IL PECCATO DELL`INDIFFERENZA - Suore Minime dell`Addolorata
by user
Comments
Transcript
IL PECCATO DELL`INDIFFERENZA - Suore Minime dell`Addolorata
n. 1 2015 Incontri Fraterni SUORE MINIME DELL’ADDOLORATA Via C. Tambroni, 13 - 40137 Bologna - Tel. 051 341755-342624 POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 2, DCB - BO - ANNO XLVII - PUBB. INF. 50% - STAMPA: DIGI GRAF - BOLOGNA Messaggio del Papa per la quaresima IL PECCATO DELL’INDIFFERENZA Oggi esiste nel mondo una “globalizzazione dell’indifferenza”, ossia del cuore duro e insensibile di fronte alle sofferenze degli altri. È un disagio che come cristiani dobbiamo affrontare e che richiede un cammino di conversione. N on passa giorno che non giungano da ogni parte del mondo notizie dei problemi, delle ansie e sofferenze di tante persone e comunità. Forse a questo incessante flusso di informazioni, veicolato soprattutto dai mass media, abbiamo fatto un po’ l’abitudine. Il rischio è di non lasciarci più toccare nel cuore. E non c’è malattia più grave per una persona di avere un cuore duro, insensibile. È il dramma dell’indifferenza. Il Papa Francesco ha dedicato il Messag- gio per la Quaresima di quest’anno proprio a questo tema. Oggi, afferma, ci troviamo di fronte a una “globalizzazione dell’indifferenza”. Si tratta di un fenomeno mondiale sempre più diffuso che colpisce non solo le grandi comunità, ma anche le singole persone. Per il discepolo di Cristo, essere indifferenti agli altri, soprattutto alle loro sofferenze, è un atteggiamento che contraddice radicalmente la sua stessa vocazione cristiana. Come scrive l’apostolo Giacomo: «la fede: se non è seguita dalle 1 5 10 Il peccato dell'indifferenza 11 13 Gesù ha detto “l’avete fatto a me” 16 Accanto a S. Clelia in preghiera e in ascolto 20 23 Nuova comunità in India 26 29 Confessione e perdono dei peccati “Dammi i tuoi peccati perché possa perdonarteli” In aumento le violenze contro i cristiani Vicino ai malati con lo spirito di S. Clelia Madre vicina ai poveri e agli ultimi La vita bella di Santa Clelia Barbieri 2 Incontri Fraterni opere, in se stessa è morta» (Gc 2, 17). E l’apostolo Giovanni: «Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4,20). In altre parole, se ignoriamo il prossimo, soprattutto se è nel bisogno, non conosciamo nemmeno Dio. Amiamo perché Dio ci ha amato per primo Papa Francesco scrive, citando la prima lettera dell’apostolo Giovanni, che “noi amiamo perché Dio ci ha amati per primo” (1 Gv 4,19). E commenta: «Dio non è indifferente a noi. Ognuno di noi gli sta a cuore, ci conosce per nome, ci cura e ci cerca quando lo lasciamo. Ciascuno di “NO, ALLA GLOBALIZZAZIONE DELL'INDIFFERENZA!" noi gli interessa; il suo amore gli impedisce di essere indifferente a quello che ci accade». Ma cosa avviene? «Succede che quando noi stiamo bene e ci sentiamo comodi, certamente ci dimentichiamo degli altri (cosa che Dio Padre non fa mai), non ci interessano i loro problemi, le loro sofferenze e le ingiustizie che subiscono… allora il nostro cuore cade nell’indifferenza: mentre io sto relativamente bene e comodo, mi dimentico di quelli che non stanno bene». Si tratta di un disagio che, come cristiani, dobbiamo affrontare. Un percorso di conversione Ciò fa parte del cammino di conversione a cui la Quaresima ci invita attraverso la Chiesa: una conversione che deve essere intesa e vissuta come un percorso di formazione del cuore. Per compiere questo cammino, il Papa esorta a meditare su tre passi della Bibbia. Il primo riguarda la Chiesa universale, il secondo le parrocchie e le comunità e il terzo il singolo fedele, ossia ciascuno di noi. “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono” (1 Cor, 12.26). Attraverso i Sacramenti, in particolare l’Eucaristia, afferma il Papa, noi diventiamo ciò che riceviamo: il corpo di Cristo. Ora, «in questo corpo quell’indifferenza che sembra prendere così spesso il potere sui nostri cuori, non trova posto. Poiché chi è di Cristo appartiene ad un solo corpo e in Lui non si è indifferenti l’uno all’altro. “Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui” (1 Cor 12,26)». “Dov’è tuo fratello” (Gen 4,). Il Papa si domanda: le parrocchie, le nostre comunità sono davvero «un corpo che insieme riceve e condivide quanto Dio vuole donare? Un corpo che conosce e si prende cura dei suoi membri più deboli, poveri e piccoli? O ci rifugiamo in un amore universale che si impegna lontano nel mondo, ma dimentica il Lazzaro seduto davanti alla propria Incontri Fraterni 3 porta chiusa?» (cfr Lc 16,19-31). Invita a unirsi alla Chiesa del cielo nella preghiera e ricorda che nella comunione dei santi «l’indifferenza è vinta dall’amore». Se siamo posseduti da questo amore «possiamo vedere nel nostro prossimo il fratello e la sorella per i quali Cristo è morto ed è risorto». “Rinfrancate i vostri cuori (Gc 5,8). «Anche come singoli – scrive il Papa – abbiamo la tentazione dell’indifferenza. Siamo saturi di notizie e immagini sconvolgenti che ci narrano la sofferenza umana e sentiamo nel medesimo tempo tutta la nostra incapacità ad intervenire». Cosa possiamo fare? Ci domandiamo allora: «Che cosa fare per non lasciarci assorbire da questa spirale di spavento e di impotenza?». In primo luogo, «possiamo pregare nella comunione della Chiesa terrena e celeste: non trascuriamo la forza della preghiera di tanti!». In secondo luogo, «possiamo aiutare con 4 Incontri Fraterni gesti di carità, raggiungendo sia i vicini che i lontani, grazie a tanti organismi di carità nella Chiesa. La Quaresima è un tempo propizio per mostrare questo interesse all’altro con un segno, anche piccolo, ma concreto, della nostra partecipazione alla comune umanità». In terzo luogo, attraverso un percorso di conversione. Infatti, sottolinea il Papa, «chi vuole essere misericordioso ha bisogno di un cuore forte, saldo, chiuso al tentatore, ma aperto a Dio. Un cuore che si lasci compenetrare dallo Spirito e portare sulle strade dell’amore che conducono ai fratelli e alle sorelle. In fondo, un cuore povero, che conosce cioè le proprie povertà e si spende per l’altro». Il Papa conclude il suo Messaggio esortando a chiedere al Signore durante questa Quaresima, con l’invocazione tratta dalle Litanie al Cuore di Gesù: “Rendi il nostro cuore simile al tuo”. «Allora avremo un cuore forte e misericordioso, vigile e generoso, che non si lascia chiudere in se stesso e non cade nella vertigine della globalizzazione dell’indifferenza». Il Sacramento della Riconciliazione CONFESSIONE E PERDONO DEI PECCATI Alcuni importanti aspetti da tenere presenti per ricevere con frutto il Sacramento del perdono e le disposizioni interiori con cui ci si deve accostare. Dalla confessione ben fatta deriva una profonda pace del cuore. D urante il tempo di Quaresima, la Chiesa, nel cammino verso la Pasqua di risurrezione, ci esorta a intraprendere un percorso di conversione per far risplendere nuovamente in noi la bellezza della grazia battesimale e giungere così alle feste pasquali come creature risorte con Cristo a