzati per la cura di persone con psicosi allucinatorie dallo psichiatra inglese Julian Leff
06/10/2013
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 61
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La rete informa sulla distrofia muscolare
Il sito www.uildm.org dell'Unione italiana lotta alla distrofia muscolare è un punto di riferimento per le persone
che soffrono di questa
o di altre malattie neuromuscolari.
In home page si trovano notizie
di attualità, sulle campagne in corso - come «Assente ingiustificato»,
per denunciare le barriere architettoniche nelle scuole - e sulle iniziative promosse dalle sedi territoriali
dell'Associazione.
Sulla destra, cliccando «Medicina e ricerca» si accede a informazioni mediche curate da esperti del settore,
raccolte in forma di schede e interviste. Particolarmente utile la sezione «Help barriere» in cui sono disponibili
le norme di riferimento sull'abbattimento delle barriere architettoniche, dove si possono segnalare le violazioni
delle leggi in vigore e si può scaricare il facsimile per la denuncia.
Nell'area «Gruppo donne UILDM», cliccando su «Approfondimenti tematici» è possibile consultare notizie e
documenti utili relativi
a ginecologia, sessualità, gravidanza
e maternità, cura e lavoro, mentre l'area «Documentazione», periodicamente aggiornata, contiene un
indirizzario di centri e gruppi che si occupano di donne con disabilità.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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www.uildm.org
07/10/2013
Corriere della Sera - Milano
Pag. 5
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Vaccinazioni al risparmio «Ma sono meno efficaci»
La denuncia di Federanziani in Commissione sanità
Simona Ravizza
In Lombardia agli over 65 saranno somministrati vaccini meno efficaci contro l'influenza per spendere meno.
È la sintesi della denuncia messa a verbale nell'ultima commissione Sanità del Pirellone. L'accusa arriva da
Federanziani, che raggruppa ben 688 associazioni lombarde: «Per il 2013-2014 Regione Lombardia ha
acquistato il 70% di vaccini antinfluenzali non adiuvati(un tipo di vaccino che utilizza pezzi di virus in
circolazione, ndr), il cui costo è inferiore del 50% rispetto agli adiuvati (destinati a stimolare maggiormente il
sistema immunitario, ndr) - dice il presidente di Federanziani, Roberto Messina -. Noi consiglieremo ai nostri
iscritti di non vaccinarsi con i non adiuvati perché sono sconsigliati dall'Organizzazione mondiale della sanità
(Oms), in quanto considerati poco efficaci».
È una questione che riguarda 2 milioni e rotti di ultra 65 enni. I timori di Federanziani sulla diffusione dei non
adiuvati trovano un riscontro nell'esito del bando di gara condotto dalla Centrale regionale acquisti (Arca). Da
qui risulta che la quantità opzionata di vaccini non adiuvati è di 860.430 dosi (a 2,90 euro a unità, ndr), contro
solo le 287.170 dosi di adiuvati e le 125.800 di intradermico: per gli ultimi due tipi di vaccinazione il costo sale
a 5,55 euro.
Numeri alla mano, dunque, non ci sono dubbi: in Lombardia gli anziani sono destinati a essere vaccinati nella
maggioranza dei casi con il non adiuvato. È un vaccino che gli esperti interpellati dal Corriere considerano
ottimo, ma un po' meno efficace per gli over 65, rispetto al fratello più costoso. Ma tutto ciò è davvero da
condannare?
Le vaccinazioni aprono un dilemma per i politici: vale la pena spendere milioni di euro in più per un vaccino
un po' più efficace, ma non poi così tanto? Il presidente della commissione Sanità, il leghista Fabio Rizzi, ha
promesso di chiedere chiarimenti. Sara Valmaggi (Pd) insiste sulla prevenzione: «I dati dimostrano che la
Lombardia non è ai primi posti. Non solo: è necessario capire nei dettagli con quali modalità Arca fa gli
acquisti. Il criterio non può essere solo il massimo ribasso». I vertici dell'assessorato alla Sanità, guidato da
Mario Mantovani (Pdl/Forza Italia), insistono: «Attenzione a non cadere nelle dispute tra le big pharma. Per il
ministero della Salute i due vaccini sono sullo stesso piano. Saranno le Asl a scegliere». Una cosa è certa:
l'alternativa sarà tra l'offerta del vaccino migliore sul mercato o il contenimento della spesa.
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70%
Foto: La quota di vaccini antinfluenzali «non adiuvati» acquistati dalla Regione Lombardia per l'anno 2013-14,
secondo Federanziani
52%
Foto: La fetta della popolazione lombarda che l'anno scorso è ricorsa alla vaccinazione antinfluenzale contro
il 75% del target Oms
Foto: Lega Fabio Rizzi
Foto: Pd Sara Valmaggi
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Influenza Polemica in Regione. Rizzi: chiederemo chiarimenti. Valmaggi: puntare di più sulla prevenzione
07/10/2013
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 29
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Foto choc sui pacchetti di sigarette, la battaglia in Europa
Le aziende italiane: «A rischio tutta la filiera industriale» Le altre obiezioni «La riduzione sulle confezioni dello
spazio destinato ai marchi facilita il contrabbando»
Margherita De Bac
ROMA - Una dentatura annerita e scomposta. Un uomo attaccato al respiratore. Polmoni invasi da una
massa scura, fotografati da una Tac. Immagini terrificanti che vedremo presto comparire sui pacchetti delle
sigarette e che già alcuni Paesi europei hanno autonomamente cominciato ad adottare come forma estrema
di dissuasione dal fumo con l'obiettivo di spaventare il consumatore e indurlo a dire basta.
La novità è prevista da una direttiva comunitaria, che dovrebbe essere votata domani, che a dieci anni
dall'introduzione delle scritte di allarme (il fumo uccide, il fumo fa venire il cancro, ecc.) potrebbe rivoluzionare
di nuovo il cosiddetto packaging dei prodotti acquistati in Italia da circa un milione e duecentomila persone.
La proposta se approvata dagli Stati membri, e su questo c'è molta battaglia, obbligherà le aziende
multinazionali a cambiare entro una certa scadenza i pacchetti che dovranno essere occupati per il 75 per
cento da questi crittogrammi col risultato che il marchio sarà ridotto a uno spazio minimale. L'obiettivo è
quello di uniformare l'offerta e di dare la priorità a figure che dovrebbero allontanare i clienti.
La direttiva preoccupa il settore manifatturiero che sta cercando di sensibilizzare il mondo politico a livello
italiano ed europeo per cambiare l'orientamento. In una lettera indirizzata agli eurodeputati vengono
denunciate le conseguenze di un'azione così decisa. Si parla di «impatti fortemente negativi che alcune
specifiche misure contenute nel provvedimento potrebbero determinare. In Italia l'industria del tabacco vede
coinvolti oltre 200 mila operatori e addetti lungo la filiera, dalla produzione agricola al commercio». La lettera
è firmata da tutte le sigle più rappresentative del settore: Unindustria, i tabaccai della Fit, le aziende agricole
riunite in Ont Italia e Unitab e il segmento della trasformazione rappresentato da Apti. Viene richiesto un
ripensamento non solo sulle immagini choc, ma anche su altre iniziative a cominciare ad esempio dalla
limitazione di certi ingredienti aromatici.
Gennaro Masiello, presidente dell'Organizzazione nazionale tabacco Italia e di Coldiretti Campania, è
allarmato per alcune ripercussioni negative sull'occupazione e sull'effetto boomerang in altri settori: «Le
imprese manifatturiere perderebbero l'interesse alla qualità e perderebbero di vista l'innovazione. Il pacchetto
generico, di basso costo richiede minori investimenti da ogni punto di vista. Oltretutto la mancanza di marchi
o la loro invisibilità incentiva il contrabbando e facilita la vendita di sigarette al mercato nero molto pericolose.
Per quanto riguarda gli ingredienti sono una caratteristica del tabacco italiano contenuti naturalmente dalla
foglia e reintrodotti dopo la fase dell'essicazione».
In Australia i pacchetti choc sono già in commercio e hanno dovuto superare la prevedibile ostilità delle
multinazionali. Oltretutto in quel Paese il governo ha imposto misure ben più drastiche imponendo che le
raffigurazioni di malati di cancro campeggiassero su tutti i lati escludendo dunque lo spazio per i marchi e
indicando un unico colore per uniformare le confezioni. Il verde chiaro. Ma sul piano della dissuasione del
consumatore iniziative del genere basate sul terrorismo possono avere efficacia? Quando si trattò di
verificare l'effetto delle scritte che informavano esplicitamente sui rischi legati al fumo, l'Istituto Superiore di
Sanità commissionò un'indagine alla Doxa. Risultò che all'inizio molte persone rinunciarono ai pacchetti,
spaventate, per poi tornare col tempo all'antico vizio. Dunque una reazione istintiva destinata a non
perdurare. Furono i bambini la spinta per tanti genitori a smettere. Bimbi che leggevano le scritte e
supplicavano mamma e papà di non fumare più. Per quanto riguarda l'Italia stanno cominciando a comparire
in tabaccheria nuovi pacchetti col numero verde dell'Istituto superiore di Sanità: 800.554088.
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Tabacco Domani il voto sulle nuove norme antifumo che cambieranno l'aspetto delle confezioni. Limitato
anche l'uso di alcuni ingredienti aromatici
07/10/2013
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 29
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Le misure
La votazione
Domani a Strasburgo il Parlamento europeo voterà sull'entrata in vigore o meno della nuova direttiva
comunitaria antifumo
L'aspetto
Se verrà approvata la direttiva, i pacchetti di sigarette dovranno essere occupati al 75% da immagini e scritte
volte a illustrare i rischi del fumo per la salute. Ridotto quindi lo spazio occupato dai marchi (nella foto , il
pacchetto presentato dal governo Usa)
Gli aromi
La direttiva limita anche l'uso di alcuni ingredienti aromatici nelle sigarette. Ad essere eliminati saranno tutti gli
aromi che potrebbero aumentare tossicità e dipendenza, come ad esempio il mentolo
05/10/2013
Il Sole 24 Ore
Pag. 22
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Pressing sulla direttiva antifumo
BRACCIO DI FERRO Industria, produttori e tabaccai chiedono di modificare il testo che prevede immagini
shock e divieto degli ingredienti
Ernesto Diffidenti
La filiera del tabacco made in Italy fa pressing sugli eurodeputati in vista del voto, previsto l'8 ottobre, sulla
nuova direttiva Ue che prevede, tra l'altro, immagini shock sul 75% dei pacchetti di sigarette, il divieto di
vendita delle confezioni slim e dell'uso di alcuni ingredienti come il mentolo. Un cocktail di misure che rischia
di mettere al tappeto un settore che ancora garantisce lavoro a migliaia di addetti anche nelle zone più
svantaggiate del paese. Così i presidenti di Unindustria, Maurizio Stirpe, dei tabaccai (Fit), Giovanni Risso,
dei produttori agricoli di Ont-Italia e Unitab, Gennaro Masiello e Oriano Gioglio, nonché dell'industria di prima
trasformazione (Apti), Domenico Cardinali, hanno preso carta e penna per cercare di convincere gli
eurodeputati a modificare la direttiva.
«In più occasioni - si legge nella lettera - abbiamo espresso forti preoccupazioni per gli impatti fortemente
negativi che alcune specifiche misure contenute nella proposta legislativa potrebbero determinare sul settore.
Nel nostro Paese, l'industria del tabacco vede coinvolti oltre 200mila operatori e addetti lungo una filiera che
va dalla produzione agricola, dove l'Italia è leader assoluto nella Ue, al commercio al dettaglio».
Secondo le organizzazioni la salute dei cittadini è il bene primario da tutelare. «Tuttavia - continuano - la
nuova direttiva non affronta i temi chiave della prevenzione e della dissuasione dal fumo, rischiando di
alimentare il contrabbando, già in crescita in Italia, e conseguentemente i rischi per i consumatori derivanti da
un prodotto meno controllato». Inevitabili, sostengono, gli effetti «sulla disoccupazione e le entrate fiscali».
Il testo della direttiva è stato approvato prima dalla Commissione Ue e poi dal Consiglio dei ministri della
Salute a fine giugno. In quella sede un ruolo di primo piano fu ricoperto da Beatrice Lorenzin che lavorò per
abbassare dal 75 al 65% lo spazio delle immagini shock sui pacchetti di sigarette. «Dal suo lavoro - spiegano
industriali, produttori e tabaccai - è uscita una riforma più condivisibile». Ma restano le perplessità, e ora
tocca al Parlamento esprimersi sulla riforma. Poi sarà il trilogo (Commissione, Consiglio e Parlamento Ue) a
fare la sintesi.
La filiera resta in allerta. Anche perché da Bruxelles è già arrivata un'altra tegola. La Pac uscita dagli accordi
tra le istituzioni europee ha escluso il tabacco dalle colture ammesse a beneficiare, a partire dal 2015, di
quell'aiuto accoppiato che fino ad oggi ha contribuito alla sua sostenibilità economica mentre sullo sfondo
resta l'obiettivo della convergenza dei premi con gli altri settori che dimezzerebbe gli assegni dei
tabacchicoltori. Per questo il responsabile delle Politiche agricole, Nunzia De Girolamo, ha insediato una task
force al ministero con l'obiettivo di trovare le contrimisure alle nuove e penalizzanti regole.
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Tabacco. Appello della filiera in vista del voto dell'Europarlamento
07/10/2013
Il Sole 24 Ore
Pag. 26
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Le performance ricostituenti dell'omeopatia
UN PESO INSOSTENIBILE In Italia il business dei produttori di rimedi non tradizionali è messo a rischio da
una super-tassa
Hanno molti detrattori, ma certamente le medicine naturali (in particolare omeopatiche e antroposofiche)
rappresentano una nicchia interessante nel farmaceutico. Solo in Italia sarebbero oltre 11 milioni i pazienti
che le usano, sporadicamente o in modo regolare. In Europa gli utilizzatori sono almeno 100 milioni,
soprattutto in Francia, Germania e Svizzera.
Questo si riflette anche nella performance dei (pochi) produttori quotati. La francese Boiron, per esempio,
oggi vale circa 48 euro per azione, l'85% in più rispetto a inizio anno (contro il +5% dell'indice Cac Pharma).
La svizzera Weleda, che produce rimedi antroposofici ed è scambiata al mercato informale di Berna, da
gennaio è più che raddoppiata (da 450 a 1.075 franchi per azione), mentre lo Swiss index Healthcare è
cresciuto del 30 per cento.
In Italia le piccole e medie imprese produttrici di farmaci omeopatici sono circa una trentina, a conduzione
familiare e con i conti in ordine (assieme fatturano circa 160 milioni di euro all'anno e danno lavoro a 1.200
professionalità). Alcune, in linea teorica, sono anche nelle condizioni di essere quotate in Borsa, perché
vantano bilanci in ordine e sono brand conosciuti nel mondo.
Oggi però c'è una "super-tassa" che pesa sull'industria dei medicinali alternativi: i costi chiesti dall'Agenzia
italiana del farmaco per la registrazione dei rimedi naturali, suggerita dalla Ue e fatta propria dall'Italia, che
sarà obbligatoria per la commercializzazione dal gennaio 2016.
I primi dossier dovranno essere inviati all'Aifa da parte delle aziende entro fine ottobre, ma quello che
preoccupa sono i costi. Secondo Omeoimprese, l'Autorizzazione per l'immissione al commercio (Aic) costerà
3mila euro per ogni farmaco, più 200 euro annui per il mantenimento dell'iscrizione. «Nel resto d'Europa afferma Fausto Panni, presidente di Omeoimprese - le tariffe sono decisamente più basse e le regole più
semplici. In Germania, per esempio, ai prodotti venduti per meno di mille pezzi all'anno basta solo una
notifica all'autorità, non un dossier. I rimedi naturali in vendita in Italia sono circa 25mila, quindi solo per la
registrazione le imprese dovranno pagare 75 milioni».
Una cifra pari quasi alla metà del fatturato complessivo annuo: considerando che l'altra metà va in tasse, è
presumibile che molte imprese si troveranno in difficoltà. «Anche perché - conclude Panni - l'Aifa vorrebbe
rendere obbligatoria la ricetta medica anche per l'acquisto degli omeopatici».
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Medicine alternative. Aumentano i consumi
05/10/2013
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 22
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Farmaci taroccati, l'Aifa chiude la Geymonat
ROMA - L'Aifa, l'agenzia italiana del farmaco, ha sospeso ieri l'autorizzazione alla Geymonat spa alla
produzione di medicinali nell'officina di Anagni. All'origine della decisione ci sarebbe un difetto nella
composizione dell'ozopulmin, medicinale per la tosse che sarebbe risultato contraffatto nella visita dell'Aifa e
del Nas di Latina alla ditta di Anagni dello scorso 4 settembre. Secondo gli esiti dell'indagine, nella
produzione del farmaco non erano state rispettate le norme di "Buona fabbricazione": la quantità di principio
attivo in esso contenuto sarebbe stata inferiore rispetto a quella approvata e indicata in etichetta. I prodotti
sono stati ritirati dal mercato nazionale a scopo cautelativo già dal 19 settembre scorso come ha annunciato
la Geymonat stessa. La ditta potrà riprendere la sua attività solo quando verrà verificata la conformità del
processo produttivo.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Il caso
05/10/2013
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 23
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Bologna, muore in ospedale donna incinta aveva appena fatto
un'amniocentesi
ROSARIO DI RAIMONDO LUIGI SPEZIA BOLOGNA È morta a 33 anni in un letto d'ospedale, dopo aver perso il figlio che portava in grembo da cinque mesi. Una
gravidanza apparentemente normale ma finita in tragedia al policlinico Sant'Orsola di Bologna, dove ieri
mattina i medici si sono arresi al decesso di Florentina Mirela Cauc, stroncata da un'infezione dalle cause
ancora sconosciute. Adesso la procura, che ha aperto un'inchiesta per omicidio e aborto colposo, vuole
capire se è stata provocata dall'amniocentesi a cui la donna si era sottoposta due giorni prima.
E l'assessore alla Sanità Carlo Lusenti parla di un «fatto molto grave da chiarire al più presto».
Mirela è arrivata al Sant'Orsola, uno degli ospedali d'eccellenza della sanità bolognese, mercoledì per
sottoporsi a quell'esame dopo aver scoperto che il feto aveva delle gravi malformazioni. Il giorno stesso è
tornata a casa con la prescrizione di prendere degli antibiotici. Ma la sera dopo, giovedì, ha avuto delle forti
contrazioni addominali ed è stata portata con urgenza al pronto soccorso. «Alle 22 ci hanno detto che il cuore
del bimbo non batteva più», si dispera il marito di Mirela, George, che è stato al fianco della donna per tutta la
notte.
Come da protocollo, è scattata subito la procedura per l'induzione del parto, durata diverse ore. Ma venerdì
mattina le condizioni di Mirela si sono aggravate a causa dell'infezione che si è sviluppata in diverse parti del
corpo ed è stata necessaria un'operazione chirurgica. Dopo l'intervento, la donna è peggiorata sempre di più
e il suo cuore si è fermato diverse volte. Fino alla morte, alle 11 del mattino.
Adesso di Mirela resta una foto della carta d'identità che il marito mostra distrutto dal dolore. Entrambi di
origine rumena, sono arrivati in Italia nel 2007 e vivevano assieme al figlio di 9 anni in un condominio alla
periferia di Bologna. Lui fa il camionista per un padroncino che lavora per le Poste, lei si arrangiava con dei
lavoretti saltuari.
«Non accuso nessuno, non sono un medico e non posso dire se qualcuno ha sbagliato - dice adesso
George - Ma voglio sapere perché i medici non hanno deciso di operarla prima. Perché fino a quel momento
era andato tutto bene».
Ieri la polizia ha identificato tutti i sanitari - medici, infermieri e ostetriche - che hanno visitato la donna dal
momento dell'amniocentesi all'intervento di venerdì mattina. La settimana prossima sarà eseguita l'autopsia e
l'inchiesta della procura punterà i fari proprio su quell'infezione misteriosa.
