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Ricordo di Aldo M. Sandulli avvocato nel centenario

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Ricordo di Aldo M. Sandulli avvocato nel centenario
23 DICEMBRE 2015
Ricordo di Aldo M. Sandulli
avvocato nel centenario della nascita
di Maria Alessandra Sandulli
Professore ordinario di Diritto amministrativo
Università degli Studi di Roma Tre
Ricordo di Aldo M. Sandulli avvocato
nel centenario della nascita*
di Maria Alessandra Sandulli
Professore ordinario di Diritto amministrativo
Università degli Studi di Roma Tre
Sono, come potrete facilmente immaginare,
fortemente emozionata e profondamente
commossa. Non avrei mai pensato di poter ricevere un riconoscimento così importante, che
sicuramente non merito e di cui sono, quindi, estremamente grata alla commissione, in cui
quest’anno sono stata per l’occasione sostituita da mio fratello Andrea. Consentitemi quindi di
ringraziare in modo particolare proprio mio fratello, che, con Filippo Lubrano, già dallo scorso
anno (come chi era presente potrà forse ricordare) ha affettuosamente insistito affinché io
accettassi questo Premio.
Per Lui, come per me (e, fino a quando sono stati con noi, per mamma e per Nico), indicare il
premiato è doppiamente difficile e ha un significato particolarmente importante: il fatto che
Andrea, con il suo speciale rigore e con il suo carattere schivo e riservato, abbia tenuto ferma la
sua idea e abbia cercato e trovato argomenti per vincere le mie resistenze e convincermi che era
giusto lasciarmi premiare, mi ha quindi ancor più lusingato e commosso.
E mi ha convinto. Non tanto che fosse davvero “giusto e meritato”, ma che, nel clima di umanità
e affetto che caratterizza da sempre questa manifestazione, non fosse poi così eccessivo. In
particolare quest’anno, che coincide con la celebrazione dei 100 anni dalla nascita di nostro Padre:
una circostanza che accresce la mia commozione e, consentitemi, il mio orgoglio;
e che ho avuto lo speciale privilegio di vivere con la massima intensità, prima come Presidente
dell’associazione dei professori di diritto amministrativo e ora come premiata.
Con l’affetto e l’aiuto del mondo istituzionale e accademico che ha voluto, ancora una volta,
onorarne la memoria, abbiamo celebrato il centenario, prima, il 16 aprile, alla Corte
costituzionale, alla presenza del Presidente della Repubblica; e, solo tre settimane fa, il 20
novembre, in concomitanza con la data della Sua nascita, alla Sapienza.
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Discorso tenuto in occasione del conferimento del Premio Aldo Sandulli 2015.
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E il felice intrecciarsi delle coincidenze ha voluto che, come Presidente dell’Aipda, io potessi
introdurre la prima cerimonia e concludere la seconda, avendo, soprattutto, al mio fianco, come
Presidenti dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, Antonio D’Atena e Massimo Luciani,
che ne furono allievi e ad entrambi i quali era fortemente legato.
Ho avuto così la straordinaria opportunità di vivere quest’anno in una speciale vicinanza con
nostro Padre, cullandomi nei ricordi e godendo della crescente consapevolezza e dolcezza del
comune sentire, come mai mi era accaduto in passato.
Nostro Padre ci ha lasciati all’improvviso: eravamo molto giovani e stavamo appena avviandoci al
mondo del lavoro. Con l’aiuto e la forza di mamma e con l’esempio e il coraggio di Nico ci siamo
impegnati al massimo, cercando di rendere al meglio, per rispettarne l’insegnamento e
proseguirne l’impegno.
Ma non c’era tempo per pensare.
Non ne ho avuto neanche i primi giorni: forse ne avevo paura e, quando si ha paura, è più facile
fare che pensare.
Quest’anno no. Quest’anno ero serena. I figli cresciuti: Guglielmo Aldo neo-avvocato (con gli
orali superati l’anno scorso, proprio durante la consegna del Premio Sandulli), Guido studente
ben avviato di medicina. Il lavoro gratificante e arricchito dalle soddisfazioni che mi danno i miei
allievi, nei vari settori in cui si stanno avviando e che, affettuosamente, mi hanno sgravato da
molte incombenze, lasciandomi il tempo per riflettere e pensare a mio Padre (che comunque, a
questo punto, non ci sarebbe più stato), senza angoscia né rabbia, con commozione e serenità.