vita nuova. La Quaresima è anche il tempo favorevole per fare l’esperienza della misericordia di Dio e del suo perdono. Durante questo tempo il Signore, per mezzo dei Profeti, dice a noi oggi: «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana» (Isaia 1,18); «Egli tornerà ad aver pietà di noi, calpesterà le nostre colpe. Tu getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati (Michea 7,19); “Vi Incontri Fraterni 5 darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (Ezechiele 36,26). E la liturgia ci esorta: «Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno” (Lettera agli Ebrei, 4, 16). Strumento privilegiato per vivere questa esperienza di misericordia è il sacramento della riconciliazione, con la confessione dei nostri peccati. Non c’è nessuno infatti che nella sua vita sia esente dall’esperienza del peccato e non avverta il desiderio di sentirsi perdonato. La confessione risponde a questo bisogno profondo del cuore. Per questo essa occupa un posto centrale nel cammino di conversione, di ritorno a Dio. È vero che il perdono di Dio non si riceve solo nella celebrazione del sacramento. Ci sono altri mezzi. Per esempio, la carità che, come scrive l’apostolo Pietro, “copre la moltitudine dei peccati” (1 Pr 4,8). E anche l’Eucaristia che inizia sempre con il rito penitenziale di domanda di perdono. Ma la celebrazione del sacramento della riconciliazione, necessaria per la remissione dei peccati gravi, è un’esperienza che ci insegna a mettere il perdono al cuore di tutta la vita spirituale, affinché diventi un atteggiamento costante che ci accompagna nel cammino di ogni giorno. Il suo effetto, infatti, si prolunga nel tempo e pervade l’intera l’esistenza. Come accostarsi al Sacramento del perdono? È importante perciò comprendere bene alcuni aspetti di questo sacramento se si vuole che produca i suoi frutti e non si riduca a una semplice formalità che si 6 Incontri Fraterni esaurisce in pochi minuti e poi non lascia nessuna traccia nel nostro essere come se tutto fosse finito lì. Come allora accostarsi a questo sacramento perché sia fruttuoso e con quali disposizioni? Sono almeno tre gli aspetti da tenere presenti. Il primo, che possiamo definire il più essenziale, è l’atteggiamento di spirito e di cuore con cui ci accostiamo al sacramento. La confessione, infatti, non consiste tanto nel mettersi in regola con Dio. Se fosse solo questo, non porterebbe nessun vero frutto e sarebbe solo espressione di paura. Essa deve piuttosto condurre a una riconciliazione con Dio e con i propri fratelli. Perciò bisogna che susciti nel cuore la decisione di cambiare vita, di entrare in un cammino di conversione. Richiede cioè che abbiamo a diventare, come si dice, “penitenti”. È un’espressione che forse può sorprendere, ma si tratta di riconoscere che, se è vero che il sacramento perdona i nostri peccati, non cambia però la nostra condizione di peccatori, ossia di persone sempre bisognose di conversione. Difatti, una volta riconciliati con Dio, siamo sempre tentati di allontanarci da lui. Decidersi di cambiare vita, di convertirci, di vivere come penitenti vuol dire perciò La confessione delle colpe rinnovare ogni giorno il nostro atteggiamento di contrizione e di dispiacere dei peccati. Non si tratta di un sentimento psicologico, ma di una esigenza profonda di autenticità e di verità con se stessi e davanti a Dio. Nella Bibbia, troviamo delle situazioni in cui la differenza non si gioca tanto sulla gravità del male commesso ma sull’autenticità di questo atteggiamento interiore di contrizione che si prolunga nella vita. non è il confidente della nostra miseria. Non è un curioso, ma un testimone. Non è lui perciò il destinatario della confessione delle nostre colpe, perché è solo a Dio che si domanda perdono. Il sacerdote tuttavia è indispensabile perché attesta che il peccatore confessa a Dio il suo peccato, e che egli potrà così, in nome di Dio, concedere il perdono. È molto importante, nella confessione, questo riconoscimento per poter rivolger- Un secondo aspetto importante, anzi fondamentale, sta nel confessare il proprio peccato. Il cristiano che si accosta al sacramento è invitato a dire liberamente: “’ho commesso questi peccati”. Certo, Dio li conosce già. La confessione non ha lo scopo di farglielo sapere! E anche il sacerdote davanti al quale ci si riconosce peccatori, Incontri Fraterni 7 ci liberamente a Dio, il quale non ci condanna ma ci invita ad uscire dal profondo della nostra miseria. Comprendere così la confessione permette di capire in quale maniera dobbiamo confessare le nostre colpe. È una questione di equilibrio. Bisogna cioè evitare la duplice tentazione: da una parte di voler dire troppo e dall’altra di dire troppo poco. A volte chi si confessa, per ansia o anche per scrupolo, in cui è avvertibile una mancanza di fiducia e di fede nella bontà di Dio, può voler dire troppo, per paura di omettere tutti i dettagli e tutte le precisazioni. Ma Dio ci conosce meglio di noi stessi, perciò non si tratta di informarlo nei dettagli. Nella parabola del figlio prodigo, narrata nel Vangelo di Luca al capitolo 15 del suo Vangelo, vediamo che il padre non lascia al figlio che ritorna nemmeno il tempo di spiegare ciò che ha fatto di male dopo essersi allontanato da lui. Al contrario, è tanta la gioia che sente che gli corre incontro ad abbracciarlo e si affretta a pre- 8 Incontri Fraterni parargli una grande festa (Lc 15,20-24). Ma se voler dire troppo è fuori luogo, è anche vero che la confessione non sarà autentica se, per vergogna, negligenza o altre ragioni, uno dice troppo poco. In questo caso egli passa accanto alla grazia che gli è offerta senza riceverla ed esserne toccato. Occorre anche ricordare che né il nostro “io” né il sacerdote che ci ascolta sono al primo posto, ma è Dio che è là, presente nel sacramento ed è a lui che ci conosce fino in fondo che ci si confessa. Il sacerdote, in quanto testimone, può con la sua parola, illuminare e aiutare il penitente a discernere il suo peccato alla luce dell’esperienza multisecolare della Chiesa. Può così instaurarsi un dialogo, tenendo sempre presente però che ciò che è primario nella confessione è il perdono di Dio ricevuto nella fede. Non si tratta perciò di una “seduta” di accompagnamento spirituale. Questa può essere fatta al di fuori della celebrazione del sacramento. Il sacerdote e l’assoluzione Un terzo aspetto del sacramento è certamente l’assoluzione in quanto tale. Il sacerdote ha il potere di perdonare, di assolvere i peccati. È lo strumento necessario mediante il quale Dio vuole agire per significare e trasmettere il suo perdono. Per quanto incredibile possa sembrare una tale affermazione, essa si collega con la volontà esplicita di Gesù il quale, nel giorno della risurrezione, soffiando il suo Spirito sugli apostoli, diede loro il potere di perdonare i peccati. È il potere che i sacerdoti ricevono nella loro ordinazione e che viene dall’autorità stessa di Cristo. La grazia del perdono e della pace Il sacramento così ricevuto