Foto: SANT'ORSOLA L'ospedale Sant'Orsola di Bologna, dove è morta la donna di 33 anni al quinto mese di
gravidanza
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Il caso Trentatrè anni, era alla 21esima settimana. Il feto sembrava malformato, l'analisi serviva ad ulteriori
accertamenti
05/10/2013
La Repubblica - Roma
Pag. 11
(diffusione:556325, tiratura:710716)
I sindacati: "Lasciati per giorni in piccole stanze". La direzione: situazione grave ma non drammatica Al pronto
soccorso c'è spazio solo per 16 posti Esposto del Codici in procura
GIULIA CARRARINI
UNA settantina di pazienti per appena 16 posti letto.
Barelle lungo i corridoi, cartelle cliniche incustodite, carrelli con i medicinali lasciati dove capita. «Dal giorno
della sua inaugurazione il pronto soccorso di Tor Vergata non ha mai funzionato. Ma ora la situazione è
davvero critica». La denuncia arriva dalle Rsu che chiedono l'intervento della Regionee un'ispezione del Nas:
«A rischio c'è la salute sia dei pazienti che del personale». «La situazione è difficile ma non così
drammatica», replica immediatamente Isabella Mastrobuono, direttore sanitario del policlinico.
A descrivere il disagio basterebbero i numeri: «Nelle due stanze da due letti, sono ricoverati dieci pazienti racconta un sindacalista - cinque per stanza. Nelle camere da quattro letti, le persone sono 15: sei barelle per
lato, altre tre al centro». Alle cifre, però, si aggiungono anche altri dettagli: lettini tra le porte tagliafuoco,
attese lunghissime e servizi igienici insufficienti. Secondo la denuncia dei sindacati, non importa quanto sia
grave la persona che si reca in ospedale, se debba restare semplicemente in osservazione o essere
ricoverata: lo spazio è per tutti lo stesso e per i paraventi non c'è posto.
Anche le condizioni igieniche ne risentono. «Spesso c'è un solo lavandino, da condividere in molti. Il cibo
viene distribuito come si può: capita così che venga lasciato per terra o direttamente sulle ginocchia dei
pazienti - spiegano i rappresentanti delle Rsu - Gli infermieri sono costretti a preparare i farmaci lungo il
corridoio. Quanto all'affollamento, il picco si raggiunge durante gli orari di visita: nel piccolo spazio del pronto
soccorso si ritrovano d'un tratto anche 150 persone».
Una situazione che ha convito l'associazione Codici a presentare un esposto alla procura "per abbandono di
incapaci".
Mastrobuono, però, si difende: «Il sovraffollamento dipende dal fatto che, come in tutti gli ospedali laziali,
abbiamo meno posti letto di quanti ci spetterebbero.
Quello dei pazienti ricoverati in barella, poi, è un problema antico». L'area di Tor Vergata, la Asl RmB, è
quella con il minor numero di posti letto di tutto il Lazio: 1,8 per mille abitanti. «Ciò determina una pressione
fortissima sui pronti soccorsi del territorio, sul nostro ospedale, sul policlinico Casilino e sul Pertini - spiega
ancora il direttore sanitario - A questo si aggiunge una migrazione di pazienti anche dai Castelli. Ecco perché
siamo in difficoltà. Noi, però, cerchiamo sempre di fare il massimo».
La scheda I POSTI LETTO Il reparto per i pazienti in attesa di ricovero ospita circa 70 persone, con picchi di
90: la sua capienza è però di 16 posti letto I PASTI Il personale è scarso e gli spazi non sono sufficienti: i
pasti vengono serviti sul pavimento o sulle ginocchia dei pazienti I SERVIZI IGIENICI Non ci sono bagni per
tutti i pazienti Degenti e personale condividono gli stessi servizi Un solo lavandino per molte persone GLI
INFERMIERI Il personale è costretto a preparare i farmaci lungo i corridoi dove vengono lasciate anche
schede e cartelle cliniche
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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"Tor Vergata, 70 pazienti abbandonati sulle barelle"
05/10/2013
La Repubblica - Bologna
Pag. 4
(diffusione:556325, tiratura:710716)
La donna, 33 anni, si era sottoposta a un'amniocentesi. Inchiesta per omicidio colposo S'indaga su una
infezione dopo il test. Lusenti: "Fatto molto grave, capire la dinamica"
ROSARIO DI RAIMONDO
È MORTA in un letto d'ospedale a 33 anni, a seguito di un intervento dal quale non si è più ripresa, dopo aver
perso il figlio di soli cinque mesi che portava in grembo.
Alle undici di ieri mattina, i medici del Sant'Orsola si sono arresi al decesso di Mirela Florentina Cauc,
rumena, madre di un bambino di nove anni.
A poco sono serviti gli ultimi disperati tentativi di salvarla: la salma di Mirela è stata portata nel pomeriggio
all'obitorio della Certosa, dove la settimana prossima si farà l'autopsia, mentre la procura di Bologna ha
aperto un'inchiesta per omicidio colposo e aborto colposo, anche se questo secondo reato è solo formale. E
vuole vederci chiaro anche la Regione: «È un fatto molto grave» dice l'assessore alla Sanità Carlo Lusenti,
che assicura di aver già avviato le procedure necessarie per capire «la sequenza degli eventi».
Da una prima ricostruzione dei fatti, sarebbe stata fatale un'infezione che ha colpito la donna, che era alla
ventunesima settimana di gravidanza. Mirela era andata in ospedale mercoledì per sottoporsi a
un'amniocentesi, visto che una ecografia nei giorni precedenti aveva evidenziato una «grave malformazione»
del figlio che aspettava. L'esame, specifica il policlinico, «è stato accompagnato da una profilassi antibiotica».
Giovedì sera, la donna era a casa quando ha avuto «forti dolori addominali» ed è stata riportata al pronto
soccorso ostetrico. Secondo fonti cliniche, alle 22 è stata confermata la morte del feto.
Per Mirela è stato necessario indurre il parto, come da protocollo in caso di infezione materna.
L'induzione, che dura alcune ore, non è riuscita perché durante la notte c'è stata un'accelerazione
dell'infezione talmente forte da rendere necessario un «intervento d'urgenza», effettuato tra le 6 e le 7 del
mattino dopo.
Ma, finita l'operazione, la donna era «in condizioni molto critiche» e, dopo diversi arresti cardiaci, è morta ieri
mattina alle undici.
La direzione del Sant'Orsola ha segnalato il caso alla procura.
L'inchiesta è stata affidata ai pm Manuela Cavallo e Augusto Borghini, magistrato di turno nel pool che si
occupa delle cosiddette "fasce deboli". Tra lunedì e martedì sarà disposta l'autopsia della salma.
Sarà da valutare, adesso, la relazione di causa ed effetto tra le misure mediche prima e chirurgiche poi e la
morte della donna.
Al centro dell'indagine ci sarà sicuramente da verificare la natura dell'infezione che ha colpito Mirela, in
particolare se è una conseguenza diretta e non voluta dell'amniocentesi oppure se è stata contratta giovedì,
al pronto soccorso. Ieri la polizia è andata al policlinico e ha identificato tutti i sanitari- medici, ostetriche,
infermieri - che hanno preso parte a tutte le operazioni cliniche sulla donna. Sia l'équipe che ha svolto gli
esami e l'amniocentesi mercoledì, sia quella che ieri l'ha seguita e operata tra giovedì sera e venerdì mattina,
quando Mirela è morta lasciando il marito, camionista, e un figlio di 9 anni.
Le tappe
L'ESAME Mercoledì Mirela, 33 anni, al quinto mese di gravidanza, si sottopone ad un'amniocentesi al
Policlinico perché il feto ha delle malformazioni I DOLORI Giovedì sera la donna viene portata d'urgenza al
pronto soccorso ostetrico del Sant'Orsola: accusa forti dolori addominali LA MORTE Il feto che Mirela porta in
grembo muore giovedì sera.
Intorno alle 7 di venerdì mattina la donna viene operata ma non sopravvive L'INCHIESTA La procura apre
un'inchiesta per omicidio e aborto colposo. La settimana prossima ci sarà l'autopsia, la polizia ha ascoltato i
sanitari coinvolti
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Perde il bimbo al quinto mese e muore al S. Orsola
05/10/2013
La Repubblica - Bologna
Pag. 4
(diffusione:556325, tiratura:710716)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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PER SAPERNE DI PIÙ www.aosp.bo.it www.poliziadistato.it
Foto: DRAMMA AL POLICLINICO L'ingresso di ostetricia e ginecologia al S.Orsola, dove ieri è morta una
donna di 33 anni
06/10/2013
La Repubblica - Napoli
Pag. 7
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Salute mentale, lite tra manager senza casa 2300 disagiati psichici
GIUSEPPE DEL BELLO
SALUTE mentale, dal Molosiglio a via Croce Rossa. Storia di un trasferimento che scatena una guerra tra
manager e rischia di finire in tribunale. E con 2300 pazienti privati del loro storico punto di riferimento
assistenziale. La vicenda inizia sabato 29 settembre, quando dal poliambulatorio del distretto 24 della Asl
Napoli 1 di via Acton partono furgoni e auto pieni di scatoloni e suppellettili. Direzione, Riviera di Chiaia. Lì, in
un vicolo (via Croce Rossa, appunto) che si inerpica fino a via Pontano e via Crispi, ci sono la direzione
generale e la sede amministrativa dell'azienda Santobono-Pausilipon e, anche, ospitati, vari uffici della Asl.
L'edificio in questione è l'ex ospedale Ravaschieri fondato da Teresa Filangieri nel 1880 e destinato ai
bambini: da anni e dopo vari passaggi, è di proprietà del polo pediatrico. Quest'ultimo oggi rivendica i locali
indebitamente occupati senza preavviso. Ma a contestare il trasferimento non è soltanto Annamaria
Minicucci, il direttore generale del Santobono che ha già fatto partire una prima diffida al collega Ernesto
Esposito della Napoli 1, ma anche psichiatri, infermieri e, soprattutto, pazienti, familiari e le associazioni.
«C'è il rischio di essere fraintesi, non mi sto rifiutando di collaborare, ci mancherebbe», esordisce la manager
Minicucci, «ma sarebbe stato opportuno concordare una scelta. E questo non è accaduto. Gli ambienti, che
tra l'altro sono del Santobono, non possono essere adibiti all'assistenza. Ancor di più se si tratta di disagiati
psichici che arrivano da altri territori. Questi locali sono etichettati come A4, cioè utilizzabili per civili abitazioni
e uffici, e non ad uso sanitario. E poi, se lo fossero stati, li avremmo utilizzati per gli ambulatori del
Santobono, sempre a corto di spazi».
A rendere poco adatta la sede è anche il percorso accidentato che conduce alla struttura. «Nel vicolo ci
passa a stento una macchina alla volta e l'accesso è in una curva ad U», osserva uno specialista, «mentre
manca il marciapiede e nell'androne non c'è posto per parcheggiare: anche l'ambulanza ci arriva a fatica. Il
distretto del Molosiglio accoglieva pazienti di Chiaia, Posillipo e San Ferdinando, ma anche quelli
dell'hinterlande di Capri che è di nostra pertinenza.
Ora, molti di questi soggetti dovranno rivolgersi altrove». Il trasloco, tra l'altro, è conseguenza dello sfratto
intimato alla Asl che per la sede del Molosiglio (dove erano allocati vari ambulatori) pagava circa 18 mila euro
al mese. Adesso, mentre gli altri sono già stati smistati tra le sedi del corso Vittorio e del Chiatamone, rimane
solo la Salute mentale.
«Questa fa parte dei Lea (livelli minimi assistenziali)», aggiunge un operatore, «perché non trasferiscono le
branche che hanno sede nell'ex ospedale Loreto Crispi e che non rappresentano servizi essenziali da
garantire per legge? Lì, nel presidio intermedio gli spazi idonei per la Salute mentale ci sarebbero». Ma le
proteste non sono servite. Di fatto gli psichiatri si sono trasferiti, ma i locali sono ancora pieni di masserizie e
faldoni accatastati ovunque che impediscono un servizio ottimale di diagnosi e cura. «Siamo in macchina,
perché dentro c'è bisogno di spazio per continuare a lavorare. E, per ora, questoè il nostro ufficio» ironizzano
dalla Panda di servizio un medico e un infermiere.
Tre giorni fa, dalla Asl 1 è stata mandata una squadra di operai per mettere a norma i locali, ma la direzione
del Santobono l'ha bloccata perché all'oscuro dell'intervento programmato.
«Nessuno ci ha interpellato e la Napoli 1 non ha neanche risposto, mentre hanno continuato a lavorare con
atteggiamento sprezzante», conclude la Minicucci, «se entro domani, non si fanno sentire, farò partire una
seconda diffida per poi adire le vie legali. In via Croce Rossa è sempre stata scartata l'ipotesi di fare
assistenza, proprio per l'impossibilità a garantire accesso, accoglienza e percorso viario idoneo». ©
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Foto: DIRETTORE GENERALE Annamaria Minicucci A sinistra un locale di via Croce Rossa
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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La sanità I pazienti sono stati trasferiti dal Molosiglio in via Croce Rossa e privati di un valido punto di
riferimento
06/10/2013
La Repubblica - Bologna
Pag. 5
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Un'infezione massiccia mai vista una cosa simile in trent'anni di
ospedale"
Gli antibiotici L'uso sconsiderato di antibiotici pone un problema di assuefazione dell'organismo La statistica È
più facile che una infezione materna a parità di cure capiti a donne che arrivano da altre parti del mondo
LUIGI SPEZIA
«EVENTO più unico che eccezionale». Gianluigi Pilu, docente di Ostetricia e Ginecologia all'Alma Mater,
medico nella clinica ostetrica del Sant'Orsola definisce così il caso di Mirella Florentina Cauc. L'infezione
materna che ha ucciso la donna romena di 33 anni può essere stata causata dall'amniocentesi? "È difficile. Al
Sant'Orsola eseguiamo amniocentesi e prelievi di villi coriali, procedure molto comuni, da quasi quarant'anni.
Se ne fanno circa 2000 l'anno e pur esistendo un certo rischio per un feto, con possibile aborto,
complicazioni sulla madre non se ne vedono praticamente mai. In centinaia di migliaia di casi in letteratura e
nella nostra esperienza non ci sono madri che hanno rischiato la vita. Del resto è difficile pensare che un ago
sottile come un capello possa aver determinato un infezione così massiccia da provocare la morte in sole 48
ore».
E dunque quale potrebbe essere l'origine dell'infezione? «Non conosco direttamente il caso, ma sembra che
non rimanga da ipotizzare altro se non che la donna fosse già portarice di una infezione, come ci capita di
riscontrare in molti casi di pazienti sottoposte ad amniocentesi. Una infezione severa anche se non dava
sintomi».
Perché secondo lei la donna è morta in un tempo così rapido? «Mi limito a fare due considerazioni. La prima,
purtroppo motivo di grande preoccupazione, è che molti studi dimostrano come l'uso sconsiderato degli
antibiotici ponga il problema della assuefazione dell'organismo e della capacità di resistere a infezioni gravi.
Ne facciamo i conti tutti i giorni nella pratica e come si sa antibiotici nuovi non ce ne sono».
La seconda? «C'è un filo comune che riguarda molti casi. La maggior parte degli eventi avversi nelle
gravidanze riguardano donne straniere. È più facile che una infezione materna, a parità di cure, capiti a
donne che provengono da altre parti del mondo. Ciò dipende da come una donna ha vissuto da bambina, con
cure e alimentazione magari carenti che condizionano il futuro. Il parto rappresenta una prova da sforzo e se
ci sono state carenze possono emergere in questo momento.
Queste donne sono più sensibili.
Una realtà nota da molti anni negli Stati Uniti che ora si comincia a porre anche da noi» E che cosa si può
fare? «Ci si pone il problema, ma non c'è molto da fare dal punto di vista preventivo».
Il marito della signora chiede come mai non si sia tentato subito il parto cesareo.
«Un taglio cesareo al quinto mese di gravidanza non farebbe altro che spandere i batteri ancora di più. Si
procede quindi con il parto indotto, che in genere si risolve in poche ore per questo tipo di pazienti. Ma qui la
situazione pare essere precipitata di colpo.
L'infezione è esplosa e a quel punto temo non si potesse fare più nulla. A me in trent'anni non è mai capitato.
Le morti materne succedono, anche se rare, ma non in questo modo così devastante»
Policlinico nella bufera Quattro medici nel mirino dei pm dopo la morte di Mirela Cauc, la donna di 33 anni
al quinto mese di gravidanza deceduta al venerdì mattina dopo un intervento PER SAPERNE DI PIÙ
www.procurageneralebologna.it www.aosp.bo.it
Foto: IL PROFESSORE Gianluigi Pilu, luminare della diagnostica prenatale del Sant'Orsola
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
L'intervista Parla il professor Pilu, esperto di diagnostica neonatale
06/10/2013
La Repubblica - Firenze
Pag. 7
(diffusione:556325, tiratura:710716)
L'oasi che sconfigge la solitudine dei bambini Nel 2013 accolti a Limestre da svariati Paesi 1.163 ragazzi dai
6 ai 17 anni Napolitano ha nominato Cavaliere il fondatore Enzo Manes
ILARIA CIUTI
GIULIA ha una voce piccola e commossa ma il sapere di una vita. Invece ha 15 anni, a sette aveva la
leucemia, ha passato l'infanzia tra gli ospedali e lo racconta come gli altri ragazzi parlano di un' infanzia
spesa tra i giochi a nascondino, Ora che ne è fuori, e «sarò grata per sempre a mio fratello Luca che mi ha
donato il midollo», sogna di diventare medico «per restituire agli altri quello che è stato dato a me». Giulia ha
conosciuto l'emarginazione della malattia: «Ti considerano diversa, ma io volevo essere me stessa e giravo
pelata e con la mascherina. Ero quella che ero». Che diversa non lo era e che poteva essere spensierata e
senza paura lo ha capito in una vacanza che non avrebbe mai creduto di potere fare, sulla montagna
pistoiese a Limestre, nell'oasi di 900 metri quadri affiliata al Wwf che la Kme ha messo a disposizione del
Dynamo Camp: il primo campo italiano di terapia ricreativa, fondato nel 2007, sull'onda dei SeriousFun
Children's Network di Paul Newman, da Enzo Manes, presidente di Intek Group spa, la holding cui appartiene
Kme e nominato lo scorso maggio da Napolitano cavaliere al merito del lavoro per la sua attività sociale e
filantropica. Cresciuto negli anni, il Camp, attraverso lo straordinario impegno del consigliere delegato Serena
Porcari, di uno staff che ora è di 54 persone fisse, 20 medici, 25 infermieri e 620 volontari. Dynamo accoglie,
per un periodo di vacanze uguali a quelle dei comuni campi per ragazzi, bambini dai 6 ai 17 anni con
patologie gravi e croniche, dal cancro alle malattie neurologiche di ogni tipo. Dai 60 del 2007, sono diventati
1.163 nel 2013, non solo italiani, ma anche da Germania, Bielorussia, Grecia, Serbia, Lettonia, Iraq,
Giordania, Emirati Arabi, Marocco. Ci sono anche le sessioni dedicate a genitori, sorelle e fratelli. Il tutto
autofinanziandosi quasi completamente (aiutano banche, imprese, privati), tranne il contributo di Regione e
Provincia pistoiese. I numeri e le iniziative le ha presentate ieri Manes al pubblico, tra cui anche il sindaco
Renzi che in primavera aveva premiato il progetto con il Fiorino d'oro. «In Italia è anche possibile realizzare
progetti con buone idee e capacità di lavorare insieme. Basta andare oltre il proprio dovere, avere sogni e
perseguirli con atti concreti», conclude.