Una congiuntura speciale.
E, per preparare quelle celebrazioni, ho riletto con calma i Suoi scritti: non tutti, ma molti,
regalandomi una full immersion nel Suo pensiero. E ne ho riscoperto la straordinaria attualità,
avvertendo con forza quello che considero il Suo massimo insegnamento: l’impegno e la
speranza.
Nostro Padre ha affrontato esperienze molto dure: la guerra, i quattro anni di prigionia in Russia,
i dolori familiari, la crisi politica e istituzionale degli anni di piombo e le delusioni per il
tradimento di valori fondamentali della democrazia e dello Stato costituzionale: ma non ha mai
perso la speranza, non è mai stato un cinico: e ha sempre saputo trasmettere a chi Gli era vicino
la Sua forza e il Suo credo nei valori della Patria, della famiglia, della legalità, della democrazia.
Nell’Introduzione al convegno svoltosi in Corte costituzionale, leggibile anche sul sito della
nostra Associazione, ho cercato quindi di concentrarmi sul Suo impegno civile e istituzionale,
richiamandone le riflessioni e le esortazioni contenute nei numerosi articoli pubblicati sulla
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stampa quotidiana negli anni ’70 e nei primi anni ’80, fino allo stesso giorno della Sua prematura
scomparsa, l’11 febbraio 1984. Nel ricordo accademico alla Sapienza, abbiamo invece focalizzato
l’attenzione sui temi della legalità e dell’effettività della tutela, ripercorrendo, con l’aiuto di
autorevoli costituzionalisti e amministrativisti, i Suoi principali scritti giuridici in argomento, che,
come ho cercato di evidenziare nelle mie conclusioni, anch’esse in corso di pubblicazione sul sito
dell’Aipda, offrono importanti indicazioni per affrontare alcune problematiche molto attuali sul
ruolo del giudice e sui rapporti tra le fonti.
Non tornerò quindi su questi profili, limitandomi a segnalare che tutti gli scritti giuridici non
monografici e tutti gli articoli sulla stampa di nostro Padre sono ora facilmente consultabili
leggibili on line sui siti della Corte costituzionale, del Senato della Repubblica, della Giustizia
amministrativa e delle Associazioni AIC e AIPDA.
Oggi, come è giusto che sia in questa sede, voglio invece ricordarne la figura di avvocato,
approfittando, tra l’altro, della circostanza che, diversamente da quanti, prima e più
meritoriamente di me, sono stati insigniti di questo Premio, ho avuto il grande privilegio di
esserGli stata vicina nell’esercizio della libera professione, sia pure solo per pochissimi anni.
Avevo fatto, come tutti, l’esame di procuratore, ma non avevo l’intenzione di fare l’avvocato, così
come, del resto, non avevo l’ambizione di fare il professore. L’idea era, in linea con l’esempio
materno, quella di fare, al massimo, l’assistente universitario (all’epoca si chiamava così) e
occuparmi della famiglia (auspicando di averne una).
Studiavo, quindi, per scrivere i miei articoli e la mia monografia sulle sanzioni, nella stanza
accanto alla Sua e, inizialmente di tanto in tanto e poi con sempre maggiore intensità, cercavo di
aiutarlo, prima nelle ricerche e poi, sempre più spesso, nella redazione degli atti: con nessun altro
fine o ambizione che starGli vicina, per “assorbire” il Suo metodo e per poter ridurre, sia pure in
minima parte, il Suo carico di lavoro e di pensieri.
È stato un insegnamento incredibile.
Nostro Padre profondeva nella libera professione la stessa passione morale e civile e lo stesso
impegno, nelle grandi, come nelle piccole questioni, che hanno caratterizzato tutta la Sua attività e
tutta la Sua esistenza.