produce allora i suoi frutti. Il primo è la gioia del perdono e di sentirsi salvati dalla croce di Cristo. È la gioia che anticipa fin da quaggiù, nella nostra condizione di pellegrini, la felicità della vita eterna futura. Il secondo è la riconciliazione che il sacramento ricevuto favorisce tra le persone. La pratica regolare del perdono sacramentale, infatti, costruisce e afferma l’unità, nella carità, all’interno delle famiglie, tra le coppie, nelle comunità parrocchiali o religiose. Se vissuto con queste disposizioni, il sacramento del perdono diventa allora realmente lo strumento privilegiato per quel cammino di conversione a cui la Quaresima ci invita, ma anche un mezzo di continuo rinnovamento della propria vita cristiana nello scorrere del tempo, nel nostro pellegrinaggio verso la patria celeste. Ed è fonte di grande pace. Incontri Fraterni 9 “DAMMI I TUOI PECCATI PERCHÉ POSSA PERDONARTELI” André Louf per tanti anni abate dell’abazia francese di Mont-desCats ed eremita nel sud della Francia, scomparso nel 2010, nel suo libro Sotto la guida dello Spirito racconta questo episodio relativo alla vita di S. Girolamo. S an Girolamo durante la sua vita a raversò dei momen di difficoltà interiori e persino di scoraggiamento. Un giorno, mentre stava pensando a quale fosse l’origine di ques turbamen notò all'improvviso un crocifisso che era comparso tra i rami secchi di un albero. Si ge ò a terra e si percosse il pe o con gesto solenne e vigoroso. È in questa posizione umile e supplicante che lo raffigura la maggior parte dei pi ori. Subito Gesù rompe il silenzio e si rivolge a Girolamo dall'alto della croce: “Girolamo – gli dice – cos'hai da darmi? Cosa riceverò da te?". La semplice voce di Gesù basta già a ridare coraggio a Girolamo che si me e subito a pensare a qualche regalo da poter offrire all'amico crocifisso. "La solitudine nella quale mi diba o, Signore", gli risponde. "O mo, Girolamo – replica Gesù – ringrazio. Hai fa o davvero del tuo meglio. Ma non hai qualcosa di più da offrirmi?" . Girolamo non esita un a mo, certo di avere una quan tà di cose da offrire a Gesù: "Naturalmente, Signore: i miei digiuni, la fame, la sete. Mangio solo al tramonto del sole!". Di nuovo Gesù risponde: "O mo, Girolamo, ringrazio. Lo so, hai fa o del tuo meglio. Ma hai ancora qualcos'altro da darmi?". Girolamo ripensa a cosa potrebbe ancora offrire a Gesù. Ecco allora che ricorda le veglie, la lunga recita dei salmi, lo studio assiduo, giorno e no e, della Bibbia, il celibato nel quale si impegnava con più o meno successo, la mancanza di comodità, la povertà, gli ospi più imprevis che si sforzava di accogliere senza brontolare e con una faccia non troppo burbera, infine il caldo di giorno e il freddo di no e. Ad ogni offerta, Gesù si complimenta e lo ringrazia. Lo sapeva da tempo: Girolamo ci ene così tanto a fare del suo meglio! Ma ad ogni offerta, Gesù, con un sorriso astuto sulle labbra, lo incalza, ancora e gli chiede: "Girolamo, hai qualcos'altro da darmi?". Alla fine, dopo che Girolamo ha enumerato tu e le opere buone che ricorda e siccome Gesù gli pone per l'ennesima volta la stessa domanda, un po' scoraggiato e non sapendo più a che santo votarsi, finisce per balbe are: "Signore, ho già dato tu o, non mi resta davvero più niente!". Allora un grande silenzio piomba nella gro a e fino alle estremità del deserto di Giuda e Gesù replica un'ul ma volta: "Sì, Girolamo, hai dimen cato una cosa: dammi anche i tuoi pecca , affinché possa perdonarteli!"». 10 Incontri Fraterni Messaggio del papa per la Giornata mondiale del malato GESÙ HA DETTO “L’AVETE FATTO A ME” Nel malato bisogna imparare a vedere l’immagine del Signore. Il tempo passato accanto al malato, scrive il Papa, è un tempo santo. Purtroppo la fretta, la smania del fare ci fanno spesso dimenticare la dimensione della gratuità, del farsi carico dell’altro. O gni anno, l’11 febbraio, festa della Beata Vergine di Lourdes, la Chiesa celebra la Giornata mondiale del malato. La Giornata fu istituita il 13 maggio 1992 da papa Giovanni Paolo II perché fosse "un momento speciale di preghiera e di condivisione, di offerta della sofferenza. La prima fu celebrata l’11 febbraio 1993 e a partire da allora, il papa emana ogni anno un Messaggio destinato a tutti coloro che portano il peso della malattia, ai professionisti e volontari nell’ambito sanitario. Ma Incontri Fraterni 11 è rivolto anche a tutti noi, in particolare a coloro che si prendono cura dei malati, in qualsiasi forma e luogo ciò avvenga, dedicando ad essi tempo, attenzione, cura e amore. Il Messaggio che papa Francesco ha emanato per quest’anno ha come tema: “Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo”. È un versetto biblico, tratto dal Libro di Giobbe (29,15) che il papa invita a leggere alla luce della “sapienza del cuore”. La Sapienza di cui parla è quella infusa dello Spirito Santo, «di chi sa aprirsi alla sofferenza dei fratelli e riconosce in essi l’immagine di Dio». In che cosa consiste questa Sapienza? Nel Messaggio papa Francesco lo spiega con i seguenti quattro verbi: servire, stare, uscire da sé, essere solidali. Sapienza del cuore è servire il fratello. «Quanti cristiani anche oggi – scrive il papa – testimoniano, non con le parole, ma con la loro vita radicata in una fede genuina, di essere “occhi per il cieco” e “piedi per lo zoppo”! Persone che stanno vicino ai malati che hanno bisogno di un’assistenza continua, di un aiuto per lavarsi, per vestirsi, per nutrirsi. Questo servizio, specialmente quando si prolunga nel tempo, può diventare faticoso e pesante. È relativamente facile servire per qualche giorno, ma è difficile accudire una persona per mesi o addirittura per anni, anche quando essa non è più in grado di ringraziare. E tuttavia, che grande cammino di santificazione è questo! In quei momenti si può contare in modo particolare sulla vicinanza del Signore, e si è anche di speciale sostegno alla missione della Chiesa». Sapienza del cuore è stare con il fratello. «Il tempo passato accanto al malato – osserva il papa – è un tempo santo». Perciò «chiediamo con viva fede allo Spirito Santo che ci doni la grazia di comprendere il valore dell’accompagnamento, tante vol- 12 Incontri Fraterni te silenzioso, che ci porta a dedicare tempo a queste sorelle e a questi fratelli, i quali, grazie alla nostra vicinanza e al nostro affetto, si sentono più amati e confortati. Quale grande menzogna invece si nasconde dietro certe espressioni che insistono tanto sulla “qualità della vita”, per indurre a credere che le vite gravemente affette da malattia non sarebbero degne di essere vissute!». Sapienza del cuore è uscire da sé verso il fratello: «Il nostro mondo dimentica a volte il valore speciale del tempo speso accanto al letto del malato, perché si è assillati dalla fretta, dalla frenesia del fare, del produrre, e si dimentica la dimensione della gratuità, del prendersi cura, del farsi carico dell’altro. In fondo, dietro questo atteggiamento c’è spesso una fede tiepida, che ha dimenticato quella