Oggi, dalle 11 alle 18,30 è il consueto Open Day. Cancelli aperti a tutti per una giornata di visita, festa e
esperienze. Non solo campestri, ma anche nella galleria dell'Art Factory dove i ragazzini creano insieme a
artisti contemporanei come, quest'anno, Paola Pezzi, Erika Trojer, Nicola di Caprio, Fausto Gilberti, Vanni
Coughi, Giovanno Ozzola, Velasco Vitali. Nei locali di Radio Dynamo dove fanno radio o nei Dynamo Studios
dove imparano a fare foto, corti e video insieme ai veri registi. Fuori nei campie dentro, nei locali attrezzati
dall'architetto Elio Di Franco, gli stessi ragazzi che gli ospedali, le cure, le comprensibili paure dei genitori
rendono solitarie incerti scoprono di essere identici a tutti i loro coetanei. Con la stessa possibilità di divertirsi
e di scatenarsi nei giochi, le arrampicate, le passeggiate a cavallo, persino i campeggi e i balli dopo cena.
Quelli in piedi e quelli in carrozzina, quelli che fanno gli attori nel teatro del Camp e gli altri che lavorano dietro
le quinte. Ma tutti in ballo e senza più paura.
I punti L'INPUT DI PAUL NEWMAN Dynamo Camp fu fondato nel 2007, ispirandosi ai SeriousFun Children's
Network del celebre attore I GIOVANI OSPITI Dynamo accoglie bambini dai 6 ai 17 anni con patologie gravi e
croniche, dal cancro alle malattie neurologiche CANCELLI APERTI Oggi, dalle 11 alle 18,30 è il consueto
Open Day. Porte aperte a tutti per un giorno di visita, festa e esperienze PER SAPERNE DI PIÙ
www.dynamocamp.org
Foto: DA TUTTO IL MONDO In questi anni Dynamo Camp ha accolto bimbi da molti Paesi
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Ammalati ma felici oggi l'Open Day del Dynamo Camp
06/10/2013
La Repubblica - Torino
Pag. 8
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Inchiesta di Guariniello. Del Favero: "Mancano le risorse"
OTTAVIA GIUSTETTI
IL PROBLEMA della messa a norma dell'impianto antincendio negli ospedali della Città della Salute mette nei
guai il direttore generale Angelo Delfavero che finisce indagato in un fascicolo del procuratore Raffaele
Guariniello perché per il Cto, l'ospedale traumatologico, non sono state richieste correttamente le
certificazioni. Ed è proprio al Cto che negli anni scorsi si sono verificati diversi roghi, si pensa di origine
dolosa, che hanno messo a repentaglio l'incolumità dei pazienti e dei lavoratori. La struttura dell'edificio,
verticale, rende tutto più complicato perché al minimo corto circuito, allo scoppio della minima fiamma, con il
calore e il fumo che tendono a salire, la portata degli incidenti si rivela sempre piuttosto grave. L'ultima volta
le alte temperature raggiunte in un corridoio, per fortuna già evacuato, fece addirittura esplodere le vetrate
che affacciano verso l'interno dell'edificio.
Del Favero spiega che proprio nel mese di maggio è stata inviata tutta la documentazione necessaria perché
sia pronta al più presto la certificazione antincendio, non solo del Cto ma di tutta la Città della Salute, che
comprende anche gli altri ospedali intorno a corso Spezia. «A me risulta che in maggio sia stata presentata la
domanda per il certificato antincendio per l'intera Città della Salute e della Scienza- dice il direttore generale
della Città della Salute e della Scienza, Angelo Del Favero- non ho avuto nessuna comunicazione
dall'autorità giudiziaria su questo tema, ma resto a disposizione per fornire agli inquirenti ogni informazione
utile». La segnalazione alla procura è partita direttamente dai vigili del fuoco che hanno rilevato come
l'ospedale traumatologico sia da anni un cantiere aperto per gli adeguamenti alle norme antincendio: ben tre
progetti sarebbero stati presentati e mai conclusi secondo l'accusa nei cinque anni passati. «Non possiamo
nascondere che esiste una problematicità non solo al Cto ma in tutti gli ospedali che dirigo - spiega Del
Favero - noi lavoriamo continuamente per migliorare le diverse situazioni ma facciamo i conti con una
scarsità di risorse che non ci mette mai in condizione di adempiere in modo definitivo.
Siamo consapevoli del fatto che il problema esiste ed è per questo che abbiamo avviato una procedura di
unificazione di tutti gli ospedali per essere in regola, per quel che riguarda i lavori facciamo quello che
possiamo con i finanziamenti che abbiamo a disposizione».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Vigili del fuoco davanti al Cto
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Città della Salute, indagato il manager l'antincendio del Cto non è a norma
07/10/2013
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 22
(diffusione:556325, tiratura:710716)
In sala operatoria si scoprono nuovi esiti
MARIO PIRANI
Vivaci polemiche sono scoppiate in questi giorni tra Regioni e enti ospedalieri per la pubblicazione dei dati
erogati dall'Agenas (Agenzia per i servizi sanitari regionali) che ha valutato gli "esiti" realizzati in 1.440
nosocomi sulla base di 47 indicatori relativi alle prestazioni fornite. Erano passate poche ore dalla diffusione
che subito sono apparse classifiche di autoglorificazione (in testa soprattutto Toscana e Lombardia) e liste
degli asini dove per comodità statistica erano stati concentrati istituti con specialità di eccellenza come ad
esempio la Chirurgia del San Filippo Neri di Roma.
Come ha riaffermato con forza il presidente dell'Agenas, Giovanni Bissoni: «Non si tratta di estrapolare o,
peggio, inventare classifiche, ma di fornirsi di un quadro che descriva lo stato dell'arte, perché i dati che si
ricevono sono difficilmente comparabili e riguardano troppi indicatori. In sostanza un ospedale eccellente per
alcune cure può segnare un valore negativo, per cattiva amministrazione ma anche per motivi legati al fatto
che proprio in quella struttura cercano assistenza i malati più gravi, peggiorando i risultati, ad esempio, sulle
complicanze e la mortalità».
Per capire la valenza di questi strumenti bisogna studiare che la loro introduzione negli anni Novanta è stata
collegata all'esigenza di monitorare l'efficienza, il valore, la congruità dell'offerta medica, sulla base di
parametri omogenei, valutazione dei tempi, durata della degenza, utilizzo dei posti letto e delle sale
operatorie.
I servizi sanitari di tutto il mondo occidentale hanno realizzato negli anni Novanta strumenti e metodi di
verifica e valutazione di efficienza come quelli legati ai costi economico finanziari, ma anche efficienza
organizzativa come indicatori di strutturae di processo, tempi di attesa, durata della degenza, tassi di utilizzo
dei posti letto e delle sale operatorie, tempo di rotazione e turnover. Di qui si può definire il "prodotto"
sanitario.
Il tempo e la tempestività sono una variabile fondamentale per il buon esito delle cure e trattamenti sanitari.
Per esempio nel caso della frattura del collo del femore le valutazioni hanno dimostrato che fare l'intervento
entro le 48 ore dal trauma determina un buona guarigione e che, se invece si interviene più tardi, l'esito può
essere molto cattivo o infausto e causa di complicanze.
Ovviamente la tempestività è il risultato non solo e non tanto della capacità dell'ortopedico o della intera
équipe ma anche dell'intero processo assistenziale che in questo caso specifico è determinato
dall'integrazione del lavoro di tantissimi medici e infermieri di pronto soccorso, anestesia, geriatria, radiologia,
sala operatoria, che devono coordinarsi e cooperare per raggiungere questo obiettivo che devono
riconoscere come proprio.
Lo stesso indicatore di tempo viene utilizzato per la colecistectomia laparoscopica, intervento di calcoli della
colecisti per via laparoscopica, in cui invece si misura il tempo di degenza dopo l'intervento che non deve
superare le 48 ore. Anche in questo caso si è dimostrato che tanto più elevata è la qualità dell'atto chirurgico
tanto migliore è l'evoluzione positiva del decorso e la dimissione del paziente entro un tempo breve.
Per questo motivo in Europa si incomincia addirittura a misurare la casistica e i volumi trattati per operatore e
non solo per équipe.
Mentre nel nostro Paese applichiamo la misura dell'esito solo all'intero nosocomio e questo rappresenta un
grosso limite di valutazione perché dove gli ospedali presentano numerose unità operative e quindi vi è
frammentazione in numerose équipe si perde completamente il senso e il valore di questo indice. Questi
indicatori sono però uno strumento straordinario per conoscere la qualità delle nostre strutturee lo scopo della
loro pubblicazioneè quello di provocare una programmazione più corretta e superare le barriere culturali e di
potere che la bloccano. Basta farne buon uso. © RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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LINEA DI CONFINE
03/10/2013
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 60
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Maurizio Tropeano
Alla vigilia della decisione del Tar sul futuro del servizio oncologico dell'ospedale Valdese - l'udienza è fissata
il 9 di ottobre - ieri, nel corso della riunione della commissione sanità sono stati diffusi dei dati sullo
svolgimento delle mammografie che mettono in evidenza quantomeno la dispersione del servizio e l'aumento
delle liste d'attesa. Ad oggi, infatti, all'interno dell'ambito territoriale dell'Asl Torino 1 mancano all'appello
diecimila mammografie diagnostiche. Ecco i numeri: nei primi sette mesi del 2012 furono effettuati 13 mila
esami, 6800 al Valdese e 1300 al Martini a cui si aggiungono altri 4500 screening del gruppo del valdese.
L'unico dato disponibile quest'anno per lo stesso periodo è quello del Martini : 2200. Monica Cerutti,
capogruppo di Sinistra Ecologia e Libertà in consiglio regionale lancia l'allarme: «Rispetto al primo semestre
del 2012 mancherebbero all'appello le diecimila diagnosi al seno del Valdese che non sarebbero state
realizzate da altre strutture. Vorremmo essere smentiti per non dichiarare a rischio a Torino la salute delle
donne». In teoria quelle analisi potrebbero essere state effettuate nelle altre strutture ospedaliere della città.
«Un dato - spiega l'ex assessore alla Salute Eleonora Artesio - difficile da dimostrare perché mette in gioco la
privacy delle paziente. E comunque è evidente che la scelta di chiudere il Valdese si sta dimostrando sempre
di più come sbagliata perché non vengono garantiti gli stessi livelli di assistenza e si registra una dispersione
delle pazienti e un allungamento delle liste d'attesa». La Giunta, comunque, è intenzionata ad andare avanti
e ieri ha illustrato il trasferimento degli otto medici specializzati nelle tre strutture (due lavoreranno al
Mauriziano, 2 al San Luigi e 4 al Martini) che formeranno il dipartimento sperimentale interaziendale di
oncologia. Nino Boeti (Pd) attacca: «Questo trasferimento, se concretizzato, segnerebbe la fine del tanto
sbandierato progetto di "breast unit" che doveva sorgere al Sant'Anna, con la collaborazione proprio degli
oncologi del Valdese, in modo da poter valorizzare la loro competenza senologica e poter continuare ad
assistere le pazienti seguite in quell'ospedale». La prossima settimana il Tribunale Amministrativo regionale si
dovrà pronunciare sul ricorso presentato a nome di un comitato di pazienti e dipendenti del Valdese che
chiede ai giudici amministrativi di bloccare lo smantellamento di questa struttura. Gli avvocati della Regione
dovranno dimostrare che la riorganizzazione del servizio ha permesso di mantenere gli stessi livelli di qualità
e assistenza garantiti dal Valdese. La protesta delle donne La decisione della giunta regionale di chiudere
l'ospedale Valdese ha portato proteste e ricorsi al Tar I giudici amministrativi si pronunceranno il 9 ottobre La
protesta delle donne La decisione della giunta regionale di chiudere l'ospedale Valdese ha portato proteste e
ricorsi al Tar I giudici amministrativi si pronunceranno il 9 ottobre
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Valdese, mancano all'appello diecimila mammografie
06/10/2013
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 42
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Niente certificato anti-incendi Indagato il direttore del Cto
Sede del Centro grandi ustionati, colpito in passato da alcuni incendi di probabile origine dolosa, il Cto non
avrebbe mai chiesto il certificato di prevenzione incendi. È l'accusa che la procura di Torino contesta ad
Angelo Del Favero, direttore generale della Città della Salute, che è stato iscritto sul registro degli indagati. Il
fascicolo del procuratore Raffaele Guariniello ha origine da una segnalazione dei vigili del fuoco, titolari del
rilascio del certificato obbligatorio che attesta il rispetto delle prescrizioni antincendio e la sussistenza dei
requisiti di sicurezza. L'ospedale avrebbe presentato, a partire dal 2002, tre progetti di adeguamento
dell'impianto esaminati e restituiti con alcune prescrizioni da parte dei vigili del fuoco: ma manca un
documento che attesti che quei lavori siano stati effettivamente eseguiti.
Foto: Il Cto di Torino
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Diario Inchiesta di Guariniello
07/10/2013
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Veronesi: "Perché difendo l'eutanasia"
La demotivazione alla vita è un problema vero Va aperto un serio dibattito
Flavia Amabile
Dopo il suicidio di Lizzani, l'oncologo Veronesi, chiede che si torni a parlare della legge sulla «fine-vita». A
PAGINA 15 Veronesi: "Perché difendo l'eutanasia" Umberto Veronesi non ci sta. Ex ministro della Sanità,
oncologo, autore di testi sul diritto all'eutanasia, chiede che si torni a parlare della fine della vita perché morti
come quella del regista Carlo Lizzani sono anche «una forte forma di denuncia e di protesta». Lo ha
sostenuto anche il figlio: se in Italia fosse stato possibile, il padre avrebbe chiesto l'eutanasia. «Purtroppo,
invece, in Italia, e anche in molte parti d'Europa, il diritto di morire con dignità è una conquista ancora da
fare,. Non è possibile immaginare Mario Monicelli che si alza dal letto di un ospedale, che apre la finestra e si
butta giù o i tanti che lo fanno senza avere titoli di giornale. Ci sono mille modi di interrompere la propria vita
più serenamente. E' necessario avviare un dibattito serio». Un terzo dei suicidi è a carico di chi ha più di 65
anni e metà degli anziani soffre di depressione. «E' un problema vero ma non parlerei di depressione,
piuttosto di demotivazione alla vita. Sono persone che pensano: sono anziano, non sto bene, sono di peso
alla società e alla famiglia, perché devo vivere? È stata presentata una richiesta di legge di iniziativa
popolare. Sono state raccolte le firme e presentate. Se si dovesse avviare l'iter di legge si parlerà finalmente
di questo complesso tema, e poi tutto è possibile, anche che la legge possa essere approvata. Non
dimentichiamo quello che accadde negli anni Settanta con l'interruzione di gravidanza». Sia in quel caso che
ora si tratta di un problema molto sentito dagli italiani. In tanti hanno un parente anziano che non ce la fa più
e minaccia di farla finita. «Abbiamo 3mila suicidi in Italia, tutti purtroppo tragici. La maggior parte si impiccano
o si buttano giù dalla finestra. Sono un po' di meno quelli che si asfissiano con il gas perché è un'operazione
lunga, complessa. Ancora di meno quelli che usano i barbiturici perché spesso non funzionano. Rari quelli
che si ammazzano con un colpo di pistola perché le armi non si trovano facilmente. È un insieme di vicende
tragiche su cui dovremmo ricominciare a riflettere. Se si è stanchi di vivere si ha anche il diritto di andarsene,
la vita è un diritto ma non un dovere. Nessuno può toglierti la vita, ma decidere di troncarla da soli è un
diritto». I cattolici sostengono che la vita sia un dono e di conseguenza non si è liberi - né prima della nascita
né dopo - di interromperla. «È verissimo ma esiste anche l'autodeterminazione. Ed in Italia esistono dieci
milioni di atei e agnostici e milioni di persone che professano religioni diverse. Quindi chi è fedele agli
insegnamenti della Chiesa li segua ma non può pretendere di invadere la legge civile. Chi non è credente ha
il diritto di non ascoltare i dettami della religione». Bisognerebbe provare a vivere sempre e comunque. «La
decisione spetta solo a noi, non è giusto mettere la nostra vita nelle mani di medici che ci torturano con
macchine capaci di far vivere un corpo senza coscienza, senza ricordi, senza pensieri. È una forzatura,
bisognerebbe assecondare la natura. Eutanasia è un pessimo termine, preferisco parlare di desistenza dalle
cure, di aiutare a morire». Qualsiasi sia il termine che cosa direbbe agli italiani che non hanno più voglia di
vivere? «Di procurarsi una corda o di aprire una finestra: non c'è altra soluzione legittima o accettabile. È
assurdo perché uccidersi non è reato, anche il tentato suicidio non è punibile. Allora perché è reato aiutare
qualcuno se questa persona ha scritto chiaramente qual è la sua volontà?»
Dibattito aperto
L'intervista all'oncologo Umberto Veronesi segue il dibattito sul suicidio di Carlo Lizzani, aperto ieri sulla prima
pagina de «La Stampa» con gli articoli del direttore Mario Calabresi e dell'editorialista Ferdinando Camon.
Foto: Umberto Veronesi
Foto: Lizzani sul set di «Hotel Meina»: si è suicidato l'altro ieri a 91 anni Ex ministro Umberto Veronesi
conduce da anni una battaglia a favore dell'eutanasia
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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INTERVISTA - IL CASO LIZZANI
06/10/2013
Il Messaggero - Roma
Pag. 43
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Ma ci sono da pagare ancora 15 milioni per i ricoveri dei libici
L'OSPEDALITÀ PRIVATA SCRIVE ALLA BONINO: «ALMENO 20 STRUTTURE DELLA CAPITALE
LAMENTANO CRONICI RITARDI NEI PAGAMENTI»
Il momento è critico, per tutti. Così l'Associazione Italiana dell'Ospedalità Privata - di cui fanno parte diverse
strutture convenzionate del Lazio - ha appena inviato una lettera al ministro degli Esteri Emma Bonino nella
quale si chiede di intervenire per «saldare una parte consistente dei crediti vantati, circa 10/15 milioni di euro)
per la cura e l'assistenza sanitaria in Italia di cittadini libici vittime del conflitto». Il saldo tecnicamente spetta
all'ambasciata di Libia a Roma, con cui nel 2010 era stato siglato un accordo per l'assistenza sanitaria dei
rifugiati, ma l'A.I.O.P. non avendo ricevuto alcun versamento, con questo documento auspica una risoluzione
immediata grazie alla mediazione del ministero degli Affari esteri. L'associazione, che accoglie più di 110
strutture sanitarie e socio-sanitarie associate con 9.200 posti letto e oltre 12.000 addetti, ha promosso fin da
ottobre 2011 - nel quadro dell'azione umanitaria per la cura e l'assistenza sanitaria in Italia di cittadini libici
vittime di guerra - interventi volti a reperire e mettere a disposizione posti letto nella Regione Lazio e in
particolare a Roma, professionalità mediche ed infermieristiche, protesi, ausili e medicinali. Nella lettera si
legge che «si è trattato per la maggior parte dei casi di interventi chirurgici molto complessi con degenza
media di 3/6 mesi. Almeno 20 strutture di Roma ci hanno rappresentato le problematiche complessive relative
ai pazienti libici ricoverati (diverse centinaia), lamentando, tra l'altro, un cronico e sistematico ritardo nei
pagamenti in molti casi fermi a marzo del 2012». Proprio per questo «abbiamo chiesto - si legge ancora nel
documento - un autorevole e risolutivo intervento, da parte dell'Ambasciata di Libia a Roma, che potesse
almeno saldare una parte consistente dei crediti vantati (stimati nell'ordine dei 10/15 milioni di euro) dalle
strutture nostre associate e non, fatte salve le azioni individuali da intraprendere per il recupero delle somme
fatturate e non riscosse». Ad oggi non è pervenuto alcun cenno di riscontro. «Abbiamo coinvolto il Ministero
degli Affari Esteri - conclude la nota - e chiesto l'intervento del Ministro Emma Bonino per alleviare la
situazione economica delle case di cura, tra cui qualcuna è in serissima crisi, con la successiva
predisposizione di una convenzione che possa prevedere una piattaforma comune e tariffaria da sottoporre
alle case di cura per il ricovero dei pazienti libici che continuano a richiedere di essere ricoverati presso le
nostre strutture (altri 400 pazienti hanno fatto domanda e sono in attesa di ottenere in visto d'ingresso in
Italia)». Jessica Faroni, presidente dell'Associazione Italiana Ospedalità Privata, firmataria della lettera
spedita alla Bonino, sottolinea che «siamo stati i primi a siglare questo accordo e vogliamo essere d'aiuto alla
Libia. Ricordo però che questa è anche un'opportunità per lo Stato per creare posti di lavoro». Michele
Galvani
Foto: Il ministero degli Esteri
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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LA POLEMICA
05/10/2013
Il Giornale - Milano
Pag. 5
(diffusione:192677, tiratura:292798)
La frase choc del medico indagato «Chi entra in ospedale è già morto»
ALLO IEO Il marito di una paziente deceduta presenta un esposto e fa scattare l'indagine per omicidio
colposo
Enrico Lagattolla
Una lunga malattia. Le cure, estenuanti e dolorose. E infine la morte. Ora, anche un'inchiesta della Procura
per fare luce sul decesso di una donna curata allo Ieo, l'Istituto europeo di oncologia fondato dal professor
Umberto Veronesi, centro medico di eccellenza e luogo di speranza per migliaia di persone colpite da tumore.