Figlio di magistrato (mio nonno era stato Presidente della Corte d’appello di Napoli), credeva
fortemente nella Giustizia, ordinaria e amministrativa, e vi si rivolgeva con fiducia e rispetto, nella
ferma convinzione che, reso chiaramente edotto del quadro di riferimento e delle ragioni a
sostegno della tesi che si voleva difendere, il Collegio avrebbe saputo correttamente valutarla e
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decidere al meglio. Era quindi molto rigoroso anche con se stesso nell’assolvimento del mandato
professionale: quando assumeva una difesa, ne sentiva tutta la responsabilità nei confronti del
cliente, tanto più forte quando l’interesse non era meramente economico, ma incideva sulla vita
personale. Non guardava mai al valore della causa, ma soltanto alla rilevanza e alla delicatezza
delle questioni affrontate, che cercava di sceverare in ogni profilo, senza tralasciare alcun
possibile spazio per conseguire una tutela più effettiva. Alberto De Roberto, nel ricordo per il
ventennale, pensando anche al Suo profilo professionale, scrisse che l’aspetto che lo aveva più
colpito di mio Padre, “in ogni manifestazione della Sua personalità” era stato “l’impegno forte di rendere
chiaro il Suo pensiero, che volava alto e l’estremo sforzo – con umiltà e pazienza – di ricostruire il <fatto>
intervenendo sulla norma solo dopo che il fatto era sotto gli occhi di tutti”.
Iniziò ad esercitare l’attività professionale, in casa, a Napoli, credo dopo il matrimonio (celebrato
nel 1951), affiancandola a quella accademica e scientifica, che, nel 1952, avrebbe consentito la
pubblicazione della prima edizione di quel Manuale sul quale si sono formate intere generazioni
di giuristi. Nel 1957 (a soli 41 anni) fu però nominato Giudice della Corte costituzionale e, quindi,
lasciò tanto l’attività universitaria che quella professionale.
Nel 1969, alla scadenza del mandato, fu poi chiamato a coprire la cattedra di diritto costituzionale
all’Università di Roma, La Sapienza, dove ha insegnato fino all’estate del 1983, quando fu eletto
senatore della Repubblica.
Ci trasferimmo quindi a Roma, dove, dopo dodici anni di interruzione, pensò di riprendere,
sempre in casa, anche l’attività professionale. Avevo appena tredici anni, ma ricordo bene la
trepidazione con cui fu accolto il primo cliente, tale signor Tognazzi, che telefonò a ridosso della
scadenza del mandato, per chiedere un appuntamento. Era una questione legata al tema del
rilascio delle licenze edilizie ora per allora e Babbo, appassionatosi sin da subito al tema, ne
costruì innovativamente la soluzione. Lo strano e miracoloso gioco della vita ha voluto che
quando, nel 1987, mi trasferii a Milano, quel signor Tognazzi (i cui giudizi erano finiti ormai da
anni), avesse letto un mio articolo sulla Rivista dell’edilizia e fosse il mio primo cliente nuovo a
Milano.
Dedicava, come dicevo, molto impegno alla libera professione, ma, come molti dei presenti già
sanno, non ha mai avuto uno studio di tipo imprenditoriale: lavorava in casa, seguendo
personalmente ogni pratica, con il modesto e minimale aiuto di uno o al massimo due giovani che
si avviavano alla ricerca giuridica e che, nei primissimi anni, volevano comprenderne anche le
applicazioni concrete, traendo a un tempo vantaggio dalla vicinanza e dagli insegnamenti del
Maestro, oltre che dalla disponibilità della Sua biblioteca. Così Giorgio de Santis Mangelli, Vico
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Vicenzi, Salvatore Bellomia, Massimo Luciani, io stessa e, per il poco tempo che la più giovane
età gli ha consentito, mio fratello Andrea, ci siamo avvicendati nello studiolo del collaboratore,
aiutandolo nelle ricerche di giurisprudenza (che spesso facevamo insieme a Lui, fianco a fianco,
sui repertori cartacei, scambiandoci idee e riflessioni) e nella redazione delle primissime bozze di
atti. Questo lavoro era però limitato a una parte della giornata, perché nel resto del tempo voleva
che ci dedicassimo con il necessario impegno alla ricerca scientifica, come ha sempre continuato a
fare anche Lui, fino all’ultimo giorno e come testimoniano la mole e la rilevanza dei Suoi scritti e
le 14 edizioni del Suo Manuale, al quale lavorava al mattino presto, tutti i giorni, inserendo gli
aggiornamenti sulle mezze pagine bianche che inframmezzavano la Sua copia.
