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Pietro Bembo - Liceo Scientifico "A.Oriani"

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Pietro Bembo - Liceo Scientifico "A.Oriani"
Pietro Bembo
1470 Venezia / 1547 Roma
Casadei Giulia & Massanova Federica 4^B
Vita e Opere
•
Nasce a Venezia nel 1470, figlio del
senatore Bernardo;
•
Collabora con Aldo Manuzio, il quale
pubblica nel 1505 gli Asolani;
•
1508 intraprende la carriera ecclesiastica;
•
1512 si stabilisce a Roma e scrive il De
imitatione;
•
1513 viene nominato segretario
pontificio da papa Leone X;
•
1525 (Padova) pubblica le Prose della
volgar lingua;
•
1530 pubblica le Rime;
•
1547 muore a Roma.
Trattato
• Nel 1400: aveva una forma
prevalentemente dialogica, su
modello ciceroniano e dei
dialoghi platonici.
• Temi filosofici o scientifici
 Latino
• Politica, bellezza, amore, etica
e costume  Volgare ( Il
Principe – Machiavelli, gli
Asolani – Bembo )
• Nel 1500:
“demunicipalizzazione”
con spinta all’ unità e all’
omogeneizzazione 
diventa manifestazione dell’
autocoscienza del ceto
intellettuale per dare ordine
ed armonia alle arti.
Modelli di trattato
• Modelli di comportamento (vita
politica, vita cortigiana, codice
amoroso);
• Modelli artistici e letterali
(sottopongono le arti a canoni
di gusto e di poetica classicisti);
• Modelli linguistici (codificano
lessico e grammatica basati sui
classici del Trecento).
Trattati
sull’ amore
Platonismo:
Fine esclusivo dello
Amore Dio
Conciliazione tra
Spiritualismo e
Naturalismo
Neopaganesimo:
Amore come
Piacere e
Libertà dei costumi
sessuali
Le Rime
( 1530)
“Crin d'oro crespo e d'ambra tersa e pura”
[Rime, V]
Crin d'oro crespo e d'ambra tersa e pura,
ch'a l'aura su la neve ondeggi e vole,
occhi soavi e più chiari che 'l sole,
da far giorno seren la notte oscura,
•
La donna viene descritta seguendo il modello
petrarchesco
•
L’aura Richiamo a Senhal petrarchesco
riso, ch'acqueta ogni aspra pena e dura,
rubini e perle, ond'escono parole
sì dolci, ch'altro ben l'alma non vòle,
man d'avorio, che i cor distringe e fura,
•
occhi soavi e più chiari che 'l sole è una
citazione da Petrarca sonetto CCCLII
•
La seconda quartina interamente ripresa da
Petrarca
•
Esca = qualsiasi cosa che si possa incendiare
facilmente, da Petrarca
•
grazie, ch'a poche il ciel largo destina dal
sonetto CCXIII (Petrarca)  Il Bembo
conclude così il sonetto con un esplicito
omaggio a Petrarca
cantar, che sembra d'armonia divina,
senno maturo a la più verde etade,
leggiadria non veduta unqua fra noi,
giunta a somma beltà somma onestade,
fur l'esca del mio foco, e sono in voi
grazie, ch'a poche il ciel largo destina.
Gli Asolani
(1505)
Dialoghi sull’amore svolti in tre giornate fra tre
giovani letterati veneziani e tre fanciulle
Fine dell’opera:
Filosofico  definire la natura del vero amore
Letterario  solo il buon amore è degno di
essere cantato in prosa ed in poesia
Stile:
elegante, equilibrato
Concinnitas: costruzione del periodo basato su
corrispondenze interne (simmetrie, chiasmi)
Periodi complessi e subordinati
Buon amore: desiderio di bellezza, proporzione e armonia
• Vista: bellezza dei corpi
• Udito: bellezza degli animi
• Pensiero: unico organo che permette l’amore libero e
perfetto  degno di rappresentazione poetica
Allontanamento dall’amore sensuale e passionale
Netta distinzione tra
Amore vero:
Oggetto (donna) contemplato
Attraverso il pensiero
 Importanza del Ricordo
Amore falso:
Utilizzo dei sensi,
Appagamento, amore di
Carattere precario e instabile
Le diverse posizione dei protagonisti
Uomo: deve subordinare al
bellezza fisica a quella
morale e dell’animo
Donna: deve possedere modi gentili
e qualità d’animo
Rappresenta l’oggetto di
contemplazione
Ruolo marginale rispetto alla figura
maschile
• L’unico vero protagonista è l’uomo
• Scopo dell’amore è l’appagamento dell’uomo
È adunque il buon amore desiderio di bellezza
Gismondo
 In amore tutto e piacevole e
caro
 Tutti i desideri naturali sono
ugualmente buoni
 Loda e descrive solo la bellezza
esteriore della donna
 Basa l‘amore sui piaceri
sensuali
 Amore come possesso
Laviniello (portavoce della tesi
bembiana)
 Amore e desiderio sono la
medesima cosa 
contemplazione
 Solo la vista e l’udito sono sensi
nobili legati alla bellezza
(metafora della farfalla)