Ipotesi di reato: omicidio colposo. E indagato è Franco Nolé, direttore dell'Unità di cure mediche del centro di
via Ripamonti, specializzato - si legge nel suo profilo - nello «studio e la cura del carcinoma mammario
metastatico con particolare riguardo allo sviluppo di nuove strategie terapeutiche nella malattia avanzata», un
percorso professionale che dagli esordi nella divisione di oncologia medica dell'Istituto nazionale tumori di
Milano è approdato a una dei più prestigiosi e rinomati centri per la cura delle neoplasie. Nolé, dunque, è
stato denunciato dal marito della signora. Che in un esposto ora contenuto nel fascicolo aperto dal pubblico
ministero Piero Basilone racconta il penoso calvario verso la fine. E una frase - terribile che Nolé gli avrebbe
detto perché si rassegnasse alla scomparsa della moglie. «Chi entra allo Ieo è già morto». Proprio per un
tumore al seno, la paziente era entrata allo Ieo nel lontano 2008. Quell'anno, venne sottoposta a un
intervento di asportazione della mammella. Sembrava essere andato tutto bene. La storia raconta altro. Di lì a
qualche anno - siamo nel 2011 - compaiono di nuovo i sintomi della malattia. La donna torna all'Istituto di
oncologia, e nel 2012 viene sottoposta a un primo ciclo di chemioterapia. Ma non è abbastanza. I medici,
infatti, decidono che la cura deve essere ripetuta anche nei primi mesi di quest'anno. Senza che risulti
efficace. Perché la signora muore il 21 giugno scorso all'età di 66 anni. Secondo il marito, però, i sintomi patiti
dalla donna sarebbero male interpretati, così come sarebbero state sbagliate sia la diagnosi sia la terapia. E
così, assistito dall'avvocato Benedetto Tusa, l'uomo ha presentato una denuncia in Procura. E a fare più
impressione è proprio quella frase ripostata nell'esposto, che sarebbe stata pronunciata da Nolé. «Chi entra
allo Ieo è già morto». Parole non rilevanti da un punto di vista penale, ma spietate e in totale contraddizione
con la missione stessa dell'Istituto di oncologia riassunta nella carta dei servizi: «Una delle nostre priorità è
l'attenzione a erogare prestazioni di alta qualità ponendo al centro del percorso assistenziale i bisogni del
paziente». Ad ogni modo, nelle scorse settimane il pm Basilone ha disposto l'acquisizione della cartella
clinica della paziente, per capire se effettivamente da parte di Nolé e del suo staff ci sia stata - per usare
l'arida formula utilizzata nei casi di colpe mediche - «negligenza o imperizia» nella cura della donna. Resta, al
momento, la pesante accusa di omicidio colposo contestata al dottore, e la denuncia di un uomo che non si è
rassegnato alla scoparsa della moglie.
Foto: BUFERA L'Istituto europeo di oncologia fondato da Umberto Veronesi
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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L'INCHIESTA
06/10/2013
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 33
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Stimolazione plantare per aiutare la mobilità
Luisa Romagnoni
Nella gestione della malattia di Parkinson, la terapia riabilitativa, sta conquistando un ruolo sempre più
importante. Con efficaci approcci, che si integrano alle cure farmacologiche e aprono nuove prospettive, sul
recupero della funzionalità motoria del paziente. Quest'ultimo, oggi è sempre più giovane. Secondo
statistiche, un paziente parkinsoniano su 10 ha meno di 40 anni ed uno su 4 ne ha meno di 50. La nuova
frontiera della riabilitazione per il Parkinson, si chiama Foot mechanical stimulation (Fms), o stimolazione
meccanica plantare. Una terapia riabilitativa che si basa su una stimolazione del sistema nervoso periferico,
mediante impulsi meccanici, controllati in specifiche aree dei piedi, erogati attraverso un innovativo
dispositivo medico portatile, denominato Gondola. L'apparecchiatura, utilizzata a domicilio, viene calzata
come una sorta di plantare tecnologico. É progettata per l'autoregolazione della stimolazione, sulla base delle
esigenze del paziente ed è compatibile con le cure farmacologiche e i dispositivi elettromedicali. Un ciclo di
terapia dura meno di due minuti, i benefici permangono almeno due giorni e fino a un massimo di sette
dall'applicazione. Poi occorre ripetere il trattamento. Sia la Fms che il dispositivo Gondola sono frutto della
ricerca di Ecker Technologies. Adesso, a quasi un anno dalla prima pubblicazione sugli effetti della Fms, su
persone affette da Parkinson, una nuova sperimentazione, ha verificato l'efficacia delle terapia, con il
dispositivo Gondola. Si tratta di uno studio clinico condotto dal professor Fabrizio Stocchi, direttore del centro
di ricerca sul Parkinson e sui disturbi motori, del San Raffaele di Roma. I dati emersi sono positivi: indicano
un miglioramento pari al 25 per cento della sintomatologia parkinsoniana, un incremento del 27 per cento
della velocità di cammino e del 15 per cento dell'allungamento del ciclo del passo. «I risultati dello studio,
misurati anche utilizzando la tecnologia della Gait Analysis, in collaborazione con il Politecnico di Milano,
sono stati molto interessanti», spiega Stocchi annunciando l'avvio di uno studio multicentrico che coinvolgerà
tre università italiane e centri di ricerca neurologici.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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PARKINSON
06/10/2013
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 33
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Muoversi per non cadere
L'esercizio fisico aumenta la forza muscolare e dà sicurezza alla camminata
Luigi Cucchi
Ogni anno un terzo delle persone over 65 e ben la metà degli over 80 perde l'equilibrio e cade. É un
fenomeno in grande crescita in tutta Europa tra la popolazione anziana. Le conseguenze sono spesso fatali.
Per un anziano la rottura di un femore è ad alto rischio, provoca lunghe immobilità e in oltre il 50% dei casi
non presenta possibilità di recupero. Fondamentale l'attività di prevenzione delle cadute attraverso l'abitudine
a costanti esercizi. Lo scorso 1 ottobre, in occasione della Giornata internazionale dell'anziano, istituita
dall'Onu nel 1988, si è discusso sul rischio di cadute e su come evitarle. Molti studi hanno dimostrato che tale
rischio è più frequente negli anziani che hanno già subito cadute in precedenza, che hanno problemi di
deambulazione, in coloro che necessitano di ausili per il cammino, o che hanno avuto un ictus, o soffrono di
malattia di Parkinson o ancora di artrite o demenza. É più alto in presenza di terapie farmacologiche,
incontinenza, problemi alla vista o di equilibrio, è il caso di persone affette da disabilità cronica (sclerosi
multiple, paralisi). Il Gruppo di lavoro European Innovation Partnership on Active and Healthy Ageing - Action
on Falls Prevention è stato attivato nell'aprile del 2012. L'obiettivo del Gruppo è fare in modo che si arrivi ad
aumentare l'aspettativa di vita di due anni entro il 2020, con un beneficio a livello di qualità di vita, di utilizzo
delle risorse socio-sanitarie e in favore dell'innovazione e della crescita economica. Al Gruppo partecipano
oltre 70 organizzazioni europee, incluse università, gruppi di ricerca, enti pubblici, industrie, organizzazioni
non governative. L'obiettivo è l'identificazione delle best practices e l'introduzione di programmi operativi. «Le
cadute e le disabilità conseguenti non sono una parte inevitabile dell'invecchiare»,afferma la dottoressa
Isabella Springhetti, dell'Unità operativa di recupero e rieducazione funzionale della Fondazione Maugeri di
Pavia, una struttura che ha come obbiettivo anche la riduzione delle cadute. «Si può invecchiare, pur in
presenza di una o più patologie senza incorrere nella caduta e soprattutto nelle conseguenze che questa
porta con sé: si va da una restrizione dell'autonomia precedente causa l'insorgere della cosiddetta sindrome
«Paura di cadere» fino a conseguenze ben più serie come fratture, lesioni dei tessuti molli, ematomi cerebrali
o esiti diretti come polmoniti, o decubiti per incapacità di rialzarsi». Si devono ridurre al minimo i momenti di
sedentarietà in favore di una giornata più attiva: sono raccomandati almeno 150 minuti di esercizio di
moderata intensità nel corso della settimana, suddivisi in sessioni della durata di almeno dieci minuti,
soprattutto per aumentare forza ed equilibrio. Fondamentale è la collaborazione che si è creata a livello
europeo all'interno del network ProFouND (the Prevention of Falls Network for Dissemination) diretto dal
professor Chris Todd e costituito dalla Comunità Europea. «In questo contesto la nostra Unità Operativa continua la dottoressa Springhetti - si occupa di educare personale sanitario con corsi dedicati alla
valutazione del rischio ed alla prevenzione e trattamento di disturbi dell' equilibrio. Per i pazienti già incorsi in
episodi di caduta, vi sono programmi riabilitativi e controlli periodici». All'interno della Fondazione Maugeri è
attiva la collaborazione tra il Politecnico di Milano e l'istituto scientifico di Lumezzane per i pazienti ad alto
rischio di caduta (con ictus o già fratturati) che dopo la dimissione dall'ospedale sono monitorati al domicilio
con un sistema di teleassistenza on line.
Foto: ATTIVITÀ Almeno venti minuti di esercizi quotidiani consentono alle persone anziane di mantenere
equilibrio e mobilità due fattori di autonomia
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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medicina ANZIANI Equilibrio precario dopo i 65 anni
06/10/2013
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 33
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Alle Molinette stimoli elettrici per curare la distonia
Gloria Saccani Jotti
Nuove possibilità di cura a Torino ed in Piemonte per i pazienti affetti da distonia, un gruppo di malattie
neurologiche caratterizzate dalla presenza di contrazioni muscolari involontarie e protratte, che determinano
posture gravemente alterate e movimenti anomali spesso dolorosi. L'équipe neurochirurgica-neurologica
dell'ospedale Molinette di Torino ha portato a termine, per la prima volta in Piemonte e tra le prima in Italia,
con successo un delicato intervento chirurgico stereotassico su una giovane paziente torinese di 23 anni
affetta da distonia primaria generalizzata. «Grazie alla tecnica stereotassica che consente un'estrema
precisione chirurgica abbiamo posizionato - afferma il professor Michele Lanotte, neurochirurgo - due elettrodi
del diametro di poco più di 1 mm nel cervello della paziente, più precisamente nel nucleo pallido interno. Gli
elettrodi sono stati poi collegati ad un piccolo pacemaker posizionato in regione toracica e fornito di batteria
ricaricabile periodicamente da parte della stessa paziente. É una tecnica di neuromodulazione: gli elettrodi
alimentati dal pacemaker producono uno stimolo elettrico sul nucleo pallido, ripristinando un corretto
funzionamento dei circuiti neurologici alterati dalla malattia. «L'intervento rientra tra le procedure di
stimolazione cerebrale profonda, conosciute anche come DBS dall'acronimo anglosassone Deep Brain
Stimulation, utilizzate per il trattamento chirurgico della malattia di Parkinson in fase avanzata, per il quale
l'ospedale Molinette è un Centro di riferimento nazionale. «La distonia - afferma il professor Leonardo
Lopiano - è una malattia che può colpire qualunque parte del corpo, braccia, gambe, tronco, palpebre, viso e
perfino corde vocali. Ne sono affette in Italia circa 25mila persone e nelle forme primarie generalizzate, come
nel caso della giovane paziente, si tratta spesso di una malattia genetica e dunque ereditaria. Può essere
fortemente invalidante e pregiudicare la qualità di vita dei pazienti che ne sono affetti. Quando le terapie
mediche si rivelano insufficienti, l'intervento chirurgico rappresenta l'unica strada percorribile».
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Malati & Malattie
05/10/2013
QN - Il Resto del Carlino - Ancona
Pag. 11
(diffusione:165207, tiratura:206221)
Il consigliere regionale Idv: «Nessuna risposta da Mezzolani»
Stefano Strano
«LE MARCHE, senza un valido motivo scientifico, spendono il doppio rispetto alla media delle altre regioni
nella somministrazione dell'ormone della crescita (Growth Hormone GH), secondo gli ultimi dati dell'Istituto
superiore della sanità Istisan, relativi al 2009 e al 2010. Posso solo sperare che questo farmaco non sia
prescritto a bambini che non ne hanno bisogno». Il presidente del gruppo consiliare di Italia dei Valori Paolo
Eusebi non usa perifrasi su questo medicinale ed esprime sospetti su una prescrizione, a suo dire,
«quantomeno anomala e opaca». L'antecedente è una vicenda assurta agli onori della cronaca nazionale
quasi un anno fa, con risvolti locali descritti anche sulle pagine del Carlino: si tratta dell'operazione "Do ut
des" condotta dai carabinieri del Nas di Bologna che ha visto coinvolti 67 camici bianchi in tutta Italia - cinque
dei quali marchigiani, accusati di aver ricevuto da 12 informatori scientifici della casa farmaceutica Sandoz
somme di denaro, viaggi all'estero e oggetti di valore per 500mila euro, con reati ipotizzati di truffa al Servizio
sanitario nazionale, comparaggio, associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e falso. Il presidente
del gruppo consiliare Idv si è rivolto più volte, invano, ai dirigenti della sanità marchigiana: «Nessuno mi ha
mai risposto - ha spiegato Paolo Eusebi -. Ho scritto anche all'assessore Almerino Mezzolani, è passato più
di un mese, ma finora niente. Si potrebbero risparmiare dai 2 ai 4 milioni di euro all'anno, mentre ad oggi la
Regione spende tra i 7 e gli 8 milioni di euro. Ed è stato recepito nel piano socio sanitario 2012-2014
l'emendamento che ho presentato insieme al consigliere Fabio Badiali, in cui è scritto che è da potenziare «la
rete di Endorcrinologia e Diabetologia Pediatrica che ha come punto di riferimento regionale la Sod di
Diabetologia Pediatrica del Salesi, anche al fine di razionalizzare la spesa sanitaria dovuta all'ormone della
crescita. Questo punto è legge regionale, l'esecutivo non la applica e questo è inaccettabile. Come possiamo
far accettare ai marchigiani i sacrifici derivanti da questa riforma sanitaria e poi lasciare queste sacche di
opacità? Ed è quantomeno singolare che il massimo esperto regionale di Endocrinologia pediatrica, il
professor Valentino Cherubini della Sod del Salesi di Ancona, non faccia parte della commissione regionale
GH: è l'unico endocrinologo dell'età evolutiva e mi auguro che venga integrato in commissione al più presto».
Image: 20131005/foto/118.jpg
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Eusebi: «Ormone della crescita, perché ci costa 8 milioni di euro?»
05/10/2013
Avvenire - Ed. nazionale
Pag. 16
(diffusione:105812, tiratura:151233)
L'ULTIMO STRAPPO LO HA FATTO L'URUGUAY
( Mi.Co. )
L'ultimo strappo è stato quello dell'Uruguay, che con la depenalizzazione dell'aborto si è unito al ristretto
gruppo di Paesi latinoamericani che hanno liberalizzato l'interruzione volontaria della gravidanza. Nella lista ci
sono Cuba, Guyana, Porto Rico e Città del Messico (non tutto il Paese centroamericano). Il 2 agosto in
Brasile è stata approvata una legge che garantisce l'assistenza (e la cosiddetta «profilassi della gravidanza»)
alle donne vittime di stupro. Il timore dei militanti "pro vida" è che questa legge apra le porte alla prossima
legalizzazione dell'aborto nel Paese, senza più limiti. In sette delle 34 nazioni dell'America Latina (Cile
compreso) abortire è proibito in ogni caso, mentre nella maggior parte è permesso solo in situazioni
d'emergenza: per salvare la vita della madre o per proteggere la sua salute (fisica e mentale). In alcune
nazioni è previsto anche per ragioni socio-economiche. Il dibattito è molto acceso nella regione, ma negli
ultimi tempi - parallelamente alla corrente pro-abortista - si è rafforzata anche la voce delle associazioni in
difesa della vita e del nascituro fin dal suo concepimento.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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AMERICA LATINA
05/10/2013
Avvenire - Ed. nazionale
Pag. 14
(diffusione:105812, tiratura:151233)
Sanità sempre più multietnica. Secondo gli ultimi dati dell'Ipasvi (Infermieri, assistenti sanitari e vigilatrici
d'infanzia) gli infermieri professionali sono 35mila, il 43% dei quali romeni e il 14% polacccchi e lavorano
soprattutto nelle strutture del Nord e del Centro. Mentre i medici di origine straniera iscritti ai diversi ordini
sono circa 15mila, nel 42,3% dei casi si tratta di donne e la fascia di età tra i quaranta e i sessantaquattro
anni è la più diffusa (67,5%). In maggioranza proviene da Paesi dell'Unione o a sviluppo avanzato. È il
quadro tracciato da Foad Aodi, presidente dell'Associazione medici di origine straniera in Italia (Amsi), in
occasione del convegno "Promozione della salute e Cooperazione internazionale aperto ieri a Roma". Ma
non ci sono solo medici e infermieri, la quota di stranieri nella sanità comprende anche «fisioterapisti e
farmacisti, con numeri che si aggirano rispettivamente intorno ai 4mila e ai 3mila e 500». «Per quanto
riguarda i fisioterapisti spiega Aodi - il 60% è laureato in Italia, e proviene da Palestina, Egitto, Africa,
Germania, Brasile, Argentina, Filippine e Colombia. ll 40% ha invece un diploma riconosciuto e viene da
Russia, Polonia, Romania, Ucraina. La gran parte dei farmacisti, infine, è laureata in Italia ed è di origine
palestinese, iraniana, greca, tedesca, africana, albanese, siriana». «Dal punto di vista lavorativo conclude molti sono presenti negli ospedali pubblici come liberi professionisti, retribuiti attraverso un sistema di gettoni
o di compenso a prestazione occasionale. Una prassi parecchio diffusa anche nel privato, dove sarebbe
formalmente possibile addivenire alla piena assunzione di personale straniero non comunitario. In ogni caso,
la maggior parte di questi professionisti lavora presso strutture private e accreditate».