parola del Signore che dice: “L’avete fatto a me”» (Mt 25,40). Sapienza del cuore è essere solidali col fratello senza giudicarlo. «La carità ha bisogno di tempo. Tempo per curare i malati e tempo per visitarli. Tempo per stare accanto a loro»... È la solidarietà che ci ha manifestato Gesù con la sua croce: «Nella Croce di Gesù, atto supremo di solidarietà di Dio con noi, totalmente gratuito, totalmente misericordioso... La risposta d’amore al dramma del dolore umano, specialmente del dolore innocente rimane per sempre impressa nel corpo di Cristo risorto, in quelle sue piaghe gloriose, che sono scandalo per la fede ma sono anche verifica della fede». Il Messaggio termina con un’invocazione alla Madonna: «O Maria, Sede della Sapienza, intercedi quale nostra Madre per tutti i malati e per coloro che se ne prendono cura. Fa’ che, nel servizio al prossimo sofferente e attraverso la stessa esperienza del dolore, possiamo accogliere e far crescere in noi la vera sapienza del cuore». Un fenomeno presente in numerosi Stati del mondo IN AUMENTO LE VIOLENZE CONTRO I CRISTIANI la persecuzione dei cristiani nel mondo. Il papa ha ripetuto più volte che sono più numerosi oggi i cristiani perseguitati di quelli dei primi secoli della Chiesa. Realtà confermata anche dai dati dei recenti Rapporti. Per questo egli ci invita a pregare. Q uando papa Francesco nel Messaggio per la Quaresima di quest’anno esorta a non essere indifferenti alle sofferenze degli altri, certamente, fra le tante gravi situazioni di afflizione, ha presente in modo particolare le violenze e le persecuzioni di cui sono oggetto i cristiani in numerose parti del mondo. È vero che la persecuzione non è un fatto nuovo. Essa ha sempre accompagnato il cammino della Chiesa at- Incontri Fraterni 13 traverso la storia a partire dai primi secoli. Ma oggi il fenomeno ha assunto proporzioni mai conosciute in passato. Si parla di 100/150 milioni di cristiani perseguitati. Sono notizie a cui purtroppo i mezzi di comunicazione sociale danno poco risalto. Il Papa invece non cessa di ricordarcelo. Più volte ha ripetuto nei suoi discorsi: «Io vi dico che oggi ci sono più martiri che nei primi tempi della Chiesa». In una delle sue numerose omelie quotidiane ha affermato: «Sono condannati perché hanno una Bibbia. Non possono fare il segno della croce. Pensiamo ai tanti fratelli e sorelle che oggi – oggi! – non possono pregare insieme, perché sono perseguitati; non possono avere il libro del Vangelo o una Bibbia, perché sono perseguitati. Pensiamo a quei fratelli che non possono andare a Messa, perché è vietato. Tante volte viene un prete di nascosto, fra di loro, fanno finta di essere a tavola, a prendere un tè e lì celebrano la Messa, perché non li vedano». «Questo – ha ribadito – succede oggi». Gli Stati più incriminati Secondo il Rapporto Aiuto alla Chiesa che soffre del 2014, uscito da poco, fra gli Stati dove il fenomeno della persecuzione e delle violenze contro i cristiani è più acuto, troviamo i seguenti dieci: Iraq, Libia, Nigeria, Pakistan, Siria, Sudan, Azerbai- 14 Incontri Fraterni gian, Cina, Egitto e Repubblica Centroafricana. Ma un altro recente Rapporto, quello della World Watch List, nomina anche altri cinque stati: Corea del Nord, Somalia, Afghanistan, Iran, Eritrea. E non è tutto perché situazioni analoghe si riscontrano anche in vari altri Paesi che qui non sono nominati. Tra quelli citati nei due Rapporti troviamo anzitutto la Corea del Nord dove circa 70mila cristiani sono stati imprigionati in campi di lavoro. Sulla scia del sequestro e arresto del missionario sudcoreano Kim Jeong-Wook, decine di persone (presumibilmente cristiane) sono state catturate e molte torturate e assassinate. La situazione peggiora anche in Africa, soprattutto in Somalia, con la milizia islamista Al-Shabaab, e in Sudan, Eritrea e soprattutto in Nigeria dove esiste un clima di gravissima violenza fomentato dal gruppo islamico Boko Haram, nome che significa: “l’educazione occidentale è peccato”. Ci sono inoltre aree dove l’estremismo islamico assume nuove e inattese forme di violenza con due centri di gravità globali: uno nel Medio Oriente arabo e l’altro nell’Africa subsahariana. Secondo il Rapporto World Watch List, l’estremismo islamico è una delle principali fonti di persecuzione in 40 paesi sui 50 considerati. Inoltre, esiste l’imponente fenomeno dei rifugiati/profughi in fuga dalla Siria, Iraq, Nigeria e da altri paesi africani, che sta cambiando la geografia cristiana di quelle regioni. Particolarmente grave è la situazione in Iraq e Siria dove si è autoproclamato il califfato islamico (IS): in Siria la libertà per i cristiani è praticamente scomparsa. Già nel febbraio 2014, quelli rimasti nella città di Raqqa sono stati costretti a firmare un contratto che viola la loro libertà. Inoltre, dall’inizio della guerra civile nel 2011, 700mila cristiani sono fuggiti dal paese, di cui 200mila l’anno scorso. Così in Iraq: da quando si è costituito il califfato islamico in alcune zone, un flusso di cristiani e di yazidi (fedeli di un’antica religione monoteista della Mesopotamia), di musulmani sciiti e di shabaq (altra minoranza religiosa autoctona) è in fuga. Molti cristiani sono profughi interni fuggiti nella regione curda; gran parte della comunità cristiana (140mila) è scomparsa, come a Mosul o nella piana di Ninive dove i rimasti sono stati costretti a convertirsi all'islam. Il caso del Messico e dell’India Anche in altri paesi come il Messico sono in forte aumento le violenze contro i cristiani per il crescere della criminalità legata al traffico di droga, spostatasi dalla Colombia verso l’America centrale. Le organizzazioni criminali prendono di mira i cristiani, considerati fonti di entrate (attraverso le estorsioni) e perché essi promuovono forti alternative al crimine. Non possiamo inoltre dimenticare il caso dell’India. Abbiamo dei dati pubblicati di recente dal Persecution Report, diffuso dall’organizzazione cattolica “Catholic Secular Forum”, dove si legge: «In India con la salita al potere del partito conservatore Baratiya Janata Party (Bjp) e la crescita contemporanea di gruppi estremisti indù, si è avuta una forte recrudescenza della violenza contro le minoranze religiose e, in particolare, contro le comunità cristiane. Sono circa 7 mila gli episodi censiti, ma si tratta di un bilancio solo indicativo e non esaustivo». Tra le vittime di violenze figurano anche 1.600 donne e 500 bambini. E sono più di 300 i cristiani, tra cui sacerdoti e leader di comunità, che hanno subito aggressioni. Almeno 60 chiese sono state sconsacrate e sono diventate la sede di gruppi estremisti indù. E si potrebbe continuare perché la situazione non è tranquilla nemmeno in certe regioni dell’Indonesia, o in Malesia e nelle isole filippine del sud, per fare degli esempi. Davanti a queste gravi situazioni non possiamo ignorare la ripetuta esortazione di Papa Francesco a pregare per i cristiani perseguitati e per tutti coloro che soffrono violenze a causa della loro fede. Come