 Bellezza:insieme di proporzione
equilibrio e armonia
 Pensiero e ricordo alimentano
l’amore
 Amore carnale: unico fine la
procreazione
Le Prose della volgar lingua
• Dal 1519 al 1524 stesura dell’ opera;
• Pubblicata nel 1525;
• Si tratta di un resoconto in tre libri di un dialogo avvenuto nel 1502 e
dedicato a Giulio de’ Medici;
• Vi è l’ intenzione di retrodatare l’opera, per poterla collocare nel pieno della
crisi italiana ( fine ‘400 e inizio ‘500 ) come positiva risposta ad essa;
• I punti fondamentali sono: esaltazione della lingua scritta, uso di essa come
mezzo per la gloria eterna  regole fisse, non soggette al tempo, su modello
petrarchesco (poesia) e boccacciano (prosa);
• Grazie a questa opera Bembo garantisce unità linguistica e fornisce agli
intellettuali uno strumento linguistico unitario;
Protagonisti:
 Carlo Bembo (fratello dello scrittore)  sostiene la tesi linguistica di
Pietro;
 Giuliano de’ Medici (figlio di Lorenzo de’ Medici)  sostiene il primato
del fiorentino vivo;
 Federigo Fregoso ( poi cardinale)  sostiene il volgare delle corti;
 Ercole Strozzi ( umanista ferrarese)  sostiene l’ uso del latino.
Contenuti:
 Nel I libro: problema se si debba usare il latino o il volgare ( scelta la
seconda) si apre la questione di quale volgare usare ( fiorentino o su
modelli trecenteschi);
 Nel II libro: si considerano le qualità che rendono bella la scrittura
(piacevolezza e gravità) ed altre questioni ( suono, ritmo, variazioni etc.);
 Nel III libro: descrizione morfologica del toscano trecentesco ( esempi tratti
da Petrarca e Boccaccio).
La differenza tra lingua scritta e parlata
[libro I]
necessità di prendere come modelli Petrarca a Boccaccio
Capitolo XVIII- XIX  Bembo confuta la tesi di Giuliano
Medici:
 uso del fiorentino vivo
 ispirarsi ad una lingua morta significa rivolgersi ai morti
Si definisce il pubblico :
• Ristretta cerchia di intenditori letterati: letteratura elitaria
condizione separata e privilegiata dell’intellettuale
umanistico e rinascimentale
(fuggire da forme popolaresche e tendere ad un valore
assoluto e ideale di bellezza formale e perfezione
aristocratica)
• Ci si rivolge ai posteriori e non solo ai contemporanei 
fama futura
Bembo inoltre sostiene che :
 Non è sempre necessario imitare gli antichi ma lo è quando
questi costituiscono un modello di eccellenza (Cicerone,
Virgilio);
 Occorre assumere Petrarca e Boccaccio come esempi per
la lingua volgare;
 Rifarsi a modelli antichi: conquista dell’eternità arte
sottratta al tempo e alla storia;
 Importanza della forma e non del contenuto.
La lingua “cortigiana” non esiste
Come, che ella non sia lingua? - disse messer Ercole - non si parla e ragiona egli in corte
di Roma a modo niuno?
Parlavisi - rispose il Magnifico - e ragionavisi medesimamente come negli altri
luoghi; ma questo ragionare per aventura e questo favellare tuttavia non è lingua, perciò
che non si può dire che sia veramente lingua alcuna favella che non ha scrittore. Già non
si disse alcuna delle cinque greche lingue esser lingua per altro, se non perciò che si
trovavano in quella maniera di lingua molti scrittori. Né la latina lingua chiamiamo noi
lingua, solo che per cagion di Plauto, di Terenzio, di Virgilio, di Varrone, di Cicerone e
degli altri che, scrivendo, hanno fatto che ella è lingua, come si vede.
Il Calmeta scrittore alcuno non ha da mostrarci, della lingua che egli cotanto loda agli
scrittori. Oltre acciò ogni lingua alcuna qualità ha in sé, per la quale essa è lingua o
povera o abondevole o tersa o rozza o piacevole o severa, o altre parti ha a queste simili
che io dico; il che dimostrare con altro testimonio non si può che di coloro che hanno in
quella lingua scritto. Perciò che se io volessi dire che la fiorentina lingua piú regolata si
vede essere, piú vaga, piú pura che la provenzale, i miei due Toschi vi porrei dinanzi, il
Boccaccio e il Petrarca senza piú, come che molti ve n'avesse degli altri, i quali due tale
fatta l'hanno, quale essendo non ha da pentirsi.
Il Calmeta quale auttore ci recherà per dimostrarci che la sua lingua queste o quelle
parti ha, per le quali ella sia da preporre alla mia? sicuramente non niuno, che di nessuno
si sa che nella cortigiana lingua scritto abbia infino a questo giorno
La Lingua “cortigiana” non esiste
[libro I,14]