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Sanità, quasi 60mila gli stranieri che ci lavorano Gli infermieri
professionali sono più della metà
06/10/2013
Avvenire - Ed. nazionale - roma sette
Pag. 19
(diffusione:105812, tiratura:151233)
Partita martedì l'iniziativa che aderisce alla campagna nazionale di prevenzione dei tumori femminili
DI FEDERICA CIFELLI
E' partito martedì scorso il primo «Ottobre rosa» del Lazio. La Regione, infatti, aderisce alla campagna
nazionale di prevenzione, sensibilizzazione ed educazione sanitaria rivolta in maniera specifica alle donne,
mettendo in rete le strutture sanitarie delle Asl e degli ospedali. Qui, fino al 31 ottobre, le donne tra i 25 e i 69
anni potranno effettuare gratuitamente la visita per la prevenzione dei tumori femminili. Nel caso in cui il
risultato del primo screening risulti sospetto o dubbio, si procederà ad esami di approfondimento presso centri
specializzati, dove, se necessario, potrà essere attivato anche un eventuale percorso di cura. «Ricordati di
te» è lo slogan scelto per la campagna. L'obiettivo: individuare il tumore, se presente, in una fase precoce,
quando è ancora molto piccolo. «In questo modo aumentano le possibilità di cure efficaci e meno
aggressive», spiegano dalla Regione. Anche il Policlinico universitario Campus Bio-Medico aderisce alla
campagna. A partire da martedì 8 ottobre, per tutti i martedì del mese sarà possibile effettuare uno screening
senologico presso le strutture di via Alvaro del Portillo 200, a Trigoria. Sarà sufficiente prenotarsi al numero
06.225411460, dal lunedì al venerdì dalle 14 alle 16.30. «Siamo consapevoli sottolinea il responsabile
dell'Unità operativa di Senologia del Campus Bio-medico, Vittorio Altomare - che la prevenzione sia l'arma più
efficace per sconfiggere questo tipo di tumori. Perciò, partecipando attivamente a questa iniziativa,
confidiamo di dare alle pazienti, specie quelle più a rischio, un'ulteriore occasione per prendersi cura della
propria salute». Attualmente infatti nella nostra regione le donne che partecipano a programmi di screening
sono solo il 40 per cento della popolazione. Un valore ben al di sotto di quello fissato dal ministero della
Salute, che è p ari al 60 per cento. Il programma di screening che si attiva con «Ottobre rosa» è totalmente
gratuito ed è attivo tutto l'anno. Per ulteriori informazioni è possibile contattare i numeri verdi delle Asl di
appartenenza (l'elenco completo è disponibile sul sito della Regione Lazio . «La prevenzione scrivono le
consigliere del Gruppo per il Lazio Avenali Bianchi, Bonafoni, Giancola e Petrangolini - è l'unica via da
percorrere per abbattere definitiv amente il numero di donne colpite dal carcinoma. Una strada che permette
pure di razionalizzare le risorse economiche all'interno del rinnovato scenario della sanità regionale. Invitiamo
perciò tutte le donne a prenotare la loro visita rilanciando lo slogan "Ricordati di te"».
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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«Ottobre rosa» nelle strutture sanitarie della regione
06/10/2013
Il Gazzettino - Venezia
Pag. 23
(diffusione:86966, tiratura:114104)
Sanità, manager accusati di truffa
Tra i quattordici indagati c'è anche il portogruarese Pierluigi Fabris
PORTOGRUARO - Il Centro dialisi della casa di cura "Città di Udine", la clinica privata di viale Venezia,
sarebbe stato realizzato a spese del servizio sanitario regionale. Tra il 2004 e il 2012 la struttura udinese ha
beneficiato di oltre 15 milioni di euro a titolo di rimborsi per le prestazioni ambulatoriali fornite ai dializzati.
Secondo la Procura di Udine quei soldi pubblici non le spettavano, perché il Centro dialisi non era ancora
accreditato dalla Regione e non poteva erogare prestazioni a favore del Servizio sanitario pubblico. È per
questo che 14 - tra funzionari e manager della Sanità regionale - sono indagati per abuso d'ufficio e truffa
aggravata ai danni della Regione. Tra questi Pierluigi Fabris, 62 anni, di Portogruaro, ex direttore
amministrativo dell'azienda ospedaliera di Pordenone, ora all'Ass 4. Il quindicesimo soggetto è la stessa
struttura sanitaria, a cui si contesta l'illecito amministrativo connesso all'ipotesi di truffa. Il pm Paola De
Franceschi ha notificato nei giorni scorsi l'avviso di conclusione delle indagini, partite da un accertamento dei
carabinieri del Nas di Udine e culminate con le pesanti accuse. Sette sono le delibere contestate dagli
inquirenti. A cominciare dalla n. 721 del 10 ottobre 2003, con cui i vertici dell'Ass 4 approvano un protocollo
d'intesa con la casa di cura per realizzare nella clinica privata un Centro dialisi ad assistenza decentrata. A
guidare l'Ass 4 c'era Roberto Ferri, con lui firmarono i direttori ammministrativo e sanitario, rispettivamente
Maria Pia Zampa e Andrea Luigi Colaretta. Per la casa di cura firmarono il presidente del Cda, Antonino
Agosto, e il direttore generale Claudio Riccobon. Per la Procura si tratta di una delibera illegittima. Ass 4 e
"Città di Udine" avrebbero aggirato la normativa facendo figurare tra il 2004 e il 2008 il Centro dialisi come
un'emanazione dell'Azienda sanitaria, ma trasformandolo in una struttura privata, che solo nel 2012 verrà
accreditata dalla Regione. Nel frattempo la Regione avrebbe sborsato 15.882.372 euro per rimborsare
prestazioni ai dializzati, in realtà avrebbe coperto spese di ristrutturazione e allestimento del Centro dialisi.
Nel mirino anche preventivi definiti "fantomatici", bilanci con "voci gonfiate" e non rispondenti ai costi reali. ©
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Nel mirino il centro dialisi della Casa di cura privata di Udine: contestati 15 milioni
05/10/2013
Il Manifesto - Ed. nazionale
Pag. 15
(diffusione:24728, tiratura:83923)
La controriforma che fa la corte a 30 miliardi. Le sinistre tacciono
Ivan Cavicchi
Non solo Letta non l'ha mai pronunciata ma neanche i suoi oppositori che evidentemente ignorano che il Def
prevede di controriformarla. La parola sanità è stata semplicemente cancellata. Ridimensionare radicalmente
il diritto alla salute, previsto dalla Costituzione non è uno scherzo, significa che milioni di cittadini avranno
meno aspettative di vita di altri, significa curare o non curare le persone a seconda se hanno protezioni
private o sociali, significa andare verso una sanità pubblica residuale per gli indigenti,cioè i più bisognosi. La
sanità è stata sussunta dal governo come una delle tante voci di spesa del calderone della spesa pubblica.
Mentre l'opposizione, dal movimento 5 stelle a Sel, ha dimostrato di essere a conoscenza di niente. Altrimenti
perché non parlarne? La controriforma della sanità significa: un problema di costituzionalità perché riscrive in
peggio l'art 32 ; la negazione del diritto alla salute uguale per tutti, quindi l'universalismo delle cure; il
superamento del sistema solidaristico, quindi della fiscalizzazione (tutele in proporzione ai bisogni pagate in
proporzione al reddito) ecc. Non mi sembra una questione secondaria o almeno non meno importante degli
esodati, dell'Ilva, degli F35, della Telecom e dell' Alitalia. E tuttavia in parlamento la sanità non era
nell'agenda politica di nessuno, abbandonata all'incuria, alla superficialità, all'incompetenza, alla insensibilità.
Aver ignorato la questione non aiuta di certo noi che su ogni fronte ci occupiamo di sanità difendendo il
servizio pubblico. La politica nel suo complesso ha bucato una grossa questione etica, sociale, economica
non cogliendo la possibilità di una alleanza trasversale. La controriforma di Letta oggi rappresenta la più
grande contraddizione etico-sociale del Pd, tra il gruppo dirigente che tace e gli iscritti che difendono il
servizio pubblico, l'universalismo, la solidarietà, i diritti. Di fronte a questo scenario sarebbe responsabile,
giusto e saggio che almeno le opposizioni si informassero per aggiornare le loro lacunose posizioni politiche.
E' bene sapere che la controriforma di Letta non è solo il prodotto di un liberismo di ritorno, lo stesso che
continua a mettere i bastoni tra le ruote di Obama e che non ha mai sopportato si spendessero così tanti soldi
pubblici per la salute delle persone, ma è soprattutto un gigantesco affare speculativo. I dati ci dicono che
almeno un quarto della spesa sanitaria complessiva è a carico delle famiglie, che sono 30 i miliardi di spesa
sanitaria privata causata dalle restrizioni di questi anni al servizio pubblico, sui quali, lo dice Confindustria,
bisogna mettere le mani. L'88% di questa spesa, causata nel tempo da diritti perduti, è priva di
intermediazione finanziaria, cioè è pagata al privato direttamente dal cittadino. L'obiettivo vero della
controriforma Letta non è la bufala della sostenibilità della spesa sanitaria (in Italia è la più bassa d'Europa),
ma è sostituire con i fondi integrativi il terzo pagante pubblico con il terzo pagante privato. Per fare questa
operazione la controriforma Letta prevede di ridurre ulteriormente le garanzie ai cittadini per privatizzare
ancora di più, per andare oltre i 30 miliardi di consumi sanitari privati già disponibili. Si tratta di un'operazione
non meno rilevante della controriforma sulle pensioni. Forse proprio per questo è il silenziatore a regnare
sovrano, anche in un parlamento impegnato a discutere la fiducia al governo.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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SANITÀ
06/10/2013
Libero - Ed. nazionale
Pag. 22
(diffusione:125215, tiratura:224026)
La tolleranza che salva la vita
LUCA BERNARDO*
I numeri delle malattie allergiche sono in costante aumento e in particolare secondo alcune recenti stime
ufficiali in Italia più di 2 milioni di persone soffrono di allergia alimentare. Nei bambini è stata registrata
un'incidenza di reazioni allergiche gravi pari a circa 30/100.000 persone all'anno e in tutta Europa i ricoveri
per anafilassi sono aumentati di 7 volte negli ultimi 10 anni. Vogliamo ricordare in quest'ambito anche Expo
2015 in cui viene focalizzata una sezione: "Nutri re il Pianeta" che significa garantire ai nostri bambini una
alimentazione sicura, accogliendo con attenzione alla nostra tavola soprattutto chi ha una grave condizione
allergica. Le difficoltà a gestire sul territorio le reazioni accidentali da ingestione di alimenti a rischio sono
molteplici a partire dalla Scuola, dalla diagnosi in urgenza, dall'uso dell'adrenalina fino alla prevenzione per la
presenza di tracce potenzialmente allergiche negli alimenti di largo consumo. Tutto questo si traduce in un
forte disagio per le famiglie coinvolte. La Regione Lombardia è corsa ai ripari investendo sulla ricerca e, in
particolare, con la collaborazione dell'A.O. Fatebenefratelli di Milano, è stata messa a punto attraverso una
procedura di protocollo sicura, una desensibilizzazione orale per i bambini gravemente allergici a molti
alimenti come latte vaccino, uovo e grano, come già sperimentato in pochi altri centri di eccellenza sul nostro
territorio. Per primi in Italia, presso il Dipartimento Materno Infantile Fbf di Milano, sono stati desensibilizzati
bambini anafilattici alla frutta a guscio e arachide e cioè quelli che sono considerati tra i cibi più a rischio. Ora
che questo approccio è risultato più sicuro rispetto alla dieta di evitamento comunemente prescritta per questi
bambini, il Vicepresidente della Regione Lombardia e Assessore alla Salute, Mario Mantovani, ha dichiarato:
«In Regione Lombardia siamo al lavoro per rispondere con sempre più efficacia ed efficienza ai bisogni di
salute dei nostri cittadini. Sosteniamo infatti con convinzione progetti ed esperienze che si pongono l'obiettivo
di migliorare ed innovare stili di vita, conoscenze ed attività nel campo socio-sanitario. In particolare il tema
dell'alimentazione non solo si conferma strategico per il benessere dei Lombardi, ma rappresenta uno dei
principali profili di sviluppo anche in vista di Expo 2015. Sono dunque certo che in occasione di questo
importante traguardo per l'Italia, Regione Lombardia potrà offrire un nuovo progetto di eccellenza, da
condividere e proporre alle varie realtà formative, sociali e sanitarie del nostro Paese, dell'Europa e del
mondo intero». Per la procedura di desensibilizzazione orale occorrono 5 giorni di ricovero o, nei casi meno
gravi in day hospital; accertata la sicurezza dello schema terapeutico specifico per ogni bambino l'iter
continuata a domicilio. Sono previsti controlli periodici e la famiglia potrà sempre contattare telefonicamente il
medico responsabile del progetto. Dopo circa un anno si valuterà se è stata acquisita la tolleranza
all'alimento attraverso un test di provocazione orale. A questo punto il bambino verrà riaffidato alle cure del
proprio pediatra o dell'ambulatorio di allergologia pediatrica di partenza. La procedura di desensibilizzazione
è solo un aspetto del progetto di Regione Lombardia e A.O. Fatebenefratelli che prevede una stretta
collaborazione con la Scuola, ed insieme alle varie Asl saranno rivalutati tutti i criteri di sicurezza e di idoneità
nell'accogliere il bambino, per garantire non solo la sua salute ma anche l'adeguato inserimento in tutte le
attività, senza che la condizione di grave allergia alimentare possa essere un fattore limitante o discriminante.
La stessa collaborazione sarà garantita anche con la Ristorazione Collettiva per specificare la dieta del
bambino così da garantire la massima riduzione del rischio di esposizione anche a tracce di alimento. I
rapporti con l'Università saranno finalizzati ad identificare markers sierologici predittivi della probabilità di
raggiungere la tolleranza all'alimento o del rischio nell'affrontare la procedura di desensibilizzazione. *
Direttore del Dipartimento Materno-Infantile A.O. Fatebenefratelli e Oftalmico
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Pillole di salute
06/10/2013
Libero - Ed. nazionale
Pag. 26
(diffusione:125215, tiratura:224026)
Malattie vascolari, italiani in pole position
FLAVIO PEINETTI*
Le malattie vascolari arteriose periferiche, in genere dovute all'arteriosclerosi, sono in crescita esponenziale
nel nostro Paese per il costante incremento della vita media, delle malattie correlate (diabete, ipertensione,
ipercolesterolemia) e delle cattive abitudini (fumo, obesità, sedentarietà). Sono tra le prime cause di morte e
invalidità. Quelle venose, in genere le varici degli arti, le ulcere e le flebiti, sono ad altissimo impatto socioeconomico e causa di invalidità cronica. Le stime di spesa per cure dirette - per ricoveri - e indirette - per
terapie croniche e controlli - sono ingenti, tema questo sempre più attuale in periodo di spending review.
L'OMS ha posto la lotta contro le malattie vascolari tra gli obiettivi primari del nuovo millennio. Una speranza
viene dalle nuove tecnologie di trattamento dei pazienti, sempre meno invasive e innovative e a ricovero
breve e dalle nuove tecnologie di informazione e comunicazione in tempo reale (Network), sempre più
performanti. Per le prime (di trattamento) i centri di chirurgia vascolare endovascolare in Italia sono tra i primi
al mondo per qualità di processo e risultati. Per le seconde (di network) è appena iniziata la messa in Rete di
centri, strutture, operatori e istituzioni, che porterà a quella che alcuni sociologi definiscono come 'intelligenza
collettiva, distribuita ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, con mobilitazione
effettiva delle competenze'. Nel suo XII congresso nazionale in corso a Bari, presso Hotel Sheraton Nicolaus
fino all'8 ottobre, la Società Italiana di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare (SICVE) fa il punto, chiamando
a conclave i massimi esperti in chirurgia vascolare nazionale e internazionale e in specialità affini (neurologia,
flebologia, cardiologia interventistica, radiologia interventistica, anestesiologia, diagnostica vascolare, studio
delle malformazioni, studio delle ulcere, scienze infermieristiche). Tra l'altro vengono anche sperimentati i
nuovi mezzi di comunicazione digitale interattiva (SICVE 2.0 - stand espositivo) mediante APP, twitter,
facebook, web forum, web conference, cartelle web condivise, blog, e altri ancora. Interessante è anche il
contributo che portano le istituzioni (Ministero, Regioni, Agenas, Università, Assobiomedica e Alice,
associazione dei pazienti con cui SICVE firmerà un'intesa) in un interessante Talk Show proprio domani,
Lunedì 7 ottobre dalle 14.30 alle 16.00, al quale sono invitate anche le testate giornalistiche e a seguito del
quale il sottoscritto, presidente della SICVE, incontrerà i rappresentanti della stampa in una conferenza
prevista alle 16,15 presso la sede congressuale. * Presidente della Società Italiana di Chirurgia Vascolare ed
Endovascolare (SICVE)
Foto: Flavio Peinetti
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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A Bari il XII congresso della Società Italiana di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare
06/10/2013
Libero - Ed. nazionale
Pag. 26
(diffusione:125215, tiratura:224026)
Atrial Fibrillation Association e Boston Scientific collaborano contro il
rischio di ictus nel mondo
(D. C.)
La Atrial Fibrillation Association (AF-A) ha annunciato la collaborazione con Boston Scientific Corporation per
aumentare la consapevolezza sul disturbo del ritmo cardiaco più comune - la fibrillazione atriale - che
colpisce più di 71 milioni di individui nel mondo. Associata a un rischio elevato di insuff icienza cardiaca,
disfunzione cognitiva e morte prematura è la principale causa cardiovascolare dell'ictus, e ne determina un
aumento fino al 500%. L'annuncio è stato dato ad Amsterdam al congresso della European Society of
Cardiology (Esc) e mira a risolvere le inefficienze in termini di cura e trattamento della FA per ridurre
l'incidenza dell'ictus correlato a FA, attraverso un maggiore impegno di sensibilizzazione e informazione al
pubblico. «Siamo lieti di sviluppare questa collaborazione - ha detto la fondatrice e presidente della AF
Association, Trudie Lobban MBE - per aumentare la conoscenza dei rischi della FA e le opzioni terapeutiche
disponibili per la gestione dei pazienti affetti da FA che hanno già subito, o sono a rischio di subire, un ictus
correlato a FA. Riteniamo che questa sia un'alleanza innovativa che unisce il cuore e il cervello per stimolare
l'impegno comune sul fronte degli ictus invalidanti - e potenzialmente fatali - correlati alla FA, tre quarti dei
quali potrebbero essere evitati». «Continuiamo a sviluppare soluzioni tecnologiche per gestire l'ictus correlato
a FA - ha sottolineato il Global Chief Medical Officer di Boston Scientific, il dottor Keith Dawkins - Insieme,
speriamo di ridurre l'impatto di questa patologia sulla vita dei pazienti».