cristiani, sarebbe davvero una grave colpa se rimanessimo indifferenti. Incontri Fraterni 15 Giornata del “Memoriale” alle Budrie ACCANTO A S. CLELIA IN PREGHIERA E IN ASCOLTO La giornata ha offerto l’occasione per meditare, nella luce del Magnificat, sull’esperienza spirituale di Santa Clelia, descritta nella sua lettera al “caro Sposo Gesù”, in relazione agli obiettivi dell’Anno della vita consacrata indicati dal Papa Francesco. I l 31 gennaio è una data scritta, per così dire, a caratteri d’oro nell’Album di famiglia delle Minime di Santa Clelia. È il gior- 16 Incontri Fraterni no del “Memoriale”, così chiamato perché ricorda la “memoria”, ossia la lettera che Santa Clelia, mossa da una “ispirazione granda”, scrisse al “caro Sposo Gesù”, dopo aver partecipato alla santa Messa in parrocchia. La vergò su un semplice foglio di carta che portò poi sempre ripiegato sul cuore, come sigillo nuziale. Era il 31 gennaio del 1869, domenica chiamata allora di Sessagesima. Le cronache raccontano che era una giornata freddissima con il termometro che segnava 14 gradi sottozero. La lettera, scritta in un italiano incerto, ma limpida nei contenuti, cominciava così: “Caro il mio Sposo Gesù, una memoria io volio scrivere per averla sempre in memoria...”. Ogni anno le Minime in questo giorno si danno appuntamento alle Budrie, sul luogo dove Clelia ha vissuto e scritto quella lettera, per una giornata di riflessione e di preghiera, per meditare insieme su quelle parole dentro le quali si sente ancor oggi ardere il fuoco d’amore che ha infiammato il cuore di Clelia in quella gelida giornata di gennaio. Da sempre, quel breve scritto è per le Minime il testo ispirante del loro carisma e della loro spiritualità. Rileggerlo accanto all’urna che custodisce le sue reliquie suscita emozioni difficili da descrivere perché in quelle poche righe è lo Spirito di Dio che parla attraverso Clelia e la sua voce si può percepire solo nelle profondità del cuore. Nell’Anno della vita consacrata L’incontro di quest’anno aveva qualcosa di particolare perché si collocava nel contesto dell’Anno della vita consacrata, da poco iniziato, e degli obiettivi che si propone di raggiungere. Il papa Francesco li ha così indicati nella lettera di apertura, il 21 novembre 2014: il primo obiettivo è guardare il passato con gratitudine; il secondo, vivere il presente con passione; il terzo, abbracciare il futuro con speranza. Non c’era occasione migliore per le Minime, di questa giornata, per riflettere su questi obiettivi. Anzitutto per guardare al passato, rappresentato da 146 anni di storia. Come scrive papa Francesco ai consacrati, anche le Minime hanno dietro di sé una “ricca storia carismatica”. Una storia in cui, nel corso degli anni, «l’esperienza degli inizi è cresciuta e si è sviluppata, coinvolgendo altri membri in nuovi contesti geografici e culturali, dando vita a modi nuovi di attuare il carisma, a nuove iniziative ed espressioni di carità apostolica. È come il seme che diventa albero espandendo i suoi rami». Le Figlie di Santa Clelia hanno molte ragioni per guardare a questo passato con gratitudine. A partire da quando la Congregazione ha cominciato ad esistere e ad espandersi, prima in Italia e successivamente – dopo un tentativo, non riuscito per varie ragioni, di mettere piede in Cina – in tempi più recenti, in Tanzania e in India. Ciò le ha consentito di diventare, anche grazie alle numerose vocazioni venute da queste aree geografiche, una Congregazione internazionale e multiculturale. La crescita continua anche attualmente con l’apertura di nuove piccole comunità sia in Africa che in India. Ma il motivo più grande della loro gratitudine è stato, in questi ultimi cinquant’anni, la grazia, prima della beatificazione della loro fondatrice (27 ottobre 1968) e poi della sua canonizzazione, avvenuta il 9 aprile 1989. Incontri Fraterni 17 Nella luce del Magnificat Nell’incontro del 31 gennaio alle Budrie, ad aiutarle nella riflessione, è stato don Stefano Maria Savoia che ha commentato il Magnificat, alla luce della lettera memoriale di Santa Clelia, affermando che anche lei era creatura umile e povera come Maria, e anche in lei il Signore ha compiuto “grandi cose”. Il secondo obiettivo dell’Anno della vita consacrata, nelle intenzioni di papa Francesco, è vivere il presente con passione. Nei momenti di preghiera e di adorazione in cui è stato articolato l’incontro, le suore hanno cercato anch’esse di ravvivare nel cuore quella fiamma d’amore che Clelia aveva chiesto a Gesù nella sua lettera in cui diceva: “Signore apprite il vostro cuore e butate fuora una quantità di fiamme da more e con queste fiamme acendete il mio, fate che io brucio da more”. 18 Incontri Fraterni Solo se c’è questo amore infatti sarà possibile vivere con passione il presente; un presente molto diverso e complesso rispetto a quello dei tempi di Clelia, ma altrettanto significativo. Bisogna ritornare alla grazia delle origini, come scrive papa Francesco, il quale si domanda: «Gesù è davvero il primo e l’unico amore, come ci siamo prefissi quando abbiamo professato i nostri voti?». E risponde: «Soltanto se è tale, possiamo e dobbiamo amare nella verità e nella misericordia ogni persona che incontriamo sul nostro cammino, perché avremo appreso da Lui che cos’è l’amore e come amare: sapremo amare perché avremo il suo stesso cuore». Con la stessa speranza di S. Clelia Infine, il terzo obiettivo: abbracciare il futuro con speranza. Clelia quando ha iniziato la sua esperienza alle Budrie era molto povera e priva di qualsiasi mezzo. In quella condizione, nessun istituto allora esistente l’avrebbe mai accolta. Per di più, era molto malata, e anche i tempi – gli anni del Rinascimento italiano – non erano certo favorevoli per quel clima di anticlericalismo che aveva avvelenato la società. Ma lei si è affidata al Signore e ha riposto in lui la sua speranza. E il Signore l’ha guidata in mezzo alle difficoltà e l’ha condotta a realizzare il sogno che portava nel cuore: quello di vivere, insieme alle sue prime compagne, un’esperienza di vita raccolta e per fare del bene. Da questa esperienza ha poi avuto origine la Congregazione delle Minime dell’Addolorata. Oggi la vita consacrata attraversa un momento di crisi e si sta interrogando sul suo futuro a causa dell’invecchiamento dei membri, la mancanza di vocazioni, e una serie di tante altre difficoltà. Più che mai essa è chiamata a vivere nella speranza. Ma una speranza, come avverte papa Francesco, che «non si fonda sui numeri o sulle opere, ma su Colui nel quale abbiamo posto la nostra fiducia (cfr 2 Tm 1,12) e per il quale “nulla è impossibile” (Lc 1,37). È questa la speranza che permetterà alla vita consacrata di continuare a scrivere una grande storia nel futuro, al quale dobbiamo tenere rivolto lo sguardo, coscienti che è verso di esso che ci spinge lo Spirito Santo per continuare a fare con noi grandi cose». La giornata del “Memoriale”, trascorsa alle Budrie il 31 gennaio, è stata un’immersione nel clima delle origini. E ha offerto alle