La tesi di Calmeta ( utilizzo della lingua della corte romana) viene smontata da Giulio de’
Medici perché non presenta opere scritte >
[ Citazione: “non si può dire che sia veramente lingua alcuna favella che non ha scrittore” ]

Esempio della lingua latina che presenta numerosi scrittori illustri ( citati: Plauto,
Terenzio, Virgilio, Varrone e Cicerone)

Dimostrazione che si deve utilizzare il fiorentino  Già utilizzata da modelli come
Petrarca e Boccaccio
 Conclusione: alla tesi cortigiana mancano “auctoritas”, ossia modelli, a cui ispirarsi >
[citazione: “di nessuno si sa che nella cortigiana lingua scritto abbia infino a questo giorno”]
Gravità e piacevolezza
Ma come che sia, venendo al fatto, dico che egli si potrebbe considerare, quanto
alcuna composizione meriti loda o non meriti, ancora per questa via: che perciò che
due parti sono quelle che fanno bella ogni scrittura, la gravità e la piacevolezza; e le
cose poi, che empiono e compiono queste due parti, son tre, il suono, il numero, la
variazione, dico che di queste tre cose aver si dee risguardo partitamente, ciascuna
delle quali all'una e all'altra giova delle due primiere che io dissi. E affine che voi
meglio queste due medesime parti conosciate, come e quanto sono differenti tra
loro, sotto la gravità ripongo l'onestà, la dignità, la maestà, la magnificenza, la
grandezza, e le loro somiglianti; sotto la piacevolezza ristringo la grazia, la soavità,
la vaghezza, la dolcezza, gli scherzi, i giuochi, e se altro è di questa maniera.
Perciò che egli può molto bene alcuna composizione essere piacevole e non
grave, e allo 'ncontro alcuna altra potrà grave essere, senza piacevolezza; sí come
aviene delle composizioni di messer Cino e di Dante, ché tra quelle di Dante molte
son gravi, senza piacevolezza, e tra quelle di messer Cino molte sono piacevoli,
senza gravità. Non dico già tuttavolta, che in quelle medesime che io gravi chiamo,
non vi sia qualche voce ancora piacevole, e in quelle che dico essere piacevoli,
alcun'altra non se ne legga scritta gravemente, ma dico per la gran parte. Sí come se
io dicessi eziandio che in alcune parti delle composizioni loro né gravità né
piacevolezza vi si vede alcuna, direi ciò avenire per lo piú, e non perché in quelle
medesime parti niuna voce o grave o piacevole non si leggesse. Dove il Petrarca
l'una e l'altra di queste parti empié maravigliosamente, in maniera che scegliere non
si può, in quale delle due egli fosse maggior maestro.
Gravità e piacevolezza
[libro II, 9]

Importanza della gravità e della piacevolezza  suono, numero (metro) e
variazione

Caratteristiche che connotano la gravità > argomenti onesti e dignitosi e solennità
nell’ esprimerli

Caratteristiche che connotano la piacevolezza > rendere poetico e delicato l’
argomento con strumenti stilistici, utilizzare motti scherzosi e giochi di parole