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Patologia che rappresenta il 2-3% della spesa sanitaria europea
06/10/2013
Il Secolo XIX - Genova
Pag. 21
(diffusione:103223, tiratura:127026)
«Kit per diabetici, risarcite 4,5 milioni»
La Corte dei conti ha chiesto la condanna per cinque ex direttori e dirigenti della Asl 3
GUIDO FILIPPI
LA STANGATA è servita e la sentenza è in arrivo. Si è concluso il processo della Corte dei conti a cinque
manager e dirigenti della Asl 3 (quasi tutti ex) che tra il 2006 e il 2008 hanno gestito la gara d'appalto delle
strisce per diabetici. Sono passati gli anni ma il tema è sempre attuale e da alcuni mesi se ne stanno
occupando i carabinieri del Nas, su delega del pubblico ministero Sabrina Monteverde che vogliono far luce
sul caso degli "aghi coreani". Nel frattempo con il calendario della magistratura contabile è arrivata al
dibattimento finale l'indagine che era stata portata avanti dalla Guardia di finanza. Il pubblico ministero
Gabriele Vinciguerra ha chiesto, a conclusione di una lunga requisitoria, quattro milioni e mezzo di danno
erariale al management che all'epoca aveva gestito la gara per tutta la Liguria. I cinque sono: Alessio Parodi
(ex direttore generale della Asl 3 e ora all'Evangelico di Castelletto e di Voltri), Francesco Quaglia (ex
responsabile amministrativo della Asl 3 e ora direttore dell'Agenzia regionale sanitaria), Giorgio Sacco (ex
direttore del Provveditorato della Asl 3 e da un anno al timone della Centrale regionale acquisti), Marco
Comaschi (ex direttore sanitario della Asl, poi primario del San Martino Ist e ora in pensione) e Mario Fisci
che aveva preso il posto di Comaschi e ora dirige la direzione sanitaria del Villa Scassi di Sampierdarena». Ai
cinque, assistiti dagli avvocati Piergiorgio Alberti e Luigi Cocchi, è stato contestato di aver acquistato le
strisce per i diabetici, trattando il prezzo direttamente con le ditte, senza una gara d'appalto. Sacco,
identificato come il regista della contestata operazione, rischia (se dovesse essere condannato) di dover
risarcire oltre un milione di euro. La Corte dei conti ha contestato, a tutti ma in misura diversa, il metodo e il
mancato rispetto delle procedure. L'indagine era partita da una denuncia interna e dopo mesi di scontri tra
Asl e Regione. L'allora direttore della Centrale acquisti Lionello Ferrando, deceduto nel novembre 2010, si
era rivolto al nucleo di polizia tributaria perché non riusciva ad acquistare i test e in contemporanea aveva
aperto un'inchiesta anche il pubblico ministero Paola Calleri e iscritto nel registro degli indagati per abuso
d'ufficio sette dirigenti, compresa la terza guidata da Renata Canini che, nel luglio 2008 aveva sostituito
Parodi al vertice della Asl 3. La requisitoria del pm Vinciguerra è stata seguita dalle difesa dei due avvocati
che hanno ricordato anche come si erano organizzate le altre Regioni per acquistare le strisce con tanto di
prezzi. La distinzione primaria è quella fra distribuzione «diretta», gestita in prima persona dalle Asl, e
«indiretta», comprensiva di rimborsi successivi. Ma l'elemento più importante è il costo d'ogni singola striscia,
pure questo suddiviso con criteri territoriali. La Liguria non sarebbe stata in una posizione particolarmente
critica, abbondantemente superata per esborso - fra le altre - da Friuli, Lombardia, Lazio, Marche, Piemonte.
Il prezzo medio nazionale era di 65 centesimi (Iva inclusa), mentre a Genova risultava di 0,437. Insomma il
management della Asl 3 aveva fatto risparmiare la Regione. Ora l'ultima parola spetta ai giudici della Corte
dei conti.
Foto: Alessio Parodi, ex direttore Asl 3
Foto: Marco Comaschi, ex direttore sanitario
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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L'AZIENDA SANITARIA AVEVA ACQUISTATO LE STRISCE SENZA GARA D'APPALTO. PROSEGUE
L'INCHIESTA SUGLI AGHI COREANI IL CASO
05/10/2013
Il Tempo - Roma
Pag. 1
(diffusione:50651, tiratura:76264)
Policlinico Tor Vergata al collasso
Erica Dellapasqua
Sino a 90 pazienti in un reparto che potrebbe ospitarne al massimo 16. Uomini e donne più o meno gravi in
barella in attesa, per diversi giorni, di un ricovero. Ecco la fotografia del pronto soccorso del Policlinico Tor
Vergata. I sindacati hanno presentato esposti a Regione e Nas, il Codici alla procura. a pagina 22 Malasanità
Singolare metodologia di ricovero al Policlinico Tor Vergata scoppia Al pronto soccorso in 90 al posto di 16 La
denuncia dei sindacati: pazienti in condizioni disumane Settanta pazienti, quando non novanta - nei giorni di
«punta» - all'interno di un reparto che potrebbe ospitarne al massimo sedici. Uomini e donne. In condizioni
più o meno gravi. Tutti assieme in attesa di un ricovero che, di norma, non arriva prima di diversi giorni
trascorsi su una barella. Dopo quella dell'Umberto I, diventata un caso nazionale, gli stessi sindacati che,
dall'interno, hanno il termometro della situazione denunciano una «nuova piazzetta», questa volta al
Policlinico Tor Vergata, in cui vengono stipati i malati in fila per un posto letto. Una «singolare metodologia di
ricovero, che fuori ogni ragionevole dubbio lede la dignità dell'essere umano», scrivono le Rsu, annunciando
un esposto alla Regione ed una denuncia al nucleo Nas dei carabinieri, mentre l'associazione Codici si
rivolgerà alla procura «per abbandono di incapaci». I sindacati, giorno e notte a contatto coi pazienti, partono
da un dato: «Dal momento della sua inaugurazione il pronto soccorso di Tor Vergata non ha mai funzionato,
ora però la situazione è davvero critica». Descrivono il quadro coi numeri: «Il reparto chiamato "Obì" dove
vengono trasferiti pazienti in attesa di ricovero, può ospitare al massimo 16 posti letto, ultimamente però sono
una settantina, con punte anche di 90: nelle 2 stanze da 2 letti sono ricoverati 10 pazienti in barella, 5 per
stanza, nelle altre 2 da 4 letti e nella piazzetta da 4 sono ricoverati 45 pazienti in barella, 15 in ogni stanza, 6
barelle per lato e 3 barelle nel centro, infine nella sala rossa con 4 postazioni sono ricoverati 7 pazienti, 3 per
lato e 1 al centro». Si aggiungerebbero poi «ulteriori ricoverati lungo il corridoio tra le porte tagliafuoco e in
ogni luogo possibile, arrivando anche a oltre 80 pazienti, sempre con lo stesso personale, caricato di lavoro».
«Giorni e giorni in barella - continuano - con bagni insufficienti per i fortunati che deambulano, e per gli altri
cure igieniche in totale condivisione con il resto dei degenti e del personale». Non ci sarebbe spazio neppure
per i paraventi, mentre «il mangiare viene poggiato dovunque: per terra, sulle ginocchia dei pazienti, sulle
barelle». Allo «sfogo» del sindacato, che finirà come detto anche sul tavolo delle forze dell'ordine, risponde
Isabella Mastrobuono, direttore sanitario di Tor Vergata: «La situazione è difficile ma non così drammatica,
come in tutti gli ospedali laziali abbiamo meno posti letto di quanti ci spetterebbero», in particolare al
Policlinico «60 in meno, situazione dovuta anche alla carenza di personale sanitario», mentre «la nostra area,
la Asl RmB, è quella con il minor numero di posti letto di tutto il Lazio, 1,8 per mille abitanti». È il Codici, del
resto, a confermare che non si tratterebbe di un caso isolato: «Tor Vergata spicca per il numero di utenti, ben
3.034, la cui permanenza al Pronto Soccorso è andata oltre le 48 ore - spiega il segretario nazionale di
Codici, Ivano Giacomelli, riferendosi ai dati raccolti tra gennaio 2012 e novembre 2012 - Situazioni al limite
sono anche al Sant'Andrea, con 1.790 utenti, e al San Camillo con 1.324». Nel caso specifico denunciato dai
sindacati Codici annuncia comunque un esposto alla procura «per abbandono di incapaci».
48 Ore Ben oltre la permanenza al pronto soccorso per i pazienti tanze Da 2 posti letto con 10 pazienti Sala
rossa al collasso
Foto: Sovraffolato Il pronto soccorso del Policlinico di Tor Vergata Gli esposti Alla Regione e ai Nas Il Codici
in Procura: è abbandono di incapace La direzione Pochi posti letto la situazione è difficile ma non così
drammatica
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Pronto soccorso Novanta pazienti in un reparto da sedici posti
05/10/2013
ItaliaOggi
Pag. 31
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Tabacco, Europa divisa sulle norme
Sono giorni decisivi per l'approvazione della direttiva sui prodotti del tabacco. Dopo aver rinviato già una volta
il voto a inizio settembre, il Parlamento europeo ci riprova la settimana prossima, in occasione della sessione
plenaria di Strasburgo, in una situazione di totale incertezza. Gli eurodeputati sono spaccati: S&D, Gue e
Verdi da un lato, a sostenere la proposta della Commissione Ue, e Ppe, Eld ed Ecr dall'altro, a spendersi per
una maggiore flessibilità delle norme. I liberali dell'Alde mèdiano probabilmente faranno da ago della bilancia.
Ieri, 16 ministri della salute europei (Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Lettonia, Irlanda, Francia, Gran Bretagna,
Spagna, Finlandia, Grecia, Olanda, Ungheria, Malta, Svezia e Slovenia) hanno firmato una dichiarazione
comune che auspica un'accelerazione dei tempi di approvazione in Parlamento per arrivare all'approvazione
definitiva della direttiva «entro la fine dell'anno». Gli stati ricordano che la direttiva è «coerente con la
convenzione quadro sul tabacco dell'Organizzazione mondiale della Sanità, di cui i membri dell'Ue sono
firmatari». Per iniziare il confronto interistituzionale e completare l'iter legislativo, in effetti, manca il
pronunciamento dell'Europarlamento. I ministri della salute hanno già definito una posizione comune il 21
giugno scorso, con i messaggi anti-fumo che dovranno coprire il 65% dei pacchetti e la proibizione della
vendita delle sigarette aromatizzate, come quelle al mentolo. La proposta iniziale della Commissione,
presentata a fine 2012 per sostituire la legislazione vigente (direttiva 37/2001/CE), prevede il bando degli
additivi di ogni genere, lo stop alle aromatizzate e alle «slim», con gli avvisi anti-fumo che dovrebbero arrivare
a coprire il 75% dei pacchetti e nuovi limiti sul contenuto di nicotina, condensato e monossido di carbonio,
oltre a un nuovo sistema di tracciabilità per limitare il contrabbando. Secondo la proposta dell'esecutivo i
prodotti contenenti nicotina, come le sigarette elettroniche, dovrebbero recare avvertenze relative alla salute
e, superata una certa doglia di nicotina, essere autorizzate e vendute solo come medicinale. Martedì
Strasburgo voterà sulla proposta di abbassare la copertura dei pacchetti con messaggi anti-fumo al 50%,
l'Alde non vuole limitazioni sulle sigarette elettroniche, Ppe ed Eld hanno presentato emendamenti contro le
restrizioni sull'uso di additivi e contro i tetti su nicotina, condensato e monossido di carbonio.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Nuova direttiva, è scontro sui divieti
05/10/2013
QN - La Nazione - Firenze
Pag. 7
(diffusione:136993, tiratura:176177)
Incognita Serristori. Ma Cgil e Cisl non scioperano
UN PRESIDIO per il territorio, con un pronto soccorso per le urgenze, ma anche con letti destinati a ricoveri
di lunga degenza, in modo da offrire continuità assistenziale e cure intermedie ai residenti e in particolare agli
anziani di Figline Valdarno. E' così che Cgil e Cisl vedono il futuro dell'ospedale Serristori, che attualmente
occupa circa 200 persone. Una struttura da riorganizzare e da modernizzare per rispondere alle esigenze di
salute, sicurezza e assistenza di chi vive nella zona. «Non chiediamo meno di altri ad Asl e Regione
Toscana, chiediamo di più. Vogliamo che la politica si prenda la responsabilità di scelte chiare, da fare nei
tempi giusti. Nella difficile e confusa discussione, vogliamo sapere cosa se ne vuol fare dell'ospedale»,
sottolineano Mario Batistini (Cgil) e Fabio Franchi (Cisl). I sindacalisti propongono anche di individuare degli
specifici ambiti e settori, anche di alta specializzazione, che possano rendere attrattivo, e quindi rilanciare, il
Serristori. «Regione, Asl e Comune - aggiungono Cgil e Cisl - devono inoltre trovare una posizione comune
sulla questione e costruire le condizioni per un confronto partecipativo nel quale siano coinvolti i cittadini. Su
questi temi, infatti, le scelte non possono essere esclusivamente manageriali». A conti fatti, insomma, per
fare diventare il Serristori «un ospedale del 2014», non è possibile lasciarlo così com'è, serve ridisegnarlo, sul
territorio. Per questo le due sigle non aderiscono allo sciopero nazionale e alla manifestazione indetta dai
Cobas che partirà lunedì pomeriggio dall'ospedale per dire no allo smantellamento della struttura. mo.pi.
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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FIGLINE VALDARNO IN BALLO IL DESTINO DELL'OSPEDALE: «RESTINO PRONTO SOCCORSO E
RICOVERI»
07/10/2013
La Repubblica - Affari Finanza - N.32 - 7 ottobre 2013
Pag. 34
(diffusione:581000)
QUEST'INNOVAZIONE STA RIVOLUZIONANDO LA VITA IN MODO MOLTO PIÙ RADICALE DI QUANTO
NON IMMAGINIAMO. NON C'È PIÙ SOLO L'AGGIORNAMENTO PERENNE DELLA RUBRICA DEL
CELLULARE, MA CAMBIERÀ ANCHE L'INDUSTRIA
Paola Jadeluca
Roma Charles Assisi, giornalista di Forbes in India, racconta in un articolo ripreso da Internazionale come sta
ricostruendo la sua memoria con l'aiuto del computer e di software che immagazzinano dati. «Il primo
strumento che mi è capitato per le mani e anche il più potente - scrive Assisi - è un software chiamato
Evernote. In sintesi si tratta di un programma per prendere appunti, ma con capacità molto avanzate. Mi
permette di creare delle cartelle e di archiviare ogni cosa sia sul computer sia sulla nuvola. In pratica tutte le
informazioni di cui voglio tenere traccia sono a mia disposizione in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. A
fine giornata, anche se sono stanco, mi prendo un po' di tempo per scrivere un appunto su tutto quello che è
successo nelle ultime 24 ore. Quello che scrivo finisce in una cartella chiamata "appunti per me". Quando mi
va faccio un file audio o un video. Tutte le volte che capito in un posto o incontro una persona, scatto delle
foto di nascosto con il mio BlackBerry e le invio per email sul mio account Evernote». Benvenuti nel mondo
del cloud computing. Un'innovazione tecnologica che sta rivoluzionando la nostra vita quotidiana in maniera
silenziosa, ma in modo molto più radicale di quanto non immaginiamo. Funziona grazie al cloud computing
anche l'aggiornamento perenne della rubrica del cellulare, che una volta memorizzata sulla nuvola dialoga
con il nostro smartphone o col computer per sincronizzare i nuovi numeri senza che ce ne rendiamo conto.
Non solo. Il cloud ha risolto anche il problema del passaggio della rubrica da sistemi diversi, come BlackBerry
e Samnsung. Pratico, ma anche utile. Il cloud computing si rivela particolarmente efficace nel mondo
sanitario. Come testimonia la nuova piattaforma OpenPediatrics, questo il nome, che consentirà lo scambio di
conoscenze mediche sulle cura dei piccoli bambini in tutto il mondo. La mancanza di competenze mediche,
provoca ogni anno la morte per polmonite, diarrea e malaria di quasi 7 milioni di bambini sotto i 5 anni,
nonostante la disponibilità di medicine salvavita. La nuova piattaforma, presentata da Ibm e dal Boston
Children's Hospital sarà utilizzata per formare medici e infermieri che potranno accedere a simulazioni
d'avanguardia, seminari video e illustrazioni in tempo reale, per il trattamento dei casi più difficili. I campi di
applicazione sono immensi. Persino la Cia e il dipartimento della Difesa Usa scavano trincee sulla Nuvola e
sono previsti più di un milione di dollari di investimenti in questo ambito. Ancora tutte aperte le strade da
esplorare nel mondo del business. Una delle innovazioni riguarda la "catena di montaggio" e la filiera
produttiva. Secondo un recente rapporto McKinsey nei prossimi anni il cloud computer potrebbe ridisegnare il
profilo dell'industria manifatturiera mondiale. Si potrà realizzare un unico prodotto in network: design in Corea,
sviluppo in Italia, vendita dalla Cina. Giuseppe Padula, docente di Progettazione assistita da calcolatore
all'Università di Parma, studia questa nuova frontiera, quale esponente italiano di un progetto pilota avviato
da un consorzio di atenei europei e di aziende manifatturiere. Obiettivo: rendere possibile l'uso, da parte di
chiunque nel mondo, di alcuni costosi programmi di supporto alla progettazione, come Cad, Cae o Cam, e di
macchinari a controllo numerico. Una sorta di condivisione via Rete. Tutto girerà su una piattaforma pilota
cloud. L'idea è di consentire agli addetti di una società coreana piuttosto che francese, di collegarsi online e
di realizzare tutto il ciclo produttivo: dal disegno, per esempio, di una suola di scarpe fino alla sua consegna a
domicilio. In un recente studio pubblicato da Gartner, metà delle grandi company passerà al cloud computing
ibrido, ovvero il cloud misto pubblico-privato. Il cloud privato è quello costituito con server di proprietà interna
all'azienda o a un consorzio di aziende. Il cloud pubblico, invece, è come un'auto a noleggio, la si paga e usa
quando serve. Il cloud ibrido, dunque, è una soluzione intermedia dove l'infrastruttura è mantenuta sia dal
privato che dal provider che penserà a far interfacciare le due infrastrutture. Tre anni fa, raccontano gli
analisti di Gartner, le grandi organizzazioni avevano poco cloud privato, ma erano tutte molto intenzionate a
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Dall'archivio alle terapie sanitarie dacci la nostra nuvola quotidiana
07/10/2013
La Repubblica - Affari Finanza - N.32 - 7 ottobre 2013
Pag. 34
(diffusione:581000)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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svilupparlo. E così hanno fatto. Oggi succede lo stesso per il cloud ibrido: è ancora poco sviluppato, ma
l'aspirazione alla migrazione è alta. Un passaggio quasi obbligato per molti gruppi. «Troppo spesso i progetti
di cloud privato hanno preso piede partendo dalla scelta di una tecnologia», spiega Thomas Bittman, vice
presidente a analisti tra i più famosi di Gartner. Spiega Bittman: «La tecnologia in sé non risolve la
trasformazione delle persone e la questione dei processi. E' molto meglio focalizzarsi prima su un approccio
ai cambiamenti. Il cloud privato è una leva per diffondere il cloud, ma non è appropriato a tutti i servizi. Molti
cloud sono partiti su progetti piccoli e poi sono rimasti intrappolati nella tecnologia di partenza che magari non
si presta a tutti i servizi. Meglio allora scegliere una tecnologia che offra spazi per l'espansione e, soprattutto,
capacità di interoperabilità nel futuro, in termini di cloud ibrido». Insomma, il passaggio tra il controllo al
coordinamento.
7 milioni La mancanza di competenze mediche, provoca ogni anno la morte per polmonite, diarrea e malaria
di quasi 7 milioni di bambini sotto i 5 anni, nonostante la disponibilità di medicine salvavita. La nuova
piattaforma è presentata da Ibm e dal Boston Children's Hospital LE VITTIME SOTTO I CINQUE ANNI
Il cloud privato è una leva per diffondere il cloud, ma non è appropriato a tutti i servizi. Molti cloud sono partiti
su progetti piccoli e poi sono rimasti intrappolati
Il cloud, secondo Ibm, va visto come fenomeno a largo spettro: permette flessibilità e aggiunge efficienza non
solo ai processi It ma a tutti i processi di business di un'azienda. E' un passaggio che negli Stati Uniti è stato
già superato
Foto: Agenda, video note, tutto può essere archiviato in remoto e ripescato da qualsiasi device in qualunque
posto
07/10/2013
Corriere Economia - N.32 - 7 dicembre 2013
Pag. 29
Il complicato paracadute dei medici
R. E. B.
L a malasanità rappresenta un allarme sociale, costa miliardi di euro e richiede una soluzione di sistema.
Stanno aumentando le richieste di risarcimento verso i medici, per errori veri o presunti. I sanitari più a rischio
hanno molte difficoltà a trovare coperture assicurative, e comunque, i premi possono arrivare a livelli
insostenibili. La denuncia è venuta dal Cineas, un consorzio universitario che si occupa di cultura del rischio,
in un convegno che si è tenuto nei giorni scorsi a Milano. «Secondo stime del Cergas Bocconi - spiega Adolfo
Bertani, presidente di Cineas - la medicina difensiva attiva, cioè la prescrizione da parte dei medici di esami
inutili per cautelarsi da richieste di risarcimento costa 13 miliardi di euro, il 9% della spesa sanitaria. Il 26%
dei medici ha dichiarato inoltre di aver rifiutato determinati trattamenti per pazienti considerati a rischio. Le
compagnie stanno scappando da questo settore, in cui perdono moltissimo».