Figlie di Santa Clelia l’occasione per riflettere sugli obiettivi indicati dal papa, alla luce del loro carisma. Da questo incontro esse hanno potuto attingere nuove energie per riprendere con coraggio e con lo stesso spirito di Santa Clelia il cammino nella vita di tutti i giorni sotto la guida di Colui che mai delude e a cui appunto nulla è impossibile. Incontri Fraterni 19 Nella spirito della nuova evangelizzazione N UOVA COMUNITÀ IN INDIA Sorge a Ramanathapuram presso il seminario, da poco costituito, dove da tempo il vescovo ci aveva ripetutamente invitato. Ma abbiamo in vista anche altre aperture in Africa. I l dono dell'anno della Vita Consacrata, da poco iniziato, ci offre molte opportunità per un risveglio e un rinnovamento della nostra vita religiosa nella sua dimen- 20 Incontri Fraterni sione contemplativa e apostolica, richiamando la nostra attenzione sugli eventi di Chiesa che in quest'anno ci attendono. In risposta agli appelli del Papa Le sollecitazioni o provocazioni di Papa Francesco non possono lasciarci indifferenti. Il rinnovamento interiore e l'ansia apostolica per la nuova evangelizzazione sono i temi che continuamente egli propone come urgenza di oggi per ridare senso ad una società vuota e scontenta e portare a tutti la gioia del Vangelo. Anche noi Minime stiamo cercando di St. Marys Minor Seminary Vadakkukad.Pollachi RamanathapuramDiocese cogliere questi appelli innanzitutto rivisitando la nostra identità spirituale, ma anche cercando di rispondere al suo invito ad “uscire”, per annunciare e condividere con i fratelli il dono della fede e di quell’amore con il quale noi stesse siamo amate. Questi sono i criteri che negli ultimi tempi ci hanno guidato, pur nella nostra povertà, ad aprirci con piccole nuove presenze nei diversi settori del nostro apostolato. Costituita il 31 gennaio scorso Una realtà un po’ nuova è l’avvio, a partire dallo scorso anno, di una comunità ad esperimento, in India, presso il nuovo Seminario di Ramanathapuram, località situata ai confini tra il Tamil Nadu e il Kerala, abitata prettamente da indù. Qui sorge il Seminario (non ancora ultimato), primo progetto della nuova Diocesi di Coimbature da poco costituita, dove il Vescovo ci ha ripetutamente invitate. Considerata la positività dell’esperienza, il 31 gennaio 2015, giorno molto significativo per noi Minime, è stata costituita ufficialmente la comunità con suor Alfonsa, suor M.Jolly e suor Lina. Esse condividono la vita del Seminario e sono presenti innanzitutto come segno della vita consacrata accanto ai seminaristi. Con loro vivono la preghiera, i ritmi e gli orari della giornata con servizi di assistenza nella casa; una di loro insegna alcune materie di studio ai seminaristi. Soprattutto offrono una vicinanza che crea un clima di famiglia. La testimonianza della vita religiosa ai futuri sacerdoti può infatti essere un mezzo per aiutarli a scoprire nella realtà della consacrazione quella maternità o paternità spirituale che ogni consacrato può e deve raggiungere. Questa località silenziosa immersa nell'intensissimo verde di alberi da cocco e di banani, fa pensare “ai piani e ai monti” in cui Santa Clelia vedeva profeticamente la sue figlie sparse a lavorare nella vigna del Signore. Certamente lei non conosceva questo posto né gli indù del Tamil Nadu, ma lo Spiri- Incontri Fraterni 21 to che agiva nel suo animo, e non ha confini, porta a compimento nel tempo la sua profezia. In vista nuove aperture Altre piccole aperture di comunità si profilano anche in altri continenti. In Italia, a Ravenna, è già in atto una presenza di Minime nell'Opera Santa Teresa per l’assistenza infermieristica ai disabili e quella spirituale a malati terminali oncologici. Pure in Africa si stanno sperimentando due piccole presenze: a Mapanda e a Ipogolo per rispondere all'invito dei Vescovi e venire incontro al grande bisogno di catechesi e di evangelizzazione. La nostra preghiera è che Spirito guidi e sostenga questi tentativi affinché siano realmente una risposta alle attese della Chiesa e del mondo oggi. Madre Maria Bruna Zuffa “ ... io me ne vado, ma non vi abbandonerò mai... Crescerete di numero e vi espanderete per il piano e per il monte a lavorare la vigna del Signore”. (Santa Clelia) 22 Incontri Fraterni In un Hospice di Ravenna VICINO AI MALATI CON LO SPIRITO DI S. CLELIA Da poco più di un anno le Minime dell’Addolorata hanno avviato una nuova presenza in un luogo che può essere definito un “santuario della sofferenza”. Si tratta di un Hospice, dove vengono accolti disabili e malati terminali di tumore, per una cura palliativa. Le anima lo spirito di Santa Clelia. F in dall’inizio, pur tra vari problemi burocratici, avviando una nuova attività in questo Hospice di Ravenna, abbiamo sentito che il Signore ci voleva qui, accanto ai disabili e ai malati, giunti all’ultima fase della loro vita, per trasmettere loro la tenerezza e l’amore misericordioso di Dio. Ci siamo sentite “chiamate” a questo servizio di carità evangelica. È stata per noi una vera “vocazione” del Signore. La nostra giornata Come trascorriamo qui le nostre giornate? Ogni mattina si apre con la santa messa. È il momento in cui portiamo all’altare tutte le persone a cui il Signore ci invierà durante la giornata. Gli chiediamo che le benedica e accompagni anche noi affinché, con la sua grazia, possiamo aiutarle a vivere in maniera significativa le loro sofferenze. Incontri Fraterni 23 Verso le 10,30 visitiamo i malati, uno per uno, tranne quelli che non lo desiderano. Questo incontro quotidiano ci aiuta a capire tante cose, soprattutto il senso della precarietà umana e della nostra povertà e impotenza. La cosa più importante che possiamo fare, oltre i nostri piccoli servizi, è di accompagnarli, affidandoli al Signore nella preghiera perché sia lui il loro medico, il loro aiuto e conforto. Per noi, essi sono una presenza viva di Gesù che soffre in loro e insieme a loro. In questo momento sono i nostri veri maestri perché nella loro sofferenza ci insegnano che cosa veramente ha significato nella vita. Le parole contano poco. Noi possiamo solo aiutarli ad aprire il loro cuore stando vicino e ascoltarli con amore. Ogni volta che torniamo dai malati comprendiamo come davvero non siamo noi a dare qualcosa a loro, ma sono loro che danno tanto a noi. Anche se per vari anni siamo state a contatto con i malati come infermiere, l’esperienza che viviamo qui è molto diversa. È un’esperienza che ci arricchisce e che, in qualche modo, ci ob- 24 Incontri Fraterni bliga a porci delle domande che toccano profondamente il nostro essere. Al termine della giornata abbiamo il cuore pieno di volti e di sofferenze, e sentiamo il bisogno di andare in chiesa, davanti al tabernacolo, per deporre tutto sotto lo sguardo di Gesù che conosce meglio di noi che cosa vuol dire soffrire. I nostri incontri quotidiani Durante questi mesi abbiamo incontrato varie categorie di malati: giovani, adulti, anziani, persone che credono in Dio e altre che non credono. Abbiamo esperimentato il dolore