Critica a Dante e a Cino ( che non le utilizzarono entrambe)
 Elogio finale a Petrarca :
[ citazione: “Petrarca l'una e l'altra di queste parti empié maravigliosamente, in
maniera che scegliere non si può, in quale delle due egli fosse maggior maestro.“ ]
La “sconcezza” di Dante
E se pure aviene alcuna volta, che quello che noi di scrivere ci proponiamo, isprimere non si possa
con acconcie voci, ma bisogni recarvi le vili o le dure o le dispettose, il che appena mi si lascia
credere che avenir possa, tante vie e tanti modi ci sono da ragionare e tanto variabile e acconcia a
pigliar diverse forme e diversi sembianti e quasi colori è la umana favella, ma se pure ciò aviene,
dico che da tacere è quel tanto, che sporre non si può acconciamente, piú tosto che, sponendolo,
macchiarne l'altra scrittura; massimamente dove la necessità non istringa e non isforzi lo scrittore,
dalla qual necessità i poeti, sopra gli altri, sono lontani. E il vostro Dante, Giuliano, quando volle
far comperazione degli scabbiosi, meglio avrebbe fatto ad aver del tutto quelle comperazioni
taciute, che a scriverle nella maniera che egli fece:
E non vidi giamai menare stregghia
a ragazzo aspettato da signorso;
e poco appresso:
E si traevan giú l'unghie la scabbia,
come coltel di scardova le scaglie.
Come che molte altre cose di questa maniera si sarebbono potute tralasciar dallui senza biasimo,
ché nessuna necessità lo strignea piú a scriverle che a non scriverle; là dove non senza biasimo si
son dette. Il qual poeta non solamente se taciuto avesse quello che dire acconciamente non si
potea, meglio avrebbe fatto e in questo e in molti altri luoghi delle composizioni sue, ma ancora se
egli avesse voluto pigliar fatica di dire con piú vaghe e piú onorate voci quello che dire si sarebbe
potuto, chi pensato v'avesse, et egli detto ha con rozze e disonorate, sí sarebbe egli di molto
maggior loda e grido, che egli non è; come che egli nondimeno sia di molto.
Che quando e' disse: Biscazza, e fonde la sua facultate, Consuma o Disperde avrebbe detto, non
Biscazza, voce del tutto dura e spiacevole; oltra che ella non è voce usata, e forse ancora non mai
tocca dagli scrittori. Non fece cosí il Petrarca, il quale, lasciamo stare che non togliesse a dire di
ciò che dire non si potesse acconciamente, ma, tra le cose dette bene, se alcuna minuta voce era,
che potesse meglio dirsi, egli la mutava e rimutava, infino attanto che dire meglio non si potesse a
modo alcuno.
La “sconcezza” di Dante
[libro II, 5]

Carlo Bembo sostiene che è meglio non dire quello che non si può esporre con dignità, piuttosto che farlo e macchiare così la
scrittura :
[ citazione: “dico che da tacere è quel tanto, che sporre non si può acconciamente, piú tosto che, sponendolo, macchiarne l'altra
scrittura” ]

Soprattutto il poeti che sono esenti dall’ obbligo di esprimere cose non decorose  è preferibile che parlino soltanto della
bellezza e della perfezione

Critica contro Dante, per gli argomenti trattati ( nella Divina Commedia) e per il linguaggio aspro> es. meglio se non avesse
descritto gli scabbiosi:
[ citazione: “E non vidi giamai menare stregghia /a ragazzo aspettato da signorso;”
Divina Commedia, Inferno, XXIX, vv. 76-77 ]
( tema ritenuto disgustoso e similitudine plebea )
[ citazione: “E si traevan giú l'unghie la scabbia / come coltel di scardova le scaglie.”
Divina Commedia, Inferno, XXIX, vv. 82-83]
( immagine ripugnante )
•
Dante poteva evitare si trattare simili argomenti ma lo fa lo stesso addirittura in modo sconveniente  biasimo, se avesse
invece trattato l’ argomento con linguaggio poetico ne avrebbe tratto maggiore stima.
•
•
Critica ai neologismi danteschi, che doveva invece evitare, rifacendosi alle “auctoritas” (ai modelli del passato)
[ citazione: “Biscazza, e fonde la sua facultate”]
•
Lode al labor limae di Petrarca
Casadei Giulia & Massanova
Federica 4^B
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