La gravità del problema anche sul fronte assicurativo è confermata dallo slittamento di un anno, all'agosto
2014, della copertura obbligatoria di Rc professionale per il personale sanitario che, invece, a metà agosto è
scattata per le altre categorie di professionisti. «I medici continuano a essere criminalizzati in modo
eccessivo: per qualunque addebito devono dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno - è la
denuncia di Marino Longoni, vicepresidente di Acoi (Associazione chirurghi ospedalieri italiani) -. L'operato
del chirurgo, inoltre, dovrebbe essere valutato da un suo collega, e non per esempio da un dentista, come
invece può avvenire. E anche per i liberi professionisti i premi sono elevati».
«I medici hanno ragione a lamentarsi per l'elevato costo delle coperture - sostiene Roberto Manzato, direttore
centrale vita, danni e servizi dell'Ania -. In realtà, il problema riguarda solo le specialità considerate più a
rischio; per le altre i premi sono sostenibili. Per contenere il costo delle polizze, bisogna rivedere il concetto di
colpa e approvare la tabella unica per le lesioni gravi, oltre i dieci punti d'invalidità permanente».
Sono finalizzate a contenere il costo dei risarcimenti, e quindi quello delle polizze, le proposte elaborate dal
Cineas insieme a esponenti del mondo assicurativo e delle varie associazioni di categoria dei medici.
«Bisogna operare su tre aree - sottolinea Bertani -. In primo luogo sulla prevenzione del rischio clinico,
attraverso l'introduzione obbligatoria in tutte le aziende sanitarie del manager incaricato di gestire i rischi.
Bisogna adottare la tabella nazionale per le lesioni gravi e, a livello penale, pensare a misure per
disincentivare il ricorso al processo come via per ottenere il risarcimento».
RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Associazioni Roberto Manzato (Ania)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Sanità
07/10/2013
Corriere Economia - N.32 - 7 dicembre 2013
Pag. 30
Professionisti A caccia di 300 mila polizze
Solo il 50% ha sottoscritto la copertura di responsabilità civile. Il nodo dei premi e dei risarcimenti
ROBERTO E. BAGNOLI
Q uasi la metà del bacino potenziale è già coperta: resta al palo l'area decisamente più critica, la sanità, dove
la situazione è allarmante. A quasi due mesi dall'entrata in vigore dell'assicurazione obbligatoria di Rc
professionale, scattata il 13 agosto scorso, il mercato si sta gradualmente costruendo.
Business aperto
Dall'obbligo sono rimasti fuori, per il momento, gli operatori della sanità (un milione fra medici, veterinari,
psicologi e farmacisti), e i circa 210 mila avvocati. Per i primi, che costituiscono l'area più numerosa, l'obbligo
è stato prorogato di un anno, all'agosto 2014, perché il ministero della Salute non ha predisposto le linee
guida previste dal decreto Balduzzi.
Per i secondi, invece, lo slittamento è legato al progetto di riforma dell'Ordine. «Esclusi gli avvocati e gli
operatori della sanità, l'obbligo è scattato per circa 700 mila professionisti iscritti a una ventina di Ordini spiega Maurizio Ghilosso, amministratore delegato di Dual Italia, compagnia che opera esclusivamente nel
mercato dell'Rc professionale -. Si stima che circa la metà degli operatori non abbia ancora stipulato una
copertura. Togliendo i dipendenti degli studi professionali, che non sono obbligati ad assicurarsi, vi sono circa
300 mila nuove polizze da sottoscrivere».
Il mercato è sotto pressione. «L'introduzione della copertura obbligatoria ha portato a un ampliamento delle
garanzie e a una riduzione delle tariffe - dice Ghilosso - e, di fronte all'andamento dei sinistri, questa
tendenza creerà uno squilibrio tecnico. L'obbligatorietà della copertura, inoltre, a causa della crisi economica
e della litigiosità degli italiani, determinerà un ulteriore incremento delle richieste d'indennizzo da parte dei
clienti».
Lo stato dell'arte sull'Rc professionale è stato fatto, nei giorni, scorsi, a un convegno organizzato da Aon, il
maggiore broker assicurativo italiano, intermediario leader del settore, in collaborazione con lo studio legale
Ferraro Giove e associati e Asla (Associazione studi legali associati).
«Per la prima volta tutti i principali Ordini si sono riuniti insieme al mercato assicurativo - afferma Giorgio
Moroni, consigliere di amministrazione di Aon -. Con la presenza dei principali liquidatori di sinistri e degli
studi legali, per un incontro di tipo operativo».
I dubbi
La materia presenta ancora alcuni punti interrogativi, come l'assenza di sanzioni chiare e uniformi per chi
viola la norma e la mancata previsione, in capo agli assicuratori, della reciprocità dell'obbligo a contrarre: in
sostanza, i professionisti devono avere una copertura, ma le compagnie non sono tenute a prestarla.
«Quello dell'Rc professionale è un mondo tutt'altro che omogeneo, con bisogni diversi e complessi - sostiene
Marco Dalle Vacche, managing director di Aig Europe -. La sfida per il futuro è abbattere ulteriormente il
prezzo della polizza attraverso convenzioni che catturino intere platee di rischi omogenei, con una
distribuzione tecnologicamente sofisticata e meno costosa e, soprattutto, assicurare tutti sulla base della
mutualità dei rischi, applicando eventualmente dei correttivi».
«Non si può che salutare con soddisfazione l'introduzione dell'obbligo assicurativo - sostiene dal canto suo
Massimo Mellacina, coordinatore commissione assicurazioni del Consiglio nazionale dei dottori
commercialisti ed esperti contabili -, ma vi sono difficoltà applicative che derivano dalla normativa.
Quest'ultima, infatti, prevede che la mancata stipula della polizza costituisce una violazione deontologica ma
non impone al professionista di comunicare gli estremi della polizza all'ordine di appartenenza, lasciando
incertezza sull'attività di vigilanza che quest'ultimo deve svolgere. Inoltre, chi stabilisce se una copertura è
idonea, come richiede la norma?».
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Bilanci Un anno di tempo in più nella sanità, anche gli avvocati restano in panchina. L'alternativa delle
convenzioni con gli Ordini
07/10/2013
Corriere Economia - N.32 - 7 dicembre 2013
Pag. 30
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Aon gestisce le convenzioni con i rispettivi Ordini per le polizze di Rc professionale per notai (i primi a partire,
sin dal 1999), commercialisti, agronomi e dottori forestali e spedizionieri doganali.
www.iomiassicuro.it
RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Il confronto
Foto: La crescita del settore assicurativo nel mondo nel 2012
Foto: Medici Alberto Oliveti, è presidente dell'Enpam
05/10/2013
Gente - N.42 - 15 ottobre 2013
Pag. 90
(diffusione:372741, tiratura:488629)
Troppi antibiotici e il germe se la ride
l'italia è tra i maggiori consumatori d'europa. «ma è un impiego inappropriato», spiegano i medici. «il rischio?
creare super batteri aggressivi e resistenti»
Francesco Gironi
Siamo tutti un po' come Gus Portokalos, il patriarca del film Il mio grosso grasso matrimonio greco : lui usava
un detersivo per curare tutto, anche le punture delle zanzare, noi un antibiotico. Hai un raffreddore?
Antibiotico. Mal di gola? Antibiotico. Cistite? Antibiotico. Ogni giorno ne consumiamo 21,1 dosi ogni mille
abitanti e, secondo il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, fanno peggio di noi solo
Grecia, Francia e Belgio. Il fatto è che non ne avremmo bisogno: "L'impiego inappropriato di antibiotici supera
il 20 per cento in tutte le condizioni cliniche", scrive l'Agenzia italiana del farmaco nel Rapporto sullo stato di
salute degli italiani. In altre parole, ne usiamo troppi e male. Sempre secondo il rapporto dell'Aifa, l'uso
sbagliato di antibiotici riguarda soprattutto le infezioni delle vie respiratorie (48,6 per cento dei casi). L'errore?
«Curare il virus di un'influenza con un antibatterico», sintetizza Giuseppe Ippolito, direttore scientifico
dell'Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Spallanzani. «L'effetto è quello di uccidere i germi presenti nel
nostro organismo che, come nel caso di quelli della flora intestinale, ci aiutano a eliminare dall'intestino i
germi con i quali veniamo a contatto», spiega ancora Ippolito; la loro "scomparsa" altera gli equilibri
dell'organismo, favorendo la proliferazione di germi pericolosi per noi. «È per questo motivo, ad esempio, che
viene raccomandato l'uso di probiotici per ricostruire la flora intestinale e non solo», aggiunge Ippolito. C'è di
più. Secondo uno studio dell'Università dello Utah, quando i medici li prescrivono, in più del 60 per cento dei
casi scelgono i "più forti", quelli cosiddetti ad ampio spettro, che sono in grado di uccidere più tipi di batteri. La
stessa Aifa avverte: "Troppi antibiotici favoriscono l'insorgenza di resistenze batteriche". E infatti un rapporto
del Centro di Controllo e Prevenzione delle Infezioni, un'agenzia statunitense, rivela come ogni anno solo
negli Usa sono due milioni i pazienti che contraggono infezioni che sono resistenti agli antibiotici
normalmente prescritti. «Il nostro livello di consumo è assai vicino a quello statunitense», dice Ippolito.
Insomma, c'è di che preoccuparsi. All'ultimo congresso della European respiratory society è stata presentata
una nuova strategia per la prescrizione degli antibiotici che potrebbe ridurre i danni al paziente e l'aumento
della resistenza alla terapia. Per cominciare basta poco. Un altro studio pubblicato sul British Medical Journal
dall'italiano Giulio Formoso dell'Azienda ospedaliera di Modena ha rivelato come, anche con una semplice
campagna d'informazione presso ambulatori medici e farmacie, si sia riusciti a ridurre di oltre il 4 per cento il
consumo di antibiotici tra Modena e Parma. Senza rischi per i cittadini. Lo dimostra anche una notizia che
arriva dall'Università di Amsterdam: il 70 per cento delle donne con sintomi di cistite (37 per cento di casi di
uso inappropriato di antibiotici) che hanno preferito un antidolorifico o addirittura non fare nulla, nell'arco di
una settimana sono guarite o hanno comunque testimoniato un miglioramento. l
il parere del pediatra
i bambini corrono più rischi un raffreddore per un bambino significa niente asilo. Così, al primo starnuto, si
finisce con il chiedere al medico un antibiotico. «esiste la convinzione che l'antibiotico possa guarire
prontamente le malattie infettive dell'infanzia», spiega alessandro Ballestrazzi, presidente della Federazione
italiana medici pediatri. «ma la maggioranza delle malattie che colpiscono i bambini sono provocate da
virus», aggiunge. il punto è che nei più piccoli è più alto il rischio di "creare" una generazione di batteri
resistenti. «già oggi negli anziani si trovano germi multiresistenti», dice ancora Ballestrazzi. ancor più nei
piccoli, quindi, dosi e tempi di prescrizione vanno seguiti alla lettera. e soprattutto vanno protetti dagli "effetti
collaterali" del medicinale, per esempio somministrando fermenti lattici, che riducono i rischi di diarrea.
Foto: oltre 20 doSi oGni Giorno nel 2012 sono state assunte 21,1 dosi di antibiotico al giorno ogni mille
italiani. Anche se si registra una diminuzione, restiamo tra i maggiori consumatori di questi farmaci.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
salute l'allarme dell'agenzia italiana del farmaco
05/10/2013
Gente - N.42 - 15 ottobre 2013
Pag. 90
(diffusione:372741, tiratura:488629)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Foto: "dipendiAmo" dAlle pillole Un dettaglio di una delle opere più celebri dell'artista inglese damien Hirst:
The void (il vuoto). lo scaffale colmo di pillole rappresenta la nostra dipendenza dai medicinali. nel 2012 gli
italiani hanno acquistato 1,8 miliardi di confezioni di medicinali.
Foto: non serve a guarire prima molti genitori sono convinti che ai primi sintomi di influenza l'antibiotico porti a
una più rapida guarigione: sbagliano!
05/10/2013
Gente - N.42 - 15 ottobre 2013
Pag. 96
(diffusione:372741, tiratura:488629)
Aiuto, fermAte l'Assedio di stAminA
centralini impazziti, ricorsi al GiuDice, reparti pieni. «siamo al limite», aVVerte il commissario Dell'azienDa
sanitaria
francesco Gironi
Prima di spiegare perché nei giorni scorsi ha dipinto la situazione del suo ospedale come «un girone
dantesco», Ezio Belleri, commissario straordinario degli Spedali civili di Brescia, scandisce una premessa:
«Dietro ogni persona che si rivolge a noi ci sono drammi e sofferenze, lo sappiamo, ma abbiamo raggiunto il
limite di saturazione; diversamente, rischieremmo di venir meno alla nostra missione primaria, quella di
un'azienda ospedaliera con più di 80 reparti, circa 2 mila posti letto e 76 mila ricoveri l'anno». A mettere
Brescia nell'occhio del ciclone è la "terapia con cellule staminali mesenchimali", come si legge sui faldoni
degli uffici amministrativi. Il metodo Stamina, come invece da due anni lo conosce l'Italia. Breve riassunto:
Davide Vannoni sostiene di aver elaborato un metodo per utilizzare cellule staminali ottenendo tessuti di
fegato, pancreas, pelle, cornee, cellule cardiache e nervose e curare così molte gravissime patologie;
secondo la comunità scientifica, il metodo non avrebbe alcuna validità; tra mille polemiche, si arriva alla
decisione del Parlamento di sperimentare il metodo Stamina con uno stanziamento di 3 milioni di euro; da
ultimo, la bocciatura da parte del comitato scientifico che avrebbe dovuto valutare il protocollo proposto da
Vannoni. «Sarei stata lieta di annunciare a tante famiglie che la nuova speranza in questa cura era fondata.
Purtroppo non è così», ha detto il ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Ebbene, era proprio il nosocomio
bresciano l'unico in Italia a essere autorizzato a somministrare la cura, almeno fino al maggio del 2012,
quando l'Agenzia italiana del farmaco vietò proprio agli Spedali di Brescia di proseguire con il metodo. Tutto
finito? Affatto. Il copione che si ripete lo racconta lo stesso Belleri: «Riceviamo centinaia di richieste
telefoniche e forniamo alle famiglie tutte le indicazioni per sottoporre le domande di cura alle quali, però, la
legge ci impone di rispondere negativamente; a questo punto scattano i ricorsi». Un ginepraio di carte bollate,
costato finora circa 180 mila euro per spese legali, che si traduce in 123 pazienti in lista di attesa, 41 che
dovranno essere sottoposti alla cura, ma le staminali andranno "preparate" in un'altra struttura ancora da
individuare, 118 richieste respinte (l'ultima dal tribunale di Pavia mercoledì 2 ottobre), altri 70 in attesa di
sentenza. Infine, i 36 pazienti che stanno completando il "trattamento", con le cinque inoculazioni previste.
«Ma tra coloro che lo hanno già completato, c'è chi ha già avviato i ricorsi per poterla proseguire», aggiunge
Belleri. Il punto è che non si tratta di una semplice serie di iniezioni. «Il paziente può restare "in carico"
all'ospedale anche per un anno», precisa Belleri. «Il laboratorio è impegnato per la preparazione delle cellule
21 giorni al mese con gli operatori di Stamina presenti almeno 3-4 giorni alla settimana», calcola il
commissario. Sì, perché sono i biologi di Stamina Foundation gli unici a conoscere il protocollo per la
produzione delle cellule, «ed è evidente che nel momento in cui il laboratorio deve dedicare una parte
importante del suo tempo a Stamina, non può fare altro». A tutto ciò bisogna aggiungere i giorni di ricovero
nei reparti di rianimazione o in quelli di neuropsichiatria. Questo però, sottolinea Belleri, «non significa che
siano aumentati i tempi di attesa per gli altri pazienti. I nostri operatori si sono sacrificati e stiamo tamponando
i momenti di difficoltà con il lavoro straordinario». Ma non sono stati ancora completati i calcoli di quanto tutto
ciò intacchi i bilanci dell'azienda ospedaliera. Non si potrebbero dirottare i pazienti in altri centri? «I malati
chiamano noi perché eravamo l'unico centro che aveva avuto esperienza in tale terapia, i ricorsi sono contro
di noi e i giudici ci obbligano», chiarisce Belleri. D'altronde, visto quanto sta accadendo, c'è da immaginare
che pochi ospedali sarebbero disposti a prendersi questa gatta da pelare. Se solo Brescia non avesse
sottoscritto l'accordo con Stamina Foundation... «Ho riletto la documentazione e formalmente era
ineccepibile», risponde Belleri, «ma si parlava di 12 pazienti». Oggi ci sono 388 faldoni, per altrettanti
pazienti. E una cura che, secondo il comitato scientifico dell'Istituto superiore di sanità, non avrebbe alcuna
consistenza. francesco gironi
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
l'ospedale di brescia paralizzato dalle richieste per il metodo vannoni
05/10/2013
Gente - N.42 - 15 ottobre 2013
Pag. 96
(diffusione:372741, tiratura:488629)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Foto: per la scienza non funziona Davide Vannoni, 46 anni, a capo di stamina foundation. il suo metodo di
cura con cellule staminali è stato bocciato dal comitato scientifico del ministero della sanità.
Foto: decine in attesa di questa cura Brescia . ezio Belleri, 51 anni, commissario straordinario degli spedali
civili di Brescia, unica struttura in italia dove si pratica il metodo stamina per gravi malattie neurodegenerative.
ci sono 123 pazienti in attesa di essere sottoposti al ciclo di cure con le staminali (foto grande).
04/10/2013
Il Venerdi di Repubblica - N.1333 - 4 ottobre 2013
Pag. 31
(diffusione:687955, tiratura:539384)
AI MEDICI BRASILIANI PROPRIO NON PIACCIONO QUELLI CUBANI
NELLE INTENZIONI DELLA ROUSSEFF I CAMICI BIANCHI DELL'ISOLA DOVREBBERO INTEGRARE LO
SCARSO SISTEMA SANITARIO LOCALE
Tiziano Fusella
si è concluso in questi giorni l'«addestramento» di tre set) timane del pi-imo contingente partito da Cuba con
destinazione Brasile. Non si tratta di militari bensì di medici, anche se un elmetto ci vorrebbe, visto il
polverone alzatosi al loro arrivo. H gruppo di cubani è stato accolto con i fischi al grido di «schiavi» lanciato
dai medici brasiliani. Un giornale di San Paolo, Folha, ha pubblicato il video dell'episodio e di certo la
presidente Dilma Rousseff sarà trasalita nel vederlo. «I medici brasiliani dimostrano un immenso pregiudizio»
ha dichiarato. Il suo ministro della salute, Alexandre Padilha, è perfino più duro: «Quanto accaduto è brutale.
Incita al pregiudizio e alla xenofobia». E come dargli torto. Il programma Mais Médicos fu annunciato all'inizio
del 2012 con le migliori intenzioni: aiutare lo scadente sistema sanitario brasiliano (1,8 medici su 1000
abitanti contro i 3,2 della vicina Argentina) dove peraltro in questi ultimi giorni il bassissimo tasso di umidità,
specie nel sud, ha fatto registrare un picco di malattie respiratorie e di chiamate al pronto soccorso.