delle mamme che lasciano soli i loro figli ancora piccoli; oppure la sofferenza di chi assiste i propri figli morenti… Ci chiedono: perché? Noi non abbiamo delle risposte poiché esse fanno parte dei disegni misteriosi di Dio. Solo lui conosce quello che a noi sfugge, ma sappiamo di poter sempre fare affidamento sul suo amore che non ci abbandona mai. Noi possiamo solo ripetere: “Gesù accogli tu queste sofferenze, uniscile alle tue, per il bene delle loro anime e dei loro cari”. Abbiamo incontrato anche tanti malati che ci hanno dato una grande testimonianza di fede e ci hanno insegnato realmente cosa vuol dire vivere di fede, anche quando non è facile. Sono persone che hanno avuto dal Signore la forza di dire: “Eccomi”, accettando la sua volontà. Alcuni, quando ci vedono, congiungono le mani per pregare e forse riscoprono la fede che hanno abbandonato per tante ragioni a noi sconosciute. All’inizio pregano insieme con noi nella speranza di ottenere la guarigione. Poi il Signore ci mette la sua mano e la preghiera diventa atto di abbandono nelle sue mani e così molti giungono a ricevere con fede il sacramento dell’Unzione degli Infermi. Altri nostri piccoli servizi Nel pomeriggio recitiamo il Santo Rosario nella cappella dell’Hospice, affidando all’intercessione di Maria i malati più gravi e i loro familiari. La sera, dopo Compieta, ci rivolgiamo a S. Clelia con una preghiera per chiederle la sua intercessione. La domenica mattina nell’Hospice viene celebrata S. Messa. Vi partecipano alcuni malati, i loro parenti e tante persone del vicinato. Inoltre visitiamo le famiglie; portiamo la Comunione agli anziani e ai malati, prestiamo qualche piccolo servizio infermieristico a chi lo desidera, e diamo un aiuto anche per l’insegnamento del catechismo in parrocchia. Due di noi svolgono un servizio presso l’Opera Santa Teresa, una struttura della diocesi dove sono ospitati numerosi anziani, malati, handicappati e ogni genere di persone “povere”. Davvero il lavoro non ci manca. Ma in tutte queste nostre attività sentiamo di continuare lo spirito di Santa Celia che nella sua breve vita ha sempre avuto un’attenzione tutta particolare verso i poveri e i malati. Suor Jessy Kallivalappil Incontri Fraterni 25 La presenza della Madonna in America Latina MADRE VICINA AI POVERI E AGLI ULTIMI Ovunque nel continente latino-americano la Madonna è presente con numerosi santuari. Si tratta quasi sempre di una Vergine dolorosa, venerata come Madre dei piccoli, dei poveri e degli oppressi e come strumento di riconciliazione. L a costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, del concilio Vaticano II, al capitolo VIII, dedicato alla beata Vergine Maria, Madre di Dio, scrive che la 26 Incontri Fraterni Madonna, «dopo la sua assunzione in cielo, non ha interrotto la sua funzione salvifica… ma con la sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata. Per questo la beata Vergine è invocata nella Chiesa con i titoli di avvocata, ausiliatrice, soccorritrice, mediatrice…» (n. 62). Di questa “materna cura” ne sono testimonianza l’amore e la fiducia filiale con cui il popolo cristiano, attraverso i secoli, si è sempre rivolto a lei e ha voluto che la sua vicinanza fosse resa tangibile dedicandole ovunque santuari, piccoli e grandi, divenuti poi luoghi di feste, pellegrinaggi, visite e soprattutto di suppliche di intercessione e di esperienze spirituali. Nostra Signora della Concezione Aparecida Un continente dove la Madonna ha manifestato questa sua cura materna e compassionevole verso i piccoli, gli ultimi, gli oppressi è anche l’America latina. A risvegliare l’attenzione verso questo continente ha contribuito senza dubbio il pellegrinaggio del papa Francesco in occasione della Giornata mondiale della gioventù a Rio de Janeiro (23-28 luglio 2013), che ha avuto nel grandioso santuario di Aparecida il suo momento culminante. In questo santuario la Madonna è conosciuta come la piccola Vergine degli schiavi e dei più umili. La sua effigie è giunta qui in modo, per così dire, quasi prodigioso. La sua storia comincia nel 1717, quando si seppe che il conte di Assumar, don Pedro di Almeida e del Portogallo, governatore della Provincia di San Paolo e Minas Gerais, si sarebbe fermato nel villaggio di Guaratinguetá, durante il suo viaggio verso Vila Rica, l'odierna Ouro Preto in Minas Gerais. Per l’occasione, alcuni pescatori erano stati incaricati di fornire il pesce per il banchetto da tenersi il giorno dopo, in onore della visita del conte. Tre pescatori, Domingos Garcia, Filipe Pedroso e João Alves, andarono a pescare nel fiume Paraíba. Dopo alcuni tentativi infruttuosi, gettarono le reti in un'area chiamata Porto Itaguaçu. João Alves trovò nella sua rete una statua della Madonna, ma le mancava la testa. Gettò nuovamente le reti e questa volta pescò anche la testa. In seguito i tre pescatori provarono a gettare le reti e queste si riempirono di pesci. Per 15 anni la statua rimase nella casa di Filipe Pedroso, dove i vicini si riunivano per recitare il rosario. La devozione cominciò poco alla volta ad espandersi: alcuni fedeli, che avevano pregato davanti alla statua, affermarono di aver ricevuto delle grazie e così il culto si diffuse in tutto il Brasile. A lei fu quindi dedicato il grande santuario dell’Aparecida. La sua presenza nel continente Ma si può dire che non c’è angolo del continente, a partire dalla frontiera messicana fino alla Terra del Fuoco, compresa l’Amazzonia, che non registri la presenza della Madonna con santuari a lei dedicati. A cominciare dalla Madonna di Guadalupe, la morenita, la Vergine per eccellenza, la patrona del Messico e del continente latinoamericano, prototipo di tutte le Madonne invocate dalla Chiesa e venerate dal popolo cattolico di quelle latitudini. A lei è dedicato il grandioso santuario di Città del Messico. Al centro della vicenda è l’indigeno Juan Diego Cuauhtlatoatzin, indio dalla genealogia náhualtl, proclamato santo da Giovanni Paolo II nel 2002. In Panama è venerata la Madonna nazionale, Nuestra Señora de las Mercedes, che sopravvisse al saccheggio e all’incendio appiccato dal pirata Morgan alla città. In Nicaragua troviamo invece il santuario Señora de la Concepción, “la purissima” giunta in questo paese nella bisaccia di un frate di Santa Teresa del Bambin Gesù. Scendendo più a sud, in Ecuador è venerata la Virgen de la presentación del Quinche che rassicurò gli indios che non sarebbero stati divorati dall’orso selvatico che terrorizzava la zona, mentre a Cuba alla popolarissima Vergine De la Caridad del Cobre, se ne aggiunse una seconda, detta dell’Exílio, che prima di raggiungere la destinazione finale in terra statunitense stazionò proprio nell’ambasciata d’Italia a La Avana. Incontri Fraterni 27 In luoghi scelti dalla Vergine Non si contano, inoltre, le Madonne che si sono scelte da sole il luogo dove il popolo avrebbe dovuto onorarle, facendosi trovare lì, resistendo agli spostamenti, talvolta disposti dalle stesse autorità ecclesiastiche, piantandosi nel terreno a modo di roccia inamovibile, e ritornando nel posto prescelto con pervicacia dopo essere state spostate a chilometri di distanza. Protagonisti dei vari episodi sono sempre persone molto povere e semplici. Oltre al citato caso di Juan Diego Cuauhtlatoatzin, l’indio molto povero, al centro delle vicende di Guadalupe, troviamo quello della Madonna di Lujan, patrona dell’Argentina di Papa Francesco, che ha avuto come protagonista uno schiavo afro-brasiliano, mentre la Madonna boliviana conosciuta come Nuestra Señora de la Candelaria de Copacabana, dagli inconfondibili tratti indigeni, è stata intagliata da un discendente inca di poveri natali. Anche la Senora de Suyapa, patrona dell’Honduras, si è fatta incontrare da un giovane e povero bracciante. 