Lavorava moltissimo, senza sosta, ma con passione e curiosità e non ci chiedeva mai di fare
qualcosa, tranne che per le Riviste (Giurisprudenza italiana e, soprattutto, la Rivista giuridica
dell’edilizia, che fondò nel 1958 e che, dopo il Manuale, era la Sua creatura). Per inserirsi nella Sua
attività professionale bisognava offrirsi, cogliere l’attimo in cui stava approcciando una questione
e mostrarvi interesse. Allora ce la illustrava e ci dava il fascicolo o ci coinvolgeva nella ricerca.
Ricordo molte sere in cui, dopo le 8, prima di cena, vedevo che accendeva la luce della stanza con
i repertori e mi precipitavo a chiederGli se potevo aiutarlo. Anche al mattino, dormendo nella
stanza affianco alla cucina, lo sentivo prepararsi il caffè e mi alzavo per farmi trovare pronta.
Seppi poi, da mamma, che Lui credeva che fossi già sveglia per conto mio e anticipava il caffè per
non arrivare secondo…
Rivedeva sempre minuziosamente ogni atto (non solo i nostri, ma anche i Suoi), su cui si trovava
quindi quasi sempre una correzione o un’aggiunta manoscritta (non c’erano i computer e
nemmeno ancora le fotocopiatrici), perché fino all’ultimo si sforzava di offrire il massimo al
cliente e ai giudici per la migliore definizione della controversia.
Questo sforzo era percepibile fin dalle premesse dei Suoi atti e dei Suoi pareri, che apriva quasi
sempre con un “quadro di riferimento”, che spesso aveva la qualità di un vero e proprio saggio.
Non parlava quasi mai “a braccio”e redigeva sempre uno schema per la discussione, che seguiva
in udienza per mantenere la traccia che aveva coscienziosamente predisposto per offrire a chi lo
ascoltava una visione chiara e completa dei temi e delle questioni sui quali voleva concentrare
l’attenzione.
Affrontava sempre l’udienza con un po’ di tensione, soprattutto se, come dicevo, la questione
involgeva profili personali del cliente, ma teneva il tono della voce tendenzialmente basso,
parlando in modo pacato: fermo, ma rispettoso.
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Aveva infatti grande rispetto, non solo per i giudici, ma anche per i colleghi: ricordo che a volte
mi suggeriva di accompagnarlo in Consiglio di Stato per sentire le discussioni di quelli che più
stimava. Tra questi, in special modo, Antonio Sorrentino. Anche lì, poche parole: domani devi
venire: discute Sorrentino.
Vi ringrazio, perché mi avete dato un’altra occasione per ricordare, a me e a Voi, questi momenti
e queste sensazioni. Vorrei dire tante altre cose, ma non voglio togliere altro tempo al Convegno
e agli illustri Relatori, tra i quali consentitemi uno speciale ringraziamento a Aldo Travi, che,
quando, nell’invitarlo a svolgere una relazione al Convegno celebrativo del centenario alla Corte
costituzionale, Gli ho espresso le mie preoccupazioni su come impostare l’Introduzione, mi disse:
racconta com’era e ricordane quel lato personale di cui mi hai tante volte parlato. Da quel
suggerimento è partito il mio percorso di riflessione per le diverse celebrazioni svolte quest’anno
e la serenità interiore che ne ho tratto.
Dirò ancora solo questo, soprattutto per i più giovani. Nostro Padre e tanti nostri Maestri non ci
sono più, ma ci hanno insegnato tanto e se riusciamo, anche solo in minima parte, ad imitarli e a
trasfondere nel nostro lavoro la loro onestà e il loro impegno, potremo fare ancora grandi cose
per la vita e per la giustizia di questo Paese.
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