L'ostinazione dei medici brasiliani, che non gradiscono interferenze cubane, si è placata solo in parte. «I fischi
erano rivolti ai gestori del corso, e lo "schiavo" serviva a proteggere i cubani da chi li sottomette» ha tentato di
difendersi José Maria Pontes, presidente del sindacato sanitario brasiliano. Il programma prevede
l'importazione di 4000 camici bianchi cubani, in tre anni, pagati 4200 dollari al mese, da versare alle casse
dell'Avana che a sua volta pagherà gli stipendi ai medici. «Chi ci sottomette è la salute dei pazienti» ha
commentato uno di loro. «Siamo qui per lavorare, soprattutto in quelle zone dove i medici brasiliani non
vanno». •
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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esteri
04/10/2013
Il Venerdi di Repubblica - N.1333 - 4 ottobre 2013
Pag. 46
(diffusione:687955, tiratura:539384)
VENTI CHILOMETRI DI VELENI: COSI SI UCCIDE UN TERRITORIO
PIÙ DI DUECENTO ETTARI ATTORNO ALL'EX RESIT, LA DISCARICA DI GIUGLIANO. DOVE LA
CRIMINALITÀ HA SEPOLTO OGNI TIPO DI RIFIUTI. LA BONIFICA? IMPOSSIBILE
Marcella Maresca
APOLI. «Lo sai che ci sta qua sotto? I debiti». Nel film Gomorra, Toni Servillo pronuncia questa battuta
davanti a una campagna cui non è difficile dare un nome. È l'area di 220 ettari attorno alla Resit, la discarica
di Giugliano in Campania, tra Napoli e Caserta. Da vent'anni, ha raccontato il pentito Carmine Schiavone, si
seppelliscono qui i rifiuti legalmente e illegalmente sversati da tutta Italia. Quei debiti contratti con la terra non
sono più saldabili. Il referto è dell'Istituto superiore della Sanità: impossibile bonificare. Un'area grande quanto
2.600 campi di calcio è «morta» per avvelenamento da rifiuti tossici e i cittadini campani assistono all'agonia
del territorio. Ne hanno fatto anche un funerale pubblico, con i giovani vestiti di nero in corteo attraverso il
centro della vicina Aversa. «È un lutto esistenziale» spiega l'oncologo Antonio Martella. «È come se un
giorno scoprissi che tua madre è malata e può ucciderti. Peggio ancora, scopri che tuo padre lo sa e non fa
nulla per proteggerti». Dati alla mano, nelle province di Napoli e Caserta l'aumento dei tumori è in
controtendenza rispetto al trend nazionale: ci si ammala dal 15 al 45 per cento in più che nel resto d'Italia.
Paradossale, perché sono le province più giovani del Paese. Don Maurizio Patriciello raccoglie le storie di chi
vive qui, tra la discarica e i campi di mele annurche, specialità locali: piccole mele schiacciate dal colore
intenso che maturano a terra. Racconta di Filomena, giovane mamma intervistata dalle Iene. Non ce la farà a
vedere la puntata, quando andrà in onda, perché è morta pochi giorni fa, di tumore. C'è chi parla già di un
effetto Chernobyl. Il commissario di governo, Mario Di Biase, ha confermato che urge una riconversione no
food per mettere in sicurezza l'area. Tuttavia ha dichiarato che frutta e ortaggi non sembrano essere stati
intaccati dalle sostanze cancerogene, per ora. Dall'altro lato, i comitati civici chiedono da uscire di uno stato
d'emergenza permanente, che in passato ha consentito violazioni e abusi. La questione va al di là del
dibattito inceneritore si/inceneritore no: a Giugliano, ad esempio, non è mai partita la raccolta differenziata,
nonostante ci sia tutta l'impiantistica necessaria. Nell'aprile 2013 il terzo Comune più popolato della
Campania è stato sciolto dal ministro degli Interni per infiltrazione mafiosa. «La gravita della situazione
dell'area Resit è pari a quella dell'Uva di Taranto». Raffaele Cantone, giuglianese, magistrato al Massimario
della Cassazione, prova inquietudine e indignazione. «È vergognoso che i riflettori si accendano sulla
questione a intermittenza. I cittadini hanno diritto alla chiarezza sul territorio in cui vivono, e al momento non
mi sembra che sia stata fatta. Le responsabilità sono giudiziarie, della camorra e anche di alcuni imprenditori
non solo locali. C'è chi ha assistito a questo scempio in silenzio, per connivenza, paura o ignoranza. Politici e
istituzioni, infine, potevano sollevare la questione e non l'hanno fatto o non l'hanno fatto abbastanza». •
Foto: Sopra, eco balle a Giugliano. A destra, Don Patriciello e Cannine Schiavone
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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ITALIA
04/10/2013
Il Venerdi di Repubblica - N.1333 - 4 ottobre 2013
Pag. 59
(diffusione:687955, tiratura:539384)
Ora lo chef è a fumetti e insegna ai bambini a combattere il diabete
Gambadilegno che rinuncia ad una saporita fetta di torta. Nonna papera che cucina minestrone. Saranno i
beniamini dei fumetti ad insegnare ai bambini malati di diabete un corretto stile di vita e la puntalità delle cure
mediche. Disney, Diabete Italia, Associazioni Italiani Giovani con Diabete, Eli Lilly e Società italiana di
endocrinologia e diabetologia pediatrica, lanciano una collana di giornalini contro una malattia che sempre di
più colpisce in tenera età. Diciottomila in tutta Italia i piccoli malati. La campagna toccherà Milano, Firenze,
Roma, Napoli, Catania e Bari [adgt.it). (/.e.)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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CURARSI SORRIDENDO
05/10/2013
Il Fatto Quotidiano
Pag. 13
(tiratura:100000)
Un crimine tra mito e realtà
Maria Gabriella Lanza
Se ne parla da sempre, ma non esistono prove sul commercio illegale di organi in Italia. "È un'ipotesi
surreale", afferma Vincenzo Passarelli, presidente dell'Aido, l'associazione italiana per la donazione degli
organi. "Vengono fatti controlli serrati: l'attività di prelievo può avvenire solo in ospedali pubblici e tutti gli
organi hanno la loro carta d'identità. Ad ogni trapianto lavorano più di 100 persone. La nostra rete è sicura".
Nel corso degli anni di indagini ne sono state fatte tante. Nessuna è stata mai conclusa. L'unico sportello
contro il traffico degli organi in Italia è stato aperto nel 2011 a Salerno dalla Cgil: "È nato con l'obiettivo di
aiutare chi nel momento della disperazione può cadere nella rete della criminalità organizzata", afferma Santa
Rossi, promotrice dell'iniziativa e presidente dell'associazione Indiani d'Occidente. "Qualche anno fa, mio
marito aveva bisogno di un trapianto di fegato. Ho vissuto sulla mia pelle cosa significa aspettare ogni giorno
che il telefono squilli, pregare affinché dall'altra parte della cornetta qualcuno dica che il prossimo della lista è
la persona che ami", racconta Santa. "Un giorno, mentre passeggiavo vicino all'ospedale Cardarelli di Napoli,
sono stata avvicinata da due uomini che mi hanno chiesto 250.000 euro per un fegato nuovo. Proprio la cifra
che avevamo sul nostro conto corrente. Abbiamo deciso di denunciare l'accaduto, sperando che prima o poi
un fegato sarebbe arrivato. Invece, mio marito è morto prima di poter fare l'operazione. Ho iniziato così la mia
battaglia. Non mi sono arresa neanche quando sono stata minacciata". In due anni lo sportello ha raccolto 35
segnalazioni: "Ci telefonano per raccontarci di medici che alterano le liste d'attesa o di persone che vendono
un organo per pagare i debiti. Siamo in permanente contatto con la questura". Al Consiglio regionale della
Campania è stata presentata una proposta di legge per istituire un osservatorio che monitori il fenomeno. Tra
i firmatari c'è Gianfranco Valiante, presidente della commissione antimafia della Regione: "Il traffico degli
organi esiste. Ci sono persone che hanno dovuto pagare anche 300.000 euro per essere operate subito. È un
problema che riguarda tutti ma la legge non è stata ancora approvata. La politica è indifferente, mette la testa
sotto la sabbia". Secondo i dati del ministero della Salute 9.050 pazienti aspettano di essere operati: più del
70% è in lista per un trapianto di rene. Tempo medio d'attesa 2 anni.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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ANCHE IN ITALIA
05/10/2013
La Notizia Giornale
Pag. 14
Tachicardia, mancanza d'aria e giramenti di testa. Sono questi i sintomi delle crisi di panico. Sono 10 milioni
gli italiani che hanno vissuto l'esperienza dell'attacco di panico e oltre 2 milioni hanno sviluppato un vero e
proprio disturbo con attacchi ripetuti, ansia e fobie che vedono la loro libertà bloccata e la vita limitata. Di
questi le donne sono il doppio degli uomini. A stabilirlo è una ricerca dell'Associazione liberi dal panico e
dall'ansia (Alpa). Secondo l'Alpa da un'analisi della letteratura scientifica emerge che il 40% dei pazienti
trattati farmacologicamente non risponde alle terapie, analogamente al 30% dei pazienti trattati con la terapia
cognitivo-comportamentale. Queste percentuali - precisano gli esperti - sembre rebbero sconfortanti ma in
realtà sono più il risultato di cure inadeguate e non corrette piuttosto che l'eetto della reale resistenza del
disturbo di panico alle cure. Le uniche terapie che hanno chiare dimostrazioni di ecacia sono la terapia
farmacologica con farmaci che agiscono sulla serotonina e la psicoterapia cognitivo comportamentale.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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attacchi di panico per 10 milioni di italiani
05/10/2013
La Notizia Giornale
Pag. 14
L'unica arma efficace rimane la prevenzione Oltre un milione di nuovi casi ogni anno
monica tagliapietra
Non è una missione impossibile. Prevenire i tumori del colon e dimezzare la mortalità, oggi è un risultato
concreto che si può realizzare attraverso programmi di screening che utilizzano la colonscopia. Basta, infatti,
fare l'esame ogni dieci anni per ridurre del 40% le diagnosi ( più di un milione l'anno), per questo terribile
male. A dirlo è uno studio condotto dagli esperti della Harvard School. I ricercatori hanno analizzato i dati di
90 mila volontari che avevano partecipato a due studi di lungo termine e avevano compilato ogni due anni un
questionario sulla loro salute. Nel periodo che va dal 1988 e il 2008, i due studi hanno registrato quasi 2 mila
casi di tumore del colon-retto con 500 decessi. Secondo i ricercatori se tutti i partecipanti si fossero sottoposti
alla colonscopia ci sarebbe stato il 40% in meno delle diagnosi di questa neoplasia. Il cancro del colon-retto è
una malattia molto più diusa di quanto si pensi, è infatti il secondo tumore per incidenza negli uomini (dopo
quello del polmone) ed il terzo nella donna (dopo seno e cervice dell'utero). L'incidenza cresce con l'età e
diventa più frequente dopo i 50 anni raggiungendo il suo picco fra i 75 e gli 80 anni. Diagnosi precoce e
progressi Ma se il numero dei tumori è aumentato, la mortalità è diminuita grazie soprattutto ad una migliore
informazione, alla diagnosi precoce e ai continui progressi della terapia. Purtroppo i sintomi di questa
patologia sono subdoli e si confondono spesso con malattie minori. Ecco perché il 25% dei pazienti si
presenta alla prima diagnosi con una neoplasia già in fase metastatica. Ecco, dunque, l'importanza di una
corretta informazione per prevenire questo tipo di malattia che si avvale sia di una prevenzione primaria con
stili di vita corretti, sia di una prevenzione secondaria, come la ricerca del sangue occulto nelle feci ed una
colonscopia effettuata ogni dieci anni a partire dopo i 50 anni di età. l'esame La colonscopia, infatti, è in grado
di ridurre la mortalità dovuta a questo tumore perché è l'unico esame che permette di riconoscere la malattia
nelle sue fasi iniziali. È quindi in grado di individuare tempestivamente i due terzi dei tumori. La colonscopia è
un esame generalmente eseguito in sedazione, perché fastidioso. Consiste nell'esaminare l'intero colon con
un tubo essi bile all'interno del quale sono collocate fibre ottiche. Queste permettono all'o peratore di
visualizzare il tratto esaminato, ma anche di far passare, attraverso alcuni piccoli canali, strumenti filiformi che
permettono di eseguire biopsie, o addirittura di asportare i polipi pre-cancerosi, per poterli poi analizzare
istologicamente. pazienti a rischio La prevenzione rimane una delle armi principali contro questa malattia,
soprattutto dopo i 50 anni, età nella quale si registra il 90 per cento dell'incidenza. Può bastare una ricerca
annuale del sangue occulto nelle feci, abbinata ad una colonscopia ogni 10 anni, per individuare il 75 per
cento delle lesioni e intervenire per tempo. Qualche atten zione in più è necessaria, invece, per le persone
che presentano una familiarità. Il rischio, infatti, cresce in chi ha avuto un parente di primo grado che ha
sviluppato un carcinoma del colon retto, o nelle persone che sorono di malattie infiammatorie croniche inte
stinali o di poliposi.
Come funziona Attraverso un tubo essibile si possono eseguire biopsie e asportare polipi pre-cancerosi
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Per vincere il cancro del colon Una colonscopia ogni 10 anni
05/10/2013
La Notizia Giornale
Pag. 15
La nuova cura riattiva le difese immunitarie Così si vince sul batterio che causa la malattia
SIMONA DE SANTIS
Nuove speranze per la lotta contro la tubercolosi. Arriva dalla McMaster University in Canada, un nuovo
vaccino contro la tbc che agirà da sostegno alla tradizionale profilassi (Bcg) che per cinquant'an ni ha
combattuto i batteri della tisi, secondi solo all'Hiv per numero di morti. Si chiama AdHu5 ed è stato progettato
per essere dato dopo la vaccinazione iniziale, in modo da riattivare le difese immunitarie che nel tempo
diminuiscono. Per realizzare il vaccino gli scienziati sono partiti da lontano. Modifican do geneticamente il
virus del rareddore e trasformandolo in una sorta di navicella che trasporta materiale genetico nel polmone. I
geni, una volta a destinazione, trasferiscono informazioni al sistema immunitario e lo aiutano a respingere il
tipo di batterio che causa la malattia. Ci sono voluti 10 anni per realizzare il nuovo vaccino, e già nel primo
trial su 24 pazienti, dei quali la metà già immunizza ti con Bcg, aveva dimostrato di aumentare le difese
immunitarie ed essere sicuro. Adesso si dovrà sperimentare il reale potenziale di questo nuovo farmaco. Una
persona su 3 nel mondo è infettata da questa patologia che ri mane nell'organismo in maniera latente. Una
su 10 sviluppa la malattia, che nel 50% dei casi porta alla morte. Bastano un semplice starnuto o un colpo di
tosse per trasmetterla, e si stima che ci sia una nuova infezione ogni secondo. I sintomi più comuni sono
perdita di peso, febbre bassa ma persistente, tosse e sangue nell'espettorato. I polmoni sono infatti gli organi
più colpiti, e quando il batterio si annida distrugge i tessuti che vanno in necrosi. Nonostante in Europa sia
legata alla storia del diciannovesimo secolo, ancora oggi la tubercolosi continua a mietere migliaia di vittime
nel mondo. Ogni giorno, secondo l'Orga nizzazione mondiale della sanità , muoiono più di 200 bambini al di
sotto dei 15 anni per questa malattia prevedibile e cu rabile. Ogni anno più di 74 mila di questi decessi
potrebbero essere evitati attraverso le misure delineate nel primo piano d'a zione mai sviluppato per eliminare
i casi di morte per tubercolosi nei più piccoli.
I numeri Una persona su tre è infettata Ma solo una su dieci si ammala Ogni giorno nel mondo muoiono 200
bambini
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
80
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Contro la tubercolosi killer In arrivo un nuovo vaccino
04/10/2013
Corriere della Sera - Sette - N.40 - 4 ottobre 2013
Pag. 136
**Il diritto di tutti all'Eubiosia, la buona vita
Affrontare subito la prognosi, coinvolgere il paziente, gestire la sofferenza. Perché la fne non sia inutilmente
dolorosa
Sara Gandolf
**lE curE pallIatIvE mIglIorano sIntomI, umorE E rEsIstEnza Avvicinarsi alla fne senza perdere la dignità e
senza soffrire inutilmente. Le cure palliative, secondo la defnizione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità
(Oms), si occupano in maniera attiva e totale dei pazienti colpiti da una malattia che non risponde più a
trattamenti specifci e la cui diretta evoluzione è la morte. «L'Oms stima che ne abbiano bisogno 4-5 milioni di
malati di tumore e 100 milioni di pazienti, loro familiari e caregivers, se includiamo altre patologie. Nel mondo
sono 7-9 milioni i bambini che necessitano di cure palliative, l'80% in Paesi poveri. Ma anche nei Paesi
avanzati, solo il 50-70% degli interessati può usufruirne», ha spiegato la dottoressa Kathleen Foley del
Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York al recente congresso internazionale The dignity of life
until the last breath, organizzato dalla Fondazione ANT (ant.it), attiva da 35 anni in Italia. Affrontare
tempestivamente il problema aiuta a migliorare la qualità di vita del sofferente e ha un forte impatto sulla
tenuta del Servizio sanitario pubblico perché evita cure costose e non più appropriate. Comunicare al
paziente il suo stato di salute è il passaggio più diffcile. «La mancanza di comunicazione riguardo le decisioni
di fne vita fra paziente e medico ma anche fra i pazienti e le loro famiglie resta una delle barriere più serie»,
secondo Foley. Studi condotti in Usa - dove dal '91 sono state introdotte le "direttive anticipate", che
garantiscono ai cittadini il diritto di stabilire come essere curati nel caso in cui perdano la capacità di decidere
- dimostrano che quando i pazienti sono correttamente informati sulla loro prognosi e partecipano al processo
decisionale insieme a medici e parenti, scelgono prima di passare ai servizi di cure palliative. «Una scelta che
spesso evita inutili sofferenze e accanimento». Gli ostacoli. A volte i medici temono che la prognosi abbia un
impatto troppo negativo sul paziente. Oppure manca un servizio dedicato alle cure palliative. «Il migliore
approccio è integrarle nel sistema sanitario». La gestione del dolore. È un nodo ancora aperto anche tra gli
specialisti: il confronto si concentra su come utilizzare la morfna nel modo più effcace e come renderla
accessibile a tutti in tutti i luoghi di cura. A casa o in ospedale? In Usa il 60% degli ospedali ha équipe
dedicate, perlopiù per pazienti oncologici. In Africa, all'estremo opposto, le cure sono destinate a malati di
Aids, in casa o a livello di comunità. Un aiuto per la terapia. È dimostrato che le cure palliative migliorano la
qualità della vita e l'umore, la gestione dei sintomi e, in alcuni casi, prolungano il tempo di vita dei malati
oncologici. In pazienti con Aids migliorano anche la compliance alla terapia. Il volontariato. In Italia il non
proft, a partire da Vidas, Fondazione Floriani e ANT, pungola le istituzioni pubbliche che troppo lentamente
stanno recependo il diritto alla dignità della vita», dice Raffaella Pannuti, presidente ANT. «L'Eubiosia, la
buona vita, deve diventare la nostra bandiera». l'ospEdalE gonfIaBIlE sI prEsEnta Rispondere a
un'emergenza umanitaria è una corsa contro il tempo. Le équipe di Medici Senza Frontiere lo sperimentano
ogni volta che nel mondo una catastrofe naturale o un confitto armato mettono a rischio la vita di intere
popolazioni. Uno degli strumenti più innovativi a disposizione è l'Ospedale gonfabile. Per la prima volta
l'organizzazione umanitaria lo presenta in Italia, con l'obiettivo di avvicinare al grande pubblico modalità di
lavoro che fanno la differenza in contesti di estrema complessità. I visitatori - al fanco degli operatori
umanitari - possono condividere l'esperienza di MSF nella lotta quotidiana per garantire cure mediche di
qualità durante guerre e catastrof naturali, come il terremoto ad Haiti o il confitto in Siria. Sono i due scenari
proposti ai visitatori che potranno "vestire i panni" degli operatori umanitari per un giorno. L'ospedale
gonfabile toccherà varie città d'Italia. Per info: medicisenzafrontiere.it
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 07/10/2013
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Piaceri&Saperi BenEssere /
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