28 Incontri Fraterni Si può dire che le Madonne latinoamericane hanno la missione di unire i divisi, riconciliare i belligeranti, avvicinare i lontani. La Vergine di Gadalupe è la più nota realizzatrice di questo progetto, ma non meno popolare è quella venezuelana di Coromoto, o la salvadoregna detta, non a caso, della Pace, per aver posto fine a una lunga e cruenta guerra fratricida. Altri esempi sono la celebre Vergine di Caacupé, in Paraguay, che salva un indio convertito dalla persecuzione dei suoi simili di razza Mbayaes, e quella del Costa Rica, Nuestra Señora de los Angeles, che abbatte i muri di divisione tra bianchi e meticci indiani nella regione dell’istmo. Quasi tutte le Madonne latinoamericane sono dolorose, perché si sono fatte vicine al popolo dei piccoli, dei poveri e sofferenti. Sono madonne-madri, che come tali si sono fatte conoscere e per questo la gente le venera con un tenero amore filiale. Tutte, quasi senza eccezione, tengono in braccio il figlio di Dio, lo mostrano, lo protendono verso il popolo perché lo accolga e abbia a credere in lui. Un nuovo libretto su S. Clelia scritto dai “suoi cari amici” LA VITA BELLA DI SANTA CLELIA BARBIERI La vita di Santa Clelia non finisce mai di stupire. È come una bella fiaba – ma è storia vera – che non ci si stanca mai di ascoltare. Per questo il nuovo libretto, da poco uscito, susciterà in chi lo legge nuove emozioni e nuova meraviglia. C lelia Barbieri, la piccola santa delle Budrie, è una figura sempre più conosciuta nel vasto panorama delle vite dei santi. La sua bibliografia comprende ormai un buon numero di pubblicazioni, tra libri e opuscoli, alcuni tradotti anche in altre lingue, e alcuni Video, che narrano le vicende della sua breve ma intensa vita. A questo patrimonio bibliografico si aggiunge ora un grazioso libretto illustrato, in formato 17 X 17, tipo album, intitolato La vita bella di Santa Clelia Barbieri, pubblicato da Maglio Editore, di San Giovanni in Persiceto. È scritto da sr. Maria Clara Bonora, minima dell’Addolorata, autrice anche di altri libri su S. Clelia, anche se in copertina appare l’indicazione “a cura dei suoi amici”. Si tratta evidentemente di un artificio letterario poiché questi suoi amici sono in realtà ragazze e ragazzi contemporanei di Clelia vissuti Incontri Fraterni 29 allora alle Budrie, e hanno un nome ben preciso, riscontrabile nella storia. Si chiamano: Enrico, Tonino, Maria Luisa, Saverio, Violante, Maria F. Clelia. Si presentano così: «Clelia Barbieri è vissuta con noi e come noi, siamo stati a casa sua e lei a casa nostra, ci ha donato presenza, attenzione, bontà, aiuto, ci ha fatto sentire Gesù vivo, vero e vicino. Avevamo circa la sua età». A questo gruppo se ne aggiunge un secondo di più piccoli che sono: Maria B. Raffaella S. Anna Maria, Raffaella G. Anna, Valentino. «Eravamo più piccoli – dicono – e abbiamo goduto delle sue cure e del suo amore». Sullo sfondo del racconto si intravedono, quasi in trasparenza, il piccolo paese delle Budrie di quell’epoca, e i vari personaggi che entrano a far parte della storia di Clelia: il papà Giuseppe Barbieri, la mamma Giacinta, la sorella di Clelia, Ernestina, i parenti, il parroco don Gaetano Guidi, e altri. Le vicende di quegli anni sono inserite nel convulso contesto storico del tempo, che è quello del Rinascimento italiano. Su questa trama scorrono gli avvenimenti che accompagnano la vita di Clelia: la nascita, il battesimo, la cresima, la prima comunio- 30 Incontri Fraterni ne, il suo desiderio fin da piccola di farsi santa, e più tardi, ormai grandicella, la partecipazione alla vita della parrocchia, e l’inizio della sua piccola comunità da cui nascerà poi la Congregazione delle Minime dell’Addolorata. Infine il ricordo delle sue ultime raccomandazioni al gruppo delle compagne, la sua morte a soli 23 anni e la grande commozione della gente che dice subito: «è la nostra santa». Quasi una profezia della solenne proclamazione che ne farà più tardi la Chiesa. Tutta questa storia appare sempre nuova e affascinante. È narrata, per una specie di immedesimazione, attraverso lo sguardo del suo gruppo di amici e con quello stupore di cui solo i piccoli sono capaci. Sono in tutto poco più di una quarantina di pagine a caratteri grandi e con ariosi spazi bianchi. È scritto con uno stile piacevole ed essenziale, ed è corredato da disegni a colori di Fabio Bigatti a commento di ogni capitoletto in cui è distribuita la narrazione. Il libretto si chiude con un brano della lettera di Clelia al suo caro Sposo Gesù, e termina con l’invito, che è insieme una consegna e un programma di vita: Amate Iddio. NELLA CASA DEL PADRE Quattro nostre consorelle si sono congedate da noi in questi mesi: Suor Ignazia Ravaglia, Suor Leonarda Scagliarini, Suor Michelina Preti e Suor Nicolina Marchioretto. Le affidiamo alla misericordia di Dio e alle preghiere di quanti le hanno conosciute. Preghiamo anche per i nostri familiari che ci hanno lasciato in questo periodo: Guglielmo, fratello di Suor Maria Gioconda e Suor Guglielmina Prioli, Angelo, fratello di Suor Bettina Valle, Thoma, papà di Suor Maria Celina Chakkalakkal Luciano, fratello di Suor Aurelia Gozza Giovanni, fratello di Suor Mariana Malandrucolo e Xavier, papà di Suor Sofia Maliyekkal . PREGHIERA PER I PELLEGRINI “...Signore, aprite il vostro cuore e buttate fuori una quantità di fiamme d’amore e con queste fiamme accendete il mio fate che io bruci d’amore”. Dalla lettera memoriale di S. Clelia Ogni giorno nel Santuario di S. Clelia si prega per tutti coloro che costantemente chiedono preghiere. Il giorno 13 di ogni mese, nella casa generalizia di Bologna, viene celebrata una S. Messa per tutti i devoti di S. Clelia. Incontri Fraterni 31 Santuario Santa Clelia Barbieri Le Budrie ATTIVITÀ DEL SANTUARIO Suore Minime dell’Addolorata Via Tambroni, 13 - 40137 Bologna - Tel. 051 341755-342624 - c.c.p. 14253405 Redazione: Suor Maria Angelina Bentivogli - Dir. Resp. P. Giuseppe Albiero Aut. Trib. Bo 3038 in data 18/1/1963 - Trimestrale n. 1/2015 Poste Italiane S.p.a. - Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 N. 46) art. 1, comma 2, Anno XLVII - Pubb. inf. 50% In caso di mancato recapito, si prega di restituire al mittente, che si impegna a pagare la tassa dovuta. Stampa: DIGI GRAF - Bologna