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SEGRETO PROFESSIONALE

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SEGRETO PROFESSIONALE
SEGRETO PROFESSIONALE
Art. 622 c.p.
Chiunque, avendo notizia, per ragioni del proprio stato o ufficio,
o della propria professione o arte, di un segreto,
lo rivela, senza giusta causa ovvero lo impiega
a proprio o altrui profitto, è punito,
se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino
a un anno o con la multa....
Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
La violazione del segreto professionale può avvenire:
per rivelazione senza giusta causa a persona estranea (a voce,
per
iscritto o permettendo che persone estranee prendano
visione di cartelle cliniche, esami di laboratorio);
mediante impiego della notizia a proprio o altrui profitto
(ed a danno del proprio assistito).
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Giuste cause di rivelazione e condizioni di non punibilità:
disposizioni di legge (obbligo di denunce, referti, dichiarazioni);
consenso del paziente alla rivelazione;
caso fortuito o forza maggiore (smarrimento di un agenda)
violenza fisica;
errore di fatto o altrui inganno (riferire a persone credute o
fattesi credere prossimi congiunti);
stato di necessità (ricorso all'aiuto di estranei per soccorso
urgente);
legittima difesa (per salvare propria reputazione dinanzi a
false accuse).
La violazione del segreto professionale richiede il DOLO.
Il nocumento o la sola possibilità di nocumento deve sempre
sussistere (è sufficiente che dalla rivelazione sorga un pericolo
anche remoto di un danno ingiusto, anche materiale o morale).
L’art. 326 c.p. punisce la rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio.
Per detto reato è prevista la procedibilità d’ufficio e sono previste pene
più gravi. Inoltre è punita anche l’agevolazione colposa, ovvero il
facilitare, mediante un comportamento passivo, l’apprendimento della
notizia da terzi.
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TRASMISSIONE DEL SEGRETO
Consiste nel rendere partecipi del segreto altre persone o enti
interessati allo stesso caso, a loro volta vincolati al segreto
per ragioni di professione o di ufficio.
Condizioni per la trasmissione:
che il passaggio di notizie sia reso necessario da motivi sanitari,
organizzativi o amministrativi;
che avvenga con il consenso implicito o esplicito dell'assistito e nel
suo esclusivo interesse;
che la conoscenza delle notizie trasmesse rimanga circoscritta
nell'ambito dei servizi sanitari e assistenziali interessati;
che la trasmissione del segreto avvenga tra persone tutte abilitate a
conoscere il segreto.
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TRASMISSIONE DI SEGRETI DI UFFICIO:
passaggio di notizie dal medico a enti o servizi assistenziali, che
risponde alle esigenze di funzionamento della medicina
preventiva, dell'igiene pubblica, della stessa medicina curativa
e riabilitativa.
In questo caso spesso la conoscenza del segreto viene
distribuita tra un numero considerevole di persone, molte delle
quali non esercenti la professione sanitaria (funzionari,
impiegati amministrativi, enti previdenziali) che, apprese le
notizie per via burocratica, restano esse stesse vincolate dal
segreto di ufficio.
Fondamentale è comunque la modalità con cui sono state
acquisite le notizie: non ricade nella violazione dell'art. 622 c.p.
quel medico che riferisse ad altri quanto appreso non nella
veste di medico, bensì di semplice cittadino; ma neanche vi si
ricade nei casi di notizie apprese attraverso i comuni rapporti
sociali (amicizie, rapporti commerciali) anche se si tratti di stati
patologici che il medico abbia potuto apprezzare direttamente.
Costituisce
violazione
di
segreto
professionale
anche
l'informazione che il medico fornisce ai familiari del paziente circa
il suo stato di salute senza il consenso del paziente stesso.
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L'obbligo al segreto non attiene soltanto ai fatti concernenti lo stato di
salute del paziente, ma ad ogni cosa di natura morale o materiale
che il medico abbia appreso e che il paziente abbia interesse a tenere
celata.
Non è necessario che i fatti confidati dal paziente al medico
siano consoni al diritto o alla morale: l'interesse del paziente
deve essere tutelato quanto più il segreto e tale che la sua
rivelazione lo danneggerebbe.
•
L'obbligo del segreto si estende alle persone vicine al medico o che collaborano
con lui (moglie, marito, segretaria, ecc.).
•
Si estende agli studenti che apprendano notizie oggetto di segreto da docenti o da
esercitazioni o frequentando i reparti ed avendo contatto diretto con i pazienti.
• Tutela del segreto professionale nelle pubblicazioni scientifiche.
Obbligo al mantenimento del segreto spesso anche dopo la morte
del paziente, quindi occorre particolare cautela nel rilascio di
certificati, cartelle cliniche, occorrenti per successioni, pensioni od
altro, laddove il defunto manifestò in vita una volontà contraria
vincolando il medico al silenzio perpetuo.
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Cosa accade quando l'interesse personale del paziente alla
segretezza si pone in contrasto con il diritto della società alla
sicurezza individuale e collettiva ?
E' il caso ad esempio in cui un addetto ad un servizio pubblico sia
affetto da una malattia (difetti sensoriali, turbe psichiche, epilessia)
tale da compromettere la sicurezza del servizio stesso e da porre in
pericolo l'incolumità di molte persone.
In questo caso potrebbe essere invocata la CAUSA SOCIALMENTE
RILEVANTE, ovvero il giusto fine, non contrario ai principi generali
dell'ordinamento giuridico, che consente la rivelazione.
Il Codice di Procedura Penale (art. 200) riconosce ad ogni esercente
una professione sanitaria (medico, farmacista, infermiere, dietista,
ecc.) il diritto di astenersi dal testimoniare o dal deporre su quanto
appreso a motivo della propria professione (nel codice di deontologia
medica invece si prevede l’obbligo di astensione dal testimoniare). Per
i medici pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio è previsto il
vincolo del segreto di ufficio, con conseguente obbligo di astensione
dal testimoniare su fatti appresi a motivo del loro ufficio.
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Alla esigenza di riservatezza fanno esplicito riferimento altri articoli del Codice
Penale nonché norme speciali: ad esempio art. l’5 della legge 5.6.1990 n. 135
(Programma di interventi per la prevenzione e la lotta contro l'AIDS), l’art. 5 L.
22.5.1978 n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione
volontaria della gravidanza), l'art. 120 del D.P.R. 9.10.1990 n. 309 (T.U. delle leggi in
materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), ecc.
Nei casi di interruzione volontaria della gravidanza e di trattamento delle
tossicodipendenze e prevista la tutela della riservatezza garantendo il diritto
